Riassunto Manuale Test Psicologici

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 OPsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, tesi di laurea, articoli, forum di discussione, eventi, annunci di lavoro, esame di stato, ecc… E-mail: [email protected] – Web: http://www.opsonline.it Gestito da Obiettivo Psicologia sr l, via Castel Colonna 34, 00179, Roma - p.iva: 07584501006 “I TEST PSICOLOGICI”- Pedrabissi\Santinello CAP 1: Perché i test? Il test è uno strumento che permette di conoscere le persone e facilitano le formulazioni di giudizi, le valutazioni di comportamento e l’elaborazione di una diagnosi. Si tratta di uno strumento di conoscenza e di valutazione oggettivo in cui è ridotto il margine di errore dovuto alla incostanza e alla soggettività di chi esprime un giudizio, che permette una valutazione uniforme e costa nte nel tempo che impedisce forme di discriminazione. Generalmente infatti i giudizi espressi su base intuitiva si dimostrano poco affidabili e poco costanti nel tempo, scarsamente validi e discriminanti in quanto grossolani e frutto di generalizzazioni. I più rilevanti fonti di errore nelle valutazioni intuitive sono: -Effetto alone: valutazione di un individuo generalizzando il carattere positivo o negativo di un altro tratto emergente -Teorie implicite di personalità: relazioni generalmente non consapevoli tra le diverse caratteristiche della persona percepita; a partire da alcune informazioni su tratti fisici o di personalità di un individuo se ne inferiscono altri. -Caratteristiche del valutatore:organizzazione selettiva e interpretazione personale -Stereotipi culturali e sociali:opinioni precostituite -Equazione personali: errori di osservazione e di valutazione dovuti all’interazione tra le caratteristiche personali dell’esaminatore e dell’esaminato -Fenomeni proiettivi: meccanismi psicologici più o meno consapevoli che generano la tendenza ad ascrivere ad un’altra persona disposizioni, sentimenti e pensieri propri. Immagini evocate dai test e test “popolari” Nell’opinione pubblica spesso confusi con i quiz. In realtà i test psicologici utilizzati dagli psicologici non hanno niente di misterioso e banale come molti pensano. I test psicologici non sono perfetti, hanno comunque un grado di precisione limitata che può essere calcolato e quantificato. Comunque secondo l’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti essi rappresentano la forma migliore, più corretta e più economica per ottenere le informazioni necessarie per prendere importanti decisioni riguardanti le persone. In che senso i test misurano: la quantificazione in psicologia Cosa s’intende per “misura” in psicologia? Definizione abbastanza condivisa di Misurare= attribuire numeri a oggetti o ad eventi secondo delle regole in modo tale che specifiche relazioni tra i numeri corrispondano ad analoghe relazioni tra gli oggetti. Con questa operazione un relativo empirico viene tradotto in un relativo numerico. Secondo Russell misurare significa stabilire una corrispondenza biunivoca fra tutte le grandezze di un determinato genere e tutti o alcuni mestieri. Un qualsiasi sistema empirico (calore,peso,ecc) viene trasformato in un costrutto ipotetico, ovvero non empirico e non osservabile direttamente.

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“I TEST PSICOLOGICI”- Pedrabissi\SantinelloCAP 1: Perché i test?Il test è uno strumento che permette di conoscere le persone e facilitano leformulazioni di giudizi, le valutazioni di comportamento e l’elaborazione di unadiagnosi.Si tratta di uno strumento di conoscenza e di valutazione oggettivo in cui è ridotto ilmargine di errore dovuto alla incostanza e alla soggettività di chi esprime un giudizio,che permette una valutazione uniforme e costante nel tempo che impedisce forme didiscriminazione.Generalmente infatti i giudizi espressi su base intuitiva si dimostrano poco affidabili epoco costanti nel tempo, scarsamente validi e discriminanti in quanto grossolani efrutto di generalizzazioni.I più rilevanti fonti di errore nelle valutazioni intuitive sono:-Effetto alone: valutazione di un individuo generalizzando il carattere positivo onegativo di un altro tratto emergente-Teorie implicite di personalità: relazioni generalmente non consapevoli tra le diversecaratteristiche della persona percepita; a partire da alcune informazioni su tratti fisicio di personalità di un individuo se ne inferiscono altri.-Caratteristiche del valutatore:organizzazione selettiva e interpretazione personale-Stereotipi culturali e sociali:opinioni precostituite-Equazione personali: errori di osservazione e di valutazione dovuti all’interazione trale caratteristiche personali dell’esaminatore e dell’esaminato

-Fenomeni proiettivi: meccanismi psicologici più o meno consapevoli che generano latendenza ad ascrivere ad un’altra persona disposizioni, sentimenti e pensieri propri.

Immagini evocate dai test e test “popolari”Nell’opinione pubblica spesso confusi con i quiz. In realtà i test psicologici utilizzatidagli psicologici non hanno niente di misterioso e banale come molti pensano.I test psicologici non sono perfetti, hanno comunque un grado di precisione limitatache può essere calcolato e quantificato.Comunque secondo l’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti essirappresentano la forma migliore, più corretta e più economica per ottenere leinformazioni necessarie per prendere importanti decisioni riguardanti le persone.

In che senso i test misurano: la quantificazione in psicologiaCosa s’intende per “misura” in psicologia?Definizione abbastanza condivisa di Misurare= attribuire numeri a oggetti o ad eventisecondo delle regole in modo tale che specifiche relazioni tra i numeri corrispondanoad analoghe relazioni tra gli oggetti.Con questa operazione un relativo empirico viene tradotto in un relativo numerico.Secondo Russell misurare significa stabilire una corrispondenza biunivoca fra tutte legrandezze di un determinato genere e tutti o alcuni mestieri. Un qualsiasi sistemaempirico (calore,peso,ecc) viene trasformato in un costrutto ipotetico, ovvero nonempirico e non osservabile direttamente.

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Tale costrutto ipotetico è un continuum suddiviso in n parti a cui viene fattocorrispondere un sistema numerico in modo che ad ogni parte del continuumcorrisponde una unica parte del sistema numerico e viceversa. Quando si tratta dimisurare variabili psicologiche si presentano delle difficoltà che difficilmente sipresentano nelle misurazioni fisiche. La problematicità delle misurazioni nelle scienzepsicosociali dipende dalla natura delle variabili analizzate, soprattutto perché buonaparte di esse non può essere osservata direttamente.Fasi del processo di misurazione:-definizione teorica del costrutto-definizione in termini operativi di esso e scelta di indicatori comportamentali in gradodi rilevare la presenza di una data caratteristica o l’appartenenza ad una determinatatipologia psicologica-messa a punto di uno strumento per ottenere valori quantitativi di tali indicatori.L’attribuzione di numeri alle categorie deve seguire metodi razionali e determinateregole. L’operazione di misurazione richiede di solito la determinazione della posizionedi un oggetto o evento su una o più scale di misura. A livello della scala nominale laregola stabilisce di considerare i numeri etichette mutuamente esclusive che lavariabile può assumere, mentre a livello più alto la regola consiste nel trattare inumeri come numeri reali sui quali è possibile svolgere tutte le operazioni aritmetiche.

Finalità dei test:I test permettono di fare delle previsioni sul comportamento delle persone insituazioni al di fuori del test, per poter poi fare delle valutazioni, elaborare giudizi,prendere delle decisioni.

Il fondamento logico del test implica la generalizzazione del comportamento rilevatocon tali mezzi al comportamento manifestato in altre situazioni al di fuori del test.

Definizione di test e analisi della definizione:Test= procedura sistematica attraverso la quale viene presentato ad una persona uninsieme di stimoli, in grado di elicitare particolari risposte valutabili ed interpretabiliquantitativamente sulla base di criteri specifici o di definiti standard prestazionali.Elementi che caratterizzano un test come strumento di misura sino i seguenti:a)un insieme di stimoli (comunemente chiamati item) presentati al soggetto incondizioni uniformi e standardizzate;b) una prestazione o, risposta data agli stimoli proposti(campione,di uncomportamento);c)l'attribuzione di un punteggio alla prestazione secondo criteri standardizzati e definitia priori e interpretabile in relazione a particolari standard di «performance».

Standardizzazione delle condizioni di somministrazione e dei criteri diinterpretazione dei punteggi individuali: Le prestazioni dei soggetti ai test devono essere ottenute in condizioni standardizzate,cioè uniformi.La situazione o l'ambiente nel quale si effettua il test, gli stimoli proposti,l'atteggiamento e le istruzioni fornite da chi somministra il test, il tempo assegnato, lemodalità con cui rispondere ad eventuali domande devono essere sempre gli stessi eriprodotti in modo il più possibile uniforme.

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Secondo i costruttori dei test si garantiscono maggiori condizioni di standardizzazionese si seguono le istruzioni e le indicazioni fornite dal «manuale tecnico» di applicazionedel test.Ogni alterazione della situazione sia oggettiva, fisica, esterna, sia soggettiva,psicologica, interna al soggetto può indurre una variazione nelle prestazioni dovuta afattori non controllabili e non dipendenti dalle caratteristiche individuali.Ma non è semp possibile raggiungere condizioni perfette di standardizzazione.Generalmente i test applicati individualmente garantiscono minori condizioni distandardizzazione in quanto il comportamento dello psicologo può rappresentare unostimolo suppletivo rispetto al test; infatti il suo comportamento non è irrilevante alfine dell'evocazione di risposte nel soggetto.È prevedibile che il soggetto esaminato risponderà diversamente a secondadell'atteggiamento e del tipo di rapporto che il testista riesce a creare.Standardizzare, o tarare, un test significa somministrarlo ad un ampio gruppo disoggetti statisticamente rappresentativo della popolazione per la quale il test verràusato. Tale gruppo, chiamato campione di standardizzazione, serve per stabilire le«norme» del test, cioè le prestazioni che, per la popolazione da cui il campione è statocasualmente estratto, sono da considerarsi «normali», cioè medie.Il punteggio grezzo deve essere poi confrontato con dei valori normativi.Grazie alla deviazione standard è possibile riconoscere di quando i punteggi grezzi sidiscostano dalla media e quindi è possibile conoscere la posizione occupatadall’individuo all’interno del campione normativo e stabilire se il suo punteggio puòessere considerato normale,oppure superiore o inferiore alla media, e di quanto.

Campione di comportamento:Se si vogliono conoscere alcune caratteristiche o aspetti comportamentali di unapersona il metodo migliore sarebbe quello di osservarla a lungo, in situazioni emomenti diversi della sua vita quotidiana.Ma quando si ha la necessità di disporre in tempi brevi di informazioni in vista didecisioni da prendere si è costretti a ridurre i periodi di osservazione e il numero dicomportamenti osservati: è necessario fare una selezione di alcuni comportamenti.Le risposte e i comportamenti elicitati dal test devono poter essere rappresentativi dicomportamenti che si possono osservare al di fuori della situazione testistica, anchese non possono mai essere una misura completa ed esaustiva di tutti i comportamentipossibili che un soggetto può esprimere all’interno di una data area.

Regole per lo scoring:Un test è una misurazione oggettiva di un certo comportamento quindi ognivalutazione e interpretazione dei punteggi deve essere fatta con criteri quantitativi enumerici indipendentemente dal giudizio soggettivo del valutatore.Ogni test deve prevedere, nel manuale tecnico che lo accompagna, delle procedureconcrete per classificare in termini quantitativi e numerici le risp date daisoggetti(scoring). Delle regole chiaramente definite e precise permettono a unsoggetto di ricevere lo stesso punteggio indipendentemente dal valutatore.Esistono però dei test che prevedono procedure soggettive di valutazione, che lascianoun discreto margine al giudizio soggettivo dell’esaminatore (es:valutazione compito daparte degli insegnanti)

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Comunque uno strumento che non faccia in modo che due valutatori indipendentidiano una valutazione simile di una stessa prova non può essere ritenuto un buonesempio di reattivo psicologico.

I test sono conservatori o progressisti?I test sono stati sottoposti a diversi tipi di critiche.L'innesco della rivolta contro i test venne dato, all'inizio degli anni '60, da unintervento del New York Board of Education che sostenne il diritto dei genitori aconoscere i risultati dei reattivi applicati ai loro figli nella scuola, ma che soprattuttocriticò i test di intelligenza per la loro tendenza ad una classificazione rigida,inflessibile e permanente dei soggetti, ingiustamente selettiva nei confronti degliindividui e dei gruppi socioculturalmente svantaggiati o etnicamente minoritari.Un'altra critica rivolta ai test, sempre negli incandescenti anni '60, era che questi(soprattutto alcuni di essi, quelli attitudinali e di profitto) erano strumenti del poterepolitico, funzionali al mantenimento di un determinato sistema sociale ed economico.Si pensa che tali critiche non riguardassero i test in sé, ma l'uso che di essi può esserefatto, o una loro cattiva applicazione. Infatti possono essere usati non solo per fini diconservazione, di mantenimento di uno status quo, ma anche per scopi evolutivi, dicambiamento, di riforma: di per sé essi sono neutrali. Essi possono servire permantenere inalterata una situazione sociale, ma possono anche essere utilizzati percontestare l'operato di diverse istituzioni, come strumenti di misura oggettivi estandardizzati, che non guardano in faccia in faccia nessuno, garantiscono condizionidi maggiore democrazia e di rispetto dei meriti e delle scelte di ogni individuo, aqualsiasi ceto sociale appartenga.

Anche nell'ambito della psicologia dei lavoro, grazie all'impersonale oggettività deitest, si va sempre più diffondendo l'idea che l'occupazione di una persona debbadipendere da ciò che essa è in grado di fare e non dalla posizione sociale dei suoigenitori, dalle loro conoscenze e dalla possibilità di ottenere raccomandazioni.I test hanno il merito di evidenziare diversità e carenze, che solo così possono essereanalizzate ed eventualmente compensate con mirati interventi di recupero.Un limite dei test è che essi possono essere utilizzati, e nel corso della loro storia èspesso avvenuto, per etichettare le persone, per incasellarle e classificarle in categoriediagnostiche rigide e schematiche (es. rilevazione del QI).Un altro limite:i test cognitivi registrano ciò che un individuo è in grado di fare in undeterminato momento ma non danno informazioni sul perché della sua prestazione.D’altra parte voler nascondere gli effetti dello svantaggio sociale o culturale rifiutandoradicalmente i test o costruendone alcuni non sensibili a tali influenze non serve amodificare le disuguaglianze di partenza, semmai potrebbe contribuire a far prenderecoscienza del problema e a ritardarne la soluzione.

CAP 2: Breve storia dei test

La seconda metà del XIX secolo segna una svolta importante per la psicologia. Daallora essa si è avviata a diventare una disciplina scientifica autonoma, fondatametodologicamente non più sulla intuizione, sulla percezione, sull'introspezione e sullaspeculazione filosofica, bensì sul metodo sperimentale.

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«Quantità» e «misura» sono diventate pertanto le parole chiave per chi vuole fareseria e credibile ricerca psicologica, e il «test» si è delineato come uno degli strumentipiù adatti a verificare empiricamente la validità delle ipotesi.La scientificità delle conclusioni, secondo tale autore, è garantita dalla raccoltaoggettiva dei dati (e il test ne è il mezzo più sicuro), dalla verifica a cui questi possonoe debbono essere sottoposti ed infine dal confronto degli stessi con altri risultati.Il test psicologico nella sua forma odierna nasce ufficialmente circa cento anni fa neilaboratori scientifici di Galton, di Cattell e di Wundt in cui si studiavano ladiscriminazione sensoriale, i tempi di reazione e le differenze individuali.Le prime rudimentali forme di testing risalgono però almeno a12200 a.c. e avevano loscopo di selezionare persone adatte ad esercitare la funzione di «mandarino»nell'impero cinese.Anche l'interesse per le differenze individuali e per la classificazione tipologica è moltoantico; è però solo intorno alla metà dell'800 che dall'area della psichiatria giungonostimoli e spinte innovative che favoriscono l'evoluzione del test.L'esigenza di una definizione del concetto di «anormalità», di «devianza» spinse glistudiosi di psichiatria a predisporre strumenti di misura del comportamento per meglioclassificare diagnosticare i loro pazienti.Fu Francis Galton il primo a sistematizzare gli studi sulle differenze individuali; con isuoi lavori concorse ad accreditare l'idea che soltanto attraverso procedure oggettivee standardizzate si potevano ottenere proficui, significativi e fecondi risultati nelcampo psicologico, tali da far acquisire scientificità a tale disciplina.

Il XX secolo

La nuova legislazione sull'obbligo scolastico aveva riempito le aule specialmente dibambini di livello socioculturale basso; molti di essi ottenevano cattive prestazioniscolastiche e venivano giudicati ritardati, deboli di mente dagli insegnanti. Si delineavasempre più l'esigenza di valutare in modo oggettivo e sicuro tali allievi per capire se icattivi risultati scolastici fossero dovuti a effettivo ritardo cognitivo-mentale osemplicemente allo svantaggiato background familiare. A questo proposito nel 1904 ilministro della Pubblica istruzione di Parigi incaricò Binet e il suo collaboratore Simon dimettere a punto un metodo per identificare quei bambini che non potevano trarreprofitto dalla regolare istruzione e che dovevano essere collocati in scuole speciali.Nel 1905 è apparso il primo test di intelligenza, la scala Binet-Simon, composto da 30item disposti in ordine di difficoltà crescente e misuranti abilità astratte come lacapacità di giudizio, la comprensione e il ragionamento. Esso fu rivisto e migliorato daBinet e Simon nel 1908 con l'introduzione del concetto di «età mentale» come sistemadi attribuzione di punteggio e nel 1911, con l'estensione della scala agli adulti. Nel1916 Lewis lo tradusse in inglese, lo adottò alla cultura americana e introdusse ilconcetto di Q.I. come indice funzionale per la valutazione di certo numero di provecognitive e di performance.

Il periodo del boom nell’uso dei testIn America essi si diffusero in altri due campi. Furono utilizzati dapprima per laselezione di ritardati mentali tra gli immigrati e, successivamente. durante la primaguerra mondiale per la classificazione delle reclute.

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Agli immigrati e alle reclute vennero applicati per la prima volta test collettivi o digruppo, al fine di risparmiare tempo, impiego di personale e quindi denaro.Partendo da un test collettivo messo a punto da Otis, gli psicologi dell'esercitoamericano costruirono due test, l'Army Alfa e l'Army Beta. Il primo era un test verbaledestinato a selezionare reclute per compiti medi o difficili e l'Army Beta era di tipo nonverbale ed era destinato agli illetterati ,o agli stranieri.Le condizioni in cui tali test di gruppo venivano applicati non erano certo le più idonee,ciò generò da un lato inesattezza e scarsa oggettività nelle rilevazioni e nelleclassificazioni; dall'altro però fornì esperienze utili agli psicologi sia rispetto allacostruzione e alla dimensione metrica dei test, sia per l'analisi dei dati. Inoltre questiprimi reattivi divennero i prototipi di altri test di gruppo e influenzarono la forma deisuccessivi test di intelligenza e di quelli attitudinali.

I test di attitudini specificheIl periodo d’oro del testing durò fino al 1930 anno in cui molti psicologi ampliarono eridefinirono il concetto di intelligenza e di QI e conclusero che i reattivi in uso, anchese definiti test di intelligenza generale, misuravano prevalentemente l'attitudinescolastica.Per queste ragioni cominciarono ad essere costruiti test finalizzati alla valutazione diattitudini specifiche.La loro diffusione fu possibile perché proprio in quel periodo Thurstone [1938],partendo dagli studi di Spearman, mise a punto un nuovo procedimento statistico -l'analisi fattoriale - che permetteva di identificare un certo numero di fattori specifici,di abilità mentali primarie come la comprensione verbale, l'abilità spaziale, la memoria

associativa, il ragionamento generale, la fluidità verbale che contribuirono a renderepiù complesso il costrutto teorico dell'intelligenza.Essendo quindi molti, secondo Thurstone, i fattori implicati nella definizione diintelligenza vennero messe a punto delle batterie multiple o batterie multifattoriali chepermettevano di valutare la posizione di un soggetto in rapporto a diversi tratti ofattori specifici.

I test di personalità e le tecniche proiettiveCol termine «test di personalità» si indicano tutti. quegli strumenti che si propongonodi misurare aspetti della personalità, distinti dalle abilità intellettive quali lamotivazione, i sentimenti, i rapporti interpersonali, ecc.I primi che cercarono di misurare la personalità furono Galton [18831 e Kraepelin[1895] attraverso il metodo delle libere associazioni. Ai loro soggetti venivanopresentate delle parole-stimolo alle quali essi dovevano rispondere liberamente con laparola evocata dallo stimolo stesso.Il tipo di risposta, la risposta mancata e i tempi di reazione alla parola-stimolovenivano utilizzati per tracciare un quadro della personalità dell'individuo.Il primo vero test di personalità fu però il Personal Data Sheet (1919), di Woodworth,messo a punto per identificare soggetti con disturbi nevrotici all'interno dell'esercitostatunitense. Si trattava di un questionario di 116 domande a cui il soggetto dovevarispondere con un sì o un no; tale strumento servì alla base per altri test dipersonalità come il Thurstone Personale Schedule, il Bernreuter Personality Inventorye il Minnesota Personality Inventory. Si tratta di un test di 550 item a cui rispondere

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con vero/falso ed è usato ancor oggi molto spesso in ambito clinico per rilevare latendenza all'ipocondria, alla depressione, alla paranoia, alla schizofrenia all'introversione ecc.Lo svizzero Rorschach fu il primo ad utilizzare, già nel 1921 uno stimoloneutro,ambiguo, non strutturato quale le «macchie d'inchiostro»; attraversol'interpretazione di tali macchie suoi pazienti rivivevano conflitti e problemi inconsci ditipo affettivo-emotivo; Morgana e Murare nel loro TAR si servirono invece di figureritratte in una scena non definita la cui rielaborazione e interpretazione era sempreaffidata ai pazienti che, inconsciamente, trasferivano bisogni e conflitti nellacostruzione della storia, Buck [1948] ideò il test della Casa-Albero-Persona basato sulpresupposto che i soggetti, soprattutto i bambini, rivelassero bisogni interessi ecaratteristiche di personalità disegnando i temi sopra indicati.

La rivolta antitestNel ventennio dal 1940 al 1960 ci fu, soprattutto in America, un secondo periodo d'oroper il test. Scuole, ospedali, industrie e uffici pubblici si servirono dei numerosi reattivipsicologici immessi sul mercato per le loro scelte e selezioni, determinando un nuovobusiness: quello della creazione di strumenti di misura. Si trattava però molto spessodi test non aggiornati o inadeguati.Tale situazione creò un massiccio movimento di critica nei confronti dei test e culminòcon lastampa nel 1966 di norme specifiche per costruzione, valutazione, uso, particolariapplicazioni e procedure di somministrazione dei test. Tali norme sono contenute nelvolume Standards for

Educational and Psychological Tests and Manuals pubblicato dall'AmericanPsychological Association (APA) e rivisto negli anni 1974 e 1985.Gli psicologi dovevano poi tenere conto di problematiche più sottili legate allacostruzione, somministrazione e uso dei test.

I test oggiIl test è ormai uno strumento indispensabile e insostituibile in molti ambiti (ospedali,prigioni, scuole, istituzioni di custodia, uffici pubblici) perché fornisce una serie diindicazioni che aiutano a prendere decisioni, a verificare, a programmare il lavoro, aselezionare. Nell'ultimo trentennio tre importanti innovazioni scientifiche emetodologiche hanno ulteriormente influenzato la storia del testing: a) l'uso pervasivoe massiccio dei computer, b) l'introduzione della meta-analisi nell'ambito della ricercae della verifica delle proprietà metriche del test, e c) l'utilizzo della teoria del trattolatente.

Uso dei computerI computer hanno cominciato ad entrare nel mondo del test a partire dagli anni. Sonousati soprattutto nelle operazioni di somministrazione, di scoring e di lettura dei dati,ma anche in fase di costruzione di un reattivo (aiutano nell'item analysis, nelladistribuzione delle subscale, nella stima delle correlazioni, ecc.).Offrono una serie non indifferente di vantaggi.

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Il test risulta uno strumento ancor più standardizzato perché vengono eliminatedifferenze nella modalità e nei tempi di somministrazione, errori di correzione, dicalcolo, ecc.La somministrazione computerizzata del test è più veloce di quella carta e matita egarantisce un risparmio economico. I dati già inseriti nel computer sono pronti per leelaborazioni statistiche e si evitano così anche eventuali errori di trascrizione delleinformazioni. Attraverso il computer è possibile attualmente rilevare qualcosa di nuovorispetto ai test di impostazione tradizionale. Le figure in movimento create daicomputer possono permettere di misurare abilità spaziali e percettive impossibiliprima ed anche di valutare e di interpretare tempi di latenza nella risposta agli item.Rimangono aperti due problemi. Il primo concerne l'interazione uomo-computer, cherisulta difficoltosa con bambini, anziani e persone con handicap, oltre che generatricedi ansia.Il secondo è quello che riguarda l'equivalenza dei test tradizionali con la versionecomputerizzata.

Contributi della meta-analisiCon il termine «meta-analisi», coniato da Glass nel 1977, si indica un procedimento diintegrazione dei dati ottenuti da singole indagini e divenuto popolare verso la finedegli anni '70 e all'inizio di quelli '80 quando fu usato in molte autorevoli analisisull'efficacia delle psicoterapie . Si tratta di una metodologia statistica che consente diarrivare, attraverso un complesso lavoro di ripulitura dei risultati, al ritrovamento diun valore medio, vicino al valore «verità».

Contributi della teoria del “tratto latente”L'applicazione della teoria del «tratto latente» permetterebbe di rintracciare,all'interno di un gruppo di item, quelli con medesimo grado, di difficoltà, e di poterediscriminativi, ciò renderebbe possibile preparare diversi tipi di test con lo stessogrado di difficoltà o sottoporre gruppi di soggetti a parti dello stesso test (poichéciascun item ha la medesima difficoltà) anzi ché all'intero test e tempo e denaroverrebbero così risparmiati.

CAP 3: La psicometria. Ovvero:cosa misurano realmente i test?I problemi che si incontrano nell’usare i test sono dovuti al fatto che ciò che si vuolemisurare non è un oggetto fisico, ma un costrutto teorico, una entità ipotetica. Lamisurazione di variabili psicologiche è strettamente legata alla chiarezza con la qualeviene definito il significato dei costrutti.La psicometria è la branca della psicologia che applica metodi di misurazionequantitativa alle variabili psicologiche.Storicamente si sono contrapposte due scuole psicometriche caratterizzate da diversee contrapposte concezioni di ciò che è il loro oggetto di studio:una psicometriafunzionalista e una psicometria di tratto.L'orientamento.funzionalistico è nato e si è imposto soprattutto nell'ambito del testingoccupazionale e scolastico. All'interno di tale approccio, la progettazione e lacostruzione di un test sono completamente determinate dall'uso che di esso vienefatto ciò che viene misurato non ha altro significato oltre alla sua applicazione. Lacostruzione di un test, dunque, prevede la definizione di uno scopo, un'analisi delle

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aree rilevanti per tale obiettivo in termini, per esempio, di mansioni, di attività, diprestazioni richieste da un lavoro di contenuti di un curricolo educativo, di sintomi cheportano ad una diagnosi psichiatrica e.la strutturazione del test su questespecificazioni.Secondo la psicometria di tratto invece i «tratti» psicologici che i test misurano sonoreali e sono oggetti di interesse per se stessi. Essa sorse originariamente per dare unapiù scientifica alle nozioni del senso comune riguardanti i diversi tipi di personalità.L'idea centrale era quella dello spettro di personalità secondo cui ogni tipo dipersonalità non è «tutto o niente», ma presenta varie possibilità fra i due estremi.Così, per esempio, le persone non sono completamente buone o cattive, ma talicaratteristiche possono essere rappresentate lungo un continuum. La personalitàquindi è solo un problema di grado. Il primo studioso a usare questo approccio inmodo scientifico fu Galton nel suo tentativo di definire l'essenza del genio.All'interno dell'indirizzo di tratto si ritiene dunque che la base delle differenzeindividuali nella personalità è correlata alle differenze individuali nella biologiadell'organismo umano, sia a livello biochimico che fisiologico, anatomico o neurologi-co. I test psicometrici vengono perciò elaborati per misurare dei tratti consideraticome manifestazione delle variazioni biologiche nella personalità o nell'attitudine.I due modelli sono collegati da una stesso teorema, fondamentale della psicologia: lateoria dei punteggi veri.

La teoria dei punteggi veri La teoria dei punteggi veri afferma semplicemente che il punteggio ottenuto da unindividuo in un item o in un test è costituito da due componenti: a) il punteggio vero

del soggetto rispetto a ciò che è misurato; b) alcuni errori di misura.Tradizionalmente ciò è espresso dalla seguente equazione: X=V+E

dove X indica il punteggio osservato, V il punteggio vero ed E l'errore.Quindi se tutto ciò che si conosce è che una particolare persona ha ottenuto unpunteggio di X nel test, allora non si sa proprio nulla. Infatti un punteggio osservatoda solo (X) non è utile.Noi siamo generalmente interessati a conoscere il punteggio vero (V) e abbiamobisogno di dati addizionali per trovarlo. Primariamente dobbiamo avere un'idea delladimensione dell'errore (E). In altre parole, non si può sapere quanto accurato sia unpunteggio se non si ha una qualche idea di quanto inaccurato è probabile che esso sia.Dalla teoria dei punteggi veri sono derivate varie tecniche per ottenere un'idea dellagrandezza dell'errore. Alla base di queste si trova il processo di replicazione, ossia sifanno più misurazioni sugli stessi soggetti, oppure si rilevano punteggi su moltisoggetti differenti.Assunti conosciuti come postulati della teoria dei punteggi veri:-Primo assunto: la correlazione tra 2 distribuzioni d’errore è zero: tutti gli errori sonocasuali e normalmente distribuiti-Secondo assunto: i punteggi veri non sono correlati con gli errori. Ossia il variaredella variabile “punteggi veri” non influisce sulla variabile “punteggi d’errore”che variaper proprio conto, cioè casualmente.-Terzo assunto: diverse misure di X nello stesso soggetto sono statisticamenteindipendenti l’una dall’altra. Questo è raramente vero in senso stretto poiché la stima

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dell’errore non è usualmente molto accurata e il concetto stesso di errore è aperto ainterpretazioni. Perciò la variazione nella dimensione del punteggio vero misuratodipende dal modo particolare con il quale l’errore è stimato.

Critiche alla teoria dei punteggi veri:La maggiore critica rivolta a questa teoria riguarda il concetto stesso di punteggiovero.Si è affermato che non esiste alcunché definibile come punteggio vero in quantoquesto è una mera entità ipotetica generata dalla teoria. Il punteggio vero come talesarebbe una cosa mistica e quindi di nessuna importanza teoretica.La risposta a tali critiche è stata quella di differenziare due definizioni di punteggiovero: una di tipo platonico e una di tipo statistico.

Il punteggio vero statisticoLa definizione statistica concepisce il punteggio vero come quello che si otterrebbe sesi dovesse fare un numero infinito di misure del punteggio osservato sulla stessapersona e se ne facesse la media. Poiché il numero delle osservazioni si avvicinaall'infinito, allora gli errori, essendo casuali per definizione, si cancellerebbero l'unl'altro permettendo una misura  pura del punteggio vero.Naturalmente non è possibile effettuare un numero infinito di misure di X sulla stessapersona senza alterare il processo di misurazione stesso a causa della percezione dellasituazione da parte del soggetto e degli inevitabili effetti pratici. Ma questo non èimportante dal punto di vista della definizione statistica che stabilisce che il punteggiovero è quello che si otterrebbe qualora questo fosse possibile.

II punteggio vero platonico Il concetto platonico di punteggio vero è basato sulla teoria della verità secondo ilfilosofo greco Platone. Egli credeva che se una cosa può essere pensata, anche se nonesiste nel mondo, essa deve esistere da qualche parte per rendere possibile un talepensiero.Una simile idea platonica di punteggio vero è generalmente ritenuta un errore conl'implicazione che gli psicometristi che argomentano per l'esistenza di un «costrutto»(per esempio, l'intelligenza), a partire dai punteggi di un test affidabile, commettonoun errore di categoria, un salto logico: dall'empirico al metafisico.Viene detto che non esiste un punteggio vero, ma solo una serie di osservazioni e dideduzioni da esse.Questo modo di ragionare, tuttavia, è probabilmente una eccessiva semplificazione.Infatti, nel linguaggio comune si usano molti nomi astratti che, sebbene non sianodirettamente collegati ad oggetti, esistono sicuramente, come per esempio giustizia oinfelicità. Solo perché un oggetto astratto non ha una esistenza fisica, ciò non significache esso non possa essere di alcun uso o che, a maggior ragione, non sia un oggetto.

Tratto o funzione?L'importanza della definizione statistica della teoria dei punteggi veri sta nel fatto cheessa è in grado di supportare sia i funzionalisti sia la psicometria basata sul tratto.D'altra parte, anche per molti test usati in psicologia per misurare tratti, una semplicedefinizione statistica del punteggio vero per se stesso è probabilmente inadeguata.

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Infatti una scala che si prefigge di misurare il livello di depressione di una personapresume che l'infelicità esista realmente e non solo in senso meramente statistico.L'approccio funzionale è in grado di produrre test per molteplici obiettivi, anche sepresenta una debolezza: non si può assumere che un test sviluppato con unparticolare scopo sarà necessariamente fruibile per un altro obiettivo.Il modello funzionale insiste, almeno in linea di principio, sul fatto che nessunavariabile interveniente o tratto possano essere rilevanti. Come per i comportamentisti,il solo aspetto interessante dei tratti è il comportamento al quale portano e, poichéquesto è definito e misurato direttamente e funzionalmente, i tratti diventano quindiridondanti. Per i funzionalisti non ci sono, per esempio, cose come 1'«abilità inmatematica»: esiste solo la performance di un individuo in vari compiti matematici.Spesso però le persone nelle loro interazioni tendono ad usare concetti astratti ed èspesso su tale base che anche gli psicologi tendono ad operare delle generalizzazionidal punteggio di un test ad una attuale decisione, sia essa giustificata o no.Quindi nonostante i vantaggi superficiali e oggettivi dell'approccio funzionalista, lapsicologia dei tratti non può essere eliminata poiché rappresenta da vicino il modo incui le persone prendono le decisioni nel mondo reale.I test funzionali sono costruiti specificatamente per situazioni particolari e nonpossono essere generalizzati. Se si desidera generalizzarli si ha bisogno di unconcetto, di un tratto, per giustificare l’affermazione che la scala (es di depressione)potrebbe essere applicabile in diverse situazioni.Il problema di quale dei due modelli sia più scientificamente corretto non ha significatoin quanto sono entrambi modalità alternative per trattare gli stessi fenomeni. Quindidiscutere quale delle due teorie è più corretta è un problema marginale, vanno

piuttosto considerate le conseguenze dells loro applicazione.

Il dibattito attuale:L’approccio funzionale ha gettato una luce nuova su alcuni dibattiti tradizionaliall’interno della psicometria. All’interno del funzionalismo il criterio di decisione è l’usoper il quale il test viene costruito.Perciò un test per la selezione deve necessariamente concludersi con la formazione didue categorie:chi passa e chi no. In simili circostanze l’esistenza di una sola scaladiventa un artefatto del processo decisionale piuttosto che un problema legato allanatura di ciò che deve essere misurato.Nelle situazioni valutative invece, in cui nessuna decisione selettiva deve essere fatta,diventa necessario raccogliere misure diverse in modo da ottenere una immaginecomplessiva e, quindi una singola scala non sarebbe sufficiente. In questo casodovrebbero essere costruite diverse subscale non necessariamente caratterizzate daelementi comuni.Queste concorrerebbero a costruire un profilo che è molto utile quando si è chiamatiad effettuare delle valutazioni e non delle selezioni.

Legame tra tratti e funzioni: È stata l'attenzione sui processi di pensiero implicati nelle decisioni umane che hapermesso di gettare un ponte fra la psicometria basata sui tratti e quella funzionale.Anche se, in linea di principio, si può immaginare una psicometria funzionale pura incui, per esempio in un test di selezione tutto è basato su

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ciò che ci si aspetta da una persona selezionata, in realtà i giudizi su ciò che è attesovengono dati da esseri umani e di conseguenza sono limitati dalla psicologia umana.Questi limiti includono i sistemi di classificazione e di generalizzazione tipici dellapsicologia popolare (es stereotipi).In sintesi si può affermare che sia l'approccio funzionale sia quello dei trattipresentano vantaggi e svantaggi. Nessuno dei due può essere considerato miglioredell'altro o esaustivo. L'importante è che i costruttori di test siano consapevoli degliassunti teorici sulla base dei quali stanno operando in una particolare situazione esiano preparati a giustificarli (necessaria consapevolezza critica).

CAP 4: La classificazione dei testClassificarli aiuta a conoscere le reali caratteristiche dei test e gli attributi da essirealmente misurati.Presentiamo qui una classificazione sulla quale diversi autori convergono [Lyman1991; Murphy e Davidshofer 1994] e che suddivide i test in due grandi gruppi:- test di massima performance;- test di tipica performance.

Test di massima performanceSono quelli che richiedono al soggetto di dare il meglio di sé e che valutano abilitàraggiunte o potenziali. Il punteggio in questi test è determinato dal livello di successonel completare correttamente ogni prova.Nella somministrazione di tali test si assume che i soggetti siano animati da un alto eanalogo livello di motivazione, in quanto non è facile verificare questa loro intrinseca

disposizione. Se si hanno elementi per non dare per scontata questa assunzione,occorrerà tenerne conto nel momento dell'interpretazione dei risultati.I punteggi conseguiti in un test di massima performance possono dipendere daalmeno tre fattori: la capacità innata dei soggetti, quella acquisita e la motivazione.Questi interagiscono fra loro e non è possibile valutare quanto del punteggio ottenutoè determinato da uno singolo di essi.Le nostre prestazioni dipendono infatti sia dal potenziale innato, sia da come questo èstato sviluppato e modificato dalle nostre esperienze di vita (scolastiche, sociali,culturali), sia dai nostri interessi e motivazioni.In questa categoria sono generalmente compresi test di intelligenza, test attitudinali etest di rendimento.A- test di intelligenza:i diversi test di intelligenza elaborati nel corso degli anni riflettono le differentidefinizioni che i vari autori hanno dato di questo costrutto. Infatti alcuni contengonoprevalentemente item verbali, altri molto materiale non verbale, alcuni danno ampiospazio alla soluzione di problemi, altri ancora danno più peso alla capacità mnestica,ecc.Ancora, alcuni di essi danno luogo ad un unico punteggio totale (generalmente un QI),altri producono diversi punteggi in quanto sono formati da diversi subtest.La capacità di ottenere una buona prestazione in un test di intelligenza può dipenderedal rendimento nella lettura o nell'aritmetica, o dalla familiarità con parole, oggetti,luoghi o concetti. La mancanza di familiarità crea condizioni di svantaggio e ciò può

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spiegare il minor rendimento in tali test di un individuo appartenente ad un gruppoetnico minoritario o proveniente da un ambiente sociale e culturale deprivato.B- test attitudinali:Anche tali tipi di test permettono di fare predizioni. Offrono indicazioni per prevedereun livello futuro di prestazione in qualche campo specifico. In genere vengonoutilizzati per selezionare individui nel mondo del lavoro, per l'ammissione a corsi diaddestramento o di formazione e a volte vengono sostituiti ai test diintelligenza.Anche le misure delle prestazioni attitudinali possono essere influenzatedal rendimento in alcune aree particolari, come ad esempio nella lettura.C- test di rendimento:Servono per rilevare e valutare il livello attuale di conoscenze, di capacità o dicompetenza di un individuo. A differenza di altri che possono avere un uso piùgenerale, questi vengono costruiti per essere applicati in situazioni specifiche. Un buoncriterio per differenziare i test di rendimento da quelli di attitudine è costituito dal lorouso. Lo scopo per cui viene applicato il test è il criterio migliore per questa distinzione.I test attitudinali servono a predire come «funzioneranno» le persone; quelli direndimento misurano il loro rendimento attuale e quelli di intelligenza la loro capacitào il loro funzionamento intellettivo.

Test di tipica performance (o di comportamento tipico)In tale categoria rientrano tutti i test che si prefiggono di conoscere le preferenze diun soggetto, i suoi comportamenti abituali piuttosto che ciò che egli è in grado di fare.Gli strumenti utilizzati hanno le più varie denominazioni: test, scale, inventari, moduli,indici, questionari, metodi delle scelte obbligate, per non citare le tecniche proiettive, i

test situazionali ecc.Dal momento che la concezione o la base teorica a essi sottostante è inevitabilmentepiù complessa e meno chiaramente evidente rispetto a quella dei test di prestazionemassima, può nascere una certa confusione su quali siano le caratteristiche rilevate daun test di comportamento tipico; ciò che un autore intende per «socievole» può noncorrispondere a quanto ritenuto da un altro.Inoltre, mentre la capacità di una persona può essere considerata, entro un certointervallo di tempo, relativamente stabile, la natura affettiva può cambiare in un breveperiodo di tempo. Ed è proprio questo aspetto che si vuole cogliere con i test diperformance tipica.Si cerca di capire come è veramente un soggetto o come reagisce a certi stimoli ocome si sente abitualmente da un punto di vista psicologico.Nei test di massima prestazione è sicuro che i soggetti non ottengano punteggi più altirispetto alle loro capacità. Le persone non possono far finta di sapere più cose o diessere più intelligenti, possono solo dare prestazioni al di sotto delle loro capacità, nonimpegnandosi a fondo, prestando poca attenzione..Nei test di prestazione tipica, invece, un individuo può fingere sia in una direzione siain un'altra opposta, per esempio aumentando o diminuendo il suo grado diadattamento o di socievolezza. In questi test non si vuole che ì soggetti faccianomeglio che possono ma che rispondano nel modo più onesto possibile.Proprio per controllare se i soggetti rispondono onestamente e lealmente agli item enon secondo meccanismi psicologici di «desiderabilità» e di aderenza alle normesociali, alcuni costruttori di test che rilevano caratteristiche di personalità vi hanno

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inserito, fra le altre, una subscala (detta scala lie) finalizzata a valutare il grado disincerità, o di menzogna, degli esaminati. Un altro problema che si incontra con i testdi tipica performance è che alcuni dei loro item possano presentare un qualche gradodi ambiguità di significato.Fattori come questo abbassano, come si vedrà in seguito, il grado di attendibilità e divalidità di un test.Anche l'atteggiamento e la disposizione motivazionale di un soggetto assumono unagrande importanza.Uno psicologo attento e consapevole dovrebbe tener conto delle condizioni e delloscopo della somministrazione di un test nella fase di interpretazione dei punteggi edutilizzare, qualora fossero disponibili, norme specifiche per gruppi particolari disoggetti e non quelle per la popolazione generale.Queste considerazioni hanno portato un grande numero di psicologi a ritenere chesimili test meritino meno fiducia rispetto a quelli di massima performance.Rimane comunque indubbia la loro utilità quando essi vengano utilizzati da psicologi econsulenti esperti, in grado di ridurre l'influenza di fattori di disturbo e di interpretarnecorrettamente i risultati.

Altri criteri di classificazioneOggettivo, soggettivo, proiettivoUn test è oggettivo quando la procedura di attribuzione del punteggio alle risposte èpresentata prima del lavoro di scoring. Così i test a scelta multipla o che prevedonorisposte dicotomiche (vero-falso) di solito sono oggettivi perché l'autore del test hacompilato una griglia di correzione che contiene la risposta giusta o migliore per

ciascun item.La qualifica di soggettivo è riservata invece a quel test nel quale qualche elemento digiudizio personale viene coinvolto nel lavoro di scoring. Test costituiti da frasi dacompletare o da prove personali (in cui il soggetto è libero di produrre contenutipersonali) sono esempi di test soggettivi, perché raramente il costruttore del testpotrà indicare in anticipo tutte le possibili risposte corrette all'item ed il punteggiorelativo.I reattivi proiettivi contengono item soggettivi che sono stati resi ambiguideliberatamente al fine di ottenere risposte individuali. Le macchie di inchiostro diRorschach e il TAT ne sono esempi.Test con selezione di risposte o con produzione di risposteUna classificazione forse più precisa, in relazione ai diversi tipi di item, si riferisce allascelta o alla produzione di risposte.In genere i test con risposte a scelta multipla, in cui il soggetto è chiamato a sceglierefra le alternative proposte, rientrano nella prima categoria, mentre una prova o unsaggio personale rientrano nella seconda.Scritto, orale o di performanceUn altro criterio per classificare i test può essere rappresentato dal mezzo usato per lapresentazione degli item e delle istruzioni.In genere gli item di un test sono scritti: il soggetto scrive le risposte, o fa dei segniche identificano le risposte scelte.Le istruzioni qualche volta vengono date oralmente, ma di solito possono essereimpartite sia oralmente sia per iscritto.

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Pochi test prevedono risposte orali e in genere sono stati predisposti per individui condeficit visivi o per soggetti con gravi limiti nella capacità di lettura.I test di performance generalmente implicano l'uso di apparati o di dispositivi specialie possono comprendere una attività o un campione di lavoro; di solito vengonocontrapposti a quelli che richiedono solo l'uso di carta e matita.Test standardizzati o informaliI test standardizzati sono stati costruiti in modo da essere utilizzati da un ampionumero di persone. Il loro contenuto è prefissato e ben strutturato, le istruzioni per lasomministrazione e le procedure di scoring sono completamente specificate.I test informali sono stati elaborati per un uso locale, anche se molte considerazioniriguardanti quelli standardizzati sono applicabili anche agli informali.Test di velocità o di potenzaI test che prevedono un limite di tempo sono in genere test di prestazione massima.Quando non c’è alcun limite di tempo nella somministrazione o è così ampio perchétutti lo completino, questo è considerato di potenza. La maggioranza dei test direndimento rientra tra quelli di potenza, perché il loro obiettivo è la stima dei livelli direndimento piuttosto che la valutazione di quanto velocemente gli individui possonorispondere.Alcuni reattivi sono quasi puramente di potenza e altri quasi puramente di velocità,avendo item così poco difficili che tutti i soggetti vi potrebbero rispondere in modocorretto sr solo avessero più tempo.Tra questi 2 estremi si situano alcuni che prevedono limiti di tempo più o meno ampi.Questi presentano caratteristiche tipiche sia dei test a tempo sia di quelli di potenza evengono classificati nell’una o nell’altra categoria a seconda che il tempo renda la

velocità un determinante decisivo del punteggio.Test di gruppo (collettivi) o individualiUn test è individuale se può essere somministrato solo ad un individuo per volta. Avolte può essere somministrato a piccoli gruppi se esistono le condizioni appropriate ese lo psicologo dispone di più copie del materiale necessario.I test di gruppo o collettivi possono essere somministrati a più personecontemporaneamente. Sono di solito test carta e matita, ma non necessariamente.Quelli individuali, invece, spesso implicano l’uso di materiali diversi da questi.Test verbali e non verbaliUn test verbale è costituito da item verbali, che implicano l'uso di parole in formaorale o scritta.I test cosiddetti non verbali non contengono invece alcun item verbale; le parole sonousate solo nelle istruzioni.Alcuni autori preferiscono il termine «non linguistico» per descrivere quest'ultimo tipodi test, che non presenta item verbali ma le cui istruzioni vengono date oralmente oper iscritto, e utilizzano il termine «non verbale» solo per quelli in cui nessuna parolaviene usata, nemmeno per le istruzioni. Secondo questa classificazione, un esempiotipico è costituito dal test di intelligenza astratta Culture fair di Cattell.Test “culture fair” (culturalmente equi)I test «culture fair» sono particolari tipi di test relativamente indipendenti da influenzeambientali o culturali e possono essere considerati equi nei confronti di personeappartenenti a molte culture diverse. Alcuni autori suggeriscono la dizione

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«culturalmente omogenei» riferendosi a test i cui item funzionano bene dentro unaspecifica cultura o subcultura.All'interno di questa categoria alcuni studiosi collocano specificamente la sottoclassedegli strumenti self-report, cioè autodescrittivi.Gli strumenti self-report che servono a identificare gli interessi e le caratteristiche dipersonalità sono tipicamente e propriamente denominati «inventari», «questionari» o«checklists» piuttosto che test. Se vengono chiamati «test» è solo per semplificare illinguaggio, ma tale termine dovrebbe essere evitato nel descrivere strumenti self-report, specialmente nei loro titoli, per non creare fraintendimenti o l'illusione che la«personalità» si misuri direttamente come una qualsiasi performance.

CAP 5: La somministrazione dei testLo scopo di un test è quello di ottenere prestazioni «qui e ora» da parte di unsoggetto, prestazioni che permettano poi di fare una previsione o unageneralizzazione circa il comportamento che egli manifesterà al di fuori dellasituazione di testing.È allora evidente che qualsiasi elemento, che intervenga a modificare la situazione deltest, costituisce una possibile fonte di varianza d'errore dei punteggi, in grado quindidi alterarne il significato e di indurre alla formulazione di giudizi scorretti o di decisionierrate.Pertanto è molto importante tenere sotto controllo ogni fattore che possa interferiresulla prestazione dei soggetti e possa inficiare una corretta generalizzazione deirisultati del test.Inoltre, poiché i risultati di un test potrebbero essere usati per formulare graduatorie,

effettuare selezioni od operare delle scelte, è necessario, se si vogliono fare deiconfronti fra soggetti, che le prestazioni siano ottenute in condizioni standardizzate euniformi.Ovviamente le procedure di somministrazione di un test possono variare a seconda deltipo di test (individuale/collettivo; tempo/senza limiti di tempo; attitudinale o dipersonalità, ecc.) e delle caratteristiche del soggetto esaminato (età, livello culturale,condizione fisica e mentale).Tali fattori, interagendo con altri aspetti quali la preparazione del soggetto al test, ilsuo livello di motivazione, di ansia, di fatica e di salute possono influire sulleprestazioni.Allo stesso modo sia le variabili di tipo situazionale sia le abilità, le caratteristiche, ilcomportamento dell'esaminatore possono avere effetti sulla performance dei soggettiesaminati.

Prima della somministrazione dei testPer prima cosa è necessario effettuare una opportuna programmazione dei tempi dellaprova, identificando il momento o il periodo più adatto per la somministrazione in undeterminato ambiente o organizzazione (studio privato, scuola, azienda, ecc.).È assolutamente sconsigliabile effettuare l'esecuzione delle prove durante le pause, iltempo libero o in alternativa ad altre attività piacevoli.Bisogna evitare di sottoporre i soggetti al test senza adeguato preavviso; poichéattraverso il test un soggetto potrebbe rivelare caratteristiche che preferisce non

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rendere pubbliche, non può essere sottoposto a test con l'inganno o senza che glisiano forniti chiarimenti su cosa il test misura e sull'uso che verrà fatto dei risultati.Per tutelare i diritti di chi è esaminato e nel rispetto della sua capacità di scelta, èopportuno disporre del suo «consenso informato».Per «consenso informato» si intende un accordo firmato da un individuo o dal suorappresentante legale (genitori, ecc.) con il quale egli acconsente a sottoporsi al test ea fornire una serie di informazioni private e a che queste vengano usate per unospecifico scopo.

Buona conoscenza del testPrima di procedere alla somministrazione è necessario leggere accuratamente ilmanuale tecnico per acquisire familiarità con il contenuto del test e con le istruzioni.Una condizione ottimale si raggiunge provando ad autosomministrarsi il test esperimentando la procedura di somministrazione con altri soggetti.Se si tratta di test individuali è consigliabile imparare le istruzioni a memoria; nel casodi test collettivi, in cui le istruzioni vengono lette ed è prevista l'illustrazione di alcuniitem d'esempio, una familiarità con queste garantisce una migliore lettura (lenta echiara) e di conseguenza una miglior comprensione, offrendo nel contempoun'immagine di buona professionalità.Un altro aspetto importante consiste nella preparazione del materiale.I fascicoli del test, i fogli di risposta e altro materiale vanno controllati e predispostiper tempo nel numero necessario.

Condizioni ambientali

Chi somministra il test deve assicurarsi che l'ambiente sia abbastanza tranquillo econfortevole.Tavolini, sedie, condizioni di illuminazione,temperatura e livello di rumore devonoessere soddisfacenti.E in genere da preferirsi una stanza familiare agli esaminati e libera da probabilidistrazioni.Durante la somministrazione è importante eliminare ogni interruzione od ogni forma didisturbo che provenga dall'esterno (ritardatari, estranei, ecc.), adottando misurepreventive.

Impedire gli imbrogliPer evitare che i soggetti cerchino di ingannare si dovrebbero predisporre spazisufficienti per ciascuno, distanziando opportunamente le persone.Poiché non sempre è possibile garantire che questo avvenga, al fine di evitare latentazione di copiare è opportuno ricorrere alla collaborazione di assistenti chepossono avere un ruolo attivo nella distribuzione e nella raccolta del materiale e nelrispondere in modo concordato a richieste procedurali, assicurando in questo modol'uniformità nella somministrazione del test.

Rispetto delle istruzioniQuando si utilizzano test standardizzati è assolutamente indispensabile che lopsicologo segua in modo accurato le istruzioni del test, anche quando si tratta dichiarire il compito richiesto agli esaminati.

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Se non ci si attiene alle istruzioni si finisce per richiedere loro una prestazione diversarispetto a quella che gli autori del test si sono proposti di rilevare.

Rapporto esaminatore-esaminatoA volte basta un semplice sorriso da parte dell'esaminatore per incrementare leprestazioni del soggetto. Pertanto un professionista ben addestrato dovrebbe essere ingrado di creare una relazione positiva con i soggetti, in modo da ottenere da parteloro un livello di motivazione e di collaborazione elevato e un rigoroso rispetto delleprocedure.Nella somministrazione dei test individuali è più facile che l'esaminatore sia in grado dicogliere nell'esaminato un abbassamento del livello di motivazione, o fenomeni didistrazione e di affaticamento. In tal caso egli dovrebbe mettere in atto dei tentativi edelle strategie per fronteggiare questi fenomeni o comunque prenderne nota pertenerne conto al momento della interpretazione dei risultati.Un atteggiamento amichevole, cordiale ma equilibrato rappresenta in ogni caso unacondizione incoraggiante. Un simile comportamento favorisce infatti l'instaurarsi diuna relazione positiva e di un clima che spinge il soggetto a rispondere il piùonestamente e accuratamente possibile.

Somministrazione a soggetti problematiciDoti di sensibilità e di pazienza da parte dello psicologo possono creare le condizionipiù favorevoli perché questi soggetti possano dare prova delle loro capacità.In situazioni di questo genere è possibile adottare diverse strategie, quali:- dare più tempo per rispondere alle domande;

- fare un maggior numero di esempi di risposta agli item;- programmare sedute brevi di test;- rilevare indicatori di fatica e di ansia e tenerne conto nell'interpretazione dei risultati;- predisporre misure per ridurre le conseguenze di deficit visivi, uditivi o percettivo-motori;- incoraggiare e rinforzare positivamente in modo generalizzato;- non forzare il soggetto a rispondere quando si sia ripetutamente rifiutato.

Dopo la somministrazione del testDopo la somministrazione di qualsiasi test, ma specialmente di quelli individuali, èbuona regola fornire rassicurazioni circa la performance dei soggetti,indipendentemente dai risultati conseguiti.

Lo scoringSolitamente il costruttore del test fornisce nel manuale tutte le indicazioni circa lemodalità di correzione e di valutazione delle risposte. Diverse case editrici di testforniscono a pagamento un servizio di scoring automatico, che prevede, oltre allacorrezione del foglio di risposta, la costruzione di profili individuali e la relativainterpretazione con una breve relazione. Questa modalità di scoring risulta rapida eanche economica (con un lettore ottico collegato ad un computer appositamenteprogrammato si possono correggere centinaia di fogli di risposta in breve tempo) equindi particolarmente indicata quando si ha a che fare con grandi numeri di soggettitestati. La correzione tramite computer non è completamente esente da possibili

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errori, anzi è raccomandabile ogni tanto un controllo dell'accuratezza dello scoringcorreggendo manualmente alcuni fogli di risposta e confrontando i punteggi attribuiticon quelli forniti dal computer come raccomandato negli Standards precedentementecitati. In qualsiasi caso la correzione tramite computer risulta molto più precisa esicura rispetto a quella manuale.

CAP 6 : L’interpretazione dei punteggiMisurare in psicologiaMisurare è un processo di assegnazione di numeri ad oggetti in modo tale che lecaratteristiche di questi ultimi siano fedelmente rappresentate dai numeri. Questadefinizione può ben essere adattata alla misura di caratteristiche psicologiche. Inquesto ambito per misura si intende l'assegnazione di un sistema di numeri a personein modo tale che alcune caratteristiche di queste siano ben rappresentate dalleproprietà del sistema numerico. Va tenuto presente che le misure psicologicheriguardano non certo la persona nella sua globalità, ma solamente alcune suecaratteristiche specifiche che possono essere rappresentate nei termini di particolariproprietà dei numeri.

Le differenze individualiUna delle più frequenti obiezioni all'uso dei test psicologici riguarda l'esistenza didifferenze anche notevoli fra gli individui e quindi l'impossibilità di una lorocomparazione. In realtà è proprio l'esistenza di differenze individuali l'assunto teoricofondamentale delle misure psicologiche. La teoria su cui si basano i test presupponeche gli individui differiscano realmente e in modo relativamente stabile nei loro

comportamenti, interessi, attitudini, valori, ecc. L'obiettivo dei costruttori di test è dimettere a punto delle procedure per trasferire queste eventuali differenze psicologichein differenze di tipo quantitativo e numerico; l'uso di numeri diversi servirà aesprimere tali differenze. Secondo i presupposti teorici dei test, i comportamenti dellepersone differiscono fra loro in modo rilevabile e potenzialmente misurabile e talidiversità persistono sufficientemente a lungo nel tempo in modo da rendere utili leloro misure. I test psicologici ci dicono solamente il modo in cui gli individui siassomigliano o sono differenti tra loro, senza esprimere dei giudizi di valore. A volte ledifferenze constatate sono così piccole o particolari da avere un modesto impatto sullavita delle persone; altre volte queste possono influenzare il loro grado di adattamentonei diversi ambiti della vita reale (scuola, lavoro, famiglia, ecc.).

Le scale di misuraPer scala di misura si intende un insieme di numeri (o simboli) le cui proprietàrispecchiano le proprietà empiriche degli oggetti alle quali sono stati assegnati deinumeri.Nel linguaggio dei test il termine «scala» sta anche ad indicare un gruppo di item di untest (o il test stesso) che valuta un determinato «costrutto» psicologico. Qui però lo sista usando nel significato di sistema di misura. Una scala che serve per misurare unavariabile continua viene chiamata scala continua; se misura una variabile discreta (chepuò cioè assumere un numero finito di valori) può essere denominata scala discreta.Per esempio, una scala che permette di classificare i soggetti in relazione alla loroidentità di genere (maschi e femmine) costituisce una scala discreta. Per contrasto,

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una scala è continua quando è teoricamente possibile suddividerla in una serie divalori, in relazione agli obiettivi della misura. Va osservato che le misure effettuatecon scale continue implicano sempre degli «errori» connessi con il tipo di strumentoutilizzato.Un altro modo, più comune, di categorizzare le diverse forme di misura riguarda laquantità di informazioni fornite dai numeri. In genere si distinguono 4 livelli o scale dimisura che comportano differenti tipi di informazioni.Scala nominaleLa scala nominale è la più semplice forma di misura.Consiste nel classificare o categorizzare le persone sulla base di una o piùcaratteristiche distintive rispetto alle quali esse vengono collocate in categoriemutuamente escludentesi ed esaustive. In questi tipi di misura i numeri con cui siidentificano classi o categorie possono essere sostituiti da nomi o da etichette verbalio da simboli.Le uniche operazioni aritmetiche che possono essere legittimamente svolte sui datiraccolti con scale nominali comprendono il calcolo del numero dei casi (frequenze)inclusi in una categoria o classe ed eventualmente proporzioni e percentuali.Di conseguenza è anche ridotta la quantità di elaborazioni statistiche che possonoessere effettuate su dati di tipo nominale.Scala ordinaleAnche le scale ordinali, come quelle nominali, permettono di effettuare delleclassificazioni fra caratteristiche psicologiche, ma, oltre a ciò, consentono digerarchizzarle e di organizzarle secondo livelli di grandezza.Le scale ordinali specificano lungo un continuum delle differenze relative tra oggetti

senza valutare la quantità assoluta delle differenze fra gli stessi.In altre parole esse non hanno uno zero assoluto e non dispongono di una unità dimisuraPertanto le grandezze che intercorrono fra i diversi livelli della scala non sonoomogenee e la distanza che separa, per esempio, il primo classificato dal secondo nonè uguale a quella che separa il terzo dal quarto, ecc.Scala a intervalliIn aggiunta alle proprietà delle scale nominali e ordinali, quelle a intervalli sonocaratterizzate da un intervallo uguale tra i diversi valori in quanto dispongono di unaunità di misura.Come le scale ordinali, anche quelle a intervalli non prevedono uno zero assoluto.Le uniche operazioni aritmetiche possibili sui dati di una scala a intervalli sono quelledell'addizione e della sottrazione, e non quelle della moltiplicazione e della divisione acausa dell'assenza in essa di un punto zero fisso. Inoltre a simili dati sono applicabilitutte le operazioni del calcolo statistico (media aritmetica, deviazione standard,correlazione, ecc.) e quindi tutti i test statistici che si basano su di esse (testparametrici quali il t di Student, l'analisi della varianza, ecc.).Scala di rapportoNelle scale di rapporto il punto zero non è arbitrario, ma indica una assenza reale etotale di una qualsivoglia proprietà misurata. Di conseguenza, qualsiasi misura sieffettui con questo tipo di scale può essere interpretata in termini di distanza dallozero reale.

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le scale di rapporto compendiano in sé le proprietà di tutte le precedenti, con in più lagaranzia che i rapporti fra i valori scalari corrispondono a quelli fra le caratteristichemisurate.Le scale di rapporto sono, però, raramente utilizzabili in psicologia perché in questoambito è difficile identificare un punto zero che abbia un certo significato.

Psicologia e statisticaChe cosa ha a che fare la statistica con la psicologia e con i test?Dovrebbe essere ormai chiaro che i test producono misure e che queste sono espressein numeri. La statistica offre un metodo per capire e interpretare questi numeri. Se lagamma dei punteggi, cioè l'intervallo tra il minore ed il maggiore, è molto ampiaquesti possono essere raggruppati secondo un certo intervallo di classe.Non esistono criteri univoci per definire in modo ottimale la dimensione di questiintervalli; essa viene lasciata alla valutazione di chi raccoglie i dati secondo principi diopportunità. Per migliorare la percezione di come si distribuiscono i dati, soprattuttoquando sono abbastanza numerosi, è possibile e consigliabile ricorrere a unarappresentazione grafica degli stessi, ottenendo una curva di distribuzione. Le piùcomuni rappresentazioni grafiche sono costituite dagli istogrammi e dai poligoni difrequenza.L'istogramma è formato da un insieme di colonne contigue corrispondenti ai singolipunteggi o ai diversi intervalli di classe e la cui altezza varia in funzione delle frequenzedei punteggi.Il poligono di frequenza è costituito da una linea continua che congiunge i punti diintersezione tra i punteggi singoli o relativi agli intervalli di classe e quelli delle

frequenze.La rappresentazione grafica dei dati attraverso istogrammi o poligoni di frequenzapermette di rilevare visivamente quanto la distribuzione dei dati si avvicini o si allontanida quella espressa dalla curva normale o a campana. Una distribuzione di dati puòessere convenientemente descritta nei termini di alcune caratteristiche, quali latendenza centrale e la variabilità.

Misure della tendenza centraleDi fronte ad una distribuzione di dati a volte a noi serve stabilire qual è il punteggiotipico, medio o centrale.A tale scopo una modalità operativa molto semplice consiste nell'identificare il punteggioche ricorre più frequentemente. Questo viene chiamato moda e corrisponde al punto piùalto in un poligono di frequenza.Un'altra modalità per rappresentare un punteggio tipico è costituita dalla mediana, cioèda quel punteggio che separa in due parti eguali una distribuzione, la metà più alta daquella più bassa.Nel caso in cui la distribuzione dei punteggi sia costituita da un numero pari, la medianaè espressa dalla media dei due punteggi centrali. Nel nostro esempio è di 33.5. Quandoinvece il numero dei punteggi da noi raccolti sia dispari, la mediana corrisponde alpunteggio che divide la distribuzione in due parti uguali. Di conseguenza la metà deicasi cade al di sopra di essa e l'altra metà al di sotto.Il modo più frequentemente usato per rappresentare la tendenza centrale di unadistribuzione è però costituito dalla media aritmetica, comunemente chiamata media.

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Questa consiste nella somma di una serie dei punteggi divisa per il numero totale deglistessi.

Misure della variabilità

Quando noi vogliamo descrivere una distribuzione di punteggi, la media non fornisce unaindicazione sufficiente. Infatti due gruppi di soggetti in un test potrebbero ottenere lo stesso punteggioma una più ampia variazione nei punteggi individuali, cioè una maggiore differenza e distanza trail punteggio più basso e quello più alto.

Questa dispersione dei punteggi intorno alla media viene definita variabilità.Una semplice misura di variabilità è costituita dalla gamma (o range) dei punteggi di ungruppo e si calcola facendo la differenza tra il punteggio più alto e quello più basso.Tale misura è piuttosto grossolana e poco utile poiché è molto influenzata dai duepunteggi estremi, soprattutto se anomali.

Deviazione standard

La misura di dispersione più utile e più frequentemente usata è la varianza, che èdefinita come la media aritmetica dei quadrati delle differenze tra i punteggi di unadistribuzione e la loro media (scarto quadratico medio) il cui simbolo è V.La misura di variabilità che si incontra più frequentemente, però, è la deviazione:standard, simboleggiata da DS o dalla lettera greca J.Essa è usata comunemente per confrontare la variabilità di gruppi diversi di punteggie per eseguire inferenze a grandi popolazioni a partire da misure effettuate in piccolicampioni.La deviazione standard fornisce informazioni su quanto la media è rappresentativadella popolazione generale. Una piccola deviazione standard, come nella secondacurva, indica che i valori individuali tendono a raggrupparsi intorno alla media e quindici si può basare con maggiore fiducia su quest'ultima come misura tipica. Ladeviazione standard sta a indicare il tipo di distribuzione dei punteggi, e si incrementain proporzione al grado di dispersione degli stessi. Più grande è la deviazione standarde maggiore è la variabilità fra gli individui.Come interpretare i punteggi di un test

La somma delle risposte corrette date da un individuo agli item di un test cognitivo o,più genericamente, il computo delle risposte individuali viene chiamato punteggiogrezzo.Sia i punteggi grezzi sia quelli percentuali non possono essere chiaramenteinterpretati se non trasformati in misure ponderate più chiaramente informative eriferibili a delle norme; cioè devono essere messi in rapporto con la distribuzione deipunteggi ottenuta da un gruppo di soggetti chiamato campione di standardizzazione.

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La standardizzazione

Il concetto di standardizzazione implica due specifici significati:a-  in un primo senso indica l’uniformità delle procedure di somministrazione del test e della

determinazione del punteggio (scoring).b-  un secondo significato si riferisce alla determinazione delle norme statistiche dei test.

Per norma si intende la misura della tendenza centrale della distribuzione dei punteggiottenuti dal campione di standardizzazione (media), ma anche la misura dellavariabilità, ossia di come tali punteggi (e le loro trasformazioni in punteggi ponderatipresentate nei paragrafi successivi) complessivamente si distribuiscono intorno allamedia.

Tipi di campioni normativi

Le norme di un test, in qualsiasi modo vengano espresse, sono limitate a una particolarepopolazione di cui il campione normativo è una rappresentazione. Le norme infatti nonpossono mai essere considerate assolute, permanenti e universalmente valide; al contrario cisi può fidare di più di parametri relativi a popolazioni specifiche, non troppo ampie, dellequali il campione di standardizzazione risulti effettivamente rappresentativo.

Anche quando le norme riguardano una popolazione definita in modo ampio, è moltoutile poter disporre di manuali che riportino allo stesso tempo criteri specifici persottogruppi, soprattutto quando gruppi ben identificati di soggetti tendono adottenere punteggi particolari in un dato test. Tali sottogruppi sono definiti sulla basedel sesso, delle fasce d’età, del livello sociale e culturale, dell’area di residenza o inrapporto ad altri fattori. Le norme differenziate in base all'età sono costituite dalpunteggio medio ottenuto in un test da soggetti aventi una determinata etàcronologica. Quelle basate, invece, sul livello scolastico indicano il punteggio medioconseguito nel test dagli appartenenti ad una certa classe scolastica.

Un'ulteriore possibile modalità di espressione dei valori normativi di un test è rappresentatadalla cosiddetta «età mentale», introdotta da Binet [1905] nella sua ben nota «scala diintelligenza» come criterio di valutazione del rendimento individuale. Si tratta di un tipo dinorma alquanto diffuso nel campo della misurazione del livello intellettivo. Precisamente, ilpunteggio di età mentale di un soggetto corrisponde all'età cronologica del sottogruppo disoggetti (omogeneo per età) del campione di standardizzazione la cui prestazione nel test

equivale a quella dell'esaminato.Nella scala di Binet [1905] e in quelle ad essa ispirate le singole prove sonoraggruppate per livelli di età, per cui in corrispondenza di un dato livello di etàmentale vengono riunite tutte le prove superate con successo dalla maggioranzadegli individui aventi una determinata età cronologicaModalità di rappresentazione delle normeLe norme di un test rappresentano la prestazione ottenuta in esso dal campione distandardizzazione. Per stabilire più precisamente l'esatta posizione del soggetto, ilpunteggio grezzo deve essere trasformato in una misura relativa. I punteggi cosìottenuti, indicando la posizione relativa del soggetto nel campione normativo,

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permettono una valutazione della sua prestazione rispetto a quella degli altrisoggetti; e inoltre costituiscono misure confrontabili, consentendo la comparazionedei punteggi ottenuti dal soggetto in test differenti, anche se questi utilizzano scalecaratterizzate da unità di misura diverse.La più elementare trasformazione dei punteggi grezzi è quella di esprimerli in terminidi percentuali di risposte corrette. Comunque anche trasformando i punteggi grezzi inpunti percentuali rimane il problema del valore da attribuire a quest’ultimi.

Pertanto sia i punteggi grezzi sia quelli percentuali possono essere meglio interpretati solo setrasformati in scale più chiaramente informative in quanto basate sulle medesime unità di misurae riferite a delle norme.

Punti centili e ranghi centiliIl più semplice procedimento per effettuare confronti consiste nel disporre i punteggigrezzi in ordine di grandezza, dal più piccolo al più grande o viceversa.Se però si volesse operare un confronto fra le prestazioni di gruppi di soggettinumericamente diversi, tale procedimento non darebbe informazioni immediatamenteinterpretabili. Il valore di un rango però dipende dal numero dei dati di unadistribuzione. II rango di 30, in una distribuzione di 60 dati, indica una posizione bendiversa dello stesso rispetto a una distribuzione di 90. Per ovviare a tale differenza iranghi devono essere espressi in termini relativi e cioè le graduatorie devono essererapportate ad un identico numero, a un ipotetico gruppo di 100 soggetti.In psicometria questa operazione viene definita centilaggio o assegnazione dei gradi oranghi centili o percentili (RC o RP). I termini «centile» o«percentile» vengono usaticome inter-cambiabili.In altre parole, il rango centile di una misura indica la percentuale di punteggi che sicolloca al di sotto di questa in una distribuzione di dati ordinati secondo unagraduatoria.

Modalità di calcolo del rango centilePer calcolare i ranghi centili si possono usare le seguenti 2 formule:

dove:RC indica il rango centile;N indica il numero totale di punteggi o di soggetti;G indica il posto in graduatoria del soggetto.

dove:

RC indica il rango centile;

X indica il punteggio grezzo di cui si cerca l'equivalente grado centile;L; indica il limite inferiore della classe di punti grezzi;i indica l'intervallo di classe;

Se invece i punteggi su cui si lavora sono molti si tende a raggrupparli in classiattraverso una tavola di frequanza; in questo caso per calcolare i ranghi centili si usala seguente formula:

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dove:RC indica il rango centile;X il punteggio grezzo;Li il limite inferiore;i l’intervallo della classe;Fi le frequenze della classe alla quale appartiene il punteggio;Fc le frequenze comulative al di sotto dell’intervallo;N il numero totale di punteggi o di soggetti.

i.  I punti centiliii.  Il punto centile non si identifica concettualmente con il rango centile. Esso viene definito come

il punteggio in una scala di misure corrispondente ad un certo rango centile. 

Modalità di calcolo dei punti centilePer determinare un punto centile in una distribuzione di dati non raggruppati in classisi utilizza la formula seguente:

Dove:p.p. indica la posizione del punteggio del centile cercato;C il centile;N il numero dei punteggi nella distribuzione.

Nel caso in cui si volesse procedere a calcolare 1'80" punto centile in unadistribuzione di dati raggruppati in intervalli di classe (vedi tab. 6.4) il procedimento

si svolge attraverso i passaggi previsti dalla seguente formula:

Dove:Cn indica il punteggio corrispondente al centile n;X’inf il limite inferiore reale della classe conteente il centile;n il centile cercato;N il num tot dei punteggi o soggetti;Fb la somma delle frequenze di tutte le classi inferiori a quella che contiene il centile;i indica l’ampiezza dell’intervallo di classe che contiene il centile.

L'uso dei ranghi centiliNella pratica dei test i punti o i ranghi centili sono frequentemente utilizzati per attribuiresignificato ai punteggi, anche se il loro uso presenta, accanto a degli indubitabili vantaggi,anche alcuni svantaggi non secondari che verranno analizzati qui di seguito.

VantaggiI ranghi o i punti centili si possono calcolare con relativa facilità e permettono di conoscere lacollocazione di un singolo punteggio in una determinata distribuzione. Inoltre rendono possibile ilconfronto fra punteggi inseriti in distribuzioni diverse di dati, caratterizzate da unità di misuradifferenti.

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Possono essere utilizzati per ogni tipo di test; infatti, diversi test per la valutazionesia delle attitudini sia di caratteristiche di personalità esprimono le relative norme inranghi centili.

Svantaggi

La trasformazione dei punteggi `grezzi in centili comporta anche alcuni limiti. Come ègià stato detto, la distribuzione centilica costituisce una tipica scala ordinale. In basead essa sappiamo se un punteggio è superiore o inferiore ad un altro ma non diquanto, perché tale scala manca di un'unica unità di misura.In altre parole, diversamente dalla trasformazione dei punteggi grezzi in punti z (vedipar. 5.7), la conversione in centili non è di tipo lineare, cioè non conserva lo stessotipo di distribuzione e di rapporti esistenti nei punteggi grezzi. I punti centili non sonoin una relazione proporzionale con i punteggi grezzi.

In sintesi, i centili danno un'idea precisa della posizione relativa del punteggio di un soggettorispetto al campione, ma non dell'entità della differenza fra due punteggi.

I punti ZLa più comune trasformazione di un punteggio grezzo, non altrimenti interpretabile,ottenuto da un singolo individuo è quella che tiene conto dei risultati medi ottenuti inquesto tipo di prova da un gruppo di soggetti con caratteristiche analoghe.punteggi ponderati ottenuti con questo tipo di trasformazione sono chiamati puntistandard o punti z e possono essere considerati come valori di una scala a intervalliuguali, sui quali si può operare matematicamente e statisticamente.La media viene assunta come origine della nuova scala di misura, mentre i singoli datigrezzi vengono espressi in scarti dalla media.Un punto z indica la differenza fra un punteggio grezzo e la media del gruppo divisaper la deviazione standard.In altre parole, un punteggio z indica di quante deviazioni standard il punteggio grezzosi scosta dalla media del gruppo, al di sopra o al di sotto della stessa.La formula per il calcolo di un punto z è la seguente:

Dove:

z inidca il punteggio standard;X è il punteggio grezzo;X’ indica la media della distribuizione;DS inidca la deviazione standard della stessa distribuizione.

Il punto z indica la posizione relativa del soggetto all'interno del suo gruppo di riferimento(punteggi positivi indicano prestazioni superiori alla media, mentre punteggi negativi indicanoprestazioni inferiori ad essa), ma soprattutto offre la possibilità di fare dei confronti fra leprestazioni o i risultati conseguiti da uno stesso soggetto in test differenti. Poiché i punti zpossono assumere valori negativi ed essere accompagnati da decimali, molti costruttori di test li

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hanno sottoposti ad ulteriori trasformazioni lineari che facilitino operazioni di calcolo e diinterpretazione in modo da eliminare segni negativi e valori decimali.

Caratteristiche della curva normale

La curva normale o di Gauss, caratterizzata da una maggiore concentrazione di dati al centro chevanno assottigliandosi verso gli estremi.

Tale curva è molto importante sia perché si ottiene anche quando si rappresentanoeventi legati alla legge del caso, sia perché possiede importanti proprietàmatematiche.Le fondamentali proprietà della curva normale sono le seguenti:

1) la distribuzione normale è simmetrica, con un accumulo di valori al centro e unararefazione degli stessi verso gli estremi;

2) in essa la media, la moda e la mediana si sovrappongono e coincidono nelpunto in cui la curva raggiunge il suo massimo;

3) l'area sottostante la curva di una distribuzione normale è considerata pari a 1.Pur trattandosi di una curva ideale, teorica, infinita, essa ha una grande utilità pratica,perché molte variabili indagate, e non solo in psicologia, hanno un andamento chetende a sovrapporsi a tale curva e quindi molte informazioni possono essere ottenutericorrendo alle proprietà della curva normale.Per avere una conoscenza completa di una distribuzione normale di dati bastaidentificare due valori:

1) il punto dell'ascissa (asse orizzontale) corrispondente alla sommità della curva

(media);2) la distanza a partire dalla media dei punti di flesso della curva, cioè dei punti incui la curva cambia di direzione, situati simmetricamente a destra e a sinistra(deviazione standard).In una curva di distribuzione normale esiste una esatta corrispondenza tra ladeviazione standard e la proporzione dei casi che cadono nelle diverse porzioni in cui èstata divisa l'arca sottostante la curva normale.La distribuzione normale ha media 0 e deviazione standard di 1.

L’area sotto la curvaL’area sottostante la curva costituisce il numero totale dei dati della distribuzione. Studimatematici hanno permesso di compilare delle tavole indicanti i valori della probabilità che unindividuo preso a caso nella popolazione, in relazione ad un suo attributo, cada in una cerataarea della curva.

Ricorrendo a queste tavole risulta facile risolvere una quantità di problemi.Le tavole della distribuzione normale permettono, come abbiamo visto, di calcolare agevolmentela percentuale o la proporzione di dati o di punteggi che si trovano al di sopra o al di sotto di undeterminato valore, o fra due valori in una distribuzione di misure supposta normale.Ovviamente l'uso delle tavole della distribuzione normale presuppone sempre la trasformazionedei punteggi grezzi in punteggi standard.

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I percentili della distribuzione normale

In una distribuzione normale esiste una precisa corrispondenza tra valori z epercentili. Avendo definito il percentile come quel punteggio al di sotto del quale sicolloca una certa % di dati, 1'84° centile corrisponde al punto z = + 1 e indica checirca l'84% dell'area sottostante una curva normale cade alla sinistra di questo z.Poiché z50 coincide con la media (o mediana) di una distribuzione normale, i punti zcon valori inferiori a 50 presentano un segno algebrico negativo (infatti cadono allasinistra dello z= 0), quelli con valore superiore a 50 porteranno segno positivo.

Punti standard normalizzati

I punti standard ricavati attraverso una trasformazione di tipo lineare permettono ilconfronto fra i punteggi ottenuti da uno stesso soggetto in test differenti solo se ledistribuzioni di questi hanno una forma abbastanza uguale. Per cui un punto z di + 1significa che il soggetto occupa la stessa posizione in entrambe le distribuzioni e cheha superato la stessa percentuale di soggetti in entrambi i test. Però nel caso in cuiuna distribuzione dei punteggi sia,  decisamente asimmetrica e l'altra quasi normalepotrebbe verificarsi che un punto z di + 1 superi il 60% dei casi in una distribuzione el'80% nella seconda.Per permettere la comparazione di punteggi ricavati da distribuzioni non omogenee siconvertono i punti standard in punti standard normalizzati.

Questi sono espressi in una nuova scala che si approssima alla curva di distribuzione normale enella stessa forma dei punti z trasformati linearmente con media pari a 0 e deviazione standard+ o -1.

Come normalizzare i punteggi

La normalizzazione delle misure consiste in una trasformazione forzata della distribuzione peravvicinarla a una di forma normale. Questa trasformazione viene definita non lineare o di area, ein essa i punteggi cambiano di significato.

Il procedimento di normalizzazione si svolge attraverso i seguenti passaggi :

1) si dispongono i punteggi grezzi in ordine di grandezza crescente;2) si riporta la frequenza di tali punteggi;3) si calcolano le frequenze cumulative;4) si calcolano i ranghi percentili di ogni punteggio grezzo col metodo della

interpolazione lineare;5) si trovano i punti z al di sotto dei quali, nella curva di distribuzione normale,

cade una percentuale di valori pari ad ogni rango percentile .In definitiva, ai punteggi grezzi originari sono stati sostituiti i corrispondenti punti zdella distribuzione normale aventi gli stessi ranghi percentili.

Per calcolare il rango percentile di un punteggio grezzo con il metodo dell'interpolazione lineare siusa la seguente formula:

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Dove:Rp(Xi) indica il rango percentile di un punteggio Xi;Fco indica la frequenza cumulativa immediatamente inferiore al punteggio Xi;Fi indica la frequenza corrispondente al punteggio Xi;N indica il numero totale di soggetti.

I punti TSe noi moltiplichiamo un punto standard normalizzato per 10 e il prodotto loaggiungiamo a 50 otteniamo un punto T. Il punteggio di 50 infatti corrisponde allamedia e quello di 10 alla deviazione standard della cosiddetta «scala T» ideata daMcCall già nel 1922 e così chiamata in onore del suo professore E.L. Thorndike.Questo tipo di scala normalizzata offre il vantaggio di eliminare segni algebrici negativie l'uso dei decimali. Per questo è una delle più utilizzate in campo testistico.Un'altra scala molto nota ed usata nella pratica dei test è la stanine. Il nome derivadalla contrazione di «standard nine», in quanto la scala è costituita da un sistema dinumeri a una sola cifra la cui estensione va da 1 a 9. Essa è caratterizzata da unamedia di 5 e da una deviazione standard di 2 per facilitarne l'impiego. Un vantaggionon indifferente offerto dai punti stanini, oltre alla facilità di calcolo, è quello di per-mettere una immediata differenziazione dei soggetti grazie alla ridotta gamma deivalori utilizzati. Per questa ragione la scala stanine ha avuto frequenti applicazioni inmolti test, soprattutto in quelli di profitto e di attitudine.I punteggi grezzi ottenuti in un test possono essere trasformati rapidamente in puntistanini ordinandoli secondo la loro dimensione e assegnando loro i punti staninisecondo le percentuali della curva normale.Tali procedure di normalizzazione

dovrebbero essere utilizzate nel caso in cui il gruppo di soggetti sul quale si opera siasufficientemente ampio da poter essere considerato anche rappresentativo, e quandola anormalità della distribuzione dei punteggi è dovuta presumibilmente a fattori legatial test e non alle caratteristiche del campione esaminato.

QI di deviazioneI primi «reattivi mentali», in particolare i primi test di intelligenza, utilizzavano norme riferiteall'età per interpretare le prestazioni individuali. Fu ben presto chiaro però che era necessarioconvertire i punteggi riferiti all'età in un indice di sviluppo. Per esempio, i bambini di 6 anni cheavevano un'età mentale corrispondente a 10 anni erano ovviamente superiori alla media, ma diquanto? C'era bisogno di indici che tenessero conto sia dell'età cronologica sia del livello dipunteggio raggiunto (età mentale). Un espediente per ovviare a questa esigenza fu di dividerel'età mentale per l'età cronologica e produrre un quoziente.

Il QI era definito dal rapporto fra età mentale ed età cronologica moltiplicato per 100per eliminare i decimali dalla frazione.

dove:QI indica il quoziente intellettivo;EM indica l'età mentale;EC indica l'età cronologica.

Se l'età mentale corrisponde perfettamente all'età cronologica, il QI è uguale a 100.Questo allora esprime la prestazione normale, mentre uno inferiore a 100 può indicare

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un ritardo di sviluppo e uno superiore un ritmo di sviluppo più celere rispetto allamedia.Nonostante l'indubbio vantaggio costituito dall'uso del QI di rapporto in quanto davaindicazioni sul ritmo di sviluppo dei soggetti, furono ben presto chiari alcuni limititecnici del QI di rapporto. Se, infatti, rispetto ad ogni fascia di età i QI hanno unapropria distribuzione e una propria variabilità (DS) non sono più confrontabili frasoggetti di età diversa. . Il QI non indica più un rapporto fra età mentale ed etàcronologica, ma è stato sostituito quasi generalmente dal cosiddetto QI di deviazione,che è una forma di punto standard in una scala di misure normalizzate caratterizzatada una media di 100 e da una deviazione standard di circa 15. I QI sono confrontabilitra loro se i test che li adottano attribuiscono lo stesso valore alla DS.Inoltre, i test presentano norme stabilite in tempi diversi e calcolate su campioni sceltispesso con procedure differenti. Queste differenze nelle procedure comportanovariazioni nelle norme statistiche e, di conseguenza, nella distribuzione del QI dideviazione che i diversi test forniscono per specifiche popolazioni.

Confronto tra scale diverse

Dal momento che ogni scala presentata è adattata ad una curva di distribuzionenormale, è possibile passare dall’una all’altra in quanto tutte sono versioni diversedella medesima scala.I diversi tipi di scale normalizzate permettono di ottenere valori che prescindono dalparticolare tipo di misura utilizzata in un test o in un lavoro di ricerca sperimentale,

rendendo possibile il confronto fra prestazioni dello stesso individuo in test diversi efra quelle di individui diversi in una stessa prova.Tutte le scale standard normalizzate presentano il vantaggio che la distribuzione didati in esse è conosciuta, in quanto corrisponde a quella della curva normale. Apartire da un particolare punteggio normalizzato, si può subito stimare la percentualedi dati che si trova al di sopra e al di sotto di esso; ciò permette di interpretare e didare un significato al corrispondente punteggio grezzo.I diversi sistemi di conversione presi in considerazione consentono di trasformare ipunteggi grezzi in misure comparabili, anche se espresse in scale diverse.

Come assemblare i punteggi di test diversi

E’ difficile trovare un unico test sufficientemente eterogeneo da permettere unainferenza su comportamenti abbastanza complessi. In tale situazione è consigliabilericorrere alla combinazione di alcuni test, omogenei al loro interno ma in grado dirilevare dimensioni diverse del comportamento-criterio da predire.Un insieme di test, differenziati per contenuti ma concorrenti alla previsione di unsingolo criterio complesso, costituisce una «batteria di test».Un problema che si incontra quando si utilizzano batterie di test concerne il modo diassemblare i punteggi ottenuti dai soggetti nei vari test per arrivare ad esprimerli inun indice unico, sulla base del quale effettuare confronti, formulare una graduatoria eprendere decisioni riguardanti singoli soggetti.

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I procedimenti più comunemente usati al riguardo sono: 1) i punteggi discriminantimultipli; 2) la somma di punteggi z ponderati.

Punteggi discriminanti multipliUna modalità per combinare (assemblare) i punteggi conseguiti in test diversi è quelladi utilizzare i punteggi discriminanti multipli. Questa procedura consiste nello stabilireun punteggio minimo discriminante, critico, per ciascun test inserito nella batteria.

Non vengono presi in considerazione e quindi esclusi quei soggetti il cui punteggio cade al disotto di questo punteggio minimo in uno qualunque dei test. Vengono accettati solo quelli cheraggiungono o superano i punteggi «soglia» o critici in tutti i test della batteria.

L'individuazione di punteggi attitudinali multipli per escludere chi non possiede

requisiti minimi (multiple cut-off scores) viene operata sulla base delle correlazionicon il criterio, nonché delle medie prestazionali e delle deviazioni standard di individuiimpiegati in occupazioni specifiche.

Somma di punteggi z ponderatiI punteggi di diversi test non possono essere sommati tra loro per dare origine ad unsolo indicatore complessivo in quanto tali strumenti misurano secondo una propriascala. Un criterio che potrebbe essere usato consiste nel porre l’insieme dei test usatipari a 1 e quindi si decide quale test è più determinate ai fini della valutazione. Lagrandezza del coefficiente risponde ad una decisione dello psicologo sulla base dellabibliografia esistente. A questo punto si trasformano in punti z, con media zero edeviazione standard 1, i punteggi grezzi conseguiti dai soggetti in ogni test e simoltiplicano per i pesi relativi loro assegnati. Si sommano poi i risultati di tali prodottiottenendo dei punti standard ponderati che si presume possano distribuirsi nor-malmente. Di conseguenza è possibile interpretarli sulla base delle proprietà dellafunzione normale (media zero e deviazione standard + o - 1).CAP 7: L’attendibilitàNel linguaggio statistico l'attendibilità (o affidabilità) fa riferimento al grado diaccuratezza e di precisione di una procedura di misurazione.Più specificamente, un test si definisce attendibile, affidabile o anche quando ipunteggi ottenuti da un gruppo di soggetti sono coerenti, stabili nel tempo e costantidopo molte somministrazioni e in assenza di cambiamenti evidenti quali variazionipsicologiche e fisiche degli individui che si sottopongono al test, o anche dell'ambientein cui questo ha luogo.Il concetto di affidabilità si comprende meglio se lo si inquadra in un continuum in cui i

poli opposti sono una minima coerenza della misurazione e una perfetta replicabilitàdei risultati.Le teorie psicometriche dell'affidabilità sono state sviluppate per stimare gli effettidell'inattendibilità nella accuratezza delle misurazioni psicologiche. Il punto di partenza di quasitutte queste teorie è l'idea che i punteggi nel test riflettano l'influenza di due tipi di fattori:

1) fattori che contribuiscono alla coerenza dei punteggi, essenzialmente lecaratteristiche stabili dei soggetti che si vogliono misurare;2) fattori che contribuiscono all'incoerenza degli stessi, ossia le caratteristicheindividuali o della situazione che comunque influenzano la misurazione ma che nonhanno niente a che fare con le caratteristiche che si desiderano misurare.

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L'attendibilità di un test, quindi, esprime la misura in cui le differenze fra i punteggi diun gruppo di soggetti sottoposti allo stesso test in tempi diversi, o a versioniequivalenti dello stesso, possano essere attribuite a errori casuali nella misurazione oall'effettivo variare nei soggetti delle caratteristiche misurate.

X=V+Edove X corrisponde al punteggio ottenuto nel test (punteggio osservato), V alpunteggio vero, E all'errore di misurazione legato a fattori non controllabili.

L'errore di misurazione quindi rappresenta la discrepanza tra il punteggio osservato e ilcorrispondente punteggio reale:

E=X-V

Per quanto ci si sforzi di ridurre al minimo l'errore di misura, una piccola percentualedi esso è sempre presente in qualsiasi processo di misurazione.

Fonti di errori

Di maggior interesse sono invece gli errori non sistematici o casuali, che possonoriguardare caratteristiche legate alla persona testata, alla situazione in cui avviene lasomministrazione, al contenuto del test, ecc.Gli errori causati da fattori come quelli sopra citati sono definiti casuali perchéimprevedibili. Non possiamo conoscere il grado in cui questi influenzano le reazioniindividuali a determinati item in determinati momenti. Tutto quello che ci è dato disapere è che ogni fattore potrebbe influenzare le persone in maniera diversa e chequindi alcuni punteggi saranno sovrastimati in relazione al punteggio «reale», mentrealtri saranno sottostimati. L'ammontare della sovrastima o della sottostima è l'errore:maggiore è l'errore casuale nel punteggio di un test, minore è la sua attendibilità.Gli errori di misurazione possono nascere da molteplici fonti [Feldt e Brennan 1989].Sottolineiamo qui le più importanti e quelle che servono al nostro scopo: la selezionedegli item, la somministrazione del test, lo scoring del test, gli errori sistematici dimisurazione.

La selezione degli item e la costruzione del test

Una sorgente d'errore è la costruzione dello strumento. La selezione degli item ècruciale per l'accuratezza della misurazione. Anche nel caso di due test che voglionomisurare una stessa caratteristica alcuni item potrebbero sovrapporsi e altri differirenel modo in cui sono formulati o nel contenuto. Pertanto il campionamento degli itempuò rappresentare una fonte di errore di misurazione.Ovviamente, in un test ben costruito l'errore di misurazione dovuto al campionamentodegli item sarà minimo.

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La somministrazione

Alcuni elementi legati alla applicazione di un test possono comunque agire come fattori d’errore.Un'altra potenziale fonte di errore è rappresentata dalle condizioni soggettive di chi si sottoponeal test. Per esempio, lo stato di salute, le condizioni fisiche, l'affaticamento pregresso, l'ansia, illivello di motivazione, l'attenzione e la concentrazione, la presenza di problemi emotivi, ecc.Un'altra potenziale causa di errore potrebbe consistere nella presenza o nell'assenza di unesaminatore, dal suo aspetto fisico, dal suo comportamento (freddo, distaccato, minaccioso) edal suo livello più o meno alto di professionalità nella gestione della situazione.

Lo “scoring”

Se il formato di un test non prevede l'attribuzione del punteggio (scoring) conprocedure automatizzate, si richiede una adeguata capacità nell'assegnazione delpunteggio alle varie risposte. In genere la maggior parte dei test standardizzati pre-senta dei criteri ben definiti per la valutazione delle risposte, che riducono l'influenzadelle soggettività di giudizio.L'avvento dello scoring computerizzato ha virtualmenteeliminato in molti test l'errore di misura dovuto alle differenze fra valutatori.Comunque la soggettività nella fase di scoring può costituire un problema serio nelcaso si faccia ricorso ai test proiettivi. A questo proposito, Nunnally [1978] sottolineache l'esaminatore con test proiettivi dovrebbe poter migliorare e sviluppare la propriaabilità nell'utilizzo dei criteri di scoring con l'addestramento o con l'esperienza.

Errore di misurazione e affidabilitàL'errore di misurazione riduce l'affidabilità o replicabilità dei risultati di un test. Infatti l'affidabilitàè definita come indipendenza dall'errore casuale, cioè in una precisa relazione statistica conl'errore di misurazione. Affidabilità e presenza/assenza dell'errore di misurazione sono due modidifferenti per esprimere lo stesso dato: 1) l'errore di misurazione agisce sotto forma di influenzacasuale. 2) la media degli errori di misurazione è uguale a zero. Dato che si tratta di eventicasuali, gli errori di misurazione possono essere sia positivi sia negativi, tenderanno quindi adeliminarsi vicendevolmente e ad essere uguali a zero se si è in presenza di un campione moltoampio di soggetti. 3) i punteggi reali e gli errori non sono fra loro in correlazione. Infatti se ipunteggi d'errore fossero in relazione con altri punteggi, sarebbero sistematici e non casuali. 4)gli errori di misurazione in test differenti non sono correlati fra loro.

Sulla base di queste assunzioni è stata sviluppata un'ampia teoria.Si sa che ogni test che viene somministrato ad un campione ampio di soggettipresenterà una variabilità nei punteggi osservati: questa variabilità viene espressastatisticamente con il termine varianza (V ).Secondo la teoria classica dell'affidabilità la varianza dei punteggi ottenuti (Vx) puòessere considerata come la somma della varianza dei punteggi veri (Vv) e dellavarianza dovuta agli errori di misura (V e ). Cioè:

V  x  = Vv+ V e Questa formula dimostra che i punteggi del test variano come risultato di due fattori: lavariabilità dei punteggi reali e la variabilità degli errori di misurazione.

La relazione che intercorre tra affidabilità di un test ed errore di misurazione viene

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espressa da un coefficiente di affidabilità che rappresenta un indice della relativainfluenza dei punteggi veri e d'errore sui punteggi totali del test (punteggi osservati).

In termini matematici il coefficiente dì affidabilità (r  xx  ) è il rapporto tra la varianza delpunteggio reale e la varianza totale dei punteggi del test.

La correlazioneIl grado di attendibilità di un test non indica altro che il livello di correlazione esistentetra due distribuzioni di punteggi ottenuti dagli stessi soggetti nello stesso test,somministrato loro in tempi diversi, o in risposta a due versioni equivalenti dellostesso test.Pertanto viene espresso sotto forma di un coefficiente di correlazione, designato dalsimbolo r e calcolato con la seguente formula, detta «prodotto-momento», di Pearson:

dove:

r indica il coefficiente di correlazione calcolato con la formula «prodotto-momento» diPearson; xy indica la sommatoria del prodotto degli scarti di ogni punteggio della variabile xdalla rispettiva media e degli scarti di ogni punteggio nella variabile y dalla propriamedia;indica la radice quadrata del prodotto delle sommatorie dei rispettivi scarti dalla media

al quadrato.

Una formula apparentemente più complessa ma decisamente più facile da applicare inquanto utilizza i punteggi grezzi è la seguente:

dove:

N indica il numero dei soggetti o delle coppie di osservazioni;indica la sommatoria dei valori che la seguono;

Xa indica il punteggio dei diversi soggetti nella variabile A;Xb , indica il punteggio dei diversi soggetti nella variabile B.

Il concetto di correlazione ha una notevole importanza nello studio dei test. Infatti il calcolo delrelativo coefficiente, esprimendo il livello di corrispondenza fra due variabili, permette di rilevarecome alcune caratteristiche psicologiche (tratti, abilità, interessi, ecc.) siano connesse con altricomportamenti.

Da un punto dì vista tecnico il coefficiente di correlazione rileva e registra le variazioniconcomitanti fra una variabile indipendente (X) e una dipendente (Y) ed indica il gradoin cui la variabile X e Y sono fra di loro «correlate».

Il livello di correlazione tra due variabili è mutevole. Il valore del coefficiente infatti può variareda + 1 a-1 passando attraverso lo 0. Quando il suo valore si avvicina a + 1 sta ad indicare unacorrelazione positiva quasi perfetta (un coefficiente di correlazione di + 1 è possibile solo a livelloteorico); se si avvicina a-1 la correlazione è quasi perfetta, ma invertita, cioè negativa. Uncoefficiente vicino allo 0 riflette l'assenza di correlazione tra i dati, come potrebbe avvenire soloper caso.

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Altri coefficienti di correlazioneIl rho di SpearmanTale coefficiente è usato frequentemente quando la dimensione del campione è piccola(in genere minore di trenta coppie di misure o di osservazioni), e specialmentequando le due serie di misure sono di tipo ordinale. Il valore del coefficiente rho siavvicina nella maggior parte dei casi a quello dell'r di Pearson, ed esistono specialitavole predisposte per stabilire se un coefficiente rho è statisticamente significativo.

L’r biseriale

Un coefficiente di correlazione biseriale (denotato dal simbolo r b ) è appropriato quandole due variabili che devono essere correlate (X e Y) sono continue in natura, ma unadelle due è stata arbitrariamente dicotomizzata. Poiché esso è una approssimazionedell'r di Pearson, è necessario rispettare i requisiti per l'uso di quest'ultimo. Va peròaccettato un ulteriore assunto, e cioè che la distribuzione della variabile continua siaunimodale e simmetrica (anche se non necessariamente normale), mentre quella deivalori dicotomizzati deve essere normale. Se entrambi questi presupposti nonvengono rispettati, 1'r biseriale sarà senza significato e nel calcolo si potrebbero otte-nere valori superiori a + 1 o inferiori a - l.

Correlazione punto-biseriale

Un r punto-biseriale è un coefficiente di correlazione che si utilizza quando unavariabile è continua e l'altra è una vera, e non arbitraria, dicotomia. Esempi di variabilirealmente dicotomiche sono le categorizzazioni come maschio-femmina, residente incittà o in campagna, alfabetizzati o non, ecc. Non sempre le categorie dicotomichepossono essere così ben definite come queste. La regola è appropriato se la dicotomiaè «ragionevolmente discontinua». Un vantaggio dell'r punto biseriale rispetto all'rbiseriale è che può essere impiegato senza la condizione che la distribuzione dellavariabile dicotomica sia normale.

Correlazione tetracorica

Denotato dal simbolo rt, l'r tetracorico è usato quando le due variabili da correlaresono state arbitrariamente ridotte ad una dicotomia. Due assunti per il suo impiegosono che le due variabili X e Y siano linearmente connesse e che ciascuna delle lororispettive distribuzioni sia normale. Gli statistici aggiungono, inoltre, che uncoefficiente tetracorico di correlazione dovrebbe essere usato, per garantirnel'accuratezza, solo con grandi campioni (trecento o più soggetti).

Coefficiente phiUn coefficiente phi di correlazione è appropriato quando le variabili costituiscono veredicotomie. Tale coefficiente ha una speciale applicazione nello studio del grado in cui

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l'item di un test discrimina correttamente due gruppi di soggetti rispetto a ciò che iltest si propone di misurare.

Il coefficiente di correlazione come coefficiente di attendibilità

Uno degli utilizzi possibili del coefficiente di correlazione è quello di segnalare lacoerenza dei punteggi ottenuti dai test psicologici. Queste considerazioni introduconocosì un metodo per stabilire l'attendibilità di un test: somministrare lo stesso reattivodue volte al medesimo gruppo di soggetti e calcolare la correlazione tra i due insiemidi punteggi. Tale approccio, chiamato test-retest, è molto usato per valutarel'attendibilità di un test, ma esistono molte altre procedure per calcolarla. Tutti imetodi sono raggruppabili in due categorie distinte:1) metodi che richiedono due somministrazioni di un test;2) metodi che si basano su una sola somministrazione.Anche se le procedure sono diverse, occorre tener presente che un filo comune leunisce tutte: l'attendibilità è sempre un tentativo di stabilire con quanta probabilità irisultati di un test siano replicabili o si avvicinino all'accuratezza desiderata.

Metodi che richiedono 2 applicazioni

La stima della affidabilità di un test ha come obiettivo di determinare quanta partedella variabilità dei punteggi è dovuta a errori di misura e quanta esprime una

varianza vera. Il modello del re-test o del test parallelo è una strategia perraggiungere tale scopo che comporta una duplice somministrazione.

Affidabilità come «stabilità» dei punteggi nel tempo

La procedura più diretta per valutare l'affidabilità di un test consiste nel somministrare lo stessostrumento allo stesso gruppo di soggetti per due volte di seguito con un predeterminato intervallo di tempo.Questo tipo di affidabilità, che rileva soprattutto la dimensione della stabilità dei punteggi nel tempo, vienechiamata attendibilità test-retest. La durata dell’intervallo non è un problema irrilevante, anzi potrebbecostituire una fonte di varianza d'errore dei punteggi. Infatti se il tempo che intercorre fra la prima e laseconda somministrazione dello stesso test è troppo breve, i soggetti potrebbero rispondere nella seconda

occasione ricordando le risposte fornite in precedenza. Ciò farebbe aumentare notevolmente il coefficientedi correlazione fra le due prove, ma in modo artificiale e Spurio.

D'altra parte anche un intervallo di tempo troppo lungo tra le due somministrazionipotrebbe creare delle difficoltà. Dal momento che le persone cambiano nel tempo(acquisiscono nuove conoscenze, abilità, ecc.), le modificazioni intervenute tra laprima e la seconda prova potrebbero influire sulle prestazioni della seconda, riducendoil grado del coefficiente di correlazione. Infatti, con l'aumentare dell'intervallo fra ledue prove, diminuisce il coefficiente di correlazione.

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Affidabilità attraverso «forme parallele» dello stesso test

Questo consiste nella elaborazione di due versioni o forme alternative o parallele dello stessotest, che devono risultare il più possibile equivalenti fra loro in termini di contenuto, modalità dirisposta e caratteristiche statistiche. Il metodo delle forme parallele per la valutazionedell'attendibilità implica i seguenti passaggi:

1) somministrazione di una versione del test (per esempio forma A) a un gruppo diindividui;2) successivamente, somministrazione di una forma parallela dello stesso test (formaB) allo stesso gruppo di soggetti;3) correlazione fra i punteggi ottenuti nella forma A con quelli della forma B.

Il coefficiente di correlazione così ottenuto è usato come indice della attendibilità deltest.

Tale procedura offre diversi vantaggi rispetto al metodo del test-retest, non escluso quello dipoter disporre di due misure ravvicinate nel tempo di uno stesso costrutto psicologico e di unavalutazione in tempi rapidi del grado di affidabilità di un test.

Questo metodo, però, implica un problema di campionamento degli item e quindi unasorgente addizionale di varianza d'errore rispetto al test-retest. Anche se le due formehanno una difficoltà media uguale, alcuni soggetti potrebbero trovare più facile o piùdifficile l'una o l'altra perché si trovano ad affrontare item che si suppone sianoparalleli.Si deve aggiungere che, se le due forme non venissero somministrateconsecutivamente ma ad una certa distanza di tempo fra loro, alla fonte di varianza

d'errore dovuta alla non perfetta omogeneità dei due contenuti si aggiungerebbe unasuppletiva sorgente di varianza legata al tempo. Inoltre, le forme parallele di un testsono molto costose, dato che raddoppiano i costi della sua pubblicazione ecommercializzazione, oltre che aumentare le difficoltà di tipo psicometrico per riuscirea produrre forme realmente parallele.

Metodi basati su una singola somministrazione

Per ragioni pratiche ed economiche la affidabilità di un test può essere calcolata anchecon una singola somministrazione dello stesso. A tale scopo sono state elaboratediverse procedure. Una di queste consiste nel dividere in due parti gli item del test enel correlarne i relativi punteggi (affidabilità split-half o per divisione a metà del test).L'altra procedura consiste nel considerare ogni item del test come un test formato daun singolo item in modo che il test totale possa essere considerato un insieme di testparalleli anche se molto brevi. Ciò permette di calcolare la correlazione fra i punteggidei diversi item e pertanto la coerenza interna del test. In questo modo è possibilecontrollare se tutti gli item di un test tendono a misurare lo stesso costrutto psico-logico.

Affidabilità «split-half» (o per divisione a metà del test)Una stima dell'attendibilità con il metodo split-half si ottiene correlando i punteggiottenuti da un gruppo di soggetti in due metà di un singolo test, somministrato

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un'unica volta. Questa procedura, infatti, viene usata quando si vuole evitare unadoppia somministrazione dello stesso test per ragioni di tempo o di costi o quando unareplicazione potrebbe generare effetti indesiderabili. Poiché il test viene diviso in duemetà comparabili, risulta evidente che una simile attendibilità fornisce una misuradella coerenza interna e riguarda il campionamento degli item.Il calcolo del coefficiente di affidabilità split-half generalmente prevede i tre seguentipassaggi:

1)  divisione del test in due parti equivalenti;2) calcolo del coefficiente r di Pearson fra i punteggi conseguiti dai soggetti nelle dueparti;3) correzione dell'affidabilità con la formula di SpearmanBrown [Spearman 1927].La divisione del test in due parti equivalenti presenta delle difficoltà. La semplicedivisione in una prima e in una seconda parte non è consigliabile; nel caso di test i cuiitem sono ordinati secondo livelli di difficoltà crescenti, la prima parte risulterebbe piùfacile e quindi non equivalente alla seconda. Inoltre, i punteggi nella seconda partepotrebbero essere alterati da effetti dovuti alla stanchezza e alla noia.Una modalità accettabile è quella di dividere il test assegnando casualmente gli itemall'una o all'altra.La più utilizzata, però, è quella di dividere il test in item pari e in item dispari(attendibilità pari-dispari). Successivamente si calcola il coefficiente di Pearson fra ipunteggi ottenuti nelle due metà così predisposte. L'aumento o la riduzione delnumero di item modifica il livello di affidabilità di un test e la formula generale perstimarne il nuovo coefficiente di fedeltà è la seguente:

dove;è il nuovo coefficiente di affidabilità (cioè del test allungato o accorciato);è il coefficiente di affidabilità del test originale calcolato con la formula di

Pearson;n indica di quanto il test è stato allungato o accorciato (cioè il numero delle volte) e siottiene dividendo il numero degli item del test allungato o accorciato per il numerodegli item della versione originale.Poiché con la procedura split-half è come se si ottenesse la fedeltà di metà test,volendo stimare l'affidabilità del test intero sarà necessario attribuire ad n, nellaformula di Spearman-Brown, il valore di 2 in quanto è come se il test venisseraddoppiato.Pertanto la formula da utilizzarsi è la seguente:

dove:è il coefficiente di affidabilità stimato dell'intero test;

indica il coefficiente di correlazione fra i punteggi ottenuti negli item pari enegli item dispari del test.La formula generale di Spearman-Brown può anche essere utilizzata per stabilire ilnumero di item necessari ad ottenere un nuovo, desiderato livello di affidabilità. Infattida essa è possibile derivarne algebricamente un'altra per conoscere n, cioè di quantevolte si deve allungare un test che ha un determinato coefficiente di affidabilità perottenerne uno più elevato:

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dove:n indica il numero delle volte che il test originario deve essere allungato;

è il coefficiente di fedeltà che si desidera ottenere;è il coefficiente di fedeltà del test originario.

Va considerato che quando il livello di affidabilità di un test è abbastanza alto, ènecessario un considerevole aumento della lunghezza del test per ottenere unmodesto aumento nella affidabilità.

Altri metodi per la valutazione della coerenza internaPer coerenza interna (inter-item consistency) si intende il grado di correlazione fratutti gli item di una scala.Essa corrisponde alla misura della affidabilità basata sulla coerenza delle risposte aisingoli item del test e rappresenta un indice della omogeneità degli item del test. Untest può essere considerato omogeneo se gli item che lo compongono misurano unsingolo tratto o fattore, eterogeneo se è composto da item che misurano più di unfattore, pertanto più un test è omogeneo e maggiore sarà la sua coerenza interna.Anche se è preferibile utilizzare test omogenei perché più facilmente e chiaramenteinterpretabili nei loro risultati, questi sono insufficienti per misurare variabilipsicologiche complesse come, per esempio, l'intelligenza o la personalità. Un modoper aggirare questa difficoltà consiste nel somministrare una serie di test omogenei

ognuno dei quali valuta aspetti diversi di una variabile eterogenea e complessa.

La formula di Kuder-Richardson

Essi approntarono numerose formule a tale scopo ma quella più usata nel campo psicometricova sotto il nome di «KR20».

Applicata a test i cui item sono molto omogenei, la KR20 offre valutazioni molto similia quelle ottenibili con lo split-half. Comunque essa è più adatta per valutare lacoerenza interna di test formati da item dicotomici, soprattutto quando questi pre-vedono che le risposte possano essere valutate come giuste o sbagliate. Nel caso ditest con item molto eterogenei, la KR20 dà valutazioni dell'affidabilità inferiori rispettoa quelle ottenibili con lo split-half.La formula KR20 è la seguente:

dove:indica il coefficiente di affidabilità KR20 di Kuder-Richardson;

K indica il numero degli item del test;indica la varianza dei punteggi dell'intero test;indica la sommatoria del prodotto, per ogni item del test, della proporzione dei

soggetti che hanno dato risposte corrette (p) e di coloro che hanno dato rispostesbagliate (q).

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Uno sviluppo della KR20 è rappresentato dalla KR21, che può essere usata quando cisono buoni motivi per credere che gli item di uno specifico test abbianoapprossimativamente lo stesso grado di difficoltà.

dove:è il coefficiente di affidabilità KR21;

K è il numero degli item;è la media dei p ogni item (proporzione dei soggetti chehanno dato risposta esatta

all'item) è la media dei q ogni item (proporzione dei soggetti che hanno dato risposta errata

all'item) Questa formula può essere semplificata, per facilitare i calcoli, nella seguente:

dove:indica la media dei punteggi totali del test.

Tale formula, rispetto alla precedente KR21, rappresenta una rilevantesemplificazione, richiedendo solamente il calcolo della media e della varianza deipunteggi totali del test.

Il coefficiente «alpha»La sua formula è stata messa a punto da Cronbach nel 1951 e successivamenterielaborata da altri psicometristi. Il coefficiente alpha potrebbe essere consideratocome la media di tutti i possibili coefficienti split-half corretti con la formula di

Sperman-Brown. Mentre, come abbiamo detto, la KR20 è adatta a test con itemdicotomici, il coefficiente alpha al contrario può essere usato in modo appropriato pertest con item che prevedono risposte con più di due alternative.

dove:indica il coefficiente di affidabilità; K indica il numero degli item;

indica la sommatoria della varianza dei punteggi ottenuti in ogni item;indica la varianza dei punteggi totali.

Come tutti i coefficienti di affidabilità, il coefficiente a può assumere valori che vannoda .00 a + 1,00.

Si può quindi ritenere che il coefficiente alpha è un indice del grado in cui un test misura unsingolo fattore. I test eterogenei, cioè che misurano più di un tratto, produrranno invaria-bilmente coefficienti alpha bassi. I test omogenei e monofattoriali tenderanno ad averecoefficienti alpha elevati. Per questa ragione, tale coefficiente è considerato un indice dellacoerenzainterna di un test.

Misure di affidabilità fra correttoriUna fonte di varianza d'errore nella valutazione dei risultati in un test può essererappresentata da chi attribuisce i punteggi.Alcuni test riservano un elevato margine al giudizio dell'esaminatore per quanto

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riguarda l'assegnazione dei punteggi. Molti test proiettivi rientrano in questacategoria, così come i test di creatività. A questo punto colui che attribuisce i pun-teggi, cioè il valutatore (scorer), potrebbe costituire una delle maggiori sorgenti dierrore, che mette a rischio l'affidabilità dello strumento. Per questo risultaassolutamente necessario un rapporto di affidabilità tra scorers. Calcolare l'affidabilitàtra scorers è una procedura abbastanza semplice. Due (ma anche più) correttoriassegnano punteggi ad un campione di protocolli indipendentemente l'uno dall'altro e,successivamente, si correlano tali punteggi, accoppiandoli. Più alto è il coefficiente dicorrelazione ottenuto, minore è la varianza d'errore legata ai criteri di attribuzione deipunteggi ed alla soggettività dei valutatori.Un altro approccio per ottenere una stima dell'affidabilità è costituito dall'uso delcoefficiente Kappa. La statistica K è stata inizialmente utilizzata per valutare laaffidabilità del test quando i valutatori si servivano di strumenti di misura a livello discala nominale. Tale statistica è stata successivamente modificata da Fliess per unuso con più valutatorí ed è stata generalmente riconosciuta valida come misura dellaaffidabilità fra valutatori. La formula è la seguente: dove:

indica il coefficiente di affidabilità;la proporzione di giudizi concordanti tra i giudici;la proporzione di giudizi casualmente concordanti.

Esempio di analisi delle fonti di varianza d’errore in un test

Il coefficiente di affidabilità di un test può essere interpretato come percentuale divarianza dei punteggi dovuta a varie cause.Occorre però tener presente che è il quadrato del coefficiente di correlazione cheesprime la proporzione di varianza dei punteggi di un test. Pertanto la proporzione divarianza vera è data dal quadrato della correlazione tra i punteggi nel test e i punteggireali, cioè scevri da errori casuali.

Questa correlazione, definita «indice di affidabilità», equivale alla radice quadrata del coefficientedi attendibilità del test. Elevando al quadrato tale indice si ottiene il coefficiente di attendibilitàimmediatamente interpretabile come percentuale di varianza vera.

Uso e interpretazione dei coefficienti di attendibilità

Come si è visto, ci sono fondamentalmente tre approcci per stimare l'attendibilità: laprocedura test-retest, l'uso di forme parallele e la coerenza interna o fra item. Imetodi da usare variano in funzione di diversi fattori, soprattutto dipendonodall'obiettivo del controllo dell'affidabilità e dalla natura del test.

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Obiettivo del coefficiente di affidabilità

Se un test è stato costruito per essere somministrato più di una volta a distanza ditempo dovrebbe dimostrarsi stabile nel tempo; in tal caso è appropriata la proceduratest-retest per la verifica della sua attendibilità.Se invece esso è stato progettato per una singola somministrazione, dovrebbe esserevalutato il livello di coerenza interna. Il vantaggio di questa procedura è costituitodalla sua praticità. Poiché è necessaria una singola somministrazione, è possibilevalutare l'attendibilità ogni volta che il test viene applicato.Per i test che si propongono di rilevare una sola dimensione psicologica(monofattoriali, vedi più avanti l'analisi fattoriale), diventa utile e indispensabile il

coefficiente alpha. Al contrario, per i test complessi dal punto di vista fattoriale, comele misurazioni generali dell'intelligenza, non si ricaverebbe molto dalle misurazionirelative alla coerenza interna del test nel suo complesso. Quindi, tale coefficiente nonpuò essere un indice della affidabilità appropriato per tutti i test, ma si applicasolamente a quelle misurazioni che sono state sviluppate per poter rilevare una soladimensione o un singolo fattore. Nel caso di test multifattoriali potrebbe però essereutilizzato per rilevare la coerenza interna degli item raggruppati nei singoli fattori osubtest.I metodi split-half funzionano bene per quegli strumenti che sono costruiti con itemordinati gerarchicamente secondo il loro livello di difficoltà. Grazie al supporto delcomputer, il calcolo del coefficiente alpha diventa molto semplice e può esserericalcolato ogni volta che si usa il test in una nuova situazione o per una popolazioneparticolare. Va tenuto presente, però, che la coerenza interna non esprime

necessariamente l'affidabilità di un test, ma che questa dipende, più che dai punteggistessi, da ciò che si intende fare con essi.

Caratteristiche del test

Oltre all'obiettivo e all'uso del coefficiente di attendibilità è opportuno tenere inconsiderazione alcune caratteristiche specifiche del test quali:Omogeneità o eterogeneità degli item di un test. Se un test possiede item omogeneiin quanto è stato progettato per misurare un unico fattore o tratto o una singolaabilità dovrebbe presentare un alto. coefficiente di coerenza interna. Nel casocontrario è logico aspettarsi un minor livello di coerenza interna rispetto a unaaffidabilità test-retest che rappresenta una procedura più adeguata.Caratteristiche psicologiche dinamiche o statiche. Esiste una relazione fra la stimadella attendibilità di un test e le caratteristiche psicologiche misurate che possonoessere più o meno stabili nel tempo. Alcune caratteristiche sono in continuocambiamento in relazione a variabili situazionali o ad esperienze cognitive e/ofisiologiche (per esempio la reattività emotiva misurata dalla risposta elettrocutanea ol'ansia di stato, ecc.). Se si presume che la caratteristica psicologica possa variare permotivi situazionali in momenti diversi di assessment, allora la stabilità test-retest è discarso aiuto, mentre il miglior risultato circa la affidabilità di uno strumento si puòottenere attraverso una misura della coerenza interna degli item. Al contrario, se'sipuò presumere che una caratteristica sia relativamente stabile nel tempo (come l'in-

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telligenza), l'affidabilità test-retest, e quella attraverso forme parallele, rappresentanoi metodi più adeguati.Gamma ristretta di soggetti. Il coefficiente di attendibilità, come si è già detto, indicacon quanta coerenza un test colloca ogni individuo in relazione agli altri all'interno diun gruppo. Quando ci sono piccoli spostamenti dal test al retest o nellasomministrazione di forme parallele il coefficiente di affidabilità è alto e viceversa.Test di velocità. Un test di potenza, come è stato detto in precedenza, pur prevedendoun tempo di somministrazione sufficiente per rispondere a tutti gli item, presenta talidifficoltà che nessun soggetto possa ottenere il punteggio pieno. Al contrario, un testdi velocità contiene generalmente item con un uniforme e relativamente basso livellodi difficoltà. Generalmente però il tempo concesso è tale da permettere solo a pochi dicompletarlo.La procedura più adatta per valutare l'affidabilità di un test di velocità dovrebbebasarsi sul test-retest, su forme parallele o sullo split-half in cui le due metà del testvengano però somministrate in due momenti diversi. In tal caso è necessaria unacorrezione del coefficiente di fedeltà con la formula di Spearman-Brown.Lunghezza del test. Un altro fattore che ha influenza sulla fedeltà del test èrappresentato dalla sua lunghezza. A parità di altre condizioni, più un test è lungo epiù è affidabile. Quando un test è corto ci sono più possibilità di errori casuali nellerisposte dei soggetti, con il risultato di aumentare o diminuire la stima del punteggiovero.

Test criteriali

I test criteriali si distinguono da quelli normativi poiché forniscono una indicazione del livello diprestazione di un soggetto rispetto ad un obiettivo o criterio, sia in campo educativo che in quelloprofessionale. Gli item sono costruiti in modo tale da rilevare se un certo traguardo è stato raggiuntooppure no.Il contenuto del test è strutturato secondo livelli gerarchici di abilità e le risposte aisingoli item possono essere utilizzate per diagnosticare ambiti in cui il soggetto evidenzia dellecarenze sulle quali eventualmente intervenire.Per quanto riguarda il calcolo della affidabilità disimili test non ci si può avvalere delle procedure tradizionali poiché queste sono basate sullavariabilità dei punteggi dei soggetti.Se i punteggi vengono utilizzati come obiettivi diapprendimento e ogni soggetto continua a esercitarsi fino a raggiungere il livello di abilità pre-stabilito, la variabilità nei punteggi dei soggetti sarà praticamente nulla ed è per questa ragione

che le tecniche tradizionali di valutazione dell'affidabilità sono inadeguate. Un approccio che puòessere utilizzato è quello derivato dalle ricerche di Lindeman e Merenda. La formula è laseguente:

dove:è il coefficiente di affidabilità di un test criteriale;

n è il numero dei soggetti che non raggiungono il criterio in entrambe le somministrazioni;b è il numero di soggetti che raggiungono il criterio in entrambe;f è il numero di soggetti che raggiungono il criterio solo nella prima;

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s i soggetti che lo raggiungono solo nella seconda;v il valore più basso fra quelli raggiunti da f e da s.

Interpretazione del coefficiente di affidabilità

Diversi autori suggeriscono che il coefficiente dovrebbe essere almeno di .90 quandoun test viene utilizzato per prendere decisioni riguardanti gli individui. Non esistonocomunque risposte sicure e facili a una simile domanda. Guilford e Fruchter [1978]ritengono che, quando un test è destinato alla misurazione delle differenzeindividuali di alcune caratteristiche, dovrebbe presentare una affidabilità noninferiore a .90, anche se molti test standardizzati con coefficienti di affidabilitàinferiori, oscillanti intorno a .70, si sono dimostrati applicativamente molto utili. Inalcune ricerche pubblicate sono stati utilizzati test con gradi di affidabilità ancoraminori.

In pratica un livello accettabile di affidabilità dipende dall'ammontare dell'errore di misurazioneche si è disposti a tollerare nell'applicazione di un determinato test.

Affidabilità ed errore di misurazione sono concetti fra loro collegati, per cui se lo psicologo è ingrado di stabilire un livello accettabile di errore di misurazione allora è anche possibile de-terminare il livello minimo di attendibilità richiesta per quella particolare applicazione di un test.

L'errore standard di misura

Una modalità per intendere adeguatamente il coefficiente di affidabilità consiste nel tenerpresente la relazione fra quest'ultimo e l'errore standard di misura.

Per errore standard di misura si intende la deviazione standard di una serie dipunteggi che si otterrebbe sottoponendo più volte un soggetto a uno stesso test(assumendo che non si verifichino effetti di apprendimento, di familiarità, ecc.).L'errore standard di misurazione può essere calcolato, conoscendo l'affidabilità di untest, con la seguente formula:

dove:indica l'errore standard di misura;

DS indica la deviazione standard del test;indica il coefficiente di affidabilità del test.

Vedi pag 74 e 75In pratica l'errore standard di misura, che è espresso in unità di punteggi in un test, è il piùfrequentemente usato per interpretare il punteggio ottenuto da un singolo individuo in un testpiuttosto che per confrontare i punteggi ottenuti in test differenti, che in genere utilizzano unitàdi misura diverse. In questo caso il coefficiente di affidabilità costituisce usualmente la sola basesoddisfacente per comparare test. A parità di altre condizioni, un test con più alto coefficiente diaffidabilità permette di formulare una più sicura e coerente graduatoria degli individui all'internodel gruppo e quindi dovrebbe essere preferito.

L’errore standard della differenza tra i punteggi

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Per errore standard della differenza tra due punteggi si intende una misura statisticache permette di stabilire quanto grandi debbano essere le differenze fra due punteggiperché possano essere considerate statisticamente significative e non puramentecasuali.L'errore standard della differenza fra due punteggi è un procedimento statisticoappropriato per sapere:1) se esistono differenze fra i punteggi ottenuti dallo stesso soggetto in due testdiversi;2) se esistono differenze nei punteggi ottenuti nello stesso test da due soggettidiversi;3) se esistono differenze nei punteggi ottenuti da due diversi soggetti in differentitest.La formula per calcolare l'errore standard delle differenze fra due punteggi è laseguente:

dove:è l'errore standard della differenza fra due punteggi;

è il quadrato dell'errore standard di misura del primo test, corrispondente allavarianza d'errore;

è il quadrato dell'errore standard di misura del secondo test, equivalente allavarianza d'errore.Si assume che i due punteggi si riferiscano o siano stati convertiti in una stessa scala,cioè che i due test abbiano la stessa media e la stessa deviazione standard in uncampione normativo.

Sostituendo i coefficienti di affidabilità all'errore standard di misura dei due diversipunteggi, la formula diventa:

dove:è l'errore standard della differenza fra due punteggi;

DS è la deviazione standard;è il coefficiente di affidabilità del primo test;è il coefficiente di affidabilità del secondo test.

L'errore standard della differenza fra due punteggi è maggiore rispetto all'errorestandard di misura dei singoli punteggi, perché il primo dipende dagli errori dientrambi i punteggi.

La generalizzazione dei punteggi di un test

La teoria della generalizzabilità avanzata da Cronbach rappresenta un approccioalternativo alla valutazione della coerenza dei punteggi di un test. Nella teoria classicadell'attendibilità la domanda centrale era: «Quanto errore casuale c'è nelle misure?».Nella teoria della generalizzabilità il punto cruciale concerne la possibilità digeneralizzare da un insieme di punteggi ad un altro gruppo di plausibili misure. La do-manda centrale della teoria della generalizzabilità è questa: «Quali sono le condizioninelle quali si può generalizzare?»; oppure: «In quali condizioni ci si può aspettare

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risultati simili o differenti da quelli ottenuti?». La teoria della generalizzabilità affrontaquesto problema con la ricerca sistematica delle fonti di coerenza e di incoerenza deipunteggi.La teoria della generalizzabilità è oggetto di svariate ricerche e tende ad essereapplicata in diversi campi di indagine. Il maggior vantaggio di essa rispetto a quellaclassica è forse più concettuale che statistico: essa induce a pensare all'attendibilitàcome ad una caratteristica dell'uso dei punteggi del test piuttosto che ad unacaratteristica dei punteggi in se stessi. Essa riconosce che si possono prendere spessodecisioni più affidabili circa le prestazioni relative degli individui, piuttosto che nellavalutazione del loro livello assoluto in un certo attributo.Un altro vantaggio di essa è che permette di fornire risposte ad una varietà didomande pratiche a cui la teoria classica non era in grado di rispondere. La teoriadella generalizzabilità potrebbe essere utilizzata per stabilire quale combinazione dipersone e di domande potrebbe fornire le valutazioni più attendibili.Secondo Cronbach et al. [1972] la teoria classica dell'affidabilità (che, come abbiamogià detto, divide i punteggi del test nel punteggio vero e in quello dovuto ad errorecasuale) è semplicemente un caso particolare della teoria della generalizzabilità. Ladifferenza fra le due è che l'approccio della generalizzabilità riconosce che l'errore nonè sempre casuale e che è spesso utile per identificare fonti specifiche, sistematiche diincoerenza nella misurazione. La teoria della generalizzabilità identifica sia le fontisistematiche sia quelle casuali di incoerenza che possono contribuire a generare errori.La teoria classica è probabilmente più utile in situazioni in cui test ben costruiti sonosomministrati in modo altamente standardizzato.I metodi più complessi collegati con la teoria della generalizzabilità sono più utili

quando le condizioni in cui si effettua la valutazione è probabile che influenzino ipunteggi del test o quando tali punteggi vengono usati per scopi diversi. Se i punteggidifferiscono sistematicamente secondo quando, dove o come il test vienesomministrato, queste differenze influenzano la generalizzabilità dei punteggi. Questenon sono tuttavia fonti casuali di errore e le teorie psicometriche che le trattano cometali portano a conclusioni errate.

CAP 8: La validitàPer validità di un test si intende il grado di precisione con cui un test misura ciò che sipropone di misurare. Coloro che sviluppano i test hanno la responsabilità didimostrare che i nuovi strumenti rispondono agli scopi per cui sono stati costruiti.La validazione di un test è un processo che comincia con la sua costruzione econtinua quasi ininterrottamente. È responsabilità di chi lo costruisce riportare nelmanuale dati che dimostrino l'evidenza della validità basata sui punteggi ottenuti inuna serie di situazioni diverse. In più, può essere utile che chi usa il test realizziproprie verifiche (validazioni locali).Due dei principali problemi della misurazione psicologica effettuata attraverso i testconsistono nel determinare se un test valuta effettivamente ciò che si suppone chevaluti, e se può essere usato per prendere decisioni appropriate.Diverse forme di validità:1) la validità di contenuto;2) la validità di costrutto;3) la validità in rapporto a un criterio.

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Questi tre aspetti non sono tra loro reciprocamente esclusivi, anzi tutti concorrono neldeterminare l'evidenza della validità dello strumento, a dare una immagine unificatadella sua validità, anche se chi usa il test può essere interessato a controllarne unosolo in funzione di uno specifico obiettivo.Le strategie di valutazione del contenuto e del costrutto servono a determinare se untest fornisce una valutazione precisa di uno specifico attributo o tratto, e definisconola validità in termini di misurazione.Invece la validità rispetto ad un criterio definisce tale proprietà in termini di decisioni:un test è valido se può essere usato per prendere delle decisioni accurate.

Validità esteriore o di facciata Questa forma di validità concerne quanto convincenti e rilevanti appaiono le prove cheil soggetto deve affrontare. Spesso i test sono costruiti senza tener presente questo a-spetto importante. I risultati in termini di motivazione e quindi di qualità delle rispostedei soggetti possono cambiare notevolmente, quindi gli item non devono apparireassurdi.La validità di facciata di un ha un ruolo non secondario nell'influenzare il livellomotivazionale di chi risponde a un reattivo, modificandone quindi la prestazione.Anche per chi applica il test una buona validità di facciata può essere importanteperché può contribuire ad aumentare la sua fiducia nel test stesso.

Validità di contenutoLa validità di contenuto riguarda quanto le prove o gli item del test riflettono erappresentano il comportamento che il test vorrebbe valutare. 

Si può avere un'idea approssimativa del contenuto analizzando solamente gli item deltest: se il contenuto di questi si riferisce a ciò che si suppone che il test misuri, si puòavere una certa garanzia che il test presenti validità di contenuto.Oltre a questo requisito di rappresentatività, anche la  chiarezza e la non equivocitàconcettuale della formulazione degli item può contribuire alla validità complessiva delcontenuto di un test.Gli item di un test costituiscono un campione tratto da una più ampia popolazione diitem potenziali, che definiscono ciò che il ricercatore desidera realmente valutare. Setale campione (gli item del test) è rappresentativo della popolazione, allora il testpresenta una soddisfacente validità di contenuto.Per campionare correttamente gli item da inserire in un test occorre definire il campodi contenuto.  Quest'ultimo rappresenta la serie totale di comportamenti chepotrebbero essere usati per valutare una specifica caratteristica psicologica ocomportamentale.Sfortunatamente, però, alcuni campi di contenuto hanno un'estensione i cui confinisono difficili da determinare.Non esiste alcuna misura statistica della validità di contenuto. Per valutare questaforma di validità si ricorre al giudizio di giudici indipendenti, di persone esperte ecompetenti nell'area o nel problema studiato. Ciò che di solito viene considerato comevalidità di contenuto è l'opinione ponderata di giudici esperti.

La quantificazione della validità di contenuto

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Lawshe ha proposto una formula semplice per quantificare il grado di consenso di ungruppo di esperti nel determinare la validità di contenuto di un test. Ogni giudice deverispondere alla seguente domanda riferita a ciascun item. L'abilità o la conoscenzavalutata dal seguente item, rispetto alla performance richiesta, è:

a) essenziale; b) utile, ma non essenziale; c) non necessaria.Viene poi conteggiato il numero di esperti che ritengono «essenziale» l'item.

Si può ritenere che ci sia un sufficiente grado di validità di contenuto quando più del 50% deigiudici ritiene l'item «essenziale».

A partire da questo assunto, Lawshe ha sviluppato la seguente formula:

dove:VC= validità di contenuto;

NE= numero dei giudici indicanti «essenziale»N=-numero totale dei giudici.

SE:-Validità di contenuto negativa: 1'item è ritenuto essenziale da meno della metà degliesperti-Validità di contenuto zero: quando solo la metà esatta degli esperti indica comeessenziale 1'item-Validità di contenuto positiva: più della metà degli esperti, ma non tutti, giudicaessenziale l'item

In caso di valutazione positiva il valore del coefficiente di validità varia da .00 a .99.Lo stesso autore ha predisposto una tabella (vedi tab. 8.1) a partire dalla quale si può

risalire, a seconda del numero dei giudici, al grado minimo di concordanzastatisticamente significativo (p =.05). Gli item che non raggiungono questo livello disignificatività statistica, rispetto ai quali un certo grado di accordo è avvenutocasualmente, vengono eliminati dal test.Martuza, Hambleton e Bausell hanno proposto altri metodi statistici per determinarela validità di contenuto di un test sulla base del giudizio di due esperti. Ogni esperto èchiamato a valutare il contenuto dei singoli item con una scala a 4 livelli (1= nonrilevante; 2 = poco rilevante; 3-- abbastanza rilevante; 4 = molto rilevante).Successivamente queste valutazioni vengono dicotomizzate in «debole rilevanza»(valutazione da 1 a 2), o in «forte rilevanza» (valutazione da 3 a 4). Per ciascunavoce, allora, la valutazione dei due giudici può essere riportata in una tavola diconcordanza 2 X 2. Nel caso in cui vengono impiegati più di due giudici, questo stessoprocedimento di calcolo può essere completato con tutte le possibili combinazioni dicoppie di giudici riportandone il coefficiente medio.Validità di costrutto La validità di costrutto, detta anche validità in rapporto ad una funzione, consiste inun giudizio sulla appropriatezza di deduzioni effettuate a partire dai punteggi di untest che misura una determinata variabile chiamata «costrutto».Il costrutto è una costruzione (struttura) scientifica, teorica, una categoria astratta,un'idea usata per descrivere o per spiegare un comportamento e per fare deicollegamenti logici.Esempi di costrutto possono essere l'Intelligenza, la personalità, la nevrosi, l'ansia, lamotivazione, la creatività, ecc. Sono categorie non osservabili direttamente, chiamate

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in causa per descrivere e interpretare i risultati nel test o le prestazioni in un criterio,cioè in misure indipendenti dello stesso oggetto valutato dal test e con questocorrelate.

Per validità di costrutto si intende se il test è strettamente connesso con la struttura teorica econcettuale delle funzioni da esso misurate.

Questo tipo di validità viene controllato formulando una serie di ipotesi, basate sullanatura della variabile da valutare, riguardanti il comportamento che ci si aspetta insoggetti con alti o bassi punteggi nel test e sottoponendole a prove di verifica. Da taliipotesi nasce, in via sperimentale, una teoria sulla natura del costrutto che il testdovrebbe poi misurare.I costrutti psicologici hanno due caratteristiche in comune:

a) non esiste un singolo e sufficiente referente esterno al test che permetta di riconoscere comevalida l'esistenza del costrutto;

b) dalla teoria del costrutto si può derivare una serie di supposizioni connesse tra loro.

Esplicazione del costruttoA1 fine di stabilire se un test fornisce una buona misura di uno specifico costrutto, sideve tradurre il costrutto astratto (teorico) in termini di comportamenti concreti(esplicazione del costrutto).Questo processo si compone di tre fasi:1) si identificano i comportamenti concreti che possono avere una relazione con ilcostrutto da misurare (comportamenti-costrutto);2) si individuano altri costrutti che possono essere collegati con questo(costrutti-costrutto);

3) si decide quali comportamenti hanno una relazione con ciascuno di questi costruttisupplementari e, sulla base della connessione tra i diversi costrutti, si determina seciascun comportamento ha una relazione col costrutto che si intende misurare.Il risultato finale di questo processo di esplicazione è una descrizione dettagliata dellerelazioni tra una serie di costrutti e alcuni comportamenti particolari (questo insiemedi relazioni si chiama sistema nomologico).Dato che i costrutti sono sempre astratti e teorici, è impossibile offrire una descrizioneconcreta del termine aggressività; il sistema nomologico rappresenta un modo al-ternativo di descriverli sistematicamente.Più ampio è il numero delle correlazioni previste, più alto il livello correlazionale tra irisultati del test e le misure del comportamento, e più solida e convincente sarà laprova della validità di costrutto.La validità di costrutto è vista come il concetto unificante di ogni evidenza di validità.Sono state utilizzate diverse procedure per ottenere evidenze che un test possiedevalidità di costrutto. I vari metodi permettono di rilevare se:a)il test è omogeneo e misura un singolo costrutto;b) i punteggi nel test aumentano o diminuiscono in funzione dell'età dei soggetti o deltrascorrere del tempo, come teoricamente previsto;c) i punteggi ottenuti in seguito ad alcuni eventi o al semplice passaggio del tempodifferiscono da quelli del pre-test, come previsto in teoria;d) i punteggi nel test correlano con quelli di altri test, come è presumibileteoricamente;e) punteggi ottenuti da gruppi distinti di soggetti variano come predetto dalla teoria.

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L'evidenza della omogeneità del testL'omogeneità di un test, detta anche coerenza interna, esprime il grado in cui un testmisura un singolo concetto.Si può aumentare 1'omogeneità di un test in vari modi. si possono correlare i punteggimedi di ogni subtest con quelli medi totali del test. Il subtest che non correla moltobene con il test intero potrebbe essere eliminato o rifatto, per evitare che questo nonmisuri effettivamente il costrutto definito.In alcuni manuali di test sono riportati i coefficienti di correlazione fra i punteggi deisubtest e del test intero come evidenza di omogeneità (correlazione test-subtest).Un modo per incrementare l'omogeneità di un test formato da item con rispostedicotomiche consiste nell'eliminare gli item che correlano scarsamente con i punteggitotali del test (correlazione item-totale). In questo modo verrebbe ad aumentare laprobabilità che ogni item misuri lo stesso costrutto, contribuendo perciò alla omoge-neità complessiva del test.Poiché a ogni risposta viene assegnato un punteggio numerico, si eliminano quegliitem che non mostrano alti coefficienti di correlazione per ranghi di Spearman con ipunteggi dell'intero test.L'omogeneità di un test è importante perché assicura che tutti gli item tendano amisurare la stessa cosa, ma essa non è sufficiente in quanto non informa su come ilcostrutto del test è collegato ad altri.

Cambiamenti con l’etàIl grado di abilità o di competenza in un particolare costrutto esaminato dal test può

variare nel tempo; cioè la natura del costrutto è tale per cui è lecito aspettarsi checambi con l'età. Generalmente è naturale aspettarsi che i punteggi aumentino conl’età.Ci sono alcuni costrutti che permettono più agevolmente di altri di fare previsioni suicambiamenti che ci si può aspettare nel tempo. Altri possono essere meno stabili e piùinfluenzabili da eventi situazionali.

Cambiamenti pre e post-testAnche i cambiamenti nei punteggi di un test in seguito ad una esperienza particolarepossono essere considerati come una prova evidente della validità di costrutto dellostesso.

L’uso di gruppi distintiQuesta procedura è adottata soprattutto per la validazione di test destinati all'usoclinico o alla selezione. Essa si basa sull'assunto che, se il test è una misura valida diun certo costrutto teorico, i punteggi ottenuti da due gruppi di persone, che sipresume differiscano tra loro rispetto a questo costrutto, dovrebbero essere diversi inmodo statisticamente significativo.

Validità convergenteIl costrutto di un test può convergere con quello di altri test o di altre misure ideateper valutare lo stesso o un simile costrutto.

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La validità convergente viene spesso usata per la sua facilità di applicazione. Un nuovotest viene somministrato ad un gruppo di soggetti assieme ad un reattivo più vecchioche funge da criterio in quanto valuta le stesse o simili caratteristiche.Tali correlazioni, però, dovrebbero essere alte, ma non troppo. Infatti, se fosseromolto alte ma senza ulteriori vantaggi da parte del nuovo test rispetto a quello giàpubblicato e usato, il nuovo test sarebbe una specie di duplicato del precedente e diesso, probabilmente, non vi sarebbe stata alcuna necessità.

Validità discriminanteIl procedimento per la validazione discriminante di un test è analogo a quello per ilcontrollo della validità convergente, solo che in questo caso si dovrebbe ottenere unbasso livello di correlazione tra i punteggi al test e quelli di misura di altre variabilicon le quali teoricamente ci si aspetta che il test non correli.

La matrice multitratto-multimetodoCampbell e Fiske [1959] hanno proposto una metodologia, che permette dicontrollare la validità di costrutto di un test tenendo presente anche l'influenza suipunteggi del tipo di test usato. La procedura, utilizzando più metodi per misurare uncerto numero di costrutti o tratti, dà luogo ad una matrice di correlazioni, detta«multitratto-multimetodo».Poiché ogni tratto è misurato attraverso vari metodi, è possibile stabilire se questioffrono risultati comparabili e quindi se misurano effettivamente lo stesso costrutto.

Questo approccio suggerisce che un buon test per misurare un determinatocostrutto deve avere tre caratteristiche:

a) i punteggi nel test dovrebbero essere coerenti con quelli ottenuti con altrimetodi di misura dello stesso costrutto;b) le misure da esso fornite non dovrebbero correlare con altre che teoricamente ci

si aspetta che non correlino con il costrutto misurato dal test;c) il metodo di misura utilizzato dovrebbe rivelare una ridotta presenza di biases.

Analisi fattorialeSi tratta di tabelle dense di coefficienti di correlazione, organizzati in colonne chevengono comunemente dette «fattori». Le righe invece corrispondono agli item deltest.È un procedimento matematico-statisticoche, partendo dalle risposte date da un gruppo di soggetti ad una serie di item,permette di identificare delle caratteristiche psicologiche (fattori) che non emergono aprima vista e che presumibilmente spiegano o influenzano le risposte di un test.Si tratta essenzialmente di un metodo di sintesi dei dati per mezzo dei quale vengonoanalizzate matematicamente le correlazioni all'interno di un ampio insieme dipunteggi, e che permette di individuare quali item si raggruppano insieme (e quindicompongono un fattore) e quali ne formano altri.Lo scopo è di individuare il fattore o i fattori, cioè i costrutti ipotetici sottostanti, chesi presume siano la causa delle correlazioni osservate fra i punteggi. In questo modoè possibile semplificare la descrizione di un comportamento rilevato dagli item di untest ricorrendo ad un numero ridotto di categorie: da una molteplicità iniziale di itema pochi fattori o tratti comuni.

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La procedura di calcolo richiesta dall'analisi fattoriale è piuttosto complessa, ma èmolto utilizzata grazie alla diffusione dei personal computer che permettono dianalizzare con facilità e rapidità molti dati tramite programmi statistici già predispo-sti. Tali programmi forniscono anche gli autovalori ,  cioè indici statistici che sono ingrado di rappresentare la relativa importanza di ogni fattore, e che vengono utilizzatianche per decidere il numero di fattori da ritenersi come costitutivi di un test.I costruttori di test generalmente ne illustrano i risultati con tabelle in cui compaiono ifattori trovati, il cui insieme viene definito struttura fattoriale del test (le colonne).I coefficienti riportati dagli item relativi ad ogni fattore costituiscono í loro pesifattoriali; indicano anche il grado di saturazione (correlazione) dell'item nel fattore evanno interpretati come il contributo di quell'item a quel particolare fattore. Glianalisti fattoriali usano particolari strategie (dette rotazioni) in modo di ottenere il piùpossibile che gli item saturino molto un fattore e molto poco gli altri. Le rotazioni piùusate sono quella ortogonale, che viene impiegata quando si ritiene che i fattori checostituiscono il test siano fra loro indipendenti, e quella obliqua, se si ipotizza che ifattori, pur indipendenti, siano in qualche modo in relazione fra loro. Ogni fattoreisolato corrisponde ad una delle caratteristiche valutate dal test e gli item cherilevano quella caratteristica saturano solo quel fattore e non altri.Recentemente si sta affermando una modalità più raffinata di analisi fattoriale, detta«confermatoria», che sembra adattarsi meglio allo scopo di validare gli strumentipsicometrici. Essa permette di confermare empiricamente la struttura teorica di untest, ossia il modello teorico elaborato a priori e che ha guidato la costruzione dei test(quanti e quali fattori, e formati da quali item) viene confrontato con la strutturaemergente dai dati reali. Se le due soluzioni (quella teorica e quella empirica) sono

simili, si può sostenere la validità di costrutto del test.Critiche:Per prima cosa non è raro riscontrare per lo stesso test differenti risultati di analisifattoriali effettuate in gruppi di soggetti diversi.Inoltre, una volta che il computer ha identificato un fattore, non è raro imbattersi inpareri non omogenei nel denominarlo, cioè nel definire il costrutto sotteso a undeterminato gruppo di item.Un altro aspetto critico di questa procedura di analisi è l'interpretazione dei risultati:spesso non c’è accordo tra gli utilizzatori dell’analisi fattoriale.Gli stessi dati di partenza possono dare luogo a diverse soluzioni fattoriali e quindifornire soddisfacenti supporti a interpretazioni diverse ma egualmente plausibili.L'analisi fattoriale è utile soprattutto quando si deve confermare una teoriapsicologica formulata a priori, mentre è un metodo fragile se si vuole costruire unateoria a partire dai risultati ottenuti con una simile analisi.In sintesi, l'utilizzatore del test dovrà controllare nel manuale:a) se l'analisi fattoriale conferma un modello psicologico descritto dal costruttore edelaborato prima di costruire il test o se sia in qualche modo la procedura statisticache ha consentito di ricavare il costrutto teorico su cui si basa il test (perplessitàmetodologiche giustificate);b) se nelle tabelle dell'analisi fattoriale presentate gli item hanno coefficienti dicorrelazione elevati (>.35) solo in unfattore;

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c) se ogni fattore è saturato in modo rilevante solamente dagli item che descrivonoquella caratteristica;d) se ad ogni fattore corrisponde una delle caratteristiche che il test vuole misurare.

Validità relativa ad un criterioLa validità relativa a un criterio è quella caratteristica di un test che ci permette dicapire quanto adeguatamente il risultato in esso può essere usato per prevedere laprestazione futura di un soggetto in una particolare attività o in un altro test (crite-rio). In questo contesto la variabile di primario interesse è il risultato della misurachiamata criterio. Questo tipo di validità implica il valutare quanto i punteggi di untest corrispondano ai risultati ottenuti in altre prove e il connettere matematicamentein qualche modo queste due serie di misure. Tale grado di connessione vienecalcolato con il coefficiente di correlazione chiamato r di Pearson e serve adesprimere il livello di validità del test.In alcuni manuali si possono trovare coefficienti come quello a ranghi di Spearman. Ilsignificato è lo stesso, cambia la formula per il calcolo che viene adeguata al tipo discala che è stata usata.Quanto dovrebbe essere alto il coefficiente di validità per decidere che un test èvalido? Non ci sono regole per fissare un livello accettabile. Essenzialmente ilcoefficiente di validità di un test dovrebbe essere abbastanza alto da permettere diidentificare e differenziare chi è sottoposto al test rispetto ad un determinatoattributo.

Cosa si intende per criterio?

In termini generali per criterio si può intendere una norma, uno standard, un insiemedi elementi su cui basare un giudizio o una decisione. Nel linguaggio dei test especificamente nel contesto della validità, per criterio si intende una misura diretta,ma esterna e indipendente della «stessa cosa» che un test si propone di misurare,una misura effettuata con procedure diverse e che costituisce un termine diriferimento per il test.Non ci sono regole fisse per stabilire ciò che può fungere da criterio. La chiave per lascelta di un criterio è determinata dall'obbiettivo che si vuole raggiungere attraversouna decisione.Caratteristiche di un criterioII livello di affidabilità del criterio e quello del test limitano la grandezza delcoefficiente di validità secondo la seguente relazione teorica:

Dove è il coefficiente di validità (cioè la correlazione fra il test e il criterio); indical'affidabilità del test e è l'affidabilità del criterio. In altre parole il coefficiente divalidità può essere uguale o minore della radice quadrata del prodotto fra coefficientedi affidabilità del test e quello del criterio.Un criterio è appropriato se è pertinente rispetto alla funzione che il test vuolemisurare.Idealmente i dati del criterio non dovrebbero essere contaminati. La contaminazione siverifica quando la misura del criterio è basata almeno in parte su misure di predizione.

Validità predittiva:

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La validità predittiva riguarda quella situazione in cui i punteggi di un test vengonorilevati in un certo tempo e correlati con le misure di un criterio disponibilisuccessivamente.Come è evidente, una validazione di tipo predittivo si svolge in due fasi: 1) si applicaun test ad un gruppo di soggetti senza utilizzarne í risultati per prendere delledecisioni; 2) trascorso un certo intervallo di tempo, si raccolgono misure dellaprestazione degli stessi soggetti e si correlano con i punteggi nel test.In questo modo si ottiene un coefficiente di validità predittiva, il cui livello esprime lamaggiore o minore probabilità di predire le prestazioni future dei soggetti.Il vantaggio della validazione predittiva è che essa fornisce una misura semplice ediretta della relazione fra i punteggi del test e la prestazione nel criterio per lapopolazione generale. Per questa ragione si rende necessario che il test venga sommi-nistrato ad un gruppo di soggetti il più possibile ampio e rappresentativo dellapopolazione. Poiché ciò comporta procedure costose e a volte impraticabili, neimanuali di alcuni test sono riportate correlazioni fra punteggi nel test e quelli nelcriterio di gruppi preselezionati di soggetti (per esempio, lavoratori già assunti) e ciòriduce il grado di validità predittiva del test. Questo fatto potrebbe portare a decisioniscorrette, con conseguenze negative sia per i soggetti sia per chi le effettua.

Validità concorrenteUna alternativa pratica alla validazione predittiva consiste semplicemente nell'ottenere sia ipunteggi di un test sia quelli di un criterio in una specifica, preselezionata popolazione, ecalcolare la correlazione fra le due serie di dati.Il coefficiente di validità predittiva è ottenuto in un campione casuale della popolazione rispettoalla quale si dovranno prendere delle decisioni, mentre quello di validità concorrente è ge-

neralmente ottenuto in un gruppo preselezionato di soggetti che può differire sistematicamentedalla popolazione generale.Generalmente tre sono le più comuni e semplici modalità ritenute utili per stimare lavalidità di un test nel predire i punteggi in uno specifico criterio.La prima consiste nel somministrare il test ad individui già selezionati da unapopolazione di candidati e ottenere una misura del criterio contemporaneamente aquella del test. La correlazione fra le due serie di punteggi rappresenta una stima dellavalidità.La seconda prevede la selezione di un gruppo di soggetti attraverso il test e,successivamente, a disfanza di un certo tempo la rilevazione di misure del criterio.Come ultima procedura è possibile usare dati presenti negli archivi degli uffici delpersonale come misure del test e del criterio.La validità di tipo predittivo è generalmente preferibile. Infatti la correlazione tra ípunteggi del test e del criterio in gruppi di soggetti selezionati e predefiniti è teorica-mente diversa da quella ottenuta su una popolazione.Alcuni fattori depongono a favore dell'uso della validazione concorrente. Innanzituttotali studi sono facilmente realizzabili, cioè non sono necessari campioni casuali di

soggetti o il lasciar passare lunghi periodi di tempo per ottenere la misura del criterio.Inoltre alcuni studi hanno dimostrato che í valori dei coefficienti di validità predíttiva econcorrente non differiscono sostanzialmente fra loro.

I disegni di ricerca basati sulle correlazioni fra i punteggi al test e le misure del criterioin un gruppo di soggetti altamente selezionato al fine di stimare la validità di un testda utilizzarsi nel prendere decisioni riguardanti la popolazione generale comportano un

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certo numero di problemi statistici. Il più rilevante di questi è la restrizione dellagamma dei punteggi che avviene quando i soggetti sono selezionati sulla base deipunteggi nel test (per esempio, scegliendo solo quelli che ottengono un altopunteggio). Tale restrizione della gamma può avere un effetto rilevante sullacorrelazione fra i punteggi del test e quelli del criterio, rendendola spuria e nonaffidabile.

Una restrizione della gamma può aversi anche nelle misure del criterio.La restrizione della gamma riduce la correlazione fra i punteggi del test e le misure del criterio.L'uso della validazione di tipo concorrente può presentare anche dei problemi di tipo concettuale.Infatti lo scopo dei test nelle procedure di selezione è specificamente quello di discriminare isoggetti che andranno incontro a probabili fallimenti.

Una validazione di tipo concorrente solitamente è fatta su gruppi di soggetti che ingenere non danno scarse prestazioni.La validità concorrente è utile per quei test che vengono usati per le certificazionipreviste dalla legge e in ogni caso per i test clinici e diagnostici in quanto un test condimostrata validità concorrente fornisce una scorciatoia per ottenere informazioni intempi brevi.

Validità e meta-analisiLa meta analisi è un metodo per combinare i risultati di molteplici ricerche svolti daautori diversi relativamente allo stesso argomento.Tale procedimento applicato ai test permette di stimare la media dei coefficienti divalidità ottenuti da autori diversi sullo stesso test. Tale procedimento applicato ai testpermette di stimare la media dei coefficienti di validità ottenuti da autori diversi sullo

stesso test. Questo non si riduce a un semplice computo della media matematica deidati emergenti dalle diverse ricerche ma necessita di correzioni per l'attenuazione eper la restrizione della gamma dei punteggi e inoltre i risultati di ogni studio devonoessere ponderati in funzione della grandezza del campione di soggetti.Ovviamente per poter combinare i dati provenienti da studi diversi è necessario chequesti presentino una precisa, specifica e omogenea definizione del costrutto misuratodal test, e che utilizzino analoghe misure del criterio.

Relazioni tra validità di costrutto e di criterio Ogni strategia di validazione di un test offre informazioni sulla validità di costruttodello stesso.È possibile dimostrare ciò facendo riferimento al modello elaborato da Binning eBarrett per descrivere e analizzare processi di validazione.L'obiettivo specifico di uno studio di validazione concerne la relazione fra i puntegginel test e nel criterio.In realtà ciò che interessa è la relazione fra í punteggi del tesi (predittore) e ilcostrutto del criterio.Infatti a uno psicologo non interessa prevedere i punteggi nella prestazione lavorativaquanto invece la reale prestazione nel lavoro.Il costrutto del test è importante nella scelta di quale test usare come predittore.Primo, perché si ritiene che il costrutto del test e del criterio siano fra loro collegati.Secondo, il test predittore deve costituire una valida misura del costrutto. Lacombinazione di questi legami suggerisce che il test predittore sia collegato con i dati

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di valutazione della performance che, a loro volta, forniscono la prova del legame tra ipunteggi del test e il costrutto della prestazione lavorativa.

Interpretazione del coefficiente di validitàMa la validità del test non è l'unico fattore da considerare in queste situazioni, anchese essa può rivelarsi uno strumento utilissimo per migliorare l'accuratezza delledecisioni.A volte disporre di un test molto valido può comportare un incremento decisamentemodesto nella qualità delle decisioni, mentre in altre situazioni anche un test con unbasso coefficiente di validità può contribuire a incrementare l'accuratezza delle scelte.L'effetto del test sulla qualità delle decisioni di uno psicologo, infatti, è legato anche adaltri fattori che non necessariamente sono connessi con il coefficiente di validità inrelazione al criterio.

Test e decisioniIl test costituisce solo uno dei fattori che in una situazione di selezione possonoincidere e determinare la qualità delle decisioni e quindi della prestazioneprofessionale di uno psicologo. Altri due fattori vanno attentamente considerati: ilrapporto di selezione e il livello di base.Con livello di base si intende la percentuale di soggetti che si ritiene potenzialmentepossa raggiungere il successo; Il rapporto di selezione rappresenta il rapporto traposti e candidati, esso indica quanto si deve essere selettivi nelle proprie decisioni.Incrociando le conseguenze con le previsioni del successo/insuccesso, si hanno 4risultati possibili:

-Uno dei possibili risultati sono í veri positivi (VP): un candidato cui è stato previsto unrisultato brillante e che lo ha conseguito realmente.-Un altro possibile risultato sono í veri negativi (VN), ossia coloro di cui era stataprevista l'inadeguatezza e che in effetti si sono dimostrati scadenti nelle prestazioni. Iveri positivi e i veri negativi rappresentano le decisioni accurate e corrette e quindi illoro incremento costituisce l'obiettivo degli psicologi.-Altri possibili risultati possono essere costituiti dai falsi positivi (FP): quelle personeche erano state ipotizzate come candidati di successo e che invece hanno dimostratodelle prestazioni negative.-I falsi negativi (FN) sono quelle persone delle quali era stata preventivata una scarsaprestazione e che invece riescono a conseguire successi insperati.Un livello di base alto garantisce un grande numero di veri positivi. Sfortunatamentepuò comportare anche un elevato numero di decisioni sbagliate, cioè di falsi negativi.In genere il test è molto efficace nel migliorare globalmente la qualità delle decisioniquando il livello di base è attorno a .50, offrendo la possibilità di minimizzare gli errorie di fare delle scelte realmente accurate.Un rapporto di selezione alto (per esempio, .80) indica che ci sono poche persone dascartare.Nel caso di un rapporto di selezione molto basso, in cui è necessario individuare eselezionare la «crema» del gruppo dei candidati, avvalersi di una buona strategia diselezione può risultare molto utile. Infatti, se il rapporto si selezione è sufficien-temente basso, anche un test con un modesto coefficiente di validità può contribuiresignificativamente a incrementare l'accuratezza della selezione.

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Un test che abbia una validità teorica di .00 il livello di successo equivale a quello dellivello di base a prescindere dal tasso di selezione. In altre parole un test senzavalidità equivale a fare una scelta casuale.E importante selezionare le persone che avranno successo, ma la qualità complessivadel processo decisionale dipende non solo dal numero di successi, ma anche dallacombinazione di tutte le altre possibili conseguenze della decisione.Quando la decisione è presa in modo casuale i falsi positivi, negativi e i veri positivi enegativi possono essere facilmente desunti dal livello di base e dal tasso di selezioneusando la se

guente formula:P(VP) = LB* RS

Con un livello di base di .60 e un rapporto di selezione di .50, i150% di tutte ledecisioni casuali sarà corretto (VN e VP) e il 50% sarà sbagliato (FN e FP). Questivalori rappresentano la situazione di base con la quale confrontare le decisioni preseusando i test.L'interpretazione del coefficiente di validità di un test risulta più complessa di quantonon si creda. Il significato ditale coefficiente non può, infatti, essere pienamentecompreso se non lo si contestualizza in una situazione precisa nella quale il test vieneutilizzato. Un test anche con un coefficiente di validità di .70 risulterà poco utile se illivello di base o il rapporto di selezione sono molto elevati. Invece uno con uncoefficiente molto basso, anche di .10, potrebbe contribuire considerevolmenteall'accuratezza delle decisioni se il rapporto di selezione è decisamente basso.A volte, anche se raramente, può succedere di trovare nei manuali delle «tavole suidati attesi», cioè la rappresentazione grafica della relazione tra i punteggi del test e

quelli del criterio.Tali tavole permettono di individuare delle classi di soggetti che, in funzione delpunteggio al test, otterranno probabilmente anche una prestazione sufficiente nelcriterio.Queste tavole costituiscono essenzialmente la visualizzazione della relazione tra ipunteggi del test predittore, scritti lungo uno degli assi del diagramma e quelli delcriterio, spesso dicotomizzati in prestazioni sufficienti e insufficienti oppure superiori einferiori oppure accettati e respinti, e comunque riportati sull'altro asse dellarappresentazione.Secondo Lawshe e Balma la costruzione di queste tavole avviene secondo i seguentiprocedimenti:a) si individua nel criterio un punteggio (cut-off) in grado di distinguere due gruppi(prestazione sufficiente/insufficiente; successo/insuccesso, presenza/assenza didisturbi psichiatrici),in genere cercando che ogni gruppo comprenda il 50% deisoggetti;b) per ogni punteggio del predittore (test) si contano quanti soggetti cadono nei duegruppi;c) i punteggi del predittore vengono accorpati in cinque gruppi equivalenti per numerodi soggetti;d) si determina la percentuale e il numero di individui col locati nel gruppo superiore enegli altri;e) si disegna la rappresentazione grafica.

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A volte, oltre a queste tavole, si trovano anche delle rappresentazioni cosiddette«istituzionali» dei diversi livelli di probabilità.I diagrammi istituzionali indicano quello che accadrebbe nel caso che l'organizzazioneassumesse tutti i candidati che oltrepassano un certo punteggio.

Affidabilità e validità di un testRaramente, anzi quasi mai i test sono perfettamente  coerenti e affidabili. Questolimite delle misure psicologiche ha rilevanti implicazioni per la validità del test e quindiper la validità delle predizioni e delle decisioni basate sui punteggi in esso conseguiti.La mancanza di affidabilità pregiudica la validità delle inferenze tratte a partire dairisultati in un test. Se un test è inaffidabile, cioè se fornisce punteggi non coerenti,non può nemmeno essere valido. D'altro canto un test affidabile non per questo è ne-cessariamente valido.La bassa affidabilità di un test riduce la potenziale validità di una misura psicologicacon esso ottenuta. Di contro, se la sua affidabilità venisse incrementata dovrebbeaumentare anche la sua validità.Quanto aumento nella validità di un test ci si potrebbe aspettare se gli errori casuali dimisura venissero ridotti, migliorando così la sua attendibilità?Spearman partì da una simile domanda per sviluppare la teoria del punteggio vero,ossia della attendibilità intesa come indipendenza dall'errore casuale. Egli affermavache gli errori di misura attenuano la correlazione tra due test X e Y e quindi la validitàdelle predizioni. Perciò la correlazione tra misure inaffidabili di X e Y sarebbe più bassarispetto a quella che si otterrebbe se i punteggi fossero perfettamente coerenti.Partendo da queste considerazioni egli sviluppò la correzione per attenuazione come

metodo per stimare l'effettiva relazione tra X e Y data la correlazione tra due misure diesse non perfettamente affidabili. La correzione per attenuazione si calcola così:

Dove:indica il coefficiente di validità corretto per attenuazione;indica il coefficiente di attendibilità del test X;indica il coefficiente di attendibilità del test Yindica il coefficiente di validità del test X

sebbene teoricamente giustificata tale procedura è stata criticata sul piano pratico inquanto quasi sempre sovrastima l'effettiva correlazione tra X e Y.Inoltre, piuttosto di stimare la correlazione che si otterrebbe usando misureperfettamente attendibili, cioè totalmente esenti da errori di misura (cosa che non siverifica mai), è spesso più utile calcolare l'incremento nel grado di correlazione fra idue test se l'affidabilità di uno di essi o di entrambi viene migliorata.Formula che permette di valutare l'effetto dell'incremento dell'affidabilità di uno o ditutti e due i test sulla loro correlazione.

indica il coefficiente di validità corretto in base al nuovo coefficiente di attendibilità deltest X e/o del test Y;indica il coefficiente di validità del test X;

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indica il nuovo coefficiente di attendibilità del test X;indica il nuovo coefficiente di attendibilità del test Y;indica il precedente coefficiente di attendibilità del test X;indica il precedente coefficiente di attendibilità del test Y.

Se entrambi i test fossero resi perfettamente affidabili, i loro nuovi coefficienti diaffidabilità sarebbero uguali a 1 e questa formula diverrebbe matematicamenteidentica alla prima. L'aspetto più utile di questa seconda è che essa permette di stima-re l'effetto sia dell'innalzamento sia dell'abbassamento del coefficiente di affidabilitàsulla correlazione fra due test.

Equità e«bias» di un testIl termine «bias» riferito ai test sta ad indicare la presenza, all'interno del test, di unfattore che impedisce una misurazione accurata ed imparziale.In altre parole il bias in un test esiste se la procedura di testing è non equa per ungruppo di individui che possono essere definiti per qualche specifica caratteristica.Sono state identificate tre categorie di bias del test: il bias dell'item, il bias intrinsecoal test e uno estrinseco.Nella prima situazione il bias esiste all'interno dei singoli item di cui si compone il testLe forme linguistiche di bias del1'item sono le più comuni (per esempio, l'uso delladoppia negazione nella formulazione dell'item). Tale forma di bias è facile daidentificare e da eliminare nella fase di costruzione di urn test, ma spesso non vienecontrollata come si dovrebbe. La procedura più facile e consueta è una item analysische permette di rilevare il grado differenziale di facilità o di difficoltà dell'item perdiversi gruppi di soggetti.

Esiste anche una forma di bias intrinseco al test quando questo mostra differenzestatisticamente significative fra i punteggi medi di due gruppi di soggetti dovuteproprio alle caratteristiche del test e non a differenze tra i gruppi nel tratto o nellafunzione che viene misurata. Ciò può dipendere dal fatto che il test ha differenteaffidabilità per i due diversi gruppi, o da differenze di gruppo nella validità del test(per esempio, lo stesso tratto viene misurato in proporzioni diverse nei due gruppi,oppure il test può misurare un tratto addizionale in un gruppo). Il bias intrinseco altest può anche essere dovuto ad un bias presente nel criterio rispetto al quale ilpotere predittivo del test viene validato.Il contenuto differenziale e la validità predittiva sono le principali fonti del biasintrinseco al test. Perciò un test che è stato costruito in base alle caratteristiche dipersone di successo presenti in un gruppo particolare non può essere altrettanto va-lido se applicato ad un gruppo di soggetti normali.Le più rilevanti fonti di bias sono esterne al test stesso.Un bias è estrinseco al testquando decisioni non eque vengono prese applicando correttamente un test che non è«biassato». Questo può avvenire quando due gruppi differenti di soggetti ottengonopunteggi diversi in un test dovuti proprio alle differenze attualmente presenti nei duegruppi, ma che non rappresentano l'oggetto di valutazione del test. Pertanto l'uso ditale test, anche se esso non è «biassato», può portare ad una selezionesproporzionata di soggetti di un gruppo a spese degli altri.

CAP 9: Il paradosso delle tecniche proiettive

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Tali metodi di indagine della personalità continuano a destare interesse dal punto divista teorico e della ricerca e rientrano tuttora tra le procedure psicodiagnostichepreferite dagli psicologi in campo clinico.La popolarità di queste tecniche contrasta con la constatazione che, dal punto di vistadei tradizionali criteri psicometrici, questi «reattivi» non presentano quelle carat-teristiche qualitative tipiche di un test vero e proprio.È inoltre da sottolineare che alcune di queste sono state modificate nel tempo proprioper ovviare alle carenze psicometriche.

Origini e caratteristiche delle tecniche proiettiveÈ possibile indicare come data di nascita di questi il 1910, anno nel quale Jung introdusse latecnica della libera associazione di parole. Ma le date fondamentali per tali tecniche furono il1921, anno di pubblicazione dello psicodiagnostico di Rorschach, e il 1935, anno nel quale vennepubblicato il Thematic Apperception Test . Nel decennio successivo venne prodotto un grandenumero di reattivi derivati da questi due e vennero elaborate le tecniche espressive, basate cioèsul disegno o sul gioco. Citiamo i più noti: il Test di completamento dei disegni di Wartegg[1939]; le Favole di Duess [1942]; il Test di Frustrazione di Rosenzweig [1945]; il Testdell'albero di Koch [1949]; il Disegno della Figura Umana di Machover.

Il primo sforzo concettuale di definizione e di fondazione teorica delle tecnicheproiettive è rinvenibile in un famoso articolo di Frank [1939], nel quale è stata coniatal'espressione «metodi proiettivi», e che ben esprime lo spirito di ribellione control'approccio normativo nello studio della personalità.Le tecniche proiettive vennero viste come la procedura elettiva per focalizzarsisull'individuo da una prospettiva puramente clinica, esaminando il modo unico in cuiciascuno proietta su di uno stimolo la sua visione della vita, i suoi significati, i suoivissuti ed i suoi sentimenti.Dopo l'entusiasmo degli anni '40 ed il «boom» della loro produzione, nei decennisuccessivi si è assistito al progressivo aumento di un atteggiamento fortementecritico; a partire dagli anni '80, si è registrata una ripresa dell'interesse verso questistrumenti che sono stati in gran parte modificati in modo da offrire maggiori garanzie.Il termine «tecniche proiettive» raggruppa un grande numero di procedure di indaginedella personalità che si servono come stimolo di materiali di natura ambigua (ossia talida prestarsi a differenti decodificazioni), dei quali si richiede ai soggetti di fornireliberamente la loro personale interpretazione.Sono costituite da prove non strutturate, alle quali esiste una gamma pressochéillimitata di risposte; si tratta quindi di procedure di indagine indirette e dissimulate, in

modo tale che il rischio di contraffazione delle risposte risulti notevolmente diminuito.Le risposte ottenute vengono interpretate sulla base di quella che viene definital'ipotesi proiettiva, la quale assume che il modo in cui un soggetto percepisce unostimolo è determinato dalla sua personalità globale. La principale caratteristica cheuno stimolo deve possedere per far affiorare gli aspetti inconsci e profondi dellapersonalità è l'ambiguità. Infatti, secondo i modelli psicoanalitici e gestaltici, si assumeche lo stimolo ambiguo accresca l'influsso delle variabili intrapsichiche nei processipercettivoproiettivi. Dal momento che la percezione è la risultante di fattori strutturali(legati cioè alla natura degli stimoli) e di fattori funzionali (che derivano dai bisogni,dalle strutture cognitive, dagli stati d'animo, dalle esperienze passate, dagli individui)

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la riduzione dell'influsso dello stimolo aumenterebbe quello della personalità delpercettore. Inoltre tale ambiguità, unitamente alla fluidità della consegna, favorirebbela comparsa di un fenomeno regressivo, ossia una situazione in cui si allentano iprocessi secondari (che si riferiscono fondamentalmente al pensiero logico erazionale), mentre vengono messi in azione i processi primari (relativi al pensieroirrazionale, dominato dalle emozioni e strettamente legato al mondo pulsionale delsoggetto). Entrerebbero quindi in gioco le dinamiche emotive e affettive e verrebbeescluso il livello superiore della coscienza.

Una classificazione

Utilizzando un criterio analogo a quello proposto da Lindzey [1959], ossia il tipo dicompito richiesto al soggetto, si possono suddividere i proiettivi nelle seguenticategorie:1) associazioni con macchie d'inchiostro o con parole. Questa categoria include il notopsicodiagnostico di Rorschach [1921], il Test delle macchie di inchiostro di Holtzman[1961], così come i Test di associazione verbale.

2) Costruzione di storie o sequenze. Le tecniche costruttive includono il TAT e i numerosi test cheda questo derivano, come il Children Apperception Test [Bellak 1986] il Picture Projective Test[Sharkey e Ritzler 1985], o ad esso affini quali l'Object Relations Technique [Phillipson 1955], ilTest di Blacky [Blum 1950] e l'Hand Test .

3) Completamento di frasi o storie. Sono rappresentate in larga parte da test di completamentodi frasi, quali il Rotter Incomplete Sentences Blank di Rotter [Rotter e Rafferty 1950]. In questacategoria rientra anche il Rosenzweig Picture Frustration Study [Rosenzweig 1978], nel qualeviene richiesto ai soggetti di completare dei fumetti che ritraggono situazioni frustranti.

4) Ordinamento/selezione di figure o scelte verbali, come il test di Szondi [Szondi1947].5) Espressione tramite il disegno, il gioco o la drammatizzazione. Rientrano in questacategoria le tecniche grafiche, come il Disegno della Figura Umana [Machover 1949],l'House-TreePerson Test [Buck 1948], il Test dell'Albero [Koch 1949], le tecniche digioco e lo psicodramma di Moreno [1946].

Il test di Rorschach

OriginiHermann Rorschach (1884-1922) era uno psichiatra svizzero, figlio di un pittore epittore egli stesso, il cui interesse per la psicanalisi era accompagnato da unaltrettanto vivo interesse per l'arte ed il disegno.Fra gli elementi che hanno probabilmente influenzato Rorschach nell'elaborazione delfamoso reattivo vanno citati gli esperimenti sulle associazioni verbali del suo con-temporaneo C.G. Jung (finalizzati a far emergere materiale inconscio tramite parole-stimolo), nonché la conoscenza di una tecnica, chiamata «clecsografia», che utilizzavamacchie di colore come stimolo per le associazioni mentali.La introdusse nell’ospedale psichiatrico di di Herisau, dove lavorava. Visti gli interes-

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santi risultati ottenuti sì dedicò a trasformare tale tecnica ricreativo-terapeutica in un«test», basando, anche se in modo piuttosto informale, l'interpretazione delle rispostesu di un criterio empirico.

DescrizioneIl Rorschach è composto da 10 cartoncini bianchi sui quali sono stampate dellemacchie di inchiostro bilateralmente simmetriche. Cinque sono in bianco e nero; indue appare anche un colore rosso vivo; le rimanenti tre sono policrome.La somministrazione del test avviene in due fasi. Nella fase dell'associazione liberal'esaminatore presenta la prima tavola e chiede: «Cosa potrebbe essere?».L'atteggiamento dell'esaminatore deve essere non direttivo, lasciando liberol'esaminato di dare quante risposte vuole e facendogli capire che non esistono rispostegiuste o sbagliate. La fase successiva è dedicata all'inchiesta: l'esaminatore chiede alsoggetto di chiarire la specifica zona della macchia cui ciascuna risposta è riferita e dispecificare quali caratteristiche di essa (per esempio la forma, o il colore) hannogiocato un ruolo nella determinazione della risposta.L'esaminatore sarà allora in grado di passare alla fase della siglatura, ossia al-l'attribuzione di simboli valutativi alle risposte ottenute. Nonostante stante siano statielaborati differenti sistemi di interpretazione dei protocolli, le categorie fondamentaliper la codifica restano sostanzialmente le seguenti:a) Localizzazione. Ogni risposta viene classificata in relazione all'area della tavola cheviene interpretata. La distinzione fondamentale è tra interpretazioni globali (G), ossiariferite all'intera macchia, e risposte di dettaglio (D, Dd, Dbi, ecc.), riferite ad una solaparte di questa. A loro volta quest'ultime sono distinte in base alla grandezza dello

stesso, alla frequenza di interpretazione, o al riferimento a zone bianche della tavola.b) Determinanti. Si rileva quale dei seguenti fattori ha determinato la risposta: laforma, valutata anche nella sua qualità, cioè buona (F+) o cattiva (F-), il movimento(M), il colore (C)o il chiaroscuro (Cho).c) Contenuto. Viene indicata la classe alla quale la risposta appartiene. Per esempioanimali (A) o parti del loro corpo (Ad), esseri umani (U) o parti del loro corpo (Ud),oggetti inanimati (Ogg), piante (Pt), nuvole, sangue, fuoco, ecc.d) Frequenza. Le risposte vengono valutate, in base alla loro frequenza statistica,come banali (Ban), o, viceversa, come originali (Oríg).Una volta siglate le risposte, viene annotata la frequenza dei vari tipi di sigla, lepercentuali relative alle varie categorie (per esempio F% è la percentuale dellerisposte determinate dal fattore forma sul totale delle risposte) e si calcolano alcunirapporti tra le frequenze (per esempio, il «tipo di risonanza intima», che è il rapportotra le risposte di movimento umano e quelle colore).Le modalità di risposta, i temi ricorrenti, le frequenze e i loro rapporti, i tempi direazione, i fenomeni di shock (particolari reazioni di stupore e disagio), i rifiuti diinterpretare alcune tavole, sono tutti elementi che vengono utilizzati per delineare ilprofilo globale dell'individuo.Sia nella fase di siglatura che in quella di interpretazione è possibile avvalersidell'ausilio di dettagliate tabelle di riferimento. È stata inoltre proposta una in-terpretazione computerizzata dello strumento, mediante il Rorschach InterpretationAssistance Program.

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Analisi critica

Risulta molto difficile giungere a delle valutazioni conclusive sull'attendibilità, lavalidità e l'utilità clinica del Rorschach.In epoche e in contesti differenti esso è stato utilizzato per la formulazione di diagnosipsichiatriche, per ottenere un indice dei processi primari del pensiero, per predire ilsuicidio, per delineare strutture di personalità complesse, per stimare la prognosi diuna psicoterapia, ecc.Molti studi hanno messo in luce come la qualità e la quantità delle risposte date daisoggetti cambino in base alle caratteristiche dell'esaminatore.I risultati hanno rilevato come esaminatori ritenuti molto ansiosi stimolavano laproduzione di un numero più elevato di risposte, più risposte riferite a spazi bianchi,più risposte determinate dal colore; mentre somministratori ritenuti ostili suscitavanopiù risposte chiaroscuro, più risposte a contenuto animale e meno a contenuto umano.Harris e Masling rilevarono che la quantità delle risposte al Rorschach variava in basealla diversità o meno di sesso tra esaminatore ed esaminato.Il problema dell'influenza dell'esaminatore, che d'altronde è comune a tutte lesituazioni in cui si applicano test individuali, risulta di fondamentale importanza anchenella somministrazione del Rorschach, rendendo quindi necessaria una particolareattenzione a circoscrivere l'influenza di tale variabile e a tenerne conto nella fase diinterpretazione.

La contraffazione delle risposteL'indagine tramite queste condotta sia di tipo indiretto e dissimulato e che, per talemotivo, esse risultino poco suscettibili di falsificazione volontaria.Tuttavia, se consideriamo quanto affermato da Schachtel [1996], ossia che le risposteal Rorschach sono pesantemente influenzate da processi cognitivi consci, è possibileipotizzare che i soggetti siano in grado, qualora lo ritengano opportuno, di contraffarlevolontariamente.L'insieme di tali ricerche dimostra come i soggetti abbiano la capacità di selezionare lerisposte in base a personali criteri di scelta e finiscano per esporre quelle menocensurabili socialmente; il Rorschach non può essere ritenuto esente dalla possibilitàdi contraffazione delle risposte e ciò va tenuto in debito conto nelle sue applicazioni.

L'attendibilità Attendibilità dell'esaminatore. Per quanto riguarda questo tipo di attendibilità ènecessario fare una distinzione tra a) concordanza dei correttori nella siglatura(codificazione delle ri¬sposte) effettuata tramite lo stesso sistema di scoring, e b)concordanza tra i correttori nell'interpretazione dei protocolli.Per quanto riguarda la concordanza dei siglatori, gli studi condotti su correttori benaddestrati hanno in genere ottenuto buoni coefficienti di correlazione.È importante tenere presente la possibilità che le caratteristiche di personalitàdell'esaminatore vadano ad inficiare l'attendibilità del test, in special modo quando leprocedure di scoring siano meno oggettive di quella ideata da Exner.

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Stabilità nel tempo: il test-retest. Alcuni autori ritengono che la misuradell'attendibilità attraverso il test-retest non sia indicata per il Rorschach in quanto lerisposte alle -tavole sono il risultato di molti fattori (bisogni, conflitti, interessi)operanti nell'individuo al momento della somministrazione: Questi, variando anchevelocemente nel tempo, possono fortemente influenzare le risposte e quindi la lorointerpretazione. Inoltre sia gli Standards for Educational and Psychological Testing[APA 1992] che Anastasi [1993] sottolineano come l'attendibilità test-retest condottacon la stessa forma del test non sia generalmente il metodo più appropriato per laverifica dell'attendibilità nei test psicologici per il possibile ruolo giocato dallamemoria. Il Rorschach pone questo problema in misura ancora maggiore degli altritest psicologici proprio per l'alto grado di salienza dei percetti delle tavole. Per unacorretta misurazione della coerenza nel tempo sarebbe necessario avere adisposizione una forma parallela del test, che non esiste per il Rorschach.

Coerenza interna. Sia lo split-half sia la correlazione tra gli item sono statitradizionalmente ritenuti un metodo inapplicabile al Rorschach per l'impossibilità diconsiderare equivalenti gli stimoli proposti nelle diverse tavole. Ciascuna tavola puòessere infatti considerata uno stimolo unico e quindi non comparabile con le altre.

La validitàLa validità del Rorschach, indipendentemente dal metodo di interpretazione utilizzato,è sempre stata al centro di accese controversie. I teorici hanno sempre sostenuto chei dati sperimentali, a partire dai fondamentali studi condotti negli anni '50, nonsupportano l'ampio utilizzo che viene fatto di questo test, mentre i clinici replicano che

il test rappresenta una ricca sorgente di preziosi dati.In un recente articolo Frank passa in rassegna la letteratura scientifica circa lerelazioni tra affettività e risposte colore al Rorschach, citando in particolare duearticoli: uno studio che replica i precedenti su umore e preferenze di colori; e un altroche replica quelli sugli effetti della cecità al colore e risposte alle carte cromatiche. Leconclusioni che egli trae dall'analisi di tali studi sono le seguenti: mentre le personeattribuiscono senza ombra di dubbio connotazioni affettive al colore, l'ipotesi chequesto possa riflettere stili di risposta emotivi non viene suffragata dai dati. Pertantole risposte colore non possono essere interpretate come espressione delle vicissitudiniemozionali dei soggetti.Un altro indice per la valutazione dei protocolli, cioè il numero totale delle risposte,siglato con R, è stato duramente criticato fin dagli anni '50. La produttività dellerisposte può infatti variare grandemente da soggetto a soggetto a seconda dell'età,del livello di istruzione, del livello mentale, ecc., per cui risulta ingannevoleconsiderare come norma il numero assoluto di risposte nelle varie categorie.L'utilizzazione di punteggi percentuali in alternativa al numero di risposte percategoria non permette inoltre di risolvere totalmente il problema. Un'altra dellefondamentali critiche alla validità del Rorschach riguarda là sua incapacità didifferenziare efficacemente tra diversi gruppi clinici. Tale limite diventa tanto piùpreoccupante quando esso venga utilizzato a fini diagnosticiPer quanto riguarda 1'Exner Rorschach sono stati rilevati risultati più incoraggianti.Tale sistema avrebbe dimostrato di possedere una maggiore accuratezza di previsione

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Una rassegna di studi sulla deludente validità del Rorschach può essere trovata neltesto di Získin e Faust.Particolarmente ampio è l'insieme dei dati concernenti la povertà predittiva dellostrumento quando esso venga utilizzato in età evolutivaLa dimostrazione della validità ed attendibilità del Rorschach inteso come tecnicapsicometrica viene considerata un traguardo impossibile da sostenitori del Rorschachcome Aronow, Reznikoff e Moreland [1995]. Essi, inoltre, accusano l'approcciopercettuale-nomotetico di studiosi come Exner di snaturare e di impoverire talestrumento, che risulta invece estremamente utile e potente quando venga utilizzatosecondo un approccio di tipo contenutistico-idiografico.

La tecnica delle macchie di inchiostro di HoltzmanBasata sulle stesse premesse teoriche del Rorschach, l'Holtzman Inkblot Technique èstata costruita per ovviare alle carenze psicometriche del primo. L'HIT consiste di dueserie parallele di 45 tavole-stimolo ciascuna, alle quali può essere data una solarisposta, seguita immediatamente da una breve inchiesta condotta con domandestandard. Nell'attribuzione dei punteggi viene fatto riferimento a 22 variabili, scelte traquelle la cui validità è stata meglio accertata dalle ricerche effettuate nella fase dielaborazione del test. Per ogni variabile viene data una siglatura minuziosa, checonsente un elevato grado di accordo tra i correttori. La maggior parte delle variabiliriceve inoltre una valutazione per l'«intensità» su una scala numerica da 2 a 5 punti,l'assegnazione dei quali avviene in base a precise indicazioni e ad esempi contenutinel manuale. Tale strumento può essere applicato sia individualmente siacollettivamente. Ne esiste inoltre una versione ridotta ed è stato elaborato un

programma computerizzato per lo scoring e l'interpretazione dei protocolli.

Analisi criticaLa superiorità psicometrica del test, basata su una scrupolosa procedura distandardizzazione, rende probabilmente questa tecnica il miglior strumento proiettivooggi disponibile.L'HIT ha dimostrato, inoltre, di possedere utilità clinica nella diagnosi dellaschizofrenia, dei disturbi del carattere, della depressione e degli abusi di droghe.continua tuttavia a risentire del problema dell'effetto dell'esaminatoresull'interpretazione dei punteggipuò giocare un ruolo importante anche nella stesura del profilo finale dell'individuo.

Il «test» di appercezione tematicaE’ stato così denominato ponendo l'accento sul ruolo giocato, nell'interpretazione dimateriali ambigui, dalla «appercezione», intesa come frutto delle passate esperienzepercettive, piuttosto che su quello dei semplici processi proiettivi. Era stato inizialmente ideato come strumento clinico (come tecnica per l'elicitazionedi materiale di fantasia in pazienti in analisi), ma venne successivamente usato anchein psicologia sociale e del lavoro, e per l'elaborazione di teorie della personalità.Il materiale del test è costituito da 30 tavole in bianco e nero più, una tavola bianca.La maggior parte delle figure rappresenta in modo realistico una o più persone insituazioni differenti, impegnate in attività ambigue. Alcune tavole possono essereutilizzate con qualsiasi tipo di soggetto, mente altre sono specificamente riservate a

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soggetti maschi adulti (M)', ,altre a femmine adulte (F), o ad adolescenti, maschi (B)o femmine (G). Secondo le indicazioni degli autori a ciascun soggetto dovrebberovenire presentate 20 tavole, in due somministrazioni distinte, altri suggeriscono invecedi somministrare 15 tavole in una sola seduta. La somministrazione, nel metodostandard, è individuale: l'esaminatore chiede al soggetto di costruire una storia chedescriva la tavola, spiegando ciò che i personaggi fanno, cosa pensano o provano, checosa hanno fatto in passato o cosa ha provocato la situazione raffigurata, cosa potràaccadere in futuro,quale sarà la conclusione. Come per il Rorschach, deve essere minuziosamenteregistrato tutto ciò che il soggetto dice, i tempi di latenza prima della risposta, ilcomportamento verbale e non verbale dell'esaminato.Esistono numerosi sistemi di interpretazione dei dati ottenuti al TAT, ma tutti sonobasati, in modo più o meno marcato, sulla teoria della personalità elaborata da HenryMurray. In particolare, il sistema di interpretazione utilizza i concetti cardine di taleteoria: quello di bisogno e quello di pressione. I bisogni organizzano la percezione, ilpensiero e l'azione ed orientano il comportamento in direzione della propriasoddisfazione e possono venire distinti in primari (fame, sete, desiderio sessuale, ecc.)e secondari (bisogni di autonomia, di dominanza, di affiliazione, ecc.); la pressione siriferisce invece all'influenza che può avere sulle persone l'ambiente circostante, nellasua componente oggettiva, reale (Pressione alfa) o soggettiva e percepita (Pressionebeta).L'interpretazione del TAT può essere condotta in base a considerazioni di tipo formale,oppure focalizzandosi sul contenuto. L'analisi formale rileva il modo in cui il soggettocostruisce o presenta le risposte, mentre l'analisi del contenuto coglie ciò che il

soggetto cerca di esprimere.Aspetti formali considerati nell'interpretazione delle tavole sono: la facilità di parola, ilgrado di concretezza o astrattezza (considerate indicative del funzionamento delpensiero), la fluidità del linguaggio (messa in relazione con aspetti dell'intelligenza,con l'estrazione sociale, con il livello di sviluppo), la quantità di parole, utilizzate nelledescrizioni (indici dell'energia o delle risorse interne), la coerenza di pensiero(integrità e controllo del pensiero). Murray ha elaborato una lista di 36 bisogni, siaprimari sia secondari, che sono valutati dall'esaminatore su una scala da i a 5 aseconda dell'intensità e della centralità della loro espressione. I bisogni e le pressioniformano il tema della storia, in cui il protagonista può fallire o avere successo, puòavere reazioni positive o negative, può reagire con più o meno ottimismo e così via.Da tali considerazioni quantitative e qualitative deriverà l'interpretazionedell'esaminatore,. nella quale viene lasciato un ampio margine all'intuizione ed al suolibero ipotizzare.

AttendibilitàPer quanto riguarda la concordanza tra siglatori (inter-scorer reliability), è dasegnalare che sono stati messi a punto metodi («scale di valutazione») checonsentono di ottenere buonilivelli di oggettivitàPer quanto riguarda le tradizionali procedure per il controllo dell'attendibilità, quali iltest-retest, lo split-half e le forme parallele, nessuna di queste risulta applicabile al

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TAT a causa della natura stessa del compito e della suscettibilità delle risposte adiversi fattori.È stato, per esempio, dimostrato che fattori situazionali (quali le caratteristichedell'esaminatore, le esperienze precedenti la somministrazione del test, il modo in cuile istruzioni vengono fornite, il ruolo dei rinforzi, ecc.), così come particolari stati dibisogno interni (la fame, la sete, il sonno), possano giocare un ruolo molto importantenel determinare le risposte al test.Infine il TAT si è dimostrato fortemente suscettibilealla contraffazione.

ValiditàUna considerazione critica importante si riferisce al fatto che il materiale stimolorisulta culturalmente determinato e quindi sorpassato; esso inoltre è stato costruito evalidato in riferimento ad una popolazione maschile, giovanile, di classe media,rendendo discutibile l'adeguatezza di questa serie di stimoli per soggetti diversamentecaratterizzati. Alcuni autori hanno inoltre notato che le figure del TAT determinavanoun forte influsso negativo sulla costruzione delle storie. Le tavole del TAT presentanotoni scuri ed ombreggiati, e molte delle scene ritraggono persone in situazionipiuttosto lugubri. Non è sorprendente, allora, che le risposte proiettive al TAT sianofortemente incanalate verso storie negative e melanconiche. Al fine di superare similiinconvenienti, Sharkey e Ritzler hanno ideato una nuova tecnica, il Picture ProjectiveTest, che utilizza fotografie tratte da un catalogo del museo di arte moderna di NewYork. Tale materiale stimolo favorirebbe la produzione dì storie nelle quali assumonoun ruolo più importante gli aspetti «sani» e adattivi della personalità. Questa tecnicaha dimostrato inoltre di fornire migliori garanzie psicometriche e maggiore utilità

clinica nella diagnosi differenziale rispetto al TAT. La validità del TAT in relazione acriteri diagnostici o comportamentali è stata oggetto di numerose verifiche, conrisultati così disparati da indurre a conclusioni nettamente opposte sul¬la validità deltest. Per quanto riguarda la validità diagnostica differenziale, i controlli risultanopiuttosto inconcludenti. Volendo effettuare una sintesi della letteratura sulla validità diquesto strumento, è utile considerare la sua duplice utilizzazione: nella ricerca e nelleapplicazioni psicosociali da una parte, e nella clinica dall'altra. I dati positivi circa lasua validità si riferiscono prevalentemente al suo uso per elaborazioni teoriche,mentre è stata evidenziata la sua inefficienza nelle applicazioni in campo clinico-diagnostico.

Il “Draw a Person Test”L'uso del disegno e della pittura hanno una lunga tradizione nella psicologia clinica,che da sempre li ha integrati al colloquio per facilitare al soggetto esaminatol'espressione di contenuti emotivamente difficili, per diminuire l'ansia, per rendere piùproduttivo l'approccio con il terapeuta.La letteratura psicologica degli ultimi trent'anni è però concorde nel documentarnel'insuccesso.Il disegno della figura umana venne inizialmente impiegato da Goodenough comestrumento per la valutazione dell'intelligenza, ma fu successivamente trasformato dapsicologi orientati in senso psicodinamico in un proiettivo per la valutazione dellapersonalità. Fu Karen Machover ad elaborare la tecnica nota come Draw a Person Test(DAP), o Test della Figura Umana. Da una rilevazione riportata da Piotrowskj, Sherry e

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Keller [1985], il DAP risulta essere la quinta tecnica più frequentemente utilizzatadagli psicologi clinici negli Stati Uniti, addirittura più del Rorschach e del TAT.Il reattivo viene somministrato fornendo al soggetto un foglio bianco, una matita eduna gomma e chiedendogli di disegnare una figura umana; quando il soggetto haeseguito il compito, gli si fornisce un secondo foglio con la consegna di rappresentareuna persona di sesso opposto a quella raffigurata precedentemente. Durantel'esecuzione del compito vengono annotati i commenti ed il comportamento nonverbale dell'esaminato, nonché l'ordine in cui vengono disegnate le figure e le varieparti del corpo. Alla fine viene in genere effettuata un'inchiesta sul materiale prodottotramite domande quali: «Raccontami una storia su questa persona»; «Parlami diquesto ragazzo/ragazza, uomo/donna»; «Cosa sta facendo questa persona?»; «Comesi sente in questo momento?». Le risposte a queste domande sono utilizzate nellaformulazione di ipotesi e di interpretazioni circa il funzionamento della personalità delsoggetto.Nella fase di interpretazione si considerano caratteristiche di tipo formale quali: laquantità di tempo impiegata per la realizzazione dei disegni, la posizione delle figuresul foglio, le dimensioni e le proporzioni tra le varie parti della figura, la pressioneesercitata dalla matita sul foglio, la simmetria, la qualità delle linee, l'ombreggiatura,la presenza di cancellature, l'espressione del viso, l'abbigliamento, le omissioni di partidel corpo, la quantità e la distribuzione dei dettagli, l'aspetto generale. Tali indicipermettono di formulare ipotesi interpretativo diagnostiche secondo una metodologiadi tipo clinico-intuitivo, sulla base di presupposti teorici di natura psicodinamica.Analisi criticaIl DAP rientra fra le tecniche proiettive che hanno dimostrato di possedere le più

scarse caratteristiche di standardizzazione e di validità.

AttendibilitàL'attendibilità dell'esaminatore i coefficienti di correlazione tra correttori espertivariano da .33 a .80 a seconda dell'ampiezza con cui sono stati definiti i criteri dicodifica e di valutazione adottati. La stabilità al retest è stata criticata sia dal punto divista statistico che da quello psicanalitico.

ValiditàLa validità della diagnosi risulta poco soddisfacente. Anche l'ipotesi che un disegnobuono nel suo complesso sia indicativo di normalità è posta in dubbio dalle difficoltà ditenere sotto controllo l'influsso del diverso livello di abilità artistica dei soggetti. Èstato provato che l'abilità artistica dei soggetti rappresenta una fonte rilevante divarianza sulla qualità dei disegni. Il presupposto fondamentale secondo il quale ildisegno può esprimere direttamente caratteristiche di personalità deve quindi essereridimensionato, visto l'importante ruolo giocato da fattori culturali e situazionali.Sembrerebbe quindi che i costrutti teorici tenuti maggiormente in considerazionenell'interpretazione dei disegni siano piuttosto alcuni stereotipi condivisi nella nostracultura.Alcuni ricercatori, pur applicando un sistema di scoring più oggettivo recentementepubblicato, affermano che la verifica della validità concorrente di tale strumento, chepure risulta essere il migliore tra le tecniche espressive, non supporta la suautilizzazione per la valutazione dell'intelligenza.

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Cap 10: Test e culture diverseIl bias culturaleDalle molteplici indagini transculturali effettuate emerge che le prestazioni nei varitest possono essere condizionate da bias culturali, ossia da errori costanti, sistematici,non casuali conseguenti alla diversità fra la cultura di provenienza del soggetto testatoe la cultura di cui il reattivo stesso è espressione.Dalla letteratura risulta che il bias culturale nei test d'intelligenza si manifesta sia nelconfronto fra soggetti di culture diverse sia fra membri di una minoranza culturaleverso i componenti della cultura dominante.È opportuno ricordare che per minoranza culturale intendiamo un gruppo di soggetticon una determinata subcultura, accettando la definizione di subcultura data da Lévi-Strauss come frammento di una cultura che, dal punto di vista della ricerca in atto,presenta rilevanti discontinuità nei confronti della rimanente parte di detta cultura, perquanto riguarda l'accesso ai più importanti strumenti di amplificazione di quest'ultima.Per strumento di amplificazione si intende una configurazione tecnologica, materiale ointellettuale, che permetta all'individuo il controllo delle risorse, del prestigio e delrispetto all'interno del suo gruppo.Boncori ritiene che il bias culturale di minoranze nei test d'intelligenza possamanifestarsi in quattro contesti distinti:1) con soggetti appartenenti a un gruppo allofono o alloglotta, ossia con persone che,avendo imparato a parlare una lingua o un dialetto diversi dall'italiano, apprendonoquest'ultimo come seconda lingua (ad esempio, immigrati, oppure abitanti del sudTirolo);

2) con gli appartenenti a strati sociali in cui non vi è familiarità con la lingua scritta econ l'attività grafica;3) con persone non «abituate» a eseguire prove come i test d'intelligenza, in cui ènecessario fornire la migliore prestazione nel minor tempo;4) con individui che hanno un atteggiamento negativo verso la figura sociale delprofessionista che somministra i test.

Origine del «bias» culturaleChe ci sia un bias culturale nei test prevedibile, in quanto con il termine culturasolitamente si fa riferimento all'insieme delle conoscenze, delle modalità di co-municazione, delle tradizioni e delle norme etiche, religiose e sociali, sviluppate etramandate negli anni all'interno di una determinata società quindi, il comportamentodi una qualsiasi persona è assai influenzato dall'ambiente culturale in cui è cresciuta. Epoiché il test è una misura oggettiva di un campione di comportamento, le prestazioninei vari reattivi saranno necessariamente condizionate dalla diversità fra la «culturadel soggetto» e la «cultura del test», diversità manifestabile sia a livellomacroculturale (confronto fra soggetti di cultura diversa: somministrare un teststatunitense ad un africano) sia a livello subculturale (paragone fra membri di una mi-noranza culturale rispetto ai componenti della cultura dominante: somministrarlo adun indiano d'America).

Prime proposte di attenuazione del «bias» culturale 

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All'inizio del secolo, negli Stati Uniti, sono stati creati svariati reattivi per valutare leabilità sia di immigrati sia di gruppi culturali isolati.Verso gli anni '50-60, il problema si fece più impellente in seguito alla necessità divalorizzare al meglio le capacità delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo: siavvertì l'esigenza di test per valutare le abilità scolastiche così da rendere piùefficiente la programmazione didattica, ma anche di prove per selezionare il personalepiù idoneo alle varie richieste delle nascenti industrie. Contemporaneamente, negliStati Uniti divenne palese il bisogno di valutare in modo più adeguato e giusto leperformance delle minoranze culturali.Si cercò allora di far fronte al problema costruendo test culture free, test liberi dainfluenze culturali; reattivi costituiti solamente da prove non verbali.Alla base di questo una nuova concezione del comportamento: non viene piùconsiderato il frutto dell'interazione dei fattori genetici con quelli culturali, come inanni più recenti, bensì manifestazione del corredo cromosomico «spennellata nellasuperficie esterna» dall'azione dell'ambiente. Un modo per superare tale «patina» fuquello di togliere nei test le prove verbali, utilizzando quindi solo quelle non verbali, diperformance.Ben presto comunque i ricercatori si resero conto che anche i test culturc free nonerano indipendenti dal bias culturale: sperimentalmente, infatti, fu rilevato che inreattivi d'intelligenza le minoranze avevano prestazioni inferiori a quelle del grupponormativo, non solo nelle prove verbali ma anche in quelle non verbali.In seguito, si cercò di risolvere il problema della valutazione transculturaledell'intelligenza ideando test culture fair (chiamati anche culture-common otransculturali), ossia reattivi culturalmente equi, giusti ed imparziali. Test non più

costituiti da prove supposte libere da influenze, ma da prove comuni alle culture esubculture diverse. Nel costruirli, cioè, si cercarono quegli item che riflettessero le e-sperienze, le conoscenze e le abilità comuni alle differenti culture e subculture, e chemotivassero alla loro esecuzione individui di varie tradizioni. In generale essi eranocostituiti da prove non verbali accompagnate da consegne orali, semplici e facilmentecomprensibili.Esempi:Le Matrici Progressive sono costituite da una serie di figure private di una parte; ilcompito consiste nell'individuare tra sei o otto alternative la parte mancante.Il Goodenough Drazu-a-Man Test, chiamato anche «disegno dell'ometto» , consistenel disegnare, nel miglior modo possibíle, un uomo, una donna e se stessi; in base aconsiderazioni quantitative e qualitative viene attribuito un punteggio numericoall'elaborato.Il test di Cattell è costituito da prove di seriazione (data una serie di immaginiscegliere fra varie alternative quella che-completa la sequenza), di classificazione(índicare l'unica figura che non concorda con le altre), di completamento di matrici(scegliere la parte mancante di una matrice), di condizione (ossia, data una serie difigure complesse scegliere l'unica in cui, disegnando un punto, si verificano lemedesime condizioni di una figura campione). Anche i test culture-fair però, nonhanno superato l'esame del bias culturale. Infatti, è stato sperimentalmente rilevatoche nel Culture Fair intelligence Test i punteggi medi di  individui con cultura diversada quella americana sono significativamente inferiori alle norme americane.

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Vari autori sostengono che la pecca principale dei culture fair consiste nell'utilizzaresolamente prove non verbali; essi, infatti, ritengono che le prove di performancepossano essere più culturalizzate di quelle verbali e comunque più complesse datradurre e da adattare a culture diverse.

Opinioni attuali La comunità scientifica internazionale è unanime nel sostenere che sia moltocomplesso realizzare non solo test culturefree, ma anche culture fair; infatti nessunreattivo, sia d'intelligenza sia di personalità, può essere applicato universalmente erendere giustizia a tutte le tradizioni, poiché qualsiasi test, inevitabilmente, tende adagevolare le persone provenienti dalla cultura in cui esso è stato costruito.Del resto, poiché il comportamento è manifestazione della cultura d'origine, se sieliminassero nel test tutti gli elementi di differenziazione culturale diminuirebbe la suavalidità.

Sviluppi recenti 3 approcci al problema della valutazione dell’intelligenza di soggetti appartenenti aculture diverse:

Test «culture-specific»Secondo un primo approccio, la modalità più adeguata consiste nell'utilizzare testculture specific, ossia reattivi costruiti nell'ambito di una determinata cultura, validatiesclusivamente con criteri locali ed utilizzabili solo per i soggetti con tale background.Un es. è il Black Intelligence Test of Cultural Homogeneity (BITCH): molti autori  lo

hanno criticato perché, diversamente dalle scale Wechsler e Binet, esso è formatoesclusivamente da prove di informazione, di prodotto, mentre un'adeguata misura del-l'intelligenza presuppone anche item riguardanti i processi di elaborazionedell'informazione. Di conseguenza, esso ha una bassa validità, ossia non consenteun'effettiva stima dell'intelligenza, ed in particolare non fornisce le informazioninecessarie per prevedere le prestazioni che i neri statunitensi avranno nell'ambitoscolastico e professionale.

Test di «distanza» e di «deprivazione» culturaleUn secondo approccio alla valutazione dell'intelligenza di persone di cultura osubcultura diverse consiste nell'adottare reattivi sviluppati nell'ambito di undeterminato ambiente per esaminare le abilità di soggetti di diversa tradizioneculturale. Gli obiettivi di tale metodo consistono principalmente nell'individuare ladistanza culturale fra i due gruppi, oppure il grado di deprivazione culturale di unsoggetto rispetto alla cultura di cui il test è espressione, in modo da poter otteneredati indispensabili per programmare adeguati interventi di recupero.

Misure psicofisiologiche dell'intelligenzaUn terzo approccio consiste nel realizzare misure fisiologiche dell'intelligenza.Vari autori, infatti, dopo aver ottenuto correlazioni statisticamente significative tra lemisure tradizionali dell'intelligenza e quelle biologiche, ritengono che queste ultimesiano la soluzione definitiva al problema del bias culturale.

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È lecito adattare un test a tradizioni culturali diverse? Ci si potrebbe chiedere, in modo radicale, se e quanto sia legittimo e correttoadeguare un reattivo, d'intelligenza o di personalità, elaborato nell'ambito di unadeterminata cultura, alle tradizioni, spesso molto diverse, di altri contesti culturali. Perrispondere a questa domanda è necessario comprendere se la diversità di prestazionefra soggetti di differente cultura sia dovuta alla diversità nella natura stessa delcostrutto indagato (i due gruppi hanno un'intelligenza o una personalità costituita dafunzioni di base dissimili), oppure ad una sua diversa specializzazione (i due gruppihanno le medesime funzioni, ma queste si manifestano in modo differente). Ebbene, anoi sembra più sostenibile la seconda ipotesi, ossia che membri di differenti gruppiculturali hanno le stesse funzioni di base, ma a causa dell'influenza dell'ambiente pre-sentano particolari specializzazioni e quindi prestazioni diverse. L'ereditarietà stabilisceuna sorta di limite alle possibili abilità, mentre l'ambiente, con le sue richieste,incoraggia determinate competenze e performance.Pertanto, se è vero che membri di culture o subculture diverse, pur avendo diversespecializzazioni, hanno le medesime funzioni di base dell'intelligenza come deiprocessi emotivo-affettivi, è lecito e possibile cercare di adattare un test, nato in unaspecifica cultura, al contesto culturale di un altro gruppo sociale.

«Cultura del test» e «cultura dei soggetti» Le differenze fra la cultura del test e la cultura o subcultura dei soggetti si mani-festano sia a livello del contenuto del test sia a quello dell'atteggiamento verso il test.

Differenze nel contenuto del test

Per quanto riguarda il primo aspetto, le diversità variano lungo un continuum. Da unlato vi sono divergenze superficiali, passeggere ed eliminabili, pertanto con opportunemodifiche al reattivo i soggetti possono avere prestazioni paragonabili a quelle delgruppo di standardizzazione; dall'altro lato, invece, vi sono divari più profondi, relativialla specializzazione delle funzioni di base.Nel primo caso vi sono divergenze nella familiarità con gli stimoli proposti dal test.In questi casi per «rendere giustizia» ai soggetti con cultura diversa, per adattare iltest alle loro caratteristiche è sufficiente utilizzare la lingua parlata dal gruppo e itemdal contenuto conforme alla loro cultura. Al lato opposto del continuum, invece, visono differenze più profonde relative, ad esempio, alle abilità mnestiche o allecapacità di compiere ragionamenti.Qualora si voglia adattare un test a popolazioni che, rispetto al gruppo distandardizzazione originario, abbiano differenze di tale portata, bisognerà apportarvimodifiche rilevanti, mutare la modalità di presentazione dei vari item, sostituirli conaltri maggiormente sensibili ai processi psichici di tali popolazioni.

Differenze nell'atteggiamento verso il reattivoPer quanto riguarda invece il secondo tipo di diversità fra la cultura o subcultura deisoggetti e la cultura del test, ossia il livello degli atteggiamenti verso il reattivo, ledivergenze possono essere di vario genere:può esserci meno motivazione, i soggettipossono essere meno abituati a quel tipo di prove, poco interessati.Per rimediare in alcuni casi basterà eliminare limiti di tempo oppure fare precedere lasomministrazione vera e propria da un training sia con la «situazione di prova» sia con

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l'esaminatore; in altri casi invece l'adattamento richiederà modifiche più sostanziali eprofonde, quali ad esempio utilizzare stimoli meno simili alle prove scolastiche.

Considerazioni conclusiveAspetti da verificare per capire se è realizzato un buon adattamento:Innanzitutto è conveniente accertarsi che la teoria di riferimento, il costrutto teoricodella versione modificata sia il medesimo di quella originaria.Inoltre è fondamentale che il reattivo adattato sia stato standardizzato su uncampione di soggetti rappresentativo della popolazione cui è destinato, ossia che sisiano ricavate adeguate norme specifiche per il nuovo gruppo culturale. Le proprietàmetriche(attendibilità, validità ed errore standard di misura) ricalcolate sul campionenon devono essere peggiori di quelle del test originale.Infine, il reattivo non dovrebbe contrastare troppo con l'esperienza culturale delcontesto, per rispettare il più possibile la tradizione della popolazione considerata.Ossia, è opportuno controllare che sia stata ridotta la distanza fra la cultura del test equella del gruppo considerato, distanza manifestabile sia a livello del contenuto sia alivello dell'atteggiamento verso il reattivo.

Cap 11: Guida pratica per la scelta di un testL'analisi del manualeIl costruttoLa valutazione della qualità di un test richiede, attraverso l'analisi del contenuto delmanuale tecnico che lo accompagna, una riflessione innanzitutto sul significato e sullarilevanza del costrutto che esso si prefigge di misurare e, successivamente, sul

significato dei  punteggi che rappresentano la misura di quel costrutto. Ciò sta asignificare che il punteggio in se stesso non è il costrutto, ma ne costituisceun'approssimazione o, più precisamente, un'approssimazione del grado in cui quelcostrutto caratterizza la persona cui si riferisce quel punteggio.In altre parole, valutare un test significa porsi due domande:a) Che cosa significa il costrutto?

b) Quanto il punteggio del test riesce davvero a misurarloIl primo passo nella valutazione di un reattivo psicologico, perciò, è quello di aver ilpiù possibile chiaro il costrutto cui si è interessati e il modo in cui esso si manifesta inpersone e in situazioni diverse; dopo di ciò, occorre verificare se la propria definizionee la propria concettualizzazione dello stesso sono assimilabili a quella di chi hasviluppato lo strumento che si intende applicare.Sono da prendere in considerazione due tipi di definizione del costrutto: quelle e-splicitamente fornite nel manuale, e quelle implicite.Le definizioni implicite sono generalmente ricavabili dal tipo di item scelti dall'autoreper misurare il costrutto, dai nomi dati alle subscale e dal tipo di considerazioniportate a sostegno del fatto che i punteggi sono realmente misura del costrutto.Occorre quindi verificare che le definizioni esplicite e implicite siano congruenti fra diloro, con la propria idea del costrutto e con l'uso che si intende fare dei punteggiottenuti.

Le caratteristiche psicometriche

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Il secondo aspetto da prendere in considerazione nella valutazione di un test è quelloche riguarda le sue caratteristiche psicometriche.Ciò significa andare alla ricerca nel manuale di quegli elementi che garantiscono cheesso indubbiamente misuri quel costrutto.Si deve verificare:-L'attendibilità: il grado di «ripetibilità» dei punteggi ottenuti con un test. Essa ènecessaria ma non sufficiente; È necessaria perché dei punteggi incoerenti non hannosignificato, non sono interpretabili, ma è insufficiente perché uno strumento puòmisurare qualcosa in modo costante e stabile, ma portare comunque a risultati senzasenso. Non tutte le diverse procedure di calcolo dell'attendibilità sono equivalenti eintercambiabili. È importante, quindi, considerare i coefficienti di attendibilità riportatidal manuale, con quali tipi di procedure sono stati calcolati e su quali gruppi disoggetti. Più alti sono i coefficienti di attendibilità, maggiori sono la coerenza e lastabilità fra i punteggi ottenuti in situazioni diverse, minore è l'errore standard dimisura, cioè la proporzione di varíanza d'errore sulla varianza totale dei punteggi. Imigliori manuali forniscono stime dell'attendibilità per differenti gruppi o popolazioni.-La validità: validare un test è un processo di ricerca che consiste essenzialmente nelformulare delle ipotesi relative al significato dei punteggi e nel valutarne la plausibilità.

Chi utilizza il test dovrebbe porsi le stesse domande che dovrebbero aver guidatoil.processo di validazione di un test.Esse si riferiscono essenzialmente ai seguenti aspetti:

1)  alla capacità degli item del test di rappresentare adeguatamente il costrutto e disoddisfare tutti gli elementi che lo costituiscono (validità di contentito).

2)  alla possibilità di utilizzare il punteggio ottenuto nel test come elemento predittivo di un

certo comportamento (validità predittiva).3)  alla relazione del punteggio con quelli ottenuti in altri strumenti che misurano lo stessocostrutto (validità concorrente e/o di costrutto).

4)  alla relazione del punteggio in questione con quelli ottenuti con altri strumenti chemisurano costrutti diversi (validità discriminante).

5)  al significato e alla correlazione dei punteggi ottenuti in subscale diverse dello stesso test. Campione normativo Spesso il punteggio individuale in un test non è interpretabile senza il confronto conquelli ottenuti da altre persone nello stesso test. Prima di fare affidamento sulleinferenze che si possono trarre da questo confronto, bisogna comunque individuare lecaratteristiche del gruppo normativo.

Con queste si intende:1)  La metodologia di selezione del campione2)  L'ampiezza del campione3)  L'attualità della selezione del campione e delle norme del test

Gli item Il modo di interpretare un punteggio dipende anche dalla natura degli item del test. Ingenerale ci sono tre criteri minimali per la valutazione dell'adeguatezza di un item:

1) il vocabolario utilizzato e il contenuto dell'item dovrebbero essere privi di biasnei confronti di qualsiasi gruppo;

2) l'item dovrebbe essere ad una sola dimensione, ossia riferirsi a un solo concettoo a un solo comportamento;

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3) la formulazione di ogni item dovrebbe rappresentare il costrutto che vienemisurato.Altri aspetti da considerare

1) i riferimenti teorici e metodologici del test: ossia il dibattito scientifico-teoricosul suo costrutto, sull'ambito principale di applicazione e sulla specificità dellostrumento rispetto ad altri che intendono misurare la stessa caratteristica;

2) una descrizione dettagliata delle varie parti del test;3) i destinatari del test: cioè per quali persone è stato costruito (ad esempio, i limiti

d'età, il livello d'istruzione, ecc.);4) obiettivi del test e suoi possibili usi: il manuale dovrebbe contenere una chiara

definizione degli scopi del test, informazioni sul motivo che ha spinto gli autori asvilupparlo, e dovrebbe anche fornire prove convincenti sull'appropriatezza degli usiche di esso si possono fare;

5) possibili utilizzi impropri del test: ossia informazioni relative all'eventualità e alleconseguenze di un utilizzo non adeguato;

6) qualificazioni necessarie alla sua applicazione: il manuale dovrebbe specificare,se necessario, il tipo di formazione o di qualifica richieste al fine di utilizzare in modoappropriato lo strumento;

7) sviluppo del test e dei suoi item: l'utilizzatore ha il diritto di conoscere in mododettagliato le ricerche, le procedure e le modalità seguite nello sviluppo del test e nellascelta degli item che lo compongono;

8) istruzioni per la sonamitaistrazione: ossia dettagliate informazioni sulla«modalità d'uso» dello strumento;

9) istruzioni per lo «scoring»: ossia precise indicazioni sulle procedure di

attribuzione e di calcolo dei punteggi;10) dati sui livelli e sul tipo di attendibilità, nonché sul gruppo rispetto al quale èstata calcolata;

11) dati sulla validità: il manuale deve riportare prove convincenti del fatto che lostrumento possiede un soddisfacente grado di validità. È responsabilità di chi loutilizza valutare i dati presentati e considerarli in funzione dell'uso che ne vorrà fare;

12) descrizione dettagliata del campione normativo: cioè del gruppo sul quale lostrumento è stato standardizzato, delle norme statistiche e delle tavole chepermettano di trasformare direttamente i punteggi grezzi in punteggi standardizzati;

13) suggerimenti per una corretta interpretazione dei punteggi ottenuti nel test;14) profili: se lo strumento è composto da più subscale o da una batteria di test, il

manuale dovrebbe contenere la descrizione di alcuni profili caratteristici o tipici;15) ricerche: dovrebbero essere riportate alcune ricerche che confermano le

proprietà dello strumento e le sue possibili applicazioni.Questioni pratiche nel processo di «testing» Un altro aspetto da prendere in considerazione nella valutazione di un test include:a) il modo in cui il test è somministrato; b) come i punteggi vengono calcolati (loscoring); c) il costo dell'utilizzo dello strumento.La somministrazioneLe istruzioni relative alla somministrazione dovrebbero comprendere ogniaccorgimento necessario ad assicurare l'interpretabilità dei punteggi. Essedovrebbero:

- specificare il tempo massimo necessario alla applicazione dello strumento;

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- fornire indicazioni precise relative alla gestione degli item omessi;- dare suggerimenti pratici su come rispondere alle domande degli esaminati;- specificare la gamma d'età raccomandata per la somministrazione del test;- precisare il livello minimo indispensabile nell'abilità di lettura;- sottolineare l'importanza, se necessario, di una formazione specifica o di

qualificazioni speciali da parte di chi usa il test.

Lo «scoring»I principali metodi di calcolo dei punteggi sono quelli basati sul modello cumulativo,sul modello di categorizzazione e sul modello ipsativo. Secondo il modello cumulativo, più alto è il punteggio di una persona ad un test emaggiormente il costrutto misurato è presente in essa.Il modello di categorizzazione, invece, prevede che, in base ai punteggi ottenuti, unapersona sia inserita in una classe o categoria, con lo scopo della descrizione o dellapredizione.Infine, quando si usa il modello ipsativo per calcolare un punteggio, l'interesse èquello di verificare se la prestazione dell'individuo si è diversificata in manierasignificativa rispetto a certe variabili.

I costiIl costo monetario di un test dovrebbe essere valutato attentamente in relazione atutte le considerazioni sin qui fatte sulla sua qualità: il basso prezzo potrebbe infattiriflettere la scarsa accuratezza con cui è stato sviluppato, anche se non necessaria-mente un prezzo molto alto sta ad indicare che si tratta di uno strumento di qualità.

Oltre al costo monetario devono essere presi in considerazione i costi sociali del test:ciò è particolarmente evidente nel caso in cui esso sia utilizzato per effettuare sele-zioni in contesti lavorativi ed educativi o per effettuare diagnosi in ambito clinico.

Uso responsabile del testL'Associazione degli Psicologi Americani (APA) ha ripubblicato nel 1990, aggiornandoli,gli Ethical Standards formalizzando dei principi etici e deontologici per 1'utilizzo deitest.Può essere interessante prendere in considerazione alcuni dei più importanti principi,suddividendoli in aree: una relativa alle competenze necessarie all'applicazione di unreattivo psicologico;una che riguarda la necessità di una formazione continua al suo utilizzo;e una che attiene, infine, all'importanza della relazione psicologo-esaminato.

CompetenzaTale requisito si basa sui seguenti elementi:a) una conoscenza teorico-metodologica dello strumento: achi lo utilizza si richiede sia una conoscenza dei presupposti teorici cui esso fariferimento sia la piena padronanza delle operazioni di somministrazione e di scoring;b) la selezione dello strumento appropriato in relazione allo scopo e ai destinatari dellamisurazione:c) l'integrazione di dati convergenti provenienti da diversi test

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Formazionea) formazione all'utilizzo degli strumentib) aggiornamento continuo: molti degli strumenti vanno periodicamente incontro adelle revisioni che rendono necessario un aggiornamento sulle caratteristichepsicometriche e sulle metodiche applicative, a garanzia di un loro utilizzo «attuale»c) confronto fra utilizzatori dello stesso strumentod) sensibilità per le minoranze e i ceti svantaggiati dal punto di vista socioculturale: Eresponsabilità dell'autore di un test, nella fase di sviluppo, e dell'utilizzatore, nella fasedi somministrazione e di interpretazione dei risultati, operare nella pienaconsapevolezza del significato, del valore e dei limiti che quello strumento può avereper un certo tipo di utenza.

Relazione psicologo-esaminatorea) creazione e mantenimento di un setting adeguato: l'utilizzatore responsabile èconsapevole dell'influenza delle variabili ambientali e relazionali sulla prestazione daparte di coloro cui viene somministrato il test.b) Rispetto della privacyc) Restituzione: passaggio di informazioni circa i risultati tra psicologo e utente

Fonti di informazione sui testL’utilizzatore dovrebbe avere o acquisire una certa familiarità con alcune pubblicazionispecialistiche.Una delle fonti di informazioni più completa e autorevole è costituita dalla serie deiMental Measurement Yearbooks, che contengono rassegne storico-critiche e notizie

relative alla maggior parte, dei test pubblicati in tutto il mondo e in commercio.Ogni nuovo volume della serie contiene le informazioni relative agli ultimi testpubblicati ed anche rassegne aggiornate di quelli più importanti già analizzati neivolumi precedenti.Un'altra importante fonte di informazioni sui test è Tests Critiques che fornisce unadescrizione dei test e ne discute in maniera critica applicazioni pratiche e particolaritàtecniche. Infine, Goldman e Mitchell pubblicano periodicamente dei volumi nei quali sipossono trovare descrizioni e riferimenti bibliografici completi per la maggior parte deitest pubblicati in lingua inglese ma non ancora disponibili sul mercato.Altre notizie utili sui test possono essere reperite in riviste internazionali specializzateche contengono sia sintesi di ricerche effettuate sull'attendibilità e sulla validità di varistrumenti, sia delle revisioni teorico-critiche. In Italia da molti anni opera una casaeditrice (le Organizzazioni Speciali di Firenze), specializzata nella pubblicazione e nelladistribuzione dei reattivi psicologici disponibili in versione italiana. Inoltre questapubblica il «Bollettino di Psicologia Applicata», nel quale trovano ampio spazio studisull'adattamento e sulla standardizzazione di nuovi strumenti testistici, nonchérecensioni e rassegne sui più recenti sviluppi della psicometria.

Considerazioni conclusive Nel valutare la qualità di un test le domande più rilevanti da porsi riguardano:

1)  Il costrutto2)  L'obiettivo della misurazione (interpretativo, descrittivo o decisionale)3)  I destinatari

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 4)  La documentazione (esiste una documentazione completa ed esauriente che fornisca

garanzie che lo strumento in questione effettivamente misuri il costrutto)5)  L'attendibilità6)  La validità7)  Il campione normativo (se il manuale del test, o altre fonti autorevoli, riportano

informazioni esaurienti sul campione normativo)8)  La somministrazione9)  Lo «scoring» (se chiara e operativamente ben definita la modalità di calcolo dei punteggi)10) I costi monetari e sociali dell'utilizzo del test11) L'uso responsabile di un test (principi etici)