Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

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DIRITTO COMMERCIALE: Parte prima : L’Impresa: Capitolo 1 : NOZIONE ECONOMICA E GIURIDICA: La predisposizione di beni e servizi per il mercato generale non è il frutto di una attività accidentale ed improvvisata, ma è l’oggetto di una attività specializzata e professionale, la quale si esplica attraverso organismi economici appositamente predisposti. Questi organismi economici che si propongono il soddisfacimento dei bisogni altrui e più precisamente delle esigenze del mercato generale, assumono nella terminologia economica il nome di imprese. L’impresa si presenta come una combinazione, organizzazione di elementi personali e reali, in vista di un risultato economico ed attuata in vista di un intento speculativo da una persona che assume il nome di imprenditore. L’impresa è un organismo economico, si basa cioè su principi tecnici e leggi economiche. Da forme semplici si passa a forme sempre più complesse dove rifulge il genio creativo dell’imprenditore. L’impresa è necessariamente collegata con la persona dell’imprenditore . L’individuazione della persona dell’imprenditore nell’ambito della impresa non è tuttavia sempre agevole, per lo più la persona dell’imprenditore si contrappone a quella del capitalista ed a quella del lavoratore, tuttavia tale contrapposizione non è facile da cogliere nelle ipotesi comuni dove, l’imprenditore normalmente è anche capitalista oppure lavoratore poiché svolge una attività non solo organizzativa ma anche tecnica, mentre i dipendenti svolgono una attività organizzativa nell’ambito della impresa. Due elementi fondamentali servono a caratterizzare l’imprenditore nei confronti di altri soggetti: ossia capitalisti ed lavoratori, l’iniziativa ed il rischio. La prima intesa come il potere di determinare nella fase organizzativa le basi strutturali della impresa e in sede di esercizio l’indirizzo della sua attività. Il secondo inteso come la sopportazione di tutti gli oneri compresi quelli di carattere sociale , e l’assunzione delle alee favorevoli e sfavorevoli, inerenti alla attività esercitata. Per l’attuazione dei suoi compiti l’imprenditore può avvalersi della collaborazione temporanea di altri soggetti suoi collaboratori, e già qui si manifesta il suo potere di iniziativa nella scelta dei propri ausiliari, e comunque le sue determinazioni prevalgono su quelle dei collaboratori. Anche le alee favorevoli o sfavorevoli possono rifluire a carico del capitalista o dei lavoratori, in particolare quando la remunerazione del capitale o dei lavoratori si fonda sulla partecipazione agli utili; e ciò avviene ancora quando pur essendo la determinazione del corrispettivo del capitalista o lavoratore compiuta, tuttavia l’imprenditore in conseguenza dei risultati

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DIRITTO COMMERCIALE: Parte prima : L’Impresa:

Capitolo 1 : NOZIONE ECONOMICA E GIURIDICA:

La predisposizione di beni e servizi per il mercato generale non è il frutto di una attività accidentale ed improvvisata, ma è l’oggetto di una attività specializzata e professionale, la quale si esplica attraverso organismi economici appositamente predisposti. Questi organismi economici che si propongono il soddisfacimento dei bisogni altrui e più precisamente delle esigenze del mercato generale, assumono nella terminologia economica il nome di imprese. L’impresa si presenta come una combinazione, organizzazione di elementi personali e reali, in vista di un risultato economico ed attuata in vista di un intento speculativo da una persona che assume il nome di imprenditore. L’impresa è un organismo economico, si basa cioè su principi tecnici e leggi economiche. Da forme semplici si passa a forme sempre più complesse dove rifulge il genio creativo dell’imprenditore. L’impresa è necessariamente collegata con la persona dell’imprenditore . L’individuazione della persona dell’imprenditore nell’ambito della impresa non è tuttavia sempre agevole, per lo più la persona dell’imprenditore si contrappone a quella del capitalista ed a quella del lavoratore, tuttavia tale contrapposizione non è facile da cogliere nelle ipotesi comuni dove, l’imprenditore normalmente è anche capitalista oppure lavoratore poiché svolge una attività non solo organizzativa ma anche tecnica, mentre i dipendenti svolgono una attività organizzativa nell’ambito della impresa. Due elementi fondamentali servono a caratterizzare l’imprenditore nei confronti di altri soggetti: ossia capitalisti ed lavoratori, l’iniziativa ed il rischio. La prima intesa come il potere di determinare nella fase organizzativa le basi strutturali della impresa e in sede di esercizio l’indirizzo della sua attività. Il secondo inteso come la sopportazione di tutti gli oneri compresi quelli di carattere sociale , e l’assunzione delle alee favorevoli e sfavorevoli, inerenti alla attività esercitata. Per l’attuazione dei suoi compiti l’imprenditore può avvalersi della collaborazione temporanea di altri soggetti suoi collaboratori, e già qui si manifesta il suo potere di iniziativa nella scelta dei propri ausiliari, e comunque le sue determinazioni prevalgono su quelle dei collaboratori. Anche le alee favorevoli o sfavorevoli possono rifluire a carico del capitalista o dei lavoratori, in particolare quando la remunerazione del capitale o dei lavoratori si fonda sulla partecipazione agli utili; e ciò avviene ancora quando pur essendo la determinazione del corrispettivo del capitalista o lavoratore compiuta, tuttavia l’imprenditore in conseguenza dei risultati dell’esercizio dell’impresa non è in grado di far fronte agli impegni assunti. Solo che mentre l’incidenza delle alee è indiretta per questi soggetti , essa si esplica direttamente ed immediatamente per l’imprenditore. Il potere di iniziativa dell’imprenditore, può subire limitazioni in seguito alla adozione di concezioni sociali o in seguito alla previsione di autorizzazioni, controlli, limiti di prezzo. E proprio sulla base di ciò si sono manifestate tendenze volte a rivendicare a favore dei lavoratori non solo una più adeguata partecipazione agli utili, ma il diritto stesso a partecipare al potere di iniziativa dell’imprenditore. E questo principio che vede riconosciuto il diritto soggettivo dei lavoratori a collaborare nella gestione della azienda insieme all’imprenditore è espressamente previsto dall’articolo 46 della carta costituzionale.

L’impresa come organismo economico non è irrilevante per il diritto. Questo infatti non solo disciplina i rapporti intersoggettivi che si attuano all’interno dell’impresa, ma considera l’impresa in quanto tale e sotto alcuni profili la tutela. Però non tutti gli aspetti della impresa sono giuridicamente rilevanti, per esempio l’aspetto più interessante da un punto di vista economico e tecnico, e cioè il fenomeno produttivo è irrilevante se considerato nell’ambito di una sola persona. Invece diviene rilevante tutto ciò che tocca la sfera giuridica di altri soggetti: così l’impresa viene presa in considerazione : a) in quanto è espressione della attività dell’imprenditore; l’esercizio di questa attività viene assoggettato a precise norme le quali pongono particolari obblighi o prevedono il sorgere di effetti in seguito al verificarsi di condizioni o presupposti. B) in quanto in essa si concreta l’idea creativa dell’imprenditore; c) in quanto attraverso la

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organizzazione si determina una combinazione di cose in funzione della unitarietà della destinazione economica. D) in quanto nella’ambito della organizzazione si realizza una formazione sociale nella quale collaborano lavoratori e imprenditori, dove non solo il lavoratore è tenuto a rispettare le regole ma anche l’imprenditore.

Per il diritto l’impresa non è un organismo unitario e autonomo, ne da un punto di vista oggettivo, ne da uno oggettivo. Considerata come attività, l’impresa si collega alla personalità dell’imprenditore, che svolge l’attività così che la disciplina e la tutela giuridica dell’imprenditore è la stessa della impresa. Considerata nel suo aspetto patrimoniale, l’impresa è una combinazione di beni eterogenei in vista di uno scopo produttivo, sia economico sia lucrativo; beni materiali o immateriali, mobili o immobili e fin quando il complesso di beni rimane nel patrimonio dell’imprenditore esso non assurge a patrimonio separato ma si confonde con gli altri beni dell’imprenditore, costituendo con questi la garanzia dei debiti dell’imprenditore stesso. Considerata come organizzazione in atto, è un complesso di apparati, e di regole preposte al suo funzionamento , e l’impresa qui ha una sua individualità ed una sua obiettività. L’insieme di questi profili giuridici costituiscono l’aspetto di solo fenomeno economico – sociale : L’impresa.

Due sono i profili fondamentali dell’impresa, considerata come attività e considerata come complesso di beni destinati ad uno scopo produttivo. A questi due profili corrisponde anche una diversa nomenclatura parlando nel primo caso di impresa vera e propria e nel secondo caso di azienda. Ma i due aspetti sono complementari tra loro: l’attività organizzativa dell’imprenditore non può attuarsi in mancanza di un complesso di beni con cui operare, il complesso di beni assurge ad azienda in quanto vivificato dalla attività organizzatrice dell’imprenditore. Ovviamente a prevalere tra i due aspetti è l’impresa intesa come attività in quanto crea e caratterizza l’azienda, ma addirittura crea le regole e gli apparati che presiedono al suo funzionamento. Attività organizzata è non tanto una attività che utilizza un complesso di beni, quanto piuttosto attività che si realizza attraverso determinati apparati e regole di svolgimento, cioè attraverso la collaborazione di altri soggetti che operano tutti in vista della realizzazione di un fine unitario. Perciò si pone in maniera errata l’idea che ricollega alla figura dell’imprenditore un diritto di impresa inteso come diritto sul complesso aziendale contrapposto al diritto di proprietà sul complesso stesso: infatti secondo tale concezione i beni assurgono ad azienda non in quanto organizzati dall’imprenditore, ma è l’imprenditore che diviene tale grazie alla titolarità del diritto di impresa sul complesso aziendale. È invece l’impresa come complesso di apparati e regole ad essere legata alla persona dell’imprenditore in quanto atto di esercizio del suo potere di iniziativa economica.

CAPITOLO 2: L’ATTIVITA DELL’IMPRENDITORE :

l’impresa è attività produttiva di nuova ricchezza, e non attività di mero godimento. L’impresa come attività ha formato oggetto di considerazione da parte del legislatore già nel codice di commercio del 1882. L’impresa era considerata atto di commercio non in quanto organismo economico, ma come atto di intermediazione a scopo speculativo. Così la nozione giuridica era più ampia o più ristretta di quella economica : più ampia perché si comprendevano quegli atti isolati che non davano luogo ad uno organismo produttivo, più ristretta perché non rientravano quegli organismi produttivi,( imprese artigiane) i quali non realizzavano una intermediazione a scopo speculativo. Il sistema del codice del 1942, è improntato a principi diversi, non considera infatti l’impresa, ma l’imprenditore e la nozione di impresa si ricava da quella di imprenditore:

Secondo l’articolo 2082 è imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione e scambio di beni o servizi.

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A) L’impresa è anzitutto attività economica: ossia l’attività produttiva è svolta con metodo economico, coprendo i costi con i ricavi e assicurando l’autosufficienza economica. Non è quindi imprenditore il medico, l’avvocato e chi esercita le arti liberali, anche se l’esercizio della professione implica una organizzazione stabile. Solo quando l’esercizio della professione intellettuale si inserisce in una attività economica organizzata e professionale si ha impresa.

B) L’impresa è in secondo luogo attività professionale, per professione si intende l’esercizio abituale, sistematico non occasionale di una certa attività produttiva, non è invece impresa una isolata operazione di acquisto e rivendita di merci anche se per l’attuazione di tale attività è necessaria una organizzazione di capitale e di lavoro. È occasionale l’attività organizzata che si svolge accidentalmente e si esaurisce nel compimento dell’unico atto per cui fu creata. L’esercizio professionale non richiede che l’attività abbia una particolare durata ( senza interruzioni), ne che sia unica , principale od esclusiva . Non è impresa l’attività economica organizzata per il soddisfacimento di propri bisogni. Chi produce per sé non è imprenditore, manca l’elemento della professionalità, perché in realtà colui che produce professionalmente beni o servizi li produce per altri. È inammissibile parlare di impresa per conto proprio. Né è possibile richiamare la situazione di fenomeno di gruppo in cui l’intera produzione di una società viene compiuta da altra società; in questa ipotesi pur di fronte ad impresa unitaria giuridicamente le società sono distinte e producono per altri non per conto proprio. Nelle persone giuridiche private o pubbliche l’elemento della professionalità può essere insito nel fatto stesso della costituzione: quando una società ha lo scopo esclusivo dell’esercizio di una attività economica, non c’è necessità di ricorrere ad altri elementi. La legge qualifica come imprese le società e gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di una attività economica. Tutto ciò potrebbe far pensare che rispetto alle persone giuridiche l’elemento della professionalità non assuma rilievo, essendo invece determinante lo scopo istituzionale dell’ente. Ma così si escluderebbero le persone giuridiche private che pur esercitando attività economica e professionale , non hanno tale elemento presente nello scopo istituzionale. Ecco dunque che solo per gli enti pubblici che hanno come scopo istituzionale esclusivo l’esercizio di attività economica si ottiene la qualifica di imprenditore; mentre per le persone giuridiche private si fa riferimento allo statuto generale dell’imprenditore, oppure come per le persone fisiche l’ esercizio effettivo di una attività economica.

C) L’impresa è poi attività organizzata o meglio attività che si esplica attraverso la collaborazione di altri soggetti e beni strumentali sulla base di un principio organizzativo. Se manca ogni organizzazione non vi è impresa, ma non è sufficiente neanche una forma elementare di organizzazione la quale deve assumere determinati caratteri ed una determinata oggettivazione.

IMPRESA E PICCOLA IMPRESA: la differenza è anzitutto quantitativa, ma anche qualitativa: l’impresa è attività che si esplica in un organismo produttivo, è attività di organizzazione al fine della realizzazione del reddito. L’attività organizzatrice dell’imprenditore non può attuarsi in mancanza della azienda. Elemento qualificante della impresa è che l’attività si esplica in un organismo economico, che ha una propria autonomia economica ed una funzione indipendente dalla persona che lo ha creato. La piccola impresa è invece l’attività personale del soggetto, è attività esecutiva più che di organizzazione. La differenza sta appunto nel fatto che nella piccola impresa l’organizzazione è un mezzo per la esplicazione della propria attività personale , mentre nella impresa si fa riferimento ad un organismo economico che ha una propria capacità produttiva e può staccarsi dalla persona che lo ha creato. La legge non fissa un limite dimensionale per distinguere piccola impresa da impresa economica ma ricomprende nella categoria dei piccoli imprenditori secondo l’articolo 2083 i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro

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che esercitano una attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. Solo in materia fallimentare ci sono dei limiti previsti che se superati determinano l’assoggettamento a fallimento anche per i piccoli imprenditori: a) investimenti per 300.000 euro, b) ricavi lordi per 200.000 euro e c) debiti attuali anche non scaduti non superiori a 500.000 euro. Ora la prevalenza del lavoro proprio è secondo una dottrina sia rispetto al lavoro altrui, sia rispetto al capitale investito; ma secondo una più autorevole dottrina la prevalenza del lavoro proprio è sull’ elemento organizzativo che è solo accessorio può esserci come non. I piccoli imprenditori non sono soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture contabili.

IMPRESA FAMILIARE: l’impresa familiare è disciplinata dall’articolo 230 bis, è una impresa per lo più piccola che si attua nell’ambito della famiglia. In questa oltre all’ imprenditore collaborano il coniuge, i parenti ( fino al 3 grado) e gli affini (fino al 2 grado), tutti soggetti che svolgono in modo continuativo una attività di lavoro basata non su rapporto di lavoro subordinato, ma su rapporto di famiglia. È un istituto residuale, che presuppone che i familiari facciano parte della famiglia cioè convivano. Ha punti di contatto con la piccola impresa in quanto postula esercizio di attività professionale con il lavoro proprio e dei familiari. Ha punti di contatto anche con la comunione tacita perché si fonda sull’AFFECTIO FAMILIAE. Rimane però una impresa individuale. Il legislatore riconosce a tale forma di impresa diritti sia sul piano patrimoniale ( diritto al mantenimento, diritto alla partecipazione degli utili, diritto sui beni acquistati con gli utili, diritto di prelazione in caso di trasferimento della azienda) , sia sul piano amministrativo decisioni di particolare importanza prese con deliberazioni a maggioranza dei familiari circa la cessazione della impresa, l’impiego e l’incremento degli utili. Il diritto di partecipazione agli utili è trasferibile solo a favore degli altri membri della famiglia e con il consenso unanime dei familiari già partecipanti.

LO SCOPO Di LUCRO: L’impresa presuppone un intento economico qualificato, realizzazione di un guadagno, e cioè incremento patrimoniale. Tale elemento teleologico assume infatti un ruolo importantissimo nella differenziazione delle imprese; infatti una organizzazione a scopo altruistico non è impresa né in senso giuridico, né in senso economico, così come non sono imprese le organizzazioni consortili che si pongono un obiettivo economico che no è quello della produzione di un reddito. Il punto di discussione principale a riguardo è intorno allo scopo di lucro ed alla necessità di distinguere il lucro oggettivo, ossia la produzione della ricchezza che è elemento fondamentale e presupposto di base affinchè si possa parlare di impresa e il lucro soggettivo ossia , le modalità sulla distribuzione ed appropriazione della ricchezza stessa. Elemento puramente eventuale e non indispensabile. Perciò quando si parla di imprese senza scopo di lucro come ad esempio le imprese pubbliche il riferimento è al lucro soggettivo, mentre quello oggettivo è sempre presente, in quanto anche gli enti pubblici si propongono non meno di altri la produzione di un reddito.

IMPRESA SOCIALE: possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazione private, quindi si escludono le imprese individuali quelle pubbliche, e si ammettono invece le associazioni riconosciute e non e le fondazioni. Tali organizzazioni private devono avere tre requisiti: A) la loro attività di produzione deve riguardare beni o servizi di utilità sociale, ossia settori economici che vanno dalla assistenza sanitaria alla educazione, alla tutela dell’ambiente ed anche alla valorizzazione del patrimonio culturale; solo che tali attività debbono svolgersi in via principale e stabile. B) la attività di produzione deve realizzare finalità di interesse generale c) assenza dello scopo di lucro, ovviamente inteso in senso soggettivo, infatti tutti gli utili devono essere impiegati

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per lo svolgimento della attività statutaria o all’incremento del patrimonio dell’ente. Di conseguenza non è possibile disporre del patrimonio, ne distribuire i fondi anche indirettamente a vantaggio di coloro che fanno parte dell’organizzazione. L’acquisto della qualifica di impresa sociale avviene sulla base di un atto costitutivo stipulato in forma pubblica da iscrivere in apposito registro delle imprese. Inoltre le imprese sociali sono soggette alla vigilanza del MINISTERO DEL LAVORO, che effettua periodiche ispezioni al fine di verificare la presenza delle condizioni di riconoscimento. La responsabilità patrimoniale dei partecipanti è limitata, solo quando il patrimonio dell’impresa supera i 20.000 euro.

IMPRESA AGRICOLA: La nozione di imprenditore fissata dall’articolo 2082, è una nozione valida per tutti i campi dell’economia, ivi compresa quella agricola. Così il codice del 1942 accanto alle imprese definite dall’articolo 2195 commerciali, prevede l’impresa agricola disciplinata dall’articolo 2135. Al riguardo però deve sottolinearsi una evoluzione legislativa che ha sottolineato la distinzione tra attività di mero sfruttamento del fondo e la agricoltura industrializzata, e arriva ormai a riconoscere che gli elementi caratteristici della funzione imprenditrice, sussistono solo nel campo della agricoltura industrializzata. Il testo originario dell’articolo 2135 dopo aver definito imprenditore agricolo, chi esercita una attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame, e attività connesse considera queste solo quando rientrano nel nomale esercizio della agricoltura. Da ciò si desumeva che questo collegamento assumeva rilievo giuridico, al fine di sottrarre le attività stesse ai normali principi propri delle attività industriali e di assoggettarle ai principi che regolano l’attività agricola soltanto in quanto tale collegamento rispondesse a un criterio di normalità. E si desumeva inoltre che l’elemento teleologico, ossia lucrativo mancava del tutto; infatti l’intento dell’agricoltore era quello di ricavare dalla coltivazione diretta del fondo o dalla silvicoltura i frutti , non anche quello di produrre per vendere e cioè di esercitare attività di intermediazione a scopo di lucro. Qualora invece l’attività produttiva risultasse un elemento una fase della complessa attività imprenditrice allora si esulava dal campo dell’impresa agricola per rientrare nel campo, dell’impresa industriale. In definitiva nel sistema originario del codice , l’impresa agricola non rientrava nella nozione di impresa intesa come attività organizzata, professionale ed economica. Per l’impresa agricola in tale contesto l’attività svolta è diretta alla coltivazione del fondo ed il soddisfacimento dei bisogni altrui o del mercato generale non è il suo scopo ma solo di quella intesa secondo il disposto dell’articolo 2082. Tanto è vero che le direttive fondamentali per l’esercizio della agricoltura nella carta costituzionale non sono contenute nell’articolo 41 dove si disciplina l’iniziativa privata economica, ma bensì nell’articolo 44 ove si fa riferimento alla proprietà terriera. La materia ha subito delle profonde modificazioni, infatti, in un primo momento l’obbligo della iscrizione nel registro delle imprese era riservato ai soli imprenditori commerciali, ed è stato poi esteso ai piccoli imprenditori a quelli agricoli ed alle società semplici, i quali erano soggetti ad iscrizione ma nella sezione speciale del registro con effetti di mera pubblicità notizia. In un secondo tempo si è modificata la stessa nozione di imprenditore agricolo arrivando a riconoscere alla iscrizione nel registro delle imprese degli imprenditori agricoli effetti di pubblicità dichiarativa o legale. ( dlgs. Numero 228 del 2001). Secondo la nuova definizione è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività : coltivazione del fondo, selvicoltura allevamento di animali ed attività connesse. Solo che ora si fa riferimento alle attività diretta alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria dello stesso , che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco, le acque dolci, salmastre o marine. Mentre per attività connesse si intendono quelle attività di manipolazione, conservazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti con una delle attività sopra indicate. In tal

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modo è evidente che la figura dell’imprenditore agricolo risulta diversa rispetto a quella originaria. La centralità del ciclo biologico ritiene essenziale per l’acquisto della qualità di imprenditore agricolo, lo svolgimento di una vera e propria attività economica. Inoltre il distacco dal fondo conferma la necessità di distinguere, l’imprenditore agricolo da colui che si limita a compiere atti di mero godimento o di disposizione del fondo di cui risulta il proprietario. Il nuovo articolo 2135 non ricorre più ad individuare il criterio della normalità ma bensì quello della prevalenza riferito alla provenienza dell’oggetto dell’attività. Tale criterio di prevalenza rischia però di portare ad una disparità di trattamento giuridico tra due situazioni oggettivamente analoghe. Allora la produzione e trasformazione di beni e di servizi assume il carattere di attività industriale e si è allora in presenza di imprese commerciali. La circostanza invece che una data attività debba intendersi come agricola per connessione non risulta un ostacolo a qualificarla come commerciale ai sensi dell’articolo2195. Fondamentale elemento di distinzione è l’intento lucrativo dell’imprenditore; solo in questo caso la coltivazione del fondo, la silvicoltura, l’allevamento di bestiame costituiscono un momento di attività economica organizzata, solo in questo caso il fondo è un elemento della complessa organizzazione e l’impresa agricola coincide con l’impresa economica disciplinata dall’articolo 2082. Al di fuori di questa ipotesi vi è attività organizzata, ma non l’impresa , mancando l’elemento teleologico manca l’aspetto funzionale tipico dell’attività imprenditrice. Resta dunque fermo che non esistono imprese diverse da quella commerciale, nel sistema originario si arrivava a tale conclusione negando a quella agricola il carattere di impresa in senso tecnico, in quello attuale vi si giunge affermando che l’impresa agricola altro non è che una impresa commerciale ed in particolare una impresa industriale nel campo della agricoltura.

IMPRESA Di NAVIGAZIONE: di impresa si parla anche nel codice della navigazione,il quale regola l’impresa di navigazione. In realtà tale forma di impresa, pur avendo caratteri comuni, con l’impresa economica , non è tale. Infatti colui che esercita l’impresa di navigazione non è imprenditore ai sensi del codice civile, e tale attività si concreta nel semplice esercizio di una nave o di un aeromobile. L’ipotesi normale è quella che l’esercizio sia compiuto per il soddisfacimento di bisogni del pubblico e a scopo di lucro, così l’esercizio di una nave o di un aeromobile si inserisce come elemento in una attività economica organizzata, e professionale diretta allo scambio di beni e servizi, ma anche in questa ipotesi, nessuna confusione è possibile tra impresa di navigazione ed impresa economica. L’inserzione nella impresa economica non elimina l’autonomia dell’altra impresa e quindi l’applicazione rispetto ad essa delle norme che le sono proprie. La stessa persona può assumere contemporaneamente la qualità di imprenditore e di armatore o esercente e in tal caso è soggetto sia allo statuto dell’imprenditore, sia a quello dell’armatore o dell’esercente. Ma una persona non assume la qualità di imprenditore solo perché è esercente. Inoltre nella impresa di navigazione non c’è il collegamento con l’azienda. Poi l’armatore o l’esercente può assumere la funzione di vettore o noleggiante, di esercente una impresa di rimorchio, salvataggio o di recupero ei questa sua seconda veste egli potrà assumere la qualità di imprenditore. Se pure l’articolo 2195 considera autonomamente come categoria differenziata l’impresa di trasporto, non si è mai dubitato che le imprese di noleggio o salvataggio rientranti tra quelle ausiliarie possano essere ritenute commerciali. Infatti al di fuori della attività di trasporto, vi può essere esercizio di una attività economica. Nulla vieta che questo imprenditore venga definito nautico, perché tanto anche la categoria di quelli nautici rientra nella ancor più ampia categoria di imprenditori commerciali.

IMPRESE PUBBLICHE: una attività organizzata al fine della produzione o scambio di beni e servizi può essere esercitata anche dallo Stato, da enti territoriali o enti pubblici. In effetti l’iniziativa dello

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Stato attualmente si attua mediante l’uso di schemi privatistici, in particolare quello della società per azioni, e tale tendenza è motivata da esigenze di bilancio di stato , nel senso di una privatizzazione, trasformazione di figure organizzative una volta pubblicistiche in società per azioni. Si parla in questo caso di società a partecipazione statale. Ciò è avvenuto per il settore creditizio ed è stato previsto per alcuni enti economici di gestione( IRI, ENI, INA,ENEL, EFIM), e si è anche voluto attribuire un potere generale al CIPE di deliberare analoga trasformazione per qualsiasi ente pubblico economico. Ora però accanto a queste ci sono imprese che fanno ancora direttamente capo allo STATO e agli enti pubblici : a) imprese organo : imprese gestite autonomamente da un organo dello stato o di un ente territoriale, non vi è per queste acquisto della qualità di imprenditore. B) imprese ente-pubblico: enti che hanno lo scopo istituzionale di esercizio della impresa, e quando un tale ente svolge attività organizzata vi è l’acquisto della qualità di imprenditore, con l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese ma ad esclusione del fallimento. La differenza tra questi due tipi di organo non risiede nell’elemento della professionalità che è presente anche nelle imprese organo, ma nel fatto che le imprese organo sono sottratte alle norme di diritto comune, e assoggettate a quelle di diritto speciale, improntate più sugli schemi del diritto pubblico che su quelli del diritto privato.

CAPITOLO 3 : LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE:

Lo statuto giuridico dell’imprenditore, non è fissato in modo univoco per tutte le categorie di imprese. Accanto ad uno statuto generale, applicabile all’imprenditore come tale, vi sono statuti speciali applicabili a singole categorie di imprenditori in funzione dell’oggetto della attività esercitata. Norme comuni a tutti gli imprenditori, sono quelle che riguardano la tutela delle condizioni di lavoro ( articolo 2087), la gerarchia e direzione dell’impresa ( 2086) e la responsabilità dell’imprenditore verso lo stato. ( 2088). Centrale è in ogni caso la categoria individuata dall’articolo 2195, delle imprese soggette a registrazione e che pur essendo diverse erano assoggettate alla legge commerciale, a questa categoria era contrapposta quella dell’impresa agricola solo che ora anche essa è soggetta a registrazione nella sezione speciale del registro con effetti anche essa di pubblicità legale.

CAPACITA’ ALL’ESERCIZIO DELL’IMPRESA:

la capacità all’esercizio della impresa, spetta a chiunque cittadino o straniero che abbia la capacità di agire, che secondo l’art 2 del codice si acquista con il compimento del 18 esimo anno di età. La legge può subordinare l’esercizio dell’impresa da parte di persone capaci a determinate condizioni legali( autorizzazioni amministrative, concessioni, licenze) o può vietarlo a coloro che ricoprono determinate carche ( incompatibilità). ( art 2084). Ma tali condizioni o divieti, non riguardano la capacità del soggetto e non ne costituiscono integrazione o menomazione, per cui la mancanza di tali divieti, o l’inosservanza delle condizioni non impedisce il verificarsi degli effetti attinenti all’esercizio dell’attività, né la validità degli atti posti in essere, ma importano solo la applicazione delle sanzioni penali e amministrative di volta in volta previste. L’esercizio dell’impresa da parte di incapaci invece può essere ammesso solo se è consentito dalla legge e in quanto siano ottenute le autorizzazioni, in mancanza delle quali non si determina l’acquisto della qualità di imprenditore da parte dell’incapace. Per quanto riguarda i minori e gli interdetti, è ammessa solo la continuazione dell’esercizio di impresa già esistente , e purchè il tribunale previo parere del giudice tutelare , l’autorizzi. Il minore emancipato può invece, essere autorizzato dal tribunale previo parere del giudice tutelare a continuare l’esercizio di impresa come di iniziarlo ex novo senza l’assistenza del curatore. In questo caso il minore acquista la capacità generale . l’autorizzazione del tribunale nel caso del minore non emancipato, di interdetto o inabilitato è necessariamente specifica, mentre nel caso di

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minore emancipato può essere generale. L’autorizzazione per l’inabilitato può essere subordinata alla nomina di un institore . essa può essere revocata quando il rappresentante non si adegui alle disposizioni del tribunale, anche per il minore emancipato l’autorizzazione può essere revocata di ufficio o su richiesta del curatore. L’incapace che ottiene l’autorizzazione assume la qualità di imprenditore con gli obblighi che ne derivano. Non determina invece incapacità l’inabilitazione, prevista come pena accessoria nel caso di condanna per bancarotta fraudolenta, semplice o per ricorso abusivo al credito. L’esercizio di impresa nonostante il divieto derivante da inabilitazione è punito con sanzioni penali ma è produttivo di tutti gli effetti, giuridici validi. Le limitazioni di capacità riguardano l’esercizio dell’impresa commerciale non quella agricola o piccola. LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE

L’imprenditore commerciale è destinatario di una disciplina in parte comune agli altri imprenditori (statuto generale dell’imprenditore), in parte specifica (statuto speciale dell’imprenditore commerciale).

PUBBLICITA’ LEGALE

EVOLUZIONE

Chi opera sul mercato avverte la necessità di poter disporre di informazioni sulla situazione delle imprese con cui entra in contatto.

Le imprese commerciali vedono soddisfatta questa esigenza attraverso un sistema di pubblicità legale.

E’ previsto cioè l’obbligo di rendere di pubblico dominio, secondo forme e modalità predeterminate, i fatti relativi alla vita dell’impresa.

In tal modo le informazioni non solo sono rese accessibili ai terzi interessati (pubblicità notizia), ma diventano opponibili a chiunque indipendentemente dall’effettiva conoscenza (conoscibilità legale).

Il registro delle imprese è lo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali non piccole e delle società commerciali previsto dal cc del 1942.

Per oltre 50 anni l’istituto è rimasto inoperante poiché la sua entrata in funzione era subordinata all’emanazione del regolamento di attuazione, che a lungo si è fatto ad attendere.

Durante gli anni di attesa ha trovato applicazione il regime transitorio, imperniato sull’iscrizione nei preesistenti registri di cancelleria presso il tribunale e caratterizzato dall’esonero dall’iscrizione degli imprenditori commerciali individuali.

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Questo regime operava dunque solo per le società commerciali.

La situazione si complicò con l’introduzione di nuove forme di pubblicità.

Per le società di capitali fu prevista nel 1969 la pubblicazione nel Bollettino ufficiale della società per azioni e a responsabilità limitata (Busarl), in aggiunta all’iscrizione nel registro di cancelleria.

Per le società cooperative fu introdotta nel 1973 la pubblicazione nel Bollettino ufficiale delle società cooperative (Busc), in aggiunta all’iscrizione nel registro di cancelleria.

Ulteriori adempimenti pubblicitari erano poi previsti da leggi speciali, come l’iscrizione nel Registro delle ditte, tenuto dalle camere di commercio.

Vi erano quindi un sistema di pubblicità disorganico che richiedeva una riforma.

Dopo numerosi tentativi, la situazione si sbloccò con la legge 580 del 1993, che conteneva norme per il riordino delle camere di commercio.

L’art. 8 di tale legge ed il relativo regolamento di attuazione hanno istituito il registro delle imprese, divenuto operante agli inizi del 1997 ponendo così fine al regime transitorio.

Nel contempo ha cessato di esistere il Registro delle ditte e sono stati soppressi il Busarl e il Busc.

Oggi il registro delle imprese rappresenta quindi l’unico strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali.

La nuova disciplina ha introdotto alcune novità rispetto al sistema previsto nel 1942:

a)il registro delle imprese non è solo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali, ma è diventato anche strumento di informazione sui dati organizzativi di tutte le altre imprese.

Infatti l’iscrizione è stata estesa agli imprenditori agricoli, ai piccoli imprenditori ed alle società semplici, sia pure inizialmente solo con effetti di mera pubblicità notizia per queste categorie, ma oggi con effetti di pubblicità legale anche per gli imprenditori agricoli

b)la tenuta del registro delle imprese è affidata alle camere di commercio

c)il registro delle imprese è tenuto con tecniche informatiche e non più in forma cartacea.

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REGISTRO DELLE IMPRESE

Il registro delle imprese è istituito in ciascuna provincia presso la camera di commercio.

L’attività dell’ufficio è svolta sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale del capoluogo di provincia.

Struttura

Il registro è articolato in:

a)una sezione ordinaria

sono iscritti gli imprenditori (non agricoli) per i quali l’iscrizione produce gli effetti di pubblicità legale, cioè:

-gli imprenditori individuali commerciali non piccoli

-tutte le società tranne la società semplice, anche se non svolgono attività commerciale

-i consorzi fra imprenditori con attività esterna

-i gruppi europei di interesse economico con sede in Italia

-gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale

-le società estere che hanno in Italia la sede dell’amministrazione, ovvero l’oggetto principale della loro attività

b)tre sezioni speciali

1^ In una sono iscritti gli imprenditori che secondo il cc ne erano esonerati e per i quali l’iscrizione, introdotta con la riforma del 1993, aveva originariamente solo funzione di pubblicità notizia, cioè gli imprenditori agricoli individuali, i piccoli imprenditori e le società semplici.

Nella stessa sezione sono poi annotati gli imprenditori artigiani

2^ La seconda sezione speciale è destinata alla pubblicità delle società tra professionisti nella quale si iscrivono, con funzione di pubblicità notizia, le società tra avvocati (introdotte dal d.lgs 96 del 2001)

Page 11: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

3^ La terza è dedicata alle società o agli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento e quelle che vi sono soggette, in aggiunta all’iscrizione nel registro a cui ciascuna di queste è tenuta.

-Un’ulteriore sezione è prevista dal d.lgs 155 del 2006 e sarà dedicata all’iscrizione delle imprese sociale.

Ad oggi però non è stato ancora emanato il regolamento attuativo.

Atti da registrare

Gli atti da registrare sono specificati da una serie di norme e sono diversi a seconda della struttura dell’impresa.

Essenzialmente riguardano gli elementi di individuazione dell’imprenditore e dell’impresa (es. dati anagrafici dell’imprenditore, sede principale ed eventuali sedi secondarie dell’impresa), nonché la struttura e l’organizzazione della società (es. atto costitutivo e sue modificazioni).

Sono poi soggette a registrazione tutte le modificazione di elementi già iscritti.

Non è consentita l’iscrizione di atti non previsti dalla legge.

Procedimento

Le iscrizioni devono essere fatte nel registro delle imprese della provincia in cui l’impresa ha la sede e, per agevolare le ricerche da parte dei terzi, negli atti e nella corrispondenza deve essere indicato il registro presso il quale l’iscrizione è avvenuta.

L’iscrizione è eseguita su domanda dell’interessato, ma può avvenire anche d’ufficio se l’iscrizione è obbligatoria e l’interessato non vi provvede.

D’ufficio può anche essere disposta la cancellazione di un’iscrizione avvenuta senza che esistano le condizioni richieste dalla legge e la cancellazione di un’impresa che ha cessato l’attività.

Prima di procedere all’iscrizione, l’ufficio di registro deve controllare sia la regolarità formale della documentazione, sia l’esistenza e la veridicità dell’atto o del fatto (regolarità sostanziale).

L’ufficio non può rilevare eventuali cause di nullità o annullabilità dell’atto.

Page 12: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

L’iscrizione è eseguita mediante inserimento dei dati nella memoria dell’elaboratore elettotronico.

Sanzioni

L’inosservanza dell’obbligo di registrazione è punita con sanzioni pecuniarie amministrative, ma non è più motivo di esclusione dal beneficio del concordato preventivo.

Effetti

Riguardo agli effetti dell’iscrizione, bisogna distinguere tra:

Iscrizione nella sezione ordinaria

ha funzione di pubblicità legale, cioè non solo serve a rendere conoscibili i dati pubblicati, ma può anche avere:

a)efficacia dichiarativa

di regola l’iscrizione nella sezione ordinaria ha efficacia dichiarativa, la quale comporta che i fatti e gli atti iscritti sono opponibili a chiunque dal momento della loro registrazione (efficacia positiva immediata).

I terzi, intervenuta la registrazione, non potranno eccepire l’ignoranza dell’atto iscritto (art. 2193 2° comma cc) e qualsiasi prova data sarà inutile.

Un temperamento a questa regola è previsto per le società di capitali in quanto l’opponibilità diventa piena solo dopo 15 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese e durante tale periodo i terzi sono ammessi a provare di essere stati nell’impossibilità di aver conoscenza dell’atto iscritto (art. 2448 2° comma cc).

L’omessa iscrizione invece impedisce che il fatto possa essere opposto ai terzi (efficacia negativa).

L’imprenditore che ha omesso la registrazione può provare che i terzi hanno comunque avuto conoscenza effettiva del fatto.

b)efficacia costitutiva

In alcune ipotesi, tassativamente previste, l’iscrizione è presupposto perché l’atto sia produttivo di effetti:

-sia fra le parti che per i terzi (efficacia costitutiva totale)

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Ha questa efficacia l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto costitutivo delle società di capitali e delle società cooperative.

Prima della registrazione questi due tipi di società non esistono giuridicamente

o

-solo nei confronti dei terzi (efficacia costitutiva parziale).

Ha questa efficacia la registrazione della deliberazione di riduzione reale del capitale sociale di una società in nome collettivo.

L’omissione impedisce il decorso del termine di 3 mesi entro il quale i creditori possono proporre opposizione e perciò la riduzione del capitale, anche se attuata, è per loro improduttiva di effetti.

c)efficacia normativa

L’iscrizione in alcuni casi è presupposto per l’applicazione di un determinato regime giuridico.

E’ il caso della società in nome collettivo e della società in accomandita semplice, le quali vengono ad esistenza anche se non registrate, ma la mancata registrazione impedisce che operi il regime di autonomia patrimoniale proprio di tali società e comporta l’applicazione del più gravoso regime dettato per la società semplice.

In tal caso la società si definisce irregolare.

Iscrizione nella sezione speciale

ha solo funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia, cioè consente di prendere conoscenza dell’atto iscritto, ma non lo rende opponibile ai terzi dovendosi a tal fine sempre provare l’effettiva conoscenza da parte degli stessi.

-Per gli imprenditori agricoli (anche piccoli) e per le società semplici esercenti attività agricole, l’art. 2 d.lgs 228 del 2001 ha stabilito che l’iscrizione nella sezione speciale ha anche efficacia di pubblicità legale.

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SCRITTURE CONTABILI

OBBLIGO DI TENUTA DELLE SCRITTURE CONTABILI

Nozione

Le scritture contabili sono i documenti che contengono la rappresentazione, in termini quantitativi e/o monetari, dei singoli atti di impresa, della situazione del patrimonio dell’imprenditore e del risultato economico dell’attività svolta.

Esse contribuiscono a rendere efficiente l’organizzazione e la gestione dell’impresa e perciò sono di regola spontaneamente tenute da qualsiasi imprenditore.

La tenuta delle scritture contabili è invece obbligatoria per gli imprenditori che esercitano attività commerciale, con esclusione dei piccoli imprenditori.

Inoltre le società commerciali (tutte tranne la società semplice) e gli enti sociali sono obbligati alla loro tenuta anche se non esercitano attività commerciale.

SCRITTURE CONTABILI OBBLIGATORIE

Il legislatore ha risolto il problema della determinazione delle scritture che devono essere obbligatoriamente tenute, optando per una soluzione di tipo misto, fissata dall’art. 2214 cc.

La norma pone il principio generale che l’imprenditore deve tenere tutte le scritture contabili “che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’imprese”.

Stabilisce inoltre che in ogni caso devono essere tenuti determinati libri contabili, cioè il libro giornale e il libro degli inventari.

Infine devono essere conservati per ogni affare, gli originali della corrispondenza commerciale (lettere, fatture, telegrammi) ricevuta e le copie di quella spedita.

Libro giornale

E’ un registro cronologico-analitico.

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L’art. 2216 cc stabilisce che in esso devono essere indicate “giorno per giorno le operazioni relative all’esercizio dell’impresa”.

Questa norma va intesa in senso elastico, poiché baste che le operazioni siano registrate nell’ordine in cui sono compiute e non necessariamente il giorno stesso del loro compimento.

Il libro giornale può essere articolato in libri parziali in relazione alle articolazioni dell’impresa.

Libro degli inventari

E’ un registro periodico-sistematico.

Deve essere redatto all’inizio dell’esercizio dell’impresa e successivamente ogni anno.

Ha la funzione di fornire il quadro della situazione patrimoniale dell’imprenditore e perciò deve contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e delle passività dell’imprenditore, anche estranee all’impresa (art. 2217 1° comma cc).

L’inventario si chiude con il bilancio (art. 2217 2° comma cc), cioè un prospetto contabile riassuntivo dal quale devono risultare la situazioni complessiva del patrimonio alla fine di ciascun anno (stato patrimoniale) e gli utili conseguiti o le perdite sofferte nel medesimo arco di tempo (conto economico) .

La redazione del bilancio è disciplinata in tema di società per azioni (artt. 2423-2435 bis cc) e il 2217 2° comma rinvia a questa disciplina.

Quindi tutti gli imprenditori devono osservare, in quanto compatibili, le disposizioni che disciplinano il bilancio della società per azioni.

Altre scritture

Il principio generale impone poi la tenuta di tutte le altre scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa.

Es. 1 libro mastro nel quale le singole operazioni sono registrate non cronologicamente ma sistematicamente (per tipo di di operazione, per cliente…)

Es. 2 libro cassa che contiene le entrate e le uscite di danaro

Es. 3 libro magazzino che registra le entrate e le uscite di merci.

L’imprenditore dovrà tenere anche i libri e le scritture contabili prevista dalla legislazione tributaria (es. libro dei cespiti ammortizzabili) e da quella lavoristica (es. libro paga).

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REGOLARITA’ DELLE SCRITTURE CONTABILI. EFFICACIA PROBATORIA

Per garantire la veridicità delle scritture contabili e per impedire la loro alterazione, è imposta l’osservanza di determinate regole formali e sostanziali nella loro tenuta.

Formalità estrinseche

Le regole formali sono state tuttavia progressivamente ridotte per agevolare la tenuta mediante procedure informatiche.

In base all’attuale disciplina, il libro giornale e il libro degli inventari devono essere solo numerati progressivamente pagina per pagina prima di essere messi in uso.

Sono state soppresse invece la vidimazione annuale e recentemente anche l’obbligo della bollatura, foglio per foglio, da parte dell’ufficio del registro delle imprese o di un notaio.

Formalità intrinseche

Tutte le scritture contabili devono essere tenute “secondo le norme di una ordinata contabilità” (art. 2219 cc), in particolare senza spazi in bianco, senza abrasioni ed in modo che le parole cancellate restino leggibili.

E’ consentita la tenuta con sistemi informatici.

Inosservanza delle regole e sanzioni

L’inosservanza di tali regole rende le scritture irregolari e quindi giuridicamente irrilevanti.

Le scritture contabili e la corrispondenza commerciale devo essere conservate per 10 anni e la conservazione può avvenire anche su supporti informatici.

L’imprenditore che non tiene regolarmente le scritture contabili non può utilizzarle come mezzo di prova a suo favore (art. 2720 cc).

Inoltre viene assoggettato alle sanzioni penali per i reati di bancarotta semplice o fraudolenta in caso di fallimento.

L’ordinata tenuta della contabilità non è più invece requisito di ammissione al concordato preventivo.

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Efficacia probatoria

-Le scritture contabili, siano o meno regolarmente tenute, possono sempre essere utilizzate dai terzi come mezzo processuale di prova contro l’imprenditore che le tiene.

Il terzo non può però avvalersi solo della parte a lui favorevole.

L’imprenditore potrà dimostrare che le proprie scritture non rispondono a verità.

-Perché invece l’imprenditore possa utilizzare le proprie scritture come mezzo di prova contro i terzi, sono necessarie 3 condizioni:

a)le scritture devono essere regolarmente tenute

b)la controparte deve essere un imprenditore (obbligato alla tenuta delle scritture contabili)

c)la controversia deve essere relativi a rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa.

In ogni caso è rimesso all’apprezzamento del giudice riconoscere valore probatorio alle scritture contabili.

L’imprenditore ha particolari obblighi professionali specifici: l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, e la tenuta delle scritture contabili e della documentazione delle operazioni dell’impresa. Ce ne è un altro poi generale che la legge non pone, riguarda l’osservanza delle regole di correttezza professionale. Si tratta di obblighi personali e della loro inosservanza risponde l’imprenditore anche se l’esecuzione di essi sia stata affidata ai dipendenti. La colpa e il dolo di questi, non esimono l’imprenditore dalla responsabilità. Nel caso l’impresa sia esercitata a mezzo di un rappresentante legale gli obblighi professionali, ricadono sul rappresentante generale, o anche su questi.

REGISTRO DELLE IMPRESE: è un pubblico registro tenuto da un apposito ufficio- l’ufficio del registro delle imprese presso la camera di commercio- e posto sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale del capoluogo di provincia. (2188). È un istituto che opera sul piano della pubblicità, e lo scopo è quello di portare a conoscenza degli altri, elementi che hanno rilievo nelle contrattazioni, ma anche sul piano della responsabilità. I fatti e gli atti da registrare riguardano elementi di individuazione dell’impresa( dati anagrafici, oggetto, sede, ditta, inizio e fine della attività, dati anagrafici di eventuali collaboratori), e la struttura organizzativa della società ( atto costitutivo e sue modificazioni, nomina e revoca degli amministratori). ( 2196). Nella espressione iscrizione si ricomprendono l’annotazione di un fatto nuovo, la cancellazione di un fatto scritto e la rettificazione di un fatto scritto. Il registro è articolato in una sezione ordinaria ove sono iscritti con effetti di pubblicità legale gli imprenditori commerciali, e in tre sezioni speciali 1) imprenditori agricoli, piccoli imprenditori e società semplici con effetti di pubblicità dichiarativa 2) società tra professionisti con pubblicità notizia e 3) pubblicità dei legami di gruppo. L’iscrizione si esegue su domanda sottoscritta dell’interessato ( 2189), oppure d’ufficio se l’iscrizione obbligatoria non è stata richiesta dall’interessato. (2190). Prima di procedere all’iscrizione l’ufficio deve

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accertare l’autenticità della sottoscrizione e il concorso delle condizioni richieste dalla legge( 2189), inoltre l’ufficio sentito l’interessato se l’iscrizione è avvenuta senza che esistano le condizioni previste dalla legge ne ordina la cancellazione con decreto. ( 2191). L’accertamento dell’ufficio deve limitarsi al riscontro della corrispondenza del fatto dichiarato a quello previsto dalla legge, oppure si estende alla verità del fatto. Sembra che l’accertamento dell’ufficio debba riguardare anche l’esistenza del fatto, consentendo una presunzione di verità dei fatti iscritti. È escluso invece ogni controllo sulla validità intrinseca dell’atto: ( profili di regolarità formale).Contro il rifiuto della iscrizione è ammesso ricorso al giudice del registro il quale provvede mediante decreto impugnabile dinanzi al tribunale( 2189). Il registro delle imprese conosce tre tipi di pubblicità : DICHIARATIVA: è una sorta di privilegio mediante il quale l’imprenditore è in grado di ottenere a prescindere dalla conoscenza di terzi , l’opponibilità di fatti rilevanti per i rapporti con essi instaurati. Quindi avvenuta l’iscrizione l’opponibilità si ottiene anche se i terzi non hanno avuto la possibilità materiale di conoscere l’iscrizione stessa e i vari fatti. Mentre la possibilità di opporre fatti non iscritti presuppone che i terzi ne abbiano avuto conoscenza e che l’imprenditore sia in grado di fornirne la prova, non è sufficiente che terzi avessero la possibilità di conoscerli usando la normale diligenza. (2193). NOTIZIA : persegue finalità di trasparenza delle attività economiche, e non è uno strumento per l’opponibilità ai terzi. COSTITUTIVA: si riscontra nelle società di capitali, per esse infatti l’iscrizione rappresenta un fatto necessario per la produzione di determinati effetti, per esempio se manca l’iscrizione dell’atto costitutivo una s.p.a. o una s.r.l. non sorge addirittura. In fine l’iscrizione in una sezione speciale, non è sufficiente se si era tenuti ad iscriversi in quella ordinaria, invece nel caso inverso ciò non basta per ottenere i risultati propri della pubblicità dichiarativa.

TENUTA DELLA CONTABILITA’: la funzione della contabilità di tutti i dati relativi alla gestione dell’impresa è strumento di controllo sull’andamento dell’impresa e sull’operato dei dipendenti. L’imprenditore deve tenere il libro giornale, ed il libro degli inventari, e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere , dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi, e delle fatture spedite. ( 2214) oltre a questo obbligo c’è anche quello della conservazione, anche sotto forma di registrazioni su supporti di immagini dei registri contabili ed delle fatture e della corrispondenza per il periodo di 10 anni dall’ultima scritturazione. (2220). Dovendo i libri contabili adeguarsi alla natura ed alle dimensioni dell’impresa, ed essendo rimesso tale adeguamento all’apprezzamento discrezionale dell’imprenditore , non è possibile una distinzione tra libri facoltativi e libri obbligatori. I libri contabili devono essere tenuti con l’osservanza di determinare formalità, atte ad assicurare la veridicità delle annotazioni. Le formalità possono essere estrinseche cioè attinenti alla esteriorità dei registri nei quali le annotazioni debbono essere fatte e formalità intrinseche , ossia attinenti al modo in cui le annotazioni debbono essere compiute. Le formalità estrinseche possono essere iniziali e ricorrenti. Ossia i libri devono essere numerati, progressivamente in ogni pagina, e qualora sia previsto l’obbligo della bollatura, o della vidimazione devono essere bollati in foglio. ( 2215). La legge impone che le scritture siano tenute secondo le norme di una ordinata contabilità, senza spazi in bianco e senza trasporti in margine. (2219). Il libro giornale deve indicare giorno per giorno le operazioni relative all’esercizio dell’impresa. (2216). Nel libro degli inventari si tiene l’inventario comprensivo del bilancio che si compone del conto patrimoniale, e del conto economico. L’inventario deve essere redatto all’inizio dell’esercizio dell’impresa, e successivamente ogni anno. (2217).Le annotazioni nelle scritture contabili hanno efficacia probatoria, non solo contro l’imprenditore ma anche a suo favore. Contro l’imprenditore le scritture contabili fanno prova anche se la contabilità non è stata, tenuta con l’osservanza delle prescrizioni di legge. A favore dell’imprenditore le scritture contabili, possono far prova solo se siano contenute in registri o documenti informatici, per le quali siano state osservate le formalità estrinseche ed intrinseche prescritte dalla legge e purchè si tratti di controversia tra imprenditori per causa inerente all’esercizio dell’impresa. L’efficacia probatoria delle

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scritture contabili a favore dell’imprenditore non è automatica, ma rimessa all’apprezzamento del giudice. Le scritture contabili possono essere acquisite nella loro totalità (comunicazione) o invece in singole registrazioni( esibizione). La comunicazione può essere ordinata dal giudice solo in ipotesi eccezionali(scioglimento società, successioni per causa di morte). La esibizione è ammessa senza limitazioni. La comunicazione deve essere richiesta dalle parti, l’esibizione può essere disposta anche d’ufficio.

Responsabilità dell’imprenditore: l’imprenditore deve uniformarsi nell’esercizio dell’impresa ai principi dell’ordinamento corporativo ed agli obblighi che ne derivano, e risponde verso lo stato dell’indirizzo della produzione e dello scambio in conformità della legge e delle norme corporative. Ora in seguito alla abrogazione implicita dell’articolo 2088, un esempio di responsabilità può ravvisarsi nell’articolo 28 dello statuto dei lavoratori, dove si ammette che i comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della attività sindacale o del diritto di sciopero, sono sanzionati. Una forma speciale di responsabilità civile dell’imprenditore è stata introdotta con l’attuazione della direttiva 85/ 374/CEE, in tema di responsabilità per danno da prodotti difettosi. Il danneggiato deve provare il difetto, ossia il danno e la connessione causale tra difetto e danno.

Lo statuto dell’imprenditore non è identico per tutte le categorie di imprese. Accanto allo statuto generale, vi sono statuti speciali applicabili a singole categorie di imprenditori: è imprenditore soggetto ad iscrizione nel registro delle imprese chi esercita una delle seguenti attività: A) attività industriali dirette alla produzione di beni e servizi ( imprese industriali), B) attività di intermediazione di nella circolazione dei beni ( imprese commerciali), C) le attività che realizzano la dislocazione nello spazio delle cose o delle persone (imprese di trasporto), D) attività bancarie, consistenti soprattutto nella raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito ( imprese bancarie),E) attività assicurative ( imprese di assicurazioni), F) attività che agevolano l’attività di altre imprese e che rispetto a queste hanno una funzione complementare( imprese ausiliarie).

Da tempo ,ha assunto soprattutto nella legislazione speciale, rilevanza elemento dimensionale. I criteri prescelti sono diversi anche se si fa riferimento costantemente al capitale investito e al numero dei soggetti occupati.

La qualità di imprenditore si acquista attraverso l’esercizio professionale di una attività economica organizzata. L’esercizio tuttavia deve attuarsi in nome proprio, perché solo in questa ipotesi le conseguenze giuridiche degli atti posti in essere ricadono nella sfera giuridica della persona che li compie. Se l’esercizio dell’impresa si attua mediante rappresentate legale, o volontario l’acquisto della qualità di imprenditore ricade sul rappresentato. Si ribadisce che nel campo giuridico, imprenditore è colui che ha l’iniziativa ed il rischio dell’impresa. Iniziativa intesa come potere di gestione e rischio inteso come responsabilità. Nel caso di esercizio dell’impresa da parte di un rappresentante legale o volontario, si determina una dissociazione tra colui che esercita il potere di gestione e l’imprenditore sul quale incombe solo la responsabilità.

Imprenditore occulto: anche nel sistema vigente il criterio della spendita del nome stabilisce che è imprenditore il soggetto il cui nome è validamente speso nella attività di impresa. È largamente diffuso l’esercizio dell’impresa tramite interposta persona. Uno è il soggetto che compie gli atti di impresa in proprio nome ( prestanome o imprenditore palese), altro è il soggetto che somministra al primo tutti i mezzi finanziari necessari e dirige di fatto l’impresa e fa propri i guadagni pur non palesandosi come imprenditore di fronte ai terzi( imprenditore occulto, indiretto). Poiché il prestanome ha agito in proprio nome è lui che acquista la qualità di imprenditore, è lui il responsabile degli atti di impresa soggetto a possibile fallimento. Ora ci si chiede tali conseguenze non si producano anche a carico dell’imprenditore

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occulto. Bisogna allora distinguere tra agire per mezzo di altri, cioè per mezzo di un gestore ed agire sotto nome altrui attraverso un prestanome. Quando si agisce per mezzo di altri l’attività volitiva è di colui che spende il proprio nome, e questo deve rispondere degli atti commessi anche con il proprio patrimonio, quando si agisce invece sotto nome altrui la volontà è del titolare dell’interesse non del prestanome. Per cui in questo secondo caso se imprenditore rima ne colui che spende il proprio nome, e cioè il prestanome la responsabilità di impresa si estende anche a colui che sta dietro le quinte, e cioè all’imprenditore occulto che è anche soggetto a fallimento. Va precisato che tale estensione riguarda la responsabilità e no gli obblighi professionali e personali di iscrizione al registro delle imprese e tenuta della contabilità che continuano a gravare sul prestanome.

CESSAZIONE DELL’IMPRESA : LA FINE DELL’IMPRESA

La versione originaria dell’art. 10 legge fall disponeva che l’imprenditore commerciale poteva essere dichiarato fallito entro un anno dalla cessazione dell’impresa.

Acquisiva quindi rilievo l’esatta determinazione del giorno di cessazione dell’attività di impresa.

Per quanto riguarda l’imprenditore individuale, la giurisprudenza affermava che la fine dell’impresa era dominata dal principio di effettività, in quanto la qualità di imprenditore si perdeva solo con l’effettiva cessazione dell’attività.

Fase di liquidazione

La fine dell’impresa è di regola preceduta da una fase di liquidazione, durante la quale l’imprenditore completa i cicli produttivi iniziati, vende le giacenze di magazzino e gli impianti, licenzia i dipendenti, definisce i rapporti pendenti.

Non vi erano dubbi che questa fase, regolata solo per le società, costituisse esercizio dell’impresa e che quindi la qualità di imprenditore si perdesse solo con la chiusura della liquidazione, la quale si ha con la definitiva disgregazione del complesso aziendale.

Situazione previgente

-Per l’imprenditore individuale la giurisprudenza riconosceva che non era necessaria la completa definizione dei rapporti sorti durante l’esercizio dell’impresa (cioè che fossero stati riscossi i crediti e pagati i debiti).

Se l’impresa doveva ritenersi in vita fin quando sopravvivono passività, l’art. 10 legge fall sarebbe stata norma priva di significato.

-Per le società, la giurisprudenza, con atteggiamento di favore per i creditori ritardatari, ha ritenuto che fosse necessaria la cancellazione dal registro delle imprese e la completa definizione dei rapporti pendenti.

L’art. 10 legge fall era così cancellato per le società.

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Interventi della Corte Costituzionale

Questa disparità di trattamento arrivò al giudizio della Corte Costituzionale che dichiarò incostituzionale l’art. 10 legge fall poiché non prevedeva che il termine annuale decorresse per le società dal momento della cancellazione dal registro.

Successivamente la Consulta manifestò l’orientamento che analogo principio dovesse valere anche per l’imprenditore individuale, facendo però salva la possibilità per i creditori di dimostrare la prosecuzione dell’attività di impresa anche dopo la cancellazione.

Nuova disciplina

Tali interventi sono sfociati nella riforma della norma, che è stata riscritta con il d.lgs 5 del 2006, e corretta con il d.lgs 169 del 2007.

Il nuovo art. 10 legge fall dispone che gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese.

In caso di impresa individuale (imprenditori persone fisiche) o di cancellazione d’ufficio degli imprenditori collettivi (società), è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività , da cui decorre il termine di un anno per essere dichiarati falliti.

CAPITOLO 4 : gli ausiliari dell’imprenditore: L’imprenditore necessariamente si avvale nello svolgimento della sua attività della collaborazione di altre persone. Questa collaborazione si attua mediante la prestazione di attività da parte di persone estranee all’organizzazione dell’impresa e che si pongono di fronte all’imprenditore in posizione di indipendenza(liberi professionisti o collaboratori esterni autonomi): tra costoro si pone in posizione differenziata, la categoria dei lavoratori parasubordinati. Normalmente però, la collaborazione si attua mediante la prestazione di attività da parte di persone che agiscono nell’ambito della impresa e si pongono rispetto all’imprenditore, in una posizione di subordinazione. ( ausiliari dipendenti o collaboratori interni).

L’impresa è anzitutto organizzazione del lavoro; infatti in tale senso l’articolo 2082 parla di attività organizzata. Attività organizzata, appunto attività di gruppo, che si svolge attraverso una distribuzione di competenze di funzioni sulla base di un principio di gerarchia. Questo aspetto della impresa, è evidente nelle disposizioni 2082,2083 e soprattutto 2086 dove si ammette che l’imprenditore è il capo della impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori. Indubbiamente la tendenza almeno nel momento in cui fu elaborata la costituzione, era nel senso di inquadrare i rapporti di lavoro tra i rapporti di collaborazione e l’impresa nella categoria delle istituzioni; di considerare cioè i diversi soggetti che alla attività imprenditrice partecipano come operanti in vista della realizzazione di un interesse comune. Anche nel nostro sistema giuridico, l’espresso riconoscimento della funzione sociale del fenomeno cooperativo , e l’espresso riconoscimento del diritto dei lavoratori a collaborare nella gestione dell’impresa contenuti negli articolo 45 e 46 della carta costituzionale, sono indubbiamente in questo senso. Tuttavia queste scelte costituzionali, non hanno trovato, un riscontro nella successiva legislazione. Infatti il lavoratore si contrappone all’imprenditore al quale è legato da un contratto che pone diritti ed obblighi reciproci

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esattamente determinati. Certo il contratto di lavoro, è un contratto a prestazioni corrispettive, che ha per oggetto la prestazione di una attività umana alle dipendenze di un altro uomo. L’ordinamento non trascura che di mezzo vi è di mezzo la persona umana e intende assicurare al lavoratore il rispetto della sua dignità di uomo. Questa tutela peraltro si realizza, non direttamente ma tramite il contratto di lavoro. La tutela del lavoratore considerato come contraente più debole, continua a realizzarsi attraverso la contrattazione collettiva o attraverso la posizione di norme inderogabili a tutela della sua personalità. Anche quando con la legge numero 604 del 1966, si è inteso assicurare al lavoratore, una stabilità nel senso che lo scioglimento del rapporto possa avvenire solo per giusta causa, e limitando il potere di recesso dell’imprenditore. Solo però con lo statuto dei lavoratori, ( legge numero 300 del 1970) ci si muove su posizioni diverse : non ci si ancora più al contratto di lavoro, ma si considera la posizione del lavoratore nell’impresa. Quindi la tutela del lavoratore, non si ricerca più operando sulla disciplina contrattuale, ma si ricerca operando sulla tutela della personalità. Anche nello statuto dei lavoratori si accetta l’idea che l’impresa sia e debba rimanere una formazione sociale asimmetrica, ossia organizzata sulla base di posizioni di diversità e disuguaglianza: su una posizione di autorità dell’imprenditore e di soggezione del lavoratore. Questa disuguaglianza trova la sua base necessaria nella diversità di interessi, che imprenditore e lavoratore perseguono entro l’impresa. Tuttavia, l’autorità dell’imprenditore non deve comportare una menomazione della personalità del lavoratore.

L’impresa come formazione sociale: anche se l’impresa si presenta come formazione sociale asimmetrica, limiti alla personalità dell’imprenditore e principi di tutela della dignità umana sono presenti nel comma 2 dell’ articolo 41 della costituzione , poi ripresi nello statuto dei lavoratori. Nella impresa deve trovare concreta realizzazione il diritto alla conservazione del posto di lavoro, e l’assurgere di questo interesse dei lavoratori ad interesse giuridicamente rilevante e protetto nonché il diritto ad una adeguata retribuzione determina una profonda modificazione nei rapporti imprenditore- lavoratore. Fino a quando l’unico interesse protetto giuridicamente del lavoratore era quello alla giusta retribuzione, l’imprenditore era libero di far cessare il rapporto di lavoro in qualsiasi momento, e le vicende d’impresa riguardavano solo l’imprenditore. Quali che fossero i risultati della attività economica, positivi o negativi, la retribuzione del lavoratore era la stessa e doveva essere corrisposta nella misura pattuita anche se la gestione di impresa avesse portato ingenti perdite. Solo in caso di insolvenza dell’imprenditore, le vicende della impresa avrebbero potuto ripercuotersi indirettamente sulla posizione del lavoratore. Ma quando con la legislazione sui licenziamenti individuali, e soprattutto con lo statuto dei lavoratori si è assicurata a questi la stabilità e la reintegrazione del posto di lavoro, nel caso di licenziamento illegittimo, allora le vicende dell’impresa incidono direttamente sui lavoratori in quanto possono determinare perdita del posto lavorativo. Conseguenza logica è ormai la tendenza ad assicurare ai lavoratori una posizione di potere anche in quel campo che in passato era solo dell’imprenditore, ossia il campo dell’organizzazione e dell’esercizio della attività economica, posizione di potere che è destinata ad incidere sulle scelte dell’imprenditore. I lavoratori non possono più disinteressarsi della azione economica dell’imprenditore, e non possono lasciare a questo piena libertà di determinazione: i risultati economici se non possono compromettere, il diritto alla retribuzione possono però compromettere il diritto alla conservazione del posto di lavoro, quindi emerge l’interesse dei lavoratori ad intervenire in qualche modo nelle stesse decisioni imprenditoriali. Ecco che si è introdotto il principio volto realizzare l’interesse dei lavoratori attraverso la partecipazione di questi alla gestione; il che non significa superamento della conflittualità, ma che postuli congegni particolari per il suo superamento. I lavoratori non intendono assumere i poteri e le responsabilità proprie degli imprenditori, ma intendono controllarne le determinazioni ed i programmi, per assicurarsi che essi non ledano i loro interessi. Per esempio in caso di trasferimento di azienda ove siano occupati più di 15

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lavoratori, si impone all’alienante l’obbligo di comunicazione alle rappresentanze sindacali e su richiesta di queste un obbligo di consultazione ad esame congiunto.

La inserzione del lavoratore nella organizzazione di impresa, e la posizione del lavoratore nell’ambito della stessa sono rilevanti per il diritto. La posizione del lavoratore si autonomizza, ed ha un contenuto più complesso di quello che corrisponde alla sua posizione entro il contratto. Ma questa posizione e questa inserzione non sono l’effetto immediato del contratto di lavoro quanto l’effetto dell’atto di preposizione. Sulla base di questo atto , il lavoratore viene ad assumere una determinata qualifica dalla quale dipende non solo la sua posizione entro l’impresa ma anche una posizione personale che va al di là del contratto. Tale qualifica di solito coincide con quella prevista nel contratto di lavoro, ma tale coincidenza non è necessaria, perché l’imprenditore può adibire al lavoratore mansioni diverse purchè superiori o equivalenti alle ultime svolte senza diminuzione del compenso, in questo caso la qualifica si desume dalle mansioni effettivamente esercitate, andando in secondo piano quanto previsto nel contratto. Esistono le qualifiche di : 1) Dirigente: potere di gestione, autonomia di direzione e con assunzione di responsabilità per l’andamento della impresa. 2) Quadro: funzioni di rilevante importanza svolte in modo continuativo ai fini degli obiettivi di impresa. 3) Impiegato: potere di iniziativa e di controllo con un minimo di discrezionalità. 4) Operaio: collaboratore nel campo solo esecutivo. 5) Apprendista: contratto di tirocinio, o di inserimento. Alla fine di tutto rileva comunque l’obbligo di fedeltà del lavoratore, che non deve fare affari in concorrenza con l’imprenditore.

La collaborazione può avvenire, nel campo tecnico e cioè attenere al compimento di attività intellettuali o manuali o nel campo giuridico, e cioè concretarsi nel compimento di una attività giuridica in luogo e vece dell’imprenditore. Normalmente vi è una interdipendenza tra queste due forme di collaborazione. Anzi una delle caratteristiche della collaborazione nell’impresa è quella di compiere una attività giuridica nell’interesse dell’imprenditore come insito nelle attribuzioni tecniche affidate al dipendente. Si parla così di potere di rappresentanza attribuito dall’imprenditore al lavoratore, in considerazione delle funzioni tecniche ad esso commesse. INSTITORE

Nozione

L’art. 2203 cc stabilisce che l’institore è colui che è preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa (1° comma) o di una sede secondaria o di un ramo particolare della stessa (2° comma). Nel linguaggio comune è il direttore generale dell’impresa o di una filiale o di un settore produttivo.

Posizione nell’impresa

L’institore è di regola un lavoratore subordinato con la qualifica di dirigente, posto al vertice della gerarchia del personale. Con un potere di iniziativa e di autonomia pressoché equivalente a quello dell’imprenditore in una cerchia di attività costituenti una unità organica. Egli non deve compire specifici atti o particolari compiti, egli deve esercitare una attività.

Vertice assoluto se è preposto all’intera impresa ed in tal caso dipenderà solo dall’imprenditore.

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Vertice relativo se è preposto ad una filiale o ad un ramo dell’impresa ed in tal caso potrà trovarsi in posizione subordinata anche rispetto ad altro institore (es. direttore generale dell’intera impresa).

E’ possibile che più institori siano preposti contemporaneamente all’esercizio dell’impresa ed in tal caso essi agiranno disgiuntamente se nella “procura” non è diversamente previsto.( articolo 2203 3 comma).

Potere di gestione generale. Obblighi

In ogni caso l’institore deve essere investito dall’imprenditore di un potere di gestione generale. A cui si aggiunge il potere di rappresentanza.

Questa posizione comporta che l’institore è tenuto, congiuntamente con l’imprenditore, all’adempimento degli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili dell’impresa o della sede cui è preposto (art. 2205 cc).

In caso di fallimento dell’imprenditore troveranno applicazione anche nei confronti dell’institore le sanzioni penali a carico del fallito (art. 227 legge fall), fermo restando che solo l’imprenditore potrà essere dichiarato fallito ed esposto agli effetti personali e patrimoniali del fallimento.

Potere di rappresentanza generale

L’institore deve poi essere investito dall’imprenditore di un potere di rappresentanza generale (art. 2204 cc).

-Rappresentanza sostanziale

anche in mancanza di espressa procura, l’institore può compiere in nome dell’imprenditore “tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa”. Senza che vi sia particolare conferimento di poteri. Salve le limitazioni contenute nella procura. Tutti gli atti che l’institore può compiere sono sempre nei limiti della preposizione. La pertinenza dell’atto all’esercizio della impresa è elemento necessario perché l’imprenditore sia vincolato.

Non può invece compiere atti che eccedono dall’esercizio dell’impresa quali, ad esempio, la vendita o l’affitto dell’azienda e il cambiamento dell’oggetto dell’attività.

Inoltre gli è vietato di alienare o ipotecare i beni immobili del preponente, se non è stato autorizzato.

Le limitazioni possono riguardare atti singoli , non possono giungere sino al punto di vuotare di contenuto la preposizione institoria.

-Rappresentanza processuale

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l’institore può stare in giudizio, sia come attore (rappresentanza processuale attiva), sia come convenuto (rappresentanza processuale passiva) per “le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio dell’impresa a cui è preposto”, quindi non solo per gli atti da lui compiuti, ma anche per quelli posti in essere direttamente dall’imprenditore.

I poteri rappresentativi dell’institore possono essere ampliati o limitati dall’imprenditore, sia all’atto della preposizione, sia in un momento successivo.

Le limitazioni saranno opponibili ai terzi solo se la “procura” originaria o il successivo atto di limitazione siano stati pubblicati nel registro delle imprese, salva la prova da parte dell’imprenditore che i terzi conoscevano l’esistenza di limitazioni al momento della conclusione dell’affare.

Principi analoghi valgono anche per la revoca della procura.

La preposizione institoria, può effettuarsi in qualsiasi forma. Tuttavia essendo la procura institoria soggetta a pubblicità nel registro delle imprese, l’atto scritto è necessario per la pratica attuazione della pubblicità. (2206). Come deve essere pubblicata la procura institoria, così debbono essere pubblicate le modificazioni o la revoca di essa e ciò anche se la procura non fu pubblicata. In mancanza le modificazioni e la revoca sono opponibili al terzo solo se questi le conosceva. (2207).

Responsabilità

L’institore deve rendere palese al terzo con cui contratta la sua veste, spendendo il nome del rappresentato (art. 1388 cc), affinché l’atto compiuto e i relativi effetti ricadano direttamente sul rappresentato.

Perciò l’institore è personalmente obbligato se omette di far conoscere al terzo che egli tratta per il preponente.

Tuttavia personalmente obbligato è anche il preponente quando gli atti compiuti dall’institore “siano pertinenti all’esercizio dell’impresa a cui è preposto” (art. 2208 cc).

In questo modo si evita che sul terzo contraente ricada il rischio di comportamenti dell’institore che possano generare incertezze circa il reale dominus dell’affare.

PROCURATORI

Nozione

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L’art. 2209 cc stabilisce che i procuratori sono coloro che “in base ad un rapporto continuativo, hanno il potere di compiere per l’imprenditore gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, pur non essendo preposti ad esso”.

Sono quindi degli ausiliari subordinati di grado inferiore rispetto all’institore in quanto, a differenza di questo:

-non sono posti a capo dell’impresa o di un ramo o di una sede secondaria

-il loro potere decisionale è circoscritto ad un determinato settore operativo dell’impresa (è procuratore ad esempio il direttore del settore acquisti). (Campo esecutivo).

Poteri rappresentativi

In mancanza di limitazioni iscritte nel registro delle imprese, i procuratori sono ex lege investiti di un potere di rappresentanza generale dell’imprenditore; generale però rispetto alla specie di operazioni per le quali essi sono stati investiti di autonomo potere decisionale.

Es. il dirigente del settore acquisti potrà compiere in nome dell’imprenditore tutti gli atti che tipicamente rientrano in tale funzione.

Il procuratore:

-non ha la rappresenta processuale dell’imprenditore

-non è soggetto agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili.

Infine l’imprenditore non risponde per gli atti, pur pertinenti all’esercizio dell’impresa, compiuti da un procuratore senza spendita del nome dell’imprenditore stesso.

COMMESSI

Nozione

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I commessi sono ausiliari subordinati cui sono affidate mansioni esecutive o materiali che li pongono in contatto con i terzi.

Es. commesso di negozio.

Poteri rappresentativi

Ai commessi è riconosciuto il potere di rappresentanza dell’imprenditore anche in mancanza di specifico atto di conferimento; potere però più limitato rispetto a quello degli institori e dei procuratori.

L’art. 2210 2° comma cc stabilisce che essi “possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie di operazioni di cui sono incaricati”.

In particolare:

-non possono esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, né concedere dilazioni o sconti che non siano d’uso

-se preposti alla vendita nei locali dell’impresa, non possono esigere il prezzo fuori dei locali stessi (salvo che consegnino quietanza firmata all’imprenditore, né possono esigerlo all’interno dell’impresa se alla riscossione è destinata apposita cassa.

L’imprenditore può ampliare o limitare tali poteri.

Non è previsto un sistema di pubblicità legale e perciò le limitazioni saranno opponibili ai terzi solo se portate a conoscenza degli stessi con messi idonei (es. avvisi affissi nei locali di vendita) o se si prova l’effettiva conoscenza.

CAPITOLO 5 : L’INDIVIDUAZIONE DELL’IMPRESA:

L’impresa economica,deve poter essere individuata e localizzata. L’individuazione può riguardare l’impresa come tale o invece i prodotti o ancora i locali nei quali l’attività imprenditrice si esplica. Sussiste pertanto una pluralità di mezzi di individuazione o disegni distintivi quali la ditta,l’insegna, il marchio: mezzi di individuazione o segni distintivi che la legge tutela, riconoscendone all’imprenditore l’esclusività dell’uso e impedendo che altri se ne avvalga. Questa posizione di esclusività si è pretesa giustificare talora considerando i segni distintivi come creazioni intellettuali : ma a parte che l’attività creatrice può essere insignificante o addirittura mancare ( si pensi all’ipotesi in cui la ditta, l’insegna e il marchio corrispondono al nome dell’imprenditore) , la tutela dei segni distintivi trova il suo fondamento nell’esigenza di individuazione dell’impresa, del locale in cui è esercitata, dei , suoi prodotti ed esclusivamente in questa. Già così si comprendono alcuni caratteri generali della disciplina dei segni distintivi. In primo luogo IL PRINCIPIO DELLA LORO UNITARIETA’ espressamente affermato nell’art. 22 del codice della proprietà industriale di cui al D.Lgs. 10 febbraio 2005 , n. 30: in quanto la fondamentale unitarietà della loro funzione richiede di estendere la tutela anche all’ipotesi in cui l’altrui segno distintivo sia utilizzato in forma diversa, per esempio l’altrui marchio come propria ditta. Quella posizione di esclusività goda in via di principio di una tutela soltanto relativa quando non sussistono possibilità di

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confusione, è infatti possibile l’uso contemporaneo da parte di più persone di uno stesso segno distintivo. Comunque l’eventualità che il segno distintivo assuma un valore proprio sul mercato , un valore cioè suggestivo e attrattivo della clientela.

Anche di esso il legislatore tiene conto disciplinando l’ipotesi in cui, a causa della particolare “rinomanza” del segno, la sua utilizzazione da parte di altri, pur senza determinare confusione, sia in grado di provocare un indebito vantaggio a chi lo utilizza o un pregiudizio al valore del segno stesso. Quindi l’esigenza di speciali requisiti per i segni distintivi, quello della VERITA’ e quello della ORIGINALITA’ : il segno distintivo non può essere scelto in modo da trarre in inganno il pubblico sulla natura dell’impresa o sull’origine e la provenienza del prodotto; il segno distintivo deve essere ORIGINALE e cioè deve avere la capacità distintiva, in quanto solo così può adempiere alla funzione che gli e propria. La TUTELA DEL SEGNO DISTINTIVO si attua quindi per ragioni e su basi essenzialmente diverse da quelle per le quali e sulle quali si attua la tutela delle creazioni intellettuali. Ciò non esclude che in talune ipotesi il segno distintivo possa essere il risultato di una attività creativa , ma in questo caso la tutela della creazione intellettuale si aggiunge a quella del segno distintivo, rimanendone autonoma e indipendente.

LA DITTA: DITTA ORIGINARIA E DITTA DERIVATA

La ditta , il nome sotto il quale l’imprenditore svolge la sua attività non solo questa normalmente impronta di sé gli altri segni distintivi, quali il marchio e l’insegna, ma costituisce , a differenza del marchio e dell’insegna che hanno carattere meramente facoltativo, un mezzo di individuazione necessario dell’impresa economica. Come la persona ha necessariamente un nome, l’impresa ha necessariamente una ditta: questa può corrispondere anche al nome dell’imprenditore , ma questo nome, in quanto è ditta ha un proprio regime giuridico, diverso da quello posto per il nome della persona. Questa diversità si rivela soprattutto sotto due aspetti: 1) pur essendovi esatta corrispondenza nel nome di due imprenditori, n on può sussistere omonimia tra le ditte rispettivamente assunte. Vige il principio che quando la ditta sia uguale o simile a quella usata da altro imprenditore o comunque possa creare confusione, essa debba essere integrata o modificata con indicazioni idonee a differenziarla e l’obbligo di differenzazione grava sulla ditta adottata in epoca cronologicamente successiva o, nel caso di imprese soggette a registrazione, sulla ditta registrata in epoca posteriore( art. 2564 cod.civ.). 2) in quanto il nome , come mezzo di individuazione della persona , cessa ogni funzione con la morte della persona stessa e non può essere trasferito ad altri,mentre la ditta , come mezzo di individuazione dell’impresa, conserva la sua funzione anche quando l’imprenditore sia morto o abbia cessato la sua attività , purchè l’impresa sussista: da ciò la trasmissibilità della ditta in caso di successione pere causa di morte dell’azienda e di continuazione da parte di altri dell’attività imprenditrice. Si è molto discusso in dottrina se la ditta individui l’attività dell’imprenditore o l’azienda. La ditta contraddistingue l’impresa economica,e della quale l’attività dell’imprenditore e l’azienda non sono che aspetti, il solo problema che si può porre è quello se la regolamentazione della ditta si attui prevalentemente su basi soggettive o su basi oggettive. Per quanto riguarda nel l codice italiano per la ditta si riproduca quella prevalenza che, è attribuita all’attività dell’imprenditore rispetto all’azienda. Il collegamento della ditta alla persona dell’imprenditore è chiaro nel 2°comma dell’art 2563 quando si impone che la ditta contenga almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore, e nell’art. 2565 cod. civ. per il quale il trasferimento della ditta non si attua, nel caso di trasferimento o di successione nell’azienda, senza il consenso dell’imprenditore esplicitamente manifestato o legalmente presunto.

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La ditta è nel sistema del codice , piuttosto il mezzo di individuazione della persona in quanto imprenditore, ciò spiega come la tutela della ditta sorga e si ponga autonomamente dalla tutela del nome essenzialmente per le persone fisiche , le quali, svolgendo molteplici attività possono usare mezzi di individuazione diversi per ciascuna di esse, mentre coincida con la tutela della ragione sociale o della denominazione sociale per gli enti collettivi costituiti per l’esercizio dell’impresa . La ragione sociale o la denominazione sociale costituiscono già di per se mezzo di individuazione dell’impresa e pertanto l’art. 2567 rinvia in questa ipotesi alla disciplina dettata per la ragione o denominazione sociale in materia di società , limitandosi a richiamare l’obbligo della differenzazione deposto nell’art, 2564 Quindi la legge prevede che la ditta formata debba contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore; per le ditte derivate, cioè per le ditte che siano state trasmesse in occasione di successione nell’azienda o di trasferimento di essa, questa esigenza non sussiste.

Comunque anche nel codice italiano, non manca un riferimento obiettivo: la ditta è infatti legata oltre che alla persona dell’imprenditore, anche all’azienda e non è pertanto ammissibile un trasferimento della ditta che non sia collegato con il trasferimento dell’azienda.

TUTELA DELLA DITTA

La tutela della ditta si esplica nel riconoscere all’imprenditore l’esclusività dell’uso della ditta da lui

prescelta ( art.2563, 1° comma, cod. civ. ) il che importa da un lato la possibilità di respingere la pretesa altrui diretta a contestare l’uso che egli faccia della ditta, dall’altro lato la possibilità di impedire che altri usi della ditta da lui prescelta. L a tutela si esplica erga omnes: il diritto alla ditta è cioè un diritto assoluto come il diritto al nome. Non è peraltro che si abbia un diritto di proprietà sulla ditta . L a tutela della ditta è, subordinata alla registrazione di essa nel registro delle imprese, registrazione che è consentita soltanto in quanto la ditta abbia i requisiti voluti dalla legge e, se si tratti di ditta derivata, in quanto sia depositata copia dell’atto in base al quale ha avuto la successione nell’azienda. La priorità nella registrazione serve appunto a risolvere i conflitti che, in ordine all’uso della ditta possono insorgere tra imprenditori.( 2564 2 comma). Essendo la ditta un mezzo di individuazione della persona in quanto imprenditore, nulla vieta che siano assunte obbligazioni in tale qualità mediante la spendita della ditta anziché del nome, purchè risulti inequivocabilmente la persona dell’obbligato. Solo per gli atti formali può sorgere il problema se, quando sia richiesta la sottoscrizione, sia sufficiente l’uso della ditta o sia invece necessaria la spendita del nome. Il problema è semplificato dal fatto che la ditta comprende normalmente il nome dell’imprenditore, ma anche quando ciò non accada e purchè si tratti sempre di rapporti inerenti l’esercizio della impresa, sembra innegabile la equiparazione alla sottoscrizione della spendita della ditta.

INSEGNA: IL MARCHIO

5. NOZIONE E FUNZIONI DEL MARCHIO

Il marchio è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa.

Esso è disciplinato sia dall’ordinamento nazionale sia da quello comunitario ed internazionale.

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Il marchio nazionale è regolato dagli artt. 2569-2574 del codice civile e dal codice della proprietà industriale (d.lgs. n. 30 del 10/02/2005, sostitutivo del r.d. n. 929/1942, legge marchi). Inoltre, la disciplina nazionale sui marchi è stata più volte modificata in attuazione delle direttive comunitarie e degli accordi internazionali.

Il marchio comunitario è stato istituito con il regolamento CE n. 40/94 del 20/12/1993. La relativa disciplina permette di ottenere un marchio unico, regolato e tutelato in tutti i paesi dell’Unione Europea.

Il marchio internazionale è disciplinato da due convenzioni internazionali, la Convenzione di Parigi del 1883 e l’Accordo di Madrid del 1891, recentemente integrato dal Protocollo di Madrid del 1989.

Tali normative, basate sulla registrazione del marchio (nazionale, comunitaria, internazionale), riconoscono al titolare del marchio, il diritto all’uso esclusivo dello stesso, così permettendo che il marchio assolva la sua funzione di identificazione e differenziazione dei prodotti similari esistenti sul mercato.

Il marchio costituisce perciò il principale simbolo di collegamento fra produttori e consumatori e svolge quindi un ruolo centrale nella formazione e nel mantenimento della clientela.

Il marchio è anche indicatore della provenienza del prodotto da una fonte unitaria di produzione.

Dopo la riforma del 1992, è caduto il divieto di circolazione del marchio separatamente dall’azienda e soprattutto si è riconosciuta la legittimità del co-uso di uno stesso marchio da parte di più imprenditori concorrenti, sulla base di una licenza di marchio non esclusiva concessa dal titolare dello stesso.

I co-utenti di uno stesso marchio sono tenuti ad assicurare l’omogeneità dei caratteri essenziali e della qualità dei prodotti dello stesso tipo contraddistinti dal marchio comune in modo da evitare che il pubblico sia tratto in inganno.

Fra le funzioni del marchio non può comprendersi quella di garanzia della qualità dei prodotti. Non vi è alcuna norma che assolva una funzione di garanzia della qualità dei prodotti o che vieti al produttore variazioni qualitative della propria produzione.

È dato comune che certi marchi finiscono con l’assumere un’autonoma forza attrattiva dei consumatori. È comprensibile perciò l’interesse dei titolari di marchi celebri a contrastare l’uso degli stessi da parte di altri produttori, anche per prodotti diversi da quelli da loro immessi sul mercato.

Mentre in passato tale interesse è stato ignorato dalla legge, l’attuale disciplina ha recepito la distinzione fra marchi ordinari e marchi celebri, estendendo per quest’ultimi la tutela oltre i limiti segnati dalla necessità di evitare confusione fra prodotti affini, dando così riconoscimento giuridico alla funzione attrattiva degli stessi.

6. I TIPI DI MARCHI

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I marchi possono essere classificati e raggruppati secondo diversi criteri.

In base alla natura dell’attività svolta dal titolare del marchio, distinguiamo:

2 il marchio di fabbrica è il marchio apposto dal fabbricante del prodotto. I beni che subiscono successivi fasi di lavorazione o di assemblaggio, possono presentare anche più marchi di fabbrica.

3 il marchio di commercio è il marchio apposto dal commerciante del prodotto, sia esso un distributore intermedio (grossista) o rivenditore finale. Su uno stesso prodotto possono perciò coesistere più marchi ed in tal caso l’art. 2572, e l’art. 20, 3° comma c.p.i., prevedono che il rivenditore può apporre il proprio marchio ai prodotti che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore.

2 il marchio di servizio è il marchio utilizzato da chi produce servizi (es. imprese di trasporto, banche, ecc.). La forma tipica di questi marchi è quella pubblicitaria, essendo essi posti su materiali pubblicitari o divise.

Altra classificazione dei marchi è fra marchio generale e marchi speciali:

3 si ha marchio generale quando l’imprenditore utilizzerà un solo marchio per identificare tutti i suoi prodotti.

4 si avranno marchi speciali quando utilizzerà più marchi per differenziare i suoi singoli prodotti.

Inoltre è possibile l’uso contemporaneo di un marchio generale e più marchi speciali, quando si vuole evidenziare contemporaneamente l’unità della fonte di produzione e la diversità dei prodotti, (es. FIAT, aziende di cosmetici).

L’imprenditore nella scelta del marchio potrà utilizzare come marchio tutti i nuovi segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, art. 7 c.p.i., purché rispetti i requisiti di validità del marchio.

Il marchio può essere costituito:

2 solo da parole, che può coincidere con il nome della ditta o il nome civile dell’imprenditore, detto marchio denominativo;

3 solo da figure, lettere, cifre, disegni, colori, suoni, detto marchio figurativo;4 sia da parole che da simboli o altro, detto marchio misto.

Il marchio di regola è qualcosa di esterno al prodotto, che si aggiunge al prodotto stesso per indicarne la provenienza. Il marchio può essere costituito dalla forma del prodotto o dalla sua confezione, ed è detto marchio di forma o tridimensionale. Ma secondo l’art. 9 c.p.i., non possono essere registrati come marchio le forme imposte dalla natura del prodotto, quelle necessarie per ottenere un risultato tecnico e quelle che danno un valore sostanziale al prodotto.

Insomma, si deve trattare di una forma arbitraria e capricciosa che consenta l’individuazione del prodotto.

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L’art. 2570 e l’art. 11 c.p.i. , prevedono il marchio collettivo.

Titolare del marchio collettivo è un soggetto che svolge la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi e che, non usa esso il marchio, ma concede l’utilizzo del marchio a produttori o commercianti consociati.

Quest’ultimi si impegnano a rispettare nella loro attività le norme dello statuto fissate dall’ente e a consentire i relativi controlli. (Es. consorzi)

Questi marchio sono utilizzati in aggiunta a quelli individuali.

7. I REQUISITI DI VALIDITA’ DEL MARCHIO

Per essere tutelato giuridicamente il marchio deve rispondere a determinati requisiti di validità:

2 liceità,3 verità,4 originalità,5 novità.

LICEITÀ.

Il marchio non deve contenere:

2 segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume, art. 14, lett. a, c.p.i.

3 stemmi o altri segni protetti da convenzioni internazionali, senza l’autorizzazione dell’autorità competente, art. 10, c.p.i.

4 segni lesivi di un altrui diritto di autore o di proprietà industriale, art. 14, lett. c., c.p.i.

5 l’altrui ritratto, o nome (se persona famosa) senza il consenso dell’interessato o dei suoi eredi, art. 8, c.p.i.

VERITÀ.

L’art. 14, lett. b, c.p.i. vieta di inserire nel marchio segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi.

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ORIGINALITÀ.

Per assolvere alla sua funzione il marchio deve essere originale, cioè deve essere composto in modo da consentire l’individuazione dei prodotti contrassegnati da tutti gli altri prodotti dello stesso genere presente sul mercato.

Il legislatore, all’art. 12 e 13, c.p.i. predetermina i tipi di segni privi di capacità distintiva:

a. le denominazioni generiche del prodotto o del servizio o la loro figura generica. Es. scarpa o la figura di una scarpa.

b. le indicazioni descrittive dei caratteri essenziali, delle prestazioni e della provenienza geografica del prodotto.

c. i segni di uso comune nel linguaggio corrente. Es. super, extra, lusso. Questo divieto è stato posto per impedire l’acquisto di posizioni di monopolio su simboli che nel lessico comune individuano genericamente quel dato prodotto.

Perciò, rispettano il requisito della originalità, quei marchi, detti marchio di fantasia, che utilizzano denominazioni o figure generiche che non abbiano alcuna relazione con il prodotto contraddistinto. Es. sigarette Capri.

Si definiscono marchi deboli quei marchi a cui basta una lieve modifica per escludere la confondibilità con altri marchi. Es. amplifon - udifon.

Sono marchi forti, invece, quei marchi che sono dotati di accentuata capacità distintiva e sono tali i marchi di pura fantasia. Per tali marchi una modifica non basterà ad evitare la contraffazione.

La distinzione fra marchi deboli e marchi forti non è sempre agevole, e si può verificare che un marchio, inizialmente dotato di scarsa capacità distintiva, diventi col tempo un marchio forte a seguito della notorietà raggiunta tra il pubblico grazie alla pubblicità (detta secondary meaning).

L’attuale disciplina, art. 13, c.p.i. , riconosce che il secondary meaning:

6 può far acquistare carattere distintivo ad un segno che originariamente ne era privo rendendone così possibile la registrazione come marchio;

7 può trasformare un marchio originariamente debole (e perciò nullo) in un marchio valido;

NOVITÀ.

Un marchio per essere valido deve essere nuovo rispetto agli altri, per non creare confusione fra i consumatori.

Il codice della proprietà industriale distingue fra marchi ordinari e marchi celebri.

Per i marchi ordinari la regola è che non sono nuovi i segni che possono determinare un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni, perché si tratta di segni identici o simili ad un segno già

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noto come marchio, ditta, insegna o nome a dominio di un altro imprenditore concorrente o comunque già registrato da altri come marchio per prodotti identici o affini, art. 12.

Il rapporto di affinità fra prodotti non è però necessario se il marchio già registrato è un marchio celebre. Infatti, non è nuovo un marchio confondibile da altri successivamente utilizzato per prodotti o servizi non affini, se chi lo usa trarrebbe indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi, art. 12.

Il difetto di questi requisiti comporta la nullità del marchio, art. 25 c.p.i. , che può riguardare anche solo parte dei prodotti o servizi per i quali il marchio è stato registrato, art. 27, c.p.i. Ma, sono previste due eccezioni:

1. la nullità del marchio per difetto di novità non può essere più dichiarato quando chi ha richiesto la registrazione non era in mala fede ed il titolare del marchio anteriore abbia tollerato l’uso per 5 anni. Questo è l’istituto della convalida del marchio, che in base all’art. 28 c.p.i., è applicabile anche al conflitto fra due marchi registrati e comporta la coesistenza dei due marchi confondibili.

2. la nullità del marchio per difetto di originalità non può essere dichiarata quando, a seguito dell’uso che ne è stato fatto, ha acquistato capacità distintiva prima della proposizione della domanda o dell’eccezione di nullità, art. 13 c.p.i. E’ il caso di sopravvenuto secondary meaning.

8. IL MARCHIO REGISTRATO

Il titolare di un marchio rispondente ai requisiti di validità ha diritto all’uso esclusivo, su tutto il territorio nazionale, il marchio scelto.

Il contenuto del diritto sul marchio e la relativa tutela sono però diversi a seconda che il marchio sia stato o meno registrato presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, istituito presso il Ministero delle attività produttive, e a seconda che si tratta di marchi celebri o ordinari.

Il marchio registrato può essere ottenuto non solo dall’imprenditore che intenda utilizzarlo direttamente nella propria impresa, ma anche da chi si proponga di utilizzarlo in altre imprese di cui abbia il controllo o che ne facciano uso con il suo consenso, art. 19 c.p.i.

Il titolare di un marchio registrato può impedire a terzi di mettere in commercio, di importare o di esportare prodotti contrassegnati col proprio marchio, nonché di utilizzare lo stesso nella pubblicità, quando ciò possa determinare un rischio di confusione per il pubblico, art. 20 c.p.i.

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Tale potere però subisce alcune limitazioni, previste dall’art. 21 c.p.i.

Il diritto di esclusiva sul marchio registrato copre non solo i prodotti identici, ma anche quelli affini, qualora possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico. Però, la tutela del marchio registrato contro l’altrui usurpazione o contraffazione non impedisce che un altro imprenditore registri o usi lo stesso marchio per prodotti diversi.

L’applicazione di tale regola può causare problemi nel caso in cui si tratti di marchi celebri. L’uso di tali marchi, anche per prodotti diversi, oltre a costituire usurpazione dell’altrui fama, può facilmente determinare equivoci sulla reale fonte di produzione, per la spontanea tendenza a riferire qualsiasi prodotto contrassegnato dal marchio celebre allo stesso fabbricante. Es. coca-cola.

Con la riforma del 1992 la tutela dei marchi celebri è stata svincolata dal criterio dell’ affinità merceologica. Il titolare di un marchio registrato, che sia celebre, può vietare a terzi di usare un marchio identico o simile al proprio anche per prodotti o servizi non affini, quando l’uso del segno, senza giustificato motivo, consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi, art. 20 c.p.i.

Il diritto di esclusiva sul marchio consente di impedire l’utilizzo di segni confondibili non solo in funzione di marchio, bensì anche come ditta, insegna o nome a dominio aziendale.

Il diritto di esclusiva sul marchio registrato decorre dalla data di presentazione della relativa domanda all’Ufficio brevetti, art. 15 c.p.i. Il titolare di un marchio registrato è, perciò, tutelato ancora prima che inizi ad utilizzare il marchio stesso, e quindi anche nella fase di lancio pubblicitario di un prodotto. Una volta presentata la domanda di registrazione, sempre che poi la registrazione venga accolta, ogni marchio uguale o simile, successivamente presentato, è ex lege nullo per difetto del requisito della novità, art. 25 c.p.i.

La registrazione nazionale è presupposto per poter estendere la tutela del marchio in ambito internazionale, attraverso la registrazione presso l’Organizzazione mondiale per la proprietà industriale, OMPI, di Ginevra.

Per il marchio comunitario la registrazione è invece indipendente da quella nazionale. La registrazione è effettuata presso l’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno, UAMI, di Alicante (Spagna) e produce gli stessi effetti in tutta Europa.

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La registrazione nazionale, comunitaria e internazionale dura 10 anni, art. 15 c.p.i. , e non più 20 anni come prima. È però rinnovabile per un numero illimitato di volte, sempre con efficacia decennale, art. 16 c.p.i.

Quindi, il marchio ha tutela perpetua, a meno che il marchio sia dichiarato nullo per difetto originario di uno dei requisiti essenziali, art. 25 c.p.i. , o sopravvenga una causa di decadenza, art. 26 c.p.i.

Dal marchio si decade per:

1. volgarizzazione;2. sopravvenuta ingannevolezza del marchio;3. mancata utilizzazione entro 5 anni dalla registrazione o se l’utilizzazione è

stata sospesa per 5 anni, salvo che l’inerzia sia dipesa da un motivo legittimo;4. se il titolare del marchio collettivo omette i controlli previsti dalle disposizioni

che ne regolano l’uso.

Si ha volgarizzazione quando il marchio è divenuto nel commercio denominazione generica di quel dato prodotto, perdendo così la propria capacità distintiva. Es. Nylon, Biro. L’art. 14 c.p.i. richiede espressamente che la volgarizzazione si sia verificata per fatto dell’attività o dell’inattività del titolare del marchio. Il titolare del marchio non perderà il diritto di esclusiva qualora ne difenda la capacità distintiva, diffidando o negando giudizialmente contro i concorrenti che utilizzano il proprio marchio come denominazione generica. Es. aspirina.

Il marchio registrato è tutelato civilmente e penalmente. In particolare, il titolare del marchio, il cui diritto di esclusiva sia stato leso da un concorrente, può promuovere contro questi l’azione di contraffazione, art. 124 c.p.i.

L’azione di contraffazione è volta ad ottenere l’inibitoria alla continuazione degli atti lesivi del proprio diritto e la rimozione degli effetti degli stessi, attraverso la distruzione delle cose materiali per mezzo dei quali è stata attuata la contraffazione.

Inoltre, il giudice può attuare la pubblicazione della sentenza di condanna in uno o più giornali, art. 126 c.p.i.

Resta fermo il diritto del titolare del marchio al risarcimento del danno in caso di dolo o colpa del contraffattore.

L’attuale disciplina consente al titolare stesso di ottenere, mediante azione di rivendica, la cancellazione o il trasferimento di un nome a dominio lesivo del proprio diritto, o comunque registrato da altri in mala fede, art. 118 e 133 c.p.i.

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Il titolare di un marchio registrato può crearsi una rete di difesa del proprio marchio contro le altrui contraffazioni registrando uno o più marchi protettivi, art. 24 c.p.i., che sono marchi simili a quello effettivamente usato e che sono registrati al solo fine di precostituire la prova della confondibilità.

9. IL MARCHIO DI FATTO

L’ordinamento tutela anche chi usa un marchio senza registrazione, art. 2571 e art. 12 c.p.i.

L’art. 2571 dispone che chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui anteriormente se ne e valso.

Perciò la tutela del diritto di esclusiva sul marchio non registrato si fonda sull’uso di fatto dello stesso e sull’effettivo grado di notorietà raggiunto.

Il titolare di un marchio non registrato, diventato noto su tutto il territorio nazionale, potrà impedire che altri usi in fatto lo stesso marchio per gli stessi prodotti, ma non per prodotti affini. Potrà altresì ottenere che sia dichiarato nullo, per difetto di novità, un marchio confondibile successivamente registrato. Ma la relativa azione dovrà essere esercitata entro 5 anni, per evitare la convalida del marchio successivamente registrato, art. 28 c.p.i.

Il titolare di un marchio non registrato, noto solo su territorio locale, riceverà una tutela più modesta. Infatti, non potrà impedire che altro imprenditore usi di fatto lo stesso marchio per gli stessi prodotti in altra zona del territorio nazionale. Non potrà impedire che un concorrente registri validamente il marchio ed in tal caso potrà solo continuare ad usare il proprio marchio solo a livello locale. Il titolare del marchio registrato, avrà esclusiva d’uso in ogni altra zona del paese.

Sul piano penale, il marchio non registrato ha una tutela più limitata e non ha tutela internazionale. Infine, il marchio non registrato non viene tutelato dalle azioni previste dal c.p.i., ma da quelle previste in via generale in tema di disciplina della concorrenza sleale.

10. IL TRASFERIMENTO DEL MARCHIO

Il marchio è trasferibile e può essere trasferito sia a titolo definitivo, sia a titolo temporaneo, cd licenza di marchio. Così il titolare di un marchio potrà monetizzare il valore commerciale del marchio, determinato dalla forza attrattiva della clientela.

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La disciplina del trasferimento del marchio è stata modificata dalla riforma del 1992. Infatti, è stato abolito il collegamento di circolazione dell’azienda (o un suo ramo) e circolazione del marchio, per evitare inganni e confusione per il pubblico.

L’attuale disciplina, art. 2573 e art. 23 c.p.i. , permette una più libera circolazione del marchio. Oggi infatti, il marchio può essere trasferito o concesso in licenza, per tutti o per parte dei prodotti per i quali è stato registrato, senza che sia necessario il contemporaneo trasferimento dell’azienda o del corrispondente ramo produttivo. Resta però ferma la regola che il trasferimento del marchio non costituito dalla ditta originaria si presume quando è trasferita l’azienda, art. 2573, 2° comma.

È quindi possibile il trasferimento a titolo definitivo del marchio solo per una parte dei prodotti coperti dal diritto di esclusiva dell’alienante con conseguente con titolarità del marchio.

La novità principale della nuova disciplina è costituita dal riconoscimento espresso dell’ammissibilità della licenza di marchio non esclusiva, cioè è espressamente consentito che lo stesso marchio sia contemporaneamente utilizzato dal titolare originario e da uno o più concessionari, sia per tutti che per una parte dei prodotti per i quali il marchio è stato registrato. È quindi consentito che vengano immessi sul mercato prodotti dello stesso genere, con lo stesso marchio, ma provenienti da fonti diverse.

Ma il legislatore si è preoccupato di limitare i pericoli di inganno per il pubblico derivante dalla libera circolazione del marchio e dalla licenza non esclusiva. È stato fissato il principio che dal trasferimento o dalla licenza del marchio non deve derivare inganno nei caratteri dei prodotti o dei servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico.

La licenza non esclusiva è subordinata alla condizione che il licenziatario si obblighi ad utilizzare il marchio per prodotti con caratteristiche qualitative uguali a quelli dei corrispondenti prodotti messi in commercio dal concedente o dagli altri licenziatari, art. 23 c.p.i.

Il titolare del marchio potrà avvalersi delle azioni (inibitoria, rimozione, ecc.) di tutela previsti dalla legge marchi nei confronti del licenziatario che violi le disposizioni al riguardo contenute nel contratto di licenza, art. 23 c.p.i. , che prevede clausole di controllo sull’attività del licenziatario.

La violazione di tale regole espone alla decadenza del marchio per sopravvenuto uso ingannevole dello stesso, art. 26 c.p.i.

c) L’INSEGNA

11. NOZIONE E DISCIPLINA

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L’insegna contraddistingue i locali dell’impresa o l’intero complesso aziendale.

L’insegna è disciplinata da solo due norme.

L’art. 2568, che dispone che le disposizioni del primo comma dell'art. 2564 si applicano anche all'insegna.

Quindi, l’insegna:

2 non potrà essere uguale o simile a quella già utilizzata da altro imprenditore concorrente, con conseguente obbligo di differenziazione qualora possa ingenerare confusione nel pubblico (novità);

3 dovrà essere lecita;4 non dovrà contenere indicazioni idonee a trarre in inganno il pubblico circa l’attività

o i prodotti (veridicità);5 dovrà avere sufficiente capacità distintiva (originalità).Non è disposto nulla circa il trasferimento dell’insegna, tuttavia si ritiene che il diritto sull’insegna possa essere trasferito, applicandosi la disciplina del trasferimento del marchio, dato che l’insegna identifica elementi materiali e non la persona dell’imprenditore. Ne consegue che deve ritenersi lecita anche la licenza non esclusiva ed il conseguente co-uso della stessa insegna da parte di più imprenditori collegati, come nel caso del franchising .

CAPITOLO 6: la disciplina della attività imprenditrice.

a) LA LEGISLAZIONE ANTIMONOPOLISTICA

1. CONCORRENZA PERFETTA E MONOPOLIO

Il modello ideale di funzionamento del mercato teorizzato dagli economisti è la cosiddetta CONCORRENZA PERFETTA, che presenta le seguenti caratteristiche:

2 contemporanea presenza sul mercato di una pluralità di operatori economici in competizione fra loro, ma in modo che nessuna di loro sia in grado di condizionare il prezzo delle merci;

3 piena mobilità dei fattori produttivi che assicuri il pronto adeguamento della produzione alle richieste del mercato;

4 piena mobilità della domanda da parte dei consumatori, liberi di orientare le proprie scelte verso i prodotti più convenienti per qualità e prezzo;

5 assenza di ostacoli all’ingresso di nuovi operatori in ogni settore della produzione e della distribuzione, nonché di accordi fra le imprese che falsino la libertà di

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competizione economica.Questo modello di mercato è ideale e perfetto in quanto la concorrenza:

2 spinge verso una riduzione sia dei costi di produzione sia dei prezzi di vendita;3 assicura la naturale eliminazione dal mercato delle imprese meno competitive;4 stimola il progresso tecnologico e l’accrescimento dell’efficacia produttiva delle

imprese;5 determina la più razionale utilizzazione delle risorse limitate e il raggiungimento del

grado più elevato possibile di benessere economico e sociale.Ma la concorrenza perfetta è solo un modello ideale e teorico, mentre in realtà vari fattori portano il mercato verso una situazione di OLIGOPOLIO, cioè ad un mercato caratterizzato dal controllo dell’offerta da parte di poche grandi imprese.

Molto spesso gli imprenditori stipulano fra loro dei patti, dette intese, volti a limitare la reciproca concorrenza.

Vi sono delle volte in cui tutta l’offerta di un dato prodotto è controllata da una sola impresa o da poche imprese coalizzate, detto MONOPOLIO DI FATTO.

Il riconoscimento legislativo della libertà di iniziativa economica privata e della conseguente libertà di concorrenza , art. 41 Cost., è presupposto necessario ma non sufficiente perché si instauri un regime oggettivo di mercato caratterizzato da un sufficiente grado di concorrenza effettiva.

Necessaria è anche una regolamentazione giuridica della concorrenza che impedisca situazioni di monopolio o quasi - monopolio.

L’art. 2595 dispone che la concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell'economia nazionale e nei limiti stabiliti dalla legge (e dalle norme corporative), e l’art. 41 Cost. al 2° comma ribadisce che l’iniziativa economica privata è si libera , ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale.

Perciò, se il funzionamento concorrenziale del mercato tendenzialmente coincide con l’interesse collettivo, situazioni oggettive e/o obiettivi di politica economica e sociale dei pubblici poteri possono in concreto imporre limitazioni legislative vistose ed anche radicali della libertà di concorrenza.

La ricerca di un punto di equilibrio fra modello teorico ed utopico della piena e perfetta concorrenza e la realtà operativa, costituisce la linea direttiva che ispira la disciplina della concorrenza nei sistemi giuridici ad economia libera, detta concorrenza sostenibile.

Su questo principio guida della libertà di concorrenza, il legislatore italiano:

a. consente limitazioni legali della stessa per fini di utilità sociale e la creazione di monopoli legali in specifici settori di interesse generale;

b. ricollega alla stipulazione di determinati contratti divieti di concorrenza fra le parti, finalizzati al corretto svolgimento del rapporto cui accedono ed alla tutela degli interessi patrimoniali del beneficiario del divieto stesso;

c. consente limitazioni negoziali della concorrenza, ma ne subordina nel contempo

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la validità al rispetto di condizioni che non comportino un radicale sacrificio della libertà di iniziativa economica attuale e futura, art. 2596 ;

d. assicura l’ordinato e corretto svolgimento della concorrenza attraverso la repressione degli atti di concorrenza sleale, artt. 2598-2601.

Per lungo tempo il sistema italiano della concorrenza si era contraddistinto per una vistosa lacuna: la mancanza di una normativa antimonopolistica, finalizzata al controllo dei fenomeni che possono determinare posizioni di prepotere economico sul mercato ed alla repressione degli abusi che esse posso generare.

A partire dagli anni cinquanta la lacuna fu parzialmente colmata dalla diretta applicabilità nel nostro ordinamento della disciplina antitrust, dettata dai Trattati della CEE. Tale normativa però consentiva di colpire solo le pratiche che possono pregiudicare il regime concorrenziale del mercato comune europeo, non quelle che incidono esclusivamente sul mercato italiano.

L’esigenza di colmare tale lacuna è stato colmato dalla legge n. 287 del 10-10-1990, recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato.

Tale legge ha infatti introdotto una disciplina antimonopolistica nazionale a carattere generale, che si affianca a quella comunitaria ed integra la normativa specifica emanata precedentemente per i settori dell’editoria (legge n. 416/1981) e quello radiotelevisivo (legge n. 223/1990, oggi sostituito dal Testo Unico della radiotelevisione).

2. LA DISCIPLINA ITALIANA E COMUNITARIA

La libertà di iniziativa economica e la competizione fra imprese non possono tradursi in atti e comportamenti che pregiudicano in modo rilevante e durevole la struttura concorrenziale del mercato.

Questo principio è il cardine della legislazione antimonopolistica dell’UE, dettata dal Trattato Ce artt. 81-82 e dai Regolamenti Ce n. 1 del 16-12-1993 e n. 139 del 20-01-2004. Questa disciplina, applicabile direttamente alle imprese italiane, è volta a preservare il regime concorrenziale del mercato comunitario e a reprimere le pratiche anticoncorrenziali che pregiudicano il commercio fra stati membri.

La Commissione della CE:

2 vigila sul rispetto di tali normative, 3 adotta i provvedimenti necessari per reprimere i comportamenti

anticoncorrenziali vietati4 irroga le sanzioni pecuniarie previste dalla legislazione comunitaria.

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Questo principio è stato recepito anche dalla legislazione antimonopolistica italiana, legge n. 287 del 10-10-1990, volta a preservare il regime concorrenziale del mercato nazionale e a reprimere i comportamenti anticoncorrenziali che incidono solo sul mercato nazionale.

Per le imprese che opera nel campo dell’editoria e radiotelevisivo, trova applicazione la specifica disciplina volta a garantire il pluralismo dell’informazione di massa impedendo posizioni monopolistiche.

Da qui l’esigenza di coordinare le due normative, visto che il legislatore italiano ha riconosciuto posizione preminente e sovraordinata alla disciplina comunitaria.

Infatti, la normativa nazionale ha carattere residuale , cioè è applicabile solo se la fattispecie non è prevista dalla normativa comunitaria, art. 1 legge 287/1993 e, si applica alle pratiche anticoncorrenziali che hanno rilievo esclusivamente locale e che non incidono sulla concorrenza nel mercato comunitario.

Mentre, per le fattispecie che incidono sul mercato comunitario è applicabile solo il diritto comunitario della concorrenza, cd principio della barriera unica, anche se la Commissione Ce sta decentrando l’applicazione della disciplina comunitaria da parte dell’Autorità nazionale, art. 54 legge 52/1996.

I principi del diritto comunitario prevalgono anche sull’interpretazione dell’art. 8 della legge 287/1990 che definisce l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina antimonopolistica italiana: imprese private, imprese pubbliche e a partecipazione statale, escluse le imprese in monopolio legale e quelle che gestiscono servizi di interesse economico generale.

Nella nozione comunitaria di impresa sono ricomprese anche gli esercenti professioni intellettuali, che per il nostro ordinamento non sono imprenditori.

Quindi, anche ad essi si applica la disciplina antimonopolistica italiana e comunitaria.

La legge n. 287/1990 ha istituito un apposito organo pubblico indipendente, Autorità garante della concorrenza e del mercato, che vigila sul rispetto della normativa antimonopolistica in tutti i settori economici, tranne qualche eccezione:

2 per il settore assicurativo, l’Autorità deve sentire l’Isvap;3 per il settore dell’editoria e radiotelevisivo vi è l’apposita Autorità.

L’Autorità garante:

2 ha ampi poteri di indagine ed ispettivi,3 adotta i provvedimenti antimonopolistici necessari4 irroga le sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla legge.

Contro i provvedimenti amministrativi dell’Autorità può essere proposto ricorso giudiziario, per il quale è competente il Tar del Lazio, art. 33.

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Le azioni di nullità e di risarcimento dei danni, nonché i ricorsi diretti ad ottenere provvedimenti di urgenza, vanno promossi alla Corte dei appello competente per territorio. Si omette, perciò, il primo grado di giudizio davanti al Tribunale.

Identici sono i fenomeni pericolosi per la struttura concorrenziale del mercato posti sotto controllo sia dalla disciplina comunitaria sia da quella nazionale: le intese; gli abusi di posizione dominante; gli abusi di posizione dominante; le concentrazioni. Da qui l’esigenza di un coordinamento fra le due normative, che il legislatore italiano ha realizzato riconoscendo posizione preminente e sovraordinata alla disciplina comunitaria. E ciò sotto un duplice profilo. La normativa interna è infatti applicazione della normativa comunitaria ( art.1 legge 287/1993). La disciplina italiana ha perciò carattere residuale : è circoscritta alle pratiche anticoncorrenziali che hanno rilievo esclusivamente locale e che non incidono sulla concorrenza nel mercato comunitario. Per queste ultime è invece applicabile solo il diritto comunitario della concorrenza (c.d. principio della barriera unica), anche se l’originaria competenza esclusiva in materia della Commissione Ce sta progressivamente cedendo il passo all’applicazione decentrata della normativa comunitaria da parte delle autorità nazionali (dunque, in Italia l’Autorità garante della concorrenza e del mercato) ad applicare la disciplina comunitaria sulle intese e sugli abusi di posizione dominante, salvo che la Commissione non ritenga opportuno occuparsi personalmente del caso (art. 11, 6° comma, reg. Ce 1/2003). Inoltre, non solo le situazioni vietate dalla legge italiana sono individuate assumendo come modello le corrispondenti disposizioni dell’ordinamento comunitario, ma è espressamente stabilito che esse vanno interpretate (anche) in base ai prinicipi dell’ordinamento comunitario (art. 1 , 4 ° comma, legge 287/1990). E’ quindi possibile procedere

3.1 LE SINGOLE FATTISPECIE

I fenomeni rilevanti per la disciplina antimonopolistica italiana e comunitaria sono:

a. le intese restrittive della concorrenza;b. gli abusi di posizione dominante;c. le concentrazioni.

3. 2LE INTESE RESTRITTIVE DELLA CONCORRENZA.

Le intese sono comportamenti concordati fra imprese volti a limitare la propria libertà di azione sul mercato, art. 2 legge 287/1990 e art. 81 Trattato Ce.

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In particolare, sono considerate intese:

a. gli accordi fra imprese, anche se non vincolanti;b. le deliberazioni di consorzi, di associazioni di imprese o altri organismi similari;c. le pratiche concordate fra imprese, che ricomprende i comportamenti concertati

che non derivano da accordi espressi. Non tutte le intese anticoncorrenziali sono però vietate. Sono vietate solo le intese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o comunitario, o in una sua parte rilevante.

Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto. Chiunque può agire in giudizio per farne accertare la nullità, anche prima che gli effetti si realizzino. L’Autorità, dopo aver accertato le infrazioni commesse, con apposita istruttoria, art. 14, adotta i provvedimenti per la rimozione degli effetti anticoncorrenziali ed irroga le sanzioni pecuniarie previste dall’art. 15.

L’Autorità può concedere anche delle esenzioni temporanee, individuali e per categoria di accordi, purché ricorrano le condizioni specificate dalla legge. Cioè, si deve trattare di intese che migliorino le condizioni di offerta sul mercato e producono un sostanziale beneficio per i consumatori in termini di aumento della produzione, di miglioramento qualitativo della stessa o della distribuzione, di progresso tecnico. È comunque necessario che non sia eliminata la concorrenza da una parte sostanziale del mercato, art. 4.

Sono lecite le intese minori, cioè quelle intese che, per la struttura del mercato interessato, le caratteristiche delle imprese operanti e gli effetti sull’andamento dell’ offerta, non incidono sull’assetto concorrenziale del mercato.

4. ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE E ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA .

L’art. 3 della legge 287/1990 vieta l’abuso di posizione dominante da parte di una o più imprese, con comportamenti lesivi dei concorrenti e dei consumatori, capaci di pregiudicare la concorrenza effettiva.

Nella valutazione della posizione dominante un ruolo decisivo gioca l’individuazione, merceologica e geografica, del mercato rilevante.

Questo comprende tutti i prodotti e/o servizi che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati e, abbraccia quella zona in cui le imprese fornitrici si pongono fra loro in rapporto di concorrenza. L’individuazione del mercato rilevante non è agevole.

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I comportamenti tipici che possono dar luogo ad abuso di posizione dominante sono identificati negli stessi comportamenti che possono formare oggetto di intese vietate. Perciò, ad un’impresa in posizione dominante è vietato di:

7 fissare i prezzi di acquisto o di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose;

8 impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico a danno dei consumatori;

9 ripartire i mercati e le fonti di approvvigionamento;10 applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da

determinare ingiustificati svantaggi nella concorrenza;11 subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri

contraenti di prestazioni supplementari che non abbiano alcun rapporto con l’oggetto dei contratti stessi.

Il divieto di abuso di posizione dominante non ammette eccezioni. Accertata l’infrazione l’Autorità competente:

2 ne ordina la cessazione prendendo le misure necessarie;3 infligge sanzione pecuniarie identiche a quelle stabilite per le intese4 in caso di reiterata inottemperanza, l’Autorità italiana può disporre la

sospensione dell’attività dell’impresa fino a trenta giorni, art. 15.

Nell’ordinamento nazionale è vietato anche l’abuso di dipendenza economica, cioè di quella situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi.

Il patto attraverso cui si realizza l’abuso di dipendenza economica è nullo ed espone al risarcimento dei danni nei confronti dell’impresa che ha subito l’abuso. Inoltre, l’Autorità garante applica le sanzioni previste per l’abuso di posizione dominante qualora ravvisi che l’abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato.

5. LE CONCENTRAZIONI

Gli artt. 5-7 legge 287/1990 e il regolamento Ce n. 139 del 20-01-2004 prevedono le operazioni di concentrazione fra imprese. Si ha concentrazione quando:

2 due o più imprese si fondano dando così luogo ad un’impresa unica, concentrazione giuridica;

3 due o più imprese, pur restando giuridicamente distinte, diventano un’unica entità economica, concentrazione economica, cioè sono sottoposte ad un controllo unitario che consente di esercitare un’influenza determinante sull’ attività produttiva delle imprese controllate;

4 due o più imprese indipendenti costituiscono un’impresa societaria comune. Le imprese comuni sono però sottratte alla disciplina delle concentrazioni quando abbiano come scopo principale il coordinamento dei comportamenti concorrenziali delle imprese partecipanti, art. 5 legge 287/1990.

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Quindi, gli strumenti giuridici che possono dar luogo ad un’operazione di concentrazione sono diversi, ma hanno tutti lo scopo di ampliare la quota di mercato detenuta da un’impresa, realizzato attraverso operazioni che comportano la stabile riduzione del numero di imprese indipendenti operanti nel settore. Perciò, la disciplina delle concentrazioni è da escludersi quando le imprese partecipanti fanno parte di uno stesso gruppo.

Le concentrazioni sono un utile strumento di ristrutturazione e rispondono all’ esigenza di accrescere la competitività delle imprese. Sono illecite e vietate quando diano luogo a gravi alterazioni del mercato, cioè quando superino determinati dimensioni.

È previsto che le operazioni che superino determinate soglie di fatturato, a livello nazionale o comunitario, devono essere preventivamente comunicate all’Autorità italiana o alla Commissione Ce, al fine di valutare se esse comportano la costruzione o il rafforzamento di una posizione dominante che elimina o riduce in modo sostanziale e durevole la concorrenza sul mercato nazionale o comunitario o in una parte rilevante di essi.

Se l’Autorità ritiene di dover indagare sulla liceità della concentrazione, apre un’apposita istruttoria che deve essere conclusa entro 45 giorni, art. 16.

Nel frattempo può ordinare alle imprese interessate di sospendere la realizzazione della concentrazione, art. 17.

Terminata l’istruttoria, l’autorità può vietare la concentrazione se ritiene che la stessa comporta la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante con effetti distorsivi per la concorrenza stabili e durevoli.

In alternativa, può autorizzarla prescrivendo le misure necessarie per impedire tali conseguenze, art. 6.

Qualora la concentrazione sia già stata realizzata prescrive le misure necessarie a ripristinare condizioni di concorrenza effettiva e ad eliminare gli effetti distorsivi, art. 18.

In presenza di rilevanti interessi generali dell’economia nazionale, l’Autorità può tuttavia eccezionalmente autorizzare anche concentrazioni altrimenti vietate, in conformità dei criteri generali preventivamente fissati dal Governo, art. 25.

Se la concentrazione vietata viene ugualmente esercitata o se le imprese non si adeguano a quanto prescritto, l’Autorità può infliggere pesanti sanzioni pecuniarie.

Diversamente dalle intese però, non è sancita la nullità delle operazioni che hanno dato luogo ad una concentrazione vietata.

Perciò, ai terzi resta solo la possibilità di richiedere il risarcimento dei danni in via giudiziaria, art. 33.

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b) LE LIMITAZIONI DELLA CONCORRENZA

6. LIMITAZIONI PUBBLICISTICHE E MONOPOLI LEGALI

La Costituzione e il codice civile prevedono che la libertà di iniziativa economica e la libertà di concorrenza, possono essere limitate dal legislatore ordinario per fini di utilità sociale.

Molte sono le forme di regolamentazione pubblicistica dell’iniziativa economica privata che si risolvono in limitazioni della libertà di concorrenza. Alcune sono:

a. i controlli sull’accesso al mercato di nuovi imprenditori, con concessioni o autorizzazioni amministrative;

b. gli ampi poteri di indirizzo e di controllo dell’attività riconosciuti alla pubblica amministrazione nei confronti delle imprese che operano in alcuni settori;

c. l’articolato sistema di controllo pubblico dei prezzi di vendita, che per alcuni beni può giungere fino alla fissazione del prezzo di imperio da parte del CIP, comitato interministeriale prezzi, es. farmaci, giornali.

L’interesse generale può legittimare anche la radicale soppressione della libertà di iniziativa economica privata e di concorrenza. L’art. 43 della Costituzione pone dei limiti al potere statale di creare monopoli pubblici.

È necessario che la riserva di attività sia disposta con legge ordinaria e che abbia un fine di utilità generale. Inoltre, sono prefissati i settori in cui può essere legittimato un monopolio pubblico.

7. OBBLIGO DI CONTRARRE DEL MONOPOLISTA

Quando la produzione di determinati beni o servizi è attuata in regime di monopolio legale non trova applicazione nei confronti dell’impresa monopolistica la normativa antitrust, art. 2 legge 287/1990, ma il legislatore tutela gli utenti contro possibili comportamenti arbitrari del monopolista.

L’art. 2597 pone un duplice obbligo a carico di chi opera in regime di monopolio:

a. l’obbligo di contrattare con chiunque richiede le prestazioni che formano oggetto dell’impresa;

b. l’obbligo di rispettare la parità di trattamento fra i diversi richiedenti; quindi, il monopolista dovrà rendere note le proprie condizioni contrattuali, che saranno poi applicate a tutti coloro che faranno richiesta della prestazione. Potranno essere previste varie tariffe differenziate, purché siano predeterminati i relativi

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presupposti di applicazione e ne faccia godere chiunque si trovi nelle condizioni richieste. Ogni altra deroga è nulla.

Gli stessi obblighi sono previsti dall’art. 1679 a carico di chi eserciti in regime di concessione amministrativa pubblici servizi di linea per il trasporto di cose o persone.

La disciplina del monopolista legale non si applica al monopolista di fatto, cioè all’ imprenditore che, pur non godendo di un regime di esclusiva, abbia una posizione dominante sul mercato ed in fatto controlli la produzione ed il commercio di un bene o di un servizio non facilmente sostituibili dai consumatori.

Al monopolista di fatto è applicabile la normativa a tutela della concorrenza introdotta dalla legge 287/1990, e ciò consente di reprimere per altra via le pratiche discriminatorie e vessatorie poste in essere dallo stesso nei confronti di altri imprenditori, ma non dei consumatori.

8. I DIVIETI LEGALI DI CONCORRENZA

Oltre le limitazioni di natura pubblicistica, la libertà di concorrenza subisce un ulteriore limitazione, disposta dal legislatore, a tutela di interessi patrimoniali e privati.

Nel codice civile ci sono delle norme che pongono a carico di soggetti legati da particolari rapporti contrattuali l’obbligo di astenersi dal far concorrenza alla controparte, al fine di assicurare il corretto svolgimento o la corretta esecuzione di un contratto. Tali divieti sono detti divieti legali di concorrenza.

Questi sono divieti che durano per tutto il tempo della collaborazione economica e la portata del divieto si modella in funzione dell’attività imprenditoriale effettivamente esercitata dall’avente diritto.

Essendo previsti nell’interesse della controparte, tali divieti hanno carattere dispositivo, cioè operano senza una necessaria pattuizione, ma sono convenzionalmente derogabili.

Sono divieti legali di concorrenza:

a. l’obbligo di fedeltà a carico dei prestatori di lavoro previsto dall’art. 2105, che gli vieta di trattare affari in concorrenza con l’imprenditore fin quando dura il rapporto di lavoro;

b. il divieto di esercitare attività concorrente con quello della società, posto a carico degli amministratori di società di capitali e dei soci illimitatamente responsabili di società di persone;

c. il diritto di esclusiva reciproca nel contratto di agenzia, art. 1743, in base al quale né il preponente non può valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività, né l'agente può assumere l'incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro.

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9. LIMITAZIONI CONVENZIONALI DELLA CONCORRENZA

Dall’art. 2596 desumiamo che la libertà individuale di iniziativa economica di concorrenza è libertà parzialmente disponibile. Infatti, questo articolo permette la stipulazione di accordi restrittivi della concorrenza e detta una disciplina di carattere generale degli stessi fondata su tre regole:

1. il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto;2. il patto non può precludere al soggetto che si vincola lo svolgimento di ogni

attività professionale in quanto è previsto che il patto stesso è valido solo se circoscritto ad un determinato ambito territoriale o ad un determinato tipo di attività;

3. il patto può durare massimo 5 anni.Rispettate le condizioni fissate dall’art. 2596, ogni accordo limitativo della concorrenza fra imprese italiane deve ritenersi valido quando non ricorrono i presupposti per l’applicazione delle norme antimonopolistiche comunitarie e purché non ricadono nel divieto di intese anticoncorrenziali o di abuso di posizione dominante introdotto dalla legge 287/1990.

Oltre alla disciplina generale fissata dall’art. 2596 vi sono anche altre disposizioni che dettano una regolamentazione specifica per alcuni patti anticoncorrenziali innominati: i patti autonomi e i patti accessori.

I patti autonomi sono gli accordi limitativi della concorrenza che si presentano sotto forma di autonomo contratto che ha come oggetto e funzione esclusivi la restrizione della libertà di concorrenza.

Un tale contratto può prevedere obblighi nei confronti di una sola delle parti, restrizioni unilaterali, o nei confronti di entrambe le parti, restrizioni reciproche. Quest’ultime si chiamano cartelli o intese e possono prevedere impegni reciproci di vario tipo:

2 la quantità totale di produzione e la quota spettante ad ogni impresa, cartelli di contingentamento;

3 si ripartiscono le zone di distribuzione, cartelli di zona;4 predeterminare i prezzi di vendita da praticare, cartelli di prezzo.

Il limite dei 5 anni è applicabile solo alle restrizioni reciproche della concorrenza che non prevedono la costituzione di una organizzazione comune per la realizzazione del loro oggetto, consorzi.

I patti accessori sono gli accordi restrittivi della concorrenza che si presentano come clausola accessoria di un altro contratto con diverso oggetto. Anch’essi possono essere a carico di una sola delle parti o di entrambe. Inoltre, essi possono intercorrere sia fra imprenditori in diretta concorrenza, in quanto operano nello stesso livello del processo produttivo o commerciale, restrizioni orizzontali, oppure tra imprenditori che operano a livelli diversi fra i quali manca una concorrenza diretta, restrizioni verticali.

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(es. concessione di vendita in esclusiva, somministrazione di merci con prezzo imposto).

Il codice disciplina esplicitamente:

2 la clausola di esclusiva, che può essere inserita in un contratto di somministrazione;

3 il patto di preferenza a favore del somministrante inserito nel contratto di somministrazione; non può superare i 5 anni;

4 il patto di non concorrenza con il quale si limita l’attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del contratto. Tale patto è nullo se non risulta da atto scritto o se non è previsto un compenso per il lavoratore;

5 il patto di concorrenza dell’agente dopo lo scioglimento del contratto di agenzia; tale patto deve farsi per iscritto, non può durare più di 2 anni e deve riguardare la stessa zona, clientela e genere di servizi o beni oggetto del contratto di agenzia.

Quindi, l’art. 2596 si applica solo ai patti accessori innominati.

Il limite dei 5 anni si applica ai patti innominati solo se comportano limitazioni della concorrenza non funzionali al tipo di contratto cui accedono, e non quando il patto e il contratto abbiano la stessa funzione economica.

Secondo l’opinione più diffusa, le limitazioni dell’art. 2596 si applicherebbero solo alle restrizioni orizzontali della concorrenza. Mentre le restrizioni verticali sarebbero regolati dall’art. 1379 che prevede che il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti, e non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde a un apprezzabile interesse di una delle parti. Ma tale tesi non è condivisibile.

c) LA CONCORRENZA SLEALE

10. LIBERTA’ DI CONCORRENZA E DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA SLEALE

La libertà di iniziativa economica implica la normale presenza sul mercato di più imprenditori che offrono beni o servizi identici o similari e, che sono in concorrenza fra loro per conquistare i consumatori e il successo economico.

Il danno che un imprenditore subisce a causa della sottrazione della clientela da parte dei concorrenti non è danno ingiusto e risarcibile.

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Tuttavia, è interesse generale che la competizione fra imprenditori si svolga in modo corretto e leale.

Nell’ordinamento vigente questa esigenza è soddisfatta dalla disciplina della concorrenza sleale, che recepisce la normativa della Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale del 1883.

Nello svolgimento della competizione fra imprenditori concorrenti è vietato servirsi di mezzi e tecniche non conformi ai principi della correttezza professionale, art. 2598. I fatti, gli atti e i comportamenti che violino tale regola sono atti di concorrenza sleale, cd illecito concorrenziale ( atti di confusione, atti di denigrazione, atti di vanteria).

Tali atti sono sanzionati anche se compiuti senza dolo o colpa, art. 2600 e, anche se non hanno arrecato danno ai concorrenti. Infatti, basta il cd danno potenziale, cioè basta che l’atto sia idoneo a danneggiare l’altrui azienda.

Le sanzioni tipiche di questi atti sono l’inibitoria alla continuazione degli atti di concorrenza sleale e la rimozione degli effetti prodotti, art. 2599, salvo il diritto al risarcimento dei danni in presenza di dolo o colpa e di un danno patrimoniale attuale.

La disciplina della concorrenza sleale deriva dalla disciplina generale dell’illecito civile, art. 2043, ma è una disciplina speciale che offre agli imprenditori una tutela più energica e privilegiata, al fine di evitare che pratiche scorrette alterino il corretto funzionamento del mercato.

Quindi, la disciplina della concorrenza sleale non tutela solo l’interesse dell’imprenditore a non veder alterato il proprio guadagno, ma ad essere tutelato è il più generale interesse a che non vengano falsati gli elementi di valutazione e di giudizio del pubblico e non siano tratti in inganno i consumatori. Ma, il consumatore è tutelato in maniera mediata e riflessa, in quanto l’atto di concorrenza sleale deve essere idoneo a danneggiare gli imprenditori concorrenti.

Infatti, contro gli atti di concorrenza sleale sono legittimati a reagire solo gli imprenditori concorrenti o loro associazioni di categoria, art. 2601, e non i consumatori.

11. AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA SLEALE

L’applicazione della disciplina della concorrenza sleale postula due presupposti:

1. la qualità di imprenditore sia del soggetto che pone in essere l’atto di concorrenza vietato, sia del soggetto che ne subisce le conseguenze;

2. l’esigenza di un rapporto di concorrenza economica fra i due.Chi è leso nella propria attività di impresa da un soggetto che non è imprenditore o non è suo concorrente potrà reagire avvalendosi della disciplina dell’illecito civile, art. 2043, se vi sono i presupposti.

I SOGGETTI.

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Soggetto passivo dell’atto di concorrenza sleale può essere solo un imprenditore, in quanto solo nei confronti di un imprenditore si verifica la condizione dell’idoneità dell’atto a danneggiare l’altrui azienda.

L’imprenditore risponde a titolo di concorrenza sleale non solo per gli atti da lui direttamente compiuti, ma anche per quelli posti in essere da altri, nel suo interesse e su sua istigazione o incarico. Infatti, l’art. 2598, 3° comma, prevede espressamente che l’atto di concorrenza sleale può essere compiuto anche indirettamente.

RAPPORTO CONCORRENZIALE.

Fra soggetto passivo e soggetto attivo deve esistere un rapporto di concorrenza prossima o effettiva, cioè entrambi devono offrire nello stesso ambito di mercato beni o servizi che siano destinati a soddisfare lo stesso bisogno dei consumatori.

Nel valutare l’esistenza del rapporto di concorrenza bisogna tener conto della prevedibile espansione territoriale e merceologica dell’attività dell’imprenditore che subisce l’atto di concorrenza sleale, detta concorrenza potenziale.

La disciplina della concorrenza sleale è stata estesa, dalla giurisprudenza, anche a imprenditori che agiscono a livelli economici diversi, purché il risultato ultimo di entrambe le attività incida sulla stessa categoria di consumatori, detta concorrenza verticale.

12. GLI ATTI DI CONCORRENZA SLEALE. LE FATTISPECIE TIPICHE

I comportamenti che costituiscono atti di concorrenza sleale sono definiti dall’art. 2598 :

1. gli ATTI DI CONFUSIONE, cioè ogni atto idoneo a creare confusione con i prodotti o con l’attività di un concorrente; è lecito attirare a sé l’altrui clientela, ma non è lecito farlo avvalendosi di mezzi che traggono in inganno i consumatori sulla provenienza dei prodotti o sull’identità dell’imprenditore. Questi mezzi sfruttano il successo sul mercato dei concorrenti, generando equivoci e possibile sviamento della clientela. I mezzi per far ciò possono essere tanti, ma il legislatore ne individua due:

- l’uso di nomi o di segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o segni distintivi legittimamente usati da altri, cioè che si tratti di segni distintivi che abbiano capacità distintiva;

- l’imitazione servile dei prodotti di un concorrente, cioè l’imitazione della forma esteriore dei prodotti altrui, attuata in modo da indurre il pubblico a

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supporre che i due prodotti provengano dalla stessa impresa. L’imitazione deve riguardare elementi formali non necessari ma al tempo stesso caratterizzanti, cioè idonei a differenziare esteriormente quel dato prodotto dagli altri dello stesso genere.

- ogni altro mezzo idoneo a creare confusione con i prodotti o con l’attività di un concorrente.

2. gli ATTI DI DENIGRAZIONE, che consistono del diffondere notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinare il discredito; oppure l’APPROPRIAZIONE DI PREGI di prodotti del concorrente. I mezzi denigratori sono diversi, come:

2 le denunzie al pubblico di pratiche concorrenziali illecite da parte di concorrenti specifici, quando la diffida sia priva di fondamento o il suo contenuto oltrepassi i limiti della necessaria tutela del proprio diritto; più in generale la divulgazione di notizie che possono screditare la reputazione commerciale del concorrente;

3 la pubblicità iperbolica, cioè la pubblicità con cui si tende ad accreditare l’idea che il proprio prodotto sia il solo a possedere specifiche qualità o determinati pregi, che invece vengono implicitamente negati ai prodotti dei concorrenti. Lecito è invece il cd puffing, consistente nella generica ed innocua affermazione di superiorità dei propri prodotti;

4 la pubblicità parassitaria, consistente nella mendace attribuzione a se stessi di qualità, pregi, riconoscimenti che in realtà appartengono al concorrente;

5 la pubblicità per riferimento, che consiste nel far credere che i propri prodotti siano simili a quelli del concorrente, attraverso l’uso di espressioni come tipo, modello, sistema (es. pezzo di ricambio tipo Fiat), al fine di avvantaggiarsi indebitamente dell’altrui rinomanza commerciale;

6 la pubblicità comparativa, che la pubblicità che confronta la propria attività e i propri prodotti con quelli di uno o più concorrenti, in modo da esprimere un giudizio negativo sui concorrenti. Oggi è consentita a determinate condizioni, ossia quando non sia ingannevole e non ingenera confusione sul mercato e non causa discredito o denigrazione del concorrente.

3. OGNI ALTRO MEZZO non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.

13. GLI ALTRI MEZZI DI CONCORRENZA SLEALE

L’art. 2598 chiude l’elenco degli atti di concorrenza sleale con “ ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.

Con ciò il legislatore affida al giudice il compito di valutare se un comportamento concorrenziale, diverso da quelli elencati, sia o meno eticamente professionale.

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Fra gli atti contrari alla correttezza professionale vi è la pubblicità menzognera, cioè la falsa attribuzione ai propri prodotti di qualità o pregi non appartenenti ad alcun concorrente, quando il messaggio pubblicitario sia tale da trarre in inganno il pubblico con danno potenziale a tutti i concorrenti.

Poi la giurisprudenza ha individuato altre forme di concorrenza sleale:

2 la concorrenza parassitaria, che consiste nella sistematica imitazione delle altrui iniziative imprenditoriali ;

3 il boicottaggio economico, cioè il rifiuto ingiustificato ed arbitrario di un’impresa in posizione dominante sul mercato (boicottaggio individuale) o di un gruppo di imprese associate (boicottaggio collettivo) di fornire prodotti a determinati rivenditori, in modo da escluderli dal mercato;

4 il dumping, cioè la sistematica vendita sotto costo dei propri prodotti;5 la sottrazione ad un concorrente di dipendenti o collaboratori particolarmente

qualificati, quando venga attuata con mezzi scorretti e col deliberato proposito di trarne vantaggio con danno all’altrui azienda;

6 la violazione di segreti aziendali, cioè la rilevazione a terzi e l’acquisizione o l’utilizzazione da parte di terzi, in modo contrario alla correttezza professionale, delle informazioni aziendali segrete.

14. LE SANZIONI

La repressione degli atti di concorrenza sleale si fonda su due distinte sanzioni:

1. l’inibitoria, cioè la cessazione delle turbative alla propria attività e di ottenerla, se possibile, prima che l’atto gli abbia causato un danno patrimoniale. L’azione inibitoria e le relative sanzioni prescindono dal dolo o dalla colpa del soggetto attivo dell’atto di concorrenza sleale e dall’esistenza di un danno patrimoniale attuale del soggetto passivo; art. 2599;

2. il risarcimento dei danni, art. 2600.Fra le misure risarcitorie il giudice può disporre anche la pubblicazione della sentenza in uno o più giornali a spese del soccombente.

L’azione per la repressione della concorrenza sleale può essere promossa dall’imprenditore o dagli imprenditori lesi, e dalle associazioni professionali degli imprenditori quando gli atti pregiudichino gli interessi di una categoria professionale, art. 2600.

Non sono legittimati invece i consumatori o loro associazioni.

16. LA PUBBLICITA’ INGANNEVOLE E COMPARATIVA

La disciplina della concorrenza sleale è oggi affiancata, al fine di tutelare anche i consumatori, da una specifica disciplina contro la pubblicità ingannevole e la pubblicità comparativa illecita, prevista dal codice del consumo.

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A partire dagli anni sessanta i più importanti mezzi di pubblicità hanno dato vita ad un sistema di autodisciplina pubblicitaria, che li impegna a non diffondere messaggi pubblicitari che contrastino con le regole di comportamento fissate in un apposito codice privato, il codice di autodisciplina pubblicitaria.

Sul rispetto di tale codice vigila un organismo di giustizia privato, il Giurì di autodisciplina, al quale può rivolgersi chiunque si ritenga pregiudicato da attività pubblicitarie contrarie al codice. Le decisioni del Giurì sono insindacabili, ma sono vincolanti solo per coloro che aderiscono all’autodisciplina.

Con il d.lgs. 74/1992, all’autodisciplina si affianca la disciplina legislativa; al controllo privato del Giurì il controllo pubblico dell’Autorità garante.Ed identici principi operano per la pubblicità comparativa illecita in seguito alla disciplina della stessa introdotta dal d.lgs. 67/2000 (8.12). La normativa della materia è dettata attualmente dal d.lgs. 2/8/2007, n.145.

Ciò fissato, vediamo in sintesi i punti salienti della disciplina legislativa in tema di pubblicità ingannevole. Enunciato il principio che la pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta (art. 1,2° comma, d.lgs. 145/2007), nonché chiaramente riconoscibile come tale (art.5), la legge vieta qualsiasi forma di pubblicità ingannevole dandone una nozione particolarmente ampia. E’ infatti ingannevole “qualsiasi pubblicità che in qualunque modo,compresa la sua presentazione, induce in errore o può indurre in errore” le persone alle quali è rivolta e che “possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero… ledere un concorrente” (art.2 lett. b). Sono inoltre dettagliatamente specificati i criteri in base ai quali deve essere valutato se una determinata forma di pubblicità è ingannevole dandone una nozione particolarmente ampia. E’ infatti ingannevole “qualsiasi pubblicità che in qualunque modo ,compresa la sua presentazione, induce in errore o può indurre in errore” le persone alle quali è rivolta e che “ possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero ledere un concorrente” (art. 2, lett. b ). Sono inoltre dettagliatamente specificati i criteri in base ai quali deve essere valutato se una determinata forma di pubblicità è ingannevole: caratteri dei beni, prezzo, ecc (art. 3). Norme specifiche sono poi dettate per la pubblicità dei prodotti pericolosi (art.6) e per quella suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti (art.7). E’ infine vietata ogni forma di pubblicità subliminale (art.5 . 3° comma) , di pubblicità cioè che stimoli l’inconscio. Ogni interessato (concorrenti, consumatori, loro associazioni ed organizzazioni ) può denunciare l’uso di pubblicità ingannevole o comparativa illecita all’Autorità garante ; quest’ultima può procedere anche d’ufficio, esercitando i poteri repressivi e sanzionatori già esaminati per le pratiche commerciali scorrette (art.8) . Come visto, resta ferma inoltre la possibilità di ricorrere preventivamente al Giurì di autodisciplina (art.9 , d.lgs. 145/2007 e 27 -ter cod. cons.).

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CAPITOLO 7 L’AZIENDA

NOZIONE

L’art. 2555 cc stabilisce che “l’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.

Per qualificare un dato bene come bene aziendale è rilevante perciò solo la destinazione impressagli dall’imprenditore.

E’ invece irrilevante il titolo giuridico che legittima l’imprenditore ad utilizzare un dato bene nel processo produttivo.

I beni organizzati ad azienda consentono la produzione di utilità maggiori di quelle ricavabili dai singoli beni isolatamente considerai.

Tale maggior valore si definisce avviamento.

Esso è quindi rappresentato dalla sua attitudine a consentire la realizzazione di un profitto (ricavi eccedenti i costi).

-E’ avviamento oggettivo quello ricollegabile a fattori che permangono anche se muta il titolare dell’azienda.

Es. capacità di un complesso industriale di consentire una produzione a costi competitivi sul mercato.

-Si definisce invece avviamento soggettivo quello dovuto all’abilità operativa dell’imprenditore sul mercato ed in particolare alla sua abilità nel formarsi, conservare ed accrescere la clientela.

LA CIRCOLAZIONE DELL’AZIENDA

TRASFERIMENTO DI AZIENDA

E’ importante stabilire se un determinato atto di disposizione dell’imprenditore sia da qualificare come trasferimento di azienda o come trasferimento di singoli beni

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aziendali, dato che solo nel primo caso potrà trovare applicazione la disciplina dettata per la circolazione di un complesso aziendale.

Per aversi trasferimento d’azienda è pacifico che non è necessario che l’atto di disposizione comprenda l’intero complesso aziendale.

Infatti la disciplina del trasferimento d’azienda è applicabile anche quando l’imprenditore trasferisca un ramo particolare della sua azienda, purchè costituisca un insieme di beni potenzialmente idoneo ad essere utilizzato per l’esercizio di una determinata attività di impresa.

FORME

Le forme da osservare nel trasferimento dell’azienda sono fissate dall’art. 2256 cc, modificato dalla legge 310 del 1993.

E’ operata una distinzione fra:

-forma necessaria per la validità del trasferimento

-forma richiesta ai fini probatori e per l’opponibilità ai terzi.

In merito al primo punto è dettata una disciplina identica per ogni tipo di azienda (agricola o commerciale).

I contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o la concessione in godimento dell’azienda sono validi solo se stipulati con l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto.

Es. per il trasferimento della proprietà degli immobili aziendali, sarà necessaria la forma scritta a pena di nullità.

Prova

Solo per le imprese soggette a registrazione con effetti di pubblicità legale (quindi non per le piccole imprese) è previsto che ogni atto di disposizione dell’azienda deve essere provato per iscritto.

Pubblicità

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Per tutte le imprese soggette a registrazione è oggi prescritto che i relativi contratti di trasferimento devono essere iscritti nel registro nelle imprese nel termine di 30 giorni.

Per ottenere l’iscrizione è necessario che il contratto sia redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata.

Solo l’iscrizione nella sezione ordinaria produce tuttavia gli effetti di pubblicità legale (opponibile ai terzi).

Si deve pervenire ad analoga conclusione, limitatamente agli imprenditori agricoli, anche per l’iscrizione nella sezione speciale.

EFFETTI DELLA VENDITA DELL’AZIENDA

L’alienazione dell’azienda produce ex lege effetti che riguardano:

a)DIVIETO DI CONCORRENZA DELL’ALIENANTE

Nozione

L’art. 2557 cc stabilisce che chi aliena un’azienda commerciale deve astenersi, per un periodo massimo di 5 anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che possa “per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze” sviare la clientela dall’azienda ceduta.

Se l’azienda è agricola, il divieto opera solo per le attività ad essa connesse e sempre che rispetto a tali attività sia possibile sviamento della clientela.

Esigenze

La norma contempera 2 opposte esigenze:

-quella dell’acquirente dell’azienda di trattenere la clientela dell’impresa e quindi di godere dell’avviamento soggettivo, del quale si è tenuto conto nella pattuizione del prezzo di vendita

-quella dell’alienante a non vedere compromessa la propria libertà di iniziativa economica oltre un determinato arco di tempo sufficiente per consentire all’acquirente di consolidare la propria clientela.

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Carattere del divieto

Il divieto di concorrenza è derogabile ed ha carattere relativo, in quanto sussiste nei limiti in cui la nuova attività di impresa dell’alienante sia potenzialmente idonea a sottrarre clientela all’azienda ceduta.

Le parti possono anche ampliare la portata dell’obbligo di astensione, ad esempio ad attività non direttamente concorrenziali, purchè non sia impedita ogni attività professionale dell’alienante.

E’ in ogni caso vietato prolungare oltre i 5 anni la durata del divieto.

Applicabilità

Il divieto è applicabile non solo alla vendita volontaria di azienda, ma anche quando la vendita è coattiva.

Il divieto graverà in capo all’imprenditore fallito.

Solleva invece incertezze l’applicazione del divieto in altre ipotesi:

-divisione ereditaria con assegnazione dell’azienda caduta in successione ad uno degli eredi.

Non vi è trasferimento di azienda da un erede all’altro

-scioglimento di una società con assegnazione dell’azienda sociale ad uno dei soci quale quota di liquidazione.

Non vi è trasferimento di azienda da un socio all’altro

-vendita dell’intera partecipazione sociale o di una partecipazione sociale di controllo in una società di persone o di capitali.

In questo caso c’è un negozio traslativo ma ha ad oggetto le quote o le azioni della società e non l’azienda, che formalmente resta della società.

Tuttavia la vendita dell’intero pacchetto azionario o di una partecipazione di controllo permettono di raggiungere un risultato economico coincidente con la vendita dell’azienda.

b)LA SUCCESSIONE NEI CONTRATTI AZIENDALI

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La disciplina del trasferimento dell’azienda agevola il subingresso dell’acquirente nella trama dei rapporti contrattuali in corso di esecuzione che l’alienante ha stipulato con fornitori, finanziatori, lavoratori, clienti.

Il legislatore ha introdotto deroghe alla disciplina generale della cessione del contratto, contenuta negli artt. 1406 ss cc.

L’art. 2258 cc stabilisce al infatti al 1° comma che “se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”.

-Rapporto alienante-acquirente

Il subingresso prescinde da un’esplicita manifestazione di volontà nell’atto di alienazione dell’azienda.

Un’espressa pattuizione fra alienante ed acquirente è perciò necessaria solo se si vuole escludere la successione in uno o più contratti in corso di esecuzione.

-Posizione del terzo contraente

Per diritto comune la cessione del contratto non può avvenire senza il consenso del contraente ceduto (art. 1406 cc).

La situazione muta quando il contratto è stipulato con un imprenditore ed ha per oggetto prestazioni inerenti all’esercizio dell’impresa.

In tal caso il consenso del terzo contraente non è più necessario e l’effetto successorio si produce ex lege con il trasferimento dell’azienda.

Da questo momento il terzo contraente dovrà eseguire le proprie prestazioni nei confronti del nuovo titolare dell’azienda.

-Diritto di recesso

Il 2° comma dell’art. 2258 cc stabilisce che il terzo contraente può recedere dal contratto entro 3 mesi dalla notizia del trasferimento dell’azienda e sciogliersi così dal vincolo contrattuale con l’acquirente.

Tuttavia il recesso può essere validamente esercitato solo se sussiste una giusta causa.

Spetterà quindi al terzo contraente provare che l’acquirente dell’azienda si trova in una situazione tale da non dare affidamento sulla regolare esecuzione del contratto.

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Il recesso non determina il ritorno del contratto in capo all’alienante, ma la sua definitiva estinzione.

Resta al terzo contraente solo la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni all’alienante dando la prova che questi non ha osservato la normale cautela nella scelta dell’acquirente dell’azienda.

-Contratti personali

La disciplina esposta non trova applicazione ai contratti stipulati per l’esercizio dell’impresa che abbiano carattere personale.

Per il trasferimento di tali contratti saranno necessari sia un’espressa pattuizione contrattuale fra alienante ed acquirente dell’azienda, sia il consenso del contraente ceduto.

Si applica quindi la disciplina di diritto comune della cessione del contratto.

c)CREDITI E DEBITI AZIENDALI

La disciplina della successione nei contratti aziendali si applica ai contratti non integralmente eseguiti da entrambe le parti al momento del trasferimento dell’azienda.

Se invece l’imprenditore ha già adempiuto le sue obbligazioni, residuerà un credito a suoi favore nei confronti del terzo.

Es. ha venduto delle merci con pagamento differito.

Residuerà invece un debito dell’imprenditore qualora il terzo contraente ha integralmente eseguito le proprie prestazioni.

Es. l’imprenditore ha acquistato materie prime, ma non le ha ancora pagate.

In tali casi, in sede di vendita dell’azienda troverà applicazione la disciplina dettata dall’art. 2259 cc per i crediti aziendali e dall’ art. 2260 cc per i debiti aziendali.

Queste due disposizioni introducono deroghe ai principi di diritto comune in tema di cessione dei crediti e di successione nei debiti.

Page 62: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Crediti

La deroga introdotta per i crediti aziendali è limitata.

La notifica al debitore ceduto o l’accettazione da parte di questi, richiesta dalla disciplina di diritto comune (artt. 1265 e 2914 n° 2 cc), è sostituita dall’iscrizione del trasferimento dell’azienda nel registro delle imprese.

Da tale momento la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta ha effetto nei confronti dei terzi, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione.

Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante.

Questa disciplina è circoscritta alle imprese soggette a registrazione con effetti di pubblicità legale.

Negli altri casi troverà applicazione la disciplina generale della cessione dei crediti.

Debiti

Più vistosa è invece la deviazione dai principi di diritto comune con riferimento ai debiti dell’azienda ceduta sorti prima del trasferimento, al fine di evitare che la modificazione del patrimonio dell’alienante pregiudichi le aspettative di soddisfacimento dei creditori aziendali.

E’ fermo il principio generale per cui non è ammesso il mutamento del debitore senza il consenso del creditore.

Infatti l’art. 2560 1° comma cc stabilisce che l’alienante non è liberato da tali debiti se non risulta che i creditori vi hanno consentito.

E’ derogato invece, per le aziende commerciali, il principio secondo cui ciascuno risponde solo delle obbligazioni da lui assunte.

Infatti il 2° comma del 2560 prevede che l’acquirente di un’azienda commerciale risponde in solido con l’alienante nei confronti dei creditori che non abbiano consentito alla liberazione di quest’ultimo.

La responsabilità sussiste però solo per i debiti aziendali che risultano dai libri contabili obbligatori.

In questo modo si evitano contestazioni in merito alla conoscenza da parte dell’acquirente di singoli debiti aziendali.

Disciplina diversa è prevista per i debiti di lavoro, poiché di questi l’acquirente dell’azienda risponde, in solido con l’alienante, anche se non risultano dalle scritture contabili e, oggi, anche se l’acquirente non ne ha avuto conoscenza all’atto del trasferimento (nuovo art. 2112 2° comma cc).

Inoltre la responsabilità grava anche sull’acquirente di un’azienda non commerciale.

Page 63: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

USUFRUTTO E AFFITTO DELL’AZIENDA

USUFRUTTO

L’art. 2561 cc stabilisce che la costituzione in usufrutto di un complesso di beni destinati allo svolgimento di attività di impresa comporta il riconoscimento in testa all’usufruttuario di particolari poteri-doveri, sia per consentire all’usufruttuario la libertà operativa necessaria per gestire proficuamente l’impresa, sia per tutelare l’interesse del concedente a che non sia menomata l’efficienza del complesso aziendale, che dovrà tornare a lui alla fine del rapporto.

L’usufruttuario deve condurre l’azienda senza modificarne la destinazione ed in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti.

La violazione di tali obblighi o la cessazione arbitraria della gestione dell’azienda, determinano la cessazione dell’usufrutto per abuso.

Il potere-dovere di gestione comporta che l’usufruttuario non solo può godere dei beni aziendali, ma ha anche il potere di disporne nei limiti segnati dalle esigenze della gestione.

Potrà acquistare ed immettere nell’azienda nuovi beni che diventano di proprietà del nudo proprietario e sui quali l’usufruttuario avrà diritto di godimento e potere di disposizione.

Al termine dell’usufrutto, l’azienda risulterà perciò composta da beni diversi da quelli originari.

Per questo è previsto che venga redatto un inventario all’inizio e alla fine dell’usufrutto e che la differenza fra le due consistenze venga regolata in danaro.

AFFITTO

La disciplina prevista per l’usufrutto si applica anche all’affitto di azienda per rinvio operato dall’art. 2562 cc.

Page 64: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

L’affitto di azienda è contratto diverso dalla locazione di un immobile destinato all’esercizio di attività di impresa.

Nel primo caso oggetto del contratto è un complesso di beni organizzati, eventualmente comprensivo dell’immobile, mentre nel secondo caso il contratto ha per oggetto il locale in quanto tale.

All’usufrutto e all’affitto si applicano poi il divieto di concorrenza previsto dall’art. 2557 cc e la disciplina della successione nei contratti aziendali, prevista dall’art. 2558 cc.

Si applica solo all’usufrutto la disciplina dei crediti aziendali.

Non si applica ad entrambi la disciplina dettata per i debiti aziendali.

Perciò dei debiti aziendali anteriori alla costituzione dell’usufrutto o dell’affitto risponderanno esclusivamente il nudo proprietario o il locatore, salvo che per i debiti di lavoro espressamente accollati anche al titolare del diritto di godimento.

I CONSORZI FRA IMPRENDITORI

NOZIONE E TIPI

NOZIONE

L’art. 2602 cc stabilisce che “con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”.

E’ questa la nuova nozione dei consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi introdotta dalla legge 377 del 1976.

Page 65: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

1^ DISTINZIONE: CONSORZI ANTICONCORRENZIALI E DI COORDINAMENTO

Il consorzio è schema associativo tra imprenditori idoneo a ricomprendere 2 fenomeni:

a)consorzio con funzione anticoncorrenziale

il consorzio viene costituito al fine prevalente o elusivo di limitare la reciproca concorrenza fra imprenditori che svolgono la stessa attività o attività similari

b)consorzio con funzione di coordinamento

più imprenditori danno vita ad un consorzio per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese.

In tale ipotesi rappresenta uno strumento di cooperazione finalizzato alla riduzione dei costi di gestione delle singole imprese consorziate.

A questa forma di cooperazione ricorrono soprattutto le imprese di piccole e medie dimensioni per ridurre le spese di esercizio.

Sul piano della disciplina di diritto privato queste due tipologie di consorzi sono regolate in modo tendenzialmente uniforme.

2^ DISTINZIONE: CORSORZI CON ATTIVITA’ INTERNA E ESTERNA

Si può distinguere tra:

-consorzi con sola attività interna

-consorzi destinati a svolgere anche attività esterna.

In entrambi i casi si crea un’organizzazione comune.

Nei consorzi con sola attività interna il compito di tale organizzazione si esaurisce nel regolare i rapporti reciproci fra i consorziati e nel controllare il rispetto di quanto convenuto.

Questo tipo di consorzio non opera con i terzi.

Nei consorzi con attività esterna invece le parti prevedono l’istituzione di un ufficio comune (art. 2612 cc), destinato a svolgere attività con i terzi nell’interesse delle imprese consorziate.

E’ questa la struttura propria dei consorzi con funzione di coordinamento.

Page 66: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

IL CONTRATTO DI CONSORZIO. L’ORGANIZZAZIONE CONSORTILE

Il cc prevede una disciplina comune volta a regolare la costituzione del consorzio ed i rapporti fra i consorzianti (artt. 2603-2611 cc).

CONTRATTO DI CONSORZIO

Parti

Il contratto di consorzio può essere stipulato solo fra imprenditori.

Questo principio viene spesso derogato dalla legislazione speciale, che consente la partecipazione a determinati consorzi di enti pubblici o di enti privati di ricerca.

Forma e contenuto

Il contratto di consorzio deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità (art. 2603 1° comma cc).

Deve contenere una serie di indicazioni specificate dal 2° comma del 2603 tra cui la determinazione dell’oggetto del consorzio, degli obblighi assunti dai consorzianti e dagli eventuali contributi in denaro da essi dovuti.

Durata

Quello di consorzio è un contratto di durata, la quale può essere fissata dalle parti.

Nel silenzio, il contratto è valido per 10 anni (art. 2604 cc).

Poiché la norma non opera alcuna distinzione fra consorzi di cooperazione e consorzi anticoncorrenziali, è controverso se la regola in tema di durata sia applicabile anche a questi ultimi, in deroga all’art. 2596 cc, il quale fissa in 5 anni la durata massima dei patti limitativi della concorrenza.

Ammissione di nuovi consorziati

Page 67: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Il contratto di consorzio è un contratto aperto e perciò è possibile la partecipazione al consorzio di nuovi imprenditori senza che sia necessario il consenso di tutti gli attuali consorzianti.

Le condizioni per l’ammissione di nuovi consorzianti devono però essere predeterminate nel contratto.

Salvo diversa pattuizione fra le parti, il trasferimento dell’azienda comporta l’automatico subingresso dell’acquirente nel contratto di consorzio.

Tuttavia se sussiste una giusta causa, gli altri consorzianti potranno deliberare l’esclusione dell’acquirente dal consorzio (art. 2610 cc).

Recesso ed esclusione

Il contratto di consorzio può sciogliersi limitatamene ad un consorziato, per volontà di questi (recesso) o per decisione degli altri consorzianti (esclusione).

Le cause di recesso ed esclusione devono essere indicate nel contratto.

Causa tipica di esclusione può essere l’inadempimento degli obblighi consortili.

Scioglimento del consorzio

Le cause di scioglimento del contratto di consorzio sono elencante dall’art. 2611 cc il quale consente lo scioglimento con delibera maggioritaria dei consorzianti quando sussiste una giusta causa.

In mancanza lo scioglimento anticipato dovrà essere deciso all’unanimità.

ORGANIZZAZIONE CONSORTILE

Carattere essenziale dei consorzi è la creazione di un’organizzazione comune, cui è demandato il compito di attuare il contratto.

La disciplina in materia si limita a prevedere la presenza di un organo con funzioni deliberative composto da tutti i consorzianti (assemblea) e di un organo con funzioni gestore ed esecutive (organo direttivo).

Assemblea

Page 68: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

L’art. 2606 1° comma cc stabilisce che le delibere relative all’attuazione dell’oggetto del consorzio sono prese con il voto favorevole della maggioranza dei consorzanti.

E’ invece richiesto il consenso di tutti i consorzianti per le modificazioni del contratto (art. 2607 cc).

Il 2° comma del 2606 prevede che le delibere adottate a maggioranza possono essere impugnate, entro 30 giorni, davanti all’autorità giudiziaria dai consorzianti (assenti o dissenzienti), se non prese in conformità della legge o del contratto.

Organo direttivo

La sua funzione tipica nei consorzi non destinati a svolgere attività esterna è quella di controllare l’attività dei consorzianti al fine di accertare l’esatto adempimento delle obbligazioni assunte (art. 2605 cc).

Sono rimesse all’autonomia contrattuale l’articolazione dell’organo direttivo, le attribuzioni ulteriori, le modalità di nomina e di revoca.

CONSORZI CON ATTIVITA’ ESTERNA

Per i consorzi destinati a svolgere attività con i terzi è prevista una specifica disciplina (artt. 2612-2615 cc), integrativa di quella comune, destinata a regolare i rapporti fra il consorzio ed i terzi che con lo stesso entrano in contatto.

Pubblicità legale

E’ previsto un regime di pubblicità legale destinato a portare a conoscenza dei terzi i dati essenziali della struttura consortile.

Un estratto del contratto di consorzio, contenente le indicazioni specificate dall’art. 2612 cc, deve essere depositato per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese, entro 30 giorni dalla stipulazione.

Ad analoga forma di pubblicità sono soggette le modificazioni degli elementi iscritti.

Organo direttivo

Il contratto deve indicare le persone cui è attribuita la presidenza, la direzione e la rappresentanza del consorzio ed i relativi poteri.

Page 69: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Le persone che hanno la direzione del consorzio sono tenute a redigere annualmente la situazione patrimoniale del consorzio e a depositarla presso l’ufficio del registro delle imprese.

Fondo consortile

Nei consorzi con attività esterna è prevista la formazione di un fondo consortile, cioè di un fondo patrimoniale, costituito dai contributi iniziali e successivi dei consorzianti e dai beni acquistati con tali contributi (art. 2614 cc).

Questo fondo costituisce patrimonio autonomo rispetto al patrimonio dei singoli consorzianti ed è destinato a garantire il soddisfacimento dei creditori del consorzio e solo da questi è aggredibile fin quando dura il consorzio.

Obbligazioni consortili

L’art. 2615 cc stabilisce le obbligazioni gravanti sul fondo consortile, distinguendo fra:

a)obbligazioni assunte in nome del consorzio dai suoi rappresentanti

per esse risponde esclusivamente il consorzio e i creditori possono far valere i lodo diritti solo sul fondo consortile.

La riforma del 1976 ha infatti soppresso la responsabilità solidale per tali obbligazioni delle persone che hanno agito in nome del consorzio

b)obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorzianti

per esse rispondono solidalmente sia il consorziato o i consorziati interessati, sia il fondo consortile.

Inoltre, in caso di insolvenza del consorziato interessato, il debito dell’insolvente si ripartisce fra tutti gli altri consorziati in proporzione delle loro quote.

LE SOCIETA’ CONSORTILI

Distinzione tra consorzi e società

Consorzi e società sono istituti diversi.

Page 70: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

La diversità è netta quando il consorzio svolge esclusivamente attività interna, poiché in tal caso manca l’esercizio in comune di un’attività economica da parte dei consorzianti, elemento essenziale delle società.

La distinzione è sottile e va ricercata nello scopo perseguito, quando il consorzio è destinato a svolgere anche attività con i terzi.

Scopo consortile

Funzione tipica di un consorzio è quella di produrre beni o servizi necessari alle imprese consorziate e destinati, di regola, ad essere assorbiti dalle stesse senza il conseguimento di utili da parte del consorzio, dato che i rapporti di scambio sono posti in essere con gli stessi imprenditori partecipanti al consorzio.

Lo scopo perseguito dai singoli consorzianti non è quindi quello di ricavare un utile dall’attività del consorzio con i terzi, ma quello di conseguire un vantaggio patrimoniale diretto, sotto forma di minori costi sopportati (es. consorzio per l’acquisto in comune di materie prime) o di maggiori ricavi conseguiti (es. centro di vendite in comune) nella gestione delle proprie imprese.

Lo scopo dei consorzi è perciò diverso da quello delle società lucrative (società di persone e società di capitali), la cui finalità tipica è quella di produrre utili da distribuire fra i soci; esse svolgono perciò attività di scambio con i terzi.

Tuttavia al consorzio non è fatto divieto di svolgere anche attività lucrativa con terzi.

Scopo consortile-scopo mutualistico

Lo scopo consortile presenta affinità con lo scopo perseguito dalle società cooperative, cioè lo scopo mutualistico.

Anche l’impresa mutualistica tende a procurare ai soci un vantaggio patrimoniale diretto, sotto forma di un risparmio di spesa o di un maggior guadagno.

Perciò si parla anche di scopo mutualistico dei consorzi.

Tuttavia la mutualità consortile si differenzia dalla mutualità delle cooperative in quanto è tipico il vantaggio perseguito dai partecipanti ad un consorzio, cioè la riduzione dei costi di produzione o l’aumento dei ricavi delle rispettive imprese.

L’interesse dei consorzianti è quindi imprenditoriale.

Società consortile. Disciplina

Consorzi e società sono quindi forme associative previste dal legislatore per la realizzazione di finalità con coincidenti.

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Tuttavia, con la modifica delle disciplina dei consorzi del 1976 è stato consentito di perseguire gli obiettivi propri del contratto di consorzio attraverso la costituzione di una società.

L’art. 2615 ter cc dispone infatti che tutte le società lucrative, ad eccezione della società semplice, possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati dall’ art. 2602 cc , cioè gli scopi di un consorzio .

E’ opinione prevalente che anche le società cooperative, non menzionate nelle norma, possono essere utilizzate per la realizzazione di uno scopo consortile.

Gli imprenditori che danno vita ad una società consortile possono inserire nell’atto costitutivo pattuizioni volte ad adattare la struttura societaria prescelta alla finalità consortile perseguita.

Ad esempio in una società consortile per azioni potrà essere previsto l’obbligo dei soci di versare contributi periodici in denaro diversi dai conferimenti.

IL GRUPPO EUROPEO DI INTERESSE ECONOMICO

FUNZIONE

Il Geie (Gruppo europeo di interesse economico) è un istituto giuridico predisposto dalla Unione Europea per favorire la cooperazione fra imprese appartenenti a diversi Stati membri.

FONTI NORMATIVE

La disciplina base di questo istituto è fissata dal regolamento comunitario 2137 del 1985.

Ciascun legislatore nazionale ha poi provveduto ad emanare specifiche norme integrative, applicabili ai gruppi con sede centrale nello Stato.

L’Italia ha provveduto con il d.lgs 240 del 1991.

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STRUTTURA

La struttura del Geie in larga parte coincide con quella dei consorzi di cooperazione con attività esterna.

Parti del contratto costitutivo del gruppo possono infatti essere solo persone fisiche o giuridiche che svolgono un’attività economica.

A differenza dei consorzi, non è però necessario che si tratti di imprenditori ed è previsto che il Geie può essere costituito anche fra liberi professionisti.

E’ invece necessario che almeno 2 membri esercitino la loro attività economica in Stati diversi della Comunità.

Il gruppo non ha lo scopo di realizzare profitti per se stesso, dato che la sua finalità è quella di agevolare l’attività economica dei suoi membri.

DISCIPLINA

Diversa da quella dei consorzi è invece la disciplina del Geie.

Costituzione

Il contratto costitutivo del Geie deve essere redatto per iscritto a pena di nullità, così come previsto per i consorzi.

Nel contratto devono essere indicati almeno:

-la denominazione del gruppo, accompagnata dall’indicazione Geie

-la sede

-l’oggetto

-il nome dei membri

-la durata, che può essere anche a tempo indeterminato.

Il contratto è soggetto a pubblicità legale, mediante iscrizione nel registro delle imprese e successiva pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Page 73: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Dall’intervenuta pubblicazione deve essere poi data comunicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee.

Con l’iscrizione nel registro delle imprese il gruppo acquista la capacità di essere titolare di diritti ed obbligazioni.

Organizzazione

L’organizzazione interna e le regole di funzionamento sono rimesse all’autonomia privata.

Sono comunque espressamente previsti:

-un organo collegiale, cioè l’assemblea

Esso è composto da tutti i membri.

Le decisioni più importanti devono essere prese all’unanimità mentre per le altre il contratto fissa le maggioranze richieste e in mancanza devono essere prese all’unanimità

-un organo amministrativo

La gestione del Geie è affidata ad uno o più amministratori.

Può essere nominato amministratore anche una persona giuridica, la quale esercita le sue relative funzioni tramite un proprio rappresentante persona fisica.

I poteri degli amministratori sono fissati dal contratto.

Tuttavia solo ad essi spetta per legge la rappresentanza del gruppo verso i terzi.

Scritture contabili

Il Geie deve tenere le scritture contabili previste per gli imprenditori commerciali, indipendentemente dalla natura commerciale o meno dell’attività esercitata.

Gli amministratori redigono il bilancio, lo sottopongono all’approvazione dei membri e provvedono a depositarlo nel registro delle imprese.

Profitti-perdite

I profitti risultanti dall’attività del gruppo sono considerati direttamente profitti dei membri e ripartiti fra gli stessi secondo la proporzione prevista nel contratto o, nel silenzio, in parti uguali.

Con lo stesso criterio i membri contribuiscono a coprire le perdite.

Page 74: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Responsabilità

Delle obbligazioni assunte dal Geie rispondono solidalmente tutti i membri del gruppo, oltre a questo con il proprio patrimonio.

Tale aspetto ha rappresentato un ostacolo alla diffusione dell’istituto.

La responsabilità dei membri è tuttavia sussidiaria rispetto a quella del Geie.

Infatti i creditori possono agire nei confronti dei membri soltanto dopo aver chiesto al gruppo di pagare e qualora il pagamento non sia stato effettuato entro un congruo termine.

Ogni nuovo membro del gruppo risponde delle obbligazioni anteriori al suo ingresso, salvo patto contrario opponibile ai terzi solo se pubblicato.

I membri che cessano di far parte del Geie, per recesso od esclusione, continuano a rispondere delle obbligazioni interiori.

Fallimento

Il Geie che esercita attività commerciale è esposto al fallimento in caso di insolvenza.

Tuttavia il fallimento non determina l’automatico fallimento dei suoi membri.

PARTE SECONDA: ESERCIZIO COLLETTIVO DELL’IMPRESA E ASSOCIAZIONE NELL’ESERCIZIO DELLA IMPRESA:

LE SOCIETA’: CAPITOLO 1 : CONCETTI GENERALI:

La società è nel sistema del codice una forma di esercizio collettivo dell’impresa: la modificazione rispetto ai codici abrogati è profonda: in questi , il sistema era imperniato sulla differenza tra società civile e società di commercio. La società civile era un contratto tra soci attribuendo loro determinati diritti o imponendo loro determinati obblighi. Come contratto, la sua efficacia si determina tra le parti e non rispetto ai terzi: l’azione sociale è l’azione propria del socio che agisce e importa esclusivamente la responsabilità personale di lui, a meno che non agisca come mandatario di altri. Le società di commercio, invece erano enti collettivi distinti dalle persone dei soci. L’elemento organizzativo si aggiunge sovrastando quello negoziale e la disciplina della società si pone in funzione dei rapporti tra organizzazione sociale e terzi. Nel sistema attuale eliminatesi la contrapposizione, la società anche se trae origine dal contratto non è mai solo un contratto; essa è una organizzazione di beni e di persone per il raggiungimento di uno scopo produttivo, organizzazione che anche se non assurge sempre a persona giuridica, tuttavia assume una propria autonomia rispetto ai soci che l’hanno creata. Esulano dal concetto di società le forme di godimento

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collettivo dei beni. La differenza tra società e comunione si pone nel fatto che oggetto della società è l’esercizio di una attività economica a scopo speculativo, mentre oggetto della comunione è solo il godimento dei beni secondo la loro destinazione economica. La società è una organizzazione attiva che si propone la realizzazione di un guadagno, non un organismo che si accontenta del godimento dei frutti. L’attività produttiva è elemento di una ulteriore attività speculativa. Da ciò la differenza tra frutto, che presuppone una attività produttiva e si ricava dal godimento dei beni secondo la loro destinazione economica, e guadagno che invece presuppone una attività speculativa. Le comunioni contrattuali non sono società, mentre le comunioni incidentali di guadagno si trasformano in società. La legge inoltre prevede la differenza tra comunione di azienda e società. Il godimento di beni può attuarsi in comune al di fuori di qualsiasi vincolo negoziale, non l’esercizio di impresa, perché questo non può attuarsi in comune senza un accordo espresso o tacito.

La comunione coniugale di impresa: l’articolo 177 che comprende tra i beni che formano oggetto della comunione coniugale tra i coniugi, le aziende gestite da entrambi e costituite dopo il matrimonio e gli utili e gli incrementi di aziende gestite da entrambi i coniugi se l’azienda non apparteneva ad uno dei due anteriormente al matrimonio, pone in discussione i criteri di differenziazione tra società e comunione perché fa sì che tra di loro si inserisce come fenomeno intermedio una comunione di impresa che sorge dall’essere l’attività economica esercitata da entrambi i coniugi. Si tratta sicuramente di un fenomeno marginale ipotizzabile solo quando lo svolgimento in comune dell’attività economica non sia già stato regolato pattiziamente tra i coniugi e che la gestione diretta contemporanea di entrambi è realizzabile solo nell’ambito della piccola impresa. È comunque un fenomeno che incide in quanto accanto alla società pone una comunione di impresa che prima non si riteneva costituisse società. Né si può far leva sul fatto che l’art 177 parla di azienda anziché di impresa, perché la comunione dell’ azienda è un effetto legale della comunione dell’impresa. Tanto meno sembra possibile considerare l’impresa coniugale un fenomeno misto, un fenomeno cioè che è società per quanto attiene all’esercizio in comune dell’impresa e che è invece comunione per quanto riguarda l’azienda. Trattandosi di un istituto di diritto familiare rileva il principio di parità tra i coniugi, e l’interesse della famiglia, così che il giudice può sanare i dissensi tra i coniugi, e i creditori si rivalgono sul patrimonio dell’impresa coniugale per le obbligazioni assunte da entrambi i coniugi oppure da uno solo di essi nell’interesse della famiglia. Non deve esserci assolutamente, un previo accordo o una regolamentazione pattizia nell’esercizio di fatto della attività economica.

LA SOCIETA’ Di ARMAMENTO: nelle comunioni contrattuali di godimento abbiamo la società di armamento regolata dal codice della navigazione. Oggetto di questa società è l’esercizio della nave da parte dei comproprietari di essa. Nessun rilievo assume nella disciplina il fatto che l’esercizio si attui a scopo di lucro. Non possono far parte di tale società persone diverse dai comproprietari, ma essa può essere costituita solo con la maggioranza dei comproprietari con effetto anche per i dissenzienti. Questa partecipazione automatica dei comproprietari dissenzienti alla gestione diretta della nave, si spiega in base ai principi della comunione che rendono vincolanti per la minoranza dissenziente le deliberazioni prese dalla maggioranza nella amministrazione della cosa comune. Tuttavia la società di armamento trova il suo limite invalicabile nel godimento della cosa comune secondo la sua destinazione economica. Se l’esercizio della nave è un mezzo per l’esercizio di una attività imprenditrice, e nel caso in cui tutti siano d’accordo nel gestire l’impresa accanto ad una società di armamento sorge una vera società disciplinata dal codice civile. Questo disciplina l’esercizio in comune di una impresa economica, mentre quello della navigazione il mero esercizio in comune della nave.

SOCIETA’ Di PROFESSIONISTI: esistono fenomeni di collaborazione stabile tra professionisti, nei quali si mettono in comune i mezzi e i risultati e si creano tra i professionisti rapporti associativi nell’esercizio della

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professione. Ma si tratta di una società in senso tecnico? Allora il fenomeno è quello in cui le prestazioni professionali non sono un elemento per la realizzazione del fine economico che forma oggetto della società, ma sono l’oggetto unico ed esclusivo del rapporto associativo, che determina lo scopo dell’esercizio in comune di una professione liberale. Si tratta di un fenomeno diretto alla realizzazione di un risultato economico non realizzabile attraverso l’esercizio individuale della professione. La società di professionisti vuole essere lo strumento mediante il quale si riesce a svolgere più proficuamente l’attività professionale, ma si riesce conservare quella redditività e quel valore economico che potrebbero perdersi nell’esercizio individuale della professione. Per tutto ciò è difficile inquadrare questo fenomeno nel quadro societario. I principi informatori dell’ordinamento sono che chi esercita una professione intellettuale, deve eseguire personalmente l’incarico assunto, anche se può avvalersi di ausiliari e sostituti , ma pur sempre sotto la sua direzione e sotto la sua responsabilità e deve ricevere un compenso proporzionato all’importanza dell’opera e al decoro della professione. Sono questi principi essenziali che se si applicasse l’ordinamento generale delle società andrebbero distorti o compromessi, perché si degraderebbe la posizioni dei singoli soci e toglie loro autonomia. Ora le società di professionisti hanno per oggetto esclusivo l’esercizio in comune della professione dei propri soci. ( esercizio associato della professione).

Società sportive: la legge numero 91 del 1981, impone a tutte le associazioni sportive che impiegano atleti professionisti la forma della s.p.a. o della s.r.l. . per quanto riguarda la posizione dei soci si ammette che in base ad apposita clausola dell’atto costitutivo, una quota parte degli utili sia destinata a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico- sportiva. Per quanto riguarda la struttura organizzativa, al sistema dei controlli previsti dal codice civile si aggiunge un sistema di controlli da parte delle federazioni sportive in ordine alla verifica dell’equilibrio finanziario e si estende alle federazioni nazionali la legittimazione a proporre denuncia al tribunale, e per le s.r.l. l’obbligo della nomina del collegio sindacale.

Società occasionali: esulano dalla nozione di società le società occasionali, quelle cioè che si sono costituite non per lo svolgimento di una attività in comune economica, ma per il compimento in comune di un singolo atto.

SOCIETA’ INTERNE E NON MANIFESTE . LA SOCIETA’ APPARENTE: società interne sono quelle in cui l’oggetto della società si esaurisce nel regolamento dei rapporti tra i soci ( ripartizione delle spese di produzione ), si chè una azione esterna della società non è neanche prevista. Società non manifeste o occulte, sono società che si propongono l’esercizio di una attività economica all’esterno , ma questa attività la esercitano sotto il nome di un socio o di un estraneo; quindi l’impresa che sociale nella realtà si presenta all’esterno come individuale. Le prime esulano dalla nozione di società, quindi alle società interne non sono applicabili le discipline previste nel codice per i diversi tipi di società; rispetto alle società non manifeste non si dubita sul fatto che esse rientrano nella nozione di società, anche se manchi una azione sociale esterna. Ma l’esteriorizzazione della azione sociale non rientra tra gli elementi essenziali della società. Vi è pertanto società anche quando i soci intendano attuare la loro attività comune attraverso l’ausilio di una persona che tale attività svolge sotto il proprio nome. L’impresa è infatti sociale nei rapporti interni, ma si presenta come individuale nei rapporti esterni. Il problema si pone quando la società occulta diviene palese, quando cioè l’impresa individuale si rivela come sociale, e il problema è di stabilire se quella responsabilità che grava sui soci, per le obbligazioni della società nelle società palesi, debba gravare sulla società occulta quando questa si riveli. Allora il prestanome , ossia il soggetto che opera spendendo il proprio nome e rendendo all’esterno la società individuale risponde nei confronti dei terzi ed è tenuto ed è tenuto alla esecuzione delle obbligazioni assunte dalla società per suo tramite e ha diritto d rivalersi sulla società, ove le abbia esegui te, fin quando la società rimane occulta. Una volta che la società diviene palese e si mostra anche all’esterno, non solo all’interno come sociale, essa può agire direttamente e può essere

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direttamente perseguita e saranno i soci ad essere responsabili per le obbligazioni assunte. Nella società non manifesta vi è un rapporto sociale che non si esteriorizza, nella società apparente vi è l’esteriorizzazione di un rapporto sociale che in realtà non sussiste. Là vi è una impresa sociale al suo interno che si presenta come individuale all’esterno, qui invece vi è una impresa individuale che nella sua azione esterna appare come sociale. La società apparente si ha quando più soggetti pur non essendo legati da alcun contratto sociale, operano esternamente in modo da ingenerare nei terzi la convinzione che essi agiscano come soci e quindi da determinare nei terzi l’affidamento legittimo sulla esistenza di una società e sulla conseguente responsabilità dei soci apparenti. Riesce dunque difficile applicare nel campo delle società, tale figura perché manca la possibilità di distinguere tra terzi il cui affidamento può essere ragionevole e terzi il cui affidamento non sia ragionevole. Una società o esiste o esiste non può esistere contemporaneamente nei confronti di coloro che sono in buona fede e non esistere rispetto ad altri.

La nozione giuridica di società va fissata in relazione a due elementi: elemento negoziale che ne individua la funzione ed elemento organizzativo che ne individua la struttura. Sotto il profilo funzionale la nozione societaria è unica, sotto quello organizzativo la nozione varia a seconda degli atteggiamenti che la organizzazione assume. Infatti non esiste una società in generale, ma esistono tipi differenziati di società, in considerazione delle particolari caratteristiche che l’organizzazione sociale presenta, tipi differenziati che però hanno un elemento in comune il negozio giuridico. Non c’è dubbio che alla base della società sia un contratto, un contratto plurilaterale. Come contratto plurilaterale la invalidità del vincolo di una parte non importa l’invalidità dell’intero contratto, né l’adempimento di una parte importa la risoluzione. Nel contratto di società vi è interdipendenza tra le varie obbligazioni , l’obbligazione di un socio non costituisce il corrispettivo dell’obbligazione degli altri, ma insieme con questa il mezzo per la realizzazione dello scopo comune. Ed è appunto da questo scopo che ciascun socio riceverà quel vantaggio che è il corrispettivo dell’obbligazione assunta. Il socio non può rifiutare l’adempimento della propria obbligazione, se non in quanto attraverso l’inadempimento dell’altro socio si sia determinata l’impossibilità del raggiungimento dello scopo comune. L’articolo 2247, ammette che CON IL CONTRATTO Di SOCIETA’ DUE O Più PERSONE CONFERISCONO BENI O SERVIZI PER L’ESERCIZIO IN COMUNE Di UNA ATTIVITA’ ECONOMICA ALLO SCOPO Di DIVIDERNE GLI UTILI.

A) Il conferimento: la società come organizzazione di persone e di beni per uno scopo produttivo non può esistere senza la costituzione di un fondo sociale. Il fondo sociale è costituito mediante i conferimenti dei soci, non vi è pertanto contratto di società, se i soci non conferiscono, né vi è l’acquisto della qualità di socio senza conferimento. Oggetto del conferimento possono essere beni o servizi, ma quando si parla di bene si va riferimento ad ogni attività suscettibile di valutazione economica, come pure la prestazione di una attività lavorativa sia manuale, sia intellettuale, oltre che denaro,beni in natura e crediti. Conferimento non significa consegna del bene prestazione effettiva del servizio, ma semplicemente assunzione dell’obbligazione di dare o fare. Il conferimento può essere determinato nel contratto o meno; se è determinato il socio è obbligato al conferimento assunto e solo a questo, in modo che se i conferimenti risultano insufficienti o perduti non è tenuto a nuovi conferimenti. Il principio maggioritario trova limite inderogabile nel principio per cui non possono imporsi al socio nuovi obblighi senza il suo consenso. Se il conferimento non è stabilito, nel contratto esso deve essere fatto in denaro e se nel contratto non c’è alcun elemento per la sua determinazione, i soci sono tenuti a conferire in parti uguali quanto è necessario per la realizzazione dello scopo comune. La disciplina giuridica del conferimento, in mancanza di espressa disposizione deve ricavarsi dalle norme di tipo contrattuale di cui la prestazione è richiamata. Per i conferimenti in natura deve essere indicato nel contratto sociale anche il valore ad essi attribuito o il modo di valutazione, anzi per le società di capitali è richiesta

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una perizia giurata che attesti l’effettività del valore attribuito al bene, negli altri tipi di società la valutazione dei conferimenti è rimessa ai soci stessi.

B) ESERCIZIO IN COMUNE Di UNA ATTIVITA’ECONOMICA:Nel sistema del codice civile la società è una forma di esercizio collettivo di una attività economica. Non rientrano pertanto nel concetto di società i contratti posti in essere per lo svolgimento di una attività culturale, politica, religiosa o assistenziale. L’esercizio della attività deve attuarsi in comune, alla comunanza di mezzi si aggiunge la comunanza della attività. Questa non è solo comunanza di risultato, ma comunanza della volontà dell’atto. La comunanza della attività si rivela nel momento deliberativo, in quanto al socio spetta il potere di determinare l’attività sociale, e nel momento esecutivo, nel senso che l’attività riguarda tutti i soci. La comunanza si rivela anche verso i terzi, in quanto l’azione sociale si attua nel nome della società.

C) DIVISIONE DEGLI UTILI E DELLE PERDITE( partecipazione agli utili, perché il socio partecipa all’utile ricavata dall’esercizio collettivo ed economico della società): lo scopo che il socio personalmente intende realizzare attraverso la partecipazione alla società, è uno scopo egoistico non altruistico volto realizzare un utile, un incremento patrimoniale ecco lo scopo economico qualificato. Non sono società quei contratti dove i risultati economici sono devoluti a persone diverse dai soci, neppure sono società quei contratti associativi che pur proponendosi la realizzazione di uno scopo economico del socio, non sono diretti alla distribuzione degli utili realizzati nell’esercizio di impresa. Gli utili devono essere realizzati dalla società e poi ripartiti tra i soci. Si ha società anche laddove il socio ricavi utili direttamente e non per il tramite della società, oppure anche quando il guadagno di ciascun socio consista nella realizzazione di un prezzo superiore rispetto a quello per il tramite della società, o nel pagamento di un prezzo inferiore nell’acquisto delle merci per il tramite della società. Non è assolutamente consentita l’esclusione di un socio dagli utili. Il fatto che gli utili debbano essere divisi tra tutti i soci non vuol dire che debbano parteciparvi tutti in egual misura, o che la partecipazione deve essere proporzionale al conferimento , ciò può accadere perché il principio generale è che la partecipazione agli utili sia proporzionale ai conferimenti. ma può anche verificarsi una situazione diversa se così disposto dal contratto sociale. Unico limite è il DIVIETO DEL PATTO LEONINO , cioè del patto per effetto del quale il socio sia addirittura escluso dalla partecipazione agli utili. Allo stesso modo è vietata l’esclusione del socio alle perdite, e l’ammissibilità della partecipazione del socio alle perdite come contropartita od effetto negativo della partecipazione. SOCIETA’ COME ORGANIZZAZIONE: sotto l’aspetto organizzativo abbiamo diversi tipi di società ognuno con le proprie caratteristiche. Il tipo societario riguarda l’aspetto organizzativo, non quello negoziale, riguarda non i rapporti tra i singoli soci, ma l’azione di gruppo, la sua organizzazione, i sui risultati, ossia poteri, rischi e responsabilità. I tipi di società costituiscono un numero chiuso, quindi il problema delle società atipiche deve risolversi negativamente: si può scegliere tra i diversi tipi di organizzazione previsti dalla legge, ma non possono crearsi nuovi tipi e neppure possono essere modificati i connotati di ciascun tipo. La scelta del tipo di società è rimessa alle parti, e alla loro volontà, c’è un solo limite per quanto riguarda le società che esercitano attività commerciale, debbono necessariamente costituirsi secondo il tipo della s.n.c. , s.a.s., s.a.p.a., oppure s.r.l. o s.p.a. e non possono assumere salvo per il settore agricolo il tipo della società semplice. (2249 1 comma).Invece per le società che svolgono attività non commerciale, la legge lascia piena libertà in ordine alla scelta dello schema organizzativo. Anche società semplice. (2249 2 comma). Non è ammissibile una società semplice costituita per l’esercizio di una attività commerciale, mentre società che non abbiano per oggetto attività commerciale sono anzitutto società semplici se all’atto della costituzione i soci non manifestano la volontà di costituire la società secondo altri tipi. Una

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prima classificazione, è basata sullo scopo perseguibile: le società cooperative e mutue assicuratrici (società mutualistiche), si contrappongono alle società lucrative. Seconda classificazione riguarda nell’ambito delle lucrative le società dotate di personalità giuridica( società cooperative e di capitali) e società prive di personalità giuridica ( società di persone), il codice si limita a distinguere società organizzate su base capitalistica o su base personale. Società di capitali: la società è organizzata giuridicamente in funzione della quota di partecipazione di ciascun socio. Qui i suoi diritti e poteri sono attribuiti in base alle quote di partecipazione, a quote uguali corrispondono poteri e diritti uguali, a quote diverse corrispondono diritti e poteri diversi. Società di persone : la società è giuridicamente organizzata in funzione delle persone dei soci ( INTUITU PERSONAE), e diritti e poteri dei soci sono attribuiti in base ai soci stessi.

SOCIETA’ ESTERE: le società costituite all’estero, possono essere organizzate secondo uno dei tipi previsti nell’ordinamento italiano oppure secondo un tipo diverso atipico. La regola è che le società e gli altri enti, sono disciplinati dalla legge dello stato nel territorio in cui si è perfezionata la loro costituzione. Tuttavia nel caso in cui la società costituita all’estero operi stabilmente nel territorio dello stato , essa non può sottrarsi alla disciplina posta nel codice per le società costituite nel territorio dello stato. 2 ipotesi: 1) pure essendo la società costituita all’estero la sua attività si esplica in Italia, ove è posta la sede principale della società; 2) l’attività sociale si svolge anche in Italia ove è posta la sede secondaria. Nella prima ipotesi la legge assoggetta integralmente la società costituita all’estero alla disciplina italiana per lo svolgimento della attività sociale e per le strutture organizzative; il che significa che non sono ammessi tipi di società diversi da quelli previsti nel codice. Nella seconda ipotesi il processo di costituzione della società è regolato dalla legge straniera, e la legge riconosce efficacia nel territorio dello stato alla costituzione secondo la legge estera anche se il tipo di società prescelto non corrisponde ad uno di quelli previsti dal codice, ma assoggetta questa società di tipo diverso alle regole valevoli per le s.p.a. sia per quanto attiene alla pubblicità nel registro delle imprese, sia per quanto attiene alla responsabilità degli amministratori. La mancata osservanza delle suddette norme comporta responsabilità illimitata e formale di coloro che agiscono per conto della società. SOCIETA’ EUROPEA: è un nuovo tipo di s.p.a. la cui utilizzazione è riservata alle imprese che operano in almeno due stati membri, e la cui disciplina è una combinazione originale tra norme di fonte comunitaria e norme statali, quelle dell’ordinamento ove la società pone la sua sede. La SE è disciplinata innanzitutto dal regolamento, e poi dalle clausole statutarie e poi dalle norme statali adottate in applicazione del regolamento. È uno strumento volto ad agevolare, la libertà di stabilimento. Il regolamento 2157/2001, prevede una pluralità di tecniche per la costituzione della SE, essa può avvenire per fusione, creazione di una SE HOLDING o SE AFFILIATA, mediante trasformazione di una società nazionale , ed è possibile infine anche che una SE costituisca a sua volta con atto unilaterale una altra SE affiliata. CAPITOLO 2 : LE SOCIETA’ Di PERSONE:

le società di persone sono organizzate in funzione dell’uomo- socio su base personale. Ogni socio ha la responsabilità di amministrare la società e richiede di regola il consenso di tutti i soci per le modificazioni dello atto costitutivo; il singolo socio può amministrare e rappresentare la società indipendentemente dalla quota di partecipazione conferita. Non vi è una pluralità di organi. E le società di persone hanno una autonomia patrimoniale imperfetta, ossia il singolo socio rischia il suo intero patrimonio nell’attività di

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impresa, con vincolo di solidarietà verso altri soci. La categoria delle società di persone risulta comprensiva della società semplice, della società in nome collettivo, e della società in accomandita semplice.

Nelle società di persone, il contratto non è di per sé un contratto formale. La forma può essere richiesta in relazione all’oggetto del conferimento. Vi è unificazione della collettività dei soci nei rapporti interni ed esterni che si rivela con l’attribuzione alla società di un nome(ragione sociale), di una sede, di una rappresentanza di una amministrazione e con l’indisponibilità del socio per i beni conferiti. Vi è autonomia patrimoniale del complesso di beni che si rileva nella insensibilità più o meno assoluta a fronte delle vicende personali dei soci e nell’ordine più o meno rigoroso imposto ai creditori sociali. Questa unificazione della collettività dei soci, e questa autonomia patrimoniale trovano il fondamento nel riconoscimento della personalità giuridica. La caratteristica essenziale della società consiste nella rilevanza per i soci e per i terzi della destinazione dei beni allo scopo. Da questa dipende la limitazione dei diritti dei soci e dei creditori particolari di questi. La rilevanza dei beni destinati allo scopo comune determina una particolare struttura dei rapporti interni ed esterni. Dei rapporti interni tra soci in quanto diritti e poteri spettano al socio uti singulus e non uti socius e cioè come membro della collettività sociale , ed dei rapporti esterni in quanto diritti e obblighi verso terzi fanno capo direttamente alla collettività e solo mediatamente al socio come membro della collettività stessa. Determina inoltre una autonomia dei beni sociali, sottraendoli all’azione dei creditori particolari del socio. La responsabilità personale del socio,per le obbligazioni della società, non si pone sullo stesso piano di quella che incombe sulla collettività. L’attività sociale attività del gruppo, non attività personale del socio; pertanto al gruppo e non al singolo socio spetta la qualifica di imprenditore. Né tale qualifica può ripartirsi tra i soci che del gruppo fanno parte, il socio tuttavia partecipa come membro della collettività, ed assume le obbligazione inerenti a tale attività ciò spiega perché il socio pur non essendo imprenditore, tuttavia è soggetto ad alcune norme che sono dettate per l’esercizio dell’impresa. Il patrimonio della società è il complesso di beni originariamente conferiti e di quelli acquistati attraverso l’esercizio della attività sociale, ed è destinato al raggiungimento dello scopo sociale. Tale destinazione opera nei confronti del socio nel senso di impedirgli ogni potere individuale di disposizione ma anche nei confronti dei creditori particolari di lui, non consentendo loro di sottrarre tali beni alla destinazione ad essi attribuita nel contratto sociale. L’azione del creditore particolare del socio può attuarsi finchè dura la società , sugli utili di spettanza del singolo socio, e al momento dello scioglimento, sulla quota di liquidazione;prima di tale momento il creditore può solo compiere atti conservativi sulla quota medesima.

SOCIETA’ SEMPLICE: il termine società semplice deriva dal codice svizzero a voler sottolineare l’elementarità del tipo e la mancanza di una vera e propria pubblicità. La società semplice può esercitare solo attività economica non commerciale. Nelle intenzioni del legislatore il campo di applicazione è quello della economia agraria. Nella società semplice, non è previsto un regime di pubblicità dichiarativa con gli effetti positivi o negativi che ne derivano, ma solo una forma di pubblicità notizia, che si realizza con l’iscrizione nel registro delle imprese nella sezione speciale. Ciò si spiega per il fatto che il suo oggetto non è commerciabile. Per quanto attiene alla responsabilità, i soci sono responsabili limitatamente se non agiscono attraverso un patto espresso del contratto sociale, che deve essere portato a conoscenza dei terzi, con mezzi idonei, pena l’inopponibilità dello stesso a coloro che non ne hanno avuto conoscenza(2267). Quindi nelle società semplici tutti i soci possono essere responsabili illimitatamente e solidalmente , o alcuni soci ( quelli che agiscono). Capacità e legittimazione: la partecipazione ad un contratto di società essendo un atto che eccede l’ordinaria amministrazione è un atto che non può essere compiuto dal rappresentante legale dell’incapace senza le debite autorizzazioni, né dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore. Problemi poi sono sorti in ordine alla possibilità di assunzione della persona giuridica socia delle funzioni di amministratore della società, in quanto nella struttura organizzativa della società, di persone verrebbe ad inserirsi e ad assumere rilevanza l’ordinamento della persona giuridica. Il che non sembrava

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ammissibile in assenza di una norma esplicita che lo prevedesse: ed anche a tale problema occorre dare risposta positiva almeno per le società si capitali; se si considera che l’amministrazione della società in accomandita semplice può essere conferita solo ai soci accomandatari è evidente che significa ammettere che la società di capitali può assumere la funzione di amministratore, anche di società in nome collettivo. ESIGENZE Di FORMA E PUBBLICITA’ DEL CONTRATTO : Il contratto di società semplice non è soggetto a forme speciali, salvo quelle richieste dalla natura dei beni. (2251). Il patto di limitazione della responsabilità del socio è efficace solo in quanto portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. Questo perché dato che il regime normale è quello di responsabilità illimitata e solidale dei soci in mancanza di una pubblicità del patto limitativo della responsabilità il terzo non sarebbe sufficientemente tutelato. MODIFICAZIONI DELL’ATTO COSTITUTIVO: Il contratto sociale può essere modificato solo con il consenso di tutti i soci, se non è convenuto diversamente. (2252). (Una eccezione significativa a questa regola generale è prevista per le decisioni modificative del contratto sociale è la trasformazione in società di capitali, la fusione, la scissione di società di persone che possono essere decise con il consenso della maggioranza dei soci determinata in base alla parte attribuita ad ognuno negli utili, comunque anche quando il contratto consenta il principio maggioritario, è sottratto al potere della maggioranza di modificare la posizione del socio nella società attraverso la soppressione o limitazione dei diritti che sono attribuiti al socio, oppure tramite la imposizione di maggiori obblighi di quelli che dal contratto derivano a suo carico.) le modificazioni del contratto nella società semplice devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei in quanto comportino una modificazione rilevante verso i terzi, in assenza esse non sono opponibili ai terzi che le abbiano senza loro colpa ignorate. E ciò anche se sia attuata la pubblicità notizia. RESPONSABILITA’: i creditori sociali trovano il loro soddisfacimento nel patrimonio sociale e la responsabilità personale del socio si aggiunge a quella della società. (2267). L’azione nei confronti del socio non può essere proposta previa escussione del patrimonio sociale, pure trattandosi di responsabilità diretta, la responsabilità è sussidiaria; si pone cioè su un piano diverso e subordinato rispetto a quella che al socio incombe come membro della collettività. (2268). Il creditore particolare del socio fin quando dura la società può far valere i suoi diritti, sugli utili spettanti al debitore e compiere atti conservativi sulla quota spettante a questo nella liquidazione. Se gli altri beni del debitore , sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti il creditore particolare può in ogni tempo chiedere la liquidazione della quota al debitore . e tale quota deve essere liquidata entro 3 mesi dalla domanda, salvo che sia deliberato lo scioglimento della società. (2270). Il diritto del socio rimane limitato agli utili ed alla quota di liquidazione, ma si consente al creditore particolare di realizzare , chiedendone la liquidazione la quota del socio suo debitore anche prima che lo scopo sociale sia raggiunto. Presupposto del diritto particolare del socio è l’insufficienza dei beni del socio debitore a soddisfare i suoi crediti. Il diritto di chiedere la liquidazione della quota compete anche ai creditori particolari dei soci di una collettiva o accomandita nel caso di proroga tacita, o nel caso in cui la società non sia registrata. I soci che operano (amministratori)sono responsabili nei confronti dei terzi ed ogni diverso patto contenuto nel contratto sociale non è efficace rispetto ad essi. (2267). Per i soci che non operano la responsabilità sussiste solo quando sia caratteristica del tipo di società scelto o quando i soci non abbiano escluso la responsabilità nel contratto sociale. L’esclusione della responsabilità prevista nel contratto sociale per i soci che non operano, non è opponibile ai terzi se non quando sia portata a loro conoscenza con mezzi idonei, O i terzi ne abbiano avuto comunque conoscenza. Chi entra in una società già costituita risponde insieme a tutti gli altri soci, anche per le obbligazioni sorte anteriormente all’acquisto della qualità di socio. (2269). Solo nella società semplice è prevista una limitazione di responsabilità alle obbligazioni successive, purchè sia attuata la pubblicità e a condizione che il nuovo socio non agisca in nome e per conto della società. La responsabilità permane dopo l’uscita dalla società, in relazione alle obbligazioni che assunte durante il periodo in cui il socio ne faceva parte. Il socio e i suoi eredi, pur non essendo più obbligati verso la società, rimangono soggetti ,all’azione dei creditori sociali. (2290). Per le

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obbligazioni sociali risponde anzitutto il fondo sociale, formato con i conferimenti: la responsabilità del socio ha sempre carattere sussidiario, cioè funziona in quanto il fondo sociale sia insufficiente. Occorre però distinguere la responsabilità del socio dalla sua obbligazione di conferimento. L’assunzione dell’obbligo di conferimento è presupposto fondamentale della partecipazione come socio. L’obbligazione di conferimento sorge dal contratto, la responsabilità verso terzo sorge dalla legge. La responsabilità apporta assoggettamento del patrimonio personale del socio all’azione esecutiva dei creditori sociali, non anche il diritto della società di costringere i soci al versamento delle somme necessarie al pagamento dei creditori. La responsabilità del socio è solidale , a ciascun socio responsabili può essere chiesto l’intero. Nella società semplice è riconosciuto al socio il beneficio dell’escussione preventiva del patrimonio sociale, ma qui il creditore può rivolgersi direttamente al singolo socio illimitatamente responsabile e sarà questi che dovrà invocare la preventiva escussione del patrimonio sociale indicando i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi. (2268). La differenza con la s.n.c. è sul piano non sostanziale , ma su quello processuale, in quanto l’onere della prova della insufficienza del patrimonio incombe sul creditore ed il beneficio di escussione opera automaticamente. Il socio per effetto della sua partecipazione nella società assume una posizione soggettiva, in cui confluiscono diritti ed obblighi, poteri e doveri. Tutte queste diverse posizioni hanno un fondamento unitario. Le posizioni più interessanti del socio sono quelle che gli competono nell’ambito della comunione di impresa. Nella comunione di impresa emerge la partecipazione del socio come partecipazione alla formazione del nucleo patrimoniale destinato all’esercizio. E la nozione di quota sociale esprime le parte di questo nucleo patrimoniale, che fa capo al socio e nella quale trovano la loro fonte unitaria le varie posizioni soggettive. La quota sociale è una entità patrimoniale perché rappresenta una quota astratta di un nucleo patrimoniale: una entità che ha un suo valore economico che può formare oggetto di rapporti giuridici. È una frazione del nucleo patrimoniale destinata all’esercizio di una attività economica. La normale trasferibilità della quota del socio illimitatamente responsabile, senza il consenso degli altri soci e di quella degli accomandanti senza il consenso della maggioranza è coi spiegata dalla articolo 2322. Il trasferimento della quota non importa la perdita da parte della società della sua identità ed individualità. La società rimane la stessa anche se il socio amministratore è cambiato. Iniziativa e rischio sono due elementi determinanti della posizione dei soci. Potere di iniziativa: non è potere di amministrazione, ma potere di contribuire alla posizione delle norme che debbono regolare l’attribuzione dei poteri nell’ambito sociale. Il potere di amministrazione è una posizione non originaria ma bensì derivata, perché ad esso corrisponde in primo luogo l’obbligo del rendiconto, perché le modalità di questo esercizio vanno determinate sulla base dell’ordinamento sociale ed infine perché tale potere non può essere attribuito a una categoria di soci o ad un singolo socio. Il rischio è posizione individuale dei soci che è proporzionata alla partecipazione agli utili ed alle perdite. La distribuzione degli utili è la conseguenza automatica dell’approvazione del rendiconto(2262). I soci sono tenuti alla restituzione delle somme percepite se gli utili fatti emergere, risultano fittizi o se pur risultando effettivi il rendiconto non è stato approvato. Solo rispetto ai soci accomandanti non è ammessa ripetizione per gli utili percepiti in buona fede in base al bilancio regolarmente approvato. La parte spettante al socio sugli utili, è proporzionale al valore del conferimento: all’autonomia privata viene posto il limite rappresentato dal divieto del patto leonino . poi se il contratto nulla dispone le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si presumono proporzionali ai conferimenti; se il valore dei conferimenti non è stato determinato, le parti si presumono uguali; se è determinata solo la parte di ciascuno ai guadagni , si presume la partecipazione alle perdite nella stessa misura. Se non è determinato nel contratto sociale il valore del conferimento e neppure la partecipazione agli utili la legge prevede che la stessa sia determinata dal giudice secondo l’equità.(2263). La determinazione della parte di ciascun socio negli utili può essere rimessa al giudizio di un terzo la cui funzione è quella di arbitratore. (2264). ORGANIZZAZIONE SOCIALE: ogni fenomeno di gruppo postula un principio organizzativo: l’organizzazione della società non è rigidamente determinata negli organi e nelle

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competenze, quanto piuttosto rimessa alla libera determinazione dei soci. Non sussistono organi della società, ma solo la possibilità che si preveda nel contratto sociale il compimento di certe operazioni con la volontà della sola maggioranza dei soci; e che i soci attribuiscano ad uno di essi o anche ad uno estraneo l’amministrazione( anche se si deve desumere che l’espressione diversa pattuizione dell’articolo 2257,si riferisce ad una diversa regolamentazione più che all’attribuzione di poteri ad uno estraneo, anche se in assenza di una legge espressa che lo imponga essendo il regolamento dell’amministrazione rimesso alle deliberazioni dei soci appare difficile negare questa eventualità ) . L’organizzazione delle società di persone si basa sulla distinzione tra soci e amministratori; i soci possono modificare l’atto costitutivo, con il consenso di tutti, gli amministratori invece hanno il potere di compiere gli atti per il raggiungimento dello scopo sociale. Qui non sono attribuite particolari competenze e poteri ai soci riuniti in assemblea, anche quando la legge fa riferimento alla maggioranza dei soci, non si ha riferimento ad un organo collegiale. Ne si parla di atto concretante la manifestazione di volontà dei soci singoli, ne di atto unitario risultante dal voto dei soci in assemblea. Naturalmente l’atto costitutivo può prevedere che il consenso dei soci, sia dato in assemblea, e che si debbano seguire certe modalità nella convocazione e deliberazione, modalità che devono essere osservate ma anche in questo caso, non siamo di fronte ad un organo collegiale della società bensì alla previsione contrattuale di una forma per la manifestazione di volontà dei soci. GLI amministratori sono le persone nominate nel contratto o quelle a cui in mancanza il potere viene attribuito dalla legge( 2257). L’amministrazione della società importa la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali del socio che amministra. È comunque decisiva la volontà dei soci espressa nell’atto costitutivo, e la disciplina legale ha valore suppletivo. Il potere di amministrazione trova la sua fonte nella investitura da parte dei soci. Ciò è evidente nella ipotesi in cui tale potere sia conferito, ad uno soltanto od ad alcuni dei soci ed anche quando avviene sulla base di una clausola del contratto sociale. Quando l’amministrazione spetta a più soci ( tutti o alcuni,amministrazione disgiuntiva), ciascun socio può intraprendere da solo le operazioni che rientrano nell’oggetto sociale senza essere tenuto a chiedere il consenso o il parere degli altri soci amministratori. Questo ampio potere di iniziativa è però temperato dal diritto di opposizione riconosciuto a ciascuno degli altri soci amministratori( se l’opposizione è tempestiva paralizza il potere decisori del singolo socio amministratore, decidendo con la maggioranza dei soci per le quote di interesse). (2257). Invece con l’amministrazione congiuntiva ( convenuta in modo espresso nell’atto costitutivo), è necessario il consenso di tutti i soci amministratori per il compimento delle operazioni sociali. Vi è il riconoscimento ai singoli amministratori di agire individualmente quando vi sia urgenza di evitare un danno alla società. I soci investiti dell’amministrazione possono essere nominati nell’atto costitutivo o con atto separato. La differenza sta per quanto riguarda la facoltà di revoca dell’amministrazione: se l’amministratore è nominato nell’atto costitutivo, la revoca deve essere decisa dagli altri soci all’unanimità, e no ha effetto se non ricorre giusta causa,; se invece viene nominato per atto separato è revocabile secondo le norme del mandato anche se non ricorre giusta causa dunque. Se l’atto costitutivo nulla prevede in ordine alla amministrazione , il relativo potere è affidato a ciascun socio, in questo caso la revoca si attua solo in presenza di un atto modificativo del contratto sociale, o in occasione dell’uscita del socio amministratore dalla società. (2259). La posizione giuridica degli amministratori è equiparata a quella dei mandatari,per questo, gli amministratori sono solidalmente responsabili per gli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale, tuttavia, non si estende tale responsabilità a coloro che dimostrano di essere esenti da colpa.(2260). Una responsabilità solidale si giustifica quando l’amministrazione si attui collegialmente, non anche quando il sistema normale sia quello dell’amministrazione disgiuntiva; d’altra parte se il potere di amministrazione è legato alla figura di socio illimitatamente responsabile, a norma avrebbe portata nulla perché la responsabilità per la cattiva gestione cadrebbe su tutti i soci. La norma ha valore solo quando l’amministrazione è conferita a più soci, ma non a tutti. I soci amministratori hanno anche diritto ad un compenso per il loro ufficio. Gli amministratori

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debbono esercitare le loro funzioni personalmente e debbono usare a diligenza media. Inoltre i soci non possono servirsi senza il consenso degli altri delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società. I soci non amministratori hanno poteri di informazione e di controllo, hanno il diritto di avere notizie dagli amministratori circa lo svolgimento degli affari sociali, possono inoltre consultare documenti relativi all’amministrazione, ed ottenere il rendiconto al termine di ogni anno. Tale ultimo diritto è personale, ed il suo contenuto può essere ampliato o ridotto nel contratto sociale. Il socio può anche rinunziarvi, ma la rinunzia preventiva al rendiconto non esonera gli amministratori dalla responsabilità per dolo o colpa grave. Il diritto del singolo socio al rendiconto pone un rapporto diretto tra socio e amministratore, che è invece negato nelle ipotesi di responsabilità dell’amministratore per mala gestione . le due norme possono essere conciliate ed il principio da cui conviene muovere è che nei rapporti interni tutto si basa su contrapposizione tra soci che e soci che non amministrano, quindi sarebbe una finzione quella di porre gli amministratori di fronte alla collettività dei soci, cioè di quelli che non amministrano. Quando tuttavia emergono delle responsabilità e il patrimonio sociale è danneggiato, il danno che il socio risente è quello che consegue al danno che ha subito il patrimonio della società, ed è logico che tale danno debba essere risarcito. Non sarebbe sufficiente che gli amministratori responsabili risarcissero quella parte di danno che viene ad incidere sul socio in relazione alla quota di interesse, perché così si comprometterebbero il funzionamento della società e la posizione dei creditori sociali; ed è ciò che si intende evitare con l’affermare la responsabilità degli amministratori verso la società(2261). Fra le funzioni degli amministratori vi è la rappresentanza della società ( potere di firma), che è il potere di agire nei confronti di terzi in nome e per conto della società, dando luogo all’acquisto di diritti ed all’assunzione di obblighi. In ordine a tale potere è fondamentale la volontà dei soci nel contratto sociale, la disciplina legale ha solo valore suppletivo. Nella società in nome collettivo regolare cioè iscritta nel registro delle imprese, le limitazioni di rappresentanza degli amministratori non sono opponibili ai terzi se non iscritte nel registro delle imprese o se non si provi che essi ne abbiano avuto conoscenza. Invece nelle s.n.c. irregolari, l’omessa registrazione si ritorce contro i soci essendo tutelato l’affidamento che i terzi ripongono nel rispetto del modello legale di rappresentanza. Il potere di gestione ( attività interna) riguarda la fase decisoria delle operazioni sociali . il potere di rappresentanza ( attività esterna), riguarda la fa se di attuazione con i terzi delle operazioni sociali. La rappresentanza è anche processuale la società può agire o può essere chiamata in giudizio in persona dei soci amministratori che ne hanno la rappresentanza. Le limitazioni a tali poteri sono sempre opponibili ai terzi , su di loro incombe l’onere di accertare se il socio che agisce in nome della società ha effettivamente il potere di rappresentanza. RAPPORTI CON I TERZI: i rapporti con i terzi si pongono con il gruppo sociale, non con i singoli soci. L’azione sociale si esplica solo come azione di gruppo, sotto una ragione sociale sotto un nome cioè che valga puntualizzare che si tratta di una azione di gruppo. SCIOGLIMENTO DEL SINGOLO RAPPORTO SOCIALE: il contratto plurilaterale, permane anche di fronte alle vicende afferenti al rapporto con un singolo contraente, ameno che queste non si riverberino sull’intero contratto , rendendone impossibile l’esecuzione. Le vicende personali del socio non determinano nel caso in cui il contratto si ponga tra più di due soci, lo scioglimento della società, ma solo lo scioglimento del rapporto sociale nei suoi confronti, e la liquidazione della quota. Questo è però concepibile solo nelle società con più soci, perché rispetto ad un contratto intercorrente tra due persone, la partecipazione di ciascuna di esse è sicuramente essenziale; ed in quanto lo scioglimento del rapporto relativamente ad un socio nella società di due soci integra immediatamente gli estremi dell’articolo 2272, e cioè determina lo scioglimento della società se la pluralità dei soci non viene ricostituita, entro 6 mesi. L’unico dubbio riguarda il fatto se la ricostituzione della pluralità dei soci è frutto della volontà dell’altro socio rimasto o se invece richieda la cooperazione dell’altro socio o dei suoi eredi. Nelle ipotesi di recesso od esclusione vale la prima ipotesi, in caso di morte del socio, essendo l’evento indipendente dalla volontà umana, la ricostituzione della pluralità non può attuarsi senza il consenso degli eredi del socio defunto. Allora lo

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scioglimento del SOLO rapporto sociale con il singolo socio può avvenire per 1) morte del socio, 2) esercizio del diritto di recesso, 3) dalla esclusione.

1) Con la morte di un socio, non si ha scioglimento della società; se muore un socio, quelli superstiti sono tenuti a liquidare la quota ai suoi eredi nel termine di 6 mesi( i soci superstiti non sono obbligati a subire il sub-ingresso di eredi nella società); oppure possono addirittura sciogliere la società, in questo caso gli eredi attendono la liquidazione della quota spettante al socio defunto; oppure possono continuare la società, con gli eredi medesimi se questi vi acconsentano. (è necessario il consenso di tutti i soci e di tutti gli eredi). (2284). In ogni caso si determina una modificazione nell’ordinamento e nel contratto sociale. La sostituzione degli eredi importa ingresso di un nuovo socio, nella società e la posizione degli eredi è la stessa che compete ai nuovi soci, problemi sono sorti in ordine alle clausole che impongono agli eredi l’obbligo di continuare ( clausola con obbligo di continuazione), o che addirittura pongano la continuazione come conseguenza automatica dell’acquisto della eredità, ( clausola di successione): è sorto il dubbio che quando l’eredità venga accetta con beneficio di inventario, la responsabilità degli eredi del socio debba essere contenuta INTRA VIRES HEREDITARIAS. Così pure che la partecipazione alla società può essere conseguenza della accettazione della eredità, con la conseguenza che la responsabilità si trasmette all’erede in quanto socio e non in quanto erede. Essa pertanto è regolata dalle norme della società e non da quelle della successione. Valida è la clausola con obbligo di continuazione, che importa che i soci si promettono a vicenda che l’erede parteciperà alla società; l’erede poi è libero di attuare o no la promessa ossia partecipare o meno alla società, ma nel caso in cui non partecipi, la conseguenza sarà la previsione di un risarcimento del danno a carico del promittente e quindi dei suoi eredi.

2) Il recesso è il diritto che la legge o il contratto sociale riconosce al socio di uscire dalla società mediante una propria dichiarazione di volontà. Se la società è a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci ogni socio può recedere liberamente comunicando la sua volontà ai soci con un preavviso di almeno 3 mesi; se invece la società è a tempo determinato, allora il recesso è ammesso per legge solo se sussiste una giusta causa.(2285).il medesimo diritto è anche riconosciuto ai soci che hanno concorso alla trasformazione in società di capitali, di fusione e di scissione. È indubbio che il contratto sociale possa vietare il diritto di recesso, oppure in caso di società costituita senza determinazione di tempo, il recesso può ritenersi consentito dopo solo che l’attività sociale sia iniziata o dopo che sia concluso il processo produttivo.

3) L’esclusione è il mezzo tramite il quale si attua la estromissione dalla società del socio, la cui partecipazione non può essere ulteriormente consentita, essendosi modificate le basi originarie della partecipazione. La legge enuncia una causa generale di esclusione e talune cause specifiche. La causa generica sta nell’inadempimento grave del socio degli obblighi che derivano dalla legge o dal contratto sociale ( mancata esecuzione conferimenti, violazione divieto di concorrenza). Le cause specifiche sono, a) sopravvenuta incapacità legale del socio, per effetto di interdizione, inabilitazione o di condanna penale; b) sopravvenuta impossibilità della prestazione per causa imputabile al socio; c) sopravvenuta inidoneità a svolgere l’opera promessa. L’esclusione è effetto di deliberazione della maggioranza dei soci calcolata per teste. (2286).Nella società composta da due soli soci, l’esclusione di uno di essi è pronunciata direttamente dal tribunale su domanda dell’altro. La deliberazione ha effetto dopo trenta giorni dalla comunicazione al socio, e contro di essa il socio escluso può in questo termine proporre opposizione dinanzi al tribunale e può chiedere la sospensione dell’esecuzione. La sentenza che pronuncia l’esclusione ne caso di due soci ha effetto dalla data della domanda. (2287). La legge prevede anche cause di esclusione che

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operano automaticamente, ossia di diritto cioè senza deliberazione dei soci: a) è escluso il socio dichiarato fallito e b) il socio nei cui confronti il creditore particolare abbia ottenuto la liquidazione della quota. Queste particolari cause di esclusione operano solo laddove sussista un diritto del socio particolare a chiedere liquidazione della quota. Tali cause di esclusione funzionano per la società semplice, per le s.n.c. e s.a.s. irregolari non per quelle regolari, rispetto alle quali durante la società i creditori particolari del socio non hanno la facoltà di distogliere la quota del socio dagli scopi sociali. L’uscita del socio dalla società, impone la definizione dei rapporti tra socio e società, la quale si attua mediante la liquidazione della quota al socio uscente. Il socio uscente o i suoi eredi non hanno diritto ad una quota proporzionale dei beni ma solo ad una somma di denaro, che deve corrispondere a quella che il socio verrebbe realizzare in sede di liquidazione della società. La liquidazione della quota si attua sulla base della situazione patrimoniale della società del giorno in cui si verifica lo scioglimento relativamente al singolo socio.(2289). Il pagamento della quota deve avvenire entro 6 mesi e al momento dello scioglimento se vi sono operazioni in corso deve tenersi conto dei risultati positivi o negativi di queste operazioni correggendo la determinazione del valore già eventualmente compiuta. (2289). L’uscita del socio dalla società non determina il venir meno della responsabilità del socio o dei suoi eredi per le obbligazioni sociali antecedenti allo scioglimento del rapporto. (2290). Tale uscita del socio dalla società deve essere portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei o attraverso la pubblicità legale, a seconda dei tipi di società.(2290). SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETA’: la società si scioglie 1) Per il decorso del termine2) Per il conseguimento dell’oggetto sociale o sopravvenuta impossibilità di conseguirlo. 3) Per volontà di tutti i soci4) Quando viene a mancare la pluralità dei soci e nell’arco di 6 mesi non viene ricostituita5) Per altre cause previste dal contratto sociale. (2272). A queste devono aggiungersi6) Il venire meno di un conferimento essenziale per morte recesso o esclusione del socio7) Provvedimento autorità governativa e la dichiarazione di fallimento( s.n.c. e s.a.s.)8) Il fatto che rimangano solo soci accomandanti o accomandatari, sempre che entro 6 mesi non

sia sostituito il socio venuto meno. (s.a.s.). I casi 1, 4 come pure per il mancato compimento di atti di gestione per tre esercizi consecutivi, devono essere rilevati dall’ufficio del registro delle imprese e questo deve invitare gli amministratori a comunicare l’avvenuto scioglimento della società oppure a fornire elementi idonei a dimostrare la persistenza della attività della società: in caso di inottemperanza , il presidente del tribunale dispone la cancellazione della società dal registro qualora ritenga necessario non ricorrere a nomina del liquidatore. La causa di scioglimento è immediatamente operativa, però la legge può stabilire che l’operatività si abbia solo sotto certe condizioni. È la situazione per esempio che si verifica a fronte di una pluralità di soci, nella s.a.s. di fronte al venir meno di tutti i soci accomandanti, o accomandatari. Il determinarsi di questa situazione determina lo scioglimento del contratto solo se entro 6 mesi la pluralità di soci non si è ricostituita. La ricostruzione della pluralità dei soci funziona come condizione di fatto e non come condizione di diritto ed opera retroattivamente. quando si verifica una causa di scioglimento, essa non può essere imposta al socio senza il suo consenso. Lo scioglimento della società opera EX NUNC non ex TUNC: determina il venir meno del contratto ma non elimina i rapporti che sono sorti anteriormente nell’esercizio di tale attività ed anzi pone la necessità di una loro definizione. Con lo scioglimento del contratto non siha il venir meno della organizzazione sociale, ma solo il determinarsi di una nuova direzione della sua attività : non più attività lucrativa ma bensì liquidazione. La liquidazione è anteriore alla ripartizione dell’attivo e posteriore allo scioglimento della società; per liquidazione si

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intende la conversione in danaro del patrimonio sociale; questa può essere il mezzo più pratico per addivenire alla definizione dei rapporti sociali, ma la conversione in danaro non è essenziale al concetto di liquidazione. I soci possono pertanto scegliere qualunque altro mezzo. Lo scioglimento del contratto non determina estinzione della società, ma solo il passaggio della società medesima dalla fase attiva alla fase passiva di liquidazione. Questa modificazione incide: 1) rispetto ai soci, sorge infatti il diritto ad avere una quota di liquidazione. Ai fini della determinazione della quota di determinazione la legge considera due elementi : il valore del conferimento ed la parte che spetta al socio nei guadagni. Di solito la seconda è proporzionale alla prima e non vi è necessità di distinguere, ma una proporzionalità vi può anche non essere: da ciò la necessità di provvedere anzitutto al rimborso dei conferimenti e solo poi alla ripartizione dei guadagni. Se la attività si è conclusa con una perdita la determinazione della quota va sempre fatta tenendo conto del valore dei conferimenti ed ora anche della parte che grava al socio nelle perdite. La differenza è che mentre la parte spettante al socio nei guadagni è sommata l conferimento, nel secondo caso la parte nelle perdite è decurtata. 2) rispetto ai creditori particolari, viene meno la possibilità di chiedere la liquidazione della quota del socio debitore. Essi debbono attendere l’esaurimento della liquidazione per far valere i propri diritti.3) rispetto agli amministratori, il loro potere di amministrare è conservato limitatamente agli affari urgenti fino a che non siano presi provvedimenti necessari per la liquidazione. (2274). Si riduce però il potere di rappresentanza. 4) nessuna modificazione in ordine ai creditori sociali, anche rispetto la società la modificazione riguarda più l’organizzazione interna che quella esterna. Le modalità di liquidazione possono essere stabilite nel contratto sociale o possono essere determinate d’accordo tra i soci quando si verifica la causa di scioglimento. Le norme del codice in materia di liquidazione hanno valore suppletivo. L’unico limite posto all’autonomia privata dei soci sta nell’impossibilità di eliminare i diritti che i creditori sociali hanno sul patrimonio sociale, senza il consenso dei creditori stessi. Il procedimento di liquidazione inizia con la nomina di uno o più liquidatori, nomina che richiede il consenso di tutti i soci, nel contratto sociale o al momento dello scioglimento della società ed in caso di disaccordo la nomina spetta al presidente del tribunale. Allo stesso modo possono essere revocati per volontà di tutti i soci o dal tribunale per giusta causa su domanda di uno o più soci. (2275). La nomina e la revoca dei liquidatori deve essere portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei o assoggettata a pubblicità legale.(2309). Con l’accettazione della nomina i liquidatori prendono il posto degli amministratori( dei quali hanno la medesima posizione giuridica circa anche gli obblighi e la responsabilità(2276)), i quali devono presentare il bilancio dell’ultimo periodo e devono anche consegnare ai liquidatori il conto della gestione relativo al periodo successivo all’ultimo rendiconto; insieme devono poi redigere l’inventario dal quale risulta lo stato attivo e passivo del patrimonio sociale.(2277). I liquidatori, hanno il compito di definire i rapporti che si ricollegano all’attività sociale: conversione in denaro dei beni, pagamento dei creditori sociali, ripartizione tra i soci dell’eventuale residuo attivo. I liquidatori possono anche vendere in blocco i beni della società fare transazioni e compromessi ,essi rappresentano in giudizio la società(2278). I liquidatori possono chiedere ai soci i versamenti ancora dovuti solo se i fondi disponibili sono insufficienti al fine di pagare i creditori sociali.(2280 2 comma). Inoltre se occorre possono richiedere ai soci ulteriori somme necessarie per poter realizzare lo scopo della liquidazione. Sui liquidatori c’è un duplice divieto: non possono intraprendere nuove operazioni e se violano tale divieto rispondono personalmente e solidalmente per gli affari intrapresi nei confronti dei terzi;(2279)e non

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possono ripartire tra i soci, neppure parzialmente i beni sociali fino a quando i creditori sociali non siano stati pagati.(2280). La violazione di tali divieti importa responsabilità dei liquidatori , nel caso in cui il mancato pagamento dei creditori sia dipeso da colpa grave o dolo dei liquidatori stessi accanto alla responsabilità civile c’è quella penale, qualora ripartisca ai soci i beni prima del pagamento dei creditori cagionando forte danno a questi ultimi. La violazione dei divieti non importa comunque l’invalidità della ripartizione , naturalmente i creditori potranno far rivalere i loro crediti nei confronti dei soci, nei limiti della quota di liquidazione, se si tratta di soci senza responsabilità ; oppure integralmente se i soci sono illimitatamente responsabili. Il divieto di partizione dei beni sociali tra i soci non impedisce la restituzione dei beni conferiti in godimento. Se i beni sono periti o deteriorati per causa imputabile agli amministratori , i soci hanno diritto al risarcimento del danno a carico del patrimonio sociale, salva l’azione contro gli amministratori. (2281). Estinti tutti i debiti sociali la liquidazione arriva all’epilogo con la ripartizione tra i soci dell’eventuale residuo attivo. Il saldo attivo è destinato al rimborso del valore nominale del conferimento poi l’eventuale eccedenza è ripartita tra tutti i soci in proporzione della partecipazione di ciascuno nei guadagni. (2282). La ripartizione dei beni può essere fatta anche in natura. ( 2283). nella società semplice e nella s.n.c. regolare approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese . la cancellazione può essere disposta d’ufficio , quando l’ufficio rileva alcune circostanze sintomatiche dell’assenza dell’attività sociale. Con la cancellazione dal registro delle imprese la società si estingue, quando anche non tutti i creditori sociali non siano stati soddisfatti. Dalla cancellazione decorre il termine di un anno entro il quale la società può essere dichiarata fallita. (art. 10 legge fallimentare).

SOCIETA’IN NOME COLLETTIVO(S .N . C. ): in questo tipo di società ,la responsabilità è illimitata e solidale per tutti i soci, per le obbligazioni assunte, e la legge precisa che un eventuale patto contrario non ha effetto verso terzi. (2291). L’oggetto è commerciabile e quindi c’è soggezione ad un regime di pubblicità dichiarativa. CAPACITA’ E LEGITTIMAZIONE : Per quanto riguarda la partecipazione dell’incapace quale socio responsabile illimitatamente, la legge pone dei rischi che sono connessi all’esercizio dell’attività commerciale, e afferma che la partecipazione dell’incapace alla società in nome collettivo è subordinata all’osservanza delle disposizioni degli articoli 320, 371 e seguenti. (2294).ESIGENZE Di FORMA E PUBBLICITA’ DEL CONTRATTO: Pur non essendo prevista la redazione di un atto costitutivo, lo scritto non è richiesto per esigenze di forma e di prova ma unicamente quale presupposto della pubblicità legale. L’atto costitutivo è l’elemento necessario per la pubblicità legale ed è la legge che ne fissa il contenuto. L ’atto costitutivo della società in nome collettivo deve indicare:

1) Dati anagrafici dei soci2) La ragione sociale3) I soci che hanno l’amministrazione e la rappresentanza della società4) L’oggetto sociale5) La sede6) I conferimenti di ciascun socio7) Le prestazioni a cui sono obbligati8) Le norme secondo cui devono essere ripartiti gli utili o le eventuali perdite9) La durata della società.

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La mancanza di queste indicazioni richieste dalla legge, importa solo che l’ufficio del registro delle imprese possa rifiutare l’iscrizione, non anche importa invalidità del contratto. La società in nome collettivo agisce sotto una ragione sociale costituita dal nome di uno o più soci con l’indicazione del rapporto sociale. La società può conservare nella ragione sociale il nome del socio defunto o receduto, se il socio receduto o gli erede vi consentono.( 2292). L’atto costitutivo della società , con sottoscrizione autenticata dei contraenti , o una copia autenticata di esso se la stipulazione è avvenuta per atto pubblico , deve entro 30 giorni essere depositato per l’iscrizione a cura degli amministratori , presso l’ufficio del registro delle imprese. Se gli amministratori non provvedono al deposito nel termine indicato, ferma la loro responsabilità nei confronti della società e l’applicazione della sanzione, ciascun socio può provvedervi a spese della società, o far condannare gli amministratori ad eseguirlo. Se la stipulazione è avvenuta per atto pubblico è obbligato ad eseguire il deposito anche il notaio. (2296). L’iscrizione nel registro delle imprese determina gli effetti positivi della pubblicità dichiarativa, i fatti iscritti sono opponibili ai terzi li abbiano o meno conosciuti o potuti conoscere. La mancata iscrizione nel registro delle imprese determina gli effetti negativi della pubblicità, il contenuto non è opponibile ai terzi se non quando si dimostri che i terzi ne erano ugualmente a conoscenza, pur in mancanza di pubblicità. È irregolare la società non iscritta nel registro delle imprese. Tale irregolarità è cosa distinta dalla invalidità del contratto: vi può essere una società regolare nulla o annullabile e una irregolare nulla o annullabile. Nel caso di irregolarità gli effetti non si eliminano in conseguenza della invalidità del negozio. La irregolarità presuppone che esista un contratto di società per il quale non siano state osservate le formalità prescritte dalla legge. L’irregolarità può essere iniziale, cioè dipende dal fatto che fin dalla sua costituzione non si è pervenuti alla iscrizione nel registro o sopravvenuta, cioè dipende dal fatto che la società inizialmente iscritta sia stata poi cancellata. L’irregolarità non incide sui rapporti tra i soci, questi rimangono vincolati al contratto sociale per tutta la sua durata. Essa incide invece nei rapporti con i terzi, i quali fino a quando la società non è iscritta nel registro delle imprese sono regolati dalle disposizioni vigenti in materia di società semplice. (2297). In sostanza si è equiparata la posizioni delle società, che pur essendo soggette a regime di pubblicità dichiarativa, non vi si attengono, alla posizione delle società per le quali la pubblicità dichiarativa non è addirittura prevista. L’equiparazione non è assoluta. Infatti per il regime della rappresentanza si applicano i principi della società in nome collettivo articolo 2297, infatti ciascun socio che agisce per la società ha anche la rappresentanza sociale in giudizio. Le limitazioni soggettive ed oggettive del potere di rappresentanza non sono opponibili ai terzi se non si dimostra che essi le conoscevano. Il terzo che contratta con la società irregolare non ha l’onere di accertare il potere di rappresentanza del socio, come invece ce l’ha chi contratta con una società semplice. Nella società irregolari rientrano quelle di fatto, ossia società che si formano senza la stipula di un contratto sociale, sulla base di comportamenti concludenti. MODIFICAZIONI DELL’ATTO COSTITUTIVO: il contratto sociale può essere modificato solo con il consenso di tutti i soci. Gli amministratori devono entra 30 giorni richiedere l’iscrizione all’ufficio del registro delle imprese, circa le modificazioni dell’atto costitutivo. Se la modificazione dell’atto costitutivo risulta da deliberazione dei soci, questa deve essere depositata in copia autentica. Le modificazioni dell’atto costitutivo fino a quando non sono iscritte nel registro delle imprese non sono opponibili ai terzi ameno che si provi che questi ne erano a conoscenza. (2300). ( esistono modificazioni, con riferimento alle quali, si applicano regole diverse ed in cui l’iscrizione svolge un ruolo ulteriore rispetto a quello di semplice criterio di opponibilità ai terzi. Si individuano tre ipotesi: 1) l’iscrizione assume efficacia costitutiva, e ciò ricorre in ordine alla decisione di trasformazione. 2) l’iscrizione è sia condizione per l’eseguibilità della modificazione, sia momento iniziale del termine concesso al terzo per proporre opposizione:

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questa ipotesi emerge per la tutela dei creditori sociali; così nel caso di modificazioni, che importino restituzione ai soci apporti o esonero dagli ulteriori versamenti ancora dovuti ( riduzione del capitale con riduzione del patrimonio ), è dato ad essi il diritto di opposizione entro 3 mesi, in quanto attraverso la modificazione , viene ad essere ridotto il complesso di beni su cui possono soddisfarsi con preferenza. (articolo 2306). 3) l’iscrizione opera solo al fine della decorrenza di tale termine: tutela creditori particolari, il creditore particolare del socio , può fare opposizione alla proroga della società entro 3 mesi dalla iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione di proroga. In tal caso la modificazione è immediatamente operativa, solo che in mancanza della pubblicità dichiarativa non si inizia il decorso del termine concesso per l’opposizione e quindi il creditore particolare del socio potrà richiedere anche successivamente , la liquidazione della quota al socio debitore. (2307). ). Responsabilità: i creditori sociali non possono pretendere il pagamento dei singoli soci se non dopo l’escussione del patrimonio sociale. (2304). Il creditore particolare fin quando dura la società non può chiedere la liquidazione della quota al socio debitore.(2305). Nella società in nome collettivo non è possibile esonerare dalla responsabilità i soci non investiti del potere di rappresentanza. ( soci che non operano). Nella s.n.c. la preventiva escussione della società costituisce una condizione di procedibilità, dell’azione esecutiva nei confronti del socio e l’onere della prova della insufficienza del patrimonio in combe sul creditore che agisce. (2304). Nella società in nome collettivo incombe su tutti i soci un specifico obbligo; il divieto di concorrenza ( è vietato esercitare per conto proprio o altrui una attività concorrente con quella della società e partecipare come socio illimitatamente responsabile ad altra società concorrente). (2301). L’inosservanza di tale divieto espone il socio al risarcimento dei danni e legittima gli altri soci a deciderne l’esclusione. Se il socio è anche amministratore , l’inosservanza del divieto costituisce giusta causa di revoca. ORGANIZZAZIONE SOCIALE: i soci amministratori devono tenere le scritture contabili, e redigere il bilancio d’esercizio, e devono provvedere agli adempimenti pubblicitari connessi all’iscrizione. Rapporti con i terzi: l’impresa collettiva come quella individuale deve essere localizzata; è dunque necessaria una sede principale nella quale è posto il centro degli affari e dove si svolge l’attività amministrativa e direttiva. La sede deve essere indicata nell’atto costitutivo, come pure le eventuali sedi secondarie, anche con riferimento ad esse , devono essere attuate forme di pubblicità, in modo che i terzi che contrattano con la sede secondaria possano conoscere tutti gli elementi che riguardano la società ed i terzi che contrattano con la società abbiano una visione completa della sua organizzazione sociale, in caso di mancata pubblicità non si determina una situazione di irregolarità in ordine alla società irregolare ma saranno applicabili le sanzioni amministrative e si determineranno gli effetti negativi della pubblicità dichiarativa. Liquidazione: i liquidatori devono redigere un bilancio e proporre ai soci il piano di riparto . nella s.n.c. irregolare la chiusura del procedimento di liquidazione si ha l’estinzione della società.

SOCIETA’ IN ACCOMANDITA SEMPLICE: la società in accomandita semplice prevede la contemporanea presenza di due tipi di soci, quelli che assumono responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali (soci accomandatari) e quelli che invece rispondono limitatamente alla quota conferita ( soci accomandanti, che sono obbligati solo ad eseguire i conferimenti promessi). Le quote di partecipazione non possono essere rappresentate da azioni.( 2313). Alla società in accomandita semplice si applicano le disposizioni relative alla società in nome collettivo in quanto siano compatibili. ( 2315). Ciò che distingue le due società è la ragione sociale, questa deve essere formata con il nome di uno dei soci accomandatari, e con l’indicazione del tipo sociale. (2314). L’inserzione del nome dell’accomandante nella ragione sociale non importa una irregolarità nella formazione della ragione sociale , ma importa solo la responsabilità solidale

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ed illimitata dell’accomandante per le obbligazioni sociali. L’atto costitutivo( soggetto ad iscrizione nel registro delle imprese ), deve indicare soci accomandanti e accomandatari. (2316). Fino a quando la società non è iscritta nel registro delle imprese si applicano nei rapporti tra soci e terzi le disposizioni dell’articolo 2297.(2317). Per le obbligazioni sociali, i soci accomandanti rispondono limitatamente alla loro quota salvo che non abbiano partecipato alle operazioni sociali, anche quando manca una pubblicità di fatto. Questo perché nella accomandita irregolare il terzo già sa dell’esistenza di soci a responsabilità limitata. Il contratto sociale può essere modificato solo con il consenso di tutti i soci. Le modificazioni dell’atto costitutivo devono essere soggette a pubblicità dichiarativa ed ad iscrizione nel registro delle imprese, a cura degli amministratori, deve essere depositata in copia autentica se la modificazione risulta da una delibera dei soci. In mancanza di iscrizione , la modificazione non è opponibile ai terzi, a meno che si provi che questi ne erano a conoscenza. Il creditore particolare non può chiedere la liquidazione della quota al socio debitore fino a quando dura la società. Organizzazione sociale: L’amministrazione può essere conferita solo agli accomandatari, con espresso divieto di immistione per i soci accomandanti. Questi non possono compiere atti di amministrazione , né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. E non possono prendere decisioni autonomamente per quanto riguarda la condotta degli affari sociali.( attività interna). Per l’attività esterna, questo può concludere affari in nome della società in forza di procura speciale per singoli affari ,ma non può agire di fronte a terzi come procuratore generale o institore. I soci accomandanti possono prestare la loro opera manuale o intellettuale all’interno della società sotto la direzione degli amministratori accomandatari, non si può attuare infatti una sostituzione nell’esercizio del potere che è riservato solo all’accomandatario, l’accomandante può al massimo collaborare ma sempre sulla base di un rapporto di subordinazione. L’atto costitutivo può prevedere la possibilità che l’accomandante dia autorizzazioni e pareri per determinare operazioni , nonché compiere atti di controllo e di ispezione. Inoltre l’accomandante ha diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, e di controllarne l’esattezza consultando libri e documenti della società,; potere di controllo questo no continuo, ma solo finale. Hanno si controllo dei conti , ma non controllo della gestione. L’ingerenza del accomandante nella amministrazione comporta la responsabilità illimitata per tutte le obbligazioni sociali e cioè anche per quelle sorte anteriormente all’atto di ingerenza, e la possibilità di una esclusione. Tale disciplina è severa al fine di impedire che l’accomandita perda il suo carattere trasformandosi in collettiva. (2320). Per la nomina e revoca degli amministratori sono necessari, il consenso dei soci accomandatari e l’approvazione di tanti soci accomandanti che rappresentino la maggioranza del capitale sottoscritto. (2319). L’amministrazione può essere conferita solo ai soci accomandatari(2318) è quindi esclusa con certezza la possibilità di affidare il potere di amministrazione ad un terzo estraneo. Scioglimento società: la quota del socio accomandante si trasmette agli eredi. ( 2322).

CAPITOLO 3 : LE SOCIETA’ Di CAPITALI: ( autonomia patrimoniale perfetta; l’amministratore è svincolato dalla qualità di socio, il socio nel caso peggiore perde quanto ha conferito, essendo il patrimonio personale insensibile alle vicende che colpiscono il patrimonio sociale).

La categoria delle società organizzate su base capitalistica, comprende le società per azioni, la società a responsabilità limitata, e la società in accomandita per azioni.( tutte sono considerate persone giuridiche). Il regime della responsabilità dispone che nella s.p.a. e nella s.r.l. per le obbligazioni sociali risponde solo il patrimonio della società, al quale si aggiunge ma solo in presenza di violazione di specifiche norme di legge , quello dell’unico socio; mentre nella società in accomandita per azioni, per le obbligazioni sociali rispondono oltre al patrimonio i soci accomandatari illimitatamente e solidalmente( responsabilità sussidiaria), mentre i soci accomandanti, sono solo obbligati nei limiti della quota di capitale circoscritta. S.r.l. e s.p.a. hanno in comune il regime della responsabilità ma si differenziano in ordine alle quote di

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partecipazione dei soci, che nel secondo caso sono rappresentate da azioni, mentre nel primo caso, né da azioni né tanto meno possono costituire oggetto di offerta al pubblico. Per cui nelle s.p.a. assumono rilievo particolare i temi finanziari dell’impresa, mentre nella s.r.l. il riferimento è all’interesse imprenditoriale dei soci. E la riforma della società di capitali, realizzata con il dlgs numero 6 del 2003, ha posto la s.r.l. in quanto intermedio tra società di persone e società di capitali. Obiettivo della riforma era quello di consentire anche alle imprese sociali di minore entità di usufruire del beneficio della limitazione di responsabilità, senza doversi assoggettare alla rigida disciplina delle società per azioni. La società per azioni devono versare un capitale minimo sociale di 120.000 euro, mentre le s.r.l. di 10.000 euro. S. p.a. si differenzia da s.a. p.a. per il regime di responsabilità, nelle s.p.a. infatti la garanzia delle obbligazioni sociali è costituita solamente dal patrimonio sociale, mentre nella s.a. p.a. per le obbligazioni sociali risponde inoltre illimitatamente e solidalmente il socio accomandatario. Elemento comune è che le quote di partecipazione sono in entrambi i casi le azioni.

LA SOCIETA’ PER AZIONI Di INTERESSE NAZIONALE: la qualificazione di una determinata società per azioni, come società di interesse nazionale, è l’effetto di un decreto presidenziale o di una legge. Le società di interesse nazionale non costituiscono una categoria omogenea. Si tratta di un istituto emerso nella legislazione speciale, che ha trovato enunciazione nel codice, pur lasciandosi alla legislazione speciale, ogni più ampia possibilità di disporre in proposito, in relazione alla gestione , trasferibilità delle azioni ed alla stessa disciplina del diritto di voto, in difetto della disciplina speciale rimane applicabile la disciplina generale delle società per azioni contenuta nel codice. Spesso le società di interesse nazionale, pur rimanendo nel sistema del codice società private, sono state società a partecipazione pubblica. Le particolarità sono: limitazioni in ordine al possesso azionario, nomina degli amministratori, dei sindaci e dei dirigenti, e condizionamento delle norme statutarie e delle loro modificazioni all’approvazione della pubblica autorità.

LA SOCIETA’ IMPRESA PUBBLICA E LA SUA PRIVATIZZAZIONE: fenomeno che si presenta nel nostro sistema è quello in cui lo stato o altri enti pubblici assumono una partecipazione al capitale di una società per azioni: talora l’intero capitale sociale, è ripartito tra lo stato e altri enti pubblici ( azionariato di stato); talora invece la partecipazione dello Stato è attuata insieme con persone o società private. ( società mista), risultando la partecipazione dello stato minoritaria o prevalente. 1 principio: il principio da cui muoveva il codice è quello della irrilevanza della persona dell’azionista nella organizzazione della società per azioni con la conseguenza che la disciplina comune delle s.p.a. doveva applicarsi anche alle società a con partecipazione dello stato o altri enti pubblici, senza eccezioni in quanto le norme speciali non dispongano diversamente; e le solo norme speciali presenti nel codice erano quelle che prevedevano che nelle società miste, anche quando lo stato avesse una posizione minoritaria, potesse essere riservato a questo od agli altri enti pubblici la facoltà di nominare uno o più sindaci e che la revoca non poteva attuarsi dalla assemblea, ma solo ad iniziativa dello stato o dell’ente pubblico che aveva provveduto alla designazione. La dottrina aveva poi sostenuto che le ragioni di pubblica utilità che potessero avere determinato la partecipazione alla società dello stato, rimanessero nel campo dei motivi giuridicamente irrilevanti. 2 principio: il principio informatore del codice era stato poi modificato, c’era un vero e proprio sistema delle partecipazioni statali operanti secondo criteri di economicità e soggetti al controllo del ministero delle partecipazioni statali e a quello politico del parlamento. In tale quadro l’interesse pubblico che porta lo stato a partecipare alla società quando la sua posizione è prevalente, non può essere relegato a motivi irrilevanti, esso sin poneva come scopo ulteriore accanto a quello imprenditoriale, ed incideva anche sulla posizione degli eventuali azionisti privati, conseguenza di ciò era che l’interesse pubblico rientrava nello scopo della società. L’azionista è un finanziatore, più che un socio, il quale investe i suoi capitali in funzione delle realizzazione di un duplice interesse, conservazione del capitale investito e remunerazione adeguata

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dello stesso. Quindi è importante che la realizzazione della politica economica non venga ad incidere su questi elementi che determinano la sua scelta perché se così fosse esso sarebbe pronto a modificare il suo investimento e quindi rendere più difficile per lo STATO, il reperimento di mezzi finanziari che gli necessitano come operatore economico. 3 principio: queste esigenze sono alla base di un processo di privatizzazione del settore pubblico dell’ economia. Un processo che si compone di due momenti, la privatizzazione formale e la privatizzazione sostanziale. Il primo aspetto riguarda la possibilità di trasformare le imprese pubbliche in società per azioni. Si è giunti ad una situazione in cui gli enti di gestione IRI, ENI sono stati trasformati in s.p.a. mentre l’EFIM messo in liquidazione. Per il secondo aspetto, si sono dettate norme per le procedure di dismissione delle partecipazioni azionarie dello stato ed altri enti pubblici, e si è dettata una specifica disciplina per le società operanti in settori ritenuti strategici di cui lo stato abbia dismesso il controllo. Infatti per le società di maggior interesse generale si prevede che prima della dismissione del controllo dello stato, si debbano statutariamente conferire all’autorità governativa uno o più poteri speciali. Per esempio il potere di opporsi all’assunzione di partecipazioni rilevanti, con la seguente sospensione di ogni diritto amministrativo e obbligo di loro alienazione in caso di mancata concessione , sia un potere di veto. Inoltre il legislatore ha riconosciuto il diritto di recesso ai soci dissenzienti nell’ipotesi di introduzione di quei poteri speciali. In definitiva risulta uno statuto speciale delle società privatizzate, che si caratterizza per rilevanti alterazioni del modello tipico delle s.p.a. ed in particolare per la sovra ordinazione ad esso di poteri e interessi chiaramente pubblicistici.

PERSONALITA’ GIURIDICA: elemento comune delle società di capitali è la personalità giuridica. Questa è espressamente riconosciuta dalla legge e si acquista per effetto della iscrizione nel registro delle imprese e cioè quando si è compiuto il processo costitutivo della società. Principale effetto del riconoscimento della personalità giuridica è la completa autonomia della società, dalle persone dei soci, sia nei rapporti interni sia in quelli esterni. In tal modo si crea un diaframma tra i singoli soci e tra i soci ed i terzi. I rapporti esterni si pongono tra società e terzi, i rapporti interni tra soci e società e non tra singoli soci, per modo che i diritti e gli obblighi di ciascuno dei soci sussistono solo nei confronti della società e non anche verso gli altri soci. Esiste pero una organizzazione giuridica della persona, esistono infatti organi deliberativi, amministrativi e di controllo della persona giuridica; esiste un ordinamento della persona contenuto nello statuto, per il funzionamento degli organi sociali e per l’attività sociale; anche al socio è dato di influire sull’attività sociale, singolarmente o collegialmente, non in quanto contitolare del patrimonio ma in quanto organo della società. La società ha una propria organizzazione, un proprio patrimonio ed una propria volontà, una propria denominazione ed una propria sede. La denominazione sociale può essere liberamente formata, sia per le s.p.a. che per le s.r.l. . mentre per le s.a. p.a. la denominazione della società è costituita dal nome di almeno uno dei soci accomandatari. ( 2453). La sede della società è il centro amministrativo, degli affari sociali. Se la sede dichiarata nell’atto costitutivo, e risultante dal registro delle imprese è diversa dalla sede effettiva, i terzi possono considerare come sede anche questa ultima. Con la personalità giuridica, l’attività del socio è distinta dalla attività della società e i rispettivi interessi non vanno confusi. Tale distinzione non si risolve in una contrapposizione anzi l’ente ha una funzione strumentale rispetto alla realizzazione degli interessi, dei soci i quali rimangono per sempre i cardini fondamentali della società. Il contratto di società segna l’oggetto della attività, le modalità, lo svolgimento e lo scopo. La società come persona giuridica è la collettività dei soci fatta assurgere ad unità sotto l’aspetto funzionale. E il rapporto tra socio e società rimane quello che in ogni comunione di interessi intercorre tra il singolo partecipante ed il gruppo. L’interesse della società è l’interesse della collettività dei soci; come tale esso normalmente coincide con quello dei soci ma in talune situazioni ( vedi conflitto di interessi può anche divergere). L’interesse della collettività , l’interesse sociale deve prevalere sull’interesse dei singoli. E tutto ciò trova fondamento nella comunione di interessi che si realizza attraverso il contratto di società.

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I patrimoni destinati ad uno specifico affare:

OGGETTO E SCOPO: LE società di capitali in quanto persone giuridiche sono caratterizzate dalla specialità dell’oggetto e dello scopo. L’oggetto segna il campo di attività della persona giuridica, lo scopo il fine al quale questa attività deve essere indirizzata. Oggetto e scopo sono due categorie astratte, e ricomprendono tutti quegli atti che in astratto possono dirsi in rapporto di mezzo a fine rispetto alla realizzazione di quell’oggetto e di quello scopo. E siccome tutti gli atti a contenuto patrimoniale sono suscettibili di porsi in rapporto di mezzo a fine ne risulta la illimitata capacità della persona giuridica. L’esorbitanza di un determinato atto rispetto allo oggetto o allo scopo potrà determinarsi solo in concreto ed accettarsi solo a posteriori, con la conseguenza che potrà dar luogo a responsabilità dell’organo ma mai a difetto di capacità.

Diritti individuali: La strumentalità della persona giuridica rispetto alla società importa intangibilità dell’ente di quelle posizioni giuridiche soggettive, che competono al socio sulla base del contratto di società. Questa intangibilità viene espressa con l’affermare che queste posizioni giuridiche soggettive costiuiscono diritti individuali dei soci. Diritti individuali che non possono essere toccati da una manifestazione della volontà dell’ente espressa attraverso i suoi organi. Vi si comprendono sia i diritti che competono al socio sulla base di un rapporto distinto da quello della società, cioè come soggetto autonomo, sia quei diritti che sono attribuiti singolarmente ad ogni socio sulla base di una specifica clausola presente nell’atto costitutivo, sia quelli che esprimono la posizione del socio nella organizzazione sociale come il diritto di voto, o agli utili. Tuttavia essendo diversi male si prestano ad essere raggruppati in una categoria unitaria. Rispetto ai diritti del socio come terzo o che sono ad esso riconosciuti individualmente nel contratto sociale, l’ intangibilità da parte dell’ente dipende da ciò che esso ha il potere di disporre di interessi propri e non quello di disporre su interessi altrui, non può in sostanza influire nella sfera giuridica di un altro soggetto. Diversa è la situazione per le posizioni giuridiche che competono al socio nell’ambito della organizzazione sociale, campo in cui la volontà dell’ente ha piena forza di esplicarsi, e dove la posizione del socio è subordinata a quella della collettività. Quando si parla pertanto in questo campo di intangibilità dei diritti dei soci, se ne parla nel senso di una impossibilità da parte della persona giuridica di modificare con un suo atto di volontà quei caratteri essenziali che individuano la comunione di interessi creata dal contratto e la impossibilità di eliminare quei riflessi che tali caratteri essenziali determinano sulla posizione dei soci. L’intangibilità di questi diritti non è però assoluta, la stessa legge ammette la possibilità di modificare la posizione del socio per quanto attiene al diritto al voto, agli utili, alla trasferibilità della quota; prevedendo( azioni prive di diritto di voto, azioni di risparmio, azioni a voto limitato, di godimento e privilegiate). La stessa legge ammettendo che la assemblea possa deliberare sulla distribuzione degli utili, ribadisce la subordinazione della posizione del socio rispetto a quella della società. Quindi in conseguenza di tutto ciò possiamo dire che non esistono posizioni giuridiche intoccabili da parte della società. Proprio la esigenza di conciliare l’intangibilità dei caratteri essenziali della comunione di interessi prescelta con la possibilità di sacrificare all’interesse della società l’interesse del singolo socio si è fatta una distinzione tra DIRITTO ASTRATTO CHE è intangibile sempre e comunque, e un DIRITTO IN CONCRETO CHE IN Realtà non esiste; infatti l’assemblea non può eliminare ogni partecipazione agli utili del socio, ma può non distribuire ai soci tutti o in parte gli utili realizzati durante uno o più esercizi. Il diritto è uno solo ma nel suo aspetto concreto è subordinata alla comunione di interessi. Tale sacrificio dell’interesse del singolo socio non è frutto comunque di una scelta

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arbitraria della società; infatti ci devono essere sempre parità di trattamento e incidenza nella stessa misura del sacrificio su tutti i soci. Solo in ipotesi eccezionali sarà consentito al singolo socio di impedire che il sacrificio si realizzi.

CAPITALE SOCIALE: è l’ammontare del valore (monetario) complessivo dei conferimenti compiuti dai soci , e cioè del fondo sociale, stabilito nell’atto costitutivo della società ed espresso nella moneta avente corso legale nello stato nel quale la società è costituita. Capitale sociale è una cifra indicativa che assume un valore formale e che inizialmente si differenzia dalla nozione di fondo sociale. Il capitale è sempre espresso in termini monetari e rimane identico nonostante il variare dei beni inizialmente conferiti: il capitale è importante sotto due aspetti, quello organizzativo, in quanto la posizione del socio e i suoi diritti si definiscono in base al contributo, che tramite il conferimento , ha dato alla formazione del capitale ; e quello patrimoniale poiché tramite la disciplina del capitale si persegue indirettamente una tutela anche del patrimonio sociale. 1) la partecipazione del socio è partecipazione al capitale non al patrimonio della società, e di conseguenza al capitale si commisurano i diritti sociali, e patrimoniali, in modo che maggior è la sua partecipazione al capitale maggiori saranno i suoi poteri. Perciò normalmente la partecipazione al capitale sociale è proporzionale al valore dei conferimenti. Questo ruolo organizzativo del capitale, quale base per determinare i diritti dei soci, spiega perché,esso sia il risultato di una determinazione fondamentalmente convenzionale e formale. 2) con riferimento alla società per azioni, la distinzione tra capitale e patrimonio e la funzione del primo nel caratterizzare la posizione del socio risulta ora accentuata; si prevede la possibilità di apporti in grado di attribuire diritti in larga misura corrispondenti a quelli del socio. La determinazione del capitale può prescindere dalla consistenza del patrimonio sociale. La cifra del capitale sociale ha un valore indicativo in merito alla consistenza patrimoniale della società, perciò durante l’attività sociale questo non deve scendere sotto un certo livello. Per quanto riguarda il momento costitutivo è necessario che il valore complessivo dei conferimenti risulti almeno pari all’ammontare globale del capitale sociale. La cifre in cui consiste il capitale sociale è iscritta al passivo del bilancio: funge da termine di confronto per l’accertamento di utili o perdite di esercizio e impedendo la distribuzione di utili se non per quella parte dell’attivo superiore alla cifra indicata al passivo come capitale. , comporta una certa indisponibilità per i soci dei corrispondenti valori patrimoniali. Nulla vieta che il valore del patrimonio sia superiore alla cifra indicata come capitale sociale. la variazione del capitale può attuarsi solo attraverso una modificazione dello statuto o dell’atto costitutivo essendo frutto di una libera convenzione, non anche è sufficiente una variazione del patrimonio. La variazione del capitale può consistere nell’aumento o nella riduzione di questo con possibile aumento anche del patrimonio che però può restare anche immutato. L’esistenza di un capitale minimo è richiesta non solo in sede di costituzione, ma anche durante la vita della società; se pertanto in conseguenza di perdite superiori ad un terzo, il capitale scende al di sotto del minimo legale, o il capitale viene reintegrato o la società deve trasformarsi oppure si scioglie.

SOTTOCAPITALIZZAZIONE E POSTERGAZIONE DEI FINANZIAMENTI DEI SOCI: una situazione di sottocapitalizzazione della società si ha quando la misura del capitale è manifestamente inadeguata per la

attività economica progettata con l’oggetto sociale. strumento di tale attività non è il capitale ma il complesso di mezzi patrimoniali di cui la società può disporre; questo complesso è dato non solo dai conferimenti dei soci ma anche dalle disponibilità finanziarie acquisite da terzi. Esistono due tipi di

sottocapitalizzazione: sottocapitalizzazione materiale: quando i mezzi per lo svolgimento dell’attività sono soprattutto acquisiti mediante ricorso al credito concesso da terzi, cui quindi viene trasferito gran parte del rischio per gli esiti economici dell’impresa. Un primo rimedio potrebbe essere quello di applicare l’art 2484

in base al quale in caso di impossibilità di conseguire l’oggetto sociale la società si scioglie. Altro rimedio utilizzo delle tecniche elaborate per la soppressione degli abusi della personalità giuridica, ossia un modo

abusivo per riversare sui terzi il rischio dell’attività imprenditoriale. Sottocapitalizzazione nominale: i mezzi

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sono forniti dai soci mediante le comuni tecniche di finanziamento e tendono così a presentarsi come finanziatori esterni con il risultato di porsi nella stessa posizione degli altri creditori e di sottrarsi al rischio

tipico del socio, ma a titolo diverso dal conferimento di capitale. In tale ipotesi l’articolo 2467 al fine di evitare abusi o scorrette traslazioni del rischio dai soci ai terzi si è avvalso della tecnica della postergazione

legale attraverso la quale si opera una graduazione della garanzia patrimoniale della società. il credito avente ad oggetto il rimborso di un finanziamento effettuato dai soci di società a responsabilità limitata a favore della società stessa, è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori sociali, qualora il

finanziamento sia stato concesso in un momento in cui risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziari in cui sarebbe stato più ragionevole o

corretto finanziare la società attraverso un aumento di capitale mediante nuovi conferimenti. La legge in questo modo intende evitare che la realizzazione del credito del socio pregiudichi quella degli altri creditori. In caso di insolvenza della società la legge impone al socio di restituire quanto ricevuto a titolo di rimborso

del finanziamento nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento.

I TITOLI DI CREDITO

I TITOLI DI CREDITO IN GENERALE

NOTE INTRODUTTIVE

Definizione

I titoli di credito sono documenti destinati alla circolazione che attribuiscono il diritto ad una determinata prestazione.

Distinzione in base al tipo di prestazione

a)titoli di credito in senso stretto

la prestazione consiste nel pagamento di una somma di denaro, come avviene nella cambiale, nell’assegno bancario e circolare e nelle obbligazioni di società

b)titoli di credito rappresentativi di merce

la prestazione consiste nel diritto alla riconsegna di merci depositate o viaggianti come avviene ad es. nella fede di deposito e nella polizza di carico

c)titoli in partecipazione

sono titoli di credito che rappresentano una situazione giuridica complessa ed i relativi diritti, come le azioni di società e le quote di partecipazione a fondi comuni di investimento.

Page 97: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Distinzione tra titoli individuali e di massa

a)titoli individuali

sono titoli di credito emessi ognuno per una distinta operazione economica (es. cambiali, assegno)

b)titoli di massa

sono titoli di credito che rappresentano frazioni di uguale valore nominale di una unitaria operazione di finanziamento ed attribuiscono ciascuno uguali diritti (es. azioni, obbligazioni).

Distinzione tra titoli causali ed astratti

a)titoli causali

sono titoli di creditori che presuppongono un determinato rapporto giuridico e solo in base a tale rapporto possono essere emessi (es. azioni, titoli rappresentativi di merci)

b)titoli astratti

il rapporto giuridico che dà luogo all’emissione di questi titoli di credito può variamente atteggiarsi (es. cambiale, assegni).

Qual è l’atteggiamento del nostro legislatore di fronte a questa varietà tipologica?

Discipline speciali

Alcune leggi speciali regolavano prima dell’emanazione del cc e regolano tuttora alcune figure tipiche di titoli di credito, cioè cambiale, assegno bancario e circolare, titoli azionari.

Disciplina generale

Il cc del 1942 ha introdotto una disciplina generale dei titoli di credito (artt. 1992-2027

cc) per colmare eventuali lacune delle discipline speciali (art. 2001 cc) ed inoltre per

fissare uno statuto generale applicabile alle nuove figure di titoli di credito che si vengono a creare (titoli atipici).

La legge non dà una nozione del titolo di credito e deve essere perciò ricavata dall’interprete.

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FUNZIONE E CARATTERI ESSENZIALI

La funzione tipica dei titoli di credito è quella di rendere più semplice, rapida e sicura la circolazione dei diritti di credito, neutralizzando i rischi che presenta la disciplina della cessione del credito (regolata agli artt. 1260 cc).

Le regole di circolazione più semplici e sicure sono quelle previste per i beni mobili: la proprietà dei beni mobili si trasferisce con il semplice consenso (art. 1376 cc) e l’acquirente di un bene mobile è tutelato contro il rischio della mancanza di titolarità nel trasferente dalla regola possesso di buona fede vale titolo (art. 1153 cc).

La soluzione per rendere più semplice e sicura la circolazione della ricchezza immateriale è creare un modello alternativo alla circolazione del credito che consenta di far circolare i crediti secondo regole analoghe a quelle che governano la circolazione dei beni mobili; da questa idea muove la disciplina dei titoli di credito.

Con una finzione giuridica si ritiene che oggetto di circolazione sia il documento (cosa mobile) anziché il diritto in esso menzionato (mentre in realtà è l’opposto).

Nel titolo di credito il diritto è incorporato nel documento.

Questo collegamento si concretizza in 4 principi cardine fissati dalla disciplina generale dei titoli di credito:

a)autonomia del diritto

chi acquista la proprietà del documento diventa titolare del diritto in esso menzionato, anche se ha acquistato il titolo a non domino (es. da un ladro), purchè sia in buona fede ed entri in possesso del titolo.

E’ questo il principio dell’autonomia in sede di circolazione del diritto cartolare fissato dall’art. 1994 cc, con norma che ricalca il principio possesso di buona fede vale titolo proprio dei beni mobili (art. 1153 cc).

Questo principio consente di neutralizzare il rischio proprio della cessione del credito che chi trasferisce il credito non sia titolare dello stesso e il cessionario nulla acquista

b)letteralità

chi acquista un titolo di credito acquista un diritto il cui contenuto è determinato esclusivamente dal tenore letterale del documento.

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Acquista inoltre un diritto che è di regola immune dalle eccezioni fondate sui rapporti personali intercorsi fra debitore e precedenti possessori del titoli.

Sono questi i principi della letteralità e dell’autonomia in sede di esercizio del diritto cartolare fissati dall’art. 1993 cc.

Essi consentono di superare il rischio del cessionario del credito di vedersi opposte tutte le eccezioni che il debitore poteva opporre al cedente

c)legittimazione

chi ha consegnato il possesso materiale del titolo di credito, nelle forme prescritte dalla legge (diverse per i titoli al portatore, all’ordine e nominativi), è legittimato all’esercizio del diritto cartolare, può cioè pretendere dal debitore la prestazione senza essere tenuto a provare l’acquisto della proprietà del titolo e della titolarità del diritto.

Il debitore invece paga bene se paga in buona fede al possessore del titolo, anche se questi non è titolare del diritto.

E’ questa la funzione di legittimazione del titolo di credito fissata dall’art. 1992 cc

d)vincoli

i vincoli sul diritto menzionato in un titolo di credito (pegno, sequestro, pignoramento) devono essere effettuati sul titolo e non hanno effetto se non risultano dal titolo (art. 1997 cc).

Nozione

In sintesi si può dire che il titolo di credito è un documento necessario e sufficiente per la costituzione, la circolazione e l’esercizio del diritto letterale ed autonomo in esso incorporato.

MOMENTI DELLA VITA DI UN TITOLO DI CREDITO

1)LA CREAZIONE DEL TITOLO DI CREDITO

Il rapporto fondamentale

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La creazione ed il rilascio di un titolo di credito trovano giustificazione in un preesistente rapporto fra emittente e primo prenditore (rapporto fondamentale o causale) ed in un accordo fra gli stesi con cui si conviene di fissare nel titolo di credito la prestazione dovuta dal primo al secondo in base a tale rapporto (convenzione di rilascio o esecutiva).

Il rapporto cartolare

Il titolo di credito così emesso riproduce in forma schematizzata l’obbligazione derivante dal rapporto fondamentale.

La dichiarazione risultante dal titolo di credito costituisce il rapporto cartolare ed il diritto dalla stessa riconosciuto al prenditore del titolo il diritto cartolare destinato a circolare.

TITOLI DI CREDITO ASTRATTI E CAUSALI

I titoli di credito possono distinguersi in 2 categorie:

a)titoli astratti

sono i titoli di credito emessi in base ad un qualsiasi rapporto fondamentale e che inoltre non contengono alcuna menzione del rapporto (causale) che in concreto ha dato luogo alla loro emissione (es. cambiale, assegno bancario e assegno circolare)

b)titoli causali

sono i titoli di credito emessi solo in base ad un determinato tipo di rapporto fondamentale, predeterminato per legge (es. azioni e obbligazioni di società).

Questa distinzione ha delle conseguenze:

-letteralità completa

nei titoli astratti il contenuto del diritto cartolare è determinato esclusivamente dalla

lettera del titolo.

Nei rapporti fra emittente e terzo prenditore resta preclusa ogni possibilità di far riferimento ad altre fonti per integrare quanto risulta dalla lettera del titolo.

Sono perciò definiti anche titoli a letteralità piena o completa

-letteralità incompleta

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nei titoli causali invece il contenuto del diritto cartolare è determinato non solo dalla lettera del titolo, ma anche dalla disciplina legale del rapporto richiamato nel documento.

E ciò anche se tale disciplina non è riprodotta nel titolo, dovendosi ritenere implicitamente richiamata.

Si definiscono perciò titoli a letteralità incompleta o per relationem.

Ai titoli causali è poi applicabile il principio dell’autonomia del diritto cartolare in sede di esercizio (art. 1993 2° comma cc).

Il rapporto cartolare resta indipendente dal rapporto fondamentale ed al terzo portatore non sono opponibili le eccezioni derivanti da quest’ultimo rapporto in quanto eccezioni fondate su rapporti personali.

Ad es. se il sottoscrittore del prestito obbligazionario non ha versato la somma corrispondente, la società non potrà eccepire tale circostanza al terzo portatore per contestarne il diritto al rimborso del capitale.

Discorso analogo vale anche per gli altri titoli causali che attribuiscono il diritto al pagamento di una somma di danaro.

Titoli rappresentativi di merce

Qualche puntualizzazione è invece necessaria per i titoli rappresentativi di merce (es. fede di deposito).

Questi titoli attribuiscono al possessore:

a)il titolo alla consegna delle merci in essi specificate

b)il possesso delle medesime

c)il potere di disporne mediante trasferimento del titolo.

-Il vettore o il depositario potranno opporre al terzo portatore, che richiede la consegna, che la merce indicata nel titolo non gli è stata mai consegnata o è difforme da quella ricevuta (eccezione ex recepito)?

Alcuni ritengono che i rischi ex recepito ricadano sull’emittente del titolo rappresentativo, esposto al risarcimento danni nei confronti del terzo possessore, trattandosi di eccezioni personali derivanti dal rapporto fondamentale.

Chi propende per la soluzione affermativa ha chiarito che l’opponibilità delle eccezioni ex recepito non contrasta con l’autonomia del rapporto cartolare rispetto al rapporto sottostante; è conseguenza della natura di cosa determinata della prestazione promessa, che ne rende impossibile l’adempimento se non vi è stata consegna.

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2)LA CIRCOLAZIONE DEI TITOLI DI CREDITO

Titolarità e legittimazione

Titolare del diritto cartolare è il proprietario del titolo; legittimato al suo esercizio è invece il possessore del titolo nelle forme prescritte dalla legge (possessore qualificato), le quali sono diverse per i titoli al portatore, all’ordine e nominativi.

Le posizioni di proprietario-titolare e di possessore-legittimato di regola coincidono nella stessa persona, ma nel corso della circolazione del titolo si può verificare una dissociazione delle due posizioni.

Al riguardo si deve distinguere fra:

a)circolazione regolare

il titolo viene trasferito dall’attuale proprietario ad altro soggetto in forza di un valido negozio di trasferimento.

Chi trasferisce la proprietà del titolo dovrà poi consegnarlo ed adempiere le eventuali altre formalità necessarie per attribuire all’acquirente la legittimazione all’esercizio del diritto.

Ad es. in una vendita si può convenire che il compratore pagherà il prezzo mediane girata di un assegno circolare a lui intestato; il compratore dovrà dare attuazione a tale accordo girando l’assegno e consegnandolo al venditore affinché questi lo possa riscuotere.

E’ opinione prevalente che anche in materia di titoli di credito trovi applicazione il principio consensualistico fissato dall’art. 1376 cc per il trasferimento della proprietà di una cosa materiale.

Ne consegue che nella circolazione regolare il solo consenso è sufficiente per il trasferimento della proprietà del titolo ed il conseguente acquisto del diritto.

L’investitura dell’acquirente è necessaria solo per l’attribuzione della legittimazione all’esercizio del diritto

b)circolazione irregolare

si ha quando la circolazione del titolo non è sorretta da un valido negozio di trasferimento.

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Si pensi al caso in cui un titolo di credito è stato rubato.

Il possessore del titolo (il ladro) non acquista la proprietà del titolo e la titolarità del diritto, che restano al derubato; ha però la possibilità di esercitare il diritto (legittimazione) e di far circolare il titolo.

Si ha quindi una dissociazione fra (proprietà) titolarità e (possesso) legittimazione.

Chi ha perso il possesso del titolo contro la sua volontà potrà esercitare azione di rivendicazione nei confronti dell’attuale possessore e riottenere il documento.

Inoltre se si tratta si titoli all’ordine o nominativi potrà anche avvalersi della procedura di ammortamento che gli consente di ottenere un surrogato del titolo smarrito o distrutto.

Tutto ciò finquando il titolo non pervenga nelle mani di un terzo di buona fede, cioè ignaro del difetto di titolarità dell’alienante.

Acquisto a non domino

L’art. 1994 cc, il quale prevede il principio dell’autonomia in sede di circolazione, stabilisce infatti che chi ha acquistato in buona fede il possesso di un titolo di credito non è soggetto a rivendicazione (cioè diventa anche proprietario del titolo e titolare del diritto cartolare).

La sua posizione è inattaccabile dall’ex proprietario spogliato, che potrà esercitare solo azione di risarcimento danni nei confronti di colui che gli ha sottratto il titolo.

In particolare perché si perfezioni l’acquisto a non domino di un titolo di credito devono ricorrere 3 presupposti:

a)un negozio astrattamente idoneo a trasferire la proprietà del titolo, cioè valido ed efficace salvo che per il difetto di titolarità del dante causa

b)l’investitura dell’acquirente nel possesso del titolo

c)la buona fede dell’acquirente, cioè l’ignoranza, non dovuta a colpa grave, del difetto di proprietà del documento nell’alienante.

LA LEGGE DI CIRCOLAZIONE

In base alla legge di circolazione i titoli di credito si distinguono in titoli al portatore (artt. 2003-2007 cc), all’ordine (artt. 2008-2010 cc) e nominativi (artt. 2021-2027 cc).

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a)TITOLI AL PORTATORE

Sono al portatore i titoli che recano la clausola al portatore, anche se contrassegnati da un nome.

Essi circolano mediante la semplice consegna del titolo.

Il possessore è legittimato all’esercizio del diritto in essi menzionato in base alla sola presentazione del titolo al debitore (art. 2003 cc).

L’emissione di titoli di credito al portatore contenenti l’obbligo di pagare una somma di danaro è ammessa solo nei casi stabiliti dalla legge (art. 2004 cc), dato che la semplicità di circolazione li rende idonei a fungere da surrogato alla moneta legale.

Possono essere al portatore gli assegni bancari, i libretti di deposito, le azioni di risparmio, le obbligazioni di società, le quote di partecipazione a fondi comuni, le azioni di Sicav, i titoli del debito pubblico.

Per i titoli al portatore non è di regola ammesso l’ammortamento.

b)TITOLI ALL’ORDINE

I titoli all’ordine sono titoli intestati ad una persona determinata.

Essi circolano mediante consegna del titolo accompagnata dalla girata,

Il possessore del titolo all’ordine si legittima in base ad una serie continua di girate (art. 2008 cc).

Sono titoli di credito all’ordine la cambiale, l’assegno bancario, l’assegno circolare, i titoli rappresentativi di merci.

LA GIRATA

Nozione

La girata è una dichiarazione scritta sul titolo (di regola sul retro) e sottoscritta, con la quale l’attuale possessore (girante) ordina al debitore cartolare di adempiere nei confronti di altro soggetto (giratario).

Page 105: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Forma

La girata può essere:

a)in pieno

contiene il nome del giratario (art. 2009 cc); la forma consueta è “per me pagate a…”, con la sottoscrizione del girante

b)in bianco

non contiene il nome del giratario; di regola è costituita dalla sola firma del girante.

Chi riceve un titolo girato in bianco può:

1-riempire la girata col proprio nome o con quello di altra persona

2-girare di nuovo il titolo in pieno o in bianco

3-trasmettere il titolo ad un terzo senza riempire la girata e senza apporne una nuova.

In questo ultimo caso la circolazione avviene mediante consegna manuale del titolo (analogamente a quanto avviene nei titoli al portatore; va detto però che il titolo resta sempre un titolo all’ordine dato che il debitore è tenuto a controllare quanto meno che la prima firma di girata corrisponde al nome del primo prenditore).

La girata non può essere sottoposta a condizione e qualsiasi condizione apposta si considera non scritta.

E’ nulla la girata parziale.

Funzione di legittimazione

Effetto della girata è quello di mutare la legittimazione all’esercizio del diritto cartolare (l’art. 2011 1° comma cc stabilisce che la girata trasferire tutti i diritti inerenti al titolo).

Continuità delle girate

Quando vi siano state più girate, l’attuale possessore del titolo si legittima in base ad una serie continua di girate, di cui l’ultima a lui intestata o in bianco.

Page 106: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

E’ necessario che il nome di ogni girante corrisponda a quello del giratario della girata precedente, fino a risalire al primo prenditore.

Il debitore è tenuto a controllare solo la regolarità formale delle girate.

Non è invece tenuto a verificarne l’autenticità e la validità.

Funzione di garanzia

Di regola la girata non ha funzione di garanzia in quanto, salvo diversa disposizione di legge o clausola contraria risultante dal titolo, il girante non è responsabile verso i giratari successivi per l’inadempimento da parte dell’emittente.

Girata per l’incasso o per procura e girata a titolo di pegno

Il giratario acquista nei confronti dell’emittente un diritto letterale ed autonomo ed è di regola libero di trasferire ulteriormente il titolo.

Il codice regola 2 tipi di girata con effetti limitati:

-girata per l’incasso o per procura (art. 2013 cc)

il giratario assume la veste di rappresentante per l’incasso del girante.

Titolare del credito cartolare resta il girante.

Perciò il debitore può opporre al giratario per procura tutte e soltanto le eccezioni personali opponibili al girante.

Inoltre il giratari per procura non può ulteriormente girare il titolo se non per procura

-girata a titolo di pegno (art. 2014 cc)

detta anche girata in garanzia, attribuisce al giratario un diritto di pegno sul titolo, a garanzia di un credito che il giratario stesso vanta nei confronti del girante.

Al giratario non sono opponibili le eccezioni personali al girante.

Il giratario non può trasferire ad altri il titolo in quanto non è proprietario dello stesso; perciò la girata da lui fatta vale solo come girata per procura.

c)TITOLI NOMINATIVI

Page 107: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

I titoli nominativi sono titoli intestati ad una persona determinata.

Doppia intestazione

Si caratterizzano per il fatto che l’intestazione deve risultare non solo dal titolo, ma anche

da un apposito registro tenuto dall’emittente (doppia intestazione).

Il possessore di un titolo nominativo è perciò legittimato all’esercizio dei relativi diritti per effetto della doppia intestazione a suo favore (art. 2021 cc).

Possono essere titoli nominativi le obbligazioni, le quote di partecipazione a fondi comuni di investimento, i titoli del debito pubblico.

La nominatività è inoltre obbligatoria per le azioni diverse da quelle di risparmio e delle Sicav (cioè società di investimento a capitale variabile).

Le azioni costituiscono la categoria più diffusa di titoli nominativi.

La doppia annotazione del nome dell’acquirente può avvenire secondo 2 diverse procedure:

1)transfert (art. 2022 cc)

questa procedura prevede il cambiamento contestuale delle due intestazioni (o il rilascio di un nuovo titolo) a cura e sotto la responsabilità dell’emittente.

Il transfert può essere richiesto sia dall’alienante sia dall’acquirente ma diverse sono le formalità da osservare nei 2 casi.

L’alienante deve esibire il titolo e deve provare la propria identità e la propria capacità di disporre (cioè la capacità di agire), mediante certificazione di un notaio, di un agente di cambio o, per le azioni, anche di una banca a ciò autorizzata.

L’acquirente che richiede il transfert deve invece esibire il titolo e deve inoltre dimostrare il suo diritto, cioè se l’acquisto del titolo mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un agente di cambio

2)trasferimento mediante girata (art. 2023 cc)

è la forma più snella e perciò più diffusa.

L’annotazione sul titolo (girata) è fatta dall’alienante; quella nel registro dell’emittente ad opera di quest’ultimo e si rende necessaria solo quando l’acquirente voglia esercitare i relativi diritti.

Page 108: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

L’acquirente può trasferire ad altri il titolo mediante ulteriore girata, dato che dal documento già risulta l’intestazione a suo favore.

Forma della girata

La girata dei titoli nominativi è assoggettata a particolari regole di forma in quanto deve essere datata e deve contenere l’indicazione del giratario (non può perciò essere in bianco).

La girata deve inoltre essere autenticata da un notaio o da un agente di cambio o, per le azioni, anche da un funzionario di banca o da una Sim (cioè società di intermediazione mobiliare).

Effetti

La girata di un titolo nominativo attribuisce al possessore solo la legittimazione ad ottenere l’annotazione del trasferimento nel registro dell’emittente; solo in seguito il giratario consegue la legittimazione all’esercizio dei diritti inerenti al titolo.

Per i titoli azionari l’annotazione nel libro dei soci non è necessaria per l’esercizio dei diritti sociali; il giratario che si dimostra possessore in base ad una serie continua di girate è legittimato ad esercitare tutti i diritti sociali.

3)L’ESERCIZIO DEL DIRITTO CARTOLARE. LA LEGITTIMAZIONE

Il possessore qualificato del titolo può far valere il diritto cartolare nei confronti del debitore senza essere tenuto a provare il valido acquisto della proprietà del titolo.

Legittimazione attiva

Il 1° comma dell’art. 1992 cc stabilisce che il possessore di un titolo di credito ha diritto alla prestazione in esso indicata verso presentazione del titolo (legittimazione attiva).

E’ così spostato sul debitore l’onere di provare il difetto di titolarità.

Legittimazione passiva

Il debitore che senza dolo o colpa grave adempie la prestazione nei confronti del possessore, è liberato anche se questi non è il titolare del diritto (art. 1992 2° comma cc).

Page 109: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Il debitore è liberato non solo quando ignora il difetto di titolarità del legittimato (buona fede), ma anche quando, pur essendone a conoscenza, non sia in grado di procurarsi con l’ordinaria diligenza i mezzi di prova per contestare il difetto di titolarità.

LE ECCEZIONI CARTOLARI

Il regime delle eccezioni che il debitore cartolare può opporre al portatore del titolo per sottrarsi al pagamento è fissato dall’art. 1993 cc.

Le eccezioni cartolari si distinguono in 2 categorie:

a)eccezioni reali

sono opponibili a qualunque portatore del titolo.

Danno luogo ad eccezioni reali:

1-le eccezioni di forma, cioè la mancata osservanza dei requisiti formali del titolo richiesti dalla legge a pena di nullità (es. la mancanza nel titolo della denominazione cambiale)

2-le eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo (vedi principio della letteralità del diritto cartolare)

3-la falsità della firma, da intendersi nel senso che la sottoscrizione non è giuridicamente riferibile a colui che figura dal titolo come debitore; vi rientra il caso di firma apposta da un omonimo (non invece quella della contraffazione autorizzata di firma altrui)

4-il difetto di capacità o di rappresentanza al momento dell’emissione del titolo

5-la mancanza delle condizioni necessarie per l’esercizio dell’azione

b)eccezioni personali

sono opponibili solo ad un determinato portatore del titolo.

Sono eccezioni personali tutte le eccezioni diverse da quelle reali; rientrano in particolare:

1-le eccezioni derivanti dal rapporto fondamentale che ha dato luogo all’emissione del titolo (eccezioni ex causa), opponibili solo al primo prenditore

2-le eccezioni fondate su altri rapporti personali con i precedenti possessori, opponibili solo a colui che è stato parte del relativo rapporto

Page 110: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

3-l’eccezione di difetto di titolarità del diritto cartolare, opponibile al possessore del titolo che non ne ha acquistato la proprietà (mancanza di un valido negozio di trasmissione) o l’ha successivamente persa (vendita del titolo senza consegna all’acquirente).

Le eccezioni di cui ai punti 1- e 2- si definiscono eccezioni personali fondate su rapporti personali mentre quelle di cui al punto 3- eccezioni personali in senso stretto, in quanto non trovano fondamento in un rapporto fra debitore e portatore del titolo.

Il legislatore per evitare che l’inopponibilità delle eccezioni personali possa dar luogo ad abusi, ammette che a determinate condizioni esse possano essere opposte anche ai portatori successivi.

Eccezioni personali in senso stretto

Per esse è applicabile la regola dettata dall’art. 1994 cc per l’acquisto a non domino.

L’eccezione di difetto di titolarità è quindi opponibile nei confronti di tutti i successivi possessori in malafede o colpa grave, cioè che conoscevano o dovevano conoscere il difetto di titolarità di un precedente possessore.

Eccezioni fondate su rapporti personali

Esse sono opponibili ai successi possessori solo se l’attuale possessore nell’acquistare il titolo ha agito intenzionalmente a danno del debitore.

E’ questa l’exceptio doli, che richiede il dolo, cioè un accordo fraudolento fra chi trasmette e chi riceve il titolo o l’intento di quest’ultimo di danneggiare il debitore privandolo di eccezioni che questi avrebbe potuto opporre al precedente possessore.

L’AMMORTAMENTO

Il principio dell’incorporazione dovrebbe comportare che l’esercizio del diritto cartolare è precluso anche in caso di perdita involontaria del titolo (es. smarrimento, sottrazione).

Tuttavia la legge prevede a favore di colui che ha perso il possesso del titolo rimedi che consentono di svincolare l’esercizio del diritto dal possesso del titolo.

Questi rimedi sono diversi per i titoli all’ordine o nominativi e per i titoli al portatore.

Page 111: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Titoli all’ordine e nominativi

Per essi è previsti l’istituto dell’ammortamento (artt. 2016-2020 e 2027 cc), un procedimento diretto ad ottenere la dichiarazione giudiziale che il titolo originario non è più strumento di legittimazione (decreto di ammortamento).

Chi ha ottenuto l’ammortamento può esigere il pagamento su presentazione del decreto e, se il titolo non è scaduto, può ottenere dall’emittente un duplicato del titolo perduto.

Procedura di ammortamento

E’ ammessa dolo in caso di smarrimento, sottrazione o distruzione del titolo (cioè perdita involontaria del possesso) e si articola in 2 fasi, la prima essenziale e la seconda eventuale.

Denunzia. La procedura di ammortamento inizia con la denunzia al debitore della perdita del titolo e con ricorso al presidente del tribunale del luogo in cui il titolo è pagabile, con il quale si richiede l’ammortamento del titolo.

Il presidente del tribunale, dopo gli opportuni accertamenti sommari, pronuncia con decreto l’ammortamento.

Il decreto deve essere pubblicato nella Gazzetta ufficiale e deve essere notificato al debitore a cura del ricorrente; a partire da tale momento il titolo perde la sua funzione di legittimazione ed il debitore non sarà liberato se paga al detentore del titolo.

Il debitore non può pagare neppure all’ammortante prima che siano decorsi 30 giorni dalla pubblicazione del decreto nella Gazzetta ufficiale.

Opposizione. Entro questo termine, infatti, il terzo detentore del titolo può proporre opposizione contro il decreto di ammortamento depositando il titolo presso la cancelleria del tribunale.

Si apre così un ordinario giudizio di cognizione che ha per oggetto l’accertamento della proprietà del titolo e si chiude con la revoca del decreto se l’opposizione è accolta.

Se invece l’opposizione è respinta, il decreto di ammortamento diventa definitivo ed il titolo è consegnato al ricorrente.

Titolo al portatore

Page 112: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

La procedura di ammortamento non è ammessa per i titoli al portatore, salvo alcune eccezioni tassativamente previste (es. libretto di deposito).

Il possessore del titolo al portatore che ne provi la distruzione ha tuttavia diritto ad ottenere dall’emittente il rilascio di un duplicato o di un titolo equivalente (art. 2007 cc).

Nel caso invece di smarrimento o sottrazione del titolo chi ha subito tali eventi e li abbia denunziati all’emittente dandone la prova, ha diritto alla prestazione decorso il termine di prescrizione del titolo (art. 2006 cc).

DOCUMENTI DI LEGITTIMAZIONE E TITOLI IMPROPRI

I titoli di credito vanno distinti dai documenti che hanno solo una funzione di legittimazione e quindi non attribuiscono un diritto letterale ed autonomo.

L’art. 2002 cc prevede 2 categorie di tali documenti:

a)documenti di legittimazione

servono solo ad identificare l’avente diritto alla prestazione (es. biglietti di viaggio, di cinema); questi documenti non svolgono alcun ruolo ai fini della circolazione del diritto, il quale, quando non è dichiarato incedibile, potrà circolare solo nella forma e con gli effetti della cessione

b)titoli impropri

consentono il trasferimento del diritto senza l’osservanza delle forme proprie della cessione, ma con gli effetti di quest’ultima (es. polizza di assicurazione all’ordine o al portatore).

Essi agevolano la circolazione in quanto dispensano il cessionario dalla formalità della notifica al debitore; non attribuiscono però un diritto letterale ed autonomo, dato che legittimano il possessore come cessionario del diritto documentato.

A queste 2 categorie di documenti non è perciò applicabile la disciplina dei titoli di credito, o meglio, come si tende oggi a riconoscere, è applicabile solo l’art. 1992 cc dato che, per quanto riguarda la legittimazione, essi svolgono funzione analoga a quella dei titoli di credito.

Page 113: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

LA GESTIONE ACCENTRATA DEI TITOLI DI MASSA

Vi è l’esigenza di rendere più sicuro il mercato dei titoli di massa a larga diffusione attraverso l’adozione di meccanismi che consentano di ridurre il movimento materiale dei titoli ed i relativi pericoli di smarrimento o furto.

A tale finalità risponde il sistema di gestione accentrata di strumenti finanziari rappresentanti da titoli.

In base all’attuale disciplina:

a)l’attività di gestione accentrata di strumenti finanziari di emittenti privati è esercitata

dalle società di gestione accentrata che operano sotto la vigilanza della Consob e della

Banca d’Italia

b)sono ammessi al sistema azioni ed altri strumenti finanziari di emittenti privati individuati dalla Consob

c)la gestione accentrata dei titoli di Stato è affidata alla Monte Titoli

d)le modalità di funzionamento del sistema di gestione accentrata sono diverse a seconda che gli strumenti finanziari immessi possano o meno essere rappresentati da titoli in base alla disciplina della dematerializzazione introdotta dal d.lgs 213/1998.

Gestione accentrata non dematerializzata

La gestione accentrata degli strumenti finanziari non dematerializzati si fonda sulla custodia accentrata dei titoli presso la società di gestione.

L’adesione al sistema è facoltativa; i titoli sono infatti immessi nella gestione accentrata sulla base di un contratto di deposito titoli in amministrazione stipulato dai titolari con gli intermediari ammessi al sistema (es. banche, Sim) e che attribuisce all’intermediario-depositario la facoltà di procedere al subdeposito presso la società di gestione accentrata.

Questo sistema consente di sostituire la circolazione documentale dei titoli con una circolazione fondata su scritture contabili poste in essere dalla società di gestione, le quali producono gli effetti propri del trasferimento secondo la disciplina della circolazione dei titoli di credito.

L’accredito contabile è equiparato al trasferimento materiale del titolo e determina l’acquisto di un diritto cartolare da parte del beneficiario dell’ordine.

L’esercizio dei diritti cartolari è svincolato dall’esibizione dei titoli custoditi dalla società di gestione in quanto la relativa legittimazione è attribuita dal rilascio di certificazioni contenenti l’indicazione del diritto sociale esercitabile.

Page 114: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Questo sistema non comporta tuttavia la soppressione materiale dei titoli che vengono creati e rilasciati dall’emittente e restano depositati presso la società di gestione.

Gestione dematerializzata

Una dematerializzazione dei titoli di massa, con l’eliminazione del documento cartaceo integralmente sostituito da sistemi elettronici di scritturazione, è stata invece introdotta dal d.lgs 213/1998 per alcune categorie di strumenti finanziari.

Sono ammessi nel sistema di gestione accentrata in regime di dematerializzazione gli strumenti finanziari (azioni, obbligazioni…) negoziati nei mercati regolamentati italiani, nonché quelli diffusi fra il pubblico in misura rilevante, secondo i criteri individuati dalla Consob.

E’ invece in facoltà egli emittenti assoggettare al regime di dematerializzazione gli strumenti finanziari che non presentano tali caratteristiche.

Anche la gestione accentrata dei titoli di Stato è stata dematerializzata.

L’emissione e la circolazione degli strumenti finanziari dematerializzati avviene con registrazioni contabili elettroniche che producono effetti equivalenti a quelli previsti dalla disciplina dei titoli di credito.

LA CAMBIALE

CAMBIALE TRATTA E VAGLIA CAMBIARIO

Funzione

La cambiale è un titolo di credito la cui funzione tipica, anche se non esclusiva, è quella di differire il pagamento di una somma di denaro.

Disciplina

E’ regolata dal regio decreto 1669/1933, con il quale è stata data attuazione in Italia alla Convenzione di Ginevra del 1930 per l’unificazione internazionale del diritto cambiario.

Page 115: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Cambiale tratta e vaglia cambiario

Esistono 2 tipi di cambiale:

a)cambiale tratta

una persona (traente) ordina ad un’altra persona (trattario) di pagare una somma di danaro al portatore del titolo.

Ha quindi la struttura di un ordine di pagamento nel quale figurano 3 persone:

-il traente, che dà l’ordine e garantisce il pagamento del titolo

-il trattario, che è il destinatario dell’ordine di pagamento e che diventa obbligato cambiario principale solo in seguito all’accettazione

-il prenditore, che è il beneficiario dell’ordine di pagamento

b)vaglia cambiario (o pagherò cambiario)

ha la struttura di una promessa di pagamento ed in esso figurano solo 2 persone:

-l’emittente, che promette il pagamento assumendo la veste di obbligato cambiario principale

-il prenditore, che è il beneficiario della promessa di pagamento.

Caratteri comuni

Questi 2 tipi di cambiale presentano alcuni caratteri comuni:

1-la cambiale è un titolo di credito all’ordine; circola quindi mediante girata

2-la cambiale è un titolo astratto; può essere emessa anche se manca un preesistente debito del traente o dell’emittente nei confronti del prenditore, al fine di dare a quest’ultimo uno strumento per procurarsi temporaneamente disponibilità di danaro (è questa la cambiale di favore, nella quale il rapporto causale è costituito dalla convenzione di favore fra emittente e primo prenditore)

3-la cambiale è un titolo rigorosamente formale in quanto deve rispettare le indicazioni prescritte dalla legge

4-la cambiale è un titolo che può incorporare una pluralità di obbligazioni.

Gli obbligati cambiari sono obbligati in solido verso il portatore del titolo, ma nel contempo sono disposti per gradi e distinti in obbligati diretti (emittente, accettante e loro avvallanti) ed in obbligati di regresso (traente, giranti, loro avallanti ed accettante per intervento)

5-la cambiale è un titolo esecutivo ed è assistita da agevolazioni processuali in modo da consentire al portatore un pronto soddisfacimento in caso di mancato pagamento.

Page 116: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

REQUISITI FORMALI DELLA CAMBIALE

La cambiale è di regola redatta su appositi moduli prestampati, predisposti dall’amministrazione finanziaria, con i quali viene assolta l’imposta di bollo sulle cambiali.

Il modulo bollato (o qualsiasi altro pezzo di carta) è qualificabile come cambiale solo se contiene determinate indicazioni, fissate dagli artt. 1 (cambiale tratta) e 100 (vaglia cambiario) della legge cambiaria.

La mancanza di questi requisiti comporta che il titolo non vale come cambiale.

Tuttavia, mentre alcune di tali indicazioni sono indispensabili (requisiti essenziali), altre possono anche mancare in quanto, se nulla risulta dal titolo, la lacuna è colmata dalla legge con norme suppletive (requisiti naturali).

Requisiti essenziali

Sono tali:

1-la denominazione di cambiale; per il vaglia cambiario possono essere utilizzate le denominazioni “vaglia cambiario” o “pagherò cambiario”

2-l’ordine incondizionato nella cambiale tratta (“pagherete a…”) o la promessa incondizionata nel vaglia cambiario (“pagherò a…”) di pagare una somma determinata, che di regola è espressa sia in lettere che in cifre.

In caso di discordanza prevale la somma scritta in lettere; se la somma è scritta più volte in caso di discordanza la cambiale vale per la somma minore

3-l’indicazione nella cambiale tratta del nome di chi è designato a pagare (trattario), nonché il luogo e data di nascita ovvero il codice fiscale dello stesso

4-l’indicazione nel vaglia cambiario del luogo e della data di nascita ovvero dell’emittente

5-il nome del primo prenditore

6-la data di emissione della cambiale

7-la sottoscrizione del traente o dell’emittente (art. 8 legge camb)

Essa, a differenza di tutti gli altri requisiti, deve essere autografa, cioè apposta manualmente dal traente o dall’emittente.

Page 117: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Inoltre deve contenere il nome ed il cognome o almeno la ditta di colui che si obbliga; è valida tuttavia la sottoscrizione nella quale il nome sia abbreviato o indicato con la sola iniziale.

Requisiti naturali

Sono tali:

1-l’indicazione della scadenza.

Se omessa la cambiale si considera pagabile a vista; se indicata la scadenza deve rientrare, a pena di nullità, in uno dei quattro tipi previsti dalle legge e cioè a vista, a certo tempo vista, a certo tempo data, a giorno fisso

2-l’indicazione del luogo dove la cambiale è emessa.

In mancanza la cambiale si considera sottoscritta nel luogo indicato accanto al nome del traente o dell’emittente; mancando anche quest’ultima indicazione, la cambiale è nulla

3-l’indicazione del luogo di pagamento.

Il mancanza la cambiale tratta è pagabile nel luogo indicato accanto al nome del trattario mentre il vaglia cambiario nel luogo di emissione del titolo.

E’ possibile indicare come luogo di pagamento anche il domicilio di un terzo (es. banca) ed in tal caso la cambiale si dice domiciliata.

Bollo

Non costituisce requisito di validità della cambiale il pagamento, all’atto dell’emissione, dell’imposta proporzionale di bollo.

La mancanza o l’insufficienza originaria del bollo privano però la cambiale della qualità di titolo esecutivo.

La successiva regolarizzazione fiscale è comunque necessaria affinché il portatore possa esercitare in giudizio i diritti cambiari (ferma restando la perdita della qualità di titolo esecutivo).

LA CAMBIALE IN BIANCO

Definizione

Page 118: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Eccezion fatta per la sottoscrizione del traente o dell’emittente (unico requisito per il

quale è richiesta l’autografia), non è necessario che tutti i requisiti siano presenti all’atto di emissione del titolo; basta che la cambiale sia completa al momento in cui il portatore ne chiede il pagamento.

La cambiale che circola sprovvista di uno o più requisiti essenziali si chiama cambiale in bianco.

Accordo di riempimento

Di regola l’emissione della cambiale in bianco è accompagnata da un accordo di riempimento fra emittente e primo prenditore, con il quale si fissano le modalità del successivo riempimento del titolo.

All’emissione della cambiale in bianco si ricorre infatti quando alcuni dati cambiari (es. importo) non sono attualmente determinabili.

Abusivo riempimento

Chi rilascia una cambiale in bianco resta esposto al rischio che la stessa ria riempita dal prenditore in modo difforme da quanto pattuito nell’accordo di riempimento.

Il rischio di abusivo riempimento è limitato se il pagamento della cambiale viene richiesto da colui con cui è intercorso l’accordo di riempimento; infatti a questi l’emittente potrà opporre la violazione dell’accordo di riempimento, restando a suo carico l’onere di provare in giudizio il riempimento abusivo.

Il rischio è più grave se il prenditore, dopo aver completato il titolo in difformità degli accordi, lo giri ad un terzo in quanto l’eccezione di abusivo riempimento è un’eccezione personale.

Essa non è opponibile al terzo possessore a meno che questi abbia acquistato la cambiale in mala fede, ovvero abbia commesso colpa grave acquistandola.

In difetto di tale prova il debitore dovrà pagare la cambiale e potrà solo chiedere il risarcimento dei danni all’autore dell’abusivo riempimento, esposto anche alle sanzioni previste per il reato di abuso di foglio in bianco.

Decadenza

Il portatore decade dal diritto di riempire la cambiale in bianco dopo 3 anni dal giorno dell’emissione del titolo.

Page 119: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

CAPACITA’ E RAPPRESENTANZA CAMBIARIA

Capacità

L’assunzione di obbligazione cambiaria da parte degli incapaci costituisce atto eccedente l’ordinaria amministrazione; ciò si desume dalla disciplina dettata per l’assunzione di obbligazione cambiaria da parte degli incapaci.

Il rappresentante legale del minore o dell’interdetto può assumere obbligazioni cambiarie in loro nome solo previa autorizzazione del giudice tutelare, salvo che sia stato autorizzato alla continuazione dell’esercizio di impresa commerciale.

Per l’inabilitato ed il minore emancipato non autorizzato all’esercizio di impresa commerciale, è previsto che la loro firma sia accompagnata da quella del curatore.

Rappresentanza cambiaria

L’obbligazione cambiaria può essere assunta anche a mezzo rappresentante.

Questi deve far risultare dal titolo tale sua qualità utilizzando la formula “per procura” od altra equivalente.

Il rappresentante di un imprenditore commerciale può assumere obbligazioni cambiarie, salvo che non risulti diversamente dall’atto di conferimento dei poteri soggetto a pubblicità legale; il rappresentante di chi non è imprenditore commerciale invece non può assumere obbligazioni cambiarie, salvo prova contraria.

Falsus procurator

In deroga alla disciplina di diritto comune, il rappresentante cambiario senza poteri (o che ha ecceduto i poteri conferitigli) è obbligato cambiariamente come se avesse firmato in proprio, cioè è tenuto al pagamento in luogo del preteso rappresentato, che può eccepire il difetto di rappresentanza anche al terzo possessore di buona fede (art. 1993 cc).

Il rappresentante senza poteri che ha pagato ha gli stessi diritti che avrebbe avuto il preteso rappresentato; può cioè agire cambiariamente nei confronti egli eventuali obbligati cambiari di grado anteriore.

LE OBBLIGAZIONI CAMBIARIE

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Pluralità di obbligazioni

La cambiale è un titolo di credito destinato ad incorporare più obbligazioni; nasce come obbligazione del traente o dell’emittente ed altre se ne possono aggiungere durante la vita del titolo (es. quella dei singoli giranti).

Le obbligazioni cambiarie sono rette da alcuni principi:

Reciproca indipendenza (o autonomia delle obbligazioni cambiarie, art. 7 l.camb)

L’invalidità della singola obbligazione cambiaria non incide sulla validità delle altre (es. se l’obbligazione del traente è invalida perché lo stesso è incapace, l’accettante o i giranti che si sono validamente obbligati non possono sottrarsi al pagamento della cambiale)

Obbligati solidali

Tutti gli obbligati cambiari sono obbligati in solido nei confronti del portatore del titolo alla scadenza (art. 54 l.camb), che perciò può chiedere a ciascuno di essi il pagamento dell’intera somma cambiaria.

Tuttavia gli obbligati cambiari non sono obbligati tutti nello stesso modo:

-obbligati diretti e di regresso

nei confronti del portatore del titolo gli obbligati cambiari sono distinti in 2 categorie, cioè obbligati diretti ed obbligati di regresso.

L’azione nei confronti dei primi (azione diretta) non è subordinata a particolari formalità mentre l’azione nei confronti dei secondi (azione di regresso) presuppone il verificarsi di determinate condizioni sostanziali (rifiuto dell’accettazione o del pagamento) ed è subordinata a specifici adempimenti formali (levata del protesto).

Sono obbligati diretti l’emittente, l’accettante ed i loro avallanti; sono obbligati di regresso il traente, i giranti, i loro avallanti e l’accettante per intervento

-gradi cambiari

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nei rapporti reciproci solo uno degli obbligati cambiari deve sopportare il peso definitivo

del debito cambiario, mentre gli altri sono garanti di grado successivo del pagamento.

Nei rapporti interni gli obbligati sono disposti per 3 gradi, secondo un ordine fissato per legge.

Nella cambiale tratta accettata obbligato di 1° grado è l’accettante, obbligato di 2° grado è il traente, obbligato di 3° grado è il primo girante e seguono poi nell’ordine i successivi giranti.

Nel vaglia cambiario obbligato di 1° grado è sempre l’emittente, seguono poi i giranti.

L’avallante assume un grado cambiario successivo a quello dell’obbligato per il quale l’avallo è stato dato.

La graduazione delle obbligazioni cambiarie comporta che, se paga l’obbligato di 1° grado, tutti gli altri sono liberati non solo nei confronti del portatore, ma anche nei rapporti interni.

Per contro, il pagamento effettuato da un obbligato di grado intermedio libera definitivamente solo quelli di grado successivo, dato che il solvens ha azione cambiaria per il recupero dell’intera somma pagata nei confronti degli obbligati di grado anteriore (art. 56 l.camb).

Oltre che obbligazioni di grado diverso, la cambiale può contenere anche obbligazioni di pari grado e ciò si verifica quando più persone assumono la stessa posizione cambiaria (coemittenti, coavallanti).

L’ACCETTAZIONE DELLA CAMBIALE

L’accettazione è la dichiarazione con la quale il trattario si obbliga a pagare la cambiale alla scadenza.

Con essa il trattario diventa obbligato principale (di 1° grado) e diretto.

Prima dell’accettazione il portatore non ha alcuna azione, né cambiaria né extracambiaria, nei confronti del trattario.

Presentazione per l’accettazione

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La presentazione della cambiale per l’accettazione costituisce di regola una facoltà de portatore del titolo ed il traente può anche vietare che la cambiale sia presentata per l’accettazione.

La presentazione è tuttavia obbligatoria:

a)nella cambiale a certo tempo vista, dato che in tal caso è necessaria per determinare la scadenza del titolo

b)quando la presentazione per l’accettazione è prescritta dal traente o da un girante.

Forma

L’accettazione deve essere scritta sulla cambiale ed è espressa con le parole “accetto”, “visto” o altra equivalente, seguite dalla sottoscrizione del trattario, con indicazione del luogo e della data di nascita ovvero del codice fiscale.

Vale come accettazione anche la semplice sottoscrizione del trattario.

Contenuto

L’accettazione deve essere incondizionata; può essere però limitata ad una parte della

somma.

Ogni altra modifica apportata dall’accettante al tenore della cambiale (es. modifica della scadenza) equivale a rifiuto di accettazione e consente il regresso anticipato; nel contempo l’accettante resta però obbligato nei termini della sua accettazione (è da ritenere che ciò valga anche per l’accettazione condizionata).

Accettazione per intervento

Il rifiuto di accettazione della cambiale espone gli obbligati di regresso al pagamento prima della scadenza (regresso per mancata accettazione).

Per evitare questa conseguenza la legge prevede l’istituto dell’accettazione per intervento (art. 75.77 l.camb) con cui, in caso di rifiuto da parte del trattario, l’accettazione può essere fatta da un terzo.

L’accettante per intervento non diventa obbligato principale in quanto egli è infatti obbligato nello stesso modo di colui per il quale interviene e, nel silenzio, l’accettazione si reputa data per il traente.

La sua posizione è sostanzialmente quella di un obbligato di regresso di grado successivo a quello dell’obbligato per il quale l’intervento è stato dato.

Page 123: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

L’AVALLO (artt. 35-36-37 l.camb)

L’avallo è una dichiarazione cambiaria con la quale un soggetto (avallante) garantisce il pagamento della cambiale per tutta o parte della somma (art. 35 1° comma l.camb).

Costituisce quindi una garanzia cambiaria.

Forma

L’avallo deve risultare dal titolo o dal foglio di allungamento.

E’ espresso con le parole “per avallo” o altre equivalente, seguite dalla sottoscrizione dell’avallante nella forma prevista dall’art. 8 legge camb; vale tuttavia come avallo anche la semplice sottoscrizione apposta sulla faccia anteriore del titolo, purchè non si tratta della firma del traente o del trattario, ovvero dell’emittente.

Obbligazione dell’avallante

L’avallo può essere dato per uno qualsiasi degli obbligati cambiari e l’avallante deve indicare per chi l’avallo è dato.

In mancanza l’avallo si intende dato ex lege per il traente nella cambiale tratta e per l’emittente nel pagherò cambiario.

L’avallante è obbligato nello stesso modo di colui per il quale l’avallo è stato dato; diventa obbligato diretto se l’avallato è un obbligato diretto (emittente o accettante) ed obbligato di regresso se tale è l’avallato.

Nei confronti del portatore del titolo l’avallante è obbligato in solido con l’avallato e con gli altri obbligati cambiari al pagamento della cambiale.

Nei rapporti interni l’avallante è invece un obbligato di garanzia di grado successivo rispetto all’avallato; l’avallante che paga la cambiale ha quindi azione cambiaria di rivalsa per l’intero contro l’avallato e contro gli obbligati di grado anteriore.

Coavallo

L’avallo può essere prestato anche da più persone congiuntamente per lo stesso obbligato cambiario ed in tal caso si ha la figura del coavallo.

I coavallanti restano obbligati di grado successivo rispetto all’avallato, ma sono obbligati di pari grado fra loro (all’azione di rivalsa di un coavallante verso l’altro non si applica quindi la disciplina sopra esposta ma quella dettata dall’art. 62 l.camb per il regresso fra obbligati di pari grado).

Page 124: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Autonomia

L’obbligazione dell’avallante è valida anche se l’obbligazione garantita è nulla per qualsiasi causa, eccetto il vizio di forma.

Trova quindi applicazione il principio dell’indipendenza delle obbligazioni cambiarie, con la sola eccezione che l’avallante può opporre al portatore il vizio di forma dell’obbligazione dell’avallato (es. può opporre che l’avallato ha firmato col solo cognome, violando le regole di forma della sottoscrizione poste dall’art. 8 legge camb); al di fuori di tale ipotesi l’avallante è tenuto al pagamento anche se l’obbligazione dell’avallato è invalida.

Avallo e fideiussione

L’avallo si differenzia dalla fideiussione.

Infatti mentre l’avallo è una garanzia autonoma, la fideiussione è una garanzia accessoria e quindi se viene meno l’obbligazione garantita, viene meno anche la fideiussione.

LA CIRCOLAZIONE DELLA CAMBIALE

La disciplina della circolazione della cambiale (artt. 15-25 l.camb) in larga parte coincide con quella dettata dal cc per i titoli di credito all’ordine.

Cambiale non all’ordine

Il trasferimento della cambiale mediante girata può essere escluso dal traente o dall’emittente apponendo sul titolo la clausola “non all’ordine” o altra equivalente.

In tal caso la cambiale è trasferibile solo nella forma e con gli effetti di una cessione ordinaria; l’acquirente resta quindi esposto a tutte le eccezioni opponibili ai precedenti portatori.

Forma

La girata deve essere apposta sulla cambiale (o su un foglio di allungamento della stessa) deve essere sottoscritta dal girante nel modo fissato dall’art. 8 legge camb per tutte le sottoscrizioni cambiarie; altrimenti la girata è nulla.

Page 125: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Anche la girata della cambiale può essere in pieno o in bianco; la girata in bianco per essere valida deve essere scritta esclusivamente a tergo della cambiale o sull’allungamento.

Contenuto

La girata deve essere incondizionata e qualsiasi condizione apposta si ha per non scritta.

E’ invece nulla la girata parziale.

Effetti

I principi cardine che regolano la circolazione della cambiale sono identici a quelli dettati dal cc per i titoli di credito in generale.

Anche nella cambiale, quindi, la girata trasferisce la legittimazione all’esercizio dei diritti cartolari.

Il possessore in buona fede del titolo, che si legittima in base ad una serie continua di girate, diventa proprietario del titolo e titolare del diritto, prevalendo sul proprietario spossessato.

Funzione di garanzia

La disciplina della cambiale si distacca invece da quella generale dei titoli di credito per quanto riguarda la funzione di garanzia della girata in quanto nella cambiale il girante risponde per legge, come obbligato di regresso, dell’accettazione e del pagamento della cambiale.

Con apposita clausola (es. “senza garanzia”) il girante può esonerarsi da ogni responsabilità.

Girata per procura e a titolo di pegno

La cambiale può essere girata “per procura” o a titolo di pegno (la disciplina coincide con quella dettata in via generale per i titoli all’ordine).

Nel silenzio della legge cambiaria, è da ritenere che il girante in tal caso non è obbligato cambiariamente.

IL PAGAMENTO DELLA CAMBIALE

Page 126: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Legittimazione

Legittimato a chiedere il pagamento è il portatore della cambiale che giustifica il suo diritto con una serie continua di girate (anche se l’ultima è in bianco); le girate cancellate si hanno per non scritte.

Chi paga alla scadenza è tenuto a controllare solo la regolarità forale delle girate e la continuità delle stesse (coincidenza del nome di ogni girante con quello del giratario precedente) e se il titolo contiene girate in bianco si presume che il sottoscrittore della girata successiva sia il beneficiario di quella in bianco; non è invece tenuto a controllare l’autenticità della firma dei giranti.

Eseguiti tali controlli il debitore cambiario è liberato anche se paga al non titolare, a meno che da parte sua non vi sia stato dolo o colpa grave.

Presentazione per il pagamento

La cambiale deve essere presentata per il pagamento al trattario nella cambiale tratta e all’emittente nel vaglia cambiario, ovvero alla diversa persona designata nel titolo a pagare per loro.

Nella cambiale “a giorno fisso” e “a certo tempo data o vista” la presentazione deve essere effettuata nel giorno della scadenza o in uno dei due giorni feriali successivi; la cambiale “a vista” deve invece essere presentata per il pagamento entro 1 anno dalla data

di emissione.

L’omessa presentazione nei termini comporta la perdita dell’azione cambiaria nei confronti degli obbligati di regresso.

Termine essenziale

In deroga al diritto comune, il termine di scadenza della cambiale è termine essenziale non solo per il creditore ma anche per il debitore cambiario.

Infatti il portatore della cambiale non è tenuto a ricevere il pagamento prima della scadenza; inoltre, anche se consentito dal portatore, il pagamento anticipato avviene a rischio e pericolo del debitore.

Pagamento parziale

In deroga al diritto comune, il portatore della cambiale non può rifiutare un pagamento parziale (sono così tutelati gli obbligati di regresso che restano responsabili solo per il residuo).

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Il pagamento per l’intero dà diritto alla restituzione del titolo, quietanzato dal portatore; in caso di pagamento parziale il debitore può invece esigere che ne sia fatta menzione nel titolo e gliene sia data quietanza separata.

Pagamento per intervento

Come l’accettazione, anche il pagamento della cambiale può essere effettuato per intervento (artt. 78-82 l.camb), al fine di evitare che il portatore promuova azione cambiaria nei confronti degli obbligati di regresso.

Colui che paga per intervento può essere un terzo o una persona già obbligata cambiariamente, tranne l’accettante; l’intervento può essere prestato a favore di uno qualsiasi degli obbligati di regresso.

Il pagamento per intervento non può essere parziale e deve essere effettuato al più tardi nel giorno successivo all’ultimo giorno consentito per elevare il protesto per mancato pagamento.

Il pagamento per intervento libera gli obbligati di grado successivo a quello per il quale il pagamento è stato effettuato, mentre chi ha pagato acquista i diritti cambiari verso costui e gli obbligati di grado anteriore; in mancanza di indicazione il pagamento si reputa fatto per il traente.

Il portatore che rifiuta il pagamento per intervento perde il regresso contro coloro che sarebbero stati liberati.

LE AZIONI CAMBIARIE

In caso di rifiuto del pagamento, e nella cambiale tratta anche in caso di rifiuto di accettazione, il portatore del titolo può agire contro tutti gli obbligati cambiari per ottenere il pagamento.

L’azione è regolata diversamente a seconda che si tratti di obbligati diretti o di regresso.

Azione diretta

Il portatore è tenuto ad osservare solo il termine di prescrizione di 3 anni, che decorre dalla scadenza della cambiale.

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Azione di regresso

Il suo esercizio è subordinato a particolari condizioni sostanziali e adempimenti formali.

Condizioni sostanziali (art. 50 l.camb)

L’azione contro gli obbligati di regresso può essere esercitata alla scadenza se il pagamento non ha avuto luogo.

Può anche essere esercitata prima della scadenza:

1-se l’accettazione è stata rifiutata in tutto o in parte

2-in caso di fallimento del trattario o dell’emittente del pagherò cambiario, di cessazione dei pagamenti da parte degli stessi o di esecuzione infruttuosa sui loro beni

3-in caso di fallimento del traente di una cambiale non accettabile.

Adempimenti formali (art. 51 l.camb)

In caso di fallimento per esercitare il regresso basta produrre sentenza dichiarativa.

Protesto

Negli altri casi l’esercizio dell’azione di regresso è subordinata alla preventiva

constatazione del rifiuto di accettazione o di pagamento con atto autentico denominato

protesto.

Esso deve essere elevato nei termini previsti per la presentazione all’accettazione o al pagamento; quindi il protesto per mancato pagamento deve essere elevato nei 2 giorni feriali successivi alla scadenza della cambiale.

L’omessa levata del protesto nei termini comporta che il portatore decade dalle azioni di regresso.

Il portatore può essere dispensato dal protesto (ma non dalla presentazione nei termini) con apposita clausola inserita nella cambiale (clausola “senza spese” o “senza protesto”) dal traente, dal girante o dall’avallante.

Avviso

Pur se dispensato dal protesto, il portatore è in ogni caso tenuto a dare avviso della mancata accettazione o del mancato pagamento al traente, al proprio girante ed ai

Page 129: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

loro avallanti, entro i 4 giorni feriali successivi alla levata del protesto o al giorno della presentazione, se la cambiale è “senza spese”.

L’omissione dell’avviso nei termini comporta che il portatore dovrà risarcire i danni eventualmente arrecati nei limiti dell’importo della cambiale.

Anche l’onero di avviso è derogabile con apposita clausola “senza avviso” inserita nella cambiale.

Responsabilità solidale

Gli obbligati cambiari (diretti e di regresso) sono tutti obbligati in solido nei confronti del portatore.

Quindi, rispettate le condizioni necessarie per l’esercizio dell’azione di regresso, il portatore può agire a sua scelta, per l’intera somma cambiaria, contro uno qualsiasi degli obbligati e non è tenuto ad osservare l’ordine nel quale si sono obbligati.

Inoltre l’azione promossa contro uno degli obbligati non gli impedisce di agire anche contro gli altri, anche se obbligati di grado successivo rispetto a colui contro il quale si sia prima proceduto.

Ulteriore regresso

La disposizione per gradi degli obbligati cambiari acquista rilievo per regolare i rapporti fra gli stessi, conseguenti al pagamento del portatore del titolo,

L’obbligato cambiario che ha pagato libera definitivamente i coobbligati di grado successivo, dai quali non potrà ripetere alcunché.

Ha invece azione cambiaria di ulteriore regresso contro gli obbligati di grado anteriore e può chiedere a ciascuno di essi il rimborso integrale di quanto pagato, oltre gli interessi e le spese.

Obbligati di pari grado

L’obbligato cambiario che ha pagato non ha invece azione cambiaria nei confronti degli eventuali coobbligati di parti grado (es. coavallanti); contro costoro potrà agire solo in via extracambiaria, dove troverà applicazione la disciplina comune delle obbligazioni solidali.

Prescrizione

L’azione di regresso del portatore del titolo è soggetta al termine breve di prescrizione di 1 anno, che decorre dalla data del protesto levato in tempo utile o dalla scadenza se vi è la clausola “senza spese”.

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L’azione di ulteriore regresso si prescrive invece in 6 mesi dal giorno del pagamento o da quello in cui l’azione di regresso è stata promossa contro di lui.

L’interruzione della prescrizione opera solo nei confronti dell’obbligato cambiario rispetto al quale è stato compiuto l’atto interruttivo.

IL PROTESTO

Il protesto è l’atto autentico necessario per la conservazione delle azioni di regresso.

Con esso si constata la mancata accettazione o il mancato pagamento della cambiale da parte del designato a pagare in via principale (trattario o emittente).

Il protesto deve essere elevato, dietro presentazione del titolo, contro i soggetti destinati nella cambiale per l’accettazione o il pagamento (art. 70 l.camb).

Sono abilitati alla levata del protesto i notai, gli ufficiali giudiziari e i loro aiutanti o, in mancanza i segretari comunali.

Presentatori

Il notaio e l’ufficiale giudiziario possono avvalersi della collaborazione di presentatori, nominati su loro indicazione dal presidente della corte di appello.

I presentatori, investiti anch’essi della qualità di pubblico ufficiale, presentano il titolo, ne incassano l’importo o constatano il mancato pagamento.

L’atto di protesto è invece redatto successivamente dal notaio o dall’ufficiale giudiziario ed è sottoscritto anche dal presentatore.

Il protesto può essere annotato sulla cambiale o può essere fatto con atto separato, ma in tal caso se ne deve fare menzione sulla cambiale; il protesto ha valore di atto pubblico.

Pubblicità

I protesti per mancato pagamento (ma non quelli per mancata accettazione) sono pubblicati in un apposito registro informatico dei protesti, tenuto a cura delle camere di commercio.

Page 131: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

L’illegittimità levata del protesto può essere fonte di responsabilità per danni del creditore richiedente e/o del pubblico ufficiale.

Dichiarazione sostitutiva

Il protesto può essere sostituito da una dichiarazione scritta dei rifiuto dell’accettazione o del pagamento, datata e sottoscritta dal trattario.

Anche questa dichiarazione è soggetta a pubblicità legale e per avere gli effetti del protesto deve essere registrata nei termini stabiliti per il protesto.

IL PROCESSO CAMBIARIO. LE ECCEZIONI

L’eccezione cambiaria (diretta e di regresso) gode di un regime processuale volto a consentire al creditore un più rapido recupero della somma dovutagli.

Procedura esecutiva

La cambiale originariamente in regola col bollo vale come titolo esecutivo e quindi il possessore della stessa può iniziare la procedura esecutiva sui beni del debitore senza doversi munire di un provvedimento giudiziale di condanna.

Procedimento ordinario e monitorio

Il portatore della cambiale può avvalersi in alternativa dell’ordinario procedimento di cognizione diretto ad ottenere sentenza di condanna.

E’ questa la sola via praticabile se la cambiale non era originariamente in regola col bollo (purchè sia stata successivamente regolarizzata).

Condanna provvisoria

Anche nell’ordinario giudizio di cognizione la cambiale gode di un particolare regime processuale; su istanza del creditore il giudice deve emettere sentenza provvisoria di condanna se le eccezioni opposte dal debitore sono di lunga indagine, imponendo al creditore il versamento di una cauzione ove lo ritenga opportuno.

Page 132: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Eccezioni reali e personali

Quanto alle eccezioni opponibili nel processo cambiario, anche per la cambiale opera la distinzione fra eccezioni reali (opponibili a qualsiasi portatore) ed eccezioni personali (opponibili solo ad un determinato portatore).

Eccezioni oggettive e soggettive

Tipica della cambiale è invece la distinzione fa eccezioni oggettive e soggettive.

Sono eccezioni oggettive quelle che possono essere opposte da tutti gli obbligati cambiari (es. eccezione di invalidità della cambiale per difetto dei requisiti formali previsti dall’art. 2 l.camb).

Sono invece eccezioni soggettive quelle che possono essere opposte solo da un determinato obbligato (es. cause di invalidità della singola obbligazione cambiaria).

-Le eccezioni reali e personali possono essere nel contempo sia oggettive che soggettive.

Ad es. è eccezione reale e soggettiva l’eccezione di difetto di capacità o di rappresentanza in quanto opponibile solo da quel determinato obbligato ad ogni possessore della cambiale.

E’ eccezione reale ed oggettiva l’eccezione di nullità della cambiale per mancanza dei requisiti di forma in quanto opponibile da tutti i debitori a tutti i portatori.

E’ eccezione personale e soggettiva ogni eccezione desunta dal rapporto causale intercorso fra un determinato debitore cambiario ed il portatore del titolo.

LE AZIONI EXTRACAMBIARIE

Azione causale

L’emissione e la circolazione della cambiale trovano di regola fondamento in un preesistente rapporto di debito fra chi dà e chi riceve il titolo (emittente-primo prenditore; girante-giratario).

Questo rapporto non si estingue con l’emissione o con la girata della cambiale, salvo che non si provi che il rilascio della cambiale ha prodotto novazione del rapporto causale.

Page 133: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Per realizzare il proprio credito il possessore della cambiale ha perciò a disposizione, oltre le azioni cambiarie (diretta e di regresso) anche l’azione causale nei confronti del debitore che è stato parte del relativo rapporto.

L’esercizio dell’azione causale, in alternativa o cumulativamente con quelle cambiarie, è subordinata ad una serie di cautele per evitare che il debitore contro cui si agisce con l’azione causale sia esposto al rischio di un doppio pagamento.

Condizioni

E’ necessario che:

a)siano stati accertati col protesto la mancata accettazione o il mancato pagamento della cambiale

b)il portatore offra al debitore la restituzione della cambiale, depositandola presso la cancelleria del giudice competente

c)il portatore abbia adempiuto tutte le formalità necessarie per conservare al debitore le azioni di regresso che possono competergli (es. atti interrottivi della prescrizione).

L’inosservanza di queste condizioni, fissate dall’art. 66 l.camb, comporta la decadenza dall’azione causale.

Azione di arricchimento

Può verificarsi che il portatore della cambiale abbia perduto, per decadenza o per prescrizione, tutte le azioni cambiarie e non abbia alcuna azione causale da esercitare.

In tal caso l’art. 67 l.camb gli consente di agire contro il traente, l’accettante o il girante per la somma di cui si siano arricchiti ingiustamente a suo danno.

L’azione, inquadrabile in quella di ingiustificato arricchimento (art. 2041 cc), sarà in concreto esercitabile solo nei confronti dell’obbligato cambiario beneficiario dell’arricchimento; quindi, di regola, nei confronti dell’accettante nella cambiale tratta e dell’emittente nel pagherò.

L’azione di arricchimento cambiario si prescrive in 1 anno dal giorno della perdita dell’azione cambiaria.

AMMORTAMENTO

Page 134: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

La disciplina dell’ammortamento della cambiale coincide con quella dettata dal cc per i titoli di credito all’ordine; è solo da notare che l’art. 90 l.camb non richiede che l’opponente al decreto di ammortamento depositi il titolo.

LE CAMBIALI FINANZIARIE

Funzione

Le cambiali finanziarie costituiscono un nuovo strumento di finanziamento delle imprese introdotto e disciplinato dalla legge 43/1994.

La loro funzione è quella di offrire alle imprese, ed in particolare a quelle non abilitate ad emettere obbligazioni, uno strumento per raccogliere fra il pubblico capitale di credito a breve termine, alternativo rispetto al ricorso al credito bancario spesso eccessivamente costoso.

Nozione

Le cambiali finanziarie sono titoli di credito all’ordine emessi in serie, con scadenza inferiore a 3 mesi e non superiore a 12 mesi dalla data di emissione.

La loro struttura è quella del pagherò cambiario e quindi contengono una promessa incondizionata di pagamento da parte dell’emittente.

Ad esse si applica la disciplina delle cambiali ordinarie, seppur con qualche peculiarità.

Caratteri distintivi

Le cambiali finanziarie devono avere un taglio minimo non inferiore a 50 mila euro.

La denominazione di cambiale finanziaria deve essere inserita nel contesto del titolo in aggiunta agli altri requisiti formali richiesti dall’art. 100 l.camb per il pagherò cambiario; l’omissione comporta nullità della cambiale.

Possono essere girate esclusivamente con la clausola “senza garanzia” e quindi senza assunzione di obbligazione cambiaria di regresso da parte del girante; è così agevolata la sottoscrizione da parte dei risparmiatori, dato che gli stessi potranno far circolare ulteriormente i titoli senza esporsi a responsabilità cambiaria.

Condizioni per l’emissione

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L’emissione di cambiali finanziarie, in quanto strumento di raccolta del risparmio fra il pubblico, è assoggettata alla disciplina dettata in materia dall’art. 11 del d.lgs 385/1993 (Tub) e dalla relativa normativa regolamentare emanata dal Cicr, che pone una serie di limiti soggetti e quantitativi.

In particolare l’ammontare della raccolta fra il pubblico effettuata mediante cambiali finanziarie unitamente a quella realizzata mediante obbligazioni o altri strumenti finanziari, non può complessivamente superare i limiti fissati dall’art. 2412 cc per l’emissione di obbligazioni (cioè somma complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato).

L’ASSEGNO BANCARIO

NOZIONE. CARATTERI ESSENZIALI

Nozione

L’assegno bancario (o chèque) è un titolo di credito che contiene l’ordine incondizionato diretto ad una banca di pagare a vista una somma determinata all’ordine di una determinata persone o al portatore.

Funzione

La sua funzione tipica è quella di consentire l’utilizzazione di somme disponibili presso una banca per effettuare pagamenti a terzi evitando l’utilizzo materiale del denaro.

L’assegno è quindi uno strumento di pagamento alternativo alla moneta legale.

Disciplina

L’assegno bancario è regolato, insieme agli altri titoli di credito bancari (assegno circolare…) dal regio decreto 1736/1933, con il quale è stata data attuazione in Italia alla Convenzione di Ginevra del 1931 per l’unificazione internazionale della disciplina.

La disciplina dell’assegno bancario è quindi largamente coincidente in molti paesi.

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Assegno e tratta

L’assegno bancario è redatto dal traente su appositi moduli prestampati fornitigli dalla banca (carnet di assegni) ed ha la stessa struttura della cambiale tratta; in esso figurano infatti 3 persone:

-il traente, che dà l’ordine di pagamento alla banca e risponde del mancato pagamento

-la banca-trattaria, alla quale l’ordine di pagamento è rivolto

-il prenditore dell’assegno.

Come la cambiale tratta anche l’assegno bancario è un titolo di credito astratto, formale ed esecutivo.

Di regola incorpora una pluralità di obbligazioni (quelle del traente, dei giranti e dei loro avallanti) reciprocamente indipendenti, solidali e disposte per grado.

Diversità di funzioni

Diversa è però la funzione tipica dei due titoli, cioè strumento di pagamento l’assegno bancario e strumento di credito la cambiale tratta.

La disciplina dell’assegno bancario, modellata su quella della cambiale tratta, presenta perciò alcune differenze rispetto a quest’ultima, ispirate dall’esigenza di prevenire possibili utilizzazioni dell’assegno bancario per scopi diversi da quello tipico, in particolare l’utilizzazione come strumento di credito.

Differenze di disciplina

Le principali differenze di disciplina sono:

a)trattario può essere solo una banca

b)il rapporto di provvista fra traente e banca trattaria può essere costituito esclusivamente da fondi disponibili esistenti presso la banca

c)l’assegno bancario non può essere accettato dalla banca trattaria, che perciò non può assumere la posizione di obbligato cambiario principale (né può risultare obbligata come girante o avallante)

d)l’assegno bancario è sempre pagabile a vista e deve essere presentato per il pagamento entro brevi termini

e)l’assegno bancario è assistito da una particolare disciplina sanzionatoria, di recente depenalizzata, volta a reprimere l’uso abusivo di assegni bancari (non autorizzati ed a vuoto).

Page 137: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

I REQUISITI DELL’ASSEGNO BANCARIO

E’ necessario distinguere i requisiti di validità dell’assegno bancario dai requisiti di regolarità.

La mancanza dei primi comporta che il titolo non vale come assegno bancario; la mancanza dei secondi espone solo a sanzioni amministrative pecuniarie, ma non comporta l’invalidità del titolo.

Requisiti di regolarità

Costituiscono requisiti di regolarità:

a)l’esistenza presso la banca trattaria di fondi disponibili, per somma almeno pari all’importo dell’assegno emesso

b)l’esistenza di una convenzione di assegno, espressa o tacita, che attribuisce al traente il diritto di disporre mediante assegni bancari dei fondi disponibili.

Entrambe le condizioni sono soddisfatte quando il traente intrattiene con la banca un rapporto di conto corrente bancario e questo presenta un saldo a favore del cliente.

Sanzioni

L’emissione di assegni bancari senza l’osservanza di queste condizioni (assegno non

autorizzato e assegno a vuoto) configura un illecito, oggi depenalizzato, colpito da sanzioni peculiare ed accessorie.

Semplice requisito di regolarità è anche l’osservanza delle norme sul bollo; in mancanza, l’assegno bancario perde la qualità di titolo esecutivo.

Requisiti di validità (formali)

Sono requisiti di validità:

a)la denominazione di assegno bancario inserita nel contesto del titolo ed espressa nella lingua in cui lo stesso è redatto

Page 138: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

b)l’ordine incondizionato di pagare una somma determinata, di regola espressa in lettere ed in cifre

c)l’indicazione del trattario che può essere solo una banca

d)l’indicazione del luogo di pagamento, ma in mancanza vale come luogo di pagamento quello indicato accanto al nome del trattario

e)la data ed il luogo di emissione dell’assegno

f)la sottoscrizione del traente.

LA POSIZIONE DELLA BANCA TRATTARIA

Divieto di accettazione

A differenza della cambiale tratta, l’assegno bancario non può essere accettato.

Ogni menzione di accettazione apposta sull’assegno dalla banca trattaria si ha per non scritta.

La banca trattaria non assume quindi in alcun caso la posizione di obbligato cartolare (diretto o di regresso) nei confronti del portatore del titolo.

Obbligazione extracartolare verso il portatore?

Se l’assegno è regolare ed è coperto (esistono cioè fondi disponibili) la banca è obbligata extracartolarmente verso il portatore a pagare l’assegno?

Il rifiuto la espone al risarcimento dei danni verso quest’ultimo?

E’ orientamento prevalente che la soluzione debba essere negativa.

Da nessuna norma della legge assegni emerge che la banca è obbligata, sia pur extracartolarmente, verso il portatore.

Inoltre un diritto extracartolare al pagamento dell’assegno non può essere desunto dalla convenzione di assegno fra traente e banca.

Con l’apertura del conto corrente la banca si obbliga ad onorare gli assegni (nei limiti dei fondi disponibili) esclusivamente nei confronti del cliente-traente e non nei confronti dei prenditori degli assegni.

Ne consegue che il rifiuto ingiustificato di pagare l’assegno espone la banca a responsabilità contrattuale solo nei confronti del traente (non nei confronti del prenditore).

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Il visto

Non mancano strumenti che consentono di tutelare l’aspettativa del portatore di pagamento dell’assegno.

A tal fine la legge assegni prevede l’istituto del visto (art. 4 2° comma l.ass).

Il visto, scritto sull’assegno e firmato dalla banca trattaria, ha l’effetto di accertare l’esistenza dei fondi ed impedirne il ritiro da parte del traente prima della scadenza del termine di presentazione.

Se l’attestazione è falsa o la banca consente al traente di disporre diversamente dei fondi, la banca stessa dovrà risarcire al portatore i danni subiti.

Il visto ha avuto scarsa diffusione perché è sottoposto ad un’imposta di bollo suppletiva.

Il benefondi

Più diffuso, soprattutto nei rapporti fra banche, è il benefondi che consiste nella conferma, per lo più telefonica, dell’esistenza dei fondi da parte della banca trattaria, su richiesta della banca cui il titolo è girato per l’incasso.

Di regola, il benefondi ha il valore di semplice informazione sull’esistenza dei fondi e non comporta alcuna obbligazione extracartolare di pagamento da parte della banca trattaria (benefondi informativo); questa perciò sarà tenuta al risarcimento dei danni solo qualora abbia fornito informazioni inesatte.

La banca può però impegnarsi espressamente a bloccare i fondi (benefondi con blocco) ed in tal caso essa è anche obbligata extracartolarmente a pagare l’assegno.

CIRCOLAZIONE. AVALLO

L’assegno bancario è normalmente un titolo all’ordine, ma può essere emesso anche al portatore; perciò vale l’assegno rilasciato senza indicazione del prenditore.

Assegno all’ordine

La circolazione dell’assegno bancario all’ordine è regolata da norme che sostanzialmente coincidono con quelle dettate per la cambiale.

In particolare anche il girante dell’assegno bancario risponde ex lege del pagamento come obbligato di regresso.

Page 140: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Significativa differenza è che la girata al trattario vale come quietanza ed estingue il titolo

Assegno al portatore

In assenza di specifica disciplina, la circolazione dell’assegno al portatore, piuttosto raro per i pericoli che comporta, è regolata dalle disposizioni generali del cc in tema di titoli al portatore

Avallo

Anche l’assegno bancario può essere garantito mediante avallo, ma si tratta di un istituto desueto.

La disciplina coincide con quella della cambiale; è escluso l’avallo da parte della banca trattaria.

IL PAGAMENTO DELL’ASSEGNO

L’assegno bancario è sempre pagabile a vista.

L’eventuale postdatazione dell’assegno non impedisce al portatore di presentarlo anticipatamente per il pagamento, né alla banca di pagarlo.

Termini di prestazione

L’assegno bancario deve essere presentato per il pagamento presso lo sportello della banca trattaria indicato nel titolo, entro i termini fissati dall’art. 32 l.ass; termine che per gli assegni emessi e pagabili in Italia è di 8 giorni dalla data di emissione se l’assegno è pagabile nello stesso comune in cui fu emesso e di 15 giorni se è pagabile in altro comune.

L’omessa presentazione dell’assegno nei termini comporta la perdita dell’azione di regresso contro i giranti ed i loro avallanti, non però verso il traente.

La banca è perciò libera di pagare anche dopo la scadenza dei termine, salvo che abbia ricevuto dal traente l’ordine di non pagare.

Inoltre la facoltà della banca di pagare l’assegno permane anche in caso di morte o di sopravvenuta incapacità del traente.

Page 141: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Legittimazione del portatore

Nell’assegno all’ordine la banca che paga è tenuta ad accertare la regolare continuità delle girate, ma non a verificare l’autenticità delle firme dei giranti.

La banca è tenuta inoltre ad identificare colui che incassa ed a verificare che la firma del traente corrisponde a quella dallo stesso depositata al momento dell’apertura del contro corrente (specimen).

Si tratta di controlli che la banca deve eseguire con la diligenza professionale dell’accorto banchiere (art. 1176 2° comma cc) per esonerarsi da responsabilità nei confronti del traente.

IL REGRESSO PER MANCATO PAGAMENTO

In caso di mancato pagamento da parte della banca trattaria il portatore dell’assegno può agire in regresso contro il traente, i giranti ed i loro avallanti.

La disciplina dell’azione (artt. 45-65 l.ass) ricalca quella dettata per la cambiale, ma con una significativa differenza.

La presentazione del titolo alla banca trattaria e la constatazione del rifiuto di pagamento mediante protesto (o dichiarazione sostitutiva del trattario) sono necessarie solo per agire contro i giranti ed i loro avallanti.

Azione contro il traente

Non sono invece necessarie per l’esercizio dell’azione di regresso contro il traente (ed i suoi avallanti.

Nei confronti del traente la presentazione tardiva comporta come unica conseguenza che, se dopo la scadenza del termine di presentazione la disponibilità della somma è venuta meno per fatto del trattario, il portatore perde i diritti verso il traente per la somma che è venuta a mancare.

Prescrizione

L’azione di regresso del portatore contro il traente, i giranti e gli altri obbligati si prescrive in 6 mesi dal termine di presentazione.

L’azione di ulteriore regresso dell’obbligato che ha pagato l’assegno contro gli obbligati di grado anteriore si prescrive invece in 6 mesi dal giorno del pagamento o dal giorno in cui l’azione di regresso è stata promossa contro di lui.

Page 142: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

ASSEGNO SBARRATO, DA ACCREDITARE, NON TRASFERIBILE. ASSEGNO TURISTICO

Tipiche dell’assegno bancario sono alcune clausole apposte dal traente o dal prenditore, volte a ridurre i rischi connessi al furto o allo smarrimento del titolo.

Assegno sbarrato (artt. 40-41 l.ass)

E’ un assegno cui vengono apposte due rette parallele sulla faccia anteriore.

La sbarratura può essere generale o speciale.

E’ generale quando fra le sbarre non vi è alcuna indicazione o la parola banchiere; è speciale quando fra le sbarre è scritto il nome di un determinato banchiere (che può essere lo stesso trattario).

Lo sbarramento non impedisce la circolazione dell’assegno, ma serve a circoscrivere i soggetti legittimati ad incassare l’assegno.

L’assegno bancario con sbarratura generale può essere pagato solo ad un banchiere o ad un cliente del trattario; l’assegno con sbarratura speciale può invece essere pagato solo al banchiere designato fra le sbarre o, se questi è il trattario, ad un suo cliente.

Il banchiere designato può tuttavia avvalersi per l’incasso di altro banchiere.

La banca trattaria che non osserva tali disposizioni è tenuta al risarcimento dei danni, nei limiti dell’importo dell’assegno, nei confronti del portatore che ha subito lo smarrimento o la sottrazione del titolo.

Lo sbarramento offre una limitata tutela contro i rischi di furto o di smarrimento in quanto evita che il pagamento sia effettuato ad una persona che non abbia già avuto rapporti con la banca trattaria, ma non impedisce l’acquisto a non domino del titolo da parte del terzo di buona fede cui l’assegno sia stato girato dal ladro.

Assegno da accreditare

L’assegno a cui è posta la clausola “da accreditare” non può essere pagato per contanti, ma può essere regolato dalla banca trattaria solo mediante scritturazione contabile, cioè accreditamento in conto, giroconto, compensazione con un credito dalla stessa vantato (modalità che presuppongono un preesistente rapporto del trattario col soggetto che presenta il titolo).

Page 143: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Assegno non trasferibile (art. 43 l.ass)

L’assegno emesso con la clausola “non trasferibile” può essere pagato solo all’immediato prenditore (o accreditato sul suo conto).

La girata apposta nonostante il divieto si ha per non scritta,

L’unico mezzo a disposizione dell’immediato prenditore che non voglia riscuotere personalmente l’assegno non trasferibile è quello di girarlo per l’incasso ad una banca (che a sua volta non può ulteriormente girarlo).

Gli assegni bancari (e circolari) di importo superiore a 12.500 euro devono essere emessi con la clausola di non trasferibilità (art. 1 2° comma legge 143/1991), al fine di prevenire operazioni di riciclaggio di danaro proveniente da reati.

Responsabilità della banca

La banca che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dall’originario prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento.

E’ questione controversa se la banca sia sempre responsabile o se possa liberarsi provando di essere immune da colpa in quanto ha adottato tutte le cautele necessarie nell’identificazione del presentatore dell’assegno; la prima soluzione appare preferibile.

Assegno turistico

L’assegno turistico (o traveller’s check) è un assegno bancario che viene tratto da una banca su una propria filiale o corrispondente estera.

E’ di regola stilato in valuta estera e rilasciato al prenditore dietro versamento dell’importo corrispondente.

Chi si deve recare all’estero dispone perciò di un titolo agevolmente negoziabile in quanto la copertura è sicura.

Caratteristica dell’assegno turistico è che il pagamento è subordinato alla presenza sul titolo di una doppia firma del prenditore; la prima firma è apposta al momento del rilascio del titolo mentre la seconda al momento del pagamento o della negoziazione.

La banca trattaria o il giratario possono così controllare l’autenticità della seconda firma confrontandola con quella esistente sull’assegno.

Page 144: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

AMMORTAMENTO

La disciplina dell’ammortamento dell’assegno bancario è modellata su quella della cambiale.

E’ da tenere però presente che:

a)l’art. 69 l.ass non distingue tra assegno all’ordine ed assegno al portatore e perciò la procedura di ammortamento è ammessa anche per quest’ultimo

b) la procedura di ammortamento è esclusa per l’assegno non trasferibile, dato che lo stesso non può circolare.

Il prenditore ha comunque diritto di ottenere un duplicato denunziandone lo smarrimento, la distruzione o la sottrazione.

L’ASSEGNO CIRCOLARE

NOZIONE E DISCIPLINA

Nozione

L’assegno circolare è un titolo di credito all’ordine che contiene la promessa incondizionata della banca emittente di pagare a vista una somma di danaro.

La sua emissione avviene dietro versamento da parte del richiedente dell’importo corrispondente.

Differenza tra l’assegno circolare e quello bancario

L’assegno circolare è un mezzo di pagamento come l’assegno bancario; si differenzia però da quest’ultimo in quanto ha la struttura del vaglia cambiario e non della cambiale tratta poiché incorpora un’obbligazione diretta di pagamento della banca emittente.

L’assegno circolare è perciò un mezzo di pagamento più sicuro dell’assegno bancario; chi lo riceve in pagamento può fare affidamento sulla solvibilità della banca emittente e dispone di un titolo che può agevolmente negoziare o riscuotere presso tutti i recapiti della banca che lo ha emesso.

Per evitare che l’assegno circolare possa far concorrenza alla moneta legale, lo stesso non può mai essere emesso al portatore.

Page 145: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Condizioni di regolarità

L’emissione degli assegni circolari è subordinata ad una serie di condizioni di regolarità (art. 82 l.ass):

a)l’emissione di assegni circolari è consentita solo alle banche autorizzate dalla Banca d’Italia

b)la banca può emettere assegni circolari solo per somme che siano presso di essa disponibili al momento dell’emissione (tramite versamento in contanti o addebito sul conto corrente del richiedente)

c)la banca autorizzata ad emettere assegni circolari deve costituire presso la Banca d’Italia una cauzione in titoli a garanzia dei medesimi.

Requisiti di validità

Costituiscono invece requisiti (formali) di validità:

a)la denominazione di assegno circolare inserita nel contesto del titolo

b)la promessa incondizionata di pagare a vista una somma determinata

c)l’indicazione del prenditore

d)l’indicazione della data e del luogo nel quale l’assegno circolare è emesso

3)la sottoscrizione della banca emittente.

Non è richiesta l’indicazione del luogo di pagamento, dato che l’assegno circolare è pagabile presso tutti i recapiti (es. filiali, agenzie…) della banca emittente.

Disciplina

All’assegno circolare si applica, in quanto compatibile, la disciplina del vaglia cambiario a vista.

Tuttavia, data la sua funzione di mezzo di pagamento:

a)la girata a favore dell’emittente estingue il titolo

b)il possessore deve presentare l’assegno per il pagamento entro 30 giorni dall’emissione, pena la decadenza dalle azioni di regresso.

Nel contempo si applica parte della disciplina dell’assegno bancario e cioè quella in tema di assegno sbarrato, da accreditare, non trasferibile e turistico, nonché la disciplina dell’ammortamento.

Page 146: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Però il prenditore di un assegno circolare non trasferibile, decorsi 20 giorni dalla denunzia dello smarrimento o della sottrazione, può ottenerne il pagamento dalla filiale alla quale fu fatta la denunzia

Vaglia cambiario della Banca d’Italia

La legge sugli assegni disciplina, oltre all’assegno bancario e circolare, alcuni titoli speciali di pagamento emessi dalla Banca d’Italia e dai Banchi di Napoli e Sicilia.

Il più diffuso è il vaglia cambiario della Banca d’Italia, utilizzato per i pagamenti della pubblica amministrazione.

E’ un titolo di credito all’ordine che contiene la promessa incondizionata della Banca d’Italia di pagare a vista una somma determinata.

E’ rilasciato solo dietro versamento in contanti del relativo importo ed è pagabile presso tutte le filiali della Banca d’Italia.

La disciplina di questo titolo coincide con quella dell’assegno circolare.

LE SOCIETA’

TIPI DI SOCIETA’

Page 147: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

CLASSIFICAZIONI

Gli 8 tipi di società previsti dal legislatore nazionale (società semplice, società in nome collettivo, società in accomandita semplice, società per azioni, società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e mutue assicuratrici) possono essere aggregati in categorie:

1)società lucrative e società mutualistiche

è una distinzione basata sullo scopo perseguibile.

Le società mutualistiche (cioè società cooperative e mutue assicuratrici) si contrappongono a tutti gli altri tipi di società, definiti come società lucrative

2)società semplice e società commerciali

questa distinzione, operante nell’ambito delle società lucrative, è basata sulla natura dell’attività esercitabile.

La società semplice è utilizzabile solo per l’esercizio di attività non commerciale (art. 2249 cc), mentre tutte le altre società lucrative possono esercitare sia attività commerciale, sia attività non commerciale e sono sempre soggette ad iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale (per quest’ultima caratteristica si definiscono società commerciali).

3)società con o senza personalità giuridica

hanno personalità giuridica le società di capitali (società per azioni, società in accomandita per azioni e società a responsabilità limitata) e le società cooperative.

Ne sono invece prive le società di persone (società semplice, società in nome collettivo e società in accomandita semplice).

società di capitali

In esse:

-è legislativamente prevista ed è inderogabile, salvo che per la srl, un’organizzazione di tipo corporativo, basata cioè sulla necessaria presenza di una pluralità di organi (assemblea, organo di gestione e organo di controllo), ciascuno investito per leggi di specifiche funzioni

-il funzionamento degli organi sociali è dominato dal principio maggioritario.

Page 148: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

L’assemblea, composta dalle persone dei soci, delibera a maggioranza anche le modifiche dell’atto costitutivo e le maggioranza assembleari sono calcolate in base alla partecipazione di ciascun socio al capitale sociale, non per teste

-il singolo socio non ha alcun potere diretto di amministrazione e di controllo (salvo che nelle srl).

Ha solo il diritto di concorrere, con il suo voto in assemblea, alla designazione dei membri dell’organo amministrativo e/o di controllo.

Il peso di ciascun socio in assemblea è proporzionato all’ammontare del capitale sociale sottoscritto.

Ne consegue che la partecipazione sociale è, di regola, liberamente trasferibile.

società di persone

In esse:

-non è prevista la presenza di una pluralità di organi

-è riconosciuto ad ogni socio a responsabilità illimitata il potere di amministrare la società (art. 2257 cc) mentre si richiede di regola il consenso di tutti i soci per le modificazioni dell’atto costitutivo (art. 2252 cc)

-il singolo socio a responsabilità illimitata è investito del potere di amministrazione e di rappresentanza della società indipendentemente dall’ammontare conferito.

Ne consegue che la partecipazione sociale è di regola trasferibile solo con il consenso degli altri soci.

4)ultimo criterio di distinzione è quello basato sul regime di responsabilità per le obbligazioni sociali.

Vi sono:

-società nelle quali per le obbligazioni sociali rispondono sia il patrimonio sociale sia i singoli soci personalmente ed illimitatamente, in modo inderogabile (società in nome collettivo) o con possibilità di deroga pattizia per i soli soci non amministratori (società semplice)

-società, come l’accomandita semplice e per azioni, nelle quali coesistono soci a responsabilità illimitata (gli accomandatari) e soci a responsabilità limita (gli accomandanti)

-società nelle quali per le obbligazioni sociali di regola risponde solo la società col proprio patrimonio (società per azioni, a responsabilità limitata e società cooperative).

Page 149: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

PERSONALITA’ GIURIDICA ED AUTONOMIA PATRIMONIALE DELLE SOCIETA’

Il codice di commercio del 1882 definiva i tre tipi di società allora previsti (società in nome collettivo, società in accomandita e società anonima) come enti collettivi distinti dalle persone dei soci.

Questa formula diede luogo ad una disputa sul fatto se tutte le società dovessero considerarsi persone giuridiche.

Il legislatore del 1942 ha risolto la disputa operando una distinzione:

-le società di capitali e le società cooperative sono persone giuridiche

-la personalità giuridica è negata invece alle società di persone, le quali godono però di autonomia patrimoniale.

Personalità giuridica

Le società di capitali e le società cooperative, in quanto persone giuridiche, sono trattate come soggetti di diritto distinti dalle persone dei soci.

La società gode perciò di una piena e perfetta autonomia patrimoniale.

Essa è titolare di un proprio patrimonio, di propri diritti e di proprie obbligazioni, distinti da quelli personali dei soci.

Ne consegue che sul patrimonio sociale non possono soddisfarsi i creditori personali dei soci.

Allo stesso modo i creditori sociali non possono soddisfarsi sul patrimonio personale dei soci, quindi delle obbligazioni sociali risponde di regola solo la società con il proprio patrimonio.

Possiamo dire che attraverso il riconoscimento della personalità giuridica, il patrimonio sociale è reso autonomo rispetto a quello dei soci e quello dei soci è reso autonomo rispetto a quello della società.

Autonomia patrimoniale

Il legislatore ha negato la personalità giuridica alle società di persone però ha provveduto a soddisfare le esigenze di tutela dei creditori sociali e di incentivazione dei soci con specifiche disposizioni che rendono il patrimonio della società autonomo rispetto a quello dei soci.

Infatti:

Page 150: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

-i creditori personali dei soci non possono aggredire il patrimonio della società per soddisfarsi.

Possono solo far valere i loro diritti sugli utili spettanti al proprio debitore e compiere atti conservativi sulla quota allo stesso spettante nella liquidazione della società (art. 2270 1° comma cc).

Questo principio subisce nella società semplice ed in caso di proroga delle altre società di persone in quanto è concesso al creditore personale del socio di ottenere la liquidazione della quota del proprio debitore qualora gli altri beni di questo siano insufficienti a soddisfare i suoi crediti (artt. 2270 2° comma e 2307 cc).

-i creditori della società non possono aggredire direttamente il patrimonio personale dei soci illimitatamente responsabili.

E’ necessario che prima tentino di soddisfarsi sul patrimonio della società e solo dopo aver infruttuosamente escusso il patrimonio sociale potranno agire nei confronti dei soci.

La responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali è quindi sussidiaria rispetto a quella della società, anche se regole diverse sono dettate per la società semplice e per le altre società di persone.

Possiamo quindi dire che nelle società di persone il patrimonio della società è relativamente autonomo rispetto a quello dei soci e il patrimonio dei soci è relativamente autonomo rispetto a quello della società.

E’ orientamento diffuso che anche le società di persone, pur prive di personalità giuridica, costituiscono soggetti di diritto distinti dalle persone dei soci.

Al riguardo è significativo l’art. 2266 1° comma cc, il quale stabilisce che è la società che diventa titolare dei diritti e delle obbligazioni rispettivamente acquistati e assunti per mezzo dei soci.

Inoltre l’art. 2659 cc stabilisce che la trascrizione degli acquisti immobiliari è effettuata, anche per le società di persone, al nome della società.

Analoga regola è dettata dall’art. 2839 cc per l’iscrizione delle ipoteche.

Ne consegue che anche nelle società di persone:

-i beni sociali sono di proprietà della società

-le obbligazioni sociali non sono obbligazioni personali dei soci ma obbligazioni della società, cui si aggiunge a titolo di garanzia la responsabilità dei soci

-imprenditore è la società e non il gruppo dei soci, anche se il fallimento della società determina automaticamente il fallimento dei soci illimitatamente responsabili.

Page 151: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

TIPI DI SOCIETA’ ED AUTONOMIA PRIVATA

Limitazioni alla libertà di scelta

Chi costituisce una società può scegliere:

-fra tutti i tipi di società previsti dalla legislazione nazionale se l’attività da esercitare non è commerciale

-fra tutti i tipi tranne la società semplice se l’attività è commerciale (art. 2249 1° comma cc).

Ulteriori limitazioni, per lo più consistenti nell’esclusione delle società di persone, sono poi stabilite da leggi speciali per particolari categorie di imprese commerciali (es. imprese bancarie).

Regime residuali

La scelta di un determinato tipo non è condizione essenziale per la valida costituzione di una società.

Se l’attività non è commerciale, la scelta del tipo è necessaria solo se le parti vogliono sottrarsi al regime della società semplice.

Infatti l’art. 2249 2° comma cc stabilisce che, ove non venga scelto un determinato tipo, si applica la disciplina della società semplice.

Quanto l’attività è commerciale, il silenzio delle parti deve essere interpretato come implicita opzione per il regime della società in nome collettivo.

La società semplice e la società in nome collettivo costituiscono quindi i regimi residuali.

Clausole atipiche

Scelto un determinato tipo di società, le parti possono disegnare un assetto organizzativo della loro società parzialmente diverso da quello risultante dalla disciplina legale.

E’ necessario però che le clausole introdotte nell’atto costitutivo (clausole atipiche) non siano incompatibili con la disciplina del tipo societario prescelto.

Page 152: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Società atipiche

E’ inammissibile la creazione di un tipo di società che non corrisponde ad alcuno dei modelli legislativi previsti.

LA SOCIETA’ PER AZIONI

NOZIONE E CARATTERI ESSENZIALI

NOZIONE

La società per azioni, che rappresenta il tipo societario più importante nella realtà economica, forma con la società in accomandita per azione e con la società a responsabilità limitata la categoria delle società di capitali.

Ed è una società di capitali nella quale:

a)per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio (art. 2325 1° comma cc)

Questo dato la differenzia dalla società in accomandita per azioni, nella quale vi è la categoria dei soci accomandatari responsabili solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali, ferma restando che le quote di tutti i soci sono rappresentate da azioni (art. 2452 cc)

b)la partecipazione sociale è rappresentata da azioni (art. 2346 1° comma cc)

Questo dato la differenzia dalla società a responsabilità limitata, dove le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni, né costituire oggetto di offerta al pubblico (art. 2468 1° comma cc), ferma restando la responsabilità della società per le obbligazioni sociali.

CARATTERI ESSENZIALI

1)Personalità giuridica

Page 153: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

La società per azioni, in quanto dotata di personalità giuridica, è per legge trattata come soggetto di diritto distinto dalle persone dei soci e gode perciò di autonomia patrimoniale perfetta

2)responsabilità dei soci

Tutti i soci non assumono alcuna responsabilità personale, neppure sussidiaria, per le obbligazioni sociali.

Di queste risponde soltanto la società con il suoi patrimonio (art. 2325 1° comma cc).

I soci sono obbligati solo ad eseguire i conferimenti promessi

3)organizzazione corporativa

La società per azioni è caratterizzata da una organizzazione di tipo corporativo, basata cioè sulla necessaria presenza di 3 organi:

l’assemblea

-un organo di gestione

-un organo di controllo.

Il funzionamento dell’assemblea è dominato dal principio maggioritario ed il peso di ogni socio è proporzionato alla quota di capitale sottoscritto ed al numero di azioni possedute.

Le competenze dell’assemblea sono circoscritte alle decisioni di maggior rilievo, mentre la gestione dell’impresa sociale è nelle mani degli amministratori

4)azioni

le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da partecipazioni-tipo omogenee e standardizzate, cioè di uguale valore, che conferiscono ai loro possessori uguali diritti (art. 2348 1° comma cc).

Ciò rende le azioni liberamente trasferibili.

In questo modo è favorito lo smobilizzo del capitale investito ed il ricambio dei soci.

Società per azioni e grande impresa

Page 154: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

La limitazione del rischio individuale dei soci, assicurata dalla responsabilità limitata, e la possibilità di pronta mobilitazione dell’investimento, assicurata dai titoli azionari, favoriscono la raccolta degli ingenti capitali di rischio di cui ha bisogno la grande impresa.

Anche soprattutto perché consentono di orientare verso l’investimento in azioni la massa dei piccoli risparmiatori.

Si rende così possibile la compartecipazione di un ristretto numero di soci animati da spirito imprenditoriale (azionisti imprenditori), con una gran massa di piccoli azionisti, animati dal solo intento di investire fruttuosamente il proprio risparmio (azionisti risparmiatori) e rassicurati dalla possibilità di pronto disinvestimento, soprattutto se le azioni sono quotate in borsa.

Le società per azioni che fanno appello al pubblico risparmio sono poche.

Spa a ristretta base azionaria

Vi è un gran numero di società per azioni composte da un numero non elevato di soci e costituite per la gestione di imprese di dimensioni modeste.

In esse l’appello al pubblico risparmio per la raccolta di capitale di rischio è marginale o assente.

Ciò è dimostrato dal fatto che il capitale minimo per la costituzione di una società per azioni è oggi di 120 mila euro.

Problemi di disciplina

Nelle società che non fanno appello al pubblico risparmio per finanziarsi, grazie all’omogeneità della compagine azionaria e alla partecipazione attiva dei soci alle assemblee, si ha una tutela maggiore dei soci di minoranza e dei creditori di fronte a possibili abusi dei soci che detengono la maggioranza del capitale.

La situazione cambia in quelle società che fanno appello al pubblico risparmio, poiché il disinteresse degli azionisti risparmiatori per la vita della società, favorisce il dominio delle della stessa (e delle assemblee) da parte di gruppi minoritari di controllo.

Ci creano così le premesse per possibili operazioni truffaldine e per gestioni spericolate.

Inoltre, quando la società fa stabilmente appello al pubblico risparmio e quindi le azioni sono quotate in borsa, il problema non è più solo quello di tutelare la massa dei piccoli azionisti e i creditori sociali, ma anche quello di garantire il corretto funzionamento dell’intero mercato azionario.

Il codice del 1942 non dava risposta a questi problemi, ma oggi, in seguito a vari interventi del legislatore, lo scenario è cambiato.

Page 155: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA

La disciplina della società per azioni ha subito dal 1942 ad oggi numerosi interventi legislativi sotto la spinta di una duplice esigenza:

-dare risposta ai problemi che il codice del 1942 non aveva risolto

-dare attuazione alle direttive emanate dall’Unione europea per l’armonizzazione della disciplina nazionale delle società di capitali.

LINEE DI TENDENZA

a)E’ stato posto un freno al proliferare di minisocietà per azioni con capitale irrisorio.

Questo fenomeno era determinato dal fatto che il codice del 1942 fissava in 1 milione di lire il capitale sociale minimo richiesto per la costituzione e l’inflazione monetaria aveva reso irrisoria tale somma.

Il capitale è stato così portato a 200 milioni di lire nel 1977, poi ritoccato a 100 mila euro ed oggi elevato a 120 mila euro

b)Società quotate

Si è dettata una specifica disciplina per le società con azioni quotate in borsa.

Riforma del 1974

Un primo intervento si è avuto nel 1974 con l’introduzione da parte del legislatore di strumenti di eterotutela degli azionisti risparmiatori:

-possibilità di emettere azioni di risparmio, cioè prive del diritto di voto e privilegiate sotto il profilo patrimoniale

-maggior trasparenza garantita dalla certificazione dei bilanci da parte di una società di revisione e dall’istituzione della Consob (Commissione nazionale per la società e la borsa), cioè un organo pubblico di controllo diretto a garantire la veridicità dell’informazione societaria.

Riforma del 1998

Un secondo intervento si è avuto nel 1998.

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All’investimento diretto da parte dei piccoli risparmiatori si è affiancato l’investimento indiretto tramite operatori professionali (es. fondi pensione), che raccolgono risparmio fra il pubblico e lo investono in partecipazioni di minoranza in società quotate.

Questi investitori istituzionali sono dotati di elevata competenza nella selezione delle imprese in cui investire il risparmio e in grado di svolgere il ruolo di minoranza attiva nelle società partecipate attraverso l’esercizio del voto.

Questa riforma è culminata nel Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (Tuf) emanato con il d.lgs 58 del 1998, che ha mandato in pensione la previgente norma in materia

c)Società non quotate

L’esigenza di modernizzare la disciplina delle società per azioni non quotate e delle altre società di capitali ha portato ad una riforma organica della disciplina delle società di capitali (d.lgs 6 del 2003), entrata in vigore il 1° Gennaio 2004 e che sostituisce le originarie disposizioni in materia del Codice civile.

Obiettivo della riforma è quello di semplificare la disciplina e di ampliare lo spazio riconosciuto all’autonomia statutaria al fine di favorire la crescita delle imprese italiane anche sui mercati internazionali.

COSTITUZIONE

PROCEDIMENTO

La costituzione della società per azioni si articola in 2 fasi:

1)stipulazione dell’atto costitutivo

2)iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese, con cui la società acquista la personalità giuridica (art. 2331 1° comma cc) e viene ad esistenza. E solo da questo momento nei confronti dei terzi si producono gli effetti caratteristici del tipo di società prescelto. Antecedentemente possono esserci effetti preliminari, ma non gli effetti tipici della disciplina giuridica.

Al fine di semplificare la costituzione nel 2000 è stata soppressa la fase intermedia dell’omologazione dell’atto costitutivo da parte dell’autorità giudiziaria.

Page 157: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Tale forma di controllo può tuttavia essere attivata facoltativamente per le sole modifiche dell’atto costitutivo.

Modalità di stipulazione dell’atto costitutivo: il capitale sociale nelle s.r.l. e nelle s.p.a. è apprestato dalle persone che hanno ideato la società: i promotori. Quando l’impresa assume dimensioni notevoli, e i mezzi finanziari di queste non sono sufficienti, la formazione del capitale richiede la raccolta dei mezzi necessari per l’esercizio della impresa; da ciò:

La stipulazione dell’atto costitutivo può avvenire secondo 2 procedimenti:

a)costituzione simultanea

l’atto costitutivo è stipulato immediatamente dai soci fondatori, i quali provvedono contestualmente all’integrale sottoscrizione del capitale sociale iniziale

b)costituzione per pubblica sottoscrizione ( presso il pubblico dei risparmiatori).

si arriva alla stipulazione dell’atto costitutivo al termine di un procedimento che consente la raccolta fra il pubblico del capitale iniziale sulla base di un programma predisposto da coloro che assumono l’iniziativa (promotori).

E’ un procedimento complesso e perciò raramente utilizzato. Che si compone di alcune fasi: 1) redazione del programma ( indicante l’oggetto, il capitale, le disposizioni principali dell’atto costitutivo, il termine entro il quale deve essere stipulato ed eventualmente la partecipazione che i promotori si riservano sugli utili della società), che deve essere sottoscritto dai promotori e autenticato dal notaio e presto questo depositato. (2333). 2) adesione dei sottoscrittori, fatta per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, contenente le generalità del sottoscrittore. (2333). 3) versamento del 25 % dei conferimenti in denaro nel termine stabilito dai promotori (2334). 4) assemblea dei sottoscrittori, per accertare l’adempimento degli oneri per la costituzione e per deliberare sulla integrazione delle disposizioni dell’atto costitutivo. L’assemblea delibera a maggioranza di voti, ed in questa assemblea ciascun sottoscrittore ha un voto. (2335). 5) stipulazione dell’atto costitutivo da parte degli intervenuti in rappresentanza anche degli assenti. (2236). Nella costituzione successiva o per pubblica sottoscrizione coloro che hanno ideato la costituzione della società e firmato il programma assumono una posizione giuridica ben definita: quella di promotori, ai quali incombono obblighi, responsabilità ma anche diritti. Essi sono infatti direttamente obbligati verso terzi in conseguenza degli atti posti in essere per la costituzione della società, ove questa sia costituita, purchè le obbligazioni assunte siano state approvate dalla assemblea. Si esclude il diritto di rivalsa dei promotori nei confronti dei sottoscrittori delle azioni nel caso in cui la società non si costituisca. (2338). I promotori sono poi responsabili verso terzi e società per a) integrale sottoscrizione del capitale sociale, e per i versamenti richiesti per la costituzione della società, b) per la veridicità delle comunicazioni da essi fatte al pubblico, c) per l’effettiva esistenza dei conferimenti in natura. La legge inoltre sancisce la responsabilità solidale verso la società e verso terzi, anche di coloro per conto dei quali i promotori hanno agito. (2239). Come corrispettivo dell’opera prestata per la costituzione della società ai promotori possono essere riservati dei

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benefici in tale loro qualità, e cioè a prescindere dalla loro qualità di socio. Nella costituzione simultanea la figura dei promotori non assume un ruolo particolare, in quanto i promotori si confondono con i soci fondatori, e la legge interviene solo per escludere che i soci fondatori possano riservarsi nella ‘atto costitutivo partecipazioni agli utili maggiori di quelle destinate ai promotori. ( non superiore al decimo e per un massimo di 5 anni.

Infatti, anche quando occorrono ingenti capitali di rischio, si preferisce ricorrere alla stipulazione simultanea dell’atto costitutivo utilizzando altre tecniche per collocare le azioni fra il pubblico dei risparmiatori.

Es. nell’atto costitutivo si conferisce delega agli amministratori per l’aumento del capitale sociale in uno o più volte in modo che le azioni potranno essere emesse e collocate gradualmente sul mercato.

ATTO COSTITUTIVO: FORMA E CONTENUTO

La società per azioni può essere costituita per contratto o per atto unilaterale nel caso in cui si abbia un solo socio fondatore.

In ogni caso l’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico a pena di nullità della società (art. 2332 n° 1 cc). Dopo la riforma l’indicazione del termine di durata , non è più necessaria.

Esso deve indicare (art. 2328 cc):

1)le generalità dei soci e degli eventuali promotori, nonché il numero delle azioni assegnate a ciascuno di essi

2)la denominazione e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie.

La denominazione sociale può essere liberamente formata, ma deve contenere l’indicazione di società per azioni.

Unico limite è che non può essere uguale o simile a quella già adottata da altra società concorrente, quando ciò possa creare confusione.

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La sede sociale è il luogo dove risiedono l’organo amministrativo e gli uffici direttivi della società.

Essa individua l’ufficio del registro delle imprese presso il quale deve avvenire l’iscrizione della società

3)l’oggetto sociale, cioè il tipo di attività economica che la società di propone di svolgere.

4)l’ammontare del capitale sottoscritto e versato

5)il numero e l’eventuale valore nominale delle azioni, le loro caratteristiche e le modalità di emissione e di circolazione

6)il valore attribuito i crediti e ai beni conferiti in natura (se vi sono)

7)le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti.

Tale indicazione è necessaria solo se si vuole modificare la disciplina legale

8)i benefici eventualmente accordati ai promotori o ai soci fondatori.

Per i promotori l’unico beneficio può essere costituito da una partecipazione agli utili che non può superare il 10% degli utili netti risultanti dal bilancio e non può avere una durata superiore a 5 anni

9)il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori e i loro poteri, indicando quali tra essi hanno la rappresentanza della società

10)il numero dei componenti del collegio sindacale

11)la nomina dei primi amministratori e sindaci (cioè i componenti del consiglio di sorveglianza quando è stato adottato il sistema dualistico) e, quando previsto del soggetto che dovrà esercitare il controllo contabile

12)l’importo globale, almeno approssimativo, delle spese per la costituzione poste a carico della società

13)la durata della società.

Se è stabilito che la società è a tempo indeterminato e se le azioni non sono quotate in un mercato regolamentato, i soci possono liberamente recedere dalla società decorso un periodo di tempo fissato dall’atto costitutivo, comunque non superiore ad 1 anno.

Il socio deve dare un preavviso di almeno 180 giorni, che lo statuto può allungare fino ad 1 anno.

L’omissione di una o più di tali indicazioni legittima il rifiuto del notaio di stipulare l’atto costitutivo.

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Nella pratica si preferisce procedere alla redazione di due documenti:

l’atto costitutivo

contiene la manifestazione di volontà di costituire la società ed i dati fondamentali della società

-lo statuto

contiene le regole di funzionamento della società.

Lo statuto si considera parte integrante dello statuto e quindi deve essere redatto per atto pubblico a pena di nullità. In caso di contrasto tra le clausole dell’atto costitutivo e dello statuto prevalgono queste ultime. (2328).

CONDIZIONI PER LA COSTITUZIONE

Capitale minimo

La società per azioni deve costituirsi con un capitale non inferiore a 120 mila euro (art. 2327 cc nuovo testo, che ha elevato il precedente minimo fissato in 100 mila euro), salvo i casi in cui leggi speciali impongono un capitale minimo più elevato (es. per le società bancarie).

Altre condizioni

Per procedere alla costituzione è poi necessario che ricorrano le condizioni stabilite dall’art. 2329 cc, cioè:

1)che sia sottoscritto per intero il capitale sociale

2)che siano rispettate le disposizioni relative ai conferimenti ed in particolare che sia versato presso una banca il 25% dei conferimenti in denaro o, nel caso di costituzione per atto unilaterale, il loro intero ammontare

3)che sussistano le autorizzazioni e le altre condizioni richieste dalle leggi speciali in relazione all’oggetto della società.

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I conferimenti in denaro devono essere versati prima della stipula dell’atto costitutivo e restano vincolati presso la banca fino al completamento del procedimento di costituzione.

Essi possono essere consegnati solo agli amministratori e a condizioni che questi provino l’avvenuta iscrizione della società nel registro delle imprese.

I sottoscrittori hanno tuttavia diritto di rientrare in possesso delle somme versate se la società non è iscritta nel registro delle imprese entro 90 giorni dalla stipulazione dell’atto costitutivo, poiché decorso tale termine l’atto costitutivo perde efficacia.

ISCRIZIONE NEL REGISTRO DELLE IMPRESE

Deposito dell’atto costitutivo

Il notaio che ha ricevuto l’atto costitutivo deve depositarlo, entro 20 giorni, presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede della società, con i documenti comprovanti la sussistenza delle condizioni per la costituzione.

Se il notaio non vi provvede, l’obbligo incombe sugli amministratori nominati nell’atto costitutivo.

Nell’inerzia di entrambi, punita con sanzione amministrativa pecuniaria, ogni socio può provvedervi a spese della società.

Soppressione dell’omologazione

Seguiva a questo punto, in passato, il giudizio di omologazione da parte del tribunale competente, che doveva verificare l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge per la costituzione della società.

Per esigenze di semplificazione questa fase è stata soppressa nel 2000, mentre sopravvive come facoltativa per le modiche dell’atto costitutivo.

Controllo del notaio

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In base all’attuale disciplina spetta al notaio che ha ricevuto l’atto costitutivo verificare l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge per la costituzione.

La legge notarile prevede sanzioni amministrative a carico del notaio che chiede l’iscrizione nel registro delle imprese di un atto costitutivo da lui rogato quando risultano manifestamente inesistenti le condizioni richieste dalla legge.

Perciò il notaio dovrà rifiutare l’iscrizione nel registro delle imprese se l’atto costitutivo e lo statuto contengono clausole contrastanti con l’ordine pubblico o con il buon costume, nonché con norme imperative della disciplina della società per azioni.

Se tale controllo ha invece esito positivo, il notaio riceve l’atto costitutivo e, contestualmente al deposito dello stesso, richiede l’iscrizione della società nel registro delle imprese.

L’ufficio del registro delle imprese prima di procedere all’iscrizione deve verificare la regolarità formale della documentazione ricevuta.

Efficacia costitutiva

Con l’iscrizione nel registro delle imprese la società acquista la personalità giuridica (art. 2331 1° comma cc) e viene ad esistenza

Diversamente della società di persone, non è perciò configurabile una società per azioni irregolare.

Operazioni compiute prima dell’iscrizione. Responsabilità dei soggetti agenti

Può verificarsi che fra la stipulazione dell’atto costitutivo e l’iscrizione, vengano compiute operazioni in nome della costituenda società. fin quando tutti gli elementi della fattispecie non si sono verificati, non si producono gli effetti tipici che dalla costituzione di una società di capitali. Quindi, quando taluno degli elementi è posto in essere si determina una situazione giuridicamente rilevante e produttiva di effetti giuridici anche se preliminari. Per cui una s.r.l. o una s.p.a. non sorge se non quando il processo costitutivo sia compiutamente esaurito, prima vi possono essere atti diretti alla costituzione di una società ma una società non esiste . se la società non esiste fin quando non sia terminato il processo costitutivo, la stipulazione dell’atto costitutivo non è comunque privo di efficacia effetti giuridici infatti si determinano per le persone che vi hanno partecipato, nei confronti del notaio, e nei confronti di coloro che sono nominati amministratori. Rispetto ai soci, l’effetto prevalente è quello per cui il contratto sociale è immediatamente vincolante, e l’obbligo di conferimento è assunto definitivamente, per modo che il loro consenso non può essere ulteriormente revocato: solo che il contratto sociale è sottoposto alla condizione risolutiva negativa della mancata iscrizione della società nel termine di 90 giorni

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dalla stipulazione dell’atto costitutivo o dal rilascio delle autorizzazioni richieste dalle leggi speciali per la costituzione della società in relazione al suo oggetto. (2331). L’efficacia vincolante del contratto cesserà in due ipotesi: a) quando sia negata l’iscrizione da parte dell’ufficio registro imprese per la presenza di irregolarità formali della documentazione e b) quando non si sia proceduto alla iscrizione nel registro imprese entro 90 giorni dalla stipula. Solo in queste ipotesi il socio è liberato dall’obbligo del conferimento e può chiedere la restituzione del versamento effettuato. Ma se queste ipotesi non si verificano il contratto sociale è vincolante . rispetto al notaio che ha ricevuto l’atto e rispetto agli amministratori l’effetto è quello del sorgere nei loro confronti l’obbligo di provvedere al deposito e iscrizione dell’atto costitutivo, pena sanzioni amministrative in caso di inosservanza. (2330). Si tratta di effetti preliminari, non esiste ancora personalità giuridica, e quindi un suo patrimonio. Per altro verso non esistendo società non è concepibile né una attività né una responsabilità di questa; per le obbligazioni sociali sono illimitatamente e solidalmente responsabili verso i terzi coloro che hanno agito in nome della società non ancora costituita (2331), essi potranno rivalersi verso la società se alla costituzione si addiviene non potranno rivalersi verso i soci se invece la società non sorge più. L’unica ipotesi in cui coloro che agiscono possono vincolare le persone che hanno partecipato all’atto costitutivo è quella in cui una operazione sia stata compiuta con un mandato di quelle persone. Inoltre sono solidalmente responsabili anche il socio univo fondatore e, in caso di pluralità di soci fondatori, i soci che hanno deciso o autorizzato il compimento dell’operazione.(2331).

Responsabilità della società costituita

Una volta perfezionato il procedimento di costituzione, la società resta automaticamente vincolata solo se le operazioni compiute in suo nome erano necessarie per la costituzione (es. spese notarili).

La società è invece libera di accollarsi o meno le obbligazioni derivanti da operazioni non necessarie per la costituzione.

L’accollo da parte della società non fa venire meno la responsabilità dei soggetti agenti.

L’attuale disciplina non prevede più la nullità dell’emissione delle azioni e non vieta il trasferimento della partecipazione azionaria prima dell’iscrizione nel registro delle imprese.

NULLITA’ DELLA SOCIETA’ PER AZIONI

L’atto costitutivo può presentare vizi.

Sul punto bisogna fare una distinzione:

a)nullità del contratto

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Prima dell’iscrizione della società nel registro delle impresse, vi è solo un contratto di società, destinato a produrre effetti solo tra le parti contraenti.

Esso può essere dichiarato nullo o annullato nei casi previsti dalla disciplina generale dei contratti (artt. 1418 ss cc).

b)nullità della società iscritta

Dopo l’iscrizione della società nel registro delle imprese, esiste una società, sia pure invalidamente costituita, che è entrata nel traffico giuridico.

La disciplina della nullità della società per azioni iscritta è contenuta nell’art. 2332 cc.

Cause di nullità

La società per azioni iscritta nel registro delle imprese può essere dichiarata nulla in 3 casi tassativamente indicati (nel testo originario del 2332 introdotto nel 1969 erano 8):

1)mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico

2)illiceità dell’oggetto sociale

3)mancanza nell’atto costitutivo (o nello statuto) di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, o i conferimenti, o l’ammontare del capitale sociale o l’oggetto sociale.

Effetti della nullità

La dichiarazione di nullità di un contratto e quindi anche del contratto di società per azioni prima dell’iscrizione, ha effetto retroattivo e travolge tutti gli effetti prodotti.

Invece la dichiarazione di nullità della società per azioni non pregiudica l’efficacia di tutti gli atti compiuti, nei confronti dei terzi e dei soci, in nome della società dopo l’iscrizione nel registro delle imprese.

Quindi la dichiarazione di nullità opera solo per il futuro come causa di scioglimento della società, caratterizzata per il fatto che i liquidatori sono nominati direttamente dal tribunale con la sentenza che dichiara la nullità, il cui dispositivo deve essere iscritto nel registro delle imprese.

Sanabilità

Mentre la nullità di un contratto è insanabile, la nullità della società iscritta non può essere dichiarata quando la causa di essa è stata eliminata e di tale eliminazione è stata data pubblicità con iscrizione nel registro delle imprese, prima che sia intervenuta la sentenza dichiarativa di nullità.

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In comune con la disciplina della nullità dei contratti rimane la regola che l’azione di nullità è imprescrittibile e la regola che la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.

SOCIETA’ PER AZIONI UNIPERSONALE. PATRIMONI DESTINATI

LA SOCIETA’ PER AZIONI UNIPERSONALE

La società come fenomeno di gruppo postula almeno due soci. Parlare quindi di società uni personale potrebbe essere addirittura senza senso. Non è difficile constatare che il fenomeno della società uni personale, sia ormai conosciuto nei principali ordinamenti giuridici, da quello inglese a quello tedesco. Il codice civile del 1942 vietava la costituzione di una società per azioni di parte di una singola persona e sanciva la nullità della società in mancanza di pluralità di soci fondatori. Ma consentiva, in caso di successiva appartenenza di tutte le partecipazioni ad un solo soggetto la sua permanenza senza limiti di tempo: in tal caso derivandone però nell’ipotesi di insolvenza della società:

la responsabilità illimitata del socio nelle cui mani si concentravano tutte le azioni. Si trattava di una sorta di compromesso.

Questi principi erano dettati anche per la società a responsabilità limitata, ma sono venuti meno con il d.lgs 88 del 1993, emanato in attuazione della XII direttiva Cee di armonizzazione del diritto societario, con il quale è stata introdotta nel nostro ordinamento la srl unipersonale a responsabilità limitata, e la sua costituzione mediante atto unilaterale. Con esclusione delle società per azioni. C’era da chiedersi perché tale differenza, dal momento che lo stesso legislatore ha provveduto a trasformare in s.p.a. (con unico socio lo stato)imprese- enti pubblici, ed ha disciplinato con molte leggi speciali l’eventualità di una trasformazione di imprese preesistenti mediante conferimento di azienda in una o più s.p.a. già esistenti, ovvero

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appositamente costituite con atto unilaterale. Ed ha introdotto l’istituto della scissione: il quale può comportare la costituzione di una società mediante un atto unilaterale.

Il legislatore italiano non si era invece avvalso della facoltà, consentita dalla direttiva, di prevedere anche spa unipersonali a responsabilità limitata, ma questa incoerenza è stata colmata con la riforma del 2003, della società di capitali.

Disciplina attuale

Principi base

-E’ consentita la costituzione della società per azioni con atto unilaterale di un unico socio fondatore (art. 2328 1° comma)

-Anche nella società per azioni uni personale per le obbligazioni sociali di regola risponde solo la società con il proprio patrimonio, salvo alcuni casi eccezionali, circoscritti, dove il socio unico è chiamato a rispondere delle obbligazioni. Quindi l’unico azionista non risponde in via di principio delle obbligazioni sociali.

Sono poi introdotte cautele volte a prevenire i maggiori pericoli cui sono esposti i terzi che entrano in contatto con un’impresa formalmente societaria, ma sostanzialmente individuale.

Costituzione

L’unico socio fondatore risponde in solido con coloro che hanno agito, per le operazioni compiute in nome della società prima dell’iscrizione nel registro delle imprese.

Conferimenti

Sia in sede di costituzione della società, sia in sede di aumento del capitale sociale, l’unico socio è tenuto a versare integralmente i conferimenti in denaro (e non solo il 25% come previsto per la società pluripersonale), all’atto della costituzione.

La violazione di tale disciplina impedisce che operi la regola della responsabilità limitata dell’unico socio.

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Trasparenza

Per consentire ai terzi di conoscere se la società è uni personale, negli atti e nella corrispondenza della società deve essere indicato se questa ha un unico socio.

Rapporti fra società e unico socio

I contratti fra società ed unico socio sono opponibili ai creditori della società solo se risultano dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento

Responsabilità per le obbligazioni sociali

Per la società per azioni uni personale vale oggi regola opposta rispetto a quella dettata dal codice del 1942, in quanto l’unico socio non incorre in responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali.

Vediamo dunque come anche la società per azioni, e non più solo la srl, può essere utilizzata per l’esercizio individuale di attività di impresa, senza che ciò determini la perdita del beneficio della responsabilità limitata.

Sono tuttavia previste 2 eccezioni, previste nell’ipotesi in cui tutte le partecipazioni siano nelle mani di una sola persona, o nella ipotesi di società dove pur essendoci più soci, le azioni sono costituite nel solo interesse di una persona che monopolisticamente esercita i poteri di controllo della società. (art. 2325 2° comma cc):

l’unico socio risponde illimitatamente quando non sia osservata la disciplina dell’integrale liberazione dei conferimenti

- l’unico socio risponde inoltre fino a quando non sia stata attuata la specifica pubblicità dettata per la spa uni personale dall’ art. 2362 cc . La legge impone una pubblicità della situazione di uni personalità, prevedendo il deposito, a cura degli amministratori o dello stesso socio, di apposita dichiarazione presso l’ufficio del registro delle imprese entro 30 giorni dalla iscrizione nel libro dei soci. Fino a quando non siano stati adempiuti tali obblighi pubblicitari, il socio unico in caso di insolvenza risponde illimitatamente delle obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui tutte le partecipazioni sono appartenute a costui.

Con la riforma del 2003 sono stati soppressi gli altri 2 casi previsti dalla disciplina del 1993:

-unico socio che sia una persona giuridica

-unico socio persona fisica che sia contemporaneamente socio unico di altra società di capitali.

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PATRIMONI DESTINATI

La riforma del 2003 offre alle società per azioni una tecnica per limitare il rischio di impresa, quella dei patrimoni destinati ad uno specifico affare (artt. 2447 bis-2447 decies cc).

Con essa l’impresa societaria resta unica, ma nel suo ambito sono individuati uno o più patrimonio separati che rispondono solo delle obbligazioni relative a predeterminate e specifiche operazioni economiche (es. una nuova linea produzione di incerto successo). È uno strumento alternativo, grazie alla costituzione di un patrimonio destinato ad uno specifico affare, si creano masse patrimoniali distinte a cui corrispondono diverse classi di creditori; tale meccanismo consente di isolare i beni e rapporti relativi a quello specifico affare dal restante patrimonio della società; e consente anche di destinare in via esclusiva tali beni non solo allo svolgimento dello specifico affare, ma anche alla garanzia dei creditori ad esso relativi. Si assiste dunque ad una separazione patrimoniale, in base alla quale i creditori relativi allo specifico affare potranno soddisfarsi in via di principio sul patrimonio separato, mentre gli altri sul patrimonio residuo. Tale separazione non è tuttavia assoluta, essa opera solo in riferimento alle obbligazioni contrattuali, non anche quelle derivanti da fatto illecito: di queste la società risponde con il suo patrimonio. Inoltre delle obbligazioni contrattuali assunte in relazione allo specifico affare la società risponde limitatamente al patrimonio destinato a condizione che l’atto dal quale sorge l’obbligazione rechi espressa menzione del vincolo di destinazione, in mancanza del quale il relativo creditore potrà soddisfarsi solo sul patrimonio residuo. Infine le società possono prevedere che le obbligazioni siano garantite oltre che dal patrimonio separato anche da quello residuo : resta invece fermo che gli altri creditori( quelli contrattuali) non possono far valere alcun diritto sul patrimonio separato. Nel sistema possono prevedersi 4 regimi diversi di responsabilità patrimoniale.1) illimitata per le obbligazioni derivanti da atto illecito; 2) limitata al patrimonio residuo per le obbligazioni non contratte per uno specifico affare, oppure per quelle che non rechino menzione del vincolo di destinazione; limitata al patrimonio destinato, per le obbligazione relative ad uno specifico affare; limitata al patrimonio e residuo e separato per le obbligazioni contratte sulla base di una disposizione in tal senso. In ogni caso si ha sottrazione dei beni alla funzione di garanzia nei confronti degli altri creditori sociali, anzi l’unica classe di creditori nei cui confronti la responsabilità della società è limitata al patrimonio residuo, è quella dei titolari dei crediti che non risultano sorti in relazione ad uno specifico affare.

Ci sono 2 modalità di costituzione di un patrimonio destinato:

1)patrimoni destinati

Nozione

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La società per azioni costituisce uno o più patrimoni, ciascuno destinato in via esclusiva ad uno specifico affare, sia pure entro i limiti del 10% del proprio patrimonio netto e purchè non si tratti di affari inerenti ad attività riservate in base a leggi speciali.

Costituzione

La costituzione di un patrimonio destinato avviene con apposita deliberazione adottata dall’organo amministrativo della società, a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

La delibera costitutiva deve contenere una serie di dati volti a consentite l’identificazione dell’affare, dei beni e dei rapporti giuridici comprese nel patrimonio destinato.( ossia l’affare a cui è destinato il patrimonio separato, il piano economico- finanziario dal quale risultano la congruità del patrimonio rispetto all’affare le modalità e le regole relative all’impiego del patrimonio).

La deliberazione deve essere verbalizzata da un notaio ed è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese, ma diventa produttiva di effetti solo dopo che siano decorsi 60 giorni dall’iscrizione.

Entro tale termine i creditori sociali anteriori all’iscrizione possono fare opposizione al tribunale, che può disporne l’esecuzione previa prestazione da parte della società di idonea garanzia.

Separazione patrimoniale

Decorso i 60 giorni dall’iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese, si producono gli effetti della separazione patrimoniale (art. 2445 quinquies cc:

-i creditori della società non possono più far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo specifico affare

-delle obbligazioni contratte per realizzare lo specifico affare la società risponde solo nei limiti del patrimonio destinato, salvo che la delibera di costituzione non stabilisca diversamente.

Resta salva la responsabilità illimitata della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito.

Perché la separazione patrimoniale operi è necessario che gli atti compiuti in relazione allo specifico affare rechino espressa menzione del vincolo di destinazione. In caso di fallimento si prevede una specifica responsabilità degli amministratori e per i componenti degli organi di controllo nell’ipotesi del principio di separatezza, al fine di evitarne la confusione e il pregiudizio per una o più classi di creditori.

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Per ciascun patrimonio destinato dovranno essere tenuti separatamente i libri e le scritture contabili e nel bilancio della società dovranno essere distintamente indicati i beni e i rapporti compresi in ciascun patrimonio, con separato rendiconto in allegato al bilancio.

Rendiconto finale

Realizzato l’affare o se questo è divenuto impossibile, gli amministratori redigono un rendiconto finale, che deve essere depositato presso l’ufficio del registro delle imprese.

Se permangono creditori insoddisfatti, questi possono chiedere entro 90 giorni la liquidazione del patrimonio destinato.

2)finanziamento destinato

Nozione

La società stipula con terzi un contratto di finanziamento di uno specifico affare, pattuendo che al rimborso totale o parziale del finanziamento siano destinati i proventi dell’affare stesso o parte di essi.

Il patrimonio separato è in tal caso formato dai proventi dell’affare, dai relativi frutti e dagli investimenti eventualmente effettuati in attesa del rimborso al finanziatore.

E’ necessario che copia del contratto sia stata iscritta nel registro delle imprese.

Delle obbligazioni nei confronti del finanziatore risponde esclusivamente il patrimonio separato, salvo che la società abbia prestato garanzie con il proprio patrimonio generale per il parziale rimborso del finanziatore.

Se però la società fallisce prima della realizzazione dell’affare, il finanziatore potrà insinuarsi nel fallimento per le somme non riscosse.

Se invece il fallimento della società non impedisce la realizzazione dell’operazione, il curatore può decidere di subentrare nel contratto, continuando l’operazione in proprio o affidandola a terzi, insinuandosi nel fallimento solo per l’eventuale credito residuo.

I creditori generali della società non potranno agire sui beni destinati alla realizzazione dell’operazione, ma su di essi potranno esercitare solo azioni conservative.

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CONFERIMENTI

INTRODUZIONE

Nozione

I conferimenti costituiscono i contributi dei soci alla formazione del patrimonio iniziale della società.

La loro funzione è quella di dotare la società del capitale di rischio iniziale per lo svolgimento dell’attività di impresa.

Capitale sociale nominale

Il valore in denaro del complesso dei conferimenti promesse dai soci che risulta dalla valutazione data nell’atto costitutivo, costituisce il capitale sociale nominale della società.

Disciplina

La disciplina dei conferimenti per la società di azioni è ispirata ad una duplice finalità:

-garantire che in conferimenti promessi dai soci vengano effettivamente acquisiti dalla società

-garantire che il valore assegnato dai soci ai conferimenti sia veritiero.

CONFERIMENTI IN DENARO

Nella società per azioni i conferimenti devono essere effettuati in denaro se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente (art. 2342 1° comma cc). Essendo il capitale sociale frutto di una convenzione, e siccome esso è il valore espresso in termini monetari del patrimonio netto, vi è l’esigenza che oggetto di conferimento sia suscettibile di valutazione economica. Prestazioni d’opera e di servizi per le s.p.a. sono escluse dalla conferimento. Questa disciplina evidenzia una compatibilità per le s.r.l. circa il coinvolgimento personale del socio, compatibilità non presente per le s.p.a., e inoltre evidenzia la distinzione tra conferimento a capitale e apporto a patrimonio: infatti l’articolo 2346 per le s.p.a. ammette l’emissione di strumenti finanziari a fronte dell’apporto da parte di soci o terzi anche di opera o servizi, sicchè

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da un lato si individua una tecnica, diversa dal conferimento idonea a consentire anche alla s.p.a. l’acquisizione dell’utilità consistente nell’opera o nel servizio dei soci; dall’altro è prevista l’eventualità che i soci decidano di attribuirle alla società sulla base del secondo e non del primo titolo. Il conferimento non è dunque l’unico strumento utilizzabile dai soci, per contribuire matrimonialmente all’attività sociale. anche quando il capitale sociale sia stato costituito solo da conferimenti in danaro, questi sono destinati ad essere investiti in diversi modi, e quindi i creditori possono veder modificato l’oggetto della loro garanzia: la distinzione tra conferimenti di capitale e di patrimonio si basa sull’equivoco che la garanzia dei creditori sia costituita dal capitale e non dal patrimonio, e che vi possano essere elementi del patrimonio che non siano anche elementi del capitale. Se in fatti la legge esige che vi sia corrispondenza tra capitale e patrimonio, inizialmente e durante la vita della società, la garanzia dei creditori sociali è pur sempre costituita dal patrimonio della società.

Versamento

Per garantire l’effettività del capitale, è disposto l’obbligo di versamento immediato presso una banca di almeno il 25% dei conferimenti in denaro o dell’intero ammontare se si tratta di società uni personale. Per le s.r.l. il versamento può essere sostituito da una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria.

Costituita la società, gli amministratori sono liberi di chiedere in ogni momento ai soci i versamenti ancora dovuti (cioè l’importo residuo).

Trasferimento

In caso di trasferimento delle azioni, l’obbligo di versamento dei conferimenti residui grava sia sul socio attuale, cioè l’acquirente delle azioni, sia sull’alienante (art. 2356 cc).

La responsabilità dell’alienante è però limitata nel tempo, in quanto permane per un periodo di 3 anni dall’iscrizione del trasferimento nel libro dei soci.

Inoltre ha carattere sussidiario poiché la società è tenuta a richiedere preventivamente il pagamento al possessore attuale delle azioni e potrà rivolgersi agli alienanti solo se tale richiesta sia rimasta infruttuosa.

Mancato pagamento

E’ dettata una speciale disciplina qualora il socio non esegua il pagamento delle quote dovute (art. 2344 cc).

In primo luogo il socio non può esercitare il diritto di voto.

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Inoltre al posto della normale azione giudiziaria per la condanna all’adempimento e l’esecuzione forzata, la società può avvalersi di una più celere procedura di vendita coattiva delle azioni del socio moroso, che è stata introdotta con la riforma del 2003.

La società è tenuta innanzitutto ad offrire le azioni agli altri soci.

In mancanza di offerte, la società può far vendere le azioni a mezzo di una banca o di un intermediario autorizzato.

Se la vendita non h esito, gli amministratori possono, in alternativa della normale azione giudiziaria, dichiarare decaduto il socio, trattenendo i conferimenti già versati e salvo il risarcimento dei danni.

Le azioni del socio escluso entrano a far parte del patrimonio della società e questa può ancora tentare di rimetterle in circolazione entro l’esercizio.

Svanita anche questa possibilità, la società deve annullare le azioni rimaste invendute riducendo per ammontare corrispondente il capitale sociale.

CONFERIMENTI DIVERSI DAL DENARO

Diversamente da quanto previsto per le società di persone, non ogni entità economica diversa dal denaro può essere conferita in società per azioni.

Limitazioni sono state introdotte nel 1986, in attuazione della normativa comunitaria di armonizzazione, e sono state mantenute dall’attuale disciplina contenuta nell’art. 2342 cc.

Prestazioni di opera o di servizi.

E’ stabilito che non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi.

Questo divieto si spiega con il fatto che la difficoltà di dare una valutazioni a tali prestazioni, mal si concilia con la duplice finalità a cui si ispira la disciplina dei conferimenti.

Le prestazioni di opera o di servizi possono formare oggetto solo di prestazioni accessorie, cioè di apporti dei soci non imputabili a capitale.

Conferimenti dei beni in natura e dei crediti

Per quanto riguarda i conferimenti dei beni in natura e dei crediti, è previsto che le azioni corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al

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momento della sottoscrizione, cioè il socio deve porre in essere tutti gli atti necessari affinché la società acquisti la titolarità e la piena disponibilità del bene conferito.

Questa limitazione preclude l’apporto a titolo di conferimento di cose generiche, future o altrui, nonché di prestazioni periodiche di beni.

In questi casi infatti il consenso del conferente non determina né l’immediato acquisto della proprietà del bene da parte della società, né l’immediata messa a disposizione del bene.

Diritti di godimento

E’ da ritenere ammissibile il conferimento di diritti di godimento, dato che la società acquista con il consenso del conferente l’effettiva disponibilità del bene.

Beni immateriali

E’ poi conferibile ogni prestazione di dare suscettibile di valutazione economica e di immediata messa a disposizione della società.

Es. diritti di brevetto per marchi.

LA VALUTAZIONE

I conferimenti diversi dal denaro (cioè conferimenti in natura e conferimenti di crediti) tanto se effettuati in sede di costituzione della società quanto se effettuati in sede di aumento del capitale sociale, devono formare oggetto di uno specifico procedimento di valutazione regolato dall’art. 2343 cc, che è stato parzialmente modificato dalla riforma del 2003.

Il procedimento si articola in più fasi:

a)relazione di stima

chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare una relazione giurata di stima di un esperto designato dal tribunale.

La stima deve attestare che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale.

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La relazione deve essere allegata all’atto costitutivo e, una volta completato il procedimento di costituzione, deve restare depositata presso l’ufficio del registro delle imprese. Si può prescindere dalla stima solo nei casi in cui esiste una valutazione di mercato ovvero una valutazione che il legislatore ritiene affidabile.

b)verifica di stima

il valore assegnato in base alla relazione di stima ha carattere provvisorio.

Entro 180 giorni dalla costituzione della società, gli amministratori devono controllare le valutazioni contenute nella relazione di stima e, se sussistono fondati motivi, devono procedere alla revisione della stima

c)effetti

se dalla revisione risulta che il valore è inferiore di oltre 1/5 rispetto a quello per cui avviene il conferimento, la società deve ridurre proporzionalmente il capitale sociale e annullare le azioni che risultano scoperte.

Il socio ha una alternative:

a)può versare la differenza in denaro mantenendo così inalterato il numero delle azioni sottoscritte

b)può recedere dalla società, con diritto alla liquidazione del valore attuale delle azioni sottoscritte.

Il socio recedente ha diritto alla restituzione in natura del bene conferito qualora sia possibile (ciò implica la necessità di conguagli in denaro, da parte della società o del socio a seconda dei casi, per pareggiare il valore del bene con il valore di liquidazione della partecipazione).

Acquisti pericolosi

L’obbligo di assoggettare a stima i conferimenti in natura poteva essere in passato facilmente eluso.

Infatti chi intendeva conferire un bene in natura figurava nell’atto costitutivo come un socio che si era obbligato a conferire denaro.

Appena costituita la società vendeva alla stessa il bene, per importo corrispondente alla somma da lui dovuta a titolo di conferimento, con la conseguenza che il suo debito di apporto si estingueva per compensazione.

Questo pericolo è oggi neutralizzato dall’art. 2343 bis cc, introdotto dal dpr 30 del 1986.

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In base a tale disposizione, sono necessarie la preventiva autorizzazione dell’assemblea ordinaria e la presentazione da parte dell’alienante della relazione giurata di stima di un esperto designato dal tribunale per l’acquisto da parte della società di beni o crediti dai promotori, dai fondatori, dai soci attuali o dagli amministratori quando:

-il corrispettivo pattuito è pari o superiore a 1/10 del capitale sociale

-l’acquisto è compiuto nei 2 anni dall’iscrizione della società nel registro delle imprese.

I caso di violazione di tale disciplina, l’acquisto resta valido, ma gli amministratori e l’alienante sono solidalmente responsabili per i danni causati alla società, ai soci ed ai terzi.

PRESTAZIONI ACCESSORIE

L’atto costitutivo può prevedere l’obbligo dei soci di eseguire prestazioni accessorie non consistenti in denaro, determinandone anche contenuto, durata, modalità e compenso (art. 2345 cc). La previsione di prestazioni accessorie è caratteristica delle società create a scopo consortile, o cooperativo e particolarmente dei consorzi con accentramento delle vendite e delle cooperative di produzione. Il dubbio riguarda il fatto se tali prestazioni avessero ad oggetto un fare o un dare. Queste prestazioni giuridicamente costituiscono un accessorio del conferimento.

Es. obbligo del socio di prestare la propria attività lavorativa nella società.

Disciplina

La disciplina delle prestazioni accessorie presenta delle peculiarità.

Le azioni con prestazioni accessorie devono essere nominative e non sono trasferibili senza il consenso degli amministratori, dato che il trasferimento delle azioni comporta anche il trasferimento in testa all’acquirente dell’obbligo di esecuzione delle prestazioni accessorie.

Inoltre, salvo diversa clausola statutaria, tali obblighi possono essere modificati solo con il consenso di tutti i soci.

LE AZIONI

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NOZIONE E CARATTERI ESSENZIALI

Nozione

Le azioni sono le quote di partecipazione dei soci nella società per azioni.

Esse sono omogenee e standardizzate, liberamente trasferibili e di regola rappresentate da documenti (i titoli azionari) che circolano secondo la disciplina dei titoli di credito. Questo non è un carattere essenziale in quanto è una conseguenza della particolare struttura della azione. Di veramente essenziale nella azione non c’è che il suo determinarsi, astraendo dalle persone dei soci, come parte del capitale costituente complesso unitario di diritti e poteri. Inoltre sono autonome e distinte .

Caratteri essenziali

Nella società per azioni il capitale sociale sottoscritto è diviso in un numero predeterminato di parti di identico ammontare, ciascuna delle quali costituisce un’azione ed attribuisce identici diritti. Ciascuna azione è un complesso unitario di diritti e di poteri.

La singola azione rappresenta quindi l’unità minima di partecipazione al capitale sociale e l’unità di misura dei diritti sociali.

E’ perciò indivisibile.

Se più soggetti diventano titolari di un’unica azione devono nominare un rappresentante comune per l’esercizio dei diritti verso la società (art. 2347 cc).

In relazione all’ammontare del capitale sottoscritto, ciascun socio diventa titolare di una o più azioni, che restano distinte ed autonome anche quando fanno capo alla tessa persona.

AZIONI E CAPITALE SOCIALE

Le azioni devono essere tutte di uguale valore (art. 2348 1° comma cc), cioè rappresentare un’identica frazione del capitale sociale nominale. Le azioni conferiscono ai loro possessori uguali diritti e precisamente il diritto a una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione, nonché il diritto di voto.

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Si definisce valore nominale delle azioni la parte del capitale sociale da ciascuna rappresentata espressa in cifra monetaria.

La disciplina attuale consente che vengano emesse azioni senza indicazione del valore nominale.

Non è però consentito emettere contemporaneamente azioni con e senza valore nominale.

Azioni con valore nominale

Nelle azioni con valore nominale lo statuto deve specificare non solo il capitale sottoscritto, ma anche il valore nominale di ciascuna azione ed il loro numero complessivo.

Es. il capitale sottoscritto di 1 milione di euro potrà essere diviso in 100 mila azioni da 10 euro.

Il valore nominale delle azioni rimane invariato nel tempo e può essere modificato solo attraverso una modifica dell’atto costitutivo, dando luogo al frazionamento o al raggruppamento delle azioni.

Azioni senza valore nominale

Nelle azioni senza valore nominale invece lo statuto ed i titoli azioni devono indicare solo il capitale sottoscritto ed il numero di azioni emesse.

Es. il capitale sottoscritto di 1 milione di euro è diviso in 100 mila azioni.

La partecipazione al capitale del singolo azionista sarà espressa non in una cifra monetaria ma in una percentuale del numero complessivo delle azioni emesse.

Valore di emissione

Per tutte le azioni vale la regola che in nessun caso il valore complessivo dei conferimenti può essere inferiore all’ammontare globale del capitale sociale (art. 2346 5° comma cc).

In questo modo si vuole evitare che il capitale conferito dai soci sia inferiore a quello le dichiarato.

Le azioni possono invece essere emesse per somma superiore al valore nominale.

L’emissione con sovrapprezzo è obbligatoria quando venga escluso o limitato il diritto di opzione degli azionisti sulle azioni di nuova emissione (art. 2441 6° comma cc) ed il valore reale delle azioni sia superiore a quello nominale.

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Valore bilancio

Il valore di emissione delle azioni va distinto dal valore reale che si ottiene dividendo il patrimonio netto della società per il numero di azioni.

Tale valore varia in funzione delle vicende economiche delle società e può essere accertato attraverso il bilancio di esercizio (valore di bilancio).

Valore di mercato

Il valore di mercato delle azioni risulta giornalmente dai listini ufficiali quando le azioni sono ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato.

Esso indica il prezzo di scambio delle azioni in quel determinato giorno.

Su di esso incidono le prospettive economiche future della società e variabili ulteriori (es. andamento dell’economia).

Pacchetto azionario

Un pacchetto azionario, soprattutto se consente il controllo della società, ha un valore maggiore della somma dei valori delle singoli azioni.

LA PARTECIPAZIONE AZIONARIA

UGUAGLIANZA DEI DIRITTI

Una peculiare caratteristica delle azioni è l’uguaglianza dei diritti.

Le azioni infatti conferiscono ai loro possessori uguali diritti (art. 2348 1° comma cc).

Uguaglianza relativa

L’uguaglianza innanzitutto è relativa e non assoluta in quanto è possibile creare categorie di azioni fornite di diritti diversi (art. 2348 2° comma cc).

Da qui la distinzione fra:

-azioni ordinarie

-azioni di categoria o speciali.

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Uguaglianza oggettiva

L’uguaglianza è poi oggettiva e non soggettiva.

Uguali sono infatti i diritti che ogni azioni attribuisce, non i diritti di cui ciascun azionista dispone, dovendosi al riguardo tener conto anche del numero delle azioni di cui ciascuno è titolare.

Anche se alcuni diritti dell’azionista sono indipendenti dal numero di azioni possedute (es. diritto di intervento in assemblea), i diritti più significativi spettano in proporzione del numero di azioni possedute (es. diritto di voto).

Si coglie quindi la situazione di disuguaglianza soggettiva degli azionisti, la quale esprime il principio cardine delle società di capitali, cioè chi ha più conferito e più rischia ha più potere e può imporre la propria volontà alla minoranza.

Poteri speciali dello Stato

Ciò non esclude che, quando entrano in gioco interessi pubblici, siano introdotte deroghe al principio capitalistico, con il riconoscimento allo Stato o ad enti pubblici di poteri societari svincolati dall’ammontare della partecipazione azionaria o dalla qualità stessa di azionista.

Es. potere di veto all’adozione di una serie di delibere (scioglimento della società, trasferimento dell’azienda…) introdotto per legge negli statuti di società operanti in settori strategici come quelli della difesa e dei trasporti, in passato controllate dallo Stato, al fine di evitare che la recente privatizzazione di tali società possa dar luogo a decisioni in contrasto con gli obiettivi nazionali di politica economica e finanziaria.

LE CATEGORIE SPECIALI Di AZIONI

Le categorie speciali di azioni sono quelle fornite di diritti diversi da quelli tipici previsti dalla disciplina legale e si contrappongono quindi alle azioni ordinarie. Ci sono quelle privilegiate, ( attribuenti diritti nella distribuzione degli utili, o nel rimborso del capitale nello scioglimento della società), postergate; correlate( fornite di diritti patrimoniali dipendenti dai risultati della attività sociale in un determinato settore), azioni senza diritto di voto, azioni con voto limitato a particolari argomenti, azioni con voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni. Così possono vedersi ma solo da parte delle società che NON fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, limiti di voto o suoi scaglionamenti in ragione della quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto; così possono essere emesse azioni di lavoro e azioni riscattabili rispetto alle quali viene riconosciuta agli altri soci un potere di acquisto.

Possono essere create con lo statuto o con successiva modificazione dello stesso.

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La presenza di categoria speciali di azioni comporta una modifica nell’organizzazione interna della società per la contemporanea presenza di gruppi di azionisti con interessi parzialmente non coincidenti.

Assemblee speciali

E’ stabilito che, se esistono diverse categorie di azioni, le deliberazioni dell’assemblea generale che pregiudicano i diritti di una di esse devono essere approvate anche dall’assemblea speciale della categoria interessata.

(Alle assemblee speciali si applica la disciplina delle assemblee straordinarie se le azioni speciali non sono quotate, mentre se le azioni speciali sono quotate si applica la disciplina dell’organizzazione degli azionisti di risparmio, che prevede quorum meno elevati e la nomina di un rappresentante degli azionisti speciali).

I diritti speciali di categoria sono diritti di gruppo (non diritti individuali).

Categorie di azioni e diritto di voto

Alcune categorie speciali di azioni sono previste dal legislatore ma è da tener presente che la società gode di autonomia nel modellare il contenuto della partecipazione azionaria, si pure con l’osservanza dei limiti posti dalla legge o desumibili dal sistema (art. 2348 2° comma cc).

Fra i limiti permane dopo la riforma del 2003 il divieto di emettere azioni a voto plurimo (art. 2351 4° comma cc), cioè azioni che attribuiscono ciascuna più di un voto.

Per il resto l’attuale disciplina è più permissiva di quella previgente.

Infatti, con la riforma del 2003 tutte le società possono emettere azioni senza il diritto di voto.

Nel contempo sono scomparse le azioni privilegiate a voto limitato alle sole assemblee straordinarie e si consente a tutte le società la creazione di:

-azioni con diritto di voto limitato a particolari argomenti

-azioni con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative (es. azioni senza voto che riacquistano tale diritto se la società non distribuisce utili per un certo periodo).

Questi 3 categorie di azioni non possono tuttavia superare la metà del capitale sociale.

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Alle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (cioè alle società non quotate) è inoltre consentito anche di prevedere che, in relazione alle azioni possedute da uno stesso soggetto:

-il diritto di voto sia limitato ad una misura massima (es. fino al 10% del capitale posseduto ogni azione attribuisce 1 voto, mentre per l’eccedenza non è riconosciuto il diritto di voto)

-sia introdotto il voto scalare (es. fino al 10% del capitale spetta 1 voto per azione, dal 10% al 20% 1 voto ogni 2 azioni e così via).

Azioni privilegiate

Le azioni privilegiate sono azioni che attribuiscono ai loro titolari un diritto di preferenza nella distribuzione degli utili e/o nel rimborso del capitale al momento dello scioglimento della società.

Con il solo limite del divieto di patto leonino (art. 2265 cc), la società è perciò libera di articolare come preferisce il contenuto patrimoniale di tali azioni.

L’attuale disciplina da la possibilità di emettere azioni postergate nelle perdite.

Es. si può prevedere che, in sede di liquidazione della società, tali azioni saranno rimborsate in tutto o in parte prima delle azioni ordinarie.

Azioni correlate

E’ consentita l’emissione di azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività sociale di un determinato settore (es. ramo d’azienda).

Ai possessori di azioni correlate non possono essere corrisposti dividendi in misura superiore agli utili risultanti dal bilancio generale della società.

LE AZIONI DI RISPARMIO

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Le azioni di risparmio, introdotte dalla legge 216 del 1974, e oggi regolate dagli artt. 145-147 Tuf, sono una categoria speciale di azioni. Non vi è dubbio che la competizione delle società sul mercato dei capitali, si esplica soprattutto con riferimento ai diritti patrimoniali degli azionisti, sono essi che in particolare interessano il risparmiatore che non intende partecipare alla gestione della società. perciò uno spazio più ampio può essere consentito agli statuti degli emittenti.

Sono titoli che, insieme alle azioni privilegiate a voto limitato, meglio rispondono alle esigenze dei risparmiatori, in quanto tengono conto del loro interesse per l’esercizio dei diritto amministrativi e del rilievo attribuito invece al contenuto patrimoniale ed alla redditività dei titoli patrimoniali.

Possono essere emesse solo da società le cui azioni ordinarie sono quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell’Unione Europea.

Non possono superare, in concorso con le azioni a voto limitato, la metà del capitale sociale.

Con le azioni di risparmio la distinzione fra azionisti imprenditori e azionisti risparmiatori trova pieno riconoscimento legislativo, in quanto esse sono prive del diritto di voto.

Tuttavia si differenziano dalle azioni senza voto emesse dalle società non quotate per il fatto che devono essere dotate di privilegi di natura patrimoniale.

A differenza delle altre azioni, possono poi essere emesse al portatore, assicurando quindi l’anonimato.

Inoltre può essere previsto il diritto di conversione in azioni ordinarie dopo un certo tempo.

Diritti amministrativi

Le azioni di risparmio sono prive del diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie e perciò di esse non si tiene conto per il calcolo dei quorum costitutivi e deliberativi.

Si deve escludere che agli azionisti di risparmio possa essere riconosciuto il diritto di intervento in assemblea ed il diritto di impugnare le delibere assembleari invalide, poiché con la riforma del 2003 l’esercizio di tali diritti è stato riservato agli azionisti con diritto di voto.

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Diritti patrimoniali

Le azioni di risparmio sono azioni privilegiate sotto il profilo patrimoniale.

La riforma del 1998 ha cancellato la rigida disciplina dei privilegi patrimoniali, che fissava in modo analitico contenuto e misura minima dei privilegi che dovevano essere inderogabilmente riconosciuti alle azioni di risparmio.

L’attuale disciplina, applicabile anche alle azioni di risparmio precedentemente emesse, si limita a stabilire che le azioni di risparmio sono dotate di particolari privilegi di natura patrimoniale e che l’atto costitutivo determina il contenuto del privilegio e le modalità per il suo esercizio.

Organizzazione di gruppo

E’ prevista un’organizzazione di gruppo per la tutela degli interessi comuni, la quale si articola:

-nell’assemblea speciale

essa delibera in particolare sull’approvazione delle delibere dell’assemblea della società che pregiudicano i diritti degli azionisti di risparmio

-nel rappresentante comune

è nominato dall’assemblea di categoria.

Provvede all’esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea e tutela gli interessi comuni degli azionisti di risparmio nei confronti della società.

Nell’ambito di tale funzione, gli è riconosciuto il diritto di assistere alle assemblee della società e di impugnarne le deliberazioni (questi diritti sono invece preclusi al singolo azionista di risparmio).

Durata dell’investimento azionario: la possibilità che gli statuti attribuiscano a ciascuna azione detenuta dal medesimo azionista per un periodo continuativo indicato nello statuto e comunque non inferiore ad un anno, il diritto ad una maggioranza non superiore al 10% del dividendo distribuito alle altre azioni. Tale possibilità è circoscritta solo alle azioni che complessivamente non superino il 5 per mille del capitale sociale e che siano non detenute da chi abbia esercitato anche congiuntamente con altri soci una influenza dominante sulla società. Così chiaro diviene l’obbiettivo di privilegiare, i piccoli azionisti, - risparmiatori, ed in particolare quelli di essi che hanno inteso effettuare un investimento di lungo periodo escludendo perciò non solo quelli, che esprimono finalità imprenditoriali, ma anche quelli che tra i piccoli risparmiatori ricercano un guadagno. Il beneficio dell’azionista risparmiatore viene in ogni caso perso nella cessione dell’azione salva l’ipotesi di successione a titolo universale o di fusione e di scissione. Per cui in sede di esercizio di un diritto, assumono rilievo le vicende personali degli azionisti: la misura dei dividendi, assegnati in concreto a ciascuno, finisce infatti per dipendere dalla durata non solo dell’investimento proprio ma anche di quello altrui, con l’esito che ai fini

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della loro partizione al criterio di proporzionalità si aggiunge l’altro che tiene conto dei reciproci rapporti degli azionisti in relazione alle caratteristiche temporali del loro investimento.

AZIONI E STRUMENTI FINANZIARI PARTECIPATIVI

L’emissione degli strumenti finanziari partecipativi è stata prevista dalla riforma del 2003 al fine di consentire l’acquisizione da parte di soci (o di terzi) di apporti patrimoniali che non possono formare oggetto di conferimento e che perciò non sono imputabili al capitale sociale, quali le prestazioni di opera o di servizi (art. 2346 6° comma cc); nonché come alternativa alle azioni a favore dei prestatori di lavoro (art. 2349 2° comma cc).

A differenza delle azioni gli strumenti finanziari partecipativi non sono parti del capitale sociale e quindi non attribuiscono la qualità di azionista.

Disciplina

La disciplina legislativa è scarna.

Si prevede che essi possono essere forniti solo di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, con esclusione però del diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti.

Possono tuttavia essere dotati di diritto di voto su argomenti indicati ed in particolare può essere ad essi riservata la nomina di un componente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco.

E’ riconosciuto ampio spazio all’autonomia statutaria.

Lo statuto disciplina infatti modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione.

CIRCOLAZIONE DELLE AZIONI

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TITOLI AZIONARI

I titoli azionari ( titolo circolanti) sono i documenti che rappresentano le quote di partecipazione nella società per azioni e ne consentono il trasferimento secondo le regole dei titoli di credito. La trasmissione dei diritti e dei poteri può attuarsi solo mediante trasferimento del titolo azionario e così pure l’esercizio di tali diritti e poteri è rimesso al possesso del titolo azionario. La circolazione del titolo determina la sostituzione dell’acquirente all’alienante in tutte le posizioni soggettive attive e passive inerenti alla azione. La tecnica di predeterminare l’azione facendo astrazione dalle persone dei soci, vale anche ad agevolare la trasmissione ed la negoziazione dell’azione stessa.

Società non quotate

La loro emissione è normale ma non essenziale nelle società con azioni non quotate in borsa in quanto lo statuto può escludere l’emissione dei titoli azionari.

In tal caso la qualità di socio è provata dall’iscrizione nel libro dei soci, mentre il trasferimento delle azioni resta assoggettato alla disciplina della cessione del contratto ed ha effetto nei confronti della società dal momento dell’iscrizione nel libro dei soci.

Società quotate

Nelle società quotate in mercati regolamentati invece le azioni non possono più essere rappresentate da titoli a decorrere dal 1 Ottobre 1998.

Infatti la circolazione basata sul trasferimento materiale del documento è stata sostituita da un sistema fondato su semplici registrazioni contabili.

Questo sistema è obbligatorio anche per le società con azioni ed obbligazioni non negoziate in mercati regolamentati ma diffuse tra il pubblico in misura rilevante, secondo criteri individuati dalla Consob.

E’ invece facoltativo per le altre società.

Azioni e titoli di credito

E’ opinione consolidata che ai titoli azioni deve essere riconosciuta la natura di titoli di credito (precisamente le azioni rientrano nella categoria dei titoli di credito casuali, che possono essere emessi sono in base ad un determinato rapporto causale).

Azioni nominative e azioni al portatore

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Le azioni possono essere nominative o al portatore a scelta dell’azionista (art. 2354 1° comma).

In questo modo si concede il beneficio dell’anonimato all’investimento azionario, soprattutto a fini fiscali.

Nominatività obbligatoria. L’alternativa fra azioni nominative ed azioni al portatore è rimasta però nelle pagine del codice.

Prima che quest’ultimo entrasse in vigore fu introdotta la nominatività obbligatoria dei titoli azionari.

Questo regime vige tuttora con 2 sole eccezioni:

-quella per le azioni di risparmio introdotta nel 1974

-quella per le società di investimento a capitale variabile prevista nel 1992. ( ossia le azioni della SICAV).

Nel sistema del codice elemento decisivo per l’esercizio dei diritti sociali, era l’iscrizione nel libro dei soci, esso ora è divenuto irrilevante; ora il diritto al dividendo o al voto sono diritti espressamente attribuiti al possessore del titolo azionario, in base ad una serie continua di girate e rispetto ad essi l’iscrizione nel libro dei soci non è più necessaria ne sufficiente. Perciò in sede di riforma si è provveduto ad una nuova redazione dell’articolo 2355. Si è così ribadito che , In caso di mancata emissione dei titoli azionari, il trasferimento delle azioni ha effetto nei confronti della società e la legittimazione ad esercitare i diritti relativi, si ottiene con l’iscrizione nel libro dei soci. Mentre le azioni al portatore si trasferiscono con la consegna del titolo (art. 2355 2° comma cc)

Per le azioni nominative è invece dettata una specifica disciplina (vedi titoli di credito). Ed anche è prevista dalla legge la presenza dei meccanismi del TRANSFERT e della girata autenticata: infatti nel caso di trasferimento mediante girata il giratario che si dimostra possessore in base ad una serie continua di girate, non solo ha il diritto ad ottenere l’annotazione del trasferimento nel libro dei soci ma è comunque legittimato, ad esercitare i diritti sociali, fermo restando l’obbligo, della società di aggiornare il libro dei soci. ( 2355 3 comma ). Il ruolo della iscrizione nel libro dei soci ha ormai una funzione di sola documentazione, che può attuarsi al di fuori di una richiesta del socio per il fatto dell’esercizio dei diritti sociali da parte del possessore della azione.

VINCOLI SULLE AZIONI

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Le azioni possono essere costituite in usufrutto o in pegno e possono formare oggetto di misure cautelari (sequestro giudiziario o conservativo) ed esecutive (pignoramento).

L’art. 2352 cc detta la disciplina per l’esercizio dei diritti sociali relativi alle obbligazioni gravate da vincoli.

Diritti amministrativi

E’ previsto che, salvo convenzione contraria, il diritto di voto compete al creditore pignoratizio o all’usufruttuario.

Essi dovranno esercitarlo in modo da non ledere gli interessi del socio, esponendosi altrimenti al risarcimento dei danni nei suoi confronti.

Nel caso di sequestro delle azioni, il voto è esercitato dal custode.

Gli altri diritti amministrativi spettano invece disgiuntamente sia al socio sia la creditore pignoratizio o all’usufruttuario, se dal titolo costitutivo del vincolo non risulta diversamente.

In caso di sequestro sono invece esercitati dal custode, salvo che dal provvedimento del giudice non risulti diversamente.

Diritto di opzione

Il diritto di opzione spetta al socio, il quale deve provvedere almeno 3 giorni prima della scadenza al versamento delle somme necessarie per l’esercizio del diritto di opzione.

In mancanza gli altri soci possono offrire di acquistarlo; altrimenti il diritto di opzione deve essere alienato per suo conto a mezzo di una banca o di altro intermediario autorizzato alla negoziazione nei mercati regolamentati.

Versamenti sulle azioni

E’ infine regolato il versamento delle somme dovute sulle azioni non liberate.

In caso di pegno è il socio che deve provvedere al versamento e in mancanza il creditore pignoratizio può far vendere le azioni tramite una banca o altro intermediario autorizzato, con trasferimento del pegno sul ricavato.

In caso di usufrutto è invece l’usufruttuario che deve provvedere al versamento, salvo il diritto alla restituzione di tale somma al termine dell’usufrutto.

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LIMITI ALLA CIRCOLAZIONE DELLE AZIONI

Le azioni sono di regola liberamente trasferibili. Ma la legge non consente di stabilire a differenza di quanto avviene per le quote di partecipazione delle s.r.l. una indefinita intrasferibilità delle azioni, ciò sarebbe in contrasto la sua funzione di consentire all’investitore una mobilizzazione del suo impegno. Essa pur ammettendo la possibilità di vietare il trasferimento delle azioni, ne circoscrive l’operatività, nel termine massimo di 5 anni, e prevede la possibilità di sottoporre a particolari condizioni il trasferimento delle azioni rappresentate da titoli nominativi, nel qual caso le limitazioni debbono risultare dal titolo. Una ulteriore ipotesi di intrasferibilità temporanea riguarda le azioni attribuite ai creditori nell’ambito del concordato previsto nel programma di ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza: qualora sorgano contestazioni in ordine ai relativi crediti il giudice delegato può ordinare anche l’intrasferibilità delle azioni spettanti ai titolari di crediti contestati.

LIMITI LEGALI

La trasferibilità è tuttavia esclusa o limitata per legge in determinate ipotesi, ad esempio:

-le azioni liberate con conferimenti diversi dal denaro non possono essere alienate prima del controllo della valutazione (art. 2343 3° comma cc)

-le azioni con prestazioni accessorie non sono trasferibili senza il consenso del consiglio di amministrazione (art. 2345 2° comma cc).

LIMITI CONVENZIONALI

Dai limiti legali vanno tenuti distinti i limiti convenzionali, determinati da accordi intercorsi fra i soci.

Essi vanno distinti in:

PATTI PARASOCIALI

Quando si possiede la maggioranza del capitale della società il socio, è in condizione di orientare l’azione. Allo stesso modo molteplici sono i diritti riconosciuti alle minoranze:

I limiti alla circolazione delle azioni risultano da accordi non consacrati nell’atto costitutivo.

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Questi limiti vengono definiti sindacati di blocco ed hanno lo scopo di evitare l’ingresso in società di terzi non graditi, attraverso l’alienazione delle azioni., e si possono modificare le quote dei singoli soci a vantaggio di uno di essi, e a danno degli altri, a far sì che ciascuno conservi la posizione che aveva nella società. Pongono limiti alla circolazione delle azioni che in quanto effetto di patti contrattuali e non di clausole statutarie, non possiedono l’efficacia propria delle seconde e non sono soggetti alle regole poste per esse.

Vincolano solo le parti contraenti.

La loro violazione non comporta quindi invalidità della vendita delle azioni, né la società potrà rifiutare l’iscrizione dell’acquirente nel libro dei soci.

L’inadempiente sarà tenuto solo al risarcimento dei danni nei confronti degli altri soci contraenti. Perciò per ottenere l’efficacia anche nei confronti dei terzi, il sindacato di blocco, viene realizzato depositando le azioni presso un terzo, e così impedendo praticamente la violazione degli impegni assunti. Funzione invece del sindacati di amministrazione è quella di unificare le quote dei partecipanti in ordine ai poteri amministrativi nella società, soprattutto con il diritto di voto, ( sindacato di voto), in modo da poter beneficiare di quei diritti che sono connessi ad una quota superiore a quella singolarmente posseduta dai partecipanti al sindacato. Il t.u. finanziario ora impone che i patti parasociali siano comunicati alla CONSOB ,pubblicati sulla stampa quotidiana, ed depositati nel registro delle imprese ed in caso di inosservanza di tali obblighi è prevista la nullità dei patti. I patti in qualunque forma stipulati hanno per oggetto, l’esercizio del diritto di voto,o pongono limiti al trasferimento delle partecipazioni di tali società o infine hanno per oggetto l’esercizio congiunto di una influenza dominante sulle stesse. Tali patti pur potendo essere rinnovati non hanno una durata maggiore di 5 anni, se le parti hanno fissato una durata maggiore essa si intende ridotta a tale termine mentre se il termine di durata manca, ciascun contraente ha diritto di recedere dal patto con preavviso di 180 giorni. ( 2341 bis ).I patti parasociali di società che fanno ricorso al mercato di capitale di rischio devono inoltre essere comunicati alla società e dichiarati in apertura di ogni assemblea. In mancanza di tale dichiarazione i possessori delle azioni non possono esercitare il diritto di voto e le deliberazioni assembleari adottate con il loro determinante voto sono impugnabili. (2341 ter).

LIMITI STATUTARI

L’inopponibilità ai terzi dei patti parasociali spiega perché spesso si preferisce inserire limiti alla circolazione delle azioni nell’atto costitutivo.

In tal modo le clausole limitatrici della circolazione acquistano efficacia reale, in quanto vincolano tutti i soci, anche futuri e devono essere fatte valere dalla società nei confronti del terzo acquirente delle azioni.

L’attuale disciplina (art. 2355 bis cc) ribadisce che lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il trasferimento delle azioni nominative.

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Consente anche che lo statuto vieti del tutto la circolazione delle azioni sia pure per un periodo non superiore a 5 anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto.

Le clausole statutarie finalizzate a limitare la circolazione delle azioni possono assumere varie forme.

Le più diffuse sono:

-Clausola di prelazione

è la clausola che impone al socio che intendere vendere le azioni, di offrirle preventivamente agli altri soci e di preferirli ai terzi a parità di condizioni.

La violazione di questo patto di preferenza comporta l’inefficacia del trasferimento non solo nei confronti della società, che potrà rifiutare l’iscrizione dell’acquirente nel libro dei soci, ma anche nei confronti dei soci beneficiari del diritto di prelazione.

E’ da ritenere che questi abbiano il diritto di riscattare dal terzo acquirente le azioni

-Clausole di gradimento

possono essere distinte in 2 sottocategorie:

a)clausole che richiedono il possesso di determinati requisiti da parte dell’acquirente

es. cittadinanza italiana

b)clausole che subordinano il trasferimento delle azioni al consenso di un organo sociale (quasi sempre il consiglio di amministrazione).

Clausole di mero gradimento. Sono sorti dei dubbi sulla validità di queste secondo tipo di clausole, definite di mero gradimento, per il timore che esse possano costituire strumento di abuso a danno dei soci estranei al gruppo di comando, rendendoli prigionieri della società. perciò si era d’accordo nel ritenere che il gradimento non poteva essere arbitrariamente rifiutato. Rifiuto che doveva trovare giustificazione nella situazione obbiettiva.

Il legislatore è intervenuto sul punto dapprima nel 1985 decretando l’inefficacia delle clausole di mero gradimento e poi con la riforma del 2003 temperando il divieto.

L’attuale disciplina consente l’inserimento nell’atto costitutivo di clausole che subordinano il trasferimento, anche a causa di morte, delle azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci se prevedono, in caso di rifiuto del gradimento, un obbligo di acquisto a carico della società o degli altri soci, oppure il diritto di recesso dell’alienante.

Per la determinazione del corrispettivo dell’acquisto o della quota di liquidazione si applica la disciplina dettata per il recesso. Potrebbe ritenersi che si ha un mero gradimento quando di esso lo statuto non precisa, condizioni e limiti e che quindi in

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presenza di siffatta precisazione, non si applicano le tutele previste dall’articolo 2355 bis per il socio che intende alienare. Per le s.r.l. , si dispone che in presenza di clausole che prevedono l’intrasferibilità delle partecipazioni, o ne subordinino il trasferimento inter vivos, al gradimento di organi sociali come pure quelle che pongono limiti e che impediscono il trasferimento mortis causa, il socio o i suoi eredi possono chiedere la liquidazione della quota immediatamente o alla scadenza del termine, non superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione fissato dall’atto costitutivo. Invece secondo una dottrina, il rifiuto del gradimento non avrebbe toccato l’efficacia inter partes, del negozio di alienazione, a meno che questo non fosse espressamente condizionato al gradimento. Secondo altra tendenza invece il rifiuto del gradimento importava il mancato perfezionamento dell’alienazione con il conseguente diritto dell’alienante alla restituzione delle azioni e dell’acquirente alla restituzione del prezzo. Questa nuova disciplina sembra prevalere.

-Clausole di riscatto

sono clausole che prevedono un potere di riscatto delle azioni da parte della società o dei soci al verificarsi di determinati eventi (art. 2437 sexies cc).

Es. in caso di morte dell’azionista al fine di evitare che subentrino gli eredi.

Il valore di rimborso è determinato applicando le disposizione in tema di diritto di recesso e del procedimento di liquidazione.

In caso di riscatto a favore della società trova inoltre applicazione la disciplina dell’acquisto di azioni proprie.

Le clausole statutarie limitative della circolazione possono essere introdotte o rimosse nel corso della vita della società con delibera dell’assemblea straordinaria.

In tal caso, se lo statuto non dispone diversamente, è riconosciuto il diritto di recesso ai soci che non hanno concorso all’approvazione della delibera.

E’ così superato l’orientamento della giurisprudenza che richiedeva il consenso di tutti i soci per l’introduzione successici delle clausole limitative della circolazione.

OPERAZIONI DELLA SOCIETA’ SU PROPRIE AZIONI

Le operazioni della società per azioni sulle proprie azioni sono pericolose e quindi vengono considerate con sfavore dal legislatore che in linea di principio le vieta,

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salvo alcuni temperamenti. Per quanto riguarda le s.r.l. l’acquisto di partecipazioni proprie sono espressamente vietate dalla legge.

Attualmente sono regolate 3 situazioni:

SOTTOSCRIZIONE

In nessun caso la società può sottoscrivere proprie azioni, né della società controllante.

Il divieto assoluto ( penalmente sanzionato) conosce solo una deroga, introdotta con riforma del 2003, per l’esercizio del diritto di opzione sulle azioni proprie detenute dalla società.

Salvo tale eccezione, il divieto opera sia in sede di costituzione della società, sia in sede di aumento del capitale sociale.

Colpisce tanto la sottoscrizione diretta, cioè compiuta in nome della società, quanto la sottoscrizione indiretta, cioè compiuta da terzi in nome proprio ma per conto della società.

Sanzioni

In caso di violazione del divieto di autosottoscrizione, non si ha nullità della sottoscrizione, ma le azioni si intendono sottoscritte e devono essere liberate dai soggetti che materialmente hanno violato il divieto.

-In caso di sottoscrizione diretta (cioè in nome della società) le azioni si intendono sottoscritte e devono essere liberate dai promotori e dai soci fondatori o, in caso di aumento del capitale sociale, dagli amministratori.

A questa conseguenza può però sottrarsi chi dimostra di essere esente da colpa.

-Nel caso di sottoscrizione indiretta è invece il terzo che ha sottoscritto le azioni, in nome proprio ma per conto della società, che è considerato a tutti gli effetti sottoscrittore.

Inoltre rispondono solidalmente col terzo, anche i promotori e i soci fondatori ovvero, in caso di aumento del capitale sociale, gli amministratori della società, salvo che tali soggetti non dimostrino di essere esenti da colpa.

ACQUISTO DI AZIONI PROPRIE

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L’acquisto da parte della società di azioni proprie , o quote della controllante da parte della controllata, possono dar luogo ad una riduzione del capitale reale senza riduzione del capitale sociale nominale.

Prendiamo il caso di una società con capitale sociale nominale di 1000 ed un capitale reale (patrimonio netto) di 1000, la quale impiega somme per 1000 nell’acquisto di azioni proprie.

Essa non fa altro che rimborsare ai soci il valore delle azioni.

Il capitale sociale nominale resta invariato, ma il capitale reale si è riduce a zero, mettendo in pericolo i creditori sociali.

Condizioni

Queste conseguenze non si verificano quando nell’acquisto vengono impiegate somme corrispondenti agli utili o ad altre eccedenze di bilancio.

In tal caso l’operazione è consentita, ma la società deve rispettare 4 condizioni (art. 2357 cc):

a)le somme impiegate nell’acquisto non possono eccedere l’ammontare degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato

b)le azioni da acquistare devono essere interamente liberate

c)l’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria; la delibera deve fissare le modalità di acquisto, l’ammontare massimo delle azioni da acquistare e la durata, non superiore a 18 mesi, per la quale l’autorizzazione è accordata

d)il valore nominale delle azioni acquistate non può eccedere la decima parte del capitale sociale.( limite quantitativo), per le s.p.a. che fanno parte del mercato con capitale di rischio.

Sanzioni

In caso di violazione di tali limiti legislativi, non si determina la nullità dell’acquisto, la validità rimane ma ,le azioni acquistate devono essere vendute entro 1 anno dal loro acquisto. In mancanza si dovrà procedere al loro annullamento ed alla corrispondente riduzione del capitale sociale.

Acquisti indiretti

La disciplina esposta si applica anche quando la società procede all’acquisto di azioni proprie per tramite di società fiduciaria o per interposta persona.

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Casi speciali

Sono previsti alcuni casi speciali di acquisto, sottratti in tutto o in parte alle limitazioni dettate in via generale (art. 2357 bis cc).

Nessuna limitazione è applicabile quando l’acquisto avviene in esecuzione di una delibera assembleare di riduzione del capitale sociale, da attuarsi mediante riscatto ed annullamento di azioni.

In tal caso l’acquisto di azioni proprie costituisce modalità di attuazione di una riduzione palese del capitale sociale con rimborso dei conferimenti ai soci.

Regime delle azioni proprie (art. 2357 ter cc)

-I diritti sociali relativi alle azioni proprie sono sterilizzati.

Es. il diritto di voto è sospeso.

-Le azioni proprie sono tuttavia computate nel capitale al fine del calcolo del quorum costitutivo e deliberativo dell’assemblea.

-Gli amministratori non possono disporre delle azioni (es. venderle) senza autorizzazione dell’assemblea, che può anche essere contestuale all’autorizzazione all’acquisto.

ALTRE OPERAZIONI

Alla società è vietato di concedere prestiti o fornire garanzie a favore dei soci o di terzi per la sottoscrizione o l’acquisto di azioni proprie (art. 2358 1° comma cc).tali autorizzazioni sono preventivamente autorizzate dalla assemblea straordinaria.

La società non può inoltre accettare azioni proprie in garanzia (es. concedere finanziamenti ai soci garantiti dal pegno di azioni proprie).

I relativi contratti di finanziamento o di garanzia sono nulli.

LE PARTECIPAZIONI RECIPROCHE

Le partecipazioni reciproche fra società di capitali (la società A partecipa al capitale della società B e viceversa) danno luogo a pericoli di carattere patrimoniale ed

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amministrativo, che si accentuano quando fra le due società intercorre un rapporto di controllo.

Infatti la controllante potrebbe eludere la disciplina della sottoscrizione e dell’acquisto di azioni proprie facendo sottoscrivere o acquistare le stesse da una propria controllata.

SOTTOSCRIZIONE RECIPROCA

Questi pericoli vengono in evidenza nel caso di sottoscrizione reciproca del capitale.

Se due società si costituiscono od aumentano il capitale sociale sottoscrivendo l’una il capitale dell’altra, aumenta il capitale sociale nominale delle due società, senza che si incrementi il capitale reale.

Alla repressione di tale fenomeno era in passato rivolto solo l’art. 2360 cc.

Ad esso si è affiancato l’art. 2359 quinquies cc introdotto dal d.lgs 315 del 1994 (emanato in attuazione della direttiva Cee n° 92/101).

Si prevede che la società controllata non può sottoscrivere un aumento del capitale deliberato dalla controllante, sia direttamente, sia avvalendosi di terzi.

Sanzioni

In caso di violazione di questa disciplina, le azioni sono imputate agli amministratori della società controllata che non dimostrino di essere esenti da colpa, ovvero al terzo che ha sottoscritto le azioni in nome proprio, ma per conto della controllata.

Vediamo quindi che la disciplina ricalca quella della sottoscrizione di azioni proprie.

RISERVE: le riserve sono immobilizzazioni degli utili, che sono imposte dalla legge e dagli statuti alle società, o eventualmente dalla assemblea per assicurare la stabilità del capitale sociale di fronte ad oscillazioni nei valori o di fronte a perdite che possono verificarsi per singoli esercizi. La legge impone una riserva legale, pari al quinto del capitale sociale, mediante l’immobilizzazione almeno della ventesima parte degli utili di esercizio.(2430). Gli statuti prevedono per lo più la presenza di ulteriori riserve ( statutarie), e altre possono essere create dall’assemblea dei soci. ( straordinarie o facoltative). Anche le riserve vanno iscritte al passivo del bilancio. Esistono poi riserve occulte o tacite per indicare gli accantonamenti nascosti nelle pieghe del bilancio, dipendenti da una sottovalutazione delle attività sociali, o dalla creazione di fondi correttivi superiori alla realtà o dalla indicazione di passività in realtà inesistenti.

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SOPRAPREZZO: le azioni in sede di aumento del capitale possono essere emesse per una somma superiore al loro valore nominale. Sopraprezzo. In sede di aumento del capitale l’obiettivo del sopraprezzo è quello di adeguare il prezzo all’emissione delle azioni al valore reale delle stesse. Il sopraprezzo per legge deve confluire in un apposito fondo e non può essere distribuito fino a quando la riserva legale non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale, si tratta di una indisponibilità temporanea che impedisce al sopraprezzo di poter essere utilizzato per l’acquisto di azioni proprie o delle società controllante. (2431). I versamenti fatti dai soci a copertura delle perdite ed i versamenti in conto capitale non sono finanziamenti dei soci alla società, si tratta di versamenti volontari che non possono essere qualificati come conferimenti di capitale, ne possono essere assoggettati al regime delle riserve o del capitale, ma che sono vincolati alla destinazione per la quale vengono compiuti. Questa destinazione si esaurisce nel fatto della operazione stessa per i versamenti compiuti a copertura delle perdite , permane invece nei versamenti in conto capitale fino a quando il capitale non viene aumentato, ovvero fino a quando sussiste la possibilità di realizzazione.

ACQUISTO RECIPROCO DI AZIONI

I pericoli si determinano anche quando l’incrocio è attuato mediante acquisto di azioni già in circolazione.

La differenza è che mentre la sottoscrizione reciproca dà luogo ad aumento del capitale nominale senza aumento del capitale reale, l’acquisto reciproco lascia inalterato il capitale nominale, ma determina una riduzione dei capitali reali, che può giungere fino al completo svuotamento dando luogo al fenomeno della carta contro carta.

Disciplina

L’attuale disciplina può essere così sintetizzata:

a)l’acquisto reciproco di azioni è possibile senza alcun limite quando fra le due società non intercorre un rapporto di controllo e nessuna delle due è quotata in borsa

b)se l’incrocio è realizzato fra società controllante e sue controllate, l’acquisto da parte della società controllata, anche tramite società fiduciaria o interposta persone, è considerato come effettuato dalla controllante stessa.

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E’ perciò assoggettato alle seguenti limitazioni (coincidenti con quelle previste per l’acquisto di azioni proprie):

1)le somme impiegate nell’acquisto non possono eccedere l’ammontare degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato della società controllata

2)possono essere acquistate solo azioni interamente liberate

3)l’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria della controllata

4)il valore nominale delle azioni acquistate non può eccedere il 10% del capitale della società controllante

5)la società controllata non può esercitare il diritto di voto nelle assemblee della controllante.

Le azioni o quote acquistate in violazione di tali condizioni devono essere alienate entro 1 anno dal loro acquisto (art. 2359 ter 1° comma cc).

In mancanza, la società controllante deve procedere al loro annullamento ed alla corrispondente riduzione del capitale sociale.

La società controllata ha però diritto al rimborso del valore delle azioni annullate, determinato secondo i criteri stabiliti dalla disciplina del diritto di recesso

c)se una o entrambe le società protagoniste dell’incrocio hanno azioni quotate in borsa, ma fra le stesse non intercorre un rapporto di controllo, sono previsti limiti quantitativi agli incroci azionari (percentuale massima di azioni acquistabili), che coincidono con le percentuali che fanno scattare l’obbligo di comunicazione delle partecipazioni rilevanti alla società partecipata ed alla Consob.

Quindi:

-se entrambe le società sono quotate, l’incrocio non può superare il tetto del 2% del capitale con diritto di voto (elevabile al 5% con un accordo delle società interessate)

-se una sola delle società è quotata, la società quotata può arrivare fino al 10% del capitale della società non quotata, fermo restando il tetto del 2% per quest’ultima.

Qualora la partecipazione incrociata ecceda da entrambi i lati le percentuali massime consentite, la società che ha superato il limite successivamente:

1)non può esercitare il diritto di voto per le azioni o quote possedute in eccedenza rispetto alla percentuale consentita

2)deve alienare l’eccedenza entro 12 mesi

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3)in caso di mancata alienazione, la sospensione del diritto di voto si estende all’intera partecipazione e quindi anche alla parte che può essere legittimamente posseduta.

Qualora il voto venga ugualmente esercitato, le delibere adottate col voto determinante di tali azioni sono annullabili e l’impugnazione può essere proposta anche dalla Consob.

LE PARTECIPAZIONI RILEVANTI.

I GRUPPI DI SOCIETA’

PARTECIPAZIONI RILEVANTI

INTRODUZIONE

Aspetto decisivo in tema di società quotate è quello della informazione perché : a) è grazie alle informazioni disponibili che il mercato definisce le quotazioni delle azioni, profilo importante per i risparmiatori b) è elemento essenziale per la tutela dei risparmiatori stessi, in modo tale che possono consapevolmente effettuare le loro scelte, c) è grazie alla informazione che si ottiene il corretto funzionamento del mercato. Perciò il TUF estende il diritto dei soci a prendere visione ed estrarre copia di tutti gli atti depositati , ed impone all’organo amministrativo di mettere a disposizione del pubblico una relazione sulle materie dell’ordine del giorno, anche sul sito internet della società. e richiede alle società quotate di garantire a tutti i titolari di strumenti finanziari quotati le informazioni e gli strumenti necessari, per l’esercizio dei loro diritti, sottoponendole ad uno specifico statuto per gli obblighi di informazione verso il pubblico, in modo da assicurare un accesso rapido , non discriminatorio e ragionevolmente idoneo, a garantire l’effettiva diffusione. L’articolo 114 del TUF impone di informare senza indugio, il pubblico delle informazioni privilegiate, ( informazioni di carattere preciso non di pubblico dominio , concernenti direttamente strumenti finanziari quotati o le loro emittenti, le quali se rese pubbliche risultano idonee a influire sensibilmente sul prezzo degli stessi strumenti finanziari). La divulgazione può essere ritardata, solo se il ritardo, non induca in errore il pubblico su fatti e circostanze essenziali. La CONSOB può inoltre chiedere alle società quotate di rendere pubblici notizie e documenti necessari per l’informazione del pubblico: costoro possono opporsi con reclamo motivato , ma tale reclamo può essere respinto quando la mancata comunicazione potrebbe indurre in errore il pubblico. Così se c’è un conflitto tra interessi imprenditoriali della società e quelli del mercato prevalgono i secondi. I soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di controllo nelle società devono comunicare alla CONSOB, e al pubblico le operazioni effettuate aventi ad oggetto azioni o altri strumenti finanziari. Le società quotate devono poi indicare in apposito registro, le persone che hanno

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accesso ad informazioni riservate, si tratta di regole volte a garantire la correttezza della diffusione delle informazioni. Ovviamente tali informazioni devono essere diffuse in modo corretto. L’informazione finanziaria, è obbligatoria per le società quotate, e prevede la nomina di un dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, ed il compito di attestare la corrispondenza delle informazioni contabili, delle società diffuse sul mercato con le risultanze documentali e con i libri e le scritture contabili, nonché di predisporre adeguate procedure per la formazione del bilancio di esercizio e consolidato. Il dirigente inoltre deve attestare con apposita relazione sul bilancio, l’adeguatezza e l’effettiva applicazione di siffatte procedure, la corrispondenza dei documenti alle scritture, e la loro conformità con i principi della legge . le società sono tenute a pubblicare le relazioni finanziarie, e inoltre devono pubblicare sul sito internet 1)la relazione finanziaria annuale che comprende il progetto di bilancio di esercizio, 2) nonché la relazione finanziaria semestrale che comprende il bilancio semestrale abbreviato, 3)e la relazione intermediaria sulla gestione, che contiene riferimenti agli eventi importanti occorsi nei primi 6 mesi dell’esercizio e l’attestazione del dirigente alla redazione dei documenti contabili. Infine entro 45 giorni dalla chiusura del 1 e del 3 trimestre deve essere pubblicato 4) un resoconto intermedio di gestione che fornisce una descrizione generale della situazione patrimoniale della società.

A partire dal 1974 sono state emanate una serie di disposizioni che tendono a far chiarezza sui possessi azionari rilevanti in società quotate ed in società, anche non quotate, che operano in settori di particolare rilievo economico e sociale (bancario, assicurativo…).

Partecipazioni rilevanti in società con azioni quotate

Per le società con azioni quotate, la disciplina è oggi dettata dall’art. 120 Tuf, che prevede un obbligo di comunicazione alla società partecipata ed alla Consob per:

-tutti coloro (persone fisiche, società o enti) che partecipano, direttamente o indirettamente, in una società con azioni quotate in misura superiore al 2% del capitale di questa

-le sole società con azioni quotate che partecipano, direttamente o indirettamente, in società con azioni non quotate o in società a responsabilità limitata in misura superiore al 10% del capitale di queste.

Sono invece determinate dalla Consob con proprio regolamento, le variazioni delle partecipazioni rilevanti che comportano l’obbligo di successive modificazioni.

Sanzioni. In caso di violazione degli obblighi di comunicazione sono comminate sanzioni pecuniarie mentre per le sole partecipazioni in società quotate è mantenuta ferma l’ulteriore sanzione della sospensione del voto inerente alle azioni o agli strumenti finanziari diversi dalle azioni per i quali sia stata omessa la comunicazione.

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Qualora la società ammetta ugualmente il socio a votare, la relativa deliberazione assembleare è impugnabile a norma dell’art. 2377 cc, se il voto di quel socio è stato determinante per la formazione della maggioranza.

L’impugnativa può essere proposta anche dalla Consob nel termine di 180 giorni.

L’esigenza è quella di informare il mercato e la società, in merito alla struttura e consistenza dei gruppi finanziari che vi partecipano. Volendosi conoscere il gruppo finanziario e non solo l’azionista, ai fini del calcolo delle partecipazioni sono considerate non solo le azioni delle quali un soggetto è titolare, ma anche quelle in relazione alle quali il diritto di voto spetta o è attribuito a tali soggetti. La possibilità di assegnare in seguito efficacia ad un patto ormai definitivamente nullo, e la possibilità di superare la sospensione al diritto di voto. Per il primo aspetto, non c’è altra strada se non quella della ripetizione del patto con rinnovazione, del consenso e conseguentemente all’adempimento degli obblighi di legge; per il secondo aspetto invece l’unica soluzione possibile è quella di un atto ricognitivo delle parti, con cui si prende atto della situazione di nullità e si accerta l’assenza di vicoli. La durata di tali patti non può essere superiore a 3 anni alla scadenza possono essere rinnovati; possono essere stipulati anche a tempo indeterminato, nel qual caso ciascun contraente a diritto di recedere con preavviso di 6 mesi.

I CONTROLLI: per il controllo privatistico, è ammesso

Partecipazioni rilevanti in altre società

Sono state introdotte delle norme per garantire la trasparenza delle partecipazioni rilevanti in società per azioni non quotate ma che operano in settori di interesse generale (es. società bancarie, società di intermediazione mobiliare, società di assicurazione).

Oltre che alla società partecipata, le partecipazioni rilevanti vanno comunicate (in base al tipo di società) alla Banca d’Italia, alla Consob e all’Isvap.

A tali organi è riconosciuta la legittimazione ad impugnare le deliberazioni adottate con il voto determinante di chi ha omesso di effettuare una comunicazione dovuta.

ACQUISTO DI PARTECIPAZIONI RILEVANTI IN SOCIETA’ QUOTATE

Chiunque intenda acquistare una partecipazione di controllo in una società con azioni quotata deve osservare specifiche regole introdotte con la legge 149 del 1992 ed oggi riformulate dagli artt. 102-112 Tuf.

Situazione previgente

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In passato queste operazioni, se concordate con il gruppo di comando, avvenivano senza transitare attraverso la borsa.

Il pacchetto di controllo era ceduto direttamente dal titolare dello stesso ad un prezzo maggiore di quello risultante dalle quotazioni di borsa.

Invece nel caso in cui il gruppo di comando non era disposto a cedere la sua partecipazione ma nel contempo non disponeva della maggioranza delle azioni, chi intendeva scalzarlo procedeva a massicci acquisti di azioni di borsa (scalate ostili), diluiti nel tempo e coperti dall’anonimato fino a quando l’obiettivo prefissato non era stato raggiunto.

Chi intendeva andare alla conquista di una società quotata poteva seguire anche una tecnica alternativa, uscendo subito allo scoperto e lanciando un’offerta pubblica di acquisto delle azioni (opa) rivolta a tutti gli azionisti della società bersaglio.

Principi attuali

La situazione è cambiata a partire dalla legge 149 del 1992.

L’idea di fondo di tale legge, ribadita dalla riforma del 1998 e dalla riforma attuata con il d.lgs 37 del 2004, è che il passaggio di proprietà di pacchetti di controllo di società quotate deve avvenire con la massima trasparenza.

Per realizzare tali obiettivi sono stati introdotti due principi cardine:

1)il lancio di un’offerta pubblica di acquisto è obbligatorio quando è trasferito il pacchetto di controllo di una società quotata

2)l’opa deve svolgersi nel rispetto di determinate regole volte a tutelare i destinatari dell’offerta ed il regolare funzionamento del mercato.

1)OPA OBBLIGATORIA

I casi in cui il lancio di un opa è obbligatorio sono:

a)opa successiva totalitaria (art. 106 Tuf)

Consente agli azionisti di minoranza di società con azioni quotate di uscire dalla società a seguito del mutamento dell’azionista di controllo.

E’ infatti tenuto a promuovere un’offerta pubblica di acquisto chiunque, in seguito ad acquisti a titolo oneroso, venga ad ottenere, direttamente o indirettamente, una partecipazione superiore al 30% delle azioni che attribuiscono diritto di voto nelle deliberazioni assembleari riguardanti nomina o revoca o responsabilità degli amministratori o del consiglio di sorveglianza.

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L’offerta deve avere ad oggetto l’acquisto della totalità delle azioni quotate ancora in circolazione che attribuiscono diritto di voto nelle medesime materie.

E’ fissato per legge anche il prezzo minimo che deve essere offerto per ciascuna categoria di azioni, il quale risulta dalla media aritmetica fra il prezzo medio ponderato di mercato degli ultimi 12 mesi e quello più elevato pattuito nello stesso periodo dall’offerente per acquisti fuori borsa di azioni della medesima categoria.

Opa preventiva facoltativa. Chi intende acquisire il controllo di una società quotata può sottrarsi all’obbligo di promuovere l’opa successiva totalitaria, lanciando un’opa preventiva che lo porti a detenere una partecipazione superiore al 30%.

Essa può essere totale o parziale.

-L’opa preventiva diretta a conseguire tutte le azioni quotate (opa preventiva totale) che attribuiscono diritto di voto nelle deliberazioni assembleari riguardanti nomina o revoca o responsabilità degli amministratori o del consiglio di sorveglianza non è soggetta a condizioni e l’offerente può fissare liberamente il prezzo di acquisto.

-L’opa preventiva parziale deve avere per oggetto almeno il 60% delle stesse azioni.

L’esonero dall’opa successiva totalitaria deve essere autorizzato dalla Consob ed è subordinato all’approvazione dell’offerta da parte degli azionisti di minoranza della società bersaglio.

La Consob disciplina anche gli altri casi in cui il superamento del 30% non comporta l’obbligo di offerta successiva totalitaria.

Es. operazioni dirette al salvataggio di imprese in crisi.

b)opa residuale (art. 108 Tuf)

La funzione dell’opa residuale è quella di consentire agli azionisti di minoranza l’uscita dalla società ad un prezzo equo quando la stessa è ormai in pugno di un predeterminato gruppo di controllo.

E’ previsto che chiunque venga a detenere più del 90% della azioni è tenuto a lanciare un’opa sulla totalità delle azioni al prezzo fissato dalla Consob, se non ripristina entro 120 giorni un flottante sufficiente ad assicurare il regolare andamento delle negoziazioni.

Acquisto coattivo

Chi viene a detenere in seguito al lancio di un’opa totalitaria più del 98% delle azioni con diritto di voto ha diritto di acquistare coattivamente le azioni residue ad un prezzo fissato da un esperto nominato dal presidente del tribunale.

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Sanzioni

La violazione dell’obbligo di promuovere un opa è colpita con sanzioni dissuasive:

-il diritto di voto inerente all’intera partecipazione detenuta non può essere esercitato.

In caso di inosservanza la delibera è impugnabile a norma dell’art. 2377 cc qualora il voto del socio che avrebbe dovuto astenersi sia stato determinante per la formazione della maggioranza.

L’impugnativa può essere proposta anche dalla Consob, nel termine di 180 giorni

-le azioni eccedenti le percentuali del 30% e del 90% devono essere alienate entro 12 mesi.

2)DISCIPLINA DELLE OFFERTE PUBBLICHE DI ACQUISTO E DI SCAMBIO

E’ disciplinato lo svolgimento delle offerte pubbliche di acquisto e di scambio (volontarie o obbligatorie) al fine di garantire la trasparenza dell’operazione.

Sono definiti anche i comportamenti consentiti e quelli vietati alle parti contendenti, cioè offerente e società bersaglio.

La disciplina, contenuta negli artt. 102-104 Tuf è applicabile ad ogni offerta finalizzata all’acquisto o allo scambio di prodotti finanziari.

Nella pratica però l’opa è utilizzata quasi esclusivamente per l’acquisto di azioni quotate.

Caratteri essenziali

L’offerta pubblica di acquisto (il corrispettivo è in denaro) o di scambio (il corrispettivo è costituito da altri strumenti finanziari) è una proposta irrevocabile rivolta a parità di condizioni a tutti i titolari di prodotti finanziari che ne formano oggetto.

Ogni clausola contraria è nulla.

L’offerta può essere aumentata o modificata durante la pendenza dell’operazione e l’aumento si estende anche a coloro che hanno già aderito all’offerta.

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L’offerta di svolge sotto il controllo della Consob, che può anche sospendere o dichiarare decaduta l’offerta in caso di violazioni.

Fasi

Promozione della offerta

I soggetti che intendono lanciare un’offerta pubblica devono darne preventiva comunicazione alla Consob, e rendere pubblico tale decisione, allegando il documento di offerta destinato alla pubblicazione, che deve contenere le informazioni necessarie per consentire ai destinatari di pervenire ad un fondato giudizio sull’offerta. In caso di inottemperanza questo ultimo è dichiarato irricevibile e l’offerente non può promuovere nei successivi 12 mesi una ulteriore offerta avente ad oggetto prodotti finanziari del medesimo emittente. Se il documento risulta idoneo, la Consob lo approva entro 15 giorni: decorso inutilmente tale termine , il documento si intende approvato. Una volta reso pubblico, esso deve essere trasmesso dal consiglio di amministrazione o di gestione, della società emittente, e dell’offerente ai rispettivi lavoratori. Qualora sopravvengano fatti nuovi, tali da impedire ai destinatari di formulare un fondato giudizio sull’offerta, l’offerta può essere sospesa, dalla Consob, la quale ha il potere di sospendere o dichiarare decaduta l’offerta stessa.

Accettazioni dell’offerta

A questo punto si apre la fase delle adesioni all’offerta, che possono essere raccolte dall’offerente o dagli intermediari indicati nel documento di offerta (es. banche). Durante questa fase si pongono obblighi di comportamento per la società interessata dall’operazione.

Tecniche di difesa( hanno l’obiettivo di agevolare l’interesse all’acquisto degli azionisti e non solo del gruppo di controllo attuale). Per l’aspetto preventivo all’avvio della operazione, sono considerate le clausole che limitano il trasferimento dei titoli ovvero il diritto di voto. Inoltre deve prevedere che nel periodo di adesione all’offerta non abbiano effetto verso l’offerente le limitazioni statutarie al trasferimento dei titoli e che quelle al diritto di voto non operino nelle assemblee chiamate ad autorizzare l’adozione di misure difensive nei confronti di una offerta pubblica. Gli statuti possono inoltre prevedere nella prima assemblea successiva alla chiusura della offerta convocata per modificare lo statuto o revocare gli amministratori non trovino applicazione nei confronti dell’offerente che sia pervenuto a detenere almeno il 75% delle azioni con diritto di voto, né le limitazioni né gli eventuali diritti speciali in materia di nomina o revoca degli amministratori. Per il secondo aspetto quello successivo, vale la passivity rule secondo la quale, è vietato nel periodo intercorrente tra la comunicazione alla Consob della decisione di promuovere l’offerta o la chiusura di questa, il compimento di ogni atto idoneo a contrastare il conseguimento degli obiettivi di offerta, che non sono stati autorizzati dalla assemblea ordinaria. La prospettiva resta dunque quella di attribuire alla autonomia statutaria, la scelta in

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merito alla maggiore o minore contendibilità, del controllo della società. non mancano norme inderogabili, come quella che riconosce il diritto di recedere, senza preavviso dai patti parasociali quando si intenda aderire ad una offerta pubblica obbligatoria totalitaria o preventiva. La pendenza della offerta pubblica implica anche dei vincoli, di comportamento per l’offerente. Egli in particolare deve adeguare al prezzo fissato dall’offerta al prezzo più alto pagato; è tenuto ad astenersi, da comportamenti idonei, ad alterare le situazioni rilevanti per i presupposti dell’offerta pubblica obbligatoria. Ulteriore profilo è quello della irrevocabilità della offerta e delle accettazioni. L’offerta può invece essere modificata fino a tre giorni prima della data prevista per la chiusura dell’operazione. Una eccezione alla irrevocabilità delle accettazioni c’è nelle ipotesi di offerte concorrenti, che possono essere presentate, entro 5 giorni dalla scadenza dell’offerta precedente e sono ammesse solo se propongono un corrispettivo globale superiore all’ultima offerta.

L’utilizzo di tecniche di difesa del gruppo di comando della società bersaglio contro un’opa ostile era precluso dalla legge 149 del 1992.

Oggi il divieto non ha più carattere assoluto.

E’ stabilito che gli amministratori delle società bersaglio devono astenersi dal compiere operazioni che possano contrastare gli obiettivi dell’offerta ma il divieto può essere rimosso con delibera dell’assemblea con la maggioranza del 30% del capitale sociale.

Fra le tecniche di difesa rientra il lancio di un’opa concorrente da parte di alleati della società bersaglio.

Chi ha lanciato l’offerta originaria può a sua volta reagire all’opa concorrente rilanciando.

Chiusura dell’offerta

Alla scadenza del termine, l’offerta diventa irrevocabile se è stato raggiunto il quantitativo minimo specificato nel documento di offerta.

Se invece le adesione superano il quantitativo richiesto, il documento di offerta dovrà specificare se si procederà ad una riduzione proporzionale o se l’offerente si riserva la facoltà di acquistare ugualmente tutti i titoli.

GRUPPI DI SOCIETA’

I collegamenti tra società: il collegamento può riguardare i rapporti tra società che operano in posizione di autonomia, o può realizzare un rapporto di dipendenza tra una società ed una altra. Figure di collegamento che si realizzano nei rapporti tra società autonome sono quelle che vanno sotto il nome di partecipazioni rilevanti, reciproche o di società collegate; figure di collegamento del secondo tipo invece sono

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quelle che si realizzano nel fenomeno del controllo. Tute queste figure rilevano in quanto importano il determinarsi di una posizione di potere di una società in una altra o di una posizione di potere reciproca tra le due società; nella posizione di controllo questa posizione di potere è tale che la società controllante determina integralmente la politica economica della società controllata. Da tale posizione di potere deriva la possibilità, di un coordinamento della azione economica di più organizzazioni giuridicamente autonome. Ma questa posizione di per sé non è sufficiente, occorre un altro elemento economico, che consenta una azione di gruppo, e la prosecuzione di un interesse di gruppo contemporaneamente alla azione delle singole società e alla prosecuzione dell’interesse di ciascuna di esse.

IL FENOMENO DI GRUPPO

Le società per azioni possono sottoscrivere od acquistare azioni o quote di altre società di capitali.

L’assunzione di partecipazioni è lo strumento principale attraverso il quale di realizza il fenomeno dei gruppi di società.

Nozione

Il gruppo di società è un’aggregazione di imprese societarie formalmente autonome ed indipendenti l’una dall’altra, ma assoggettate tutte ad una direzione unitaria, in quanto sono tutte sotto l’influenza di una società capogruppo che, direttamente o indirettamente, le controllo e dirige per il perseguimento di uno scopo unitario (interesse di gruppo). L’impresa rimane economicamente unica, perché unitaria è la sua azione economica, ma giuridicamente l’unità della impresa si risolve nella pluralità delle organizzazioni autonome anche se funzionalmente collegate. Il controllo organico si realizza su base contrattuale, ma a volte anche al di fuori di un contratto formale, per effetto di una aggregazione spontanea ma pur sempre voluta di una pluralità di imprese.

Vantaggi

Il gruppo di società è l’assetto organizzativo assunto dalle imprese di grande dimensione, a carattere sia nazionale sia multinazionale, per combinare i vantaggi dell’unità economica della grande impresa con quelle offerti dall’articolazione in più strutture formalmente distinte ed autonome, cioè snellezza operativa e delimitazione del rischio di impresa, e nella possibilità di conseguire la realizzazione di risultati ulteriori rispetto a quelli conseguibili dalle singole imprese. Vi deve essere quindi la possibilità di un interesse di gruppo e quindi la necessità di una integrazione dell’azione delle diverse imprese.

Configurazioni

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Il gruppo di società può assumere le più svariate configurazioni, ad esempio:

-gruppi a catena

la società capogruppo A controlla e dirige la società B, che a sua volta controlla e dirige la società C e così via

-gruppi stellari o a raggiera

la società capogruppo A controlla e dirige tutte le altre società.

Sistema italiano

Il fenomeno di gruppo era ignorato dal codice del 1942 ed ancora oggi manca (salvo che per il settore bancario) una disciplina organica. Tuttavia ci sono stati dei progressi dal 1942 ad oggi nella soluzione di alcuni problemi dei gruppi.

SOCIETA’ CONTROLLATE E DIREZIONE UNITARIA

Nozione di società controllata

Dall’art. 2359 cc e da una serie di definizioni contenute in leggi speciali, possiamo ricavare che la società controllata è la società che si trova, direttamente o indirettamente, sotto l’influenza dominante di altra società (controllante), che è perciò in grado di indirizzarne l’attività. L’azione della società controllata può essere concretamente determinata dalla società o ente controllante. Il controllo esprime una particolare posizione per effetto della quale, un soggetto è in grado di improntare con la propria volontà l’attività economica di altra società. questa situazione può verificarsi per cause diverse:

Forme del controllo societario

Il controllo societario può assumere diverse forme:

a)controllo azionario di diritto

è controllata la società in cui un’altra società dispone di più della metà delle azioni con diritto di voto nelle assemblee ordinarie. La società controllante è quindi in grado di nominare gli amministratori della controllata

b)controllo azionario di fatto

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è società controllata la società in cui un’altra società dispone dei voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria. Questa ipotesi può verificarsi, sia perché la società controllata ha emesso azioni a voto limitato o addirittura prive del diritto di voto, come le azioni di risparmio, sia perché in conseguenza di una distribuzione molto frazionata del capitale della società e del disinteresse degli azionisti, è sufficiente una minoranza organizzata talora esigua per amministrare la società e dirigerne l’attività.

c)controllo contrattuale

si considerano controllate le società che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali. Es. la società A fornisce alla società B materie prime, non agevolmente sostituibili con altre. Questa ipotesi si verifica quando sulla base di rapporti contrattuali, l’amministrazione della società è affidata sostanzialmente al finanziatore, affittuario o fornitore.

La dottrina distingue queste diverse ipotesi, contrapponendo un controllo interno ( che si attua tramite la partecipazione sociale), ad un controllo esterno ( che si attua sulla base di un rapporto contrattuale); un controllo di diritto ( che si attua in conseguenza ad una partecipazione la quale giuridicamente attribuisce la maggioranza dei voti nella assemblea ordinaria), a un controllo di fatto ( che consegue da una partecipazione che solo di fatto, cioè in conseguenza del disinteresse degli azionisti, permette di far valere la propria volontà nella assemblea.

Controllo azionario indiretto. Ai fini del controllo azionario (di diritto o di fatto) si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta, con esclusione dei voti spettanti per conto di terzi.

Il controllo azionario può quindi essere non solo diretto ma anche indiretto.

Es. se A controlla B che a sua volta controlla C, quest’ultima si considera controllata indirettamente da A.

La situazione di controllo, determina particolari problemi, soprattutto in ordine al funzionamento degli organi sociali. Il collegamento tra le due società, può essere solo unilaterale o invece può essere reciproco, a seconda che sia solo la società controllante a partecipare al capitale della società controllata, o invece questa partecipi come le è consentito al capitale della società controllante. Nel primo caso i problemi riguardano solo la società controllata, nel secondo anche quella controllante. Questo ultimo ordine di problemi è stato risolto nel senso che la società controllata, non può esercitare il diritto di voto nella assemblea della controllante. Questa soluzione nega che la società controllata sia un centro di interessi autonomo rispetto alla controllante e preclude l’esigenza, che pure essa possa contribuire alle scelte della controllante stessa e quindi alla formazione della politica di gruppo. Invece il primo ordine di problemi che riguarda la società controllata discende dal fatto che è una realtà insopprimibile, quella dell’instaurarsi di rapporti tra società dello stesso gruppo: saranno rapporti di fornitura, di finanziamento, ma un fenomeno di integrazione economica, non può prescinderne. Orbene , questi rapporti potendo intercorrere tra società controllate e tra società controllate e controllanti, sono tutti

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determinati da queste ultime e ispirati più che all’interesse delle società che li pongono in essere, all’interesse di gruppo, di cui le singole società sono strumento: il quale interesse può coincidere come non coincidere con quello della singola società. è del pari una realtà insopprimibile che tra società controllate o tra società controllante e controllata si attuino aumenti di capitale, fusioni, concentrazioni di aziende, le cui condizioni sono naturalmente determinate dalla società controllante. Data questa realtà sussiste una duplice esigenza: quella di non impedire il compimento di atti che rispondono ad una fisiologica esigenza di gruppo, e quella di non consentire che si profitti della posizione di controllo per sacrificare gli interessi degli azionisti estranei al gruppo che, nella ipotesi di controllo di fatto , possono addirittura rappresentare la maggioranza. Il contemperamento di queste esigenze, per molto tempo doveva ricercarsi nelle disposizioni generali in tema di conflitto di interessi del socio o dell’amministratore. Era chiaro che, se queste disposizioni fossero state interpretate in un modo meramente formale, si sarebbe assistito ad una esclusione della possibilità di ogni atto tra società di gruppo. Gli amministratori infatti della società controllata sono espressione di quella controllante e strumento della politica di gruppo. Pertanto da un punto di vista formale si sarebbero venuti a trovare in una posizione di conflitto ogni qual volta che si fosse trattato di deliberare su un rapporto tra società controllante e controllata. Questa soluzione sarebbe contestabile: in primo luogo perché la disciplina degli articoli 2373 e 2391 non ha riguardo ad una situazione formale, in ogni caso l’impugnativa della deliberazione assembleare e del consiglio non è data solo per il fatto che essa sia stata adottata con il voto determinante del socio o dell’amministratore in posizione di conflitto , ma presuppone che la deliberazione possa recar danno alla società. d’altra parte bisogna considerare che il fenomeno di gruppo si caratterizza in quanto gli interessi con esso perseguiti si puntualizzano non tanto sul compimento del singolo atto, quanto sul piano della attività. Perciò il legislatore ha introdotto una disciplina generale, applicabile a tutte le società, relativa all’esercizio da parte della società o di un ente della attività di direzione e coordinamento di altra società, quella attività nella quale tipicamente si esprime il potere di controllo: ed infatti la legge presume che la società che detiene il controllo eserciti siffatta attività nei confronti della società controllata e precisa che la disciplina si applica anche quando tale attività è esercitata sulla base di un contratto. La disciplina generale finisce col sovrapporsi assorbendola, a quella dettata dalle disposizioni in tema di conflitto di interessi.

Società collegate

Dalle società controllate vanno tenute distinte le società collegate, cioè quelle sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole ma non dominante. Questa nozione si volge soprattutto ai rapporti intercorrenti tra più società e non è quindi utilizzabile, a differenza di quanto avviene con quella di partecipazione rilevante, nel caso di partecipazione da parte di una persona fisica. Variando la normativa in tema di bilancio, varia anche la nozione stessa di società collegata. Nel sistema introdotto con la legge del 1974, ove si trattava della prescrizione che al bilancio della società fosse allegato un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell’ultimo bilancio approvato dalle società collegate, era logico che la misura della partecipazione atta ad individuare un collegamento tra società fosse determinata con riferimento all’intero capitale sociale e quindi anche alle azioni prive di diritto di voto. Però nel sistema derivato dall’attuazione delle direttive comunitarie in tema di bilancio, si

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adotta una prospettiva diversa. Perciò la nozione è ora imperniata sul concetto di influenza notevole, e nello stabilire un criterio presuntivo per il suo accertamento, non si fa più riferimento alla partecipazione al capitale, ma alla quota di voti, di cui si può disporre nella assemblea ordinaria. Inoltre non si prevedevano ipotesi di collegamento indiretto. Essa si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato, direttamente o indirettamente, almeno 1/5 dei voti, ovvero 1/10 se la società partecipata ha azioni quotate in mercati regolamentati.

LA DISCIPLINA DELLA ATTIVITA’ DI DIREZIONE E COORDINAMENTO DI SOCIETA’:

La differenza tra la nuova disciplina generale e quella relativa al conflitto di interessi si nota in vari punti, e sotto vari aspetti:

Divieti a carico delle controllate

In presenza di una situazione di controllo, scattano limitazioni e divieti a carico delle società controllate. Sono limitate al 10% del capitale della controllante le azioni che possono essere possedute dalle società facenti parte di uno stesso gruppo. Viene poi inibito alle controllate l’esercizio del diritto di voto anche per le azioni legittimamente possedute.

Informazione contabile del gruppo

Scattano in sede di redazione del bilancio di esercizio obblighi di informazione contabile, sia a carico della società controllante, sia a carico delle società controllate, volti ad evidenziare i reciproci rapporti di partecipazione e finanziari, nonché i relativi risultati economici.

Bilancio consolidato di gruppo

Il quadro è stato completato con l’introduzione del bilancio consolidato di gruppo, il quale consente di conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo consolidato unitariamente.

LA TUTELA DEI SOCI E DEI CREDITORI DELLE SOCIETA’ CONTROLLATE

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Passi avanti sono stati compiuti con la riforma del 2003 anche per quanto riguarda la tutela degli azionisti esterni e dei creditori delle società controllate contro possibili abusi della controllante, che induca le prime al compimento di atti vantaggiosi per il gruppo unitariamente considerato, ma pregiudizievoli per il proprio patrimonio. Es. acquisto a prezzi superiori a quelli di mercato di prodotti della società capogruppo.

Distinta soggettività

Resta fermo il principio della distinta soggettività e della formale indipendenza giuridica delle società del gruppo. L’indipendenza formale porta ad escludere che la capogruppo sia responsabile per le obbligazioni assunte dalle controllate. Comporta anche che la capogruppo non può imporre alle società figlie il compimento di atti che contrastino con i loro interessi.

Contro eventuali abusi della capogruppo restano azionabili i rimedi previsti dalla disciplina societaria, cioè le norme in tema di conflitto di interessi dei soci (art. 2373 cc) e degli amministratori (art. 2391 cc); nonché quelle che regolano la responsabilità degli amministratori per i danni da essi arrecati al patrimonio sociale (artt. 2392-2395 cc).

Tuttavia sono norme non del tutto adeguate al fenomeno dei gruppi.

La riforma del 2003, di fronte a questa situazione, ha introdotto specifici strumenti di tutela a favore degli azionisti di minoranza e dei creditori delle società controllate.

Motivazione delle decisioni

L’art. 2497 ter cc stabilisce che le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, che risultano influenzate dalla stessa attività, devono essere analiticamente motivate, e recare l’indicazione delle ragioni e degli interessi che hanno inciso su di esse, delle quali inoltre la relazione sulla gestione deve dare adeguato conto: nel caso di società quotate gli amministratori devono riferire all’organo di controllo.

Finanziamenti Una specifica disciplina è poi dettata per i finanziamenti concessi alle società controllate dalla capogruppo o da altri soggetti alla stessa sottoposti (art. 2497 quinquies cc), al fine di evitare che un eccessivo indebitamento danneggi i creditori sociali. Infatti qualora i finanziamenti siano stati concessi in un periodo in cui risulta eccessivo uno squilibrio eccessivo di indebitamento della società controllata rispetto al suo patrimonio netto, oppure tale società versi in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento, il loro

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rimborso è postergato alla soddisfazione degli altri creditori sociali, e se avvenuto nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento , deve essere restituito.

Pubblicità: la legge prevede specifici adempimenti pubblicitari, volti a segnalare all’intero mercato il fatto stesso di essere soggetti ad attività di direzione e coordinamento, vale a dire l’appartenenza ad un gruppo, inoltre la legge prescrive alla società di indicare, negli atti e nella corrispondenza la società che esercita nei suoi confronti l’attività di direzione e coordinamento e di iscriversi in una apposita sezione del registro delle imprese. Inoltre la legge richiede una integrazione del contenuto delle scritture contabili della società soggetta alla attività di direzione e coordinamento, i suoi amministratori devono indicare in essa anche i rapporti intercorsi con chi esercita tale attività e con le altre società ad essa soggette, come pure l’effetto che l’attività ha avuto sull’esercizio della impresa e sui suoi risultati.( 2497 bis).

Responsabilità della capogruppo

La società capogruppo è tenuta ad indennizzare direttamente azionisti e creditori delle società controllate per i danni dagli stessi subiti per il fatto che la propria scelta si è attenuta alle direttive di gruppo lesive del proprio patrimonio.

Ferma restando l’azione di risarcimento danni spettante alla società controllata, è stabilito che le società che violano i principi di corretta gestione delle società soggette alla loro attività di direzione e coordinamento sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio sociale (art. 2497 1° comma cc). Tale responsabilità viene però esclusa quando il pregiudizio sia venuto meno alla luce del risultato complessivo della attività di direzione e coordinamento oppure sia stato integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette. È chiara dunque la differente prospettiva in tema di conflitto di interessi, qui non si considera il singolo comportamento , ma l’intera attività. Rispondono in solido con la capogruppo sia coloro che abbiano preso parte al fatto lesivo (es. amministratori della capogruppo), sia coloro che ne abbiano consapevolmente tratto beneficio (es. altre società del gruppo) nei limiti del vantaggio conseguito. ( 2497 2 comma). Si tratta di una regola volta a permettere ai soci ed ai creditori di una società danneggiata da scorrette politiche di gruppo, di agire direttamente nei confronti di una altra società che le stesse politiche hanno invece arricchito: una società che dunque in quanto soggetta alla medesima attività di direzione e coordinamento, deve essere risarcita del danno proveniente non da una singola operazione, ma derivante dalla intera attività complessivamente considerata. L’azione esercitata dai soci e dai creditori sociali è azione diretta e non surrogatoria di quella che eventualmente spetta alla società controllata, per cui il risarcimento dei danni spetta direttamente ai primi e non alla seconda. Tuttavia, poiché il danno subito dai soci o dai creditori della società controllata è un riflesso del danno subito da quest’ultima, l’azione di risarcimento danni nei confronti della capogruppo è esperibile solo se essi non sono stati soddisfatti dalla società controllata. L’azione risarcitoria esercitata dai soci, potrebbe smentire il principio secondo cui una loro azione individuale non è consentita quando il danno subito è solo conseguenza indiretta del pregiudizio patrimoniale sofferto dalla società cui partecipano. Ciò si spiega in quanto se il risarcimento del danno, avvenisse a favore della società

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controllata, conseguenza sarebbe che la medesima società controllante partecipando anche essa a questa ultima, verrebbe a risarcire pro quota anche a se stessa per il danno da lei procurato. E si spiega per una caratterizzazione della vicenda in virtù, della quale sono diversamente valutati da un lato gli interessi di chi esercita l’attività di direzione e coordinamento dall’altro quelli dei suoi soci di minoranza ( soci esterni) e dei suoi creditori. L’azione del socio o del creditore sociale nei confronti dell’ente che esercita l’attività di direzione e di coordinamento è subordinata al fatto di non essere stati soddisfatti dalla società a tale ente soggetta. Il socio e il creditore sociale non hanno una vera e propria pretesa nei confronti della società controllata: per cui non pare ipotizzabile che una richiesta nei suoi confronti venga a rappresentare una sorta di onere per poter far valere la responsabilità di chi scorrettamente ha esercitato l’attività di direzione e coordinamento . Viene però riconosciuta alla società controllata la facoltà di soddisfare i propri creditori e ciò sembra delineare una situazione incongrua in cui sia la stessa società direttamente danneggiata dal’esercizio scorretto della attività a soddisfare coloro che tale danno sopportano solo indirettamente. La soluzione si comprende considerando la posizione assunta dai soci esterni entro la società controllata: una posizione che giustifica l’eventualità di una soddisfazione dei propri interessi patrimoniali anche mediante misura che realizzano un trasferimento di ricchezza dalla società a loro stessi. (2497 3 comma).

Diritto di recesso

Un’ulteriore novità della riforma del 2003 è il riconoscimento del diritto di recesso ai soci di una società soggetta ad attività di direzione e di coordinamento in presenza di eventi riguardanti la società capogruppo. A) Questo diritto di recesso è riconosciuto ai soci di una società non quotata che entra a far parte di un gruppo o ne esce, se ne deriva un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento e non venga promossa un’offerta pubblica di acquisto. B) E’ inoltre riconosciuto quando la capogruppo delibera una trasformazione che comporta il mutamento del suo scopo sociale (es. da società in associazione) o un cambiamento dell’oggetto sociale, tale da alterare le condizioni economiche della società controllata. C) E’ infine riconosciuto quando il socio della controllata abbia esercitato nei confronti della capogruppo l’azione di responsabilità prevista dall’art. 2497 quater cc ed abbia ottenuto una sentenza di condanna esecutiva.

RESPONSABILITA’ PER LE OBBLIGAZIONI DELLE SINGOLE SOCIETA’:

l’unità della impresa economica, la posizione di controllo della società capogruppo, avevano posto alla attenzione dei giuristi il problema della responsabilità del gruppo per le obbligazioni sociali assunte dalle singole società nell’esercizio della loro attività di impresa. TESI: questo problema è stato prospettato sotto due profili, quello della simulazione e quello dell’imprenditore occulto: sotto il primo profilo, si assume che la creazione di una distinta persona giuridica è una mera apparenza , non rispondente alla effettiva volontà della società capogruppo, che vuole rimanere padrona assoluta del patrimonio della società dipendente e della sua attività. Sotto il secondo profilo si assume invece che l’autonomia giuridica delle società dipendenti non vale a sottrarre la società madre alla responsabilità che consegue all’esercizio della attività , in quanto questa responsabilità non è legata alla spendita del nome,

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ma dipende dal potere di iniziativa, del quale costituisce la contropartita. Imprenditore nel fenomeno di gruppo è la società madre e pertanto su questa ricade quella responsabilità che la legge fa derivare dall’esercizio della attività di impresa. Queste tesi non hanno trovato accoglimento da parte della dottrina e della giurisprudenza, la cui tendenza assolutamente prevalente e nel senso di escludere una responsabilità di gruppo. Non basta affermare un rapporto di dipendenza economica per eliminare le conseguenze che derivano dalla autonomia giuridica , perché questo rapporto di dipendenza economica è caratteristica costante di tutte le società, nelle quali è sempre dato individuare una posizione di controllo. Quindi NON Vi E’ UNA RESPONSABILITA’ DELLA SOCIETA’ CONTROLLANTE PER LE OBBLIGAZIONI DELLA SOCIETA’ CONTROLLATA. Manca ancora oggi una disciplina del gruppo insolvente. Può tuttavia trovare applicazione la regola dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, secondo cui gli amministratori delle società dominanti sono coinvolti nella responsabilità degli amministratori delle società dominate, per i danni da questi ultimi cagionati alla propria società per il fatto di aver dato attuazione alle direttive di gruppo. Responsabilità che si cumula con quella prevista dall’art. 2497 cc a carico della stessa capogruppo per abuso di direzione e coordinamento. Sono evidenti le differenze di impostazione tra tale regola e quella dettata dal’attuale articolo 2497. Questo infatti consente ai soci e ai creditori della società controllata di agire direttamente nei confronti di quella controllante e solo eventualmente nei confronti dei suoi amministratori ed di quelli della società controllata. Su un primo punto le teorie sono divise: c’è chi ritiene che la responsabilità sussista solo con riferimento alla ipotesi delle procedure concorsuali disciplinate dalla legge e chi invece ritiene di poter estrarre dalla disposizione un principio valido generale. Inizialmente venne preferita la prima tesi, ma le cose cambiarono dopo l’introduzione della disciplina dell’articolo 2497. Essa prevede infatti che il diritto di risarcimento spettante ai soci debba essere esercitato oltre che dal curatore del fallimento o dal commissario liquidatore anche dal commissario straordinario (2497 4 comma). Quindi quando la società è soggetta a procedura concorsuale, la soddisfazione dei creditori viene perseguita mediante strumenti collettivi, consistenti nella azione esercitata dall’organo deputato alla procedura. In tale caso non vi è spazio per una azione individuale dei soci esterni. La disciplina dell’art 2497 sembra si possa applicare solo quando la società è IN BONIS, nel caso invece di sottoposizione a procedura concorsuale , il diritto conferito ai creditori può essere esercitato collettivamente tramite l’organo ad essa preposto, mentre il diritto dei soci è in certo modo assorbito dalle azioni volte a ricostruire il patrimonio della società. anche per quanto riguarda il fondamento la dottrina è divisa;vi è chi riconduce la norma alla idea della amministrazione di fatto, chi invece alla idea della liquidazione all’inadempimento. Nel sistema originario pareva preferibile la prima ipotesi, si teneva conto del fatto che gli amministratori della controllante, anche se formalmente non fanno parte del Cda delle controllate , hanno tuttavia esercitato le funzioni di amministratori. Nel nuovo sistema la natura contrattuale della responsabilità può continuare ad essere affermata con riguardo alla stessa società controllante, non anche ai suoi amministratori. : sarà semmai la prima a poter essere considerata in termini di amministrazione di fatto della controllata, non anche i secondi.

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IL GRUPPO COOPERATIVO PARITETICO

Le società cooperative possono dar vita ad organizzazioni di gruppo.

La regola una testa-un voto rende difficile che la direzione di più imprese si fondi su un rapporto di subordinazione di una società rispetto alle altre (gruppo verticale); è più diffuso nella pratica che il gruppo trovi fondamento in un accorso contrattuale, inquadrabile nello schema del consorzio fra imprenditori (art. 2602 cc), volto a dar vita ad una strategia imprenditoriale comune.

Questo fenomeno, diffuso nel settore bancario ed assicurativo, trova parziale disciplina nell’art. 2545 septies cc, dedicato al gruppo cooperativo paritetico.

Ogni cooperativa può recedere dal relativo contratto senza oneri qualora le condizioni dello scambio risultino pregiudizievoli per i propri soci.

Il contratto deve essere depositato in forma scritta presso l’albo delle società cooperative.

IL BILANCIO CONSOLIDATO DI GRUPPO

Nozione

Il bilancio consolidato, redatto dalla capogruppo in aggiunta al proprio bilancio di esercizio, rappresenta la situazione patrimoniale del gruppo considerato nella sua unità, sulla base dei bilanci di esercizio delle singole società del gruppo.

L’obbligo di redazione del bilancio consolidato di gruppo è stato introdotto dal d.lgs 127/1991, dando attuazione alla 7^ direttiva Cee di armonizzazione societaria.

Area di consolidamento

Deve essere redatto dalle società di capitali che controllano altre imprese e dalle società cooperative che controllano società di capitali.

Le imprese da considerare ai fini del consolidamento sono solo quelle controllate tramite il possesso di partecipazioni.

Sono invece escluse le imprese controllate in base a particolari vincoli contrattuali.

Esoneri

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Sono esonerati dall’obbligo di redigere il bilancio consolidato i gruppi di minore dimensione, purché nessuna delle imprese del gruppo sia una società con azioni quotate.

Nei gruppi a catena il bilancio deve essere di regola redatto solo dalla società che è al vertice del gruppo; ne sono invece esonerate le subholding (controllate che a loro volta controllano altre società) che non abbiano emesso titoli quotati in borsa.

Struttura

Il bilancio consolidato è redatto dagli amministratori della capogruppo e ha la stessa struttura del bilancio di esercizio; si articola perciò nello stato patrimoniale, nel conto economico e nella nota integrativa.

Deve inoltre essere corredato da una relazione degli amministratori contenente un’analisi della situazione dell’insieme delle imprese comprese nel consolidamento.

Anche i principi ed i criteri di redazione coincidono con quelli dettati per il bilancio di esercizi, con gli adattamenti imposti dal fatto che tale bilancio non è una aggregazione di bilanci di esercizio delle singole imprese, ma deve rappresentare la situazione del complesso delle imprese costituenti il gruppo, come se si trattasse di un’unica impresa.

Ciò comporta l’eliminazione dei rapporti interni al gruppo; in particolare no sono inserite nel bilancio consolidato le seguenti voci:

1)le partecipazioni della controllante in imprese incluse nel consolidamento

2)i crediti e debiti fra le imprese incluse nel consolidamento

3)i proventi ed oneri relativi ad operazioni effettuate fra le stesse

4)gli utili e le perdite conseguenti.

Procedimento di formazione

La formazione del bilancio consolidato segue lo stesso procedimento previsto per il bilancio di esercizio; vi è però una differenza rappresentata dal fatto che il bilancio consolidato non è assoggettato ad approvazione da parte dell’assemblea e quindi costituisce atto degli amministratori.

Accertamento di conformità. Se la società che redige il bilancio consolidato è assoggettata a revisione contabile obbligatoria, i soci che rappresentano almeno il 5% del capitale sociale possono richiedere al tribunale di accertare la conformità del bilancio consolidato alle norme che ne disciplinano i criteri di redazione.

L’accertamento può essere richiesto anche dalla Consob, entro 6 mesi dal suo deposito.

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MODELLI ORGANIZZATIVI

ORGANI DELLA SPA

La società per azioni si caratterizza per la necessaria presenza di 3 organi, ciascuno investito per legge di specifiche funzioni e competenze:

a)l’assemblea dei soci

è un organo con funzioni esclusivamente deliberative le cui competenze sono per legge (art. 2364-2365 cc) circoscritte alle decisioni di maggior rilievo della vita sociale.

Non rientra nella sua competenza l’attività deliberativa in merito alla gestione dell’impresa sociale

b)l’organo amministrativo

ad esso è devoluta la gestione dell’impresa sociale.

Gli amministratori hanno inoltre la rappresentanza legale della società e ad essi spetta il compito di dare attuazione, sotto la propria responsabilità, alle deliberazioni dell’assemblea

c)l’organo di controllo interno

ha funzioni di controllo sull’amministrazione della società.

SISTEMI Di AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO

SISTEMA TRADIZIONALE

Per quanto riguarda l’amministrazione ed il controllo, il cc del 1942 prevedeva un sistema basato sulla presenza di 2 organi di nomina assembleare:

1)l’organo amministrativo

può essere un amministratore unico o un consiglio di amministrazione

2)il collegio sindacale

Page 219: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

inizialmente svolgeva anche funzioni di controllo contabile.

Con la riforma del 1998 per le sole società quotate e con la riforma del 2003 anche per le altre spa, il controllo contabile è stato sottratto al collegio sindacale e affidato ad un organo di controllo esterno alla società, cioè revisore contabile o società di revisione (art. 2409 bis cc).

Questo sistema, definito tradizionale, trova tuttora applicazione in mancanza di diversa previsione statutaria.

SISTEMI ALTERNATIVI

La riforma del 2003 ha affiancato al sistema tradizionale, 2 sistemi alternativi fra i quali la società può scegliere:

a)sistema dualistico (artt. 2409 octies-2409 quinquiesdecies cc)

è di ispirazione tedesca.

Con esso l’amministrazione e il controllo sono esercitati da un consiglio di sorveglianza di nomina assembleare, e da un consiglio di gestione nominato dal consiglio di sorveglianza.

Il consiglio di sorveglianza è poi investito di ulteriori competenze che nel sistema tradizionale sono proprie dell’assemblea (es. approva il bilancio)

b)sistema monistico (artt. 2409 sexiesdecies-2409 noviesdecies cc)

è di ispirazione anglosassone.

Con esso l’amministrazione ed il controllo sono esercitati rispettivamente dal consiglio di amministrazione nominato dall’assemblea e da un comitato per il controllo sulla gestione costituito al suo interno ed i cui componenti devono essere dotati di requisiti di indipendenza e professionalità.

Anche per le società che adottano il sistema dualistico o monastico è poi previsto il controllo contabile esterno.

L’ASSEMBLEA

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NOZIONE E DISTINZIONI

NOZIONE

L’assemblea è l’organo composto dalle persone dei soci.

La sua funzione è quella di formare la volontà della società nelle materie riservate alla sua competenza dalla legge o dall’atto costitutivo. La funzione decisionale dei soci, si svolge mediante lo strumento della deliberazione, ma non sempre esso è il risultato di un procedimento collegiale caratterizzato dalla riunione dei soci in apposita adunanza. Questa regola della collegialità, può subire in virtù della scelta della autonomia statutaria delle deroghe parziali e può addirittura nelle s.r.l., essere eliminata per una ampia serie di decisioni. Per la società per azioni è stata generalizzata la possibilità di un voto per corrispondenza, un tempo prevista solo per le società cooperative e soprattutto per quelle quotate. Si può consentire addirittura l’intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione, il che altera le caratteristiche tipiche del procedimento collegiale, riducendo il ruolo della discussione. Nelle s.r.l. il metodo assembleare è richiesto solo per le decisioni, riguardanti le modificazioni dell’atto costitutivo, e per quelle riguardanti il compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale statutario, o rilevante modificazione nei diritti dei singoli soci: in ordine alle altre materie l’atto costitutivo prevede che esse possano essere adottate mediante diversa tecnica: quella della consultazione scritta o consenso espresso per iscritto; Salvo il potere riconosciuto al singolo amministratore ed ai soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale ci chiedere che la decisione sia comunque adottata su base assembleare. (2479). In questo caso la terminologia legislativa discorre di decisione, che pur rappresentando sempre l’esito di un procedimento è diversa dalla deliberazione assembleare. Anche nel caso delle decisioni il socio, con il proprio consenso esercita il diritto di partecipare al procedimento esprimendo il proprio voto . E’ comunque un organo collegiale che decide secondo il principio maggioritario.La volontà dei soci riuniti in assemblea, che rappresentano determinate aliquote del capitale sociale (maggioranza di capitale) vale come volontà della società e vincola tutti i soci, anche se assenti o dissenzienti.

1^ DISTINZIONE

A seconda dell’oggetto delle deliberazioni, l’assemblea si distingue in:

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ASSEMBLEA ORDINARIA

Con la riforma del 2003, le competenze dell’assemblea ordinaria variano a seconda del sistema di amministrazione e di controllo adottato dalla società:

Sistema tradizionale o quello monastico

L’assemblea:

1)approva il bilancio

2)nomina e revoca gli amministratori, i sindaci e il presidente del collegio sindacale e, quanto previsto, il soggetto al quale è demandato il controllo contabile

3)determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito nell’atto costitutivo

4)delibera sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci

5)delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell’assemblea, nonché sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma la responsabilità di questi per gli atti compiuti

6)approva l’eventuale regolamento dei lavori assembleari (art. 2364 1° comma cc)

Con l’attuale disciplina sembra essere venuta meno la possibilità degli amministratori di sottoporre all’assemblea operazioni attinenti alla gestione commerciale, in quanto ora si afferma che la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori (art. 2380 bis 1° comma cc).

Sistema dualistico

L’assemblea ha competenze più ristrette. Rientrano comunque nella competenza dell’assemblea ordinaria tutte le deliberazioni che non sono di competenza dell’assemblea straordinaria. 1) nomina e revoca dei consiglieri di sorveglianza, 2) determina il compenso a essi spettante, se non è stabilito dallo statuto, c) delibera sulla responsabilità del consigliere di sorveglianza, 4) delibera su distribuzione degli utili, 5) nomina il revisore 6) applica secondo comma articolo 2364. (2364 bis ). Non delibera su approvazione del bilancio che deve restare di competenza del consiglio di sorveglianza ma lo statuto può prevedere che in caso di mancata approvazione del bilancio o qualora lo richieda un terzo dei componenti del consiglio di gestione o di quello di sorveglianza, la competenza per l’approvazione del bilancio sia attribuita alla assemblea( 2409).

ASSEMBLEA STRAORDINARIA

L’assemblea in sede straordinaria delibera:

1)sulle modificazioni dello statuto

Page 222: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

2)sulla nomina, sulla sostituzione e sui poteri dei liquidatori

3)su ogni altra materia attribuita dalla legge alla sua competenza (art. 2365 1° comma cc).

L’attuale disciplina amplia la possibilità che lo statuto attribuisca alla competenza dell’organo amministrativo (o del consiglio di sorveglianza o del consiglio di gestione) specifiche materie per legge riservate alla competenza dell’assemblea straordinaria.( decisioni concernenti l’incorporazione di società possedute almeno al 90% , l’istituzione o la soppressione di sedi secondarie, l’indicazione degli amministratori forniti di potere di rappresentanza, riduzione del capitale in caso di recesso del socio. (2365 2 comma).Sono previsti ulteriori casi rispetto alla disciplina previgente.

Quorum e convocazioni

Diversi sono i quorum costitutivi e deliberativi richiesti per l’assemblea ordinaria e per quella straordinaria.

Per evitare che l’assenteismo degli azionisti impedisca di deliberare, è prevista una seconda convocazione con quorum inferiori per entrambi i tipi di assemblea (art. 2369 cc).

Con l’attuale disciplina è scomparsa la previsione dell’assemblea straordinaria di terza convocazione introdotta nel 1974 per le società quotate.

Si prevede invece che in tutte le società che lo statuto può prevedere convocazioni successive qualora la seconda convocazione vada deserta.

2^ DISTINZIONE

Assemblea generale

L’assemblea è unica e generale se la società ha emesso solo azioni ordinarie

Assemblea speciale

Quando sono state emesse diverse categorie di azioni all’assemblea generale si affiancano le assemblee speciali di categoria. Sono assemblee alle quali partecipano esclusivamente i soci che sono portatori delle azioni di categoria interessata ( o i titolari di strumenti finanziari partecipativi, ossia strumenti finanziari con diritti amministrativi). Queste assemblee speciali funzionano solo nella ipotesi, in cui le deliberazioni della assemblea generale, pregiudichino i diritti di una determinata categoria di azioni, e debbono essere convocate perché in questa ipotesi la legge lo richiede, come presupposto di validità della deliberazione della assemblea generale,

Page 223: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

l’approvazione della stessa con la maggioranza richiesta per l’assemblea straordinaria da parte della assemblea speciale degli azionisti, o dei titolari di strumenti finanziari partecipativi. La disciplina delle assemblee speciali è appena accennata nel codice, ad esse si applicano le norme dettate per l’assemblea straordinaria se le azioni speciali non sono quotate (art. 2376 cc). Si applica invece la disciplina dell’assemblea degli azionisti di risparmio se le azioni speciali sono quotate (art. 147 Tuf). Lea deliberazione della assemblea speciale non ha una sua autonomia, presuppone una deliberazione della assemblea generale a cui è collegata. È discusso se le due deliberazioni costituiscano elementi singoli di un medesimo atto complesso oppure se la deliberazione della assemblea speciale, costituisca solo una condizione di efficacia, della deliberazione della assemblea generale, e rispetto a questa seconda ipotesi se derivi una inefficacia assoluta oppure solo relativa dalla mancata approvazione della assemblea speciale. Dubbia era anche l’impugnativa autonoma della deliberazione della assemblea speciale, nel caso in cui questa non fosse stata adottata in conformità alla legge o allo statuto. Si trattava di stabilire se il vizio di formazione di tale delibera dovesse essere fatto valere in sede di impugnativa della deliberazione della assemblea generale oppure se l’impugnazione potesse limitarsi ad investire l’atto della assemblea speciale. Nel sistema originario, nel quale l’assemblea speciale era composta da titolari di azioni di una certa categoria, era preferibile la prima soluzione. Attualmente in presenza di strumenti finanziai partecipativi, deve riconoscersi la possibilità di una autonomia di impugnazione, delle deliberazioni della assemblea speciale, per la ragione sociale che i titolari di strumenti partecipativi non risultano di per sé legittimati a far valere l’invalidità delle deliberazioni generali, ma ad analoga soluzione deve giungersi anche in riferimento alle deliberazioni di assemblee speciali per azioni di categoria: è infatti la legge che prevede la loro impugnazione disponendo che le percentuali di capitale richieste al fine di impugnare le deliberazioni assembleari devono essere riferite al capitale rappresentato dalle azioni di categoria. (2377). È indifferente in fine che la deliberazione della assemblea speciale preceda quella della assemblea generale.

PROCEDIMENTO ASSEMBLEARE

Nel caso di decisioni non assembleari, dei soci, di s.r.l. il problema riguarda le forme di manifestazione del loro consenso; e per il legislatore può essere sufficiente una documentazione idonea ad individuare con chiarezza l’argomento della decisione ed il consenso medesimo della stessa.( 2479 3 comma).( Documentazione che deve essere poi conservata dalla società). nel caso invece di deliberazioni assembleari, che si ha necessariamente nelle s.p.a. e nelle s.r.l. quando l’atto costitutivo non prevede l’azione di tecniche particolari( vedi art 2479 2 comma), il problema è di assicurare il principio della presenza proprio del metodo collegiale e di regolare i modi di svolgimento della riunione. Si richiede così che l’organo assembleare sia regolarmente costituito, ed i presupposti sono la convocazione della assemblea e la presenza di soci rappresentanti una determinata parte del capitale sociale.

Convocazione dell’assemblea

Page 224: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

La convocazione dell’assemblea è di regola decisa dall’organo amministrativo (o dal consiglio di gestione) che possono disporre la stessa ogni qualvolta lo ritengano opportuno. O durante la fase di liquidazione è opera dei liquidatori.

Convocazione obbligatoria

La convocazione da parte degli amministratori è obbligatoria in alcuni casi:a)gli amministratori devono convocare l’assemblea ordinaria almeno una volta all’anno, entro il termine stabilito dallo statuto che comunque non può essere superiore a 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio per consentire l’approvazione del bilancio. Lo statuto può stabilire un termine maggiore, non superiore in ogni caso a 180 giorni nel caso di società tenute alla redazione del bilancio consolidato o quando lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura e all’oggetto della società (art. 2364 2° comma cc); b) quando nel corso dell’esercizio viene a mancare la maggioranza degli amministratori, c) quando nel corso dell’esercizio non si arrivi con i supplenti a completare il collegio sindacale, d) quando il capitale sociale è stato perduto per oltre un terzo , e) quando si verifica un fatto determinante lo scioglimento della società, f) gli amministratori devono convocare l’assemblea quando ne sia fatta richiesta da tanti soci che rappresentano almeno il 10% del capitale sociale o la minor percentuale prevista dallo statuto e nella domanda siano indicati gli argomenti da trattare.

Se gli amministratori (o il consiglio di gestione) non provvedono, la convocazione è ordinata con decreto dal tribunale, il quale designa anche la persona che deve presiederla (art. 2367 cc).

Il tribunale deve preventivamente sentire l’organo amministrativo e di controllo della società e convocherà l’assemblea solo se il rifiuto degli stessi risulti ingiustificato.

Nelle società quotate, i soci che rappresentano almeno 1/40 del capitale possono chiedere l’integrazione dell’ordine del giorno di un’assemblea già convocata, con domanda da presentare entro 5 giorni dalla pubblicazione dell’avviso di convocazione.

Né la convocazione, né l’integrazione dell’ordine del giorno sono però ammesse quando si tratta di argomenti sui quali l’assemblea deve deliberare su proposta degli amministratori (es. approvazione del bilancio).

Convocazione disposta dal collegio sindacale

La convocazione dell’assemblea deve essere disposta dal collegio sindacale ogni qualvolta la convocazione sia obbligatoria e gli amministratori non vi abbiano provveduto. Il collegio sindacale può inoltre convocare l’assemblea, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, qualora nell’espletamento del suo incarico ravvisi fatti di rilevante gravità e via sia urgente necessità di provvedere (art. 2406 cc). Oppure quando vengano a cessare l’amministratore unico o tutti gli amministratori(2386). Inoltre, nelle società quotate

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il potere di convocare l’assemblea può essere esercitato anche da solo 2 membri effettivi del collegio sindacale.

Procedura di convocazione L’assemblea è convocata nel comune dove ha la sede la società se lo statuto non dispone diversamente (art. 2363 cc). Formalità per la convocazione (art. 2366 cc). La convocazione mediante avviso da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, almeno 15 giorni prima di quello fissato per l’adunanza (30 giorni per le società quotate), può essere sostituita dalla pubblicazione in almeno un quotidiano indicato dallo statuto. Inoltre lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può consentire la convocazione mediante avviso comunicato ai soci almeno 8 giorni prima, con mezzi che garantiscano la prova dell’avvenuto ricevimento (es. raccomandata).L’avviso deve contenere l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo dell’adunanza, nonché l’elenco delle materie da trattare (ordine del giorno).Nello stesso avviso può essere stabilito il giorno della seconda convocazione. L’ordine del giorno fissa e delimita la competenza della assemblea; questa non può prendere deliberazioni su materie che non siano indicate nell’ordine del giorno, o che non siano strettamente dipendenti da esse. La mancata presenza di tali formalità di convocazione, non ha per legge rilevanza quando l’assemblea è totalitaria . Assemblea totalitaria. Pur in assenza di convocazione l’assemblea è regolarmente costituita quando è rappresentato l’intero capitale sociale e partecipa all’assemblea la maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di controllo. Agli assenti deve essere data tempestiva comunicazione delle deliberazioni assunte. E’ questa l’assemblea totalitaria, che può deliberare su qualsiasi argomento, ma la sua competenza è instabile in quanto ciascuno degli intervenuti può opporsi alla discussione degli argomenti sui quali non si ritenga sufficientemente informato, impedendo cos’ che si arrivi a deliberare su quel punto. Invece per le s.r.l., si richiede che tutti gli amministratori, risultino presenti oppure ancorchè assenti, comunque informati della riunione. E siccome non sono stati specificati gli argomenti del giorno, ciascuno degli intervenuti può opporsi alla trattazione di singoli argomenti adducendo la sua insufficiente informazione, ed impedire che su di essi , in quella assemblea, si adotti una deliberazione. Nella s.r.l. la assemblea deve essere convocata dagli amministratori: a) al termine dell’esercizio sociale ed in ogni caso annualmente per l’approvazione del bilancio, b) quando ne facciano richiesta uno o più amministratori e soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale , c) quando il capitale sociale è stato perduto per oltre un terzo , d) quando si sia verificato un fatto che determina lo scioglimento della società, per le deliberazioni relative alla liquidazione.

Presidenza

Una volta costituita l’assemblea è presieduta dalla persona indicata nello statuto o, in mancanza, da quella eletta con il voto della maggioranza dei presenti. Il presidente è assistito da un segretario designato nello stesso modo. L’assistenza del segretario non è tuttavia necessaria quando il verbale dell’assemblea è redatto da un notaio

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(art. 2371 cc). La riunione si divide in due fasi; una prima fase che si accerta della regolare costituzione dell’organo, e cioè l’osservanza delle formalità di convocazione, la presenza del numero di soci necessario per deliberare sugli oggetti posti all’ordine del giorno: tutto questo accertamento è compiuto dal presidente di assemblea. Seconda fase: dove l’assemblea discute e delibera sugli oggetti posti all’ordine del giorno. In questa fase i poteri del presidenti attengono all’ordinato svolgimento dei lavori, non è invece nel potere del presidente escludere dalla assemblea un socio o dalla votazione. Rinvio dell’assemblea .Ai soci intervenuti che raggiungono 1/3 del capitale sociale rappresentato in assemblea, è riconosciuto il diritto di chiedere (ed ottenere) il rinvio dell’adunanza di non oltre 5 giorni, dichiarando di non essere sufficientemente informati sugli argomenti posti in discussione. Della riunione della assemblea deve essere redatto un verbale: Verbalizzazione Le delibere in tema di s.p.a. assembleari devono constare da verbale, sottoscritto dal presidente e dal segretario o dal notaio. Mentre nelle s.r.l. può ritenersi ammissibile il cumulo delle due funzioni nella stessa persona. Se si tratta di assemblea straordinaria, il verbale deve essere redatto da un notaio (art. 2375 cc), sia che si tratti di s.p.a. sia che si tratti di s.r.l. . ciò si comprende considerando che l’esigenza dell’atto pubblico per le deliberazioni che importano modificazioni dell’atto costitutivo trova una esatta corrispondenza nella esigenza dell’atto pubblico per la stipula dell’atto costitutivo, ma anche che la assistenza del notaio serve ad attribuire fede pubblica a quei verbali dell’assemblea che importano modificazioni dell’atto fondamentale della società. I verbali devono essere poi trascritti nell’apposito libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea, tenuto a cura degli amministratori. L’attuale disciplina opta per un alto grado di analiticità del contenuto del verbale. Il verbale deve essere redatto senza ritardo dall’assemblea, nei tempi necessari per la tempestiva esecuzione degli obblighi di deposito o di pubblicazione. Esso ha la funzione di dar conto degli accertamenti compiuti dal presidente e di far risultare le due fasi della attività assembleare e le deliberazioni prese , distinguendosi le due discipline per due aspetti: solo in tema di s.p.a. la legge prescrive analiticamente che il verbale indichi la data della assemblea, le modalità, il risultato delle votazioni, nonché su richiesta dei soci il riassunto delle loro dichiarazioni pertinenti all’ordine del giorno. La redazione del verbale è l’unico atto che presidente e segretario possono compiere ad assemblea chiusa. Conseguenza originaria della mancata redazione del verbale o della incompleta verbalizzazione è che la deliberazione deve ritenersi impugnabile in quanto presa non in conformità della legge. Ora si è stabilito invece che l’incompletezza o inesattezza del verbale comporta l’annullabilità della deliberazione solo nel caso in cui impedisca l’accertamento del contenuto , degli effetti, e della validità della deliberazione. Per altro verso la mancanza del verbale importa l’impugnabilità della deliberazione nel termine di tre anni, precisando che il verbale non si considera mancante se contiene data e oggetto della delibera e risulta sottoscritto dal presidente della assemblea e dal segretario, e notaio. Dall’altro lato la tardiva verbalizzazione, purchè eseguita prima della assemblea successiva, comporta la sanatoria della invalidità della deliberazione per mancanza del verbale : in tal caso la deliberazione ha effetto dalla data in cui è stata presa. La efficacia del verbale è identica per le assemblee ordinarie e straordinarie solo che in questa ipotesi la mancata redazione del verbale secondo le prescrizioni della legge varrà ad impedire il completamento del procedimento e cioè la iscrizione della deliberazione.

Page 227: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

COSTITUZIONE DELL’ASSEMBLEA. VALIDITA’ DELLE DELIBERAZIONI

QUORUM COSTITUTIVO E DELIBERATIVO

Quorum costitutivo è la parte del capitale sociale che deve essere rappresentata in assemblea perché questa sia regolarmente costituita. Quorum deliberativo è la parte del capitale sociale che si deve esprimere a favore di una determina deliberazione perché questa sia approvata. DISCIPLINA DEL QUORUM

La disciplina del quorum (art. 2368 e 2369 cc) è diversa per l’assemblea ordinaria e straordinaria nelle diverse convocazioni.

Assemblea ordinaria

La disciplina è identica per tutte le società per azioni.

-Prima convocazione. Quorum costitutivo: L’assemblea ordinaria in prima convocazione è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale con diritto di voto.

Essa delibera col voto favorevole della metà più una (maggioranza assoluta) delle azioni che hanno preso parte alla votazione per quella determinata delibera.

-Seconda convocazione. Non è richiesto nessun quorum costitutivo per l’assemblea ordinaria di seconda convocazione.

Le delibere sono approvate se riportano il voto favorevole della maggioranza delle azioni che hanno preso parte alla votazione.

Assemblea straordinaria

La disciplina è diversa a secondo che la società faccia o meno ricorso al mercato del capitale di rischio.

Società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio

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-Prima convocazione. Non è espressamente previsto un quorum costitutivo anche se esso risulta indirettamente dal fatto che il quorum deliberativo è rappresentato da aliquote dell’intero capitale sociale con diritto di voto e non solo del capitale intervenuto in assemblea.

Infatti in prima convocazione l’assemblea straordinaria delibera col voto favorevole di tanti soci che rappresentano più della metà del capitale sociale.

-Seconda convocazione. E’ regolarmente costituita con la partecipazione di oltre un terzo del capitale sociale e delibera con il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale rappresentato in assemblea.

Per alcune delibere di particolare importanza (es. cambiamento dell’oggetto sociale, trasformazione) è richiesta anche in seconda convocazione la maggioranza di più di un terzo del capitale sociale.

Società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio

In base all’attuale disciplina il quorum costitutivo minimo è almeno la metà del capitale sociale in prima convocazione e più di un terzo in seconda convocazione.

Per quanto riguarda i quorum deliberativi è invece stabilito che l’assemblea straordinaria delibera sia in prima che in seconda convocazione con il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale rappresentano in assemblea.

Con l’attuale disciplina sono state poi soppresse tutte le maggioranza rafforzate in precedenza richieste per delibere di particolare importanza . Autonomia statutaria. Lo statuto può modificare solo in aumento le maggioranze previste per l’assemblea ordinaria di prima convocazione e quelle dell’assemblea straordinaria.

L’attuale disciplina consente che lo statuto preveda maggioranze più elevate anche per l’assemblea ordinaria di seconda convocazione. Convocazioni successive. E’ poi consentito che lo statuto preveda convocazioni ulteriori sia dell’assemblea ordinaria che di quella straordinaria, alle quali si applicano le disposizioni della seconda convocazione. Tuttavia nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio nelle convocazioni dell’assemblea straordinaria successive alla seconda il quorum costitutivo è ridotto ad almeno un quinto del capitale sociale.

IL DIRITTO DI INTERVENTO. IL DIRITTO DI VOTO

Diritto di intervento

Siccome nelle s.p.a. è consentita la creazione di diverse categorie di azioni, può accadere che il diritto di voto sia assente per alcuni azionisti, e si pone il problema se ad essi egualmente competa quello di intervenire in assemblea.

Page 229: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Possono intervenire in assemblea (insieme ad amministratori, sindaci, rappresentante comune degli azionisti di risparmio e degli obbligazionisti) gli azionisti con diritto di voto (art. 2370 1° comma cc), nonché i soggetti che pur non essendo soci hanno diritto di voto, come l’usufruttuario o il creditore pignoratizio (art. 2352 cc).In base all’attuale disciplina il diritto di intervento non compete invece agli azionisti senza diritto di voto (es. azionisti di risparmio), eccezion fatta per il socio che ha dato le proprie azioni in pegno o in usufrutto. L’intervento deve ritenersi carattere strumentale per l’esercizio del voto: lo statuto può richiedere il preventivo deposito delle azioni presso la sede della società o presso le banche indicate nell’avviso di convocazione, fissando il termine entro il quale debbono essere depositate , e prevedendo che non possano essere ritirate prima che l’assemblea abbia avuto luogo.

Legittimazione all’intervento (art. 2370 cc)

Non è più necessario il preventivo deposito delle azioni presso la sede della società o presso le banche indicate nell’avviso di convocazione ed è venuto meno il divieto di ritiro dei titoli prima che l’assemblea abbia avuto luogo. Preventivo deposito e divieto di ritiro anticipato possono essere però previsti dallo statuto, che deve fissare anche il termine entro il quale il deposito deve avvenire; termine che per le società che fanno ricorso al mercato del capitale del rischio non può essere superiore a due giorni non festivi. Se le azioni sono nominative la società provvede alla iscrizione nel libro dei soci, di coloro che hanno partecipato all’assemblea o che hanno effettuato il deposito. Chi esprime il voto di corrispondenza si considera intervenuto all’assemblea. Per le azioni dematerializzate il deposito dei titoli è sostituito da una comunicazione dell’intermediario che tieni i relativi conti. Lo statuto può consentire l’intervento all’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione o l’espressione del voto per corrispondenza.

LA RAPPRESENTANZA IN ASSEMBLEA

Gli azionisti possono partecipare all’assemblea sia personalmente sia a mezzo di rappresentante.

La partecipazione a mezzo rappresentante è regolata da due diverse discipline: l’una applicabile a tutte le società per azioni (art. 2372 cc), l’altra applicabile in alternativa alla prima solo alle società con azioni quotate (artt. 136-144 Tuf).

Page 230: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

L’istituto della rappresentanza può prestarsi ad abusi in quanto la partecipazione indiretta alle assemblee dei piccoli azionisti finisce col rafforzare il potere del gruppo minoritario di comando della società e degli amministratori.

1)Disciplina contenuta nell’art. 2372 cc (applicabile a tutte le spa)

Per frenare l’uso distorto delle deleghe il legislatore è intervenuto nel 1974 introducendo una serie di limitazioni volte ad ostacolare la raccolta delle deleghe. La delega deve essere conferita per iscritto e deve contenere il nome del rappresentante (non può essere quindi rilasciata in bianco) che può farsi sostituire solo da altra persona indicata nella delega stessa .La società può delegare solo un proprio dipendente o collaboratore. La delega è sempre revocabile. Con la riforma del 2003 è stata circoscritta alle sole società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio la regola secondo cui la rappresentanza può essere conferita solo per singole assemblee, sia pure con effetto anche per le convocazioni successive. Tale limitazione non opera se si tratta di procura generale o conferita ad un proprio dipendente da società.

Divieti soggettivi. La rappresentanza non può essere conferita ad una serie di soggetti, espressione del gruppo di comando della società o sotto l’influenza dello stesso e cioè:

-membri degli organi amministrativi e di controllo e dipendenti della società

-società da essa controllate e membri degli organi amministrativi o di controllo o dipendenti di queste ultime.

Limitazioni numeriche. Sono state introdotte limitazioni anche per quanto riguarda il numero dei soci che la stessa persona può rappresentare in assemblea: non più di 20 soci (in precedenza 10), o se si tratta di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non più di 50, 100 o 200 soci, a seconda che il capitale della società non superi i 5 milioni di euro, non superi i 25 milioni di euro o superi quest’ultima cifra.

Queste limitazioni non sono riuscite a risolvere totalmente i problemi.

2)Disciplina contenuta negli artt. 136-144 Tuf

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Con specifico riferimento alle società per azioni quotate, si distingue tra rappresentanza conferita per singole assemblee che è la rappresentanza assembleare in senso stretto e quella risultante da procura generale. Nel primo caso si pongono i requisiti della documentazione scritta dell’atto di conferimento del relativo potere, della sua revocabilità. Sono questi requisiti richiesti per le s.p.a. ma valevoli anche per le s.r.l. . il tema della revocabilità o meno delle deleghe riguarda la disciplina del rapporto interno tra rappresentante e rappresentato : ed attiene al problema se sia consentito o no, tramite procura revocabile disporre del diritto di voto. Il problema più rilevante dunque è quello riguardante i limiti entro cui consentire l’utilizzazione di rappresentanti, per l’esercizio del diritto di voto, e dei limiti concernenti la partecipazione sociale di estranei alla deliberazione, con la connessa eventualità che su di essa influiscano interessi appunto estranei a quelli sociali. Così se per le s.p.a. , e s.r.l. è consentito dalla statuto il diritto di rappresentanza assembleare ciò è escluso per le società quotate. è consentito La riforma del 1998 ha introdotto per le sole società con azioni quotate, in alternativa alla disciplina del codice, gli istituti della sollecitazione e della raccolta delle deleghe, per i quali non operano le limitazioni soggettive e quantitative.

Alla Consob sono attribuiti poteri regolamentari e di controllo al fine di assicurare la correttezza nella raccolta delle deleghe.

Questa disciplina (come avviene nell’esperienza straniera e statunitense) non mira a scoraggiare le deleghe, ma fa in modo che i piccoli azionisti rilascino le stesse in modo consapevole, attraverso una dettagliata informazione preventiva.

Sollecitazione

La sollecitazione è la richiesta di conferimento di deleghe di voto rivolta a tutti gli azionisti da parte di uno o più soggetti (committente), che richiedono l’adesione a specifiche proposte di voto.

Il committente deve già possedere almeno l’uno per cento delle azioni con diritto di voto.

Per effettuare la sollecitazione deve necessariamente rivolgersi ad un intermediario professionale (es. banche), che effettuerà la sollecitazione per suo conto, mediante la diffusione di un prospetto e di un modulo di delega, il cui contenuto è determinato dalla Consob con proprio regolamento.

Raccolta di deleghe. La raccolta di deleghe è la richiesta di conferimento di deleghe effettuata da associazioni di azionisti esclusivamente nei confronti dei propri associati. Gli associati possono indicare nel modulo di delega come dovrà essere esercitato il proprio voto.-In entrambi i casi la delega è liberamente revocabile fino al giorno precedente l’assemblea.

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LIMITI ALL’ESERCIZIO DEL VOTO. IL CONFLITTO DI INTERESSI

Con l’esercizio del diritto di voto il socio concorre alla formazione della volontà sociale in proporzione del numero di azioni possedute.

Limiti all’esercizio del voto

Il socio deve esercitare il diritto di voto in modo da non arrecare un danno al patrimonio della società.

Infatti le deliberazioni assembleari sono annullabili se la maggioranza si sia ispirata esclusivamente ad interessi extrasociali, con danno per la società.

Questo limite si desume dalla disciplina del conflitto di interessi dettata dall’art. 2373 cc e modificata dalla riforma del 2003.

Conflitto di interessi

Versa in conflitto di interessi l’azionista che in una determinata delibera ha, per conto proprio o altrui, un interesse personale contrastante con l’interesse della società Es. l’assemblea è chiamata a deliberare sull’acquisto di un immobile di proprietà del socio.

In presenza di tale situazione al socio non è più fatto divieto di votare, come prevedeva la precedente disciplina, ma in base all’attuale testo dell’art. 2373 cc il socio è libero di votare o di astenersi, ma se vota la delibera approvata con il suo voto determinante è impugnabile a norma dell’art. 2377 cc qualora possa recare danno alla società.

Affinché la delibera sia annullabile è necessario che ricorrano due condizioni:

a)il voto del socio in conflitto di interessi sia stato determinante (prova di resistenza)

b)la delibera possa danneggiare la società (danno potenziale).

Se non ricorre quest’ultima condizione la delibera resta inattaccabile anche se approvata col voto determinante del socio in conflitto di interessi.

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Ipotesi tipiche. L’art. 2373 2° comma cc prevede due ipotesi tipiche di conflitto di interessi:

-divieto per i soci amministratori di votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità

-divieto, nel sistema dualistico, per i soci componenti del consiglio di gestione di votare nelle deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza.

Abusi a danno della minoranza. Può accadere che una deliberazione sia adottata dalla maggioranza per danneggiare non il patrimonio sociale, bensì i soci di minoranza.

Es. 1 la maggioranza delibera di aumentare il capitale sociale a pagamento al solo fine di ridurre la quota di partecipazione di un socio di minoranza impossibilitato a sottoscrivere

l’aumento.

Es. 2 la maggioranza delibera lo scioglimento anticipato della società per ricostituirne subito dopo un’altra senza un socio sgradito.

In questi casi l’art. 2373 cc non è invocabile dato che la società non subisce alcun danno.

Dottrina e giurisprudenza desumono dal principio generale di correttezza e buona fede nell’attuazione del contratto (art. 1375 cc) l’annullabilità della delibera quando la stessa sia ispirata dal solo scopo di danneggiare singoli soci.

Sono tuttavia casi rari.

I SINDACATI DI VOTO

I sindacati di voto sono accordi con i quali alcuni soci si impegnano a concordare preventivamente il modo in cui votare in assemblea.

Tipologia

Possono avere carattere occasionale o permanente.

In questo secondo caso possono essere a tempo determinato o a tempo indeterminato, nonché riguardare tutte le delibere assembleari o soltanto quelle di un determinato tipo.

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Si può poi stabilire che il modo come votare sarà deciso all’unanimità o a maggioranza dei soci sindacati.

Funzione

Vantaggi. Se i soci sindacati vengono a costituire il gruppo di comando, il patto di sindacato consente di dare stabilità di indirizzo alla condotta della società.

Quando è stipulato fra soci di minoranza, l’accordo di sindacato consente invece una migliore difesa dei comuni interessi.

Svantaggi. I sindacati di controllo cristallizzano il gruppo di controllo.

Inoltre con essi il procedimento assembleare finisce con l’essere rispettato solo formalmente, dato che le decisioni vengono prese prima e fuori dell’assemblea.

Infine se il sindacato decide a maggioranza, anche il principio maggioritario finisce col ricevere ossequio solo formale; sono sempre necessarie le maggioranza prescritte per legge per l’approvazione delle delibere, però sostanzialmente chi decide è solo maggioranza dei soci sindacati.

Irrilevanza per la società

Il sindacato di voto, come patto parasociale, è produttivo di effetti solo fra le parti e non nei confronti della società.

Perciò il voto dato in assemblea resta valido anche se espresso in violazione degli accordi di sindacato, ma il socio che ha votato in modo difforme sarà tenuto a risarcire i danni da lui arrecati agli altri aderenti al patto.

Limiti di durata

Nelle società non quotate non solo i sindacati di voto, ma anche gli altri patti relativi al governo della società, non possono avere durata superiore a 5 anni, ma sono rinnovabili alla scadenza.

Possono essere stipulati anche a tempo indeterminato, ma in tal caso ciascun contraente può recedere con un preavviso di 180 giorni (art. 2341 bis cc).

Identica è la disciplina per le società quotate e le società che le controllano, applicabile però anche ai patti di semplice consultazione, con la sola differenza che i patti a tempo determinato non possono avere durata superiore a 3 anni.

Pubblicità

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I patti parasociali sono soggetti ad un regime di pubblicità che è diverso per le società quotate (art. 122 Tuf) e per quelle non quotate che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (art. 2341 ter cc).

Società non quotate che fanno ricordo al mercato del capitale di rischio. I patti devono essere comunicati alla società e dichiarati in apertura di assemblea.

La dichiarazione deve essere trascritta nel verbale di assemblea che deve essere depositato presso l’ufficio del registro delle imprese.

L’omessa dichiarazione è sanzionata con la sospensione del diritto di voto delle azioni cui si riferisce il patto parasociale e la conseguente impugnabilità della delibera ex art. 2377 cc qualora sia stata adottata col voto determinate di tali azioni.

Società quotate. I sindacati di voto e gli altri patti parasociali previsti dall’art. 122 Tuf devono essere comunicati alla Consob, pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana e depositati presso il registro delle imprese del luogo dove la società ha la sede legale, entro brevi termini fissati per legge.

La violazione di tali obblighi comporta la nullità dei patti e la sospensione del diritto di voto relativo alle azioni sindacate.

La delibera assembleare è impugnabile, anche da parte della Consob, qualora sia stata adottata col voto determinante di tali azioni.

Nessuna forma di pubblicità è invece prevista per i patti parasociali riguardanti società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

LE DELIBERAZIONI ASSEMBLEARI INVALIDE

EFFICACIA DELLE DELIBERAZIONI ASSEMBLEARI:

Le determinazioni possono assumere rilievo nei confronti dei terzi, in quanto costituiscono il presupposto necessario della manifestazione di volontà sociale emessa da un altro organo sociale, l’organo amministrativo deputato ad operare nei confronti dei terzi ed al quale spetta l’attuazione di tali determinazioni. L’articolo 2377 dispone che le deliberazioni sono prese in conformità delle disposizioni di legge e dell’atto costitutivo, sono vincolanti per tutti i soci, Anche per gli assenti e i dissenzienti. L’efficacia generale ( EX NUNC) della deliberazione è conseguenza ineliminabile del principio maggioritario: unico mezzo perché gli effetti non si producano è di porsi al di fuori della società, il che è consentito solo in determinate ipotesi attraverso l’attribuzione al socio del diritto di recesso. Non si ha così una deroga al principio di efficacia generale delle deliberazioni assembleari. Vi sono

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tuttavia deliberazioni che devono essere sottoposte ad un regime di pubblicità legale e in tanto sono opponibili ai terzi ignari, in quanto iscritti nel registro delle imprese: tali sono le deliberazioni di nomina o revoca degli amministratori , liquidatori, e componenti organi di controllo. A volte l’efficacia della deliberazione si determina con la semplice iscrizione al registro delle imprese: talora invece l’eseguibilità della deliberazione è subordinata al decorso di un dato termine dalla iscrizione nel registro( per esempio ciò avviene per quelle di fusione, scissione , oppure riduzione del capitale sociale con riduzione del patrimonio). La sospensione della eseguibilità è rimessa al riconoscimento di un diritto di opposizione ai creditori della società e pertanto la sospensione può essere eliminata mediante prestazione di idonee garanzie per il soddisfacimento dei creditori.

Invalidità :

alcuni vizi non sono neppure ipotizzabili, come l’illiceità della causa o dei motivi: essi presuppongono un rapporto inter-soggettivo e non sono quindi riferibili ad un atto interno come la deliberazione( di causa della deliberazione non si può addirittura parlare). Sono inconcepibili vizi della volontà previsti dal codice civile per le persone fisiche; errore, dolo, e violenza: di vizi di volontà e di motivi si può parlare con riferimento ai singoli voti, in quanto si traducono oggettivamente in una anomalia del procedimento, non in riferimento alle deliberazioni. La deliberazione a volte dispone dei diritti dei terzi e dei soci, e più che di invalidità si parla in questo caso di inefficacia , mancando nella società il potere di disporre di diritti altrui , senza il loro consenso. Problemi che non sorgono in ordine ai terzi, sorgono per quanto concerne i diritti individuali dei soci: Vi sono diritti del socio indisponibili per il socio e per la società: rispetto a questi diritti non può farsi questione di formazione della deliberazione, comunque questa si formi la deliberazione è nulla , in quanto impinge contro una norma imperativa di legge, in questo caso la causa di invalidità risiede nella illiceità dell’oggetto. Vi sono diritti indisponibili da parte del socio ma non da parte della società: di questi diritti la società non può disporre con un suo atto, l’unica variante ammessa è che nel caso in cui i soci abbiano votato nella assemblea a favore della deliberazione, che importa disposizione del diritto stesso ,il socio dissenziente o assente non ha bisogno di proporre una domanda giudiziale per eliminare le conseguenze che deriverebbero dalla delibera della assemblea, perché questo atto gli è indifferente. Vi sono infine diritti del socio disponibili per la società: possono essere sottratti con una deliberazione, che non può essere impugnata solo se assunta non in conformità della legge , dello statuto e dell’atto costitutivo, in quanto sussistano vizi al processo di formazione.

L’invalidità delle delibere assembleari può essere determinata dalla violazione delle norme che regolano il procedimento assembleare o da vizi che riguardano il contenuto della delibera.

Opera la distinzione fra nullità ed annullabilità, propria della disciplina dei contratti.

Le cause di nullità e di annullabilità sono però delineate in modo diverso, dando vita ad un sistema speciale che la riforma del 2003 ha modificato.

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SISTEMA PREVIGENTE

Nel codice del 1942 la nullità si presentava come sanzione eccezionale prevista solo per le delibere aventi oggetto impossibile o illecito. I vizi del procedimento davano vita soltanto all’annullabilità della delibera. Perciò, decorso il breve termine di 3 mesi concesso per l’impugnativa, la delibera non era più contestabile per vizi procedimentali anche gravi (es. omessa convocazione). Questo era il diritto scritto nelle pagine del codice, mentre ben altro era il diritto vivente nelle aule dei tribunali.

Delibere inesistenti

La giurisprudenza introdusse, accanto alle delibere nulle ed annullabili, la categoria delle delibere inesistenti, che presentavano vizi di procedimento talmente gravi da precludere la possibilità stessa di qualificare l’atto come delibera assembleare. Esse mancavano dei requisiti minimi essenziali di una delibera assembleare e la sanzione era la nullità. Vi erano diverse opinioni sul quando una delibera era da considerarsi inesistente. Quindi c’era un sistema giurisprudenziale in cui l’incertezza regnava sovrana.

RIFORMA DEL 2003

A questa situazione ha inteso porre fine la riforma del 2003, che introduce una disciplina il cui obiettivo è quello di porre fine alla categoria giurisprudenziale delle delibere inesistenti riconducendo nelle categorie della nullità o dell’annullabilità tutti i possibili vizi delle delibere assembleari (principio di tassatività delle cause di invalidità).

La disciplina della deliberazione nulla si distingue da quella annullabile, essenzialmente per il diverso termine entro cui la relativa azione deve essere proposta: ( tre anni invece di 90 giorni), e per la diversa legittimazione a proporla( chiunque vi abbia interesse, ed invece gli amministratori e gli organi di controllo). Comune a tutte le ipotesi è la previsione di impugnabilità. Da ciò parrebbe divergere solo quanto disposto dall’articolo 2379 per le deliberazioni nulle di s.p.a. dove si prevede che la nullità possa essere rilevata d’ufficio dal giudice( disposizione che è invece assente per le s.r.l.). a tute queste ipotesi sono pure comuni la predisposizione di una tutela dei diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della delibera invalida , e la previsione che la deliberazione non può più essere invalidata quando sostituita da altra valida. Due sono le caratteristiche di fondo delle delibere 1)la loro funzione operativa: dove funzione della delibera non è di costituire rapporti giuridici e di fondare pretese ma

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bensì di rappresentare un momento dello svolgimento della attività sociale; perciò in definitiva alla pronuncia del giudice deve riconoscersi un valore costitutivo; e le loro caratteristiche strutturali in base alle quali la delibera è suscettibile di valutazione da parte dell’ordinamento in base a due rilievi, procedimento su cui è stata adottata e considerazione di quanto è stato deciso in riferimento ad essa. Le anomalie possono presentarsi in termini di vizi della forma e del contenuto. Al di là della terminologia usata, dalla legge , il fenomeno della invalidità delle deliberazioni dei soci, risulta unitario sia per le s.p.a. che per le s.r.l., dal momento che per entrambi i tipi societari vi è la fondamentale distinzione tra vizi della forma e vizi del contenuto. A questa dicotomia corrispondono due diverse discipline della impugnazione la disciplina ordinaria e quella aggravata. La differenza sta nella previsione di un termine molto più breve per l’impugnazione e nella limitazione dei soggetti legittimati a proporla. Quanto al termine in entrambi i casi è di 90 giorni. Più significativa è la differenza della legittimazione all’impugnativa . se infatti in entrambi i casi è riconosciuta agli amministratori ed agli organi di controllo , diversa è la situazione relativa ai soci. È in ogni caso escluso che possano impugnare coloro che hanno consentito alla deliberazione : l’impugnazione è diretta infatti ad escludere l’efficacia vincolante per tutti i soci ed organi che dell’ordinamento sociale fanno parte, perciò non si può fare riferimento a coloro che la deliberazione hanno posto in essere non potendosi a questi attribuire il diritto di negare alle delibere quel carattere che le hanno voluto imprimere con il loro voto favorevole. È invece diversa la situazione dei soci assenti o dissenzienti o astenuti. Per essi la disciplina legale della s.p.a. pone u ulteriore requisito, che si tratti di soci i quali possediamo anche congiuntamente azioni con diritto di voto che rappresentino una % del capitale sociale pari all’1 per mille ovvero al 5% a seconda che si faccia o meno ricorso al capitale di rischio. Solo i soci titolari di partecipazioni inferiori a quella richieste vedono sostituito il loro potere di impugnativa da un diritto di risarcimento del danno cagionato dalla illegittimità della deliberazione.

a)Delibere annullabili

L’attuale disciplina ribadisce il principio che l’annullabilità costituisce la regola per le delibere assembleari invalide.

Infatti sono annullabili tutte le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto (art. 2377 2° comma cc), mentre la sanzione della nullità scatterà solo nei 3 casi tassativamente indicati dall’art. 2379 cc.

Si specifica poi che possono dar vita solo annullabilità della delibera:

1)la partecipazione all’assemblea di persone non legittimate (es. azionisti senza voto), ma solo se tale partecipazione sia stata determinante per la regolare costituzione dell’assemblea (prova di resistenza)

2)l’invalidità dei singoli voti o il loro errato conteggio, ma solo se determinanti per il raggiungimento della maggioranza

3)l’incompletezza o inesattezza del verbale, ma solo quando impediscono l’accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della delibera.

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Soggetti legittimati

L’impugnativa delle delibere annullabili può essere proposta solo dai soggetti previsti dalla legge, cioè soci assenti, dissenzienti od astenuti, amministratori, consiglio di sorveglianza e collegio sindacale.

Legittimato è anche il rappresentante comune degli azionisti di risparmio.

La legittimazione non compete quindi ai soci che abbiano votato a favore della delibera.

In alcuni casi, tassativamente previsti, l’impugnativa può essere proposta anche dalla Consob, dalla Banca d’Italia o dall’Isvap.

Il diritto di impugnativa non è più riconosciuto ad ogni socio con diritto di voto.

In base all’attuale disciplina legittimati all’impugnativa sono infatti solo gli azionisti con diritto di voto che rappresentano, anche congiuntamente, l’uno per mille del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio ed il 5 per cento nelle altre.

Lo statuto può tuttavia ridurre o escludere questo requisito.

Come correttivo della limitazione del diritto di impugnativa, è riconosciuto ai soci no legittimati a proporla il diritto di chiedere il risarcimento dei danni loro cagionati dalla non conformità della delibera alla legge o all’atto costitutivo.

Termine

L’impugnativa o l’azione di risarcimento danni devono essere proposte nel termine di decadenza di 90 giorni dalla data della deliberazione o, se questa è soggetta ad iscrizione o a solo deposito nel registro delle imprese, 90 giorni dall’iscrizione o dal deposito.

Il termine è allungato a 180 giorni per la Consob, per la Banca d’Italia e per l’Isvap.

Procedimento

L’azione di annullamento è proposta davanti al tribunale del luogo dove la società ha la sede.

I soci impugnanti devono dimostrare di essere possessori al tempo dell’impugnazione del prescritto numero di azioni.

Se questo viene meno nel corso del processo a seguito di trasferimento per atto tra vivi delle azioni, il giudice non può pronunciare l’annullamento e provvede solo sul risarcimento dell’eventuale danno, ove richiesto.

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Sono predisposti accorgimenti al fine di evitare che impugnative pretestuose possano danneggiare la società.

Il tribunale può disporre in ogni momento che i soci opponenti prestino idonea garanzia per l’eventuale risarcimento danni.

Inoltre, la proposizione dell’azione non sospende di per sé l’esecuzione della delibera.

La sospensione può essere disposta su richiesta dell’impugnante.

Effetti

L’annullamento ha effetto per tutti i soci.

Restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della delibera.

Sostituzione della delibera

L’annullamento non può aver luogo se la delibera è sostituita con altra presa in conformità della legge o dell’atto costitutivo o è stata revocata dall’assemblea.

Restano salvi diritti acquistati dai terzi sulla base della deliberazione sostituita.

DISCIPLINA AGGRAVATA: l’azione non può essere proposta nei confronti di una delibera di approvazione del bilancio quando è intervenuta l’approvazione del bilancio per l’esercizio successivo.

b)Delibere nulle

Cause di nullità

La delibera è nulla sono nei 3 casi tassativamente indicati dall’art. 2379 cc.

Come per il passato sono nulle le delibere il cui oggetto è impossibile o illecito, cioè contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume (es. si delibera di non redigere il bilancio di esercizio).

Nullità si ha anche quando la delibera ha oggetto lecito ma contenuto illecito (es. l’assemblea approva un bilancio falso).

In base all’attuale disciplina la delibera assembleare è altresì nulla (ma non più inesistente) nei casi di:

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1)mancata convocazione dell’assemblea

Si precisa che:

-la convocazione non si considera mancante nel caso di irregolarità dell’avviso, se questo proviene da un componente dell’organo amministrativo o di controllo della società ed è idoneo a consentire a coloro che hanno diritto di intervenire di essere preventivamente avvertiti della convocazione e della data dell’assemblea

-l’azione di nullità non può essere esercitata da chi abbia dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell’assemblea.

2)mancanza del verbale

Si precisa che:

-il verbale non si considera mancante se contiene la data della deliberazione e il suo oggetto è sottoscritto dal presidente dell’assemblea o dal presidente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza e dal segretario o dal notaio

-la nullità per mancanza del verbale è sanata mediante verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea successiva.

Effetti

La nullità delle delibere assembleari può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata anche di ufficio dal giudice. A differenza dell’azione di nullità di diritto comune, non soggetta a prescrizione o a termini di decadenza, possono essere impugnate senza limiti di tempo solo le delibere che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili. In tutti gli altri casi è introdotto un termine di decadenza di 3 anni, che decorre dall’iscrizione o deposito nel registro delle imprese, se la deliberazione vi è soggetta, o in caso contrario dalla trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea. Inoltre, così come previsto per le delibere annullabili:-anche la dichiarazione di nullità non pregiudica i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione delle delibera -la nullità non può essere dichiarata se la delibera è sostituita con altra presa in conformità della legge.

Casi speciali

Una specifica disciplina è poi prevista per alcune delibere di particolare rilievo, quali l’aumento del capitale sociale, la riduzione reale del capitale, l’emissione di obbligazioni (art. 2379 ter cc).

Per tali delibere l’azione di nullità è soggetta al più breve termine di decadenza di 180 giorni.

In caso di mancanza di convocazione, il termine è di 90 giorni dall’approvazione del bilancio nel corso del quale la delibera è stata eseguita.

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Se si tratta di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, anche se tali termini non sono trascorsi la nullità della delibera di aumento del capitale sociale non può essere più pronunciata dopo che è stata iscritta nel registro delle imprese l’attestazione che l’aumento è stato eseguito.

L’esecuzione preclude anche la pronuncia di nullità delle deliberazioni di riduzione reale del capitale sociale e di emissione di obbligazioni.

Resta salvo il diritto al risarcimento del danno spettante ai soci e ai terzi.

Da quanto esposto emerge un sistema molto complesso.

AMMINISTRAZIONE. CONTROLLI

I SISTEMI DI AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO

La riforma del 2003 ha previsto 3 sistemi di amministrazione e di controllo:

1)sistema tradizionale

è un sistema basato sulla presenza di 2 organi entrambi di nomina assembleare, cioè l’organo amministrativo (amministratore unico o consiglio di amministrazione) ed il collegio sindacale, con funzioni circoscritte al controllo sull’amministrazione. Si pongono su una posizione di piena autonomia e reciproca. Anche se i secondi in alcuni casi sono in grado di disciplinare la gestione della società. Il controllo contabile è invece affidato ad un organo di controllo esterno alla società, cioè il revisore contabile o la società di revisione

2)sistema dualistico

è un sistema, di ispirazione tedesca, che prevede la presenza di un consiglio di sorveglianza di nomina assembleare e di un consiglio di gestione, nominato dal consiglio di sorveglianza. Ciò significa che il primo pur non direttamente partecipando alle riunioni del primo, concorre nella determinazione degli indirizzi strategici della società.

Il consiglio di sorveglianza è investito di competenze che nel sistema tradizionale sono proprie dell’assemblea (es. approva il bilancio)

3)sistema monistico

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è un sistema, di ispirazione anglosassone, nel quale l’amministrazione ed il controllo sono esercitati rispettivamente dal consiglio di amministrazione, nominato dall’assemblea, e da un comitato per il controllo sulla gestione costituito al suo interno ed i cui componenti devono essere dotati di articolati requisiti di indipendenza e professionalità. Sicchè il potere di controllo implica anche il diretto esercizio di poteri di gestione.

-Anche per le società che adottano il sistema dualistico o monastico è previsto il controllo contabile esterno.

Applicazione. Il sistema tradizionale trova applicazione in mancanza di diversa previsione statutaria.

Il sistema dualistico o quello monastico devono invece essere adottati in sede di costituzione della società o con successiva modifica statutaria.

In quest’ultimo caso, la variazione del sistema ha effetto dalla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’esercizio successivo, salvo che la delibera disponga diversamente. Comune a tutti e tre i modelli è l’esigenza che gli amministratori operino in modo collegiale, salvo il caso ammesso solo per sistema tradizionale di nomina di un amministratore unico. nelle altre ipotesi è organo pluripersonale.

SISTEMA TRADIZIONALE

ORGANO AMMINISTRATIVO

STRUTTURA E FUNZIONI

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Struttura:

La disciplina della società di capitali, si basa, su un principio di divisione del lavoro, in particolare sulla distinzione del ruolo svolto da coloro che forniscono i capitali e coloro che provvedono alla gestione della impresa sociale. perciò la funzione di amministrazione della società, assume una autonomia ben più rilevante di quanto avviene nelle società di persone. Per quanto riguarda le s.p.a. gli amministratori un tempo intesi come mandatari, si sono emancipati, ed hanno assunto il ruolo di un organo sociale dotato, di proprie ed esclusive competenze, sull’esercizio delle quali gli altri non possono in alcun modo interferire: all’organo cui partecipano i soci è solo consentito di provvedere in via diretta o indiretta alla preposizione dei soggetti che all’organo amministrativo partecipano ed alla valutazione specie in sede di approvazione del bilancio della loro attività e dei conseguenti esiti. Per cui la gestione dell’impresa sociale spetta esclusivamente agli amministratori, cui compete il potere di compiere operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale. E di conseguenza lo statuto non può attribuire alcuna competenza in ordine alla gestione della società, alla assemblea. Ferma restando la responsabilità degli amministratori per gli atti da loro compiuti. Nelle s.r.l. invece, si ammette un interesse dei soci a partecipare e contribuire alle scelte della società, quindi la posizione degli amministratori gode decisamente di minore autonomia, che porterebbe a pensare ad un ritorno alla figura del mandato giuridico. Basti pensare per ora alla possibilità che gli amministratori e i soci che rappresentano un terzo del capitale di sottoporre ai soci l’approvazione di un qualsiasi argomento, ed alla regola che estende la responsabilità degli amministratori ai soci che hanno intenzionalmente deciso ed autorizzato il compimento di atti dannosi(2476). Ciò si spiega con il fatto che per le s.p.a. , alla rigidità dei modelli organizzativi, corrisponde una rigidità della ripartizione di competenza. La legge prevede in limite di durata massimo per gli amministratori che non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi e scadono alla data di riunione della assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo esercizio della loro carica. E sono comunque rieleggibili. Nelle s.r.l. non è previsto invece alcun limite di durata della carica degli amministratori essi possono essere nominati nell’atto costitutivo per l’intera durata della società. Società per azioni non quotata. Può avere sia un amministratore unico sia una pluralità di amministratori, che formano il consiglio di amministrazione (art. 2380 bis 3° comma cc). Società quotate. Ad esse è invece imposta l’amministrazione pluripersonale, allo scopo di consentire la nomina di almeno un amministratore da parte dei soci di minoranza. Il numero di componenti del consiglio di amministrazione può essere determinato dallo statuto. Il consiglio si amministrazione può essere articolato al suo interno con la creazione di uno o più organi delegati, che danno luogo alle figure del comitato esecutivo e degli amministratori delegati (art. 2381 cc).

Funzioni

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Gli amministratori sono l’organo cui è affidata in via esclusiva la gestione dell’impresa sociale e ad essi spetta compiere tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale. non vi è quindi nessuna distinzione tra atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione; il potere degli amministratori riguarda gli uni e gli altri. Non si può fare distinzione neanche tra atti a titolo oneroso ed atti a titolo gratuito. Potere gestorio Gli amministratori deliberano su tutti gli argomenti attenenti alla gestione della società che non siano riservati dalla legge all’assemblea. È inoltre attività diretta attraverso l’utilizzazione e l’impiego produttivo del patrimonio, alla produzione di un reddito. Gli amministratori possono compiere tutti gli atti che sono inerenti alla gestione aziendale ma non possono modificarne la struttura o gli impianti, venderne o ipotecarne gli immobili, ma indubbiamente possono compiere tutti gli atti che sono inerenti al suo funzionamento nelle sue strutture attuali. Potere di rappresentanza

Gli amministratori (tutti o alcuni) hanno la rappresentanza generale della società (art. 2384 1° comma cc), cioè il potere di manifestare all’esterno la volontà sociale ponendo in essere i singoli atti giuridici in cui si concretizza l’attività sociale.

Altre funzioni -Gli amministratori convocano l’assemblea e ne fissano l’ordine del giorno.

Danno attuazione alle delibere ed hanno il dovere di impugnare quelle che violino la legge o l’atto costitutivo.

-Gli amministratori devono curare la tenuta dei libri e delle scritture contabili della società ed in particolare devono redigere annualmente il progetto di bilancio da sottoporre all’approvazione dell’assemblea.

Devono inoltre provvedere agli adempimenti pubblicitari prescritti dalla legge.

-Gli amministratori devono infine prevenire il compimento di atti pregiudizievoli per la società, o quanto meno eliminarne od attenuarne le conseguenze dannose (art. 2392 2° comma cc).

Di tutte queste funzioni gli amministratori sono investiti per legge e non per mandato dei soci.

Gli amministratori sono personalmente responsabili civilmente e penalmente dei loro doveri.

NOMINA. CESSAZIONE DELLA CARICA

Nomina

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I primi amministratori sono nominati nell’atto costitutivo. Successivamente la loro nomina compete all’assemblea ordinaria (art. 2383 1° comma cc), o al consiglio di sorveglianza. Questa regola trova eccezioni , in generale,quando la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o di gestione sia riservata ai titolari di strumenti finanziari.

La legge o lo statuto possono tuttavia riservare la nomina di uno o più amministratori allo Stato o ad enti pubblici, purchè siano titolari di una partecipazione sociale (art. 2449 cc), proporzionale al capitale sociale. oppure è previsto nelle società privatizzate la possibilità di nomina di un amministratore senza diritto di voto da parte del Ministero del tesoro.

Società quotate. Almeno un amministratore deve essere espresso dalla minoranza; a tal fine lo statuto disciplina le modalità di presentazione di liste di candidati da parte dei soci secondo i criteri fissati dalla Consob.

Inoltre almeno un componente del consiglio di amministrazione (2 se il consiglio è composto da più di 7 membri) deve essere un amministratore indipendente, cioè in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci e degli ulteriori requisiti eventualmente previsti dallo statuto. Rimane però il problema della validità di clausole, dello statuto che stabiliscono un procedimento diverso da quello legale per la formazione degli organi amministrativi e di controllo. Sono frequenti accordi tra i soci per effetto dei quali si riconosce alla minoranza il diritto di designare i propri amministratori o sindaci, o a accordi con finanziatori o contraenti. Tali accordi fin quando non si traducono in una valida clausola dello statuto, operano come contratti parasociali, in realtà sindacati di voto destinati a produrre effetti obbligatori nei rapporti tra coloro che li hanno posti in essere e non sono vincolanti per la società. diversa sarebbe la situazione se la facoltà di nomina dell’amministratore o del sindaco fosse attribuita da una clausola dello statuto che modificasse il sistema legale di nomina. Una tale clausola potrebbe dirsi valida. Nessun ostacolo trova il riconoscimento di particolari poteri alla minoranza, ostacoli che vengono trovati dal principio di nomina degli amministratori da parte di estranei poiché i poteri sociali devono trovare nella partecipazione al capitale sociale la loro base. Il legislatore ha ammesso per le società privatizzate, la tecnica del voto di lista in base alla quale votandosi per liste precostituite e non potendo la maggioranza proporre una lista per l’intero numero degli amministratori, da eleggere, risulta automaticamente la possibilità della elezione anche di nominativi compresi nella lista proposta dalla minoranza. Una soluzione ora resa obbligatoria per le società quotate, dove almeno uno degli eletti è espresso dalla lista minoranza che abbia ottenuto il maggior numero di voti. La nomina nella società di capitali, deve essere iscritta nel registro delle imprese a carico degli amministratori stessi. Entro 30 giorni dalla notizia della nomina gli amministratori debbono chiederne l’iscrizione indicando quelli che hanno la rappresentanza della società, e se il potere è attribuito in maniera disgiunta o congiunta. Il mancato adempimento comporta applicazione della sanzione. Le cause di nullità o annullamento della nomina di amministratori che hanno la rappresentanza della società non sono opponibili a terzi dopo l’adempimento della pubblicità, salvo che la società non provi che i terzi ne erano a conoscenza.

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Numero

Il numero degli amministratori è fissato nello statuto.

Questo può limitarsi ad indicare il numero minimo e massimo ed in tal caso sarà l’assemblea a fissare di volta in volta il numero degli amministratori.

Requisiti Gli amministratori possono essere soci o non soci. Specifici requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza sono richiesti da leggi speciali per gli amministratori di società che svolgono determinate attività (es. assicurativa, bancaria) o possono essere previsti dallo statuto. Tai requisiti funzionano come causa di decadenza a nomina avvenuta. (2387). Anzi nel sistema monistico almeno un terzo dei componenti del CDA deve essere in possesso se lo statuto lo prevede dei requisiti previsti dai codici. Norme particolari sono previste per le società quotate, infatti questi requisiti di indipendenza sono richiesti per almeno uno dei componenti del CDA, come pure del consiglio di gestione.

Cause di ineleggibilità e incompatibilità

Non possono essere nominati amministratori l’interdetto, l’inabilitato, il fallito o chi è stato condannato ad una pena che comporta l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l’incapacità ad esercitare uffici direttivi (art. 2382 cc). Queste cause di ineleggibilità e di decadenza valgono anche per i soci accomandatari. ( 2454). Numerose cause di incompatibilità sono previste da leggi speciali (es. membri del Parlamento, avvocati).Le cause di incompatibilità, diversamente da quelle di ineleggibilità, comportano solo che l’interessato è tenuto ad optare fra l’uno e l’altro ufficio.

Durata

La nomina degli amministratori non può essere fatta per un periodo superiore a 3 esercizi.

Essi scadono alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo esercizio della loro carica.

Essi sono rieleggibili, se l’atto costitutivo non dispone diversamente.

Cessazione dell’ufficio

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Cause

Sono cause di cessazione dall’ufficio prima della scadenza del termine:

a)la revoca da parte dell’assemblea, salvo il diritto degli amministratori al risarcimento dei danni se non sussiste una giusta causa. Solo nel caso in cui la nomina di taluno degli amministratori sia dallo statuto riservato allo stato allora il potere di revoca è sottratto alla assemblea e compete all’ente che ha nominato quell’amministratore.

b)la rinuncia (dimissioni) da parte degli amministratori

c)la decadenza dall’ufficio, ove sopravvenga una delle cause di ineleggibilità

d)la morte.

La legge non disciplina la revoca degli amministratori, per le s.r.l. .

Decorrenza

Per evitare che il verificarsi di una causa di cessazione paralizzi l’attività dell’organo amministrativo, è previsto che:

-la cessazione degli amministratori per scadenza ha effetto solo dal momento in cui l’organo amministrativo è stato ricostituito

-le dimissioni dell’amministratore hanno invece effetto immediato se rimane in carica la maggioranza degli amministratori.

Sostituzione degli amministratori

Nei casi in cui gli effetti della cessazione non sono differiti o differibili (morte, decadenza, dimissioni della minoranza degli amministratori), è dettata una particolare disciplina per la sostituzione degli amministratori mancanti (art. 2386 cc).

Sono previste 3 ipotesi:

a)se rimane in carica più della metà degli amministratori nominati dall’assemblea, i superstiti provvedono a sostituire provvisoriamente quelli venuti meno, con delibera consiliare approvata dal collegio sindacale (cooptazione).

Gli amministratori così nominati restano in carica fino alla successiva assemblea che potrà confermarli nell’ufficio o sostituirli

b)se viene a mancare più della metà degli amministratori nominati dall’assemblea, i superstiti devono convocare l’assemblea perché provveda alla sostituzione dei mancanti ed i nuovi amministratori nominati scadono con quelli in carica all’atto della nomina, se non è diversamente previsto dallo statuto o dall’assemblea

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c)se vengono a cessare tutti gli amministratori o l’amministratore unico, il collegio sindacale deve convocare con urgenza l’assemblea per la ricostituzione dell’organo amministrativo.

Nel frattempo il collegio sindacale può compiere gli atti di gestione ordinaria.

-E’ riconosciuta la validità delle clausole statutarie che prevedono la cessazione di tutti gli amministratori e la conseguente ricostruzione dell’intero collegio da parte dell’assemblea a seguito della cessazione di alcuni amministratori (clausole simul stabunt simul cadent). Tale sistema adottato per le s.p.a. che hanno adottato il sistema tradizionale vale anche per quelle che hanno adottato sistema monistico, in quello dualistico invece, alla sostituzione dei componenti del consiglio di gestione, provvede senza indugio il consiglio di sorveglianza. (2409).

Pubblicità

La nomina e la cessazione dalla carica degli amministratori è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese.

COMPENSO. DIVIETI

Compenso

Gli amministratori hanno diritto ad un compenso per la loro attività (art. 2389 cc).

Questo può consistere anche in una partecipazione agli utili della società o nell’attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione (stock options).

Modalità e misura del compenso sono determinati dall’atto costitutivo o dall’assemblea all’atto della nomina.

Per gli amministratori investiti di particolari cariche (es. amministratore delegato), la remunerazione è invece stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere

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del collegio sindacale. Se lo statuto lo prevede l’assemblea può determinare l’importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori.

Divieto di concorrenza

Per prevenire situazioni di antagonismo e di conflitto di interessi, gli amministratori di società per azioni non possono assumere la qualità di soci a responsabilità illimitata in società concorrenti, né esercitare un’attività concorrente per conto proprio o altrui, né essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, salva l’autorizzazione dell’assemblea (art. 2390 cc).

L’inosservanza del divieto espone l’amministratore alla revoca dall’ufficio per giusta causa ed al risarcimento degli eventuali danni arrecati alla società.

IL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

La società per azioni può avere sia un amministratore unico, sia una pluralità di amministratori.

Il consiglio di amministrazione è retto da un presidente scelto dallo stesso consiglio fra i suoi membri, qualora non sia già stato nominato dall’assemblea.

Le decisioni del consiglio devono essere adottate in riunioni alle quali devono assistere ai sindaci (art. 2405 cc).

La riforma del 2003 ha colmato la disciplina del consiglio di amministrazione dettata dal codice del 1942.

Lo statuto può ora prevedere che le riunioni del consiglio di amministrazione avvengano anche mediante mezzi di telecomunicazione.

Presidente

E’ stabilito che, se lo statuto non dispone diversamente, il consiglio di amministrazione è convocato dal presidente, il quale ne fissa anche l’ordine del giorno, provvedendo che tutti i consiglieri ne risultino informati sulle materie scritte e ne coordina i lavori.

Delibere consiliari

Per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza della maggioranza degli amministratori in carica, salvo che lo statuto non

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richieda un quorum costitutivo più elevato. Le deliberazioni sono approvate se riportano il voto favorevole della maggioranza assoluta dei presenti (voto per teste). L’atto costitutivo può stabilire una diversa maggioranza. Non è ammesso il voto per rappresentanza. Le deliberazioni adottate devono risultare dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di sorveglianza. Nel sistema originario del codice, mancava una disciplina generale riguardo ai vizi di formazione e di contenuto.

Invalidità delle delibere consiliari

La riforma del 2003 ha modificato la disciplina dell’invalidità delle deliberazione del consiglio di amministrazione, la cui impugnazione era in passato consentita solo nel caso in cui la delibera fosse stata adottata col voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi (ex art. 2391 cc).

Era controverso se nei confronti delle stesse fosse proponibile azione di nullità o di annullabilità per vizi di procedimento o di contenuto diversi dal conflitto di interessi, ovvero se in tal caso le delibere fossero inattaccabili, dando luogo solo a sanzioni alternative nei confronti degli amministratori (es. azione di responsabilità). Il problema sorgeva perché, mentre la deliberazione dei soci data la sua efficacia interna non è destinata a tradursi in atto esterno, la deliberazione del consiglio non è fine a se stessa ma di consueto costituisce il compimento di un atto con i terzi: per modo che l’invalidità della deliberazione si traduce nella invalidità dell’atto posto in essere dalla società e quindi può essere fatta valere, indirettamente attraverso l’impugnazione dell’atto posto in essere dalla società. tuttavia non sempre la deliberazione è presupposto di un atto della società con i terzi: né quando la deliberazione costituisce il presupposto di un atto esterno si può ritenere che la invalidità della delibera del consiglio si traduca senza altro in una invalidità dell’atto, sì che manchi la ragione di una autonoma impugnazione. Perciò in sede di riforma,

L’attuale disciplina ha optato per la prima impostazione ampliando la categoria delle delibere consiliari annullabili, mentre non sono previste cause di nullità. Ed ha perciò introdotto una disciplina generale dell’invalidità delle deliberazioni emesse dal CDA o dal consiglio di gestione delle s.p.a., mancando invece tale disciplina per le s.r.l.., ove continua ad essere regolata solo l’ipotesi del conflitto di interessi.

L’art. 2388 4° comma cc prevede che possono essere impugnate tutte le delibere del consiglio di amministrazione che non sono prese in conformità della legge o dello statuto.

L’impugnativa può essere proposta dagli amministratori assenti o dissenzienti e dal collegio sindacale entro 90 giorni dalla data della deliberazione.

Si applica in quanto compatibile la disciplina del procedimento di impugnazione prevista per le delibere assembleari.

Inoltre, quando la delibera consiliare leda direttamente un diritto soggettivo del socio questi avrà diritto di agire giudizialmente per far annullare la delibera.

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L’annullamento delle delibere consiliari non pregiudica i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione delle stesse.

Una più rigorosa disciplina è stata introdotta per il conflitto di interessi degli amministratori (art. 2391 cc).

Interessi degli amministratori

L’amministratore che in una determinata operazione ha, per conto proprio o di terzi, un interesse non necessariamente in conflitto con quello della società:, invece per le s.r.l. deriva una considerazione esclusiva della situazione di conflitto di interessi.

-deve darne notizia agli altri amministratori ed al collegio sindacale

-se si tratta di amministratore delegato, deve astenersi dal compiere l’operazione investendo della stessa l’organo collegiale competente (consiglio di amministrazione o comitato esecutivo)

-il consiglio di amministrazione deve motivare la convenienza per la società dell’operazione.

La delibera del consiglio di amministrazione (o del comitato esecutivo), qualora possa recare danno alla società, è impugnabile non solo quando l’amministratore interessato ha votato ed il suo voto è stato determinante, ma anche quando sono stati violati gli obblighi sopra indicati.

L’impugnazione può essere proposta, entro 90 giorni dalla data della delibera, dal collegio sindacale, dagli amministratori assenti e dissenzienti, nonché dagli stessi amministratori che hanno votato a favore se l’amministratore interessato non abbia adempiuto gli obblighi di informazione.

La società può inoltre agire contro l’amministratore per il risarcimento dei danni arrecati dalla sua azione o omissione.

L’amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dall’utilizzazione di opportunità di affari appresi nell’esercizio del suo incarico, così sottolineandosi che l’amministratore non può approfittare della propria posizione per conseguire vantaggi a danno della società. Nelle s.p.a. sorgono per gli amministratori, obblighi di comportamento per in ogni caso in cui abbiano un interesse in una operazione della società, non importa se configgente o concorrente, con quello della medesima ; mentre nella s.r.l. il legislatore individua solo il problema che consiste nello evitare che l’amministratore operi a danno della società al fine di avvantaggiarsi. La posizione degli amministratori è simile a quella del mandatario, che può avere un interesse proprio nella cura dell’interesse altrui ed il cui dovere è solo quello di non pregiudicarlo a proprio vantaggio, mentre la posizione degli amministratori nelle s.p.a. è quella di soggetti che prestano loro opera professionale, nella gestione della società secondo un atteggiamento di neutralità sostanziale, rispetto ai propri interessi personali. Perciò l’art 2391 pone una esigenza di trasparenza, l’obbligo dell’ amministratore interessato a dare notizia agli altri amministratori del proprio interesse. Altra differenza tra s.p.a. e s.r.l. è che in questa

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ultima l’invalidità delle deliberazione presuppone un danno effettivo patrimoniale della società, mentre tale danno è sufficiente che sia potenziale per le s.p.a. .

Operazioni con parti correlate

Con riferimento alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio per le operazioni con parti correlate, cioè realizzate con i soggetti indicati dalla Consob, rispetto ai quali il rischio di conflitto d’interessi degli amministratori è maggiore, l’art. 2391 bis cc prevede che l’organo di amministrazione adotti regole che assicurino la trasparenza e la correttezza delle decisioni, ed è possibile anche prevedere l’assistenza di esperti indipendenti.

COMITATO ESECUTIVO. AMMINISTRATORI DELEGATI

Nelle società per azioni di maggiori dimensioni è frequente un’articolazione interna del consiglio di amministrazione per rendere più efficiente la gestione dell’impresa sociale.

Se l’atto costitutivo o l’assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può infatti delegare le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo ovvero ad uno o più amministratori delegati (art. 2381 cc). Nel sistema dualistico invece, il consiglio di gestione può delegare, le proprie attribuzioni ad uno o più dei suoi componenti solo singolarmente e non anche collegialmente.

Comitato esecutivo

Il comitato esecutivo è un organo collegiale.

Le sue decisioni sono adottate in riunioni alle quali devono assistere i sindaci.

Le relative deliberazioni devono risultare da un apposito libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo.

Amministratori delegati

Gli amministratori delegati sono invece organi unipersonali.

Se vi sono più amministratori delegati, essi agiscono disgiuntamente o congiuntamente, a seconda di quanto stabilito nello statuto o nell’atto di nomina.

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Agli amministratori delegati è di regola affidata la rappresentanza della società.

E’ possibile la coesistenza di un comitato esecutivo e di uno o più amministratori delegati.

Delega. Limiti

I membri del comitato esecutivo e gli amministratori delegati sono designati dal consiglio di amministrazione, che determina l’ambito della delega.

Non possono essere delegati:

-la redazione del bilancio di esercizio

-la facoltà di aumentare il capitale sociale e di emettere obbligazioni convertibili per delega

-gli adempimenti posti a carico degli amministratori in caso di riduzione obbligatoria del capitale sociale per perdite

-la redazione del progetto di fusione o di scissione.

Con la concessione della delega larga parte della gestione della società è svolta dagli organi delegati.

Doveri degli organi delegati

Si stabilisce che gli organi delegati:

-curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società sia adeguato ala natura e alle dimensioni dell’impresa

-riferiscono periodicamente, in ogni caso almeno ogni 6 mesi, al consiglio di amministrazione ed al collegio sindacale sull’andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione.

Doveri degli altri amministratori

Gli amministratori possono chiedere agli organi delegati che siano fornite in consiglio informazioni relative alla gestione della società.

Il consiglio può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega.

LA RAPPRESENTANZA DELLA SOCIETA’

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Fra le funzioni dell’organo amministrativo vi è quella di rappresentanza della società.

Nel caso di amministratore unico, al potere di amministrazione necessariamente corrisponde il potere di rappresentanza della società, invece quando esiste il CDA il potere di amministrazione è attribuito per lo più al presidente o all’amministratore o agli amministratori delegati congiuntamente o disgiuntamente.

Amministratori con rappresentanza

In presenza di un consiglio di amministrazione, gli amministratori investiti del potere di rappresentanza devono essere indicati nello statuto o nella deliberazione di nomina, soggetta a pubblicità legale.

Se più sono gli amministratori con rappresentanza, deve essere specificato se essi hanno il potere di agire disgiuntamente (firma disgiunta) o congiuntamente (firma congiunta).

In base all’attuale disciplina il potere di rappresentanza degli amministratori è generale (art. 2384 1° comma cc) e non più circoscritto agli atti che rientrano nell’oggetto sociale.

Essi hanno inoltre la rappresentanza processuale, attiva e passiva, della società.

Il presidente o l’amministratore che ha la rappresentanza, ha il potere di dichiarare la volontà sociale, non anche quello di determinarla. La formazione della volontà sociale è infatti opera della assemblea, o del CDA. Vi è dunque scissione tra potere di deliberativo e di rappresentanza. Il potere di rappresentanza è generale, e dunque a differenza delle società di persone non circoscritto all’oggetto sociale.

Per effetto delle modifiche introdotte dal d.p.r 1127/1969 (emanato in attuazione della prima direttiva Cee), la rappresentanza degli amministratori di spa è assoggettata ad una disciplina peculiare che si fonda su 2 principi:

1)intervenuta l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di nomi, le cause di nullità e di annullabilità della nomina degli amministratori con rappresentanza non sono opponibili ai terzi, salvo che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza (art. 2383 5° comma cc).

In mancanza la società resta vincolata dagli atti compiuti dagli amministratori invalidamente nominati

2)la società resta vincolata verso i terzi anche se gli amministratori hanno violato eventuali limitazioni poste ai loro poteri di rappresentanza (es. nello statuto è previsto che i poteri degli amministratori sono limitati agli atti di ordinaria gestione).

Queste limitazioni, anche se pubblicate (con iscrizione nel registro delle imprese) non sono opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano agito intenzionalmente a danno della società (art. 2384 2° comma cc).

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La società può quindi contestare la validità dell’atto solo se prova l’esistenza di un accordo fraudolento fra amministratore e terzo diretto a danneggiarla (non è sufficiente provare la mala fede del terzo).

Atti ultra vires. L’attuale disciplina non ha recepito la disposizione che precludeva alla società di opporre ai terzi di buona fede l’estraneità all’oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori in buona fede.

Limitazioni legali. Restano invece opponibili ai terzi i limiti legali del potere di rappresentanza degli amministratori.

E’ questo il caso, ad es., dell’amministratore unico che stipuli un contratto in conflitto di interessi con la società.

Il contratto sarà annullabile su richiesta della società, se il conflitto di interessi era conosciuto o riconoscibile dal terzo.

LA RESPONSABILITA’ DEGLI AMMINISTRATORI

Gli amministratori sono responsabili civilmente del loro operato in 3 direzioni:

1)RESPONSABILITA’ VERSO LA SOCIETA’ (artt. 2392-2393 cc) ( AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITA’).

La responsabilità degli amministratori è soprattutto, nei confronti della società, e quindi è ad essa che compete mediante i propri organi farla valere. Titolare del diritto di risarcimento del danno perseguito con l’azione sociale di responsabilità, è la società stessa. L’azione sociale è direttamente proposta dalla società, a seguito delle deliberazioni dei soci. ( essa è espressamente prevista nella disciplina della s.p.a. , non lo stesso è per le s.r.l. ). L’azione può essere esercitata direttamente dal socio( nelle s.p.a. il socio a cui si fa riferimento è quello che è in possesso di una determinata percentuale del capitale sociale; mentre nelle s.r.l. non è previsto alcun requisito quantitativo, e l’azione può essere esperita da ogni socio (2476 3 comma)).

Criterio di diligenza

Gli amministratori incorrono in responsabilità verso la società e sono tenuti al risarcimento dei danni quando non adempiono i doveri imposti dalla legge o dallo statuto con la normale diligenza professionale di un amministratore di società.

Responsabilità solidale

Se gli amministratori sono più, essi sono responsabili solidalmente.

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Ciascuno può essere quindi costretto a risarcire l’intero danno.

L’art. 2392 2° comma cc stabilisce che se il comportamento dannoso è direttamente imputabile solo ad alcuni amministratori (es. amministratori delegati), con essi risponderanno in solido anche gli altri qualora non abbiano prevenuto o impedito l’attività dannosa dei primi; se costretti a risarcire il danno, avranno diritto di regresso per l’intero nei confronti dei primi.

Esonero da responsabilità

La responsabilità degli amministratori è responsabilità per colpa e non responsabilità oggettiva.

Infatti la responsabilità non si estende all’amministratore immune da colpa purchè:

a)abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione

b)del suo dissenso dia immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale.

Azione di responsabilità

L’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori deve essere deliberato dall’assemblea ordinaria, oppure dal collegio sindacale a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

L’azione deve essere esercitata entro 5 anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica.

Revoca di diritto. La deliberazione dell’azione di responsabilità comporta la revoca automatica dall’ufficio degli amministratori solo se la delibera è approvata col voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale.

Se non si raggiunge tale percentuale sarà necessaria una distinta delibera di revoca.

Tutela delle minoranze

Il fatto che l’azione debba essere deliberata dall’assemblea tutela poco le minoranze in quanto la decisione è nelle mani del gruppo di comando.

La situazione è solo in parte migliorata con l’attribuzione del potere al collegio sindacale, dato che i sindaci sono a loro volta nominati dall’assemblea.

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Le cose cambiano quando la società è dichiarata fallita o assoggettata a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria.

In tal caso infatti la legittimazione a promuovere l’azione sociale di responsabilità compete al curatore fallimentare, al commissario liquidatore o al commissario straordinario (art. 2394 bis cc).

Rinunzia e transazione. Una tutela delle minoranze è però prevista anche quando la società è in bonis.

Essa può rinunziare all’esercizio dell’azione di responsabilità o pervenire ad una transazione con gli amministratori.

Entrambe devono essere deliberate dall’assemblea.

E’ necessario poi che non via sia il voto contrario di una minoranza qualificata: il quinto del capitale sociale, ridotto ad un ventesimo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, o la percentuale prevista per l’esercizio dell’azione di responsabilità da parte della minoranza.

Altrimenti la rinunzia e la transazione sono senza effetto.

Azione della minoranza

Una tutela maggiore è data dall’art. 2393 bis cc, il quale prevede che l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori può essere promossa dagli azionisti di minoranza.

Per evitare azioni giudiziarie pretestuose, i soci che assumono l’iniziativa devono rappresentare almeno il 20% del capitale sociale, o la diversa misura prevista nello statuto comunque non superiore ad un terzo.

Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è sufficiente che l’azione sia promossa dai soci che rappresentano un quarantesimo del capitale sociale o la percentuale più bassa prevista dallo statuto.

L’azione promossa dalla minoranza è diretta a reintegrare il patrimonio sociale, non a risarcire il danno subito dai soggetto agenti.

I soci che hanno agito possono rinunciare all’azione o transigerla.

2)RESPONSABILITA’ VERSO I CREDITORI SOCIALI (artt. 2394 cc)

Presupposti

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I presupposti della responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali sono:

a)gli amministratori sono responsabili verso i creditori sociali solo per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale

b)l’azione può essere proposta dai creditori solo quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.

Legittimazione

L’azione ex art. 2394 cc può essere proposta dai singoli creditori sociali.

In caso di fallimento della società, l’azione può essere proposta solo dal curatore.

Azione diretta

E’ opinione prevalente che l’azione dei creditori sociali esercitata fuori del fallimento è azione diretta e non azione surrogatoria di quella spettante alla società.

Quindi quanto corrisposto dagli amministratori a titolo di risarcimento danni non spetterà alla società, ma direttamente ai creditori fino alla concorrenza del loro credito.

Rapporti con l’azione sociale

Fra l’azione sociale di responsabilità e quella concessa ai creditori vi sono interferenze.

Infatti il danno subito dai creditori è un effetto del danno che gli amministratori hanno arrecato al patrimonio sociale rendendolo insufficiente a soddisfare i primi.

Ne consegue che se l’azione risarcitoria è già stata esperita dalla società ed il relativo patrimonio è stato reintegrato, i creditori non potranno più esercitare l’azione.

Anche la transazione con la società paralizza l’azione dei creditori sociali, salva la possibilità degli stessi di impugnare la transazione con l’azione revocatoria (art. 2901 cc).

Invece la rinuncia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali poiché il patrimonio sociale non è stato reintegrato.

3)RESPONSABILITA’ VERSO I SINGOLI SOCI O TERZI (art. 2395 cc) ( AZIONE INDIVIDUALE Di RESPONSABILITA’).

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Gli amministratori, quando illegittimamente producono un danno alla società, danneggiano indirettamente i creditori sociali, che allora risultando il patrimonio sociale insufficiente per il soddisfacimento dei loro crediti, possono agire con la generale azione surrogatoria, ed anche i soci : se non altro perché la diminuzione del valore del patrimonio della società, produce una riduzione del valore, della loro partecipazione. Ai soci però non è consentito in via generale chiedere un risarcimento direttamente a favore del proprio patrimonio personale: può essere consentito, solo richiedere un risarcimento del danno a favore della società( e così ripristinando il patrimonio sociale, indirettamente ripristinano il valore della propria partecipazione). Vi possono essere però fatti illeciti, che non incidono sul patrimonio della società, ,a incidono direttamente sul patrimonio personale del socio, o del terzo. Nel primo caso è chiaro che nessuna azione può essere proposta dalla società perché non ha subito alcun danno; nel secondo caso è altrettanto chiaro che il risarcimento del danno subito dalla società non ricopre il danno subito dal socio o dal terzo. Allora:

Le azioni di responsabilità della società e dei creditori sociali non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori.

Presupposti

I presupposti della responsabilità diretta degli amministratori verso i singoli soci o terzi sono:

a)il compimento da parte degli amministratori di un atto illecito nell’esercizio del loro ufficio

b)la produzione di un danno diretto al patrimonio del singolo socio o del singolo terzo (cioè non riflesso del danno subito dal patrimonio sociale) (es. incorrono in responsabilità ex art. 2395 cc gli amministratori che, dissimulando dolosamente lo stato di dissesto della società, inducono una banca a concedere fido).

L’azione può essere esercitata entro 5 anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il terzo o il socio.

I DIRETTORI GENERALI

Figura

I direttori generali sono dirigenti che svolgono attività di alta gestione dell’impresa sociale.

Sono al vertice della gerarchia dei lavoratori subordinati ed operano in rapporto diretto con gli amministratori, dando attuazione alle direttive generali dagli stessi impartite.

Sono perciò investiti di ampi poteri decisionali nella gestione dell’impresa.

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Responsabilità

I direttori generali sono parificati agli amministratori sotto il profilo delle responsabilità penali.

Inoltre, se nominati dall’assemblea o per disposizione dello statuto, agli stessi si applicano le norme che regolano la responsabilità civile degli amministratori.

Accanto alla responsabilità civile c’è la responsabilità penale degli amministratori, così dalla semplice sanzione amministrativa, ( ammenda), per le ipotesi di omissione od esecuzione tardiva o incompiuta di comunicazioni o depositi presso l’ufficio del registro delle imprese, si passa a pene vere e proprie che possono comportare oltre a multe più gravi addirittura alla reclusione nei casi più gravi. La società è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a proprio vantaggio, da persone fisiche che rivestono funzioni di rappresentanza , amministrazione e direzione come pure da coloro che esercitano la gestione ed il controllo dell’ente, a meno che non provi che il suo organo dirigente abbia adottato ed attuato modelli idonei a prevenire reati prima della commissione del fatto incriminato. Siffatti modelli sono stati definiti sistemi di controllo interno. Con tali espressioni si vuole mettere in luce che si tratta di un controllo interno rientrante nelle competenze degli amministratori e che deve essere ritenuto distinto dal controllo che rappresenta invece una funzione autonoma e diversa da quella di amministrazione.

COLLEGIO SINDACALE

LA disciplina del controllo nelle società di capitali, è particolarmente articolata sensibili sono infatti le differenze che distinguono le s.p.a. e le s.r.l. . il sistema originario del codice risulta profondamente modificato, a seguito della riforma organica. Nel sistema originario: organo di controllo era il collegio sindacale, e sua funzione prevalente era il controllo contabile. Si trattava di un organo necessario per le s.p.a., per le s. a..p.a. e nelle ipotesi previste anche per le s.r.l. . successivamente tale sistema si è evoluto, sulla base di una distinzione a seconda che si avesse a che fare o meno con le società quotate o meno. : i compiti previsti per il collegio sindacale, sono stati ripartiti nelle società quotate tra il collegio sindacale e la società di revisione alla quale veniva attribuito in particolare il controllo contabile. Attualmente, nella s.r.l. il collegio sindacale continua a rappresentare un organo necessario solo nei casi previsti dall’articolo 2477 altrimenti risultando organo facoltativo. Nelle società per azioni è previsto solo quando i soci abbiano adottato il sistema tradizionale, altrimenti se viene scelto il sistema dualistico, organo di controllo è il consiglio di sorveglianza, in quello monistico : il comitato per il controllo sulla gestione costituito all’interno del CDA, e quindi composto da amministratori. La revisione legale dei conti è stata attribuita a tutte le s.p.a. ad un revisore legale dei conti o ad una società di revisione legale iscritti in apposito registro. Tale regola è inderogabile solo per le società quotate. Nelle s.p.a. la funzione di controllo è affidata al collegio sindacale, al consiglio di sorveglianza ed al comitato di controllo sulla gestione: e riguarda la legalità di agire degli organi sociali, e la correttezza della

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amministrazione. in particolare collegio sindacale e consiglio di sorveglianza vigilano da un lato sull’osservanza della legge e dello statuto dall’altro sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e della adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo contabile adottato dalla società. invece il comitato sul controllo di gestione, vigila sulla adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno, e del sistema amministrativo e contabile. E il controllo sulla legalità con riferimento non solo all’amministratore ma anche alla attività assembleare. Perciò è dato all’organo di controllo in generale il potere di impugnazione delle deliberazioni della assemblea invalide, nonché il potere di chiedere al tribunale la riduzione d’ufficio del capitale sociale quando in caso di perdita la assemblea non vi provveda. Perciò è posto l’obbligo di intervento all’assemblea e quello di sostituirsi agli amministratori in caso di mancata osservanza degli obblighi ad essi incombenti circa la convocazione e la pubblicità. Invece il controllo relativo alla correttezza dell’amministrazione, fa riferimento al fatto che l’assetto organizzativo, contabile e amministrativo adottato dalla società deve essere, adeguato alle dimensioni ed alla natura della impresa, ma anche al suo concreto funzionamento. La funzione di controllo è essenzialmente svolta nell’interesse della società, e costituisce una garanzia per i soci, in quanto assicura il regolare funzionamento degli organo sociali. Garanzia anche per i terzi. La legge impone all’organo di controllo di tenere conto delle denunce che siano state fatte dai soci e non dai terzi; ove la denunzia sia fatta dai soci che rappresentino una determinata percentuale di capitale prevista dalla legge o dallo statuto, l’organo di controllo deve indagare sulla verità denunciati, se poi si tratta di fatti gravi è tenuto a convocare l’assemblea. Qualora tali fatti siano emersi nell’espletamento del suo incarico, l’organo di controllo ha il potere di convocare l’assemblea pur non essendo tenuto, previa comunicazione al presidente del CDA. L’organo di controllo è emanazione della società, e parte integrante di questa. I componenti dell’organo di controllo possono essere soci o non soci, e debbono avere oltre alla generica idoneità fisica e psichica una posizione di indipendenza ed una specifica competenza tecnica e posizione professionale. Indipendenti anzitutto dalla società, non possono essere nominati membri dell’organo di controllo e se lo sono stati decadono dall’ufficio, i dipendenti e consulenti della società. indipendenti inoltre debbono esserlo rispetto agli amministratori, la carica di sindaco o di membro del consiglio di sorveglianza è incompatibile con la carica di amministratore, i membri del comitato sul controllo di gestione invece devono essere scelti tra gli amministratori, il che significa presupposto di eleggibilità. Non possono essere nominati membri del collegio sindacale, né del comitato di controllo i parenti e gli affini entro il 4 grado degli amministratori della società o di altre società del gruppo. Questo ulteriore requisito non è richiesto, dalla legge ai componenti del consiglio di sorveglianza. Poi la legge richiede che almeno un componente dell’organo di controllo sia scelto tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili. L’esigenza del possesso di specifiche competenze tecniche, da parte dei componenti è soddisfatta in termini diversi nei diversi sistemi : collegio sindacale è la stessa legge a disporre che gli altri membri se non iscritti anche essi, devono essere scelti o tra gli iscritti in uno degli albi professionali individuati dal Ministro della giustizia, o fra i professori universitari di ruolo in materie economiche o giuridiche. Qualora invece lo statuto abbia affidato al collegio sindacale anche la revisione legale dei conti, si richiede che tutti i suoi membri siano revisori legali iscritti nel registro. Gli organi di controllo presentano una struttura

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pluripersonale ed operano collegialmente. Devono riunirsi almeno ogni 90 giorni, e delle riunioni deve essere redatto un verbale, da trascriversi nell’apposito libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’organo in questione. L’organo di controllo è regolarmente costituito con la maggioranza dei componenti e delibera a maggioranza assoluta. In caso di dissenso , il membro dissenziente ha diritto di farne inserire nel verbale i motivi.

NOTE INTRODUTTIVE

Il collegio sindacale è l’organo di controllo interno della società per azioni, con funzioni di vigilanza sull’amministrazione della società. La relativa disciplina ha subito modifiche dal 1942 ad oggi.

COMPOSIZIONE. NOMINA. CESSAZIONE

Composizione

Società con azioni non quotate. Il collegio si compone di 3 o 5 membri effettivi, soci o non soci, secondo quando stabilito nello statuto.

Devono inoltre essere nominati 2 membri supplenti (art. 2397 cc).

Società quotate. La riforma del 1998 ha stabilito che, fermo restando il numero minimo di 3 sindaci effettivi e di 2 supplenti, l’atto costitutivo può determinare il numero dei sindaci.

Nomina

I primi sindaci sono nominati nell’atto costitutivo.

Successivamente essi sono nominati dall’assemblea ordinaria.

La legge o lo statuto possono tuttavia riservare la nomina di uno o più sindaci allo Stato ad enti pubblici che abbiano partecipazioni nella società.

Lo statuto può inoltre riservare la nomina di un sindaco ai possessori di strumenti finanziari.

Vediamo che i sindaci sono di regola nominati dallo stesso organo che nomina gli amministratori, cioè l’assemblea, e questo è un motivo di scarsa funzionalità del collegio sindacale, dato che controllanti e controllati sono espressione dello stesso gruppo di comando.

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La situazione è mutata per le società quotate con la riforma del 1998 poiché l’atto costitutivo di tali società deve prevedere che almeno un membro effettivo sia eletto dalla minoranza in modo da offrire maggiori garanzie di effettivo svolgimento del controllo.

Nella stessa direzione si muovono le norme che regolano la scelta di membri del collegio sindacale.

Requisiti di professionalità

Società con azioni non quotate. In seguito alla riforma del 2003 almeno un sindaco effettivo ed uno supplente devono essere scelti fra gli iscritti nel registro dei revisori contabili*, attualmente tenuto dal Consiglio nazionale dell’ordine dei dottori commercialisti.

Gli altri sindaci, se non iscritti in tale registro, devono essere scelti fra gli iscritti negli albi professionali individuati dal Ministro della Giustizia o fra i professori universitari di ruolo in materie economiche o giuridiche.

Società quotate. I requisiti di onorabilità e professionalità sono fissati con regolamento del Ministro della Giustizia.

*Nel registro dei revisori possono iscriversi persone fisiche in possesso di specifici requisiti di professionalità ed onorabilità, che abbiano superato un apposito esame di ammissione, nonché società che abbiano per oggetto la revisione contabile delle imprese e rispondono a determinati requisiti.

Cause di ineleggibilità

Per assicurare l’indipendenza dei sindaci l’art. 2399 cc stabilisce che non possono essere nominati sindaci:

a)il coniuge, i parenti e gli affini entro il 4° grado degli amministratori, nonché degli amministratori facenti parte dello stesso gruppo

b)coloro che sono legati alla società o a società facenti parte dello stesso gruppo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza.

-Valgono per i sindaci le stesse cause di incompatibilità viste per gli amministratori.

Lo statuto può prevedere altre cause di ineleggibilità o di incompatibilità.

-Nelle società quotate o con strumenti finanziari diffusi tra il pubblico i sindaci devono rispettare i limiti al cumulo di incarichi stabiliti dalla Consob; nelle altre società tali limiti sono eventualmente previsti dallo statuto.

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Compenso

La retribuzione annuale dei sindaci, se non è stabilita nello statuto, deve essere determinata dall’assemblea all’atto della nomina per l’intero periodo di durata del loro ufficio.

Cessazione

Durata

I sindaci restano in carica per 3 esercizi, scadono alla data della assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio, e sono rieleggibili.

I sindaci scaduti restano in carica fino alla nomina dei nuovi.

Revoca

L’assemblea può revocarli solo se sussiste una giusta causa; la delibera di revoca deve essere approvata dal tribunale.

Nel frattempo la delibera è improduttiva di effetti ed il sindaco resta in carica.

I sindaci nominati dallo Stato o da enti pubblici possono essere revocati solo dall’ente che li ha nominati.

Decadenza

Costituisce causa di decadenza dall’ufficio il sopraggiungere di una delle cause di ineleggibilità, nonché la sospensione o cancellazione dal registro dei revisori.

Decade inoltre dall’ufficio il sindaco che, senza giustificato motivo, non assiste alle assemblee o diserta, durante un esercizio sociale, 2 riunioni del consiglio di amministrazione, del comitato esecutivo o del collegio sindacale.

Sostituzione

In caso di morte, di rinuncia o di decadenza di un sindaco, subentrano automaticamente i supplenti in ordine di età.

I nuovi sindaci restano in carica fino alla successici assemblea che provvede alla nomina dei sindaci effettivi e supplenti necessari per integrare il collegio.

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Pubblicità

La nomina e la cessazione dall’ufficio dei sindaci devono essere iscritte, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese.

FUNZIONE DI CONTROLLO

Controllo sull’amministrazione

Funzione primaria, anche se non esclusiva, del collegio sindacale è quella di controllo sull’amministrazione della società, al fine di assicurare che l’attività sociale venga svolta nel rispetto della legge e dell’atto costitutivo, nonché dei principi di corretta amministrazione.

Controllo contabile

Il collegio sindacale non svolge più il controllo contabile, oggi affidato ad un revisore contabile o ad una società di revisione.

Tuttavia nelle società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio e che non sono tenute alla redazione del bilancio consolidato, lo statuto può prevedere che anche il controllo contabile sia esercitato dal collegio sindacale.

In tal caso l’intero collegio deve essere costituito da revisore contabili iscritti nell’apposito registro.

Doveri

La vigilanza del collegio è esercitata innanzitutto nei confronti degli amministratori in quanto organo investito della gestione della società, ma riguarda anche l’attività dell’assemblea e comunque può estendersi in ogni direzione.

Da qui il potere-dovere dei sindaci di intervenire alle riunioni dell’assemblea, del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo, nonché di impugnare le relative delibere.

Informazione

Per consentire al collegio sindacale l’efficace svolgimento della propria attività, la legge pone a carico degli amministratori numerosi obblighi di comunicazione nei confronti del primo.

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Essi sono particolarmente intensi nelle società quotate.

Gli strumenti informativi del collegio sindacale sono stati potenziati con la riforma del 2003 (es. è previsto lo scambio tempestivo di informazioni fra collegio sindacale e soggetti incaricati del controllo contabile).

Poteri

I sindaci hanno il potere-dovere di procedere in qualsiasi momento ad atti di ispezione e di controllo.

Il collegio sindacale può inoltre, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, convocare l’assemblea qualora ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere.

Il collegio può inoltre promuovere il controllo giudiziario sulla gestione se ha fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto irregolarità nella gestione.

Nelle società quotate la Consob può attivare tale procedura se ha fondato sospetto di irregolarità nell’adempimento dei doveri dei sindaci.

IL FUNZIONAMENTO DEL COLLEGIO SINDACALE

Presidente

Nelle società non quotate il presidente del collegio sindacale è nominato dall’assemblea.

Nelle società quotate è invece l’atto costitutivo a fissare i criteri di nomina dello stesso (es. si potrà prevedere che è lo stesso collegio sindacale a nominare il presidente).

Riunioni. Deliberazioni

Il collegio sindacale deve riunirsi almeno ogni 90 giorni e le riunioni possono svolgersi anche con mezzi telematica, se lo statuto lo consente.

Il collegio è regolarmente costituito con la presenza della maggioranza dei sindaci e delibera a maggioranza assoluta dei presenti.

Delle riunioni deve essere redatto processo verbale, sottoscritto da tutti gli intervenuti, che viene trascritto nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale.

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Denunzia dei soci

L’attività di controllo del collegio può essere sollecitata da soci (art. 2408 cc).

Infatti ogni socio può denunziare al collegio sindacale fatti che ritiene censurabili.

Il collegio è obbligato solo a tenerne conto nella relazione annuale all’assemblea.

Quando invece la denuncia provenga da tanti soci che rappresentano il 5% del capitale sociale (2% per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio) o la minore percentuale prevista dallo statuto, il collegio sindacale deve indagare sui fatti denunziati e presentare le sue conclusioni ed eventuali proposte all’assemblea, convocando immediatamente la medesima qualora ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere.

LA RESPONSABILITA’ DEI SINDACI

Criterio di diligenza

Al pari degli amministratori, i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico (art. 2407 cc), da valutare tendendo conto anche della situazione concreta della società (es. dimensioni).

I sindaci sono responsabili anche penalmente della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e documenti di cui hanno avuto conoscenza.

Responsabilità esclusiva

L’obbligo di risarcimento dei danni grava esclusivamente sui sindaci, di regola solidalmente fra loro, qualora il danno sia imputabile al mancato o negligente adempimento dei loro doveri (es. violazione del segreto d’ufficio).

Responsabilità concorrente

I sindaci sono responsabili in solido con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi ultimi, qualora il danno non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.

L’azione di responsabilità contro i sindaci è disciplinata dalle stesse norme dettate per l’azione di responsabilità contro gli amministratori.

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IL CONTROLLO CONTABILE

EVOLUZIONE

Con la riforma del 2003 si è completato il processo di separazione del controllo sull’amministrazione dal controllo contabile, originariamente affidati al collegio sindacale. L’affidamento del controllo contabile ad un revisore esterno è stato avviato nel 1974 per le società quotate con l’introduzione dell’istituto della revisione contabile obbligatoria, oggi regolato dagli artt. 156-165 Tuf. A tale disciplina si è affiancata con la riforma del 2003 quella del controllo contabile (artt. 2409 bis-septies cc) applicabile a tutte le altre società per azioni.

Controllo contabile

Il controllo contabile è esercitato sulle società non quotate:

a)per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, da un revisore dei conti persona fisica o da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili, salvo il caso in cui è possibile affidare il controllo contabile al collegio sindacale

b)per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio diverse dalle società quotate, da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili.

Revisione contabile

Sono invece soggette a revisione contabile obbligatoria tutte le società di un gruppo di cui faccia parte una società quotata.

La revisione contabile è esercitata da una società di revisione iscritta nell’albo speciale tenuto dalla Consob.

IL CONTROLLO CONTABILE

Conferimento incarico

Nelle società non quotate, il soggetto al quale è demandato il controllo contabile è nominato per la prima volta nell’atto costitutivo.

Successivamente l’incarico è conferito dall’assemblea, sentito il collegio sindacale.

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Cause di ineleggibilità

Non possono essere incaricati del controllo contabile, e se incaricati decadono dall’ufficio, i sindaci della società revisionata, nonché coloro che si trovano nelle condizioni di ineleggibilità previste per i sindaci dall’art. 2399 1° comma.

Lo statuto può prevedere ulteriori cause di ineleggibilità, nonché cause di incompatibilità.

Durata

L’incarico di controllo o di revisione contabile ha la durata di 3 esercizi ed è rinnovabile senza limiti.

Revoca

L’incarico può essere revocato dall’assemblea solo per giusta causa e sentito il parere del collegio sindacale.

La deliberazione di revoca deve essere approvata con decreto dal tribunale, sentito l’interessato.

LA REVISIONE CONTABILE OBBLIGATORIA ( strumento di controllo privatistico):

Nelle società soggette a revisione contabile obbligatoria, l’incarico è conferito con deliberazione dell’assemblea ordinaria in occasione dell’approvazione del bilancio, su proposta motivata dell’organo di controllo (collegio sindacale).

La deliberazione deve essere trasmessa alla Consob, che deve anche vigilare sull’organizzazione, e sull’attività di tale soggetto, al fine di controllarne la qualità tecnica di indipendenza. Sull’indipendenza del soggetto incaricato, del controllo contabile, vigila il COMITATO PER IL CONTROLLO INTERNO E LA REVISIONE CONTABILE, che identifica con l’organo di controllo al quale il revisore legale deve presentare una relazione in merito alle questioni fondamentali emerse in sede di revisione legale. Sempre al fine di rafforzare l’indipendenza del revisore legale, o della società di revisione, è conferito alla Consob il potere di stabilire con regolamento le situazioni che possono compromettere l’indipendenza del revisore legale ed estende il divieto di rappresentanza nelle assemblee non solo al soggetto incaricato della revisione contabile, ma anche al responsabile della revisione (persona fisica), che non può assumere tale ruolo nei confronti della società per un

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periodo superiore ad almeno 7 esercizi sociali. Se la società omette di adottare la delibera, l’incarico è conferito d’ufficio alla Consob.

Cause di ineleggibilità e incompatibilità

L’incarico non può essere conferito a società di revisione che si trovino in una delle situazioni di incompatibilità stabilite con regolamento dalla Consob.

E’ fatto divieto alle società di revisione di prestare alla società revisionata servizi ulteriori.

Il divieto opera anche nei confronti delle società o singoli professionisti che fanno parte della rete della società di revisione, cioè legati ad essa da rapporti giuridici od economici.

Si prevede poi che non può essere responsabile della revisione chi ha ricoperto da meno di 3 anni cariche sociali o funzioni dirigenziali nella società revisionata.

Durata

L’incarico di revisione ha la durata di 9 esercizi, e non può essere rinnovato o nuovamente conferito se non siano decorsi almeno 3 anni dalla data di cessazione del precedente.

La medesima persona fisica non può inoltre essere responsabile della revisione di una società per più di 6 anni consecutivi.

Revoca

L’assemblea ordinaria della società può revocare l’incarico prima della scadenza del mandato solo se ricorre una giusta causa e su proposta dell’organo di controllo, e deve contestualmente provvedere a conferire l’incarico ad altra società di revisione.

La revoca deve essere trasmessa alla Consob che può entro 20 giorni dal ricevimento vietarne l’esecuzione qualora rilevi la mancanza di una giusta causa.

Fino al decorso di tale termine la delibera di revoca è inefficace e le funzioni continuano ad essere esercitate dalla società revocata.

La Consob può poi disporre la revoca d’ufficio dall’incarico, qualora rilevi l’esistenza di una causa di incompatibilità, ovvero qualora siano state accertate gravi irregolarità nello svolgimento dell’attività di revisione.

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Le delibere di conferimento dell’incarico e di revoca, nonché i provvedimenti della Consob, sono depositati presso il registro delle imprese.

FUNZIONI E RESPONSABILITA’ DEL REVISORE DEI CONTI

L’attività di controllo contabile è regolata dal cc e dal Tuf (Testo unico della finanza).

Funzione principale, anche se non esclusiva, del revisore è quella di controllare la regolare tenuta della contabilità di esprimere un giudizio sul bilancio di esercizio e sul bilancio consolidato.

Attività di revisione

Il revisore contabile deve verificare la regolare tenuta della contabilità e la corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione.

Deve inoltre verificare che il bilancio di esercizio e il bilancio consolidato corrispondano alle risultanze delle scritture contabili e siano conformi alle norme che li disciplinano.

Giudizio sul bilancio

L’attività di revisione è volta ad esprimere, attraverso una relazione, un giudizio sul bilancio.

Esso può essere graduato secondo 4 modelli:

-giudizio senza rilievi, se il bilancio è conforme alle norme che ne disciplinano la redazione

-giudizio con rilievi

-giudizio negativo

-dichiarazione di impossibilità di esprimere il giudizio.

Negli ultimi 2 casi il revisore informa la Consob.

Effetti. Il rilascio di un giudizio positivo modifica la disciplina dell’impugnativa della delibera di approvazione del bilancio.

Poteri del revisore

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Il soggetto incaricato del controllo contabile ha diritto di ottenere dagli amministratori documenti e notizie utili e può procedere autonomamente ad accertamenti, ispezioni e controlli.

Tale soggetto ed il collegio sindacale si scambiano informazioni rilevanti per l’espletamento dei loro compiti.

Nelle società quotate ed in quelle che fanno appello al mercato del capitale di rischio, la società di revisione deve inoltre informare la Consob ed il collegio sindacale dei fatti che ritiene censurabili.

Nei gruppi in cui è presente una società quotata, speciali poteri di informazione ed ispezione sono attribuiti alla società di revisione della capogruppo anche nei confronti delle altre società del gruppo, in quanto la stessa è interamente responsabile per la revisione del bilancio consolidato.

Responsabilità

Il soggetto incaricato del controllo contabile, deve adempiere i propri doveri con diligenza professionale; è responsabile della verità delle sue attestazioni e deve conservare il segreto su fatti e documenti di cui ha conoscenza per ragioni del suo ufficio.

Trova applicazione la disciplina dell’azione di responsabilità dettata per i sindaci.

Se l’incarico è affidato ad una società di revisione, con la stessa rispondono in solido i soggetti che hanno effettuato il controllo contabile e il responsabile della revisione.

L’azione si prescrive in 5 anni dalla cessazione dell’incarico.

Le società per azioni quotate, si caratterizzano anche per la loro sottoposizione a controlli, pubblici da attuarsi da parte della Consob, che svolge istituzionalmente il compito di assicurare la trasparenza, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori, nonché tutelare il risparmio e il risparmiatore al momento dell’investimento e a far si che la sua scelta, sia operata consapevolmente e con la conoscenza di tutti i dati rilevanti. La Consob ha personalità giuridica di diritto pubblico, e piena autonomia nei limiti della legge, ed ha un proprio organico del personale dipendente, è un ente composto di un presidente e di 4 membri che opera collegialmente : è un organo di controllo, e di vigilanza su un determinato settore, quello del mercato mobiliare. tra gli interlocutori privilegiati della Consob, sono gli altri soggetti deputati al controllo: perciò il TUF, impone sia agli organi di controllo, sia al revisore legale di segnalarle irregolarità di cui siano venuti a conoscenza. La Consob, può inoltre impugnare la deliberazione di approvazione del bilancio, impugnare le deliberazioni adottate con voto determinante dei titolari di partecipazioni rilevanti o di aderenti a patti parasociali non debitamente comunicati. I provvedimenti della Consob sono definitivi. Contro gli stessi non è ammesso ricorso al Minstro del tesoro, ma solo il ricorso giurisdizionale davanti al TAR.

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SISTEMI ALTERNATIVI

I sistemi alternativi, introdotti dalla riforma del 2003, trovano applicazione solo se espressamente adottati in sede di costituzione della società o con modifica dello statuto (art. 2380 2° comma cc).

SISTEMA DUALISTICO

Il sistema dualistico, disciplinato agli artt. 2409 octies-quaterdecies cc, di ispirazione tedesca, prevede la presenza di un consiglio di gestione e di un consiglio di sorveglianza.

Il controllo contabile è affidato ad un revisore contabile o ad una società di revisione.

Elementi caratterizzanti

Il consiglio di gestione svolge le funzioni proprie del consiglio di amministrazione nel sistema tradizionale.

Al consiglio di sorveglianza sono invece attribuite sia le funzioni di controllo proprie del collegio sindacale, sia funzioni di indirizzo della gestione che nel sistema tradizionale sono proprie dell’assemblea dei soci, come la nomina e la revoca dei componenti del consiglio di gestione e l’approvazione del bilancio di esercizio.

La presenza del consiglio di sorveglianza riduce quindi le competenze dell’assemblea ordinaria, la quale nomina e revoca i componenti del consiglio si sorveglianza, ne determina il compenso, delibera in ordine all’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro confronti e nomina il revisore (perde però la competenza per la nomina e la revoca degli amministratori nonché per l’approvazione del bilancio).

Vediamo che il sistema dualistico determina un distacco fra azionisti ed organo gestorio della società.

Infatti le scelte imprenditoriali, quali la designazione degli amministratori e l’approvazione del bilancio, sono sottratte ai soci ed affidate ad un organo professionale, quale il consiglio si sorveglianza.

Si tratta perciò di un modello adatto per società con azionariato diffuso e prive di uno stabile nucleo di azionisti imprenditori.

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Il consiglio di sorveglianza

I componenti del consiglio di sorveglianza possono essere soci o non soci.

Il loro numero, non inferiore a 3, è fissato dallo statuto.

I primi componenti sono nominati nell’atto costitutivo; successivamente la loro nomina compete all’assemblea ordinaria.

Nelle società quotate almeno un componente è eletto dalla minoranza con le modalità fissate dalla Consob.

Requisiti di eleggibilità

Almeno un componente effettivo del consiglio di sorveglianza deve essere scelto tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili.

Lo statuto può subordinare l’assunzione della carica al possesso di particolari requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza.

Non possono essere eletti coloro che sono legati alla società o a società facenti parte dello stesso gruppo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita che ne compromettano l’indipendenza.

Trovano poi applicazione le cause di ineleggibilità e di decadenza previste dall’art. 2382 cc per gli amministratori e, nelle società quotate, anche quelle previste per i sindaci.

Nelle società quotate e in quelle con strumenti finanziari diffusi tra il pubblico, i consiglieri di sorveglianza devono altresì rispettare i limiti al cumulo di incarichi determinati con regolamento dalla Consob.

Nelle sole società quotate i consiglieri di sorveglianza devono, a pena di decadenza, essere anche in possesso dei requisiti di professionalità ed onorabilità fissati per decreto dal Ministro della giustizia.

I componenti del consiglio di sorveglianza restano in carica 3 esercizi e sono rieleggibili, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo.

Sono revocabili anche se non ricorre una giusta causa, salvo il diritto al risarcimento.

E’ tuttavia necessario che la delibera sia approvata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale.

L’assemblea provvede a sostituire i componenti del consiglio che vengono a mancare per

qualsiasi ragione (morte, rinuncia, revoca, decadenza).

Page 276: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Competenze e poteri

Il consiglio di sorveglianza esercita le funzioni proprie del collegio sindacale nel sistema tradizionale, con conseguente applicabilità di larga parte della disciplina per quest’ultimo dettata. In particolare presenta la denunzia al tribunale ex art. 2409 cc. Il consiglio di sorveglianza ha poteri di informazione analoghi a quelli del collegio sindacale nei confronti del consiglio di gestione. Nel contempo al consiglio di sorveglianza è attribuita larga parte delle funzioni dell’assemblea ordinaria, infatti:

-nomina e revoca i componenti del consiglio di gestione; ne determina altresì il compenso, salvo che la relativa competenza sia attribuita dallo statuto all’assemblea

-approva il bilancio di esercizio e, ove redatto, il bilancio consolidato, ma la distribuzione degli utili resta di competenza dell’assemblea ordinaria

-promuove l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei componenti del consiglio di gestione, competenza che conserva anche l’assemblea.

Se previsto dallo statuto, il consiglio di sorveglianza delibera in ordine alle operazioni strategiche ed ai piani industriali e finanziari della società predisposti dal consiglio di gestione.

Regole di funzionamento

Il presidente del consiglio di sorveglianza è eletto dall’assemblea ed i suoi poteri sono determinati dallo statuto.

Alle deliberazioni del consiglio di sorveglianza si applicano le disposizioni che regolano la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione (art. 2388 cc).

Responsabilità

I componenti del consiglio di sorveglianza devono adempiere i loro doveri con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico.

Sono solidalmente responsabili con i componenti del consiglio di gestione per i fatti e le omissioni di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se avessero vigilato in conformità dei doveri della loro carica.

L’assemblea delibera l’azione di responsabilità nei loro confronti.

Consiglio di gestione

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Le funzioni del consiglio di gestione coincidono con quelle del consiglio di amministrazione nel sistema tradizionale e si applicano quasi tutte le norme per quest’ultimo dettate.

E’ costituito da un numero di componenti non inferiore a 2.

I primi componenti sono nominati nell’atto costitutivo; successivamente la loro nomina compete al consiglio di sorveglianza.

Nelle società quotate, se i componenti sono più di 4, almeno 1 deve essere un amministratore indipendente.

I componenti del consiglio di gestione non possono essere nominati consiglieri di sorveglianza.

Essi sono revocabili ad nutum dal consiglio di sorveglianza.

Se nel corso dell’esercizio vengono a mancare uno o più componenti del consiglio di gestione, il consiglio di sorveglianza provvede alla loro sostituzione (non trova applicazione il meccanismo della cooptazione).

Azione di responsabilità

L’azione sociale di responsabilità contro i consiglieri di gestione può essere esercitata anche dal consiglio di sorveglianza.

La deliberazione è assunta a maggioranza dei componenti e comporta la revoca di ufficio dei consiglieri di gestione se è raggiunta la maggioranza dei due terzi dei componenti..

In tal caso il consiglio di sorveglianza provvede contestualmente alla sostituzione.

Lo stesso consiglio di sorveglianza può rinunciare all’esercizio dell’azione di responsabilità o può transigerla, purchè la relativa delibera sia approvata dalla maggioranza dei suoi componenti e purchè non si opponga la percentuale dei soci prevista dalla disciplina dettata per la rinuncia o transazione da parte dell’assemblea.

La rinuncia all’azione da parte della società o del consiglio di sorveglianza non impedisce l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità da parte dei soci di minoranza, nonché l’azione da parte dei creditori sociali.

SISTEMA MONISTICO

Elementi caratterizzanti

Page 278: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Il sistema monistico, di ispirazione anglosassone, si caratterizza per la soppressione del collegio sindacale.

L’amministrazione ed il controllo sono esercitati dal consiglio di amministrazione e da un comitato per il controllo sulla gestione costituito al suo interno (art. 2409 sexiesdecies cc), che svolge le funzioni proprie del collegio sindacale.

Il controllo contabile è affidato ad un revisore contabile o ad una società di revisione.

Consiglio di amministrazione

Al consiglio di amministrazione, eletto dall’assemblea, si applicano in quanto compatibili le disposizioni dettate per gli amministratori nel sistema tradizionale, con una sola differenza determinata dal fatto che dal suo ambito devono essere estratti i componenti dell’organo di controllo.

E’ infatti previsto che almeno un terzo dei componenti del consiglio di amministrazione deve essere in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci e, se lo statuto lo prevede, di quelli previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione di mercati regolamentati.

Nelle società quotate un amministratore indipendente deve essere eletto dalla minoranza.

Comitato per il controllo sulla gestione

I componenti del comitato per il controllo sulla gestione sono nominati dallo stesso consiglio di amministrazione fra i consiglieri in possesso dei requisiti di indipendenza, nonché dei requisiti di onorabilità e professionalità eventualmente stabiliti dallo statuto.

Almeno uno dei componenti deve essere scelto fra gli iscritti nel registro dei revisori contabili.

Se la società è quotata, l’amministratore indipendente eletto dalla minoranza è di diritto componente del comitato di controllo.

Il consiglio di amministrazione determina anche il numero dei componenti del comitato per il controllo della gestione, che comunque non può essere inferiore a 3 nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

Provvede inoltre alla sostituzione in caso di morte, rinuncia, revoca o decadenza di un componente del comitato.

Page 279: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Funzioni

Il comitato svolge funzioni coincidenti con quelle del collegio sindacale.

In quanto organo di controllo interno della società, è destinatario delle denunzie dei soci di fatti censurabili ex art. 2408 cc, e può a sua volta presentare denunzia al tribunale ex art. 2409 cc ove riscontri gravi irregolarità di gestione potenzialmente dannose.

Nelle società quotate è tenuto a denunciare alla Consob le irregolarità riscontrate.

I suoi componenti devono assistere alle assemblee e alle adunanze del consiglio di amministrazione, ma non è prevista la decadenza in caso di assenze ripetute e ingiustificate.

E’ imposto lo scambio di informazioni fra il comitato di controllo e il soggetto o la società di revisione incaricati del controllo contabile.

Società quotate. Più analitica è la disciplina delle società quotate, che riconosce al comitato i medesimi poteri di informazione del collegio sindacale nei confronti degli altri amministratori e del soggetto che esercita la revisione dei conti.

E’ riconosciuto altresì il potere di procedere in ogni momento ad ispezioni e controlli.

Infine è riconosciuto il potere di convocare il consiglio di amministrazione, potere esercitatile anche individualmente da ciascun componente del comitato.

Regole di funzionamento

Il comitato elegge al suo interno il presidente ed opera con l’osservanza delle norme di funzionamento dettate per il collegio sindacale.

Deve riunirsi almeno ogni 90 giorni, è regolarmente costituito con la presenza della maggioranza dei componenti e delibera a maggioranza assoluta dei presenti.

Nelle società quotate ciascun componente può chiedere al presidente la convocazione.

Il punto debole di questo sistema consiste nel fatto che i controllori sono direttamente nominati dai controllati.

La funzionalità del sistema si gioca perciò sull’effettiva indipendenza dei chiamati alla funzione di controllori, anche se non vanno sottovalutati i vantaggi in termini di più ampia informazione che lo stesso offre.

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I CONTROLLI ESTERNI

Accanto al controllo interno del collegio sindacale ed al controllo contabile affidato un revisore esterno (revisore contabile o società di revisione), l’ordinamento prevede un sistema di controlli esterni sulle società per azioni.

IL CONTROLLO GIUDIZIARIO SULLA GESTIONE

Comune a tutte le società per azioni è solo il controllo esterno sulla gestione esercitato dall’autorità giudiziaria in presenza di situazioni patologiche che ne alterano il corretto funzionamento, volto a ripristinare la legalità dell’amministrazione delle società (art. 2409 cc).

Gravi irregolarità

In base all’attuale disciplina il procedimento può essere attuato se vi è fondato sospetto che gli amministratori (ma non più i sindaci) in violazione dei loro doveri abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione, ma, rispetto al passato, si chiede che le stesse possano arrecare danno alla società o a una o più società controllate (es. redazione di un bilancio falso).

Iniziativa

Le gravi irregolarità possono essere denunziate:

a)dai soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale.

Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio la percentuale richiesta è ridotta al 5% in modo da rendere più agevole l’utilizzo di tale strumento di tutela da parte di minoranze organizzate.

In tutte le società lo statuto può prevedere percentuali inferiori

b)dal collegio sindacale o dal corrispondente organo di controllo nei sistemi alternativi (consiglio di sorveglianza o comitato per il controllo della gestione)

c)nelle sole società che fanno ricorso dal mercato del capitale di rischio dal pm, nonché dalla Consob quando sospetti gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri dei sindaci, del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione.

Il Tribunale non può procedere d’ufficio.

Page 281: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

Procedimento

Fase istruttoria

Il procedimento ha avvio con una prima fase, di carattere istruttorio, diretta ad accertare l’esistenza delle irregolarità e ad individuare i provvedimenti da adottare per rimuoverle.

Il tribunale deve sentire in camera di consiglio gli amministratori e i sindaci.

Può far eseguire l’ispezione da parte di un consulente disegnato dal tribunale.

Le spese sono a carico dei soci richiedenti; sono invece a carico della società qualora l’iniziativa sia assunta dagli altri soggetti.

Il gruppo di comando della società può evitare l’ispezione ed ottenere dal tribunale la sospensione del procedimento se l’assemblea sostituisce amministratori e sindaci con soggetti di adeguata professionalità, che si attivano per accertare se le violazioni sussistono e, in caso positivo, per eliminarne.

Se questi ultimi risultano insufficienti all’eliminazione delle violazioni, il tribunale ha 2 strade:

1)può disporre provvedimenti cautelari per evitare il ripetersi di irregolarità e convocare l’assemblea della società per le deliberazioni conseguenti (che però l’assemblea è libera di adottare o meno)

2)amministratore giudiziario

Nei casi più gravi si può rendere necessario l’intervento di un elemento estraneo per riportare ordine nella gestione della società.

Il tribunale revoca gli amministratori ed eventualmente anche i sindaci e nomina un amministratore giudiziario.

I suoi poteri e la durata sono determinati dal tribunale col decreto di nomina.

Egli può per legge proporre l’azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci.

L’amministratore giudiziario ha la rappresentanza della società, ma non può compiere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione senza l’autorizzazione del presidente del tribunale.

Chiusura della procedura. Prima della scadenza del suo incarico l’amministratore giudiziario deve convocare l’assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci.

Page 282: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

L’amministratore giudiziario può però proporre in alternativa all’assemblea la messa in liquidazione della società o la sua sottoposizione ad una procedura concorsuale.

L’assemblea è libera di deliberare o meno nel senso proposto dall’amministratore giudiziario . Il procedimento dell’articolo 2409, è un procedimento di volontaria giurisdizione, con duplice funzione: ispettiva, mira ad accertare attraverso un controllo sulla amministrazione la situazione della società; cautelare, mira cioè ad adottare nell’ambio della organizzazione sociale quelle cautele che si rendono necessarie nell’interesse della minoranza e che possono giungere fino alla revoca degli amministratori, e alla nomina di un amministratore giudiziario. I provvedimenti del tribunale sono reclamabili davanti alla corte di appello.

IL CONTROLLO DELLA CONSOB

Struttura

A partire dalla riforma del 1974 le società con azioni quotate in borsa e quelle che operano sul mercato mobiliare sono assoggettate al controllo della Consob.

La Consob (Commissione nazionale per le società e la borsa) è un’organo pubblico di vigilanza sul mercato dei capitali istituito con la legge 216 del 1974.

Attualmente è una persona giuridica di diritto pubblico che ha sede in Roma ed una sede secondaria operativa a Milano.

Funzioni

La Consob ha poteri regolamentari e di controllo finalizzati alla tutela degli investitori, nonché alla trasparenza del mercato mobiliare e delle società che vi operano.

INFORMAZIONE SOCIETARIA

La nozione di informazione societaria, non è univoca: di informazione societaria, si parla come di un fenomeno, che interessa sostanzialmente i soci, ovvero come di un fenomeno che interessa, anche il mercato finanziario, cui la società si volge per procacciarsi i mezzi necessari allo svolgimento dell’impresa. Un profilo, che rileva soprattutto con riferimento alle società per azioni in quanto destinate a rivolgersi a tale mercato. Il nostro ordinamento riconosce una informazione interna che si realizza nell’ambito degli organi societari e che si svolge come obbligo imposto a coloro che detengono elementi di conoscenza , ma talora anche ad iniziativa di quei soggetti ai quali la legge attribuisce il diritto ad essere informati; e riconosce anche una informazione esterna che si realizza essenzialmente attraverso l’organo di controllo ( La CONSOB), e che è in funzione di una tutela dell’investitore e di assicurare un più ordinato ed efficiente funzionamento del mercato attraverso il

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controllo dell’opinione pubblica. L’informazione societaria interna si realizza attraverso la imposizione della tenuta accanto alle scritture contabili, anche dei libri sociali; e attraverso l’imposizione della redazione del bilancio di esercizio e degli altri bilanci straordinari e delle relative relazioni e della loro pubblicità nonché attraverso la previsione di uno specifico controllo avente ad oggetto la contabilità della società.

Sono 2 i principi cardine dell’attuale disciplina dell’informazione societaria:

a)informazione continua

tutte le società, quotate e non, con azioni ed obbligazioni diffuse fra il pubblico devono tempestivamente informare il pubblico di qualsiasi fatto, riguardante anche l’attività delle società controllate, la cui conoscenza può influire sensibilmente sul prezzo degli strumenti finanziari

b)informazione su richiesta

la Consob può richiedere che siano resi pubblici notizie e documenti necessari per l’informazione del pubblico e provvedervi direttamente, a spese degli interessati, in caso di inottemperanza.

La Consob ha prescritto obblighi di informazione preventiva per una serie di operazioni quali l’acquisto e la cessione di pacchetti azionari, fusioni, scissioni.

Ha inoltre prescritto che siano messi a disposizione del pubblico i documenti contabili periodici, e cioè bilancio di esercizio e relazione semestrale degli amministratori.

Oltre ai libri ed alle scritture contabili previsti dall’articolo 2214, le società di capitali debbono tenere i seguenti libri: A) Libro delle decisioni dei soci: nella s.r.l., dove devono essere trascritti senza indugio sia i verbali delle assemblee, anche se redatti per atto pubblico, sia le decisioni dei soci adottate al di fuori della assemblea , e il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee nelle s.p.a., nel quale devono essere trascritti tutti i verbali di assemblea anche quelli redatti per atto pubblico:

B) IL LIBRO DELLE DECISIONI DEGLI AMMINISTRATORI: nella s.r.l., e il libro delle adunanze e delle deliberazioni del CDA o del consiglio di gestione nelle s.p.a.

C) libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo

D) libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale ovvero del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo di gestione

Nelle s.p.a. e nelle s.a. p.a. debbono essere tenuti i seguenti libri:

libro dei soci: nel quale devono essere indicati i numeri delle azioni per ogni categoria, il nome degli intestatari delle azioni nominative , i versamenti eseguiti, i trasferimenti delle azioni e i vincoli ad esse relativi.

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Libro delle obbligazioni: deve indicare l’ammontare delle obbligazioni, emesse di quelle estinte , il nome dei titolari delle obbligazioni nominative, i trasferimenti delle obbligazioni nominative.

Libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti: nelle s.p.a. che abbiano costituito un patrimonio destinato ad uno specifico affare, e che abbiano emesso strumenti finanziari di partecipazione all’affare per cui il patrimonio è destinato.

Libro degli strumenti finanziari di partecipazione all’affare: che deve indicare l’ammontare di quelli emessi e di quelli estinti.

Tutti questi libri devono essere numerati progressivamente in ogni pagina e bollati in ogni foglio, prima di essere messi in uso. L’obbligo della tenuta dei libri incombe agli amministratori, ala comitato esecutivo, all’organo di controllo, e al rappresentante degli obbligazionisti. Nella S.r.l., i soci che non partecipano all’amministrazione hanno il diritto di consultare anche tramite professionisti di loro fiducia, sia tutti i libri sociali sia la documentazione relativa all’amministrazione della società: quindi un potere ispettivo. Nelle s.p.a., il socio ha diritto di esaminare solo il libro dei soci, e il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, e di ottenere estratti a sue spese. Il rappresentante degli obbligazionisti può. Esaminare ed ottenere estratti a sue spese , del libro delle obbligazioni: eguale diritto spetta in ordine al libro degli strumenti finanziari di partecipazione all’affare, ai singoli possessori di tali strumenti ed al loro rappresentante comune.

IL BILANCIO

IL BILANCIO Di ESERCIZIO. NOTE INTRODUTTIVE

Il bilancio, è un documento contabile che accerta la situazione patrimoniale della società, inoltre esso è un mezzo di controllo dei risultati di gestione della impresa. Esso influenza la società in ordine alla distribuzione degli utili ai soci, alla riduzione del capitale sociale per perdite, alla emissione di obbligazioni; è in sostanza un documento essenziale per la vita della società. l’accertamento della situazione patrimoniale può farsi all’inizio della attività ed alla sua fine: si ha così un bilancio di apertura contrapposto al bilancio di liquidazione. L’accertamento può farsi anche periodicamente alla chiusura di ogni singolo esercizio, o in occasione di determinati fatti; nel primo caso si parla di bilancio di esercizio o ordinario, nel secondo di bilancio straordinario. La legge prevede e analiticamente regola il bilancio d’esercizio, sancendo l’obbligo della sua compilazione periodica alla chiusura di ogni esercizio sociale. Nelle società di capitali, il bilancio è quel documento attestante la situazione patrimoniale della società con i criteri e le modalità degli organi prescritti dalla legge. Il bilancio è diretto essenzialmente all’esercizio ed è diretto a cristallizzare in un documento contabile le variazioni, che si sono verificate nel patrimonio della società rispetto alla situazione esistente all’inizio dell’esercizio, ed al fine di stabilire se vi sia stato un incremento di valore o invece un decremento . l’esercizio è un periodo di attività economica, frutto di una ripartizione della attività sociale. economicamente tale ripartizione è arbitraria, giuridicamente serve a

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contemperare l’esigenza dei creditori sociali con l’esigenza dei soci di veder realizzato il proprio interesse individuale gradualmente senza dover attendere la estinzione della società. contemperamento che si attua in modo da conservare a garanzia dei creditori, quella parte del patrimonio che corrisponde al valore del capitale, e di adottare provvedimenti se il patrimonio è sceso in una data misura al di sotto di questo valore e consentendo di attribuire ai soci, quella parte del patrimonio che corrisponde a un valore aggiuntivo. Il periodo di durata dell’esercizio è per legge annuale. Siccome la costituzione della società può avvenire in qualsiasi momento dell’anno e per lo più si mira a far coincidere l’esercizio con l’anno solare, il primo esercizio o si abbrevia o si allunga in modo da far coincidere la chiusura dell’esercizio con la fine dell’anno solare in corso o con quella dell’anno solare successivo. La società per azioni è assoggettata all’obbligo di redigere annualmente il bilancio di esercizio.

Evoluzione della disciplina

Il codice di commercio del 1882, pur prevedendo l’obbligo, degli amministratori di redigere, il bilancio alla fine dell’esercizio sociale e pur ponendo il principio che il bilancio deve mostrare, con evidenza e verità gli utili realmente conseguiti e le perdite sofferte, non fissava i criteri che dovevano essere seguiti per la redazione del bilancio. Il codice del 1942, dopo aver ribadito l’obbligo degli amministratori, di redigere il bilancio e fissato il criterio di precisione e chiarezza, aveva stabilito come il bilancio doveva essere redatto e quali voci contenere, e aveva individuato, una serie di criteri per le singole voci. Nessuna specificazione era prevista in merito alla redazione degli utili e delle perdite; lacuna poi colmata. Si era passati così da un sistema nel quale era rimessa essenzialmente agli amministratori la scelta degli scemi , ad un sistema nel quale è lo stesso legislatore a fissare le refole formali che debbono essere soddisfatte: da ultimo la crescente internazionalizzazione dei mercati, ha richiesto sempre una maggiore uniformità dei principi di redazione del bilancio, e ciò non solo in ambito comunitario ma anche appunto internazionale.

La disciplina contenuta negli artt. 2423-2435 bis cc era stata modificata con il d.lgs 127/1991 per dare attuazione alla 4^ direttiva Cee, nonché alla 7^ direttiva in tema di bilancio consolidato di gruppo.

Ulteriori modifiche sono poi state apportate dalla riforma del 2003.

Altre modifiche sono intervenute per effetto del diritto comunitario.

I principi contabili internazionali

Il regolamento CE 1606 del 2002 e il d.lgs 38/2005 hanno disposto che a partire dal 2005 alcune società siano obbligate, ed altre abbiano la facoltà di redigere i bilanci in base ai principi contabili internazionali, emanati dall’International Accounting Standard Board (IASB) e di volta in volta recepiti mediante regolamento comunitario.

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Ambito di applicazione

L’impiego di tali principi è obbligatorio per la redazione dei bilanci di esercizio e consolidato delle società con azioni od altri strumenti finanziari quotati (in Italia o altro Stato membro dell’Unione europea), o diffusi tra il pubblico in misura rilevante.

E’ inoltre obbligatorio per le società che esercitano particolari attività (es. banche, società di assicurazione).

L’adozione dei principi non è invece consentita alle società che possono redigere il bilancio in forma abbreviata; queste società, di dimensioni medio-piccole, sono tenute a redigere il bilancio secondo la disciplina del cc.

Adozione facoltativa

Per tutte le altre società per azioni, l’adozione dei principi è facoltativa, anche se per alcune società (quelle non soggette ad obbligo di redigere un bilancio consolidato) l’opzione sarà esercitatile solo a partire dall’esercizio individuato con un futuro decreto del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro della giustizia.

Una volta adottati i principi, la scelta non è revocabile, salvo che ricorrano circostanze eccezionali; in tali casi la revoca opera a partire dall’esercizio successivo a quello in cui è deliberata.

DISCIPLINA FISSATA DAL CODICE CIVILE (trattiamo solo questa)

Nozione

Il bilancio di esercizio è il documento contabile che rappresenta, in modo chiaro, veritiero e corretto, la situazione patrimoniale e finanziaria della società alla fine di ciascun esercizio, nonché il risultato economico dell’esercizio, cioè gli utili conseguiti o le perdite subite.

Esso è costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa. ( Stato patrimoniale e conto economico, formano un tutto inscindibile, che non ammette reciproche contraddizioni: costituiscono infatti due rappresentazioni di una stessa realtà riferibile ad uno stesso momento e considerata nel suo aspetto statico e poi dinamico. Divergenze tra conto patrimoniale e conto economico non possono sussistere.).

Deve poi essere corredato dalla relazione sulla gestione degli amministratori, nonché da relazioni del collegio sindacale e del revisore contabile.

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Funzioni

Funzione essenziale del bilancio è quella di accertare periodicamente la situazione del patrimonio (aspetto statico) e la redditività (aspetto dinamico) della società.

Nella società per azioni questo accertamento acquista rilievo sotto diversi profili:

-costituisce per i soci (in particolare per quelli di minoranza) lo strumento di informazione sull’andamento degli affari sociali

-costituisce per i creditori sociali il mezzo per conoscere la consistenza del patrimonio della società.

Il bilancio di esercizio delle società di capitali ha inoltre rilievo anche per l’applicazione della normativa tributaria in quanto costituisce per il fisco il termine di riferimento per la tassazione del reddito delle società (Ires).

Le clausole generali

I principi che dominano la redazione del bilancio sono quelli della chiarezza e della rappresentazione veritiera e corretta.

Infatti il bilancio deve essere redatto con chiarezza( riferita soprattutto al bilancio considerato nella sua unitarietà, e non necessariamente alle singole voci di cui esso si compone: la possibilità di un raggruppamento delle voci può favorire la chiarezza del bilancio), e deve rappresentare in modo veritiero ( oggettiva verità dei dati esposti). e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio (art. 2343 2° comma cc). Tale formula intende affermare una duplice esigenza: quella di una corrispondenza oggettiva della rappresentazione, alle situazioni rappresentate ed ai risultati conseguiti ( true); e quella di un atteggiamento soggettivo ispirato a correttezza, lealtà e buona fede nella operazione di rappresentazione. ( fair).

E’ obbligatorio fornire informazioni ulteriori e supplementari, se quelle richieste da disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta. ( articolo 2343 3 comma).

Altri principi

Vi sono poi ulteriori principi di relazione del bilancio (art. 2423 bis cc):

a)prudenza. ( principio centrale nella redazione del bilancio). La valutazione delle voci di bilancio deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva di continuazione dell’attività, al fine di evitare che dal bilancio risultino utili non effettivamente realizzati alla chiusura dell’esercizio

b)bilancio di competenza. Si deve tener conto delle entrate e delle uscite di competenza dell’esercizio indipendentemente dalla data dell’incasso o del

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pagamento, nonché dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura dello stesso ma prima della redazione del bilancio

c)continuità. I criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro, se non in casi eccezionali e con l’obbligo degli amministratori di motivare la deroga nella nota integrativa.

LA STRUTTURA DEL BILANCIO

Il bilancio di esercizio si articola in 3 parti:

1)lo stato patrimoniale

2)il conto economico

3)la nota integrativa.

Criteri di redazione

In applicazione del principio di chiarezza sono indicate le voci che devono figurare nello stato patrimoniale (art. 2424 cc) e nel conto economico (art. 2425 cc).

Sono poi dettate alcune regole generali che devono essere rispettate nella redazione di tali documenti (art. 2423 ter cc):

a)le singole voci devono essere inserite nello stato patrimoniale e nel conto economico secondo l’ordine tassativo fissato per legge

b)le voci sono organizzate in categorie omogenee (contraddistinte da lettere maiuscole), a loro volta articolate in sottocategorie (numeri romani), in voci (numeri arabi) ed in alcuni casi anche in sottovoci (lettere minuscole)

c)per ogni voci dello stato patrimoniale e del conto economico deve essere indicato l’importo della voce corrispondente dell’esercizio precedente al fine di consentire l’agevole confronto col bilancio degli esercizi precedenti

d)è vietato il compenso di partite, cioè la somma algebrica di attività e passività (costi e ricavi) che devono essere iscritti distintamente.

Il bilancio deve essere redatto in unità di euro, senza cifre decimali.

Bilancio in forma abbreviata

Alle società che non superano determinate dimensioni, in base a parametri riferiti all’attivo patrimoniale, al fatturato ed al numero di dipendenti, è consentita la

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redazione di un bilancio in forma abbreviata, nel quale è ridotto il numero delle voci dello stato patrimoniale e del conto economico, nonché delle indicazioni richieste nella nota integrativa.

1)STATO PATRIMONIALE

Lo stato patrimoniale rappresenta la composizione del patrimonio della società (attività e passività) e la sua situazione finanziaria nel giorno della chiusura dell’esercizio.

Consente inoltre l’immediata conoscenza del patrimonio netto della società.

Deve essere redatto nella forma a colonne (vanno iscritte prima le attività, poi il patrimonio netto e le passività), secondo lo schema fissato dall’art. 2424 cc.

Voci dell’attivo

Le voci dell’attivo sono aggregate in 4 grandi categorie ordinate, salvo la prima, secondo il criterio della liquidità crescente.

A)Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti

B)Immobilizzazioni, che comprendono gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente dalla società.

Essi sono a loro volta distinte in 3 sottocategorie:

B-I)immobilizzazioni immateriali, articolate in 7 voci (es. costi di impianto B-I-1)

B-II)immobilizzazioni materiali, articolate in 5 voci (es. fabbricati B-II-1)

B-III)immobilizzazioni finanziarie, che comprendono partecipazioni azionarie e non (articolate in 3 sottovoci), crediti (articolati in 4 sottovoci), altri titoli e le azioni proprie, quando siano destinati a permanere stabilmente nel patrimonio della società (altrimenti questi cespiti patrimoniali vanno indicati nell’attivo circolante).

C)Attivo circolante, distinto in:

C-I)rimanenze, articolate in 5 voci (es. rimanenze di materie prime C-I-1)

C-II)crediti, articolati in 7 voci

C-III)attività finanziarie, fra le quali vanno inserire le partecipazioni, le azioni proprie e gli altri titoli di cui si prevede l’alienazione in tempi brevi

C-IV)disponibilità liquide, distinte in 3 voci (es. danaro in cassa).

D)Ratei e risconti (attivi)

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I ratei attivi sono quote di proventi di competenza dell’esercizio esigibili in esercizi successivi; i risconti attivi sono invece quote di costi sostenuti nell’esercizio, ma di competenza di esercizi successivi.

Voci del passivo

Le voci del passivo sono aggregate in 5 categorie:

A)Patrimonio netto, composto dal capitale sociale nominale (A-I) e dai diversi tipi di riserve, distinte a seconda della fonte (da A-II a A-VII).

L’importo del capitale e delle riserve è aumentato degli utili portati a nuovo (utili di esercizi precedenti non distribuiti) e degli utili di esercizio risultanti dal conto economico; è invece diminuito delle eventuali perdite portate a nuovo e dalle perdite di esercizio.

Si ottiene così il patrimonio netto della società.

B)Fondi per rischi ed oneri

Si tratta di accantonamenti destinati a coprire perdite o debiti certi o probabili, ma dei quali alla chiusura dell’esercizio risulta ancora indeterminato l’ammontare o la data di sopravvenienza (es. accantonamenti per il pagamento di risarcimenti).

C)Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato

D)Debiti, distinti in 14 voci.

E)Ratei e risconti (passivi)

I ratei passivi sono quote di costi di competenza dell’esercizio che saranno effettivamente sopportati negli esercizi successivi; i risconti passivi sono invece quote di proventi percepiti nell’esercizio, ma di competenza di esercizi successivi.

Conti d’ordine

In calce allo stato patrimoniale devono essere iscritti i conti d’ordine, la cui funzione è quella di informare sull’esistenza di rischi ed impegni futuri, che non incidono attualmente sulla consistenza del patrimonio sociale.

2)CONTO ECONOMICO

Il conto economico ( o conto dei profitti e delle perdite), espone il risultato economico dell’esercizio (utile o perdita) attraverso la rappresentazione dei costi e degli oneri sostenuti, nonché dei ricavi e degli altri proventi conseguiti. Ha la funzione di

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rappresentare distintamente i singoli ricavi ed i singoli costi in funzione dei fatti economici che li hanno provocati).

Deve essere redatto in forma espositiva scalare, cioè con esposizione in unica sequenza dei componenti positivi e negativi.

Il conto economico è articolato in 5 sezione scalari:

A)Valore della produzione (articolata nelle voci 1-5), in essa vanno indicati e sommati i ricavi di competenza dell’esercizio dell’attività produttiva tipica e le variazioni, positive o negative, delle relative rimanenze di magazzino.

Dal totale ottenuto si sottraggono i B)Costi della produzione (articolata nelle voci 6-14 ed in sottovoci), fra i quali sono compresi gli ammortamenti, le svalutazioni e gli accantonamenti; si ottiene così, per differenza, il risultato lordo della gestione ordinaria della società.

C)Proventi ed oneri finanziari (articolata nelle voci 15-17 bis ed in sottovoci), vanno iscritti e sommati ad es. i proventi derivanti da partecipazioni in altre società; segue il relativo totale.

D)Rettifiche di valore di attività finanziarie (articolata nelle voci 18-19 ed in sottovoci), dovute a rivalutazioni e svalutazioni delle stesse; segue il relativo totale.

E)Proventi ed oneri straordinari (articolata nelle voci 20-21), con relativo totale.

La somma dei totali parziali così ottenuti costituisce il risultato globale di esercizio, che va indicato prima al lordo e poi al netto delle imposte sul reddito.

Si ottiene così l’utile o la perdita di esercizio che va riportato nello stato patrimoniale.

3)NOTA INTEGRATIVA

Deve integrare i dati risultanti dal conto patrimoniale e dal conto economico, illustrare un gran numero di voci del bilancio, ed annotare sia le situazioni in cui i dati di bilancio non corrispondono pienamente alla realtà economica, sia le eventuali deviazioni dai principi base posti dalla legge per le valutazioni di bilancio. La nota integrativa, che costituisce parte integrante del bilancio e il cui contenuto è fissato dall’art. 2427 cc, illustra e specifica le voci dello stato patrimoniale e del conto economico; in particolare vanno elencate le partecipazioni in società controllate e collegate. La sua funzione è quella di fornire informazioni, sulla evoluzione della attività sociale, e di precisare i criteri seguiti nella redazione, del bilancio specificandone i dati , con riferimento ad alcune voci ritenute particolarmente significative, e la cui determinazione può presentare delicati problemi. Relazione sulla gestione . Gli amministratori devono redigere anche la relazione sulla gestione, cioè un allegato esterno al bilancio che assolve una funzione di resoconto sulla gestione della società e sulle sue prospettive. Deve illustrare l’andamento generale

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della gestione e la sua prevedibile, evoluzione e descrivere i principali rischi ed incertezze cui è esposta la società. la relazione deve inoltre fornire informazioni in merito alla attività di ricerca, e di sviluppo .

I CRITERI DI VALUTAZIONE

È chiaro che una scelta volta a favorire sottovalutazioni, agevola la formazione di riserve occulte e, se può consentire una politica di autofinanziamento, della società è in grado di porsi in contrasto con l’interesse dei soci alla distribuzione degli utili. Mentre per converso l’adozione di criteri di valutazione che consentono di accertare utili non realizzati o di eliminare perdite che si sono effettivamente verificate, implica il pericolo di un pregiudizio dell’integrità del capitale sociale. ora non si tratta del raggiungimento di una verità oggettiva, il problema è soprattutto di correttezza dei criteri adottati.

Per molti cespiti patrimoniali (es. immobili), gli amministratori devono effettuare delle stime per determinare il valore da iscrivere in bilancio.

Il legislatore fissa i principi da osservare nelle valutazioni, cioè quella della prudenza e quello della continuità.( questo principio spiega perché neppure profonde modificazioni nel valore della moneta possano in via di principio, consentire una rivalutazione delle voci di bilancio. Ciò può avvenire solo sulla base di specifici interventi legislativi. Ma al di là di queste leggi una rivalutazione monetaria non sarebbe possibile perché essa importerebbe una modificazione nel rapporto esistente tra capitale e patrimonio, e finirebbe per far apparire come utile di esercizio quel plusvalore che deriva solo da una diversa valutazione dei beni preesistenti. Per tali motivi la rivalutazione monetaria quando è consentita dalla legge necessariamente importa un corrispondente aumento del capitale sociale in modo che rimanga fermo il rapporto preesistente. ).

Determina poi all’art. 2426 cc i criteri cui gli amministratori devono attenersi nelle valutazioni dei diversi cespiti.

Immobilizzazioni

Le immobilizzazioni di ogni tipo (immateriali, materiali e finanziarie) sono iscritte in bilancio al costo storico, cioè al costo di acquisto o di produzione, nel quale vanno computati anche i costi accessori (es. spese di trasporto).

Ammortamenti

Il valore delle immobilizzazioni materiali ed immateriali (non di quelle finanziarie) la cui utilizzazione è limitata nel tempo (es. macchinari), deve essere ammortizzata in

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ogni esercizio, cioè viene ripartito fra gli esercizi di probabile durata del bene il costo inizialmente sopportato, tenendo conto di diversi coefficienti (es. logorio fisico).

Svalutazioni

Se il valore di un’immobilizzazione risulta minore del costo storico, dovrà essere iscritta in bilancio per tale minore valore.

Se il costo storico è il criterio base di valutazione delle immobilizzazioni, regole particolari sono tuttavia dettate per alcune di esse:

a)partecipazioni. Le immobilizzazioni finanziarie costituite da partecipazioni in imprese controllate e collegate possono essere valutate col metodo del patrimonio netto, cioè iscrivendo in bilancio un importo pari alla quota del patrimonio netto della società partecipata risultante dall’ultimo bilancio della stessa; il valore iscritto varierà negli esercizi successivi.

Eventuali plusvalenze rispetto al precedente esercizio devono essere iscritte in un’apposita riserva non distribuibile

b)costi pluriennali. I costi di ampliamento, di ricerca… possono essere iscritti nell’attivo solo se hanno un’utilità pluriennale; devono essere ammortizzati in un periodo non superiore a 5 anni

c)avviamento. L’avviamento può essere iscritto nell’attivo solo se acquistato a titolo oneroso; deve essere di regola ammortizzato in 5 anni.

Crediti

I crediti devono essere valutati secondo il valore di prudente realizzo.

Se gli amministratori li ritengono di dubbia o difficile realizzazione, non possono essere iscritti in bilancio al valore nominale, ma dovranno essere iscritti per la minore somma che si presume di poter realizzare.

Attivo circolante

I cespiti dell’attivo circolante diversi dai crediti (es. rimanenze, titoli) devono essere iscritti al costo di acquisto o di produzione o, se minore, al valore di realizzo desumibile dall’andamento del mercato; tale minor valore non può essere però mantenuto nei successivi esercizi se ne sono venuti meno i motivi.

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Operazioni in valuta

Sono stabiliti infine i criteri di iscrizione in bilancio delle attività e passività in valuta i cui effetti non si sono ancora esauriti al termine dell’esercizio.

Sono dettati criteri diversi a seconda che si tratti di attività e passività non costituenti immobilizzazioni ovvero di attività che costituiscono immobilizzazioni: le prime vanno iscritte al tasso di cambio del giorno di chiusura dell’esercizio e la differenza rispetto al cambio del giorno di compimento dell’operazione darà luogo alla formazione di utili o perdite su cambi da imputare al conto economico (l’utile netto deve essere accantonato in un’apposita riserva non distribuibile fino al realizzo), mentre le secondo devono essere iscritte al tasso di cambio del momento del loro acquisto (cambio storico) o a quello inferiore alla chiusura dell’esercizio se la riduzione è giudicata durevole.

Deroghe eccezionali

In presenza di casi eccezionali che rendono l’applicazione dei criteri appena esposti incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta (es. in un terreno agricolo si scopre un giacimento di metano), gli amministratori devono attribuire ai beni un valore superiore, motivando le singole deroghe nella nota integrativa.

Gli eventuali utili risultanti dalla deroga devono essere iscritti in un’apposita riserva non distribuibile fin quando il maggior valore iscritto non sia stato realizzato per effetto dell’alienazione del bene o coperto da ammortamento.

Fra i casi eccezionali non rientra l’incremento di valore per effetto della svalutazione monetaria; la rivalutazione monetaria è possibile sono in presenza di leggi speciali.

I bilanci per particolari categorie di imprese, la disciplina del codice generale è suscettibile di essere derogata in considerazione delle specifiche esigenze che il legislatore riconosca in determinate categorie di imprese. Nell’ambito dello stesso codice, si prevede un trattamento differenziato, a seconda delle dimensioni delle imprese, interessate. Si consente così la redazione di un bilancio in forma abbreviata, riducendo il numero delle voci richieste , per le società che non superino due dei seguenti limiti: totale dell’attivo di 4.400.000 euro, ricavi di 8.800.000 euro e 50 dipendenti. La disciplina del bilancio generale non si applica alle banche ed alle società finanziarie, salvo quelle la cui attività consista prevalentemente od esclusivamente nella assunzione di partecipazioni in società non bancarie né finanziarie. Altro esempio di imprese soggette ad una disciplina speciale in materia di bilancio è rappresentato dalle società di assicurazione.

IL PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DEL BILANCIO

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Il legislatore prevede una serie di adempimenti , volti a consentire una adeguata informazione sul bilancio sia precedentemente alla sua approvazione da parte della assemblea sia successivamente. Con riferimento alla prima fase in cui si tratta di permettere ai soci di compiere le proprie valutazioni anche nella s.r.l., si ammette che il bilancio con le relazioni degli amministratori, del collegio sindacale, e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, deve essere depositato in copia nella sede della società durante i 15 giorni che precedono, l’assemblea convocata per la sua approvazione e deve rimanervi fino a quando il bilancio non sia approvato ed ogni socio ha diritto di prenderne visione. Con riferimento alla seconda fase, in cui si tratta della informazione dei terzi si dispone che il bilancio entro 30 giorno dalla approvazione sia depositato in copia a cura degli amministratori presso il registro delle imprese insieme con la relazione sulla gestione e con quella del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, e con il verbale di approvazione della assemblea o del consiglio di sorveglianza. Entro il medesimo termine, le s.p.a. non quotate sono tenute a depositare per l’iscrizione nel registro delle imprese l’elenco dei soci riferito alla data di approvazione del bilancio, con l’indicazione del numero delle azioni possedute e dei titolari di diritti o beneficiari di vincoli sulle azioni.

Il bilancio di esercizio è un atto alla cui redazione cooperano nel sistema tradizionale di amministrazione e controllo (e in quello monastico) tutti e 3 gli organi sociali, cioè amministratori, collegio sindacale ed assemblea, nonché il soggetto incaricato del controllo contabile.

Nelle società che adottano il sistema dualistico il bilancio è invece predisposto dal consiglio di gestione e approvato dal consiglio di sorveglianza, salvo che lo statuto preveda l’approvazione da parte dell’assemblea in caso di mancata approvazione da parte del consiglio di sorveglianza o quando ne sia fatta richiesta da almeno un terzo dei componenti del consiglio di gestione o del consiglio di sorveglianza.

Il bilancio è atto degli amministratori, ciò risulta direttamente per le s.r.l. mentre per le s.p.a. , l’articolo 2423 dispone che siano gli amministratori a redigere il bilancio, e questa attribuzione agli amministratori, tra quelle non delegabili, la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori e l’assemblea aveva il potere di discutere , approvare o modificare, il bilancio udita la relazione dei sindaci; nel codice vigente è previsto un intervento della assemblea con il potere di approvare il bilancio non quello di modificarlo. Nella s.r.l. in ogni caso l’approvazione del bilancio è riservata ai soci, e non richiesta l’adozione del metodo assembleare. L’approvazione del bilancio è un atto di controllo o meglio una condizione perché l’atto degli amministratori, acquisti efficacia nell’ambito sociale e possa esser posto a base delle ulteriori determinazioni che la legge ricollega all’accertamento dei risultati di esercizio. Da ciò la necessità di individuare le conseguenze che eventuali vizi del bilancio producono sulla deliberazione di approvazione del bilancio. I vizi possono essere di natura sostanziale e cioè dipendere dal fatto che la situazione patrimoniale e i risultati di esercizio non sono veri, o di natura formale e cioè derivare dal fatto che pur essendo la rappresentazione della situazione patrimoniale e dei risultati veritiera , essa non sia stata attuata con chiarezza. Un bilancio può essere cioè addirittura falso, oppure vero ma non chiaro. In entrambi i casi si determina una responsabilità a carico degli amministratori ed alla responsabilità civile può

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aggiungersi quella penale. Ora la domanda è l’illecito degli amministratori importa invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio ? la legge non si dà carico delle conseguenze che si verificano nella ipotesi di bilancio vero, ma non chiaro, e giustamente non se ne occupa perché rispondendo la chiarezza del bilancio all’esigenza di informazione dei soci, i vizi possono essere eliminati in occasione della sua approvazione. Infatti l’organo competente può non approvare il bilancio o può richiedere che agli amministratori o ai sindaci tutti i chiarimenti e integrazioni che valgono renderlo percepibile e valgono ad eliminare vizi ed oscurità. Ne deriva che la mancata o insufficiente risposta degli amministratori legittima i soci alla impugnativa della deliberazione di approvazione ma se i soci o i consiglieri di sorveglianza approvano il bilancio e ritengono irrilevanti i vizi formali e nessuno dei soci assenti o dissenzienti reagisce allora ogni questione è chiusa. La legge si occupa indirettamente delle conseguenze che derivano dalla approvazione del bilancio non vero. Per esempio nell’ipotesi in cui sulla base di un bilancio falso, ma regolarmente approvato , siano stati fatti emergere utili fittizi ed essi siano stati distribuiti ai soci: si dispone la irripetibilità dei dividendi che siano stati riscossi in buona fede dai soci e percepiti ignorando la falsità del bilancio. Nel sistema originario, si ricavava che anche nel caso di falsità del bilancio , la invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio fosse quella prevista dall’articolo 2377 e non da quella dell’articolo 2379. Nel caso di annullamento e non di nullità , infatti erano salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede, l’irripetibilità dei dividendi percepiti dagli azionisti anche. Nella disciplina vigente, il problema è più delicato perché la salvezza dei diritti acquistati dai terzi si applica anche in caso di nullità.

Il procedimento di formazione è cadenzato nel tempo dall’art. 2364 2° comma cc; in base a tale norma l’assemblea ordinaria, competente per l’approvazione del bilancio, deve essere convocata almeno 1 vola all’anno, entro il termine stabilito dallo statuto comunque non superiore a 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio.

Lo statuto può tuttavia stabilire un termine maggiore, non superiore a 180 giorni, nel caso di società tenute alla redazione del bilancio consolidato o quando lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura e all’oggetto della società.

Progetto di bilancio. Gli amministratori redigono il progetto di bilancio.

A tal fine nelle società quotate gli amministratori si avvalgono della cooperazione di un dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, il quale è soggetto alle norme in tema di responsabilità degli amministratori.

Allegati al bilancio. Almeno 30 giorni prima della convocazione dell’assemblea, il progetto di bilancio deve essere comunicato al collegio sindacale il quale, se esercita il controllo contabile, redige anche la relazione del revisore dei conti esperimento il proprio giudizio sul bilancio.

Deposito. Il progetto di bilancio deve restare depositato in copia nella sede della società durante i 15 giorni che precedono l’assemblea e finchè sia approvato.

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Poteri dell’assemblea. La legge non specifica quali poteri abbia l’assemblea in merito al bilancio; può certamente approvarlo o respingerlo.

E’ opinione prevalente che l’assemblea può anche modificarlo.

Pubblicità. Entro 30 giorni dall’approvazione, copia del bilancio, corredato dal verbale di approvazione, deve essere depositata a cura degli amministratori presso l’ufficio del registro delle imprese.

Invalidità della delibera di approvazione

La riforma del 2003 ha introdotto una disciplina (art. 2434 bis cc) volta a dare stabilità alla delibera di approvazione del bilancio.

Infatti le azioni di annullabilità e nullità previste dagli artt. 2377 e 2379 cc non possono essere più esercitate dopo che è stato approvato il bilancio dell’esercizio successivo.

Inoltre se il soggetto incaricato della revisione non ha formulato rilievi, la legittimazione ad impugnare la delibera spetta a tanti soci che rappresentano almeno il 5% del capitale sociale e nelle società quotate anche alla Consob.

La società è così posta al riparo da azioni promosse da minoranze che in passato avevano dato vita ad impugnative ricattatorie lesive dell’immagine della società.

Per tale ragione anche nella ipotesi di bilancio falso, ove l’approvazione sia avvenuta nella convinzione che il bilancio fosse vero, l’oggetto della deliberazione, non può dirsi illecito: trattandosi di un vizio del bilancio che riguarda l’iter procedimentale, la situazione che si verifica è quella prevista negli articoli 2377 2 379; di una deliberazione assembleare formatasi sulla base di un procedimento viziato, e non quella di una deliberazione nulla per illiceità dell’oggetto.

UTILI. RISERVE. DIVIDENDI

L’assemblea che approva il bilancio delibera sulla distribuzione degli utili ai soci. ( presupposto necessario e limite insuperabile). Non possono essere pagati dividendi se non per utili realmente conseguiti, e risultanti dal bilancio regolarmente approvato. Per questo la partecipazione agli utili eventualmente spettante ai promotori, ai soci fondatori e agli amministratori è computata sugli utili netti risultanti dal bilancio, fatta deduzione delle quote di riserva legale. Non tutti gli utili sono distribuibili fra i soci sotto forma di dividendi per la presenza di vincoli di destinazione imposti dalla legge; ulteriori vincoli possono essere poi stabiliti dallo statuto. -In primo luogo se negli esercizi precedenti si è verificata una perdita del

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capitale sociale, non si possono ripartire utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto di misura corrispondente. Utili sono incrementi patrimoniali, verificatesi durante l’esercizio rispetto al capitale sociale che risultano da bilancio regolarmente approvato: solo rispetto a questi può farsi valere il diritto di promotori, soci fondatori e amministratori ; utili, la cui quota deve essere dedotta , per essere attribuita alla riserva legale statutaria. Non è quindi possibile addivenire a ripartizioni di utili, quando risultano perdite degli esercizi precedenti che devono essere colmate.

Riserva legale

Degli utili netti annuali deve essere poi dedotta una somma corrispondente almeno al 5% degli stessi per costituire una riserva, detta legale, fin quando la stessa non abbia raggiunto il 20% del capitale sociale.

La riserva legale costituisce un accantonamento di utili imposto per legge a salvaguardia dell’integrità del capitale sociale, per evitare cioè che eventuali perdite degli esercizi futuri colpiscano il capitale sociale.

Di essa l’assemblea non può disporre a favore dei soci per tutta la durata della società.

Riserva statutaria

La riserva statutaria si differenzia per il fatto che la sua costituzione è imposta dallo statuto (in aggiunta alla riserva legale), che stabilisce anche la quota di utili da destinare alla stessa.

Gli utili accantonati a riserva statutaria non sono distribuibili fra i soci da parte dell’assemblea ordinaria; con delibera dell’assemblea straordinaria modificativa dello statuto le somme possono essere però rese distribuibili ai soci.

Riserve facoltative

Sono riserve facoltative quelle discrezionalmente disposte dall’assemblea ordinaria, la quale può disporne per distribuire utili ai soci.

Utili distribuibili ai soci

Gli utili di cui l’assemblea che approva il bilancio può disporre a favore dei soci sono perciò costituiti:

a)dagli utili distribuibili di esercizio

b)dagli utili accertati e non distribuiti negli esercizi precedenti.

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Nella società per azioni per l’assegnazione agli azionisti della propria parte di utili è necessaria un’ulteriore deliberazione dell’assemblea.

In tal modo l’interesse del gruppo di comando al reinvestimento degli utili nell’attività sociale è privilegiato rispetto all’interesse del singolo socio alla distribuzione annuale degli utili.

Il potere dell’assemblea in tema di distribuzione degli utili può essere limitato da clausole statutarie che riconoscono a determinate categorie di azionisti il diritto alla percezione annuale di un dividendo.

Utili fittizi

La società non può comunque pagare dividenti se non per utili realmente conseguiti e risultanti dal bilancio e se negli esercizi precedenti si è verificata una perdita del capitale, fin quando il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente.

L’inosservanza di tali condizioni dà luogo alla distribuzione di utili fittizi.

La relativa delibera assembleare è nulla per illiceità dell’oggetto de gli amministratori sono esposti a responsabilità anche penale (art. 2627 cc).

Gli azionisti non sono obbligati a restituire i dividendi riscossi per utili non realmente esistenti quando:

a)erano in buona fede al momento della riscossione

b)i dividendi sono stati distribuiti in base ad un bilancio regolarmente approvato

c)del bilancio risultano utili netti corrispondenti.

Gli acconti dividendo

Prassi diffusa è quella degli acconti sui dividendi: si mira con essi a sopperire alla esigenza degli investitori, di ricevere un reddito a intervalli più brevi di quello annuale. Quando l’esercizio è ormai avanzato e gli amministratori sono in grado di prevedere con sufficiente approssimazione i suoi risultati, con deliberazione del CDA viene disposto un acconto su quei dividendi che saranno distribuiti a chiusura dell’esercizio, sulla base del bilancio approvato e della deliberazione della assemblea. Spesso al fine di consentire la distribuzione di acconti sui dividendi si crea addirittura una apposita riserva che è desinata a ricostituirsi alla chiusura dell’esercizio. Si tratta di una prassi che presenta elementi di rischio, e richiede la massima cautela da parte degli amministratori. Nelle s.p.a. la facoltà di distribuzione di acconti sui dividendi è limitata alle società, il cui bilancio è assoggettato per legge a revisione legale dei conti secondo il regime previsto per gli enti di interesse pubblico, , quindi in primo luogo alle s.p.a. quotate e si presuma la sua previsione in una apposita disposizione statutaria. La loro distribuzione deve essere prevista dallo statuto; è deliberata dagli amministratori sulla base di un prospetto contabile rilasciato dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti , da cui risulti che la

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situazione patrimoniale della società consente la distribuzione. Non sono ripetibili se i soci li hanno riscossi in buona fede, anche se sia successivamente accertata l’inesistenza degli utili risultanti dal prospetto. La distribuzione non è consentita quando dall’ultimo bilancio risultano delle perdite relative all’esercizio precedente. In questo caso gli utili sono destinati a copertura delle perdite. La distribuzione degli acconti sui dividendi deve essere contenuta entro determinati limiti quantitativi.

LE MODIFICAZIONI DELLO STATUTO

NOZIONE. PROCEDIMENTO

Nozione

Le modificazioni statutarie, nella società di capitali, riguardano essenzialmente la struttura e l’organizzazione sociale. solo nella società in accomandita per azioni, ha rilevanza il mutamento della persona dei soci accomandatari, ma anche in questo caso, la rilevanza essenzialmente dipende da ciò che una modificazione si verifica, nella organizzazione della società, in quanto ne muta l’amministratore di diritto(2456). In tale tipo sociale le modificazioni devono essere approvate da tutti i soci accomandatari( 2460). Nella s.r.l. le modificazioni dell’atto costitutivo sono riservate in ogni caso ai soci e la relativa decisione deve essere adottata in sede assembleare(2479): tuttavia l’atto costitutivo, può attribuire agli amministratori, la facoltà di aumentare il capitale sociale. ( 2481). Nelle s.p.a. , le modificazioni dell’atto costitutivo, sono di competenza della assemblea straordinaria, la legge stessa però consente che lo statuto per una serie di materie, deroghi a suddetto principio: può essere delegata agli amministratori, la competenza a decidere l’emissione di obbligazioni convertibili, e l’aumento del capitale mediante nuovi conferimenti. Oppure di attribuire al consiglio degli amministratori, l’istituzione di sedi secondarie, il trasferimento della sede sociale nel territorio nazionale, l’indicazione degli amministratori muniti del potere di rappresentanza, la riduzione del capitale sociale in caso di recesso del socio (2365). Costituisce modificazione dello statuto di una società per azioni ogni mutamento del contenuto oggettivo del contratto sociale (atto costitutivo e statuto), che può consistere sia nell’inserimento di nuove clausole, sia nella modificazione o soppressione di clausole preesistenti.

Procedimento

Le modificazioni dello statuto rientrano nella competenza dell’assemblea dei soci in sede straordinaria (art. 2365 cc).

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Controllo notarile. Pubblicità. Le delibere modificative dello statuto erano originariamente soggette ad omologazione da parte del tribunale; la soppressione del controllo giudiziario sullo statuto e l’affidamento al notaio dei relativi compiti di controllo non hanno però fatto venire del tutto meno il controllo giudiziario sulle delibere modificative dello statuto, ma lo hanno reso eventuale e facoltativo.

In base all’attuale disciplina (art. 2346 cc) il notaio che ha verbalizzato la delibera dell’assemblea verifica l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge ed entro 30 giorni che richiede l’iscrizione nel registro delle imprese. L’ufficio del registro a sua volta, verificata la regolarità formale della documentazione, iscrive la delibera nel registro. Se il notaio ritiene non adempiute le condizioni stabilite dalla legge ne dà comunicazione agli amministratori, i quali nei 30 giorni successivi a pena di inefficacia, possono convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti oppure ricorrere al tribunale che, verificato l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge, ordini con proprio decreto motivato (soggetto a reclamo) l’iscrizione. In caso di inerzia degli amministratori la delibera è inefficace. Si dispone che la deliberazione non produce effetti se non dopo l’iscrizione. Per rendere più agevole la conoscenza del contenuto dello statuto, dopo ogni modificazione ne deve essere depositato nel registro delle imprese il testo integrale aggiornato. L’iscrizione della modificazione statutaria, nel registro delle imprese, ha analogamente a quanto avviene per lo statuto un effetto costitutivo.

Limiti in cui le modificazioni sono consentite: la modificazione può riguardare, la organizzazione sociale, ed il funzionamento degli organi sociali; può riguardare il capitale sociale, o il trasferimento della sede all’estero. A volte queste modificazioni possono essere combinate insieme. Fino a quando le modificazioni investono la struttura e la organizzazione della società, non può contestarsi il diritto della società di darsi un nuovo ordinamento. Questo pertanto si impone ai soci, ai quali è solo concesso, nelle ipotesi in cui la modificazione è di maggior rilievo, l’esercizio del diritto di recesso. Sorge il dubbio, se la modificazione dell’atto costitutivo possa importare direttamente o indirettamente una modificazione nella posizione che il socio ha nella società, e cioè di modificare i diritti che sono connessi alla azione o alla partecipazione sociale. è questo il problema che riguarda i diritti individuali dei soci. È sicuro che la posizione del socio nella società non possa essere sempre modificata attraverso un atto di volontà, ma è altrettanto sicuro, che determinate modificazioni possono esservi apportate. Si tratta perciò di stabilire fino a che punto è possibile una tale modificazione. In talune ipotesi, è la stessa legge che permette di risolvere il problema; così per esempio per quanto concerne il diritto di recesso dichiara nullo ogni patto che lo escluda o ne renda più gravoso l’esercizio, la stessa legge ne enuncia l’insopprimibilità in sede di modificazione statutaria. (2437). In altre ipotesi, è l’essenza stessa della società a ritenere non sopprimibili alcuni diritti: diritto agli utili, diritto di impugnazione delle delibere assembleari. Tuttavia se l’essenza della società non consente l’esclusione di tali diritti, ad essa non contrasta una loro attenuazione o accentuazione rispetto a certi soci. L’atto costitutivo di una s.r.l. , può prevedere l’attribuzione ai soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili e lo statuto della s.p.a. può creare categorie di azioni fornite di diversi diritti. Sorge dunque il problema se, pur rimanendo ferma

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l’attribuzione a ciascun socio dei diritti essenziali alla società, possa in sede di modificazione statutaria, modificarsi la posizione originariamente attribuita al socio della costituzione della società. tale posizione può essere modificata indirettamente in quanto siano attribuiti a nuovi soci particolari diritti o invece può essere modificata direttamente, in quanto siano mutati i diritti originariamente connessi al socio o alle sue azioni. Nella prima ipotesi vi è mutamento non nella posizione giuridica del socio, ma vi può essere pregiudizio di mero fatto, in quanto , considerata la posizione del socio congiuntamente con quella degli altri , questa viene a risultare diversa da quella che era originariamente, pur essendo rimasti intatti i diritti originariamente riconosciuti al socio: ed è a questa ipotesi, che la legge sembra riferirsi, quando riconosce il diritto di recesso al socio di s.p.a. che non ha concorso alle modificazioni statutarie concernenti il diritto di voto o di partecipazione. (2437 1 comma). Non sembra che questo pregiudizio proveniente dalla modificazione dell’atto costitutivo, possa impedire alla società di deliberala validamente. Più delicato è il problema se possa essere modificata la posizione giuridica del socio. La posizione del socio, è una posizione riflessa che si desume dall’ordinamento sociale, per cui se questo ordinamento può essere modificato con una delibera di maggioranza ne deriva che può essere modificata anche la posizione del socio. Argomenti di questo genere nelle s.p.a. , si possono ricavare direttamente dalla legge: per esempio per gli obbligazionisti è prevista la possibilità da parte della assemblea di modificare le condizioni del prestito obbligazionario e quindi di incidere sulla posizione giuridica del singolo obbligazionista possessore di strumenti finanziari. Si prevede inoltre la possibilità di una deliberazione dell’assemblea che pregiudichi i diritti dei soci. In definitiva, la legge richiede determinate maggioranze perché la posizione del socio possa essere modificata, non assicura al socio una immutabilità della sua posizione e impone che questa si adegui alle necessità sociali e quindi alle esigenze riconosciute dalla maggioranza degli interessati. Naturalmente queste considerazioni non valgono in riferimento a quei diritti che sono riconosciuti ad uno o più soci individualmente. Il diritto del socio ha una sua autonoma giustificazione, non costituisce riflesso dell’ordinamento sociale, per cui tale diritto per tanto non può essere modificato solo tramite una modificazione dell’ordinamento sociale. E perciò nella s.r.l., ove è possibile attribuire a singoli soci particolari diritti, la legge espressamente richiede per la loro modificazione il consenso unanime dei soci, facendo salva una diversa disposizione dell’atto costitutivo. ( 2468). Salvo questo caso particolare, la modificazione investe necessariamente la posizione di tutti i soci che si trovano in quella situazione, perché essenzialmente la modificazione dipende dalla modificazione dell’ordinamento sociale e non può non riguardare tutti i soci.

IL DIRITTO DI RECESSO

La legge distingue tra modificazioni essenziali, che autorizzano il socio a porsi fuori dall’ordinamento sociale attraverso il diritto di recesso, e modificazioni non essenziali. Alle modificazioni dello statuto si applica il principio maggioritario; ciò non significa che il potere dispositivo riconosciuto alla maggioranza sia senza limiti. E’ infatti necessario che non siano violati i principi della correttezza e buona fede nell’attuazione del contratto sociale, nonché quello della parità di trattamento fra gli

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azionisti. In presenza di delibere modificative di particolare gravità, la minoranza è inoltre indirettamente tutelata dalla previsione di maggioranze più elevate e dal riconoscimento del diritto di recesso dalla società (artt. 2347 ss cc). La disciplina del diritto di recesso è stata profondamente modificata con la riforma del 2003 in modo da assicurare una più efficace tutela dei soci di minoranza.

Cause ( sono considerate modificazioni essenziali in tutte le società di capitali) :

Mentre la previdente disciplina prevedeva 3 cause di recesso (cioè cambiamento dell’oggetto sociale, trasformazione e trasferimento della sede sociale all’estero), l’attuale disciplina amplia la cause (art. 2437 cc), che possono essere distinte in:

a)cause inderogabili

sono indicate all’art. 2437 1° comma cc.

Il diritto di recesso può essere esercitato, anche per parte delle azioni, dai soci che non hanno concorso (in quanto dissenzienti, assenti o astenuti) alle delibere riguardanti:

-la modifica dell’oggetto sociale purchè consista in un cambiamento significativo dell’attività della società

-la trasformazione della società

-il trasferimento della sede sociale all’estero

-la revoca dello stato di liquidazione

-l’eliminazione di una o più cause di recesso derogabili o previste dallo statuto

-la modificazione dei criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso

-le modificazioni dello statuto concernenti il diritto di voto o di partecipazione.

In tutti questi casi il diritto di recesso non può essere soppresso dallo statuto ed è nullo ogni patto volto ad escluderlo o a renderne più gravoso l’esercizio.

Il diritto di recesso spetta inoltre inderogabilmente ai soci assenti o dissenzienti rispetto alla delibera che introduce, modifica o sopprime una clausola compromissoria nello statuto, nonché ai soci assenti, dissenzienti o astenuti, quando si adotta nelle società quotate una delibera che comporta l’esclusione dalla quotazione

Sono altresì considerate modificazioni essenziali per le s.r.l. , la fusione, la scissione, e l’esclusione del diritto di sottoscrivere l’aumento di capitale: tutte ipotesi che determinano la modificazione degli equilibri interni tra i soci ed assumono quindi particolare rilievo nel tipo societario ove non trattandosi solo di investimento, di cui deve tutelarsi il valore, ma anche dalla possibilità di contribuire alla gestione

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imprenditoriale della società, essenziale per la decisione se assumere una partecipazione può essere quell’equilibrio:

b)cause derogabili

sono contemplate nell’art. 2437 2° comma cc.

Il diritto di recesso spetta, salvo che lo statuto non disponga diversamente, ai soci che non hanno concorso all’approvazione delle delibere riguardanti:

-la proroga del termine di durata della società

-l’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni.

In questi casi, il recesso non può essere esercitato solo per parte delle azioni

In questi casi il socio ha diritto di recesso, mediante un atto unilaterale anche al rimborso della quota; il recesso non può essere esercitato e se già esercitato perde efficacia, se entro 90 giorni viene revocata la deliberazione modificativa o viene deliberato lo scioglimento della società.

c)cause statutarie

nelle società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio lo statuto può prevedere ulteriori cause di recesso (art. 2347 4° comma cc).

Nelle società a tempo indeterminato non quotate dopo la riforma del 2003, il recesso viene a costituire un temperamento alla durata potenzialmente illimitata del vincolo sociale. Infatti tutti i soci possono recedere liberamente ad nutum da una società a tempo indeterminato non quotata con un preavviso di 180 giorni, allungabile dallo statuto fino ad 1 anno; lo statuto deve fissare il periodo di tempo, comunque non superiore ad 1 anno, decorso il quale il socio può recedere. Il diritto di recesso, non viene riconosciuto ove si tratti di società quotata a tempo indeterminato, poiché la scelta di liquidare il proprio investimento può essere agevolmente soddisfatta vendendo le azioni sul mercato, senza costi per la società

Esercizio del diritto di recesso

Il diritto di recesso deve essere esercitato mediante comunicazione con lettera raccomandata alla società entro 15 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera che lo legittima; termine portato a 30 giorni dalla conoscenza da parte del socio se il fatto che legittima il recesso non è una delibera.

Le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso devono essere depositate presso la sede della società; quest’ultima può sottrarsi al rimborso delle azioni se entro 90 giorni (successivi al recesso) revoca la delibera che lo legittima o se i soci deliberano

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lo scioglimento della società. il socio ha diritto di recedere per tutte le azioni o anche in via di principio per una parte solo di esse. ( recesso parziale).

Determinazione del valore delle azioni

Società non quotate. Il valore delle azioni da rimborsare è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione contabile, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni (art. 2437 ter 1° comma cc); lo statuto può stabilire ulteriori criteri.

Società con azioni quotate. Il valore di liquidazione è invece determinato facendo esclusivo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei 6 mesi che precedono la convocazione dell’assemblea, chiamata ad adottare la deliberazione. (2437 ter 3 comma).

In ogni caso : -I soci hanno diritto di conoscere la determinazione del valore di rimborso nei 15 giorni precedenti la data fissata per l’assemblea. In caso di contestazione il valore di liquidazione è determinato entro 90 giorni dall’esercizio del recesso da un espero nominato dal tribunale.(2437 ter ).

Rimborso delle azioni

Le azioni del socio che recede devono essere offerte in opzione agli altri soci in proporzione al numero delle azioni possedute. I soci possono esercitare l’opzione entro 30 giorni dal deposito, sulle azioni rimaste inoptate, hanno diritto di prelazione i soci che ne abbiano fatto richiesta. Le azioni del socio recedente che non sono state acquistate, possono essere collocate dagli amministratori presso i terzi; se si tratta di azioni quotate, il collocamento avviene mediante offerta nei mercati medesimi. Per la parte non acquistata dai soci possono essere collocate sul mercato. In caso di mancato collocamento le azioni vengono rimborsate mediante acquisto da parte della società, se trascorsi 180 giorni dalla dichiarazione di recesso il collocamento delle azioni presso soci o terzi sia rimasto infruttuoso. La società, è tenuta ad acquistare le azioni del socio recedente mediante l’impiego di riserve disponibili e ciò anche quando il valore complessivo delle azioni proprie superi il quinto del capitale. Solo in assenza di utili e riserve disponibili deve essere convocata l’assemblea straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale, o lo scioglimento della società. I creditori possono opporsi alla delibera di riduzione del capitale; se l’opposizione è accolta la società si scioglie. Nel caso di azioni riscattabili, per le quali lo statuto prevede un potere di riscatto da parte della società o dei soci, l’ipotesi in cui la partecipazione alla società si giustifichi per la situazione personale del socio e per la permanenza della medesima, è possibile estromettere il socio dalla società.

LE MODIFICAZIONI DEL CAPITALE SOCIALE

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Una specifica disciplina è dettata per le modificazioni dello statuto relative al capitale sociale, cioè aumento e diminuzione (artt. 2438-2447 cc).

AUMENTO DEL CAPITALE SOCIALE

L’aumento del capitale sociale può essere reale (o a pagamento) oppure nominale (o gratuito). Vi può essere aumento del capitale con aumento del patrimonio in conseguenza di nuovi conferimenti , o invece aumento di capitale mediante passaggio a capitale della parte disponibile delle riserve e dei fondi speciali iscritti a bilancio, e cioè senza aumento di patrimonio; allo stesso modo può esservi riduzione del capitale mediante riduzione del patrimonio ( restituzione parziale dei conferimenti o esonero dal compimento del conferimento nella parte ancora dovuta), o invece riduzione di capitale per perdite e cioè senza riduzione del patrimonio.

a)AUMENTO REALE DEL CAPITALE SOCIALE MEDIANTE NUOVI CONFERIMENTI( con aumento del patrimonio sociale)

Con l’aumento reale del capitale sociale, la società intende procurarsi nuovi conferimenti. Si ha l’emissione di nuove azioni a pagamento che vengono sottoscritte dai soci attuali, cui per legge è riconosciuto il diritto di opzione, oppure da terzi che così diventano soci. Si ha quindi un aumento del capitale sociale nominale e del patrimonio della società per effetto di nuovi conferimenti.

Condizioni

Non è consentito eseguire un aumento del capitale fino a che le azioni precedentemente emesse non siano interamente liberate. Tale aumento può essere deliberato, solo quando i conferimenti assunti all’atto della costituzione o in occasione di precedenti deliberazioni di aumento di capitale siano stati compiutamente eseguiti. Per quanto riguarda le s.p.a. , gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni in violazione di tale regola restano comunque salvi, ferma restando la responsabilità solidale degli amministratori per i danni arrecati ai soci o ai terzi. ( 2438 2 comma ).

Aumento delegato

Le nuove quote o le nuove azioni devono essere emesse per un valore nominale complessivo almeno pari all’ammontare dell’aumento:

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Competente a deliberare l’aumento di capitale è l’assemblea straordinaria dei soci. Lo statuto o una sua successiva modifica possono attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale, tuttavia:

-deve essere predeterminato l’ammontare massimo entro cui aumentare il capitale sociale

-la delega può essere concessa per un periodo massimo di 5 anni (art. 2443 cc); la delega è rinnovabile.

Il verbale della delibera del consiglio di amministrazione di aumento del capitale sociale deve essere redatto da un notaio; la delibera è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese.

Sottoscrizione parziale

Una specifica disciplina è dettata per la sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale.

La deliberazione di aumento deve fissare il termine, non inferiore a 30 giorni dalla pubblicazione dell’offerta, entro il quale le sottoscrizioni devono essere raccolte. Può verificarsi che l’aumento di capitale non sia integralmente sottoscritto; in tal caso il capitale è aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte soltanto se la deliberazione di aumento lo abbia espressamente previsto.(2439 2 comma). In mancanza i sottoscrittori sono liberati dall’obbligo di conferimento assunto ed hanno diritto alla restituzione delle somme già versate.

Conferimenti

Per i conferimenti in sede di aumento del capitale sociale vale la medesima disciplina dei conferimenti al momento della costituzione della società (art. 2440 cc). Tuttavia, il versamento del 25% dei conferimenti in danaro deve essere effettuato direttamente alla società e non presso una banca.( 2439 1 comma).

Diritto di opzione

Il diritto di opzione, la cui disciplina è contenuta nell’art. 2441 cc, è il diritto dei soci attuali di essere preferiti ai terzi nella sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale a pagamento. Esso ha un valore economico che l’azionista può monetizzare cedendolo a terzi qualora non voglia o non possa concorrere all’aumento del capitale sociale. Oggetto. Il diritto di opzione ha per oggetto le azioni di nuova emissione di qualsiasi categoria e le obbligazioni convertibili in azioni emesse dalla società. E’ attribuito a ciascun azionista in proporzione del numero di azioni già possedute. Per l’esercizio

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del diritto di opzione la società deve concedere agli azionisti un termine non inferiore a 30 giorni (ridotto a 15 per le società quotate), che decorre dall’iscrizione dell’offerta di opzione nel registro delle imprese. Azioni non optate. Gli amministratori non sono liberi di collocare a loro piacimento le azioni inoptate, infatti:

a)se le azioni non sono quotate coloro che hanno esercitato il diritto di opzione hanno diritto di prelazione nella sottoscrizione delle azioni non optate, purché ne facciano richiesta all’atto dell’esercizio dell’opzione

b)se le azioni sono quotate, i diritti di opzione residui devono essere offerti nel mercato regolamentato dagli amministratori per almeno 5 riunioni ed il ricavato della vendita va a beneficio del patrimonio sociale.

Solo se gli azionisti non si avvalgono per l’intero del diritto di prelazione o i diritti offerti nel mercato regolamento restano invenduti, le azioni di nuova emissione potranno essere liberamente collocate.

Esclusione del diritto di opzione. Il diritto di opzione è sacrificabile in presenza un concreto interesse della società, in particolare:

1)il diritto di opzione è escluso per legge quando le azioni devono essere liberate mediante conferimenti in natura

2)il diritto di opzione può essere escluso o limitato con delibera di aumento del capitale quando l’interesse della società lo esige (art. 2441 5° comma cc); la delibera deve essere approvata con maggioranza rafforzata, cioè oltre la metà del capitale sociale

3)il diritto di opzione può essere escluso con delibera dell’assemblea straordinaria quando le azioni devono essere offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società o anche ai dipendenti di società controllanti o controllate; la delibera deve essere approvata da oltre la metà del capitale sociale se il diritto di opzione è escluso per più di un quarto. Nelle ipotesi di esclusione del diritto di opzione la legge impone che la deliberazione di aumento del capitale determini il prezzo di emissione delle azioni in base al valore del patrimonio netto, tenendo anche conto , per le azioni quotate dell’andamento delle quotazioni nell’ultimo semestre; la legge richiede inoltre che la relativa proposta sia illustrata con apposita relazione degli amministratori , la quale ne indichi le ragioni e che il collegio sindacale esprima il proprio parere sulla congruità del prezzo di emissione , parere che deve essere messo a disposizione dei soci. Per le società con azioni quotate il parere sulla congruità del prezzo di emissione è invece rilasciato dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti.

Sovrapprezzo. Nei casi di esclusione di cui ai numeri 1 e 2 (vedi sopra), è obbligatoria l’emissione delle nuove azioni con sovrapprezzo. Alla società è lasciato un margine di discrezionalità nella determinazione del relativo ammontare. Il collegio sindacale deve esprimere il proprio parere sulla congruità del prezzo di emissione; nelle società con azioni quotate tale parere è espresso dalla società incaricata della revisione contabile.

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Opzione indiretta. Il diritto di opzione non si considera escluso o limitato quando le azioni di nuova emissione sono sottoscritte da banche o da altri soggetti autorizzati al collocamento di strumenti finanziari con l’obbligo di offrirle successivamente agli azionisti. Le spese dell’operazione sono a carico della società e la delibera di aumento deve indicarne l’ammontare. Nel periodo di detenzione delle azioni l’intermediario non può esercitare il diritto di voto.

b)AUMENTO NOMINALE DEL CAPITALE SOCIALE( senza aumento del patrimonio sociale).

L’aumento nominale (o gratuito) del capitale sociale è operazione che non dà luogo a nuovi conferimenti e non determina perciò alcun incremento del patrimonio sociale. L’aumento nominale è posto in essere dall’assemblea straordinaria imputando a capitale le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili (art. 2442 1° comma). Possono essere utilizzate le riserve facoltative e le riserve statutarie prive di specifica destinazione; non è invece imputabile a capitale la riserva legale, almeno per la parte che non supera il 20% del capitale sociale. il nuovo capitale deve necessariamente essere ripartito tra i soci in proporzione della loro partecipazione. Nell’ipotesi in cui sussistano diverse categorie di azioni, ciascun socio deve ricevere azioni aventi le stesse caratteristiche di quelle possedute(2442): quindi i possessori di azioni ordinarie riceveranno azioni ordinarie; solo in riferimento a questo aspetto il socio conserva nella società in relazione al capitale risultante dall’aumento , la posizione che aveva al capitale preesistente; diversamente si imporrebbe una modificazione nella posizione del singolo socio.

Effetti

L’aumento è quindi realizzato utilizzando valori già esistenti nel patrimonio della società. Il passaggio a capitale comporta che la società non può disporre a favore dei soci dei corrispondenti valori del patrimonio netto; essi restano assoggettati al vincolo di indisponibilità proprio del capitale sociale.

Modalità di attuazione

L’aumento nominale del capitale sociale può essere attuato o aumentando il valore nominale delle azioni in circolazione o mediante l’emissione di nuove azioni che devono essere assegnate gratuitamente agli azionisti in proporzione di quelle da essi già possedute.

RIDUZIONE DEL CAPITALE SOCIALE

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La riduzione del capitale sociale può essere reale o nominale, a seconda che la riduzione dia luogo o meno ad un corrispondente rimborso ai soci del valore dei conferimenti (con contestuale riduzione del patrimonio sociale).

a)RIDUZIONE REALE DEL CAPITALE SOCIALE ( con riduzione di patrimonio).

La disciplina attuale prevede che la riduzione reale può essere disposta dalla società anche per cause diverse dall’esuberanza del capitale sociale per il conseguimento dell’oggetto sociale. La riduzione resta però circondata da una serie di cautele (art. 2445 cc) poiché rappresenta un’operazione potenzialmente pericolosa per i creditori sociali e per i soci di minoranza, in quanto riduce la consistenza del patrimonio sociale. tale riduzione può aver luogo mediante liberazione dei soci dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti, o invece mediante il rimborso dei versamenti fatti.

Condizioni

Il capitale sociale non può essere ridotto al di sotto del minimo legale di 120 mila euro (o di quello più elevato fissato da leggi speciali; a meno che contemporaneamente si addivenga alla trasformazione del tipo di società). L’avviso di convocazione dell’assemblea deve indicare le ragioni e le modalità della riduzione, in modo che i soci siano preventivamente informati. La delibera, adottata con le maggioranze previste per le modificazioni dello statuto, può essere eseguita solo dopo 90 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese.

Opposizione dei creditori

Entro questo termine i creditori sociali anteriori all’iscrizione possono fare opposizione alla delibera di riduzione; l’opposizione sospende l’esecuzione della delibera fino all’esito del giudizio. Il tribunale può disporre che l’esecuzione abbia ugualmente luogo se ritiene infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori o se la società presta idonea garanzia a favore del creditore opponente. Altra ipotesi di riduzione del capitale con riduzione del patrimonio si ha nel caso di recesso del socio. Ora è stato riconosciuto ai creditori sociali il potere di opporsi anche a tale forma di riduzione e si è anzi disposto che quando tale opposizione venga ritenuta infondata dal giudice, la società si scioglie.

Modalità di esecuzione

La riduzione reale può aver luogo mediante liberazione dei soci dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti, o mediante rimborso agli stessi del capitale. La società può anche procedere all’acquisto ed al successivo annullamento di proprie azioni.

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Le modalità devono comunque assicurare la parità di trattamento degli azionisti (es. riduzione proporzionale del valore nominale di tutte le azioni; estrazione a sorte ed annullamento di un certo numero di azioni dietro rimborso del solo valore nominale delle azioni).

Azioni di godimento

In quest’ultimo caso agli azionisti rimborsati vengono rilasciati speciali titoli denominati azioni di godimento (art. 2353 cc), dato che il valore reale delle azioni può essere superiore a quello nominale.

Le azioni di godimento partecipano alla ripartizione degli utili solo dopo che sia stato corrisposto alle altre azioni un dividendo pari all’interesse legale sul valore nominale.

Inoltre partecipano alla ripartizione del saldo attivo di liquidazione solo dopo che alle altre azioni è stato rimborsato il valore nominale.

Salvo che l’atto costitutivo non disponga diversamente, le azioni di godimento non attribuiscono il diritto di voto.

b)RIDUZIONE NOMINALE DEL CAPITALE SOCIALE (O PER PERDITE)( senza riduzione del patrimonio sociale).

Il patrimonio della società (o capitale reale) può scendere, per effetto di perdite, al di sotto del capitale sociale nominale. La riduzione del capitale sociale per perdite consiste nell’adeguare la cifra del capitale sociale nominale all’attuale minor valore del capitale reale. E’ quindi una riduzione nominale, dato che non comporta alcuna riduzione del patrimonio sociale, la quale si è già verificata per effetto delle perdite subite dalla società.

Riduzione facoltativa

La società non è obbligata a ridurre il capitale sociale fino a quando la perdita non sia superiore ad un terzo.

Inoltre è necessario che le perdite abbiano eroso tutte le riserve.

Riduzione obbligatoria

La riduzione diventa obbligatoria quando il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite, e queste non siano state riassorbite, almeno nella parte necessaria a riportare il capitale sociale oltre due terzi dall’ammontare originario, nell’esercizio successivo.

La disciplina è diversa a seconda che:

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a)il capitale non scende al di sotto del minimo legale (art. 2446 cc)

gli amministratori, o nel caso di loro inerzia il collegio sindacale, devono convocare l’assemblea straordinaria e sottoporle una situazione patrimoniale aggiornata della società, con le osservazioni del collegio sindacale che devono restare depositate nella sede della società durante gli 8 giorni che precedono l’assemblea, in modo che i soci possano prenderne visione. L’assemblea convocata prende gli opportuni provvedimenti; non è tenuta a decidere l’immediata riduzione del capitale. Se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l’assemblea ordinaria deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate; in tal caso nelle s.p.a. , la riduzione è deliberata eccezionalmente dalla assemblea ordinaria, qualora poi le azioni siano prive di valore nominale, è possibile prevedere che tale riduzione venga deliberata dal Cda; in mancanza la riduzione del capitale è disposta di ufficio dal tribunale con proprio decreto.

b)il capitale scende al di sotto del minimo legale (art. 2447 cc)

l’assemblea convocata senza indugio, deve necessariamente deliberare o la riduzione del capitale sociale ed il contemporaneo aumento ad una cifra non inferiore al minimo legale o la trasformazione della società; se l’assemblea non adotta una di tali decisioni la società di scioglie ed entra in stato di liquidazione. È controverso se alla riduzione del capitale sociale ed al contemporaneo aumento possa farsi luogo, quando il capitale sociale sia completamente perduto. La questione sorge perché, vi può essere perdita totale del capitale sociale, pur conservando il patrimonio sociale un valore positivo, perché le valutazioni di bilancio, non corrispondono esattamente al valore effettivo del patrimonio. Determinati valori patrimoniali possono addirittura, veder vietata la loro iscrizione a bilancio, mentre quei valori patrimoniali che possono figurarvi sono iscritti in base a criteri di valutazione rigidi. Coloro che non sono in grado di sottoscrivere l’aumento del capitale necessario a conservare la vita della società, vengono ad essere privati della loro qualità di soci e di un valore patrimoniale che talora può essere rilevante. Altre ipotesi analoghe a quella della riduzione per perdite, si hanno nel caso di morosità del socio e inoltre nel caso di conferimenti in natura , quando il valore dei beni conferiti risulti inferiore di almeno un quinto dell’ammontare del capitale sottoscritto. ( 2343 4 comma): anche in questi casi si deve fare luogo ad una corrispondente riduzione del capitale sociale.

LE OBBLIGAZIONI

NOZIONE E TIPOLOGIA

La società per azioni, a differenza delle società di persone, può emettere obbligazioni che rappresentano uno strumento per la raccolta di capitale di prestito fra il pubblico. L’obiettivo che persegue l’impresa è quello di reperire dei capitali necessari

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alla attività di impresa presso il risparmiatore disponibile ad investirli. Quindi viene offerta al risparmiatore una posizione giuridica di partecipazione, per una frazione, ad una operazione collettiva.

Nozione

Le obbligazioni sono titoli di credito (nominativi o al portatore) che rappresentano frazioni di uguale valore nominale e con uguali diritti di un’unitaria operazione di finanziamento a titolo di mutuo. I titoli obbligazionari documentano quindi un credito verso la società. Anche alle obbligazioni come per le azioni, sono connessi oltre che diritti patrimoniali, determinati poteri in ordine ai fatti che riguardano l’operazione complessiva di prestito, di cui le obbligazioni costituiscono una frazione. Vi è pertanto una organizzazione delle obbligazionisti: una assemblea che delibera con efficacia vincolante anche per gli assenti e dissenzienti, sulle materie che riguardano l’interesse comune e un rappresentante comune. Caratteristica essenziale del prestito obbligazionario, che lo distingue da varie forme di finanziamento individuale, è infatti quella di creare un gruppo che opera all’interno della società. ciò si desume dal fatto che deve esistere un rapporto tra capitale sociale e riserve da un lato e ammontare del prestito obbligazionario dall’altro, e che sussistono reciproche interferenze tra le organizzazioni degli obbligazionisti e degli azionisti. La tutela collettiva degli obbligazionisti, integra e non sostituisce la tutela individuale del singolo obbligazionista e non impedisce quindi , l’esercizio del singolo dei diritti che sono inerenti alla obbligazione. L’interesse individuale del singolo obbligazionista viene ad essere comunque subordinato all’interesse della collettività, con la conseguenza che quei provvedimenti che siano stati legittimamente presi dagli organi di questa collettività nell’interesse di tutti si impongono all’obbligazionista singolo, anche quando valgono a limitare o ad escludere diritti derivanti dal titolo obbligazionario.

Distinzione tra obbligazioni ed azioni

Mentre l’obbligazione attribuisce la qualità di creditore della società, l’azione attribuisce la qualità di socio.

L’obbligazionista a perciò diritto ad una remunerazione periodica (interessi), normalmente svincolata dai risultati economici della società; ha inoltre diritto al rimborso del valore nominale del capitale prestato alla scadenza pattuita.

L’azionista invece ha diritto al rimborso del suo apporto solo in sede di liquidazione della società e sempre che residui un attivo netto dopo che sono stati soddisfatti tutti i creditori, compresi gli obbligazionisti; la quota di liquidazione dell’azionista può essere uguale, superiore od inferiore al valore nominale del conferimento eseguito.

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Distinzione tra obbligazioni e strumenti finanziari partecipativi

Le obbligazioni e gli strumenti finanziari partecipativi (cioè strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti) emessi dalla società sono entrambi titoli emessi a seguito di un apporto non imputato a capitale. Lo statuto stabilisce i diritti che tali strumenti finanziari conferiscono, disciplina le condizioni e le modalità di emissione, le sanzioni in casi di inadempimento delle prestazioni. Gli strumenti finanziari siano essi partecipativi o meno possono essere assegnati, gratuitamente ai prestatori di lavoro, l’assegnazione anche in tale caso è deliberata dalla assemblea straordinaria che oltre a subordinare a talune condizioni l’esercizio dei diritti attribuiti dagli strumenti finanziari può sottoporre a particolari norme il trasferimento , la decadenza ed il riscatto. (2349 2 comma ). La legge non indica quali siano i diritti amministrativi di cui siffatti strumenti possono essere dotati, è da escludere il diritto di voto nella assemblea generale degli azionisti, e segnatamente nella assemblea dei possessori di tali strumenti; connotazione del tutto eccezionale la possibilità concessa alle società privatizzate di emettere strumenti finanziari muniti di diritti di voto nella assemblea ordinaria e straordinaria . l’assemblea dei possessori degli strumenti finanziari partecipativi, è inoltre chiamata ad approvare le deliberazioni della assemblea generale che pregiudicano i diritti amministrativi ad essi spettanti . (2376).

Le obbligazioni hanno però caratteristiche tipiche:

a)sono titoli di massa, in quanto rappresentano frazioni standardizzate di un’unica operazione economica

b)attribuiscono il diritto al rimborso di una somma di denaro. Esso non può dipendere dall’andamento economico della società, né può essere escluso; solo i tempi e l’entità del pagamento degli interessi possono variare in dipendenza anche dell’andamento economico della società.

Tipi speciali di obbligazioni

Fra i tipi speciali di obbligazioni ricordiamo:

-le obbligazioni partecipanti, in cui la remunerazione periodica del capitale è commisurata agli utili di bilancio della società emittente

-le obbligazioni indicizzate (o strutturate), la cui emissione da parte delle spa è consentita dalla riforma del 2003; esse mirano ad adeguare il rendimento dei titoli all’andamento del mercato finanziario

-le obbligazioni convertibili in azioni, che attribuiscono all’obbligazionista la facoltà di trasformare il proprio credito in una partecipazione azionaria della società emittente (procedimento diretto) o di altra società alla prima collegata (procedimento indiretto)

-le obbligazioni con warrant (o con diritto di opzione su azioni), che attribuiscono all’obbligazionista il diritto di sottoscrivere o acquistare azioni della società emittente o di altra società, ferma restando la posizione di creditore per le obbligazioni possedute (cioè le distingue dalle obbligazioni convertibili)

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-le obbligazioni subordinate, nelle quali il diritto degli obbligazionisti al pagamento degli interessi ed al rimborso del capitale è subordinato al soddisfacimento degli altri creditori; la possibilità di emettere tali obbligazioni è stata estesa dalla riforma del 2003 a tutte le società per azioni.

LIMITI ALL’EMISSIONE DI OBBLIGAZIONI

Il cc del 1942 poneva un limite all’emissione di obbligazioni da parte delle società per azioni, stabilendo che le stesse non potevano essere emesse per somma eccedente il capitale versato risultante dall’ultimo bilancio. La riforma del 2003 ha ampliato la possibilità di emettere obbligazioni. In base all’attuale disciplina la società per azioni può infatti emettere obbligazioni per somma complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale (sottoscritto), della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato; i sindaci attestano il rispetto di tale limite (art. 2412 cc).

Deroghe

La società può tuttavia emettere obbligazioni per ammontare superiore quando:

1)le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate ad essere sottoscritte da investitori come banche, società quotate ed imprese di assicurazione le quali, se trasferiscono le obbligazioni sottoscritte, rispondono della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali

2)le obbligazioni sono garantite da ipoteca di 1° grado su immobili di proprietà della società, sino a due terzi del valore, o sia concessa autorizzazione apposita in considerazione di particolari ragioni di pubblico interesse:

3)ricorrono ragioni che interessano l’economia nazionale e la società è autorizzata con provvedimento dell’autorità governativa a superare il limite. E quando le obbligazioni emesse in eccedenza siano destinate alla sottoscrizione di investitori soggetti a vigilanza prudenziale.

Leggi speciali

Restano salve le disposizioni di leggi speciali relative a particolari categorie di società.

Es. per le società con azioni negoziate in mercati regolamentati ogni limite è stato soppresso dalla riforma del 2003.

Permanenza del rapporto

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La legge si preoccupa poi di garantire che il rapporto fra capitale più riserve ed obbligazioni, fissato dall’art. 2412 cc, permanga per tutta la durata del prestito obbligazionario (art. 2413 cc).

La società che ha emesso obbligazioni non può infatti ridurre volontariamente il capitale sociale o distribuire riserve se il limite del 1° comma dell’art. 2412 cc non risulta più rispettato.

E’ consentita la riduzione (per perdite) obbligatoria ma in tal caso non possono distribuirsi utili finchè non viene ripristinato il predetto rapporto.

Il PROCEDIMENTO DI EMISSIONE

Con l’attuale disciplina l’emissione di obbligazioni (con la sola eccezione delle obbligazioni convertibili in azioni) cessa di essere materia di competenza dell’assemblea straordinaria.

Infatti se la legge o lo statuto non dispongono diversamente, l’emissione di obbligazioni è deliberata dagli amministratori (art. 2410 cc).

La delibera di emissione deve risultare da verbale redatto da un notaio ed è soggetta a controllo di legalità da parte dello stesso.

Essa produce effetti solo dopo l’iscrizione nel registro delle imprese.

L’ammontare delle obbligazioni emesse deve risultare da un libro delle obbligazioni.

Le obbligazioni sono rimborsabili gradualmente sulla base di un piano di ammortamento ed al rimborso si procede mediante sorteggio , da farsi sotto pena di nullità davanti al rappresentante comune degli obbligazionisti.

LE OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI

L’art. 2420 bis cc, introdotto dalla legge 216/1974 e rimasto sostanzialmente invariato dalla riforma del 2003, disciplina le obbligazioni convertibili in azioni ed in particolare quelle che attribuiscono all’obbligazionista la facoltà di trasformare il proprio credito in una partecipazione azionaria della stessa società emittente di futura emissione (procedimento diretto).

Vi sono poi obbligazioni convertibili che attribuiscono all’obbligazionista la facoltà di trasformare il proprio credito in una partecipazione azionaria di altra società solitamente controllata da quella emittente (procedimento indiretto).

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Definizione

Sono obbligazioni che attribuiscono il diritto di sottoscrivere azioni della stessa società (o di altra società da questa indicata), in base ad un prefissato rapporto di cambio, utilizzando come conferimento le somme già versate al momento dell’acquisto delle obbligazioni.

Chi esercita il diritto di conversione cessa di essere obbligazionista e diventa azionista della società.

Condizioni per l’emissione

Le obbligazioni convertibili devono essere offerte in opzione agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili precedentemente emesse; devono rispettare alcune condizioni:

a)la delibera di emissione delle obbligazioni convertibili non può essere adottata se il capitale sociale precedentemente sottoscritto non è stato integralmente versato

b)le obbligazioni convertibili non possono essere emesse per somma complessivamente inferiore al loro valore nominale.

Inoltre le obbligazioni convertibili non possono essere emesse per ammontare superiore al limite generale fissato dall’art. 2412 cc.

Competenza

Competente a deliberare l’emissione di obbligazioni convertibili è l’assemblea straordinaria.

L’atto costitutivo o una sua successiva modifica possono tuttavia attribuire agli amministratori la facoltà di emettere obbligazioni convertibili, fino ad un ammontare determinato e per il periodo massimo di 5 anni.

Contenuto della delibera

L’assemblea che delibera l’emissione deve determinare il rapporto di cambio, nonché il periodo e le modalità di conversione.

Deve inoltre deliberare l’aumento del capitale sociale per un ammontare corrispondente al valore nominale delle azioni da attribuire a conversione; l’aumento del capitale sociale deliberato sarà sottoscritto via via che gli obbligazionisti eserciteranno il diritto di conversione.

Pendenza del periodo di conversione

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La legge si preoccupa di conciliare, durante il periodo concesso per la conversione, la libertà di decisione della società con l’esigenza di tutelare i possessori di tali obbligazioni di fronte ad operazioni societarie che possono alterare il valore del diritto di conversione e la loro eventuale futura posizione di azionisti; sono fissate 3 regole:

1)in caso di aumenti del capitale sociale a pagamento e di nuove emissioni di obbligazioni convertibili, il diritto di opzione sugli stessi spetta anche ai possessori di obbligazioni convertibili; si permette così agli obbligazionisti di mantenere inalterata la proporzione della loro futura partecipazione azionaria

2)in caso di aumento gratuito del capitale o di sua riduzione per perdite, il rapporto di cambio è automaticamente modificato in proporzione alla misura dell’aumento o della riduzione del capitale.

Nel primo caso la società dovrà aumentare proporzionalmente il numero delle azioni offerte in conversione; nel secondo caso sarà ridotto il valore nominale o il numero delle

azioni offerte in conversione, e ciò per evitare che chi converte acquisti una quota di partecipazione maggiore di quella offertagli al momento dell’emissione del prestito convertibile

3)la società non può deliberare la riduzione volontaria del capitale sociale, la fusione con altra società, la scissione o la modificazione delle disposizioni dello statuto concernenti la ripartizione degli utili, fin quando non siano scaduti i termini per la conversione.

Il divieto può essere tuttavia superato concedendo agli obbligazionisti la facoltà di conversione anticipata.

L’ORGANIZZAZIONE DEGLI OBBLIGAZIONISTI

L’organizzazione degli obbligazionisti tutela gli interessi degli stessi verso la società.

E’ articolata in 2 organi, cioè l’assemblea ed il rappresentante comune (artt. 2415-2418 cc).

Assemblea

Competenze

Essa delibera: ( sulle modificazioni delle condizioni di prestito: l’assemblea delibera col voto favorevole degli obbligazionisti che rappresentino almeno la metà delle

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obbligazioni in circolazione. Non ha diritto di voto nell’assemblea la società per le obbligazioni da essa possedute).

-sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune

-sulle modificazioni delle condizioni del prestito

-sulle proposte di amministrazione controllata e di concordato preventivo e fallimentare

-sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi

-sugli altri oggetti di interesse comune degli obbligazionisti.

Funzionamento

Valgono per l’assemblea degli obbligazionisti le regole di funzionamento dettate per l’assemblea straordinaria dei soci, salvo alcune regole specifiche.

L’assemblea è convocata dagli amministratori della società o dal rappresentante comune degli obbligazionisti; la convocazione è obbligatoria quando ne è fatta richiesta da tanti obbligazionisti che rappresentano un ventesimo dei titoli emessi.

Le deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti sono iscritte nel registro delle imprese a cura del notaio che ha redatto il verbale.

Impugnazione delle delibere

L’art. 2416 cc estende alla delibere dell’assemblea degli obbligazionisti la disciplina dettata per le delibere assembleari nulle e annullabili.

Rappresentante comune

Il rappresentante comune degli obbligazionisti è nominato dall’assemblea degli obbligazionisti: se questa non vi provvede è nominato dal tribunale su domanda di uno o più obbligazionisti o degli amministratori della società.

La nomina è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese.

Il rappresentante comune dura in carica per un periodo non superiore a 3 esercizi ed è rieleggibile.

Può essere revocato dall’assemblea anche senza giusta causa salvo il risarcimento dei danni.

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Funzioni

Tutela gli interessi comuni degli obbligazionisti nei confronti della società e dei terzi (art. 2418 cc), ad es. esegue le deliberazioni dell’assemblea degli azionisti e ha la rappresentanza processuale degli obbligazionisti. Egli deve assistere alle operazioni di sorteggio delle obbligazioni ed ha diritto di assistere alle riunioni della assemblea dei soci.

Azioni individuali

L’organizzazione di gruppo non priva il singolo obbligazionista del potere di tutelare i propri diritti nei confronti della società, ameno che questo non si ponga in contrasto con le deliberazioni della assemblea degli obbligazionisti regolarmente prese e valide per tutti.

LO SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETA’ PER AZIONI

LE CAUSE DI SCIOGLIMENTO

La società per azioni si scioglie ed entra in stato di liquidazione col verificarsi di una delle seguenti cause (art. 2484 cc):

1)decorso del termine di durata (fissato nell’atto costitutivo)

Il termine può essere tuttavia prorogato prima della scadenza con delibera dell’assemblea straordinaria; per le società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio è richiesta la maggioranza rafforzata di più di un terzo del capitale sociale anche in seconda convocazione.

In tutte le spa è inoltre riconosciuto il diritto di recesso agli azionisti che non hanno concorso all’approvazione della delibera, salvo che lo statuto non disponga diversamente

2)conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità a conseguirlo (quest’ultima assoluta a definitiva)

3)impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell’assemblea

E’ necessario che la paralisi dell’organo assembleare per assenteismo degli azionisti o per contrasti che impediscono la formazione delle maggioranze precluda l’adozione di delibere necessarie per il funzionamento della società

Page 321: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

4)riduzione del capitale al di sotto del minimo legale

5)delibera dell’assemblea straordinaria di scioglimento della società in seguito al recesso di uno o più soci (art. 2437 cc)

6)deliberazione dell’assemblea straordinaria di scioglimento anticipato presa con la maggioranza prescritta per le modificazioni statutarie.

7)altre cause previste dall’atto costitutivo o dallo statuto (es. morte di un determinato socio).

-Dopo la riforma del 2003 non è più causa di scioglimento la dichiarazione di fallimento della società di capitali, mentre continua ad esserlo per le società di persone.

Accertamento e pubblicità

Verificatasi una causa di scioglimento gli amministratori devono procedere al suo accertamento e all’iscrizione nel registro delle imprese della relativa dichiarazione o della deliberazione assembleare che dispone lo scioglimento. In caso di omissione il tribunale su istanza dei singoli soci o amministratori ovvero dei sindaci, accerta il verificarsi della causa di scioglimento con decreto soggetto ad iscrizione nel registro delle imprese.(2485). Alla denominazione della società deve essere aggiunta l’indicazione che si tratta di società in liquidazione. ( 2487 bis ).

Decorrenza effetti

Gli effetti connessi al verificarsi di una causa di scioglimento non decorrono più, come per il passato, dal momento in cui la causa si è verificata,( automatico scioglimento della società), bensì dall’iscrizione nel registro delle imprese della dichiarazione di accertamento del consiglio di amministrazione o della delibera assembleare che dispone lo scioglimento (art. 2484 3° comma cc). Inoltre si consente ora espressamente, alla assemblea di prevedere tra gli altri atti necessari conservare il valore dell’impresa, anche il suo esercizio provvisorio , anche di singoli rami in funzione del miglior realizzo. (2487 1 comma).

In caso di ritardo o di omissione nell’accertamento e nell’iscrizione, gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dalla società, dai creditori sociali e dai terzi. In ogni caso lo scioglimento della società, reagisce sulla organizzazione sociale, modificandone lo scopo, e limitando i poteri degli organi. Per questo si richiede che la società in liquidazione sia espressamente indicata anche nella denominazione sociale . ( 2487 bis 2 comma). In conseguenza dello scioglimento della società i rapporti sociali devono essere definiti. Nella gestione della società agli amministratori si sostituiscono i liquidatori, per il resto , permane intatta l’organizzazione sociale.

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LA SOCIETA’ IN STATO DI LIQUIDAZIONE

Il verificarsi di una causa di scioglimento non determina l’immediata estinzione della società poiché si deve prima provvedere, attraverso il procedimento di liquidazione, al pagamento dei creditori sociali ed alla ripartizione fra i soci dell’eventuale residuo attivo.

Posizione degli amministratori

Gli amministratori restano in carica fino alla nomina dei liquidatori e devono convocare l’assemblea per le deliberazioni relative alle modalità di svolgimento della liquidazione. In caso di omissione degli amministratori alla convocazione della assemblea, provvede il tribunale, su istanza di singoli soci, o amministratori o sindaci: se l’assemblea non si costituisce o non delibera, le determinazioni suddette sono adottate con decreto, dallo stesso tribunale. (2487 2 comma). Rispetto a questi non c’è più il divieto di intraprendere nuove operazioni, o di continuare l’esercizio della società, piuttosto hanno il dovere di accertare senza indugio l’avvenuto scioglimento e di procedere agli adempimenti pubblicitari.( 2484 3 comma). Sono responsabili della conservazione dei beni sociali fino a quando non li abbiano consegnati ai liquidatori. Inoltre vedono limitati i loro poteri; infatti per il verificarsi di una causa di scioglimento essi conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, in attesa di farne consegna ai liquidatori. Per gli atti posti in essere violando tale limitazione, gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociale ed ai terzi.(2486). Con gli amministratori risponderà nei confronti dei terzi anche la società.

Posizione del collegio sindacale

Il collegio sindacale continuerà a svolgere l’attività di controllo, anche nei confronti dei liquidatori che subentrano agli amministratori.

Posizione (poteri) dell’assemblea

Meno agevole è invece definire i limiti che l’attività deliberatici dell’assemblea incontra durante la liquidazione (es. aumento del capitale sociale a pagamento.

E’ certamente consentita la fusione con altre società, fin quando non sia iniziata la distribuzione dell’attivo (art. 2501 cc).

Revoca dello stato di liquidazione

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La riforma del 2003 ha disciplinato la revoca dello stato di liquidazione (art. 2487 ter cc).

La società può in ogni momento revocare lo stato di liquidazione e tornare ad una fase di normale esercizio con delibera dell’assemblea straordinaria, ma nelle società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio è richiesta la maggioranza rafforzata di un terzo del capitale sociale anche in seconda convocazione. Ai soci che non hanno concorso alla deliberazione è riconosciuto diritto di recesso. La revoca ha effetto solo dopo 60 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese, termine entro il quale i creditori sociali anteriori all’iscrizione possono proporre opposizione, salvo il potere del tribunale di autorizzare comunque l’operazione qualora il pericolo di un pregiudizio, risulti infondato o qualora la società abbia prestato idonea garanzia. Inoltre il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, rappresentano cause di scioglimento solo qualora l’assemblea , non deliberi le opportune modificazioni statutarie. ( 2484 1 comma).

IL PROCEDIMENTO DI LIQUIDAZIONE. L’ESTINZIONE DELLA SOCIETA’

1)Nomina dei liquidatori

Il procedimento di liquidazione si apre con la nomina di uno o più liquidatori. Salvo diversa disposizione dello statuto, i liquidatori sono nominati dall’assemblea straordinaria con delibera che ne fissa anche il numero, le regole di funzionamento ed i poteri. Nell’inerzia dell’assemblea i liquidatori sono nominati dal tribunale su istanza dei singoli soci o amministratori ovvero dei sindaci. I liquidatori restano in carica per tutta la durata del procedimento di liquidazione, salvo che non sia espressamente fissato un termine.

Revoca

I liquidatori se nominati dal tribunale possono essere revocati dall’assemblea con la maggioranza richiesta per la nomina ; se sussiste una giusta causa sono revocabili anche dal tribunale, su istanza dei soci, dei sindaci o del pm. I provvedimenti di revoca (e di nomina) dei liquidatori sono soggetti a iscrizione nel registro delle imprese.

Poteri, doveri, responsabilità

Con l’iscrizione della nomina dei liquidatori, gli amministratori cessano dalla carica e devono consegnare ai liquidatori i libri sociali, una situazione dei conti alla data dello scioglimento ed un rendiconto della loro gestione relativo al periodo successivo all’ultimo bilancio approvato; di tale consegna viene redatto apposito verbale.

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Poteri, doveri e responsabilità dei liquidatori sono modellati su quelli degli amministratori, sia pure con alcuni adattamenti; in particolare i liquidatori possono compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società, salvo diversa disposizione statutaria o adottata in sede di nomina, possono altresì compiere tutti gli atti finalizzati alla conservazione del valore dell’impresa, ma solo in quanto necessari a tal fine. (2489 1 comma). I liquidatori devono adempiere ai loro doveri con la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico: in caso di inosservanza la loro responsabilità è disciplinata dalle norme dettate in materia di responsabilità degli amministratori.

2)Pagamento dei creditori

I liquidatori non possono ripartire fra i soci i beni della società fin quando no siano pagati tutti i creditori sociali. E’ consentita la distribuzione ai soci di acconti durante la liquidazione purchè dai bilanci risulti che la ripartizione non incide sulla disponibilità di liquidità idonea a permettere l’integrale e tempestiva soddisfazione dei creditori sociali, gli acconti sulla quota di liquidazione a differenza di quelli sui dividendi , sono comunque ripetibili, come dimostra la circostanza che la loro ripartizione è subordinata alla prestazione da parte del socio di idonee garanzie (2491 1 e 2 comma) ; tuttavia i liquidatori sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni che derivano ai creditori. Se i fondi disponibili risultano insufficienti, i liquidatori possono chiedere ai soci i versamenti ancora dovuti sulle azioni non interamente liberate.

Bilancio annuale

I liquidatori devono redigere ogni anno il bilancio e sottoporlo all’approvazione dell’assemblea. Esso è costituito oltre che dallo stato patrimoniale anche dal conto economico, dalla nota integrativa e deve essere corredato da una relazione che illustri l’andamento , le prospettive della liquidazione ed i principi in base ai quali è stata svolta. Tale bilancio deve essere depositato presso l’ufficio del registro delle imprese qualora per tre anni consecutivi tale deposito non venga effettuato, la società è cancellata d’ufficio dal registro.

In conseguenza della personalità giuridica della società , i rapporti sociali, non si pongono direttamente tra i soci, ma si pongono tra socio e società, e pertanto la definizione dei rapporti giuridici che fanno capo alla società importa definizione dei rapporti con i soci , non meno che dei rapporti con i terzi. Dalla titolarità della società si passa direttamente alla titolarità dei singoli soci, non vi è luogo ad una divisione in senso tecnico.

3)Bilancio finale di liquidazione

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Completata la liquidazione del patrimonio sociale i liquidatori devono redigere il bilancio finale di liquidazione (art. 2492 cc) indicando la parte spettante a ciascun socio nella divisione dell’attivo (piano di riparto). Il bilancio deve essere sottoscritto da liquidatori e accompagnato dalla relazione dei sindaci e del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti, deve essere depositato presso l’ufficio del registro delle imprese.( 2492 2 comma).

Esso deve essere approvato dai singoli soci (e non dall’assemblea).

Contro di esso può essere proposto reclamo da ciascun socio, nei 90 giorni dalla iscrizione dell’avvenuto deposito, dinanzi al tribunale. Tutti i reclami vengono decisi con unica sentenza, la quale fa stato anche nei confronti dei non intervenuti. (2492 23 e 4 comma). Decorsi i 90 giorni senza che sia stato proposto reclamo, o quando indipendentemente dal decorso del termine, sia stata riscossa senza riserve la somma attribuita al singolo socio, il bilancio si intende approvato e i liquidatori sono liberati , salvo per quanto riguarda l’obbligo di distribuzione ai soci dell’attivo. (2493). Le somme eventualmente non riscosse vengono depositate presso una banca a favore dei soci nominativamente indicati o a favore delle azioni numericamente indicate, se si tratta di azioni al portatore. (2494).

4)Cancellazione della società

Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. I libri della società sono depositati presso l’ufficio del registro delle imprese (art. 2496 cc). E’ prevista la cancellazione di ufficio quando per oltre 3 anni consecutivi non viene depositato il bilancio annuale di liquidazione. La cancellazione dal registro delle imprese segna l’estinzione della società per azioni, quand’anche vi siano creditori non soddisfatti. I creditori non soddisfatti possono rivalersi nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento sia dipeso da loro colpa ed in ogni caso nei confronti dei soci fino a concorrenza delle somme riscosse sulla base del bilancio finale di liquidazione. Dopo la cancellazione non è possibile una reviviscenza della società e una riapertura del procedimento di liquidazione né per il caso di sopravvenienze attive ne nel caso di quelle passive.

Sopravvenienze passive

I creditori sociali rimasti insoddisfatti possono far valere i loro diritti: a)nei confronti dei soci, sino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione b)nei confronti dei liquidatori se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. Non è possibile distinguere tra vere e proprie sopravvenienze e passività note che potevano esserlo con la ordinaria diligenza( cc.dd. sopravvivenze).

Per le sopravvenienze attive, sarà sufficiente dimostrare il proprio diritto alla devoluzione pro quota del patrimonio della società estinta per agire, sempre pro quota , nei confronti del debitore della società.

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Fallimento della società

I creditori possono tuttavia chiedere il fallimento della società entro 1 anno dalla cancellazione della stessa dal registro delle imprese.

LA SOCIETA’ IN ACCOMANDITA PER AZIONI

CARATTERISTICHE

Soci accomandatari e accomandanti

La società in accomandita per azioni (artt. 2452-2461 cc), come l’accomandita semplice, si caratterizza per la presenza di 2 categorie di soci:

a)soci accomandatari

rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali e sono per legge amministratori della società

b)soci accomandanti

sono obbligati verso la società nei limiti della quota di capitale sottoscritto.

Azioni

La sapa è nel contempo un tipo di società che, come la società per azioni, si caratterizza per il fatto che le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni.

-Ad essa sono applicabili le norme relative alla società per azioni in quanto compatibili con le specifiche disposizioni per la stessa dettate (art. 2454 cc).

Azionista accomandatario

Nella sapa vi è un nesso indissolubile fra qualità di accomandatario, posizione di amministratore e responsabilità per le obbligazioni sociali.

E’ previsto che:

-il socio accomandatario che cessa dall’ufficio di amministratore non risponde per le obbligazioni della società sorte posteriormente all’iscrizione nel registro delle imprese della cessazione dall’ufficio (art. 2461 cc); da quel momento passa nella categoria degli accomandanti

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-il nuovo amministratore assume la qualità di socio accomandatario dal momento dell’iscrizione dell’accettazione della nomina (art. 2457 cc); esso risponderà solo per le obbligazioni sociali che sorgono a partire da tale momento.

LA DISCIPLINA (punti in cui la disciplina della sapa si distacca da quella della spa)

Atto costitutivo

Deve indicare quali sono i soci accomandatari.

Denominazione sociale

Deve essere costituita dal nome di almeno uno dei soci accomandatari, con l’indicazione di società in accomandita per azioni.

Responsabilità

I soci accomandatari rispondono illimitatamente e solidalmente verso i terzi per le obbligazioni sociali.

I creditori sociali possono però agire nei confronti degli accomandatari solo dopo aver infruttuosamente escusso il patrimonio sociale (art. 2461 cc).

Assemblea

Norme particolari valgono per l’adozione di alcune delibere assembleari:

-gli accomandatari, in quanto soci amministratori, non hanno diritto di voto nelle deliberazioni di nomina e revoca dei sindaci ovvero dei componenti del consiglio di sorveglianza, nonché in quelle concernenti l’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro con fronti (art. 2459 cc)

-le modificazioni dell’atto costitutivo devono essere deliberate dall’assemblea straordinaria con le consuete maggioranze ma approvate da tutti i soci accomandatari (art. 2460 cc).

Amministratori

Le più significative deviazioni dalla disciplina della società per azioni si hanno per quanto riguarda l’organo amministrativo.

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I soci accomandatari, designati nell’atto costitutivo, sono di diritto amministratori ed il loro ufficio ha carattere permanente, se l’atto costitutivo non dispone diversamente.

Essi possono essere revocati anche se non ricorre giusta causa, salvo il diritto al risarcimento dei danni; la revoca deve essere deliberata con le maggioranze prescritte per le deliberazioni dell’assemblea straordinaria.

Identica maggioranza è necessaria per la nomina di nuovi amministratori, che inoltre deve essere approvata anche dagli amministratori rimasti in carica. La sostituzione dell’amministratore, è deliberata dalla assemblea, con la maggioranza prescritta, per l’assemblea straordinaria. La nomina nel caso di pluralità di amministratori, deve essere approvata dagli amministratori rimasti in carica ed il nuovo amministratore assume la qualità di accomandatario. In questa società la cessazione dalla carica di tutti gli amministratori provoca lo scioglimento della società.

Collegio sindacale

Per il collegio sindacale l’unica deviazione consiste nel divieto per gli accomandatari di votare nelle deliberazioni riguardanti la nomina e la revoca dei sindaci; è così rafforzata l’indipendenza dell’organo di controllo.

Se la società è quotata il divieto è esteso anche al conferimento ed alla revoca dell’incarico alla società di revisione.

Scioglimento della società

Per la società in accomandita per azioni è prevista una causa di scioglimento tipica, cioè

la cessazione dalla carica di tutti gli amministratori, se nel termine di 180 giorni non si è provveduto alla loro sostituzione.

Per questo periodo il collegio sindacale nomina un amministratore provvisorio, i cui poteri sono circoscritti agli atti di ordinaria amministrazione; esso non assume la qualità di socio accomandatario (art. 2458 cc).

LA SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA

CARATTERISTICHE

La società a responsabilità limitata (artt. 2462-2483 cc) è una società di capitali nella quale:

Page 329: Riassunto Di Diritto Commerciale Testo Ferri Angelici

a)per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società col suo patrimonio (art. 2462 1° comma cc)

b)le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni e, puntualizza l’attuale disciplina, non possono costituire oggetto di offerta al pubblico (art. 2468 1° comma cc); cioè costituisce un ostacolo alla raccolta di capitali di rischio fra il pubblico dei risparmiatori.

Tuttavia la riforma del 2003 ha consentito alle srl di emettere titoli di debito, assimilabili alle obbligazioni.

Per quanto riguarda l’assetto organizzativo mentre la disciplina delineata dal codice del 1942 ricalcava il modello base della società per azioni, l’attuale disciplina si caratterizza per l’ampio spazio riconosciuto all’autonomia privata.

Infatti nella srl è oggi consentito adottare statutariamente anche soluzioni organizzative proprie della società di persone (es. in tema di decisioni dei soci può essere entro certi limiti soppresso il metodo assembleare).

Nel contempo è stata rafforzata la tutela del singolo socio (es. legittimazione individuale all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità verso gli amministratori).

L’obiettivo di fondo è quello di realizzare meglio di quanto seppe fare il legislatore del 1942, l’idea della srl come tipo di società di capitali che si presta meglio della società per azioni per l’organizzazioni di imprese di modeste dimensioni, a base familiare e comunque con compagine societaria ristretta ed attivo.

LA COSTITUZIONE DELLA SOCIETA’

La costituzione della società a responsabilità limitata presenta limitate deviazioni dal regime della società per azioni:

a)il capitale sociale minimo richiesto per la costituzione è di 10 mila euro (anziché 120 mila euro)

b)la denominazione sociale può essere liberamente formata, ma deve contenere l’indicazione di società a responsabilità limitata

c)può essere costituita a tempo indeterminato; in tal caso ogni socio può recedere dalla società dando un preavviso di 6 mesi, che lo statuto può allungare fino ad 1 anno.

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Società unipersonale

Nel 1993 fu introdotta la possibilità di costituzione da parte di un singolo socio.

L’originaria disciplina è stata modificata dalla riforma del 2003 e coincide con quella della società per azioni unipersonale.

I CONFERIMENTI

Conferimenti

Nella disciplina previgente ai conferimenti nella società a responsabilità limitata si applicava la stessa disciplina dettata per la società per azioni; la materia è stata però modificata dalla riforma del 2003 la quale ha fatto cadere larga parte dei limiti e dei divieti previsti per la società per azioni riguardo all’oggetto del conferimento.

L’attuale principio base è che, come nella società di persone, nella società a responsabilità limitata possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economia (art. 2464 2° comma cc).

Il versamento presso una banca del 25% dei conferimenti in danaro può essere sostituito dalla stipula di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria.

-E’ poi consentito il conferimento di prestazioni d’opere o servizi, vietato nella società per azioni, purchè l’intero valore assegnato a tale conferimento sia garantito da una polizza di assicurazione o da una fideiussione bancaria.

-Per quanto riguarda i conferimenti in natura, disciplinati all’art. 2465 cc, non è necessario, come nella società per azioni, che l’esperto chiamato ad effettuare la valutazione sia designato dal tribunale, ma è sufficiente che si tratti di un esperto o di una società di revisione iscritti nel registro dei revisori contabili o di una società di revisione iscritta nell’apposito albo.

Socio moroso

Specificatamente disciplinata è la posizione del socio moroso (art. 2466 cc), con disciplina applicabile anche quando siano scadute o divengano inefficaci la polizza assicurativa o la fideiussione bancaria rilasciata dal socio.

Il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci.

La società può vendere le quote del socio moroso in alternativa alla normale azione giudiziaria; se mancano offerte di acquisto da parte dei soci per il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato, si procede tuttavia alla vendita all’incanto solo se lo statuto lo prevede.

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Se la vendita non può aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori escludono il socio moroso, trattenendo le somme.

In tal caso il capitale deve essere ridotto in misura corrispondente, in quanto la srl non può mai farsi acquirente delle proprie quote.

Finanziamenti dei soci

La riforma del 2003 ha introdotto una disciplina dei finanziamenti dei soci volta a porre un freno al fenomeno, diffuso soprattutto nella società a base familiare, delle società sottocapitalizzate che operano con ingenti finanziamenti a titolo di capitale di prestito da parte dei soci.

L’art. 2467 cc stabilisce infatti che il rimborso dei finanziamenti dei soci alla società è postergato rispetto al soddisfacimento degli altri creditori.

Questa disciplina si applica ai finanziamenti concessi in un momento in cui risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.

Titoli di debito

Nel sistema originario del codice, il ricorso al mercato dei capitali da parte della società a responsabilità limitata, risultava radicalmente precluso: e ciò in relazione sia al mercato del capitale di rischio, dal momento che le partecipazioni sociali non potevano essere rappresentate da azioni, sia a quello del capitale di credito, alla luce del divieto di emissione delle obbligazioni. La riforma organica ha ribadito l’impossibilità di ricorrere al mercato del capitale di rischio, disponendo che le partecipazioni sociali, oltre a non poter essere rappresentate da azioni, non possono nemmeno costituire oggetto di offerta al pubblico; però sempre con l’attuale disciplina è caduto il divieto per le società a responsabilità limitata di emettere obbligazioni; in particolare si consente che lo statuto possa prevedere l’emissione di titoli di debito (art. 2483 cc). A tal proposito è importante la intermediazione di investitori professionali: l’offerta in sottoscrizione al pubblico generalizzato dei risparmiatori, risulta infatti tuttora preclusa alla società, che potrà rivolgersi solo al pubblico degli investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale. Questi, potranno collocare i titoli presso il pubblico dei risparmiatori, ma in tal caso sono costituiti ex lege garanti della insolvenza della società nei confronti dell’acquirente, sempre che si tratti di risparmiatore: la garanzia non opera ove i titoli siano stati acquistati, da un altro investitore professionale, ovvero da un socio. L’assenza della disciplina legale della vicenda fa sì che la questione sia regolamentata pressoché integralmente dalla autonomia statutaria. E’ lo statuto della singola srl a stabilire se la competenza ad emettere titoli di debito spetta ai soci o agli amministratori determinando gli eventuali limiti, le modalità e le maggioranze necessarie. La

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decisione di emissione fissa le condizioni del prestito e le modalità di rimborso ed è iscritta nel registro delle imprese; può anche prevedere che condizioni e modalità di rimborso possano essere modificate con il consenso della maggioranza dei possessori dei titoli. Il taglio minimo dei titoli non può essere inferiore a 50 mila euro. I titoli di debito non possono essere collocati direttamente presso il pubblico dei risparmiatori; possono essere sottoscritti solo da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale che, in caso di successiva circolazione, rispondono per legge della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali o soci della società emittente. La possibilità di sottoscrivere titoli di debito è riservata a soggeti che , per le loro caratteristiche professionali sono in grado di compire una loro valutazione , la quale non può su un apprezzamento del grado di rischio.

LE QUOTE SOCIALI

Criterio personale

Mentre nella società per azioni il capitale sociale nominale è diviso in parti omogenee e standardizzate che prescindono dalle persone dei soci e dal loro numero, nella società a responsabilità limitata il capitale sociale è diviso secondo un criterio personale, cioè in base al numero dei soci.

Il numero iniziale delle quote corrisponde al numero dei soci che partecipano alla costituzione della società e ciascun socio diventa titolare di un’unica quota di partecipazione, corrispondente alla frazione di capitale sociale da lui sottoscritta.

Diversità di valore delle quote

Mentre le azioni (nella spa) sono necessariamente di ugual valore, le quote possono essere di diverso ammontare.

Se ad es. lo statuto stabilisce che l’ammontare di ciascuna quota è di 1 euro, il socio che sottoscrive capitale per 10 euro, non avrà dieci quote da 1 euro, bensì un’unica quota di 10 euro.

Ne consegue che, mentre le azioni attribuiscono uguali diritti, le quote possono essere sotto tale profilo diverse tra loro.

Diritti sociali

La regola è che i diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta (art. 2468 cc).

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Essa può essere derogata in quanto l’atto costitutivo può prevedere l’attribuzione a singoli soci (ma non a categorie di quote) di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione di utili.

Documentazione

Ulteriore differenza delle quote rispetto alle azioni è che le prime non possono essere rappresentate da titoli di credito né possono costituire oggetto di offerta al pubblico; l’eventuale certificato di quota rilasciato dalla società costituisce semplice documento probatorio della qualità di socio e della misura della partecipazione sociale.

Trasferibilità

L’atto costitutivo oltre a limitare, può anche escludere il trasferimento delle quote (art. 2469 cc).

Può inoltre subordinare il trasferimento al gradimento ad es. di organi sociali.

In tali casi però il socio o i suoi eredi possono recedere dalla società.

L’atto costitutivo può prevedere che il recesso non possa essere esercitato prima di un certo termine, non maggiore di 2 anni, dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della quota.

Recesso

Il recesso è disciplinato dall’art. 2473 cc.

L’attuale disciplina prevede che l’atto costitutivo stabilisce quando il socio può recedere e le relative modalità.

Il recesso è poi riconosciuto per legge in una serie di casi:

a)se la società è a tempo indeterminato ogni socio può recedere con un preavviso di almeno 180 giorni, che l’atto costitutivo può allungare fino ad 1 anno

b)se la società è a tempo determinato possono recedere i soci che non hanno consentito, in quanto contrari, assenti o astenuti:

-al cambiamento dell’oggetto sociale o del tipo di società

-alla sua fusione o scissione

-alla revoca dello stato di liquidazione

-al trasferimento della sede sociale all’estero

-all’eliminazione di una o più cause di recesso previste dallo statuto

-al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modifica dell’oggetto sociale o una rilevante modifica dei diritti particolari attribuiti al singolo socio.

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Infine il diritto di recesso è riconosciuto al socio contrario all’aumento del capitale sociale con esclusione del diritto di opzione.

Rimborso. Il criterio di determinazione del valore delle quote del socio receduto tende ad assicurarne la rispondenza al valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso, che in caso di disaccordo viene determinato da un esperto nominato dal tribunale. Il rimborso della partecipazione deve essere eseguito entro 180 giorni dalla dichiarazione di recesso, e può avvenire a carico dei soci, o di terzi mediante acquisto di partecipazione da parte degli altri soci proporzionalmente alle rispettive quote, o di un terzo individuato dai primi oppure a carico della società mediante impiego delle riserve disponibili o se esse sono insufficienti, mediante riduzione del capitale sociale, alla quale i creditori possono opporsi. Se non vi sono acquirenti si procede al rimborso attingendo alle riserve disponibili della società o, in mancanza, tramite riduzione (reale) del capitale; se questa risulta impossibile perché i creditori vi si oppongono, la società si scioglie.

Esclusione

L’atto costitutivo può prevedere specifiche cause di esclusione del socio per giusta causa (per il rimborso si applica la disciplina del recesso).

IL TRASFERIMENTO DELLE QUOTE SOCIALI

Il trasferimento della quota è valido ed efficace fra le parti per effetto del semplice consenso.

E’ pero produttivo di effetti nei confronti della società solo dal momento in cui è iscritto nel libro dei soci (art. 2470 1° comma cc).

Per assicurare trasparenza i trasferimenti per atto fra vivi devono risultare da scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio, il quale entro 30 giorni deve depositarla per l’iscrizione nel registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede della società.

Il trasferimento deve essere annotato nel libro dei soci; con l’iscrizione il trasferimento diventa efficace nei confronti della società.

Pluralità di trasferimenti

Se la quota è alienata con successivi contratti a più persone, prevale chi per primo effettua l’iscrizione nel registro delle imprese purchè sia in buona fede.

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Operazioni sulle proprie quote

Alla società a responsabilità limitata è vietato in modo assoluto l’acquisto di proprie quote.

Inoltre la società non può accettare in garanzia proprie quote.

Espropriazione della quota

La quota può formare oggetto di espropriazione da parte dei creditori personali del socio (art. 2471 cc), con conseguente vendita forzata o assegnazione della stessa al creditore procedente.

Qualora la partecipazione non sia liberamente trasferibile, la vendita è priva di effetto se la società presenta entro 10 giorni un altro acquirente che offra lo stesso prezzo.

GLI ORGANI SOCIALI. LE DECISIONI DEI SOCI

La disciplina degli organi della società a responsabilità limitata è l’aspetto sui cui la riforma del 2003 ha inciso maggiormente, valorizzando al massimo l’autonomia statutaria, anche se il modello base resta la tripartizione assemblea-organo amministrativo-collegio sindacale propria della società per azioni.

Decisioni dei soci

L’art. 2479 2° comma cc stabilisce che sono rimesse inderogabilmente alla decisione dei soci:

1)l’approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili

2)la nomina degli amministratori se prevista nell’atto costitutivo

3)la nomina dei sindaci, del presidente del collegio sindacale e del revisore

4)le modificazioni dell’atto costitutivo

5)la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale o una rilevante modificazione dei diritti sociali.

L’atto costitutivo può riservare alla competenza dei soci ulteriori materie.

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Si prevede inoltre che i soci decidono su qualsiasi argomento sia sottoposto alla loro approvazione dagli amministratori o da tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale.

L’atto costitutivo può prevedere che le decisioni dei soci siano adottate con una procedura più snella, mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto.

In tal caso le decisioni sono adottate col voto favorevole di una maggioranza che rappresenti almeno la metà del capitale sociale.

La decisione con metodo assembleare rimane necessaria per le modificazioni dell’atto costitutivo, per le decisioni che comportano una sostanziale modifica dell’oggetto sociale o una rilevante modifica dei diritti dei soci, nonché per la riduzione del capitale per perdite obbligatoria.

E’ inoltre necessaria quando ne sia fatta richiesta da uno o più amministratori o dai soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale.

Assemblea (art. 2479 bis cc)

E’ rimessa all’atto costitutivo la determinazione dei modi di convocazione; in mancanza l’assemblea è convocata dagli amministratori con lettera raccomandata spedita ai soci almeno 8 giorni prima dell’adunanza nel domicilio del libro dei soci.

Possono intervenire in assemblea tutti i soci che risultano iscritti nel libro dei soci.

Il voto dei soci vale in misura proporzionale alla partecipazione.

Maggioranze

Le maggioranze richieste per l’approvazione delle deliberazioni sono più elevate che nella società per azioni. L’assemblea è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale (di tutto il capitale sociale e non solo di quello intervenuto in assemblea) e delibera a maggioranza assoluta del capitale intervenuto. Per le modificazioni dell’atto costitutivo è però necessario il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale. Non è prevista un’assemblea di 2^ convocazione con maggioranze ridotte, che però può essere introdotta dall’atto costitutivo. È presente un diritto al voto ed una differenza tra diritto al voto inderogabilmente previsto ( 2479 5 comma) e diritto di intervento.

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Invalidità delle decisioni (art. 2479 ter cc)

Le decisioni che non sono prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo possono essere impugnate dai soci che non vi hanno consentito (anche individualmente), nonché da ciascun amministratore e dal collegio sindacale entro 90 giorni dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei soci. Ciò si comprende considerando che nella società a responsabilità limitata potendosi prescindere dal metodo assembleare, può non essere oggettivamente rilevabile una data di svolgimento della riunione: e considerando altresì che il tipo societario previsto è pensato per l’ipotesi in cui i soci si propongono di partecipare effettivamente alla attività sociale, può essere più funzionale alla tutela dei loro interessi far riferimento alla pubblicità interna che si realizza con i libri sociali piuttosto che ricorrere alla pubblicità esterna che consegue alla iscrizione nel registro delle imprese.

Non si richiede pertanto, come nella società per azioni, che l’impugnazione venga proposta dai soci che rappresentino una determinata percentuale di capitale.

Identica disciplina è dettata per le decisioni adottate col voto determinante di soci in conflitto di interessi.

Il tribunale può assegnare un termine, non superiore a 180 giorni, per l’adozione di una nuova decisione idonea ad eliminare la causa di invalidità; la sostituzione sana retroattivamente la decisione invalida e fa salvi i diritti acquistati dai terzi.

Possono invece essere impugnate da chiunque vi abbia interesse nel termine di 3 anni le decisioni aventi oggetto impossibile o illecito e quelle prese in assenza assoluta in informazione.

Infine possono essere impugnate senza limiti di tempo le deliberazioni che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite.

AMMINISTRAZIONE E CONTROLLI

La ripartizione di competenze fra assemblea ed amministratori in merito alla gestione

dell’impresa sociale è in larga parte rimessa all’autonomia statutaria (art. 2479 1° comma cc).

Amministratori

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In mancanza di diversa previsione statutaria l’amministrazione è affidata ad uno o più soci, nominati con decisione dei soci, che restano in carica a tempo indeterminato.

Quando l’amministrazione è affidata a più persone queste costituiscono il consiglio di amministrazione.

Va sottolineato come l’atto costitutivo possa prevedere che gli amministratori operino non come consiglio di amministrazione ma disgiuntamente o congiuntamente come nelle società di persone.

Devono comunque essere decise con il metodo collegiale la redazione del progetto di bilancio e dei progetti di fusione e scissione, nonché la decisione dell’aumento di capitale per delega. L’atto di nomina e di revoca, sono atti unilaterali, non a natura contrattuale, e l’accettazione della nomina è solo una delle condizioni di efficacia della nomina.

Rappresentanza

Coincide con quella prevista per la società per azioni la disciplina del potere di rappresentanza degli amministratori (art. 2457 bis cc).

Si puntualizza che i contratti conclusi dagli amministratori con rappresentanza in conflitto di interessi possono essere annullati su domanda della società se il conflitto era conosciuto o conoscibile dal terzo.

Conflitto d’interessi

Possono inoltre essere impugnate le decisioni adottate dal consiglio di amministrazione col voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi, qualora cagionino un danno patrimoniale alla società (art. 2457 ter cc); l’impugnazione può essere presentata entro 90 giorni dagli altri amministratori, nonché dal collegio sindacale e dal revisore.

Responsabilità degli amministratori

Profili di accentuata singolarità rispetto alla società per azioni presenta la disciplina dell’azione di responsabilità (art. 2476 cc), in quanto:

-si è affermata la responsabilità degli amministratori verso la società e verso i singoli soci o terzi direttamente danneggiati, ma non si fa menzione della responsabilità verso i creditori sociali

-responsabili solidalmente con gli amministratori sono anche i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi

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-l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori può essere promossa anche dal singolo socio, il quale può altresì chiedere, come provvedimento cautelare, la revoca degli amministratori in caso di gravi irregolarità nella gestione della società (art. 2476 3° comma cc); il che sopperisce alla mancata previsione di un controllo giudiziario sulla gestione.

Collegio sindacale

Nelle s.r.l. determinati poteri di controllo sono attribuiti ai singoli soci, che non partecipano alla amministrazione:

L’atto costitutivo può prevedere la nomina di un collegio sindacale o di un revisore; determinandone competenze e poteri ( 2476). la nomina del collegio sindacale è obbligatoria solo se il capitale sociale non è inferiore a quello minimo stabilito per la società per azioni (120 mila euro), oppure quando la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato, oppure quando per due esercizi consecutivi, la società abbia superato le soglie che impediscono la redazione del bilancio in forma abbreviata. In tali casi si applica al collegio sindacale la disciplina dettata in tema di s.p.a. . Inoltre se l’atto costitutivo non dispone diversamente il controllo contabile è esercitato dallo stesso collegio sindacale (non è quindi necessaria la nomina di un revisore). La nomina del collegio sindacale e del suo presidente ovvero del soggetto incaricato della revisione legale dei conti rientra tra le materie riservate alle competenze dei soci. La presenza del collegio sindacale, non può significare una limitazione dei poteri di controllo che spettano al socio, si tratta infatti di poteri che al socio spettano nel suo interesse e che non possono essere condizionati dal modo in cui esso organizza la propria azione. Se nel caso di costituzione solo facoltativa di un organo di controllo spetta all’atto costitutivo determinare le competenze e poteri, quando invece essa è obbligatoria la sua disciplina è quella prevista in tema di s.p.a. . Nelle società in cui manca il collegio sindacale alcuni dei poteri di controllo propri dei sindaci sono riconosciuti direttamente ai soci che non partecipano all’amministrazione.

Controllo dei soci

Ogni socio non amministratore ha diritto di avere dagli amministratori notizie dello svolgimento degli affari sociali e di consultare, tramite professionisti di fiducia, i libri sociali, ed i documenti relativi alla amministrazione . (2476 2 comma). Tali poteri sono conferiti ex lege al socio nel proprio interesse: non è pertanto che il socio esercitando tali poteri adempia a funzioni sociali ed assurga ad organo della società.

ALTRI ASPETTI DELLA DISCIPLINA

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Bilancio

La redazione del bilancio di esercizio e la distribuzione degli utili non presenta sostanziali differenze rispetto alla disciplina della società per azioni, del resto ampliamente richiamata.

Modifiche dell’atto costitutivo (vedi libro pagg. 345-346)

Le variazioni del capitale sociale (aumento di capitale e riduzione del capitale) sono disciplinate con qualche differenza rispetto alla società per azioni. In particolare nell’ambito della riduzione del capitale, il limite minimo del capitale sociale da rispettare nella riduzione per perdite è di 10 mila euro. Per quanto riguarda l’aumento del capitale sociale, questa è una facoltà spettante agli amministratori. Inoltre è previsto che la sottoscrizione del nuovo capitale, spetta ai soci in proporzione delle partecipazioni da essi possedute, oppure può essere esercitato anche dai terzi. (2481 bis).

Scioglimento della società

Lo scioglimento della società è oggi disciplinato unitariamente per tutte le società di capitali (e quindi si rinvia alla disciplina vista per le società per azioni).

LE SOCIETA’ COOPERATIVE

INQUADRAMENTO

Le società cooperative costituiscono una forma organizzativa tipica riservata alle imprese mutualistiche. Sono società a capitale variabile. Si caratterizzano per lo specifico scopo perseguito nello svolgimento dell’attività di impresa, cioè lo scopo mutualistico (art. 2511 cc). Tuttavia una società non è una società cooperativa, solo perché esercita una impresa mutualistica - pur essendo la mutualità il suo carattere fondamentale,- nulla vieta infatti che imprese mutualistiche si costituiscano in forma di s.p.a. o di s.r.l., ma società cooperativa lo è in quanto esercitando una impresa mutualistica, assuma quella data struttura organizzativa, e cioè una organizzazione improntata alla variabilità del capitale. Ora se è vero che tutte le società cooperative hanno per oggetto l’esercizio di una impresa mutualistica, non è altrettanto vero che tutte le organizzazioni che hanno ad oggetto una impresa mutualistica, siano anche società cooperative. Si pone poi il problema se nonostante la terminologia legislativa, che le qualifica come società, le cooperative non debbano piuttosto qualificarsi come associazioni. Pur essendo infatti oggetto della cooperativa l’esercizio di una attività economica e cioè di una impresa, essenzialmente diverso da

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quello della società sarebbe lo scopo della organizzazione collettiva. Nella società lo scopo di conseguire lucro da dividere tra i soci, i quali si propongono di realizzare un vantaggio economico mediato attraverso la divisione dei guadagni; nelle cooperative, lo scopo è quello di agevolare i propri partecipanti nelle loro operazioni e nelle loro economie individuali e questi partecipanti si propongono di realizzare un vantaggio economico diretto ed immediato, procurandosi beni, servizi ed occasioni di lavoro a condizioni più favorevoli. Tuttavia siffatta puntualizzazione, trascura la realtà pratica del fenomeno e la disciplina giuridica dello stesso. Se è vero che il fenomeno cooperativo mira ad eliminare l’intermediario speculante e il profitto dell’imprenditore, la eliminazione di questo profitto si realizza solo attraverso l’assunzione della qualità di imprenditori da parte di coloro che normalmente ad esso sono contrapposti( collaboratori, consumatori, clienti), mediante l’esercizio collettivo di impresa e attraverso la ripartizione tra i partecipanti di quel lucro che l’impresa realizza a carico dei soci stessi. Scopo della cooperazione non consiste nella prestazione di un servizio, ma consiste nel far beneficiare il socio della parte di lucro che deriva dall’esercizio della impresa. In fine è la stessa agevolazione che si realizza nelle società ordinarie, rispetto alle quali non una diversità di scopi sussiste , ma se mai diversità di oggetto. È appunto l’oggetto sociale, e cioè l’attività economica che la società deve svolgere, che si presenta con caratteri diversi nelle società ordinarie ed in quelle cooperative: la mutualità, è carattere dell’attività ed in particolare del suo scopo, non della organizzazione sociale, ed è carattere che consiste in ciò, che il lucro dell’imprenditore si realizza a carico delle stesse persone che fanno parte della società e alle quali viene ridistribuito, e non a carico delle persone estranee alla società. Non l’attività sociale, deve essere esclusivamente esercitata da soci, ed il mancato perseguimento dello scopo mutualistico conduce alla liquidazione coatta della cooperativa, ma la ripartizione dei ristori, ossia dei vantaggi derivanti dagli scambi mutualistici: ciò impone una rilevazione contabile separata della attività svolta con i soci. I criteri e le regole inerenti allo svolgimento dei rapporti con la società devono essere improntati al principio di parità di trattamento. (2516). Tramite questa corrispondenza tra gruppo sociale e gruppo a carico del quale l’utile si realizza, il profitto dell’imprenditore economicamente si elimina. Ma tale eliminazione è il risultato di due operazioni contrapposte: realizzazione del profitto e ridistribuzione. La legge dispone che nell’atto costitutivo, siano stabilite le regole per la partizione degli utili e ammette l’acquisto o il rimborso da parte della società delle azioni o delle quote purchè fatto nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato. (2529). Questa coerenza tra scopo mutualistico e prosecuzione degli utili si collega pure alla esigenza di rendere le società cooperative competitive anche per la provvista dei mezzi finanziari necessari: l’esigenza che gli investimenti corrispondenti possano ricevere una sufficiente remunerazione. Tale è appunto il senso del socio avventore e delle azioni di partecipazione cooperativa. La disciplina contenuta nel codice, ha previsto la figura dei soci finanziatori, modellata su quella dei soci avventori. Lo scopo mutualistico inoltre influisce sulla struttura, la partecipazione alla società si determina essenzialmente in considerazione dei bisogni dei partecipanti. Assume pertanto rilevanza la posizione personale del socio e la società crea normalmente tra appartenenti a una stessa categoria professionale o sociale. Sostanziandosi lo scopo mutualistico in ciò che l’attività esterna della società si dirige agli stessi soci e questi vengono a presentarsi oltre che in veste di soci anche di destinatari della attività

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sociale, è naturale che essi debbano trovarsi in una stessa situazione , quella di consumatori di beni o servizi, di soggetti esposti a determinati rischi, di lavoratori. Il gruppo sociale non è un numero chiuso, ma una entità mutevole per l’adesione di nuovi soci o per l’uscita di soci preesistenti. Impropriamente si parla di comunione di interessi , solo con la creazione della organizzazione collettiva, questi interessi concordanti ma autonomi diventano comuni. E impropriamente si parla di categoria di persone che hanno talora in comune una qualità o il luogo della residenza o un determinato bisogno . Le associazioni, possono anche essere considerate come organismi di categoria, essendo funzione della organizzazione collettiva quella di prestare un determinato servizio ai propri associati ed mancando uno scopo lucrativo , l’associazione ha una funzione permanente ed autonoma che va al di là delle persone che ne fanno parte. Queste ne possono deliberare lo scioglimento, ma fino a quando l’associazione rimane , gli associati non hanno alcun diritto sul patrimonio. Anche se questo patrimonio è formato con i contributi degli associati. Il contributo è da qualificare come corrispettivo di un servizio prestato, e il contributo è uguale per tutti gli associati, ore avendo l’associato già fruito dei servizi della associazione in corrispondenza del contributo versato, non ha diritto in caso di recesso a una quota del patrimonio della associazione. Nella società cooperativa , la situazione è diversa: la legge non solo prevede la sottoscrizione di una quota di capitale che può essere diversa da socio a socio, ma stabilisce anche che in caso di ammissione del nuovo socio questi deve versare , oltre che alla quota di capitale sottoscritta anche il soprapprezzo determinato eventualmente dalla assemblea; e che in caso di morte o di recesso del socio debba farsi luogo alla liquidazione della quota. Il nostro ordinamento promuove e favorisce lo sviluppo di queste società come si evince dall’art. 45 1° comma Cost. La relativa disciplina risulta articolata e complessa per il sovrapporsi di diversi livelli normativi:

-codice civile

la disciplina generale delle società cooperative dettata dal cc del 1942 (artt. 2511-2545 cc) era integrata dalla legge Basevi; ulteriori modifiche erano state introdotte dalla legge 59/1992 che mirava ad agevolare la raccolta di capitale di rischio

-leggi speciali

numerose sono le leggi speciali, che integrano le disposizioni del codice.

Alcune delineano un particolare statuto per le cooperative che operano in determinati settori (es. cooperative di credito); altre riconoscono agevolazioni tributarie per le cooperative che perseguono specifici fini sociali (es. cooperative per la promozione dell’occupazione giovanile del mezzogiorno).

Il moltiplicarsi di provvedimenti legislativi ha condotto ad un sistema che richiedeva un’organica riforma, anche per porre un freno al fenomeno delle false cooperative.

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In questo contesto si inserisce la riforma delle cooperative del 2003 che lascia inalterata la legislazione speciale ma incide sulla disciplina generale; introduce la distinzione fra società cooperative a mutualità prevalente e altre società cooperative, dando così luogo ad una bipartizione delle società cooperative, limitando alle prime l’applicazione delle disposizioni fiscali di carattere agevolativo previsto dalle leggi speciali. Il fenomeno cooperativo viene assoggettato alla vigilanza della pubblica autorità. La vigilanza sulle cooperative , è stata assegnata al Ministero delle attività produttive, salvo per quanto riguarda le banche cooperative per le quali la vigilanza è demandata dalla Banca d’Italia e le cooperative di assicurazione per le quali è demandata al Ministero delle attività produttive e all’ISVAP. È prevista la iscrizione delle cooperative escluse quelle di credito e di assicurazione, nell’albo delle società cooperative. Tale iscrizione assume valore costitutivo solo in riferimento alle cooperative a mutualità prevalente. Le disposizioni del codice si applicano in quanto compatibili con le leggi speciali.

LE SOCIETA’ CON SCOPO MUTUALISTICO

Le società cooperative si distinguono dagli altri tipi di società per lo scopo economico perseguito. Le società cooperative e le società lucrative hanno in comune lo scopo mezzo, cioè l’esercizio in comune di una determinata attività economica. Diverso è invece lo scopo fine in quanto nelle società lucrative è costituito dalla produzione di utili (lucro oggettivo) da distribuire fra i soci (lucro soggettivo), mentre nelle società cooperative è lo scopo mutualistico. Scopo mutualistico Lo scopo prevalente dell’attività di impresa delle società cooperative consiste, secondo l’originaria Relazione al cc, nel fornire bene o servizi od occasioni di lavoro direttamente ai membri dell’organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato. Nelle cooperative di consumo (es. supermercato) vi è coincidenza fra i soci e i soggetti che usufruiscono dei beni o servizi prodotti dall’impresa, mentre nelle cooperative di produzione e di lavoro i fattori produttivi necessari per l’attività di impresa sono forniti dagli stessi soci (es. cantine sociali). Vantaggio mutualistico I soci della cooperativa ottengono quindi condizioni più vantaggiose di quelle di mercato. Infatti viene eliminata l’intermediazione di altri imprenditori ed il relativo profitto. Si dice che nella cooperativa i soci si fanno imprenditori di se stessi. Anche i soci di una cooperativa mirano perciò a realizzare un risultato economico che non è la più elevata remunerazione possibile del capitale investito, ma soddisfare un comune bisogno economico conseguendo un risparmio di spesa per i beni o servizi acquistati dalla propria società (cooperativa di consumo) o una maggiore retribuzione per i propri beni o servizi alla stessa ceduti (cooperativa di produzione e di lavoro). Soci sovventori La legge consente la presenza, accanto ai soci cooperatori, di soci sovventori, non interessati alle prestazioni mutualistiche, il cui ruolo è quello di apportare il capitale di rischio necessario per lo svolgimento dell’attività della cooperativa.

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SCOPO MUTUALISTICO E SCOPO LUCRATIVO

Scopo mutualistico e lucro oggettivo

Le società cooperative sono caratterizzate da uno scopo prevalentemente (ma non esclusivamente) mutualistico. Se l’atto costitutivo lo prevede esse possono fornire anche a terzi le medesime prestazioni che formano oggetto della gestione a favore dei soci; l’attività con i terzi è di regola finalizzata alla produzione di utili, cioè può essere attività oggettivamente lucrativa. Scopo mutualistico e lucro soggettivo Incompatibile con lo scopo mutualistico resta però l’integrale distribuzione ai soci degli utili prodotti dalla cooperativa. Ciò si ricava dalle norme che stabiliscono i limiti massimi della percentuale di utili distribuibile ai soci, così disincentivando la partecipazione ad una cooperativa di soci animati dal solo intento di ricavare la più alta remunerazione possibile del capitale investito.

LE COOPERATIVE A MUTUALITA’ PREVALENTE

La disciplina attuale si basa sulla distinzione fra società cooperative a mutualità prevalente e altre società cooperative. Le prime godono di tutte le agevolazioni previste per le società cooperative, le secondo invece non godono delle agevolazioni di carattere tributario. Elementi caratterizzanti le cooperative a mutualità prevalente sono: a)la presenza nello statuto di clausole che limitano la distribuzione di utili e riserve ai soci cooperatori , e l’obbligo di devolvere l’intero patrimonio dedotto solo il capitale sociale e i dividendi maturati ,in caso di scioglimento della società . (art. 2514 cc) b)la loro attività deve essere svolta prevalentemente a favore dei soci (cooperative di consumo), ovvero deve utilizzare prevalentemente prestazioni lavorative dei soci (cooperative di lavoro) o beni e servizi dagli stessi apportati (cooperative di produzione). Gli amministratori e i sindaci devono documentare nella nota integrativa al bilancio tale condizioni. Perdono la qualifica di cooperative a mutualità prevalente le società che per 2 esercizi non rispettino tali condizioni (art. 2545 octies cc). Le società cooperative a mutualità prevalente sono tenute ad iscriversi in un apposito albo delle società cooperative, tenuto a cura del Ministero dello sviluppo economico (Claudio Scajola), presso il quale depositano annualmente il proprio bilancio. In una distinta sezione dello stesso albo si iscrivono le altre società cooperative. L’atto costitutivo deve stabilire le regole per lo svolgimento dell’attività mutualistica con i soci e che nei relativi rapporti deve essere rispettato il principio di parità di trattamento (art. 2516 cc). Deve altresì determinare se la società può svolgere la propria attività anche con terzi. E’ da ritenere che questi principi si debbano applicare a tutte le società cooperative. La cooperativa a mutualità prevalente non può trasformarsi in società lucrativa né in consorzio; tale possibilità è

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consentita alle cooperativa a mutualità non prevalente, purchè siano state sottoposte a revisione nell’anno precedente.

CARATTERI STRUTTURALI

La disciplina delle società cooperative era in passato modellata su quella della società per azioni. Come le s.p.a. le cooperativa acquistano personalità giuridica, ed hanno una denominazione sociale, comunque formata purchè contenga la indicazione di società cooperativa. (2515). Questa opzione permane nell’attuale disciplina per le cooperative medie e grandi. Le piccole cooperative possono invece optare per la disciplina della società a responsabilità limitata (art. 2519 cc); l’adozione di questo modello organizzativo è obbligatoria per le società cooperative costituite con meno di 9 soci. Vi sono un serie di disposizioni volte ad orientare l’attività sociale verso il perseguimento dello scopo mutualistico e ad impedire che la stessa in fatto indirizzata verso finalità prevalentemente lucrative e speculative: le società cooperative, costituiscono una categoria di società che differisce sia dalle società di persone, sia dalle società di capitali, in quanto l’organizzazione sociale è costituita insieme su base personale e su base capitalistica. Inizialmente il sistema originario del codice prevedeva due tipi di cooperative, cooperative a responsabilità limitata e a responsabilità illimitata. Nel secondo caso i soci assumevano, per il caso di fallimento o liquidazione coatta della società , una responsabilità sussidiaria illimitata per le obbligazioni sociali, nel primo caso invece i soci addirittura o non assumevano alcuna responsabilità oltre all’obbligo del conferimento, o assumevano una responsabilità sussidiaria limitata al multiplo della propria quota. In questa ipotesi le quote potevano essere rappresentate da azioni. Attualmente in tutte le cooperative, per le obbligazioni sociali risponde solo il patrimonio sociale (2518), e la relativa disciplina deve essere integrata da quella della s.p.a. . sotto il profilo organizzativo, le cooperative si distinguono tra cooperative per azioni e cooperative a responsabilità limitata cioè per quote. Sotto un profilo della attività, la riforma organica individua società cooperative a mutualità prevalente alle quali risultano circoscritte le agevolazioni fiscali, l’iscrizione all’albo è necessaria. Le società cooperative si differenziano dalle società di capitali per la variabilità del capitale , sia per la rilevanza che assume la posizione dei socio.

a)numero e requisiti dei soci

è previsto un numero minimo di soci per la costituzione e la sopravvivenza della società. Si richiede poi che i soci cooperatori siano in possesso di specifici requisiti soggettivi per assicurare che la compagine sociale sia composta, almeno in prevalenza, da persone appartenenti a categorie interessate a fruire dei beni, servizi od occasioni di lavoro prodotti dall’impresa cooperativa

b)limiti alle quote e alla distribuzione di utili

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sono fissati limiti massimi alla quota di partecipazione di ciascun socio ed alla percentuale di utili agli stessi distribuibile, con disposizioni diverse per le cooperative a mutualità prevalente e le altre cooperative

c)variabilità del capitale

le variazioni del numero e delle persone dei soci non comportano modificazione dell’atto costitutivo; è così data alla società una struttura aperta

d)voto per teste

ogni socio cooperatore persona fisica ha in assemblea 1 solo voto qualunque sia il valore della sua quota o il numero delle sue azioni. E’ così capovolta la regola di funzionamento propria delle società di capitali (numero di voti proporzionato al numero delle azioni) ed è introdotto il principio una testa-un voto

e)vigilanza governativa

le società cooperative sono sottoposte a vigilanza dell’autorità governativa.

LA COSTITUZIONE DELLA SOCIETA’

Numero minimo di soci

Per procedere alla costituzione di una società cooperativa è necessario che i soci siano almeno 9 (art. 2522 1° comma cc). Sono sufficienti 3 soci se la società adotta le norme della società a responsabilità limitata, purchè si tratti di persone fisiche o , ma solo nel caso di cooperative agricole , società semplici. La società si scioglie e deve essere posta in liquidazione se il numero dei soci scende al di sotto del minimo e non è reintegrato nel termine massimo di 1 anno.

Requisiti soggettivi :la persona del socio è fondamentale sotto molti aspetti. La partecipazione ad una società cooperativa è inoltre subordinata al possesso di requisiti soggettivi volti ad assicurare che i soci svolgano attività non incompatibile con quella che costituisce l’oggetto sociale della cooperativa. Tali requisiti variano a seconda del settore di attività della cooperativa ma la regola generale è che non possono in ogni caso essere soci quanti esercitano in proprio imprese in concorrenza con quella della cooperativa (art. 2527 cc); tali requisiti non sono richiesti per i soci sovventori. Da ciò l’ingresso di un nuovo socio, non può attuarsi senza la previa verifica del possesso di tali requisiti prescritti: competenti al riguardo sono gli amministratori che sono chiamati a deliberare l’ammissione di nuovi soci(2528), ed a autorizzare la cessione della quota o delle azioni (2530), come pure a pronunziarsi sull’uscita del socio in caso di esclusione o di recesso.

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Procedimento di costituzione

Ricalca quello previsto per la società per azioni (o per la srl se prescelta): 1) stipula atto costitutivo 2) deposito e conseguente iscrizione nel registro delle imprese della società (2523).

Atto costitutivo

Nell’atto costitutivo (art. 2521 cc), da redigere per atto pubblico, è necessario inserire:

a)l’indicazione dell’oggetto sociale con riferimento ai requisiti dei soci

b)i requisiti per l’ammissione di nuovi soci e il modo e il tempo in cui devono essere eseguiti i conferimenti

c)le condizioni per l’eventuale recesso e per l’esclusione dei soci

d)le regole per la ripartizione degli utili.

Denominazione sociale

La denominazione sociale può essere formata liberamente, ma deve contenere l’indicazione di società cooperativa. Le cooperative a mutualità prevalente devono indicare negli atti e nella corrispondenza il numero di iscrizione presso l’apposito albo.

Pubblicità

L’atto costitutivo deve essere iscritto nel registro delle imprese e con l’iscrizione la società cooperativa acquista personalità giuridica. Le cooperative che intendono godere dei benefici fiscali e delle altre agevolazioni sono poi tenute all’iscrizione nel nuovo albo delle società cooperative, tenuto a cura del Ministero dello sviluppo economico.

Regolamenti

E’ previsto che lo svolgimento dell’attività mutualistica fra società e soci può essere disciplinato da regolamenti che, se non costituiscono parte integrante dell’atto costitutivo, sono predisposti dagli amministratori ed approvati dall’assemblea straordinaria.

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I CONFERIMENTI. LA RESPONSABILITA’ DEI SOCI

Conferimenti

La disciplina dei conferimenti è identica a quella dettata per la società per azioni, salvo che lo statuto non abbia optato per la disciplina della società a responsabilità limitata.

Responsabilità per le obbligazioni sociali

Con la riforma del 2003 è stata soppressa la distinzione fra cooperative con soci a responsabilità illimitata e cooperative con soci a responsabilità limitata in quanto l’attuale disciplina prevede che nelle società cooperative per le obbligazioni sociali risponde solo la società col suo patrimonio (art. 2518 cc).

Socio moroso

Il socio che non esegue in tutto o in parte i conferimenti dovuti può essere escluso dalla società (art. 2531 cc). Se cessa di far parte della società risponde verso la stessa per 1 anno (in passato 2) dal giorno in cui il recesso, l’esclusione o la cessione della quota si è verificata. Se entro 1 anno dallo scioglimento del rapporto si manifesta l’insolvenza della società, il socio uscente è tenuto a restituire alla stessa quanto ricevuto per la liquidazione della quota o per il rimborso delle azioni (art. 2536 cc). Il creditore particolare del socio cooperatore non può agire esecutivamente sulla quota o sulle azioni dello stesso (art. 2537 cc).

LE QUOTE. LE AZIONI

Nelle cooperative la partecipazione sociale può essere rappresentata da quote o da azioni, a seconda che la cooperativa sia regolata dalla disciplina della società per azioni oppure della società a responsabilità limitata.

Limiti massimi Nessun socio persona fisica può avere una quota superiore a 100 mila euro (art. 2525 2° comma cc); nelle cooperative con più di 500 soci l’atto costitutivo

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può tuttavia elevare tale limite fino al 2% del capitale sociale (art. 2525 3° comma cc). Il limite non opera nei casi previsti dal 4° comma dell’art. 2525 cc, ad es. conferimenti in natura o di crediti, soci diversi dalle persone fisiche. Il valore nominale delle quote o delle azioni di società cooperativa, non può essere inferiore a 25 euro e che quello delle azioni non può essere superiore a 500 euro. A garanzia della integrità del capitale, la legge impone che almeno il 30% degli utili netti annuali sia destinata a riserva legale, inoltre la legge ammette la previsione statutaria di riserve indivisibili, che non possono essere ripartite tra i soci neppure in caso di scioglimento della società e subordina la distribuzione di utili, l’acquisto di azioni proprie e la ripartizione delle riserve divisibili, alla circostanza che il rapporto tra patrimonio netto e il complessivo indebitamento sia superiore ad un quarto.

Trasferimento della partecipazione sociale

E’ prevista una specifica disciplina per il trasferimento della partecipazione sociale (art. 2530 cc). Le quote e le azioni dei soci cooperatori non possono essere cedute, con effetto verso la società, senza l’autorizzazione degli amministratori, il cui provvedimento deve essere comunicato al socio entro 60 giorni dalla richiesta; il silenzio vale assenso. L’autorizzazione in ogni caso non potrà essere validamente concessa qualora l’acquirente non possegga i requisiti soggettivi fissati per legge o dall’atto costitutivo. Il provvedimento che nega l’autorizzazione deve essere motivato e contro lo stesso il socio può proporre opposizione al tribunale. L’atto costitutivo può anche vietare del tutto la cessione sia delle quote sia delle azioni, salvo in questo caso il diritto del socio di recedere dalla società con preavviso di 90 giorni e purchè siano decorsi 2 anni dal suo ingresso in società.

Acquisto di proprie azioni

L’atto costitutivo può autorizzare gli amministratori ad acquistare o rimborsare quote o azioni della società con l’osservanza di un duplice limite:

-il rapporto tra patrimonio netto e complessivo indebitamento della società deve essere superiore ad un quarto

-l’acquisto o il rimborso deve essere effettuato nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato.

LE NUOVE FORME DI FINANZIAMENTO

La previsione di limiti massimi alla partecipazione di ciascun socio ed i limiti alla libera circolazione delle azioni costituivano in passato un ostacolo alla raccolta di capitale di rischio da parte delle società cooperative.

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Il problema è stato in parte superato con il ricorso ai finanziamenti a titolo di prestito dei soci.

Significative innovazioni sono state introdotte dalla legge 59/1992 che ha introdotto nuove forme di raccolta di capitale di rischio.

E’ stata prevista la figura dei soci sovventori (art. 4 della legge) e delle azioni di partecipazione cooperativa (artt. 5 e 6 della legge).

Azioni di partecipazione cooperativa

Le azioni di partecipazione cooperativa sono prive del diritto di voto e sono privilegiate nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale (sono quindi simili alle azioni di risparmio).

Possono essere emesse per ammontare non superiore al valore delle riserve indivisibili o del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio certificato.

Devono essere offerte in opzione per almeno la metà ai soci (è in dubbio se anche ai soci sovventori) ed ai lavoratori dipendenti della cooperativa, che possono sottoscriverle ache superando i limiti massimi di partecipazione al capitale.

Possono essere emesse al portatore se interamente liberate; sono quindi liberamente trasferibili e godono dell’anonimato.

Diritti patrimoniali

Esse sono privilegiate sotto il profilo patrimoniale in quanto:

a)assicurano una partecipazione agli utili maggiorata del 2% rispetto a quella delle quote o delle azioni dei soci cooperatori

b)hanno diritto di prelazione nel rimborso del capitale per l’intero valore nominale in sede di scioglimento della società

c)le perdite incidono sulle stesse solo per la parte che eccede il valore nominale complessivo delle altre azioni o quote.

Organizzazione di gruppo

E’ prevista un’organizzazione di gruppo dei possessori di tali azioni per la tutela degli interessi comuni, la quale si articola nell’assemblea speciale di categoria e nel rappresentante comune (le funzioni e i poteri sono sostanzialmente coincidenti con quelli delle azioni di risparmio).

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Obbligazioni

Alle società cooperative (per la prima volta con la legge 488/1998) è consentita anche l’emissione di obbligazioni per la raccolta di capitale di prestito.

I limiti e i criteri di emissione sono fissati dal Cicr (Comitato interministeriale per il credito e il risparmio); attualmente valgono i medesimi limiti all’emissione previsti dall’art. 2412 cc.

Strumenti finanziari

La riforma del 2003 consente a tutte le società cooperative l’emissione di strumenti finanziari e titoli di debito diversi dalle azioni e dalle obbligazioni, secondo la disciplina prevista per le società per azioni. L’atto costitutivo stabilisce i diritti patrimoniali o amministrativi attribuiti ai possessori di tali strumenti finanziari, ed anche le eventuali condizioni a cui è sottoposto il loro trasferimento. A differenza di quanto avviene per le s.p.a. nelle quali i sottoscrittori di strumenti finanziari, assumono in ogni caso la veste di terzi, e non quella di soci, nelle cooperative ciò avviene in relazione agli strumenti finanziari privi di diritti di amministrazione ; al contrario i possessori di strumenti finanziari con diritti amministrativi e specificamente del diritto di voto devono considerarsi veri e propri soci. Ciò è dimostrato da un lato dalla circostanza che i possessori di strumenti finanziari dotati di diritti amministrativi sono esenti dai limiti di partecipazione, e dall’altro dal fatto che il recesso dei possessori di tali strumenti, richiama la disciplina delle s.p.a. e si disciplina che a recedere sia un socio. Ai possessori di tali strumenti finanziari non può essere attribuito più di un terzo dei voti spettanti all’insieme dei soci presenti o rappresentati in ciascuna assemblea generale. Per gli strumenti finanziari senza voto è prevista un’organizzazione, assemblea speciale e rappresentante comune, a tutela dei relativi interessi. Per indicare i possessori di tali strumenti finanziari, si utilizza il termine soci finanziatori, che si contrappongono ai soci cooperatori, titolari invece di azioni o quote. Per i primi non operano limiti di partecipazione, né i requisiti previsti per i secondi. E per il fatto che per i primi ci sono limiti circa il diritto di eleggere più di un terzo dei componenti dell’organo amministrativo e di quello di controllo(2542). La presenza dei soci finanziatori può ricorrere solo nelle cooperative per azioni. L’atto costitutivo può prevedere una categoria speciale di soci cooperatori, il cui numero non superi un terzo del totale dei medesimi soci, in ragione dell’interesse alla loro formazione ovvero del loro inserimento nella impresa. La permanenza di tale categoria è comunque limitata ad un periodo non superiore ai 5 anni, al termine del quale il socio è ammesso a godere dei diritti spettanti agli altri soci cooperatori. (2527). Le cooperative a responsabilità limitata possono emettere solo titoli di debito, privi di diritti amministrativi.

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GLI ORGANI SOCIALI

Gli organi della società cooperativa, disciplinati dalle norme sulla società per azioni, sono gli stessi della società per azioni ed identico è il riparto di funzioni.

ASSEMBLEA

La disciplina dell’assemblea delle società cooperative (artt. 2538-2540 cc) presenta alcune deviazioni dalla disciplina dettata per la società per azioni.

Intervento e voto

Per i soci persone fisiche trova applicazione il principio una testa -un voto e quindi ognuno di essi ha diritto ad un solo voto qualunque sia il valore della quota o il numero delle azioni possedute (cioè la sua partecipazione sociale).ciascun socio che risulti iscritto da almeno tre mesi nel libro dei soci, ha diritto ad un voto qualunque sia il valore della quota o il numero delle azioni ( 2538 2 comma.). tale regola opera per tutti i soci cooperatori e può trovare deroga ove la partecipazione sia costituita da finalità diverse o comunque ulteriori. Solo ai soci persone giuridiche possono essere attribuiti più voti, ma non oltre 5, in relazione all’ammontare della quota o delle azioni, oppure al numero dei loro membri. Ai soci sovventori possono invece essere attribuiti più voti, ma non devono superare in ogni caso un terzo dei voti spettanti a tutti i soci. Nelle cooperative consortili nelle quali i soci realizzano lo scopo mutualistico attraverso l’integrazione delle rispettive imprese o di talune fasi di esse, il diritto di voto è attribuito in ragione della partecipazione allo scambio mutualistico; ma nessun socio può esprimere più di un decimo del totale dei voti o più di un terzo dei voti spettanti ai soci presenti o rappresentati in ciascuna assemblea.

Valgono poi le seguenti regole:

a)hanno diritto di voto solo coloro che risultano iscritti nel libro dei soci da almeno 90 giorni

b)il socio può farsi rappresentare in assemblea solo da altro socio; ciascun socio non può rappresentarne più di 10. Solo il socio imprenditore individuale, può farsi rappresentare da non soci, purchè si tratti di familiari che collaborino all’impresa.

c)il voto può essere dato anche per corrispondenza o mediante altri mezzi di telecomunicazione, se l’atto costitutivo lo consente.

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Procedimento

Il procedimento assembleare delle società cooperative presenta alcune differenze da quello delle società per azioni. I quorum costitutivi e deliberativi vanno calcolati secondo il numero dei voti spettanti per testa ai soci (e non in base all’ammontare della loro partecipazione al capitale). I quorum sono determinati dall’atto costitutivo, che può derogare in aumento ed anche in diminuzione le maggioranze stabilite per la società per azioni.

Assemblee separate

L’atto costitutivo può prevedere il meccanismo delle assemblee separate, che deliberano sulle materie poste all’ordine del giorno . (è l’innovazione più significativa), cioè che il procedimento assembleare sia articolato in 2 fasi (assemblee separate-assemblea generale), per agevolare la partecipazione dei soci e la formazione delle maggioranze nelle cooperative con ampia compagine sociale e territorialmente articolate. Le assemblee separate sono obbligatorie quando la società ha più di 3000 soci e svolge la propria attività in più province, oppure se ha più di 500 soci e si realizzano più gestioni mutualistiche. Le assemblee separate, la cui disciplina è prevalentemente statutaria, deliberano sulle stesse materie che formeranno oggetto dell’assemblea generale ed eleggono dei soci delegati che parteciperanno a quest’ultima. L’assemblea generale, costituita dai delegati designati dalle assemblee separate, delibera definitivamente sulle materie all’ordine del giorno. Le deliberazioni delle assemblee separate non possono essere autonomamente impugnate, eventuali vizi che le inficiano potranno costituire causa di invalidità della deliberazione ; quelle dell’assemblea generale possono invece essere impugnate anche dai soci assenti o dissenzienti nelle assemblee separate quando, senza i voti espressi dai delegati delle assemblee separate irregolarmente tenute, verrebbe meno la necessaria maggioranza.

AMMINISTRAZIONE. CONTROLLI. COLLEGIO DEI PROBIVIRI

E’ possibile adottare in alternativa al sistema tradizionale, quello dualistico o monastico (art. 2544 cc).

Amministratori

Nomina

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Nel sistema tradizionale i primi amministratori sono nominati nell’atto costitutivo e successivamente dall’assemblea. L’atto costitutivo può derogare a questa regola, purchè la nomina della maggioranza degli amministratori resti di competenza assembleare. Ad es. può attribuire la nomina di uno o più amministratori allo Stato o può riconoscere ai possessori di strumenti finanziari il diritto di eleggere fino ad un terzo degli amministratori. Se è adottato il sistema dualistico i possessori di strumenti finanziari non possono eleggere più di un terzo dei componenti del consiglio di sorveglianza e del consiglio di gestione; i componenti del consiglio di sorveglianza scelti dai soci cooperatori, devono essere soci cooperatori. Se è invece adottato il sistema monastico, agli amministratori eletti dai possessori di strumenti finanziari, non superiori comunque ad un terzo, non possono essere attribuite deleghe operative; né gli stessi possono far parte del comitato esecutivo. -L’attuale disciplina ha fatto cadere la regola che tutti gli amministratori debbano essere soci cooperatori; oggi è infatti sufficiente che solo la maggioranza degli amministratori sia scelta tra i soci cooperatori ovvero fra le persone designate dai soci cooperatori persone giuridiche.

Controlli: collegio sindacale

La nomina del collegio sindacale nelle cooperative è obbligatoria negli stessi casi in cui è obbligatoria nella società a responsabilità limitata (quindi quando la società ha un capitale non inferiore a quello minimo della società per azioni o quando non ricorrono le condizioni per la redazione del bilancio in forma abbreviata), nonché quando la cooperativa ha emesso strumenti finanziari non partecipativi. Per la nomina lo statuto può attribuire il diritto di voto proporzionalmente alle quote o azioni possedute ovvero in ragione della partecipazione allo scambio mutualistico; può inoltre prevedere che i possessori di strumenti finanziari dotati di diritti amministrativi possano eleggere fino ad un terzo dei componenti. Tutti i componenti del consiglio di sorveglianza eletti da soci cooperatori devono essere scelti tra i soci cooperatori. I soci di cooperativa per azioni che rappresentano un decimo del numero complessivo hanno il diritto di esaminare oltre al libro dei soci, anche il libro delle adunanze e delle deliberazioni, del Cda e dell’eventuale comitato esecutivo.

Collegio dei probiviri

E’ prassi consolidata la previsione negli statuti delle cooperative del collegio dei probiviri. A tale organo è affidata la risoluzione di eventuali controversie fra soci o fra soci e società riguardanti il rapporto sociale o la gestione mutualistica, per evitare che le controversie sociali sfocino in liti di fronte all’autorità giudiziaria. Inoltre tale collegio deve riesaminare i provvedimenti adottati dagli altri organi sociali, con la conseguenza che il provvedimento adottato del Cda o dalla assemblea diventa definitivo solo nel caso in cui non sia stato richiesto l’intervento dei probiviri o solo dopo la loro pronuncia e in questo caso secondo il contenuto della loro pronuncia.

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LA VIGILANZA GOVERNATIVA. CONTROLLO GIUDIZIARIO

Vigilanza governativa

Le società cooperative sono sottoposte al controllo dell’autorità governativa (art. 2545 quaterdecies cc), finalizzata all’accertamento dei requisiti mutualistici nonché ad assicurare il loro regolare funzionamento amministrativo e contabile. Eccezion fatta per alcune categorie di cooperative, la vigilanza spetta al Ministero dello sviluppo economico ed è esercitata tramite revisioni, effettuate con cadenza almeno biennale, ed ispezioni straordinarie. Nell’attività di vigilanza il Ministero si avvale anche delle associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo.

Provvedimenti In caso di irregolare funzionamento della società, l’autorità di vigilanza può revocare, previa diffida, amministratori e sindaci ed affidare la gestione della cooperativa ad un commissario governativo. Inoltre l’autorità può disporre lo scioglimento della cooperativa se, a suo giudizio, non è i grado di raggiungere gli scopi per cui è stata costituita, oppure se per 2 anni consecutivi non ha depositato il bilancio di esercizio o non ha compiuto atti di gestione.

Controllo giudiziario

Anche le società cooperative sono assoggettate al controllo giudiziario sulla gestione previsto dall’art. 2409 cc per la società per azioni.

Legittimati al ricorso sono i soci titolari del decimo del capitale sociale, ovvero un decimo del numero complessivo dei soci, ridotto ad un ventesimo per le cooperative che hanno più di 3000 soci.

BILANCIO. UTILI. RISTORNI

Bilancio

La formazione del bilancio di esercizio delle società cooperative è assoggettata alla disciplina dettata per la società per azioni.

Le cooperative di maggiore dimensione e quelle che emettono obbligazioni devono sottoporre il bilancio a revisione obbligatoria da parte di una società di revisione.

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Riserva legale

La percentuale degli utili netti annuali da destinare a riserva legale è 6 volte più elevata rispetto alla società per azioni, cioè il 30% anzichè il 5%.

Fondi di promozione

La legge 59/1992 ha poi introdotto l’obbligo di destinare il 3% degli utili netti annuali ad appositi fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, gestiti dalle associazioni nazionali di rappresentanza del movimento cooperativo.

Si tratta di una forma di autocontribuzione obbligatoria.

Limiti alla distribuzione degli utili

Sono posti limiti alla distribuzione fra i soci degli utili residui.

In primo luogo per tutte le cooperative non quotate vige la regola che possono essere distribuiti dividendi solo se il rapporto fra patrimonio netto e complessivo indebitamento della società è superiore ad un quarto.

-L’attuale disciplina introduce inoltre una distinzione fra società cooperative a mutualità prevalente ed altre società cooperative.

Per queste ultime è sufficiente che l’atto costitutivo fissi la percentuale massima dei dividendi che possono essere ripartiti tra i soci cooperatori; l’atto costitutivo può autorizzare l’assemblea ad assegnare ai soci le riserve disponibili.

Disciplina più restrittiva è invece prevista per le società cooperative a mutualità prevalente i cui rispettivi statuti devono prevedere ad es. l’obbligo di devolvere in caso di scioglimento della società l’intero patrimonio sociale, dedotto il capitale sociale e i dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (art. 2514 cc).

La quota di utili che residua dopo tali destinazioni (riserva legale, fondi mutualistici, utili ai soci) può essere dall’assemblea assegnata ad altre riserve o fondi, distribuita ai soci o destinata a fini mutualistici.

Ristorni

I ristorni costituiscono rimborso ai soci di parte del prezzo pagato per i beni o servizi acquistati dalla cooperativa (cooperativa di consumo) a prezzo di mercato, ovvero

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integrazione della retribuzione corrisposta dalla cooperativa per le prestazioni del socio (cooperative di produzione e di lavoro).

Costituiscono quindi uno degli strumenti per attribuire ai soci cooperatori il vantaggio mutualistico.

Ad essi non sono applicabili le limitazioni che la legge pone alla distribuzione degli utili.

I ristorni possono essere distribuiti anche mediante aumento gratuito del capitale sociale ovvero mediante l’emissione di strumenti finanziari.

VARIAZIONI DEI SOCI E DEL CAPITALE SOCIALE

Le società cooperative sono società a capitale variabile in quanto il capitale sociale non è determinato in un ammontare prestabilito. La variazione del numero e delle persone dei soci non comporta modificazione dell’atto costitutivo (art. 2524 cc); ciò non esclude che l’ingresso di nuovi soci possa anche avvenire attraverso una modifica dell’atto costitutivo (cioè con un aumento di capitale sociale a pagamento e il riconoscimento ai soci del diritto di opzione).

Ammissione dei nuovi soci

Il procedimento per l’ammissione di nuovi soci (tranne il caso appena visto) si basa sul principio della porta aperta, non dovendosi ogni volta procedere ad una modifica dell’atto costitutivo. Ciò non toglie che la cooperativa possa comunque deliberare aumenti di capitale, con modificazioni dell’atto costitutivo , nel quale caso l’assemblea, su parere motivato dagli amministratori può autorizzare l’esclusione o la limitazione del diritto di opzione con ciò permettendo l’ingresso di nuovi soci. L’ammissione è deliberata dagli amministratori su domanda dell’interessato e la delibera di ammissione è annotata nel libro dei soci. Il nuovo socio deve versare, oltre l’importo delle quote o della azioni sottoscritte, anche un eventuale sovrapprezzo determinato dall’assemblea in sede di approvazione del bilancio su proposta degli amministratori. Se la domanda di ammissione non è accolta dagli amministratori, l’interessato può chiedere che sull’istanza si pronunci l’assemblea.

I soci in formazione

L’attuale disciplina consente che l’atto costitutivo preveda, determinandone diritti ed obblighi, una categoria speciale di soci cooperatori che devono seguire un periodo di formazione. Al termine di un periodo non superiore a 5 anni, anche tali soci sono ammessi a godere dei diritti che spettano agli altri soci cooperatori.

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Cause di riduzione dei soci

Nella società cooperativa costituiscono cause di riduzione del numero dei soci (e del capitale):

a) recesso (art. 2532 cc)

Cause. E’ ammesso per legge quando l’atto costitutivo vieta la cessione delle quote e delle azioni e nei casi previsti per la società per azioni; ulteriori cause possono essere stabilite dall’atto costitutivo. Gli amministratori devono esaminare la dichiarazione di recesso ed in caso di esito negativo il socio può proporre opposizione innanzi al tribunale.

Effetti. La dichiarazione di recesso ha effetto per quanto riguarda il rapporto sociale dalla comunicazione del provvedimento di accoglimento della domanda. Per quanto riguarda invece i rapporti mutualistici ha effetto con la chiusura dell’esercizio sociale in corso, se comunicata alla società 3 mesi prima; in caso contrario ha effetto con la chiusura dell’esercizio successivo

b) esclusione (art. 2533 cc)

Cause. Può essere disposta dalla società in caso di mancato pagamento delle quote o delle azioni, nei casi previsti per le società di persone, per gravi inadempienze del socio degli obblighi derivanti dal rapporto sociale oppure dal rapporto mutualistico e per mancanza o perdita dei requisiti previsti per la partecipazione alla società.

Specifiche cause possono essere introdotte dall’atto costitutivo.

L’esclusione deve essere deliberata dagli amministratori o, se l’atto costitutivo lo prevede, dall’assemblea; la deliberazione di esclusione deve essere comunicata al socio che può proporre opposizione dinanzi al tribunale, il quale può sospendere l’esecuzione della delibera

c)morte del socio (art. 2534 cc)

In caso di morte del socio il rapporto sociale si scioglie salvo che l’atto costitutivo disponga la continuazione della società con gli eredi e purchè gli stessi siano provvisti dei requisiti per l’ammissione alla società. nella partecipazione del socio deceduto: in mancanza di siffatta clausola, la morte del socio comporta in capo ai suoi eredi , il diritto alla liquidazione della quota o del rimborso delle azioni.

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Liquidazione della quota

La liquidazione della quota avviene secondo i criteri stabiliti nell’atto costitutivo assumendo come base il bilancio dell’esercizio in cui il rapporto sociale si scioglie. Il pagamento deve essere effettuato entro 180 giorni dall’approvazione del bilancio stesso e deve comprendere il rimborso del sovrapprezzo ove versato.

LO SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETA’

Cause

Valgono per le società cooperative le cause di scioglimento previste per le società di capitali, con la differenza che solo la perdita totale del capitale è causa di scioglimento.

Sono poi cause specifiche di scioglimento:

a)la riduzione dei soci al di sotto del numero minimo di 9 (o 3), se questo non è reintegrato entro 1 anno

b)la liquidazione coatta amministrativa disposta dall’autorità governativa.

Procedimento

La peculiarità del procedimento di liquidazione è che, in caso di irregolarità o di eccessivo ritardo nello svolgimento della liquidazione, l’autorità di vigilanza può sostituire i liquidatori o se questi sono stati nominati dal tribunale può chiederne la sostituzione al medesimo: salvo che in questo ultimo caso, la autorità di vigilanza dispone la pubblicazione nella GU dell’elenco delle società cooperative in liquidazione ordinaria che non hanno depositato i bilanci di esercizio relativi agli ultimi 5 anni , per la conseguente cancellazione dal registro delle imprese, la quale seguirà d’ufficio ove, entro 30 giorni dalla pubblicazione i creditori e gli altri interessati non abbiano presentato formale domanda intesa a sentire la prosecuzione della liquidazione. (2545).

Quota di liquidazione

Per quanto riguarda la destinazione del residuo attivo di liquidazione, nelle cooperative a mutualità prevalente l’intero patrimonio sociale netto, dedotti il capitale versato e gli eventuali dividendi, deve essere devoluto ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.

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LE MUTUE ASSICURATRICI

Le mutue assicuratrici o società di mutua assicurazione (artt. 2546-2548 cc) sono società cooperative caratterizzate dalla stretta interdipendenza che per legge esiste fra la qualità di socio e la qualità di assicurato, in quanto non si può acquistare la qualità di socio se non assicurandosi presso la società e, viceversa, si perde la qualità di socio con l’estinguersi dell’assicurazione. Mentre nelle normali cooperative, la partecipazione alla società e il rapporto che ne consegue sono distinti dal rapporto attraverso il quale questo scopo dualistico si realizza, la partecipazione sociale è solo un presupposto per la realizzazione di esso, nelle mutue assicuratrici la realizzazione dell’intento mutualistico, si attua immediatamente per effetto della stessa partecipazione sociale, essendo presupposto dell’acquisto della qualità di socio l’assicurazione presso la società. normalmente gli assicurati sono soci e i soci sono assicurati, ma non è necessario che ciò avvenga.

Differenza tra mutue assicuratrici e cooperative di assicurazione

Il principio appena esposto differenzia le mutue assicuratrici rispetto alle cooperative di assicurazione, nelle quali si può essere assicurati senza diventare soci ed il socio ha diritto alle prestazioni assicurative solo se stipula un distinto contratto di assicurazione con la società. Inoltre nelle cooperative di assicurazione, diversamente dalle mutue assicuratrici, le vicende del rapporto di assicurazione non incidono sul rapporto sociale che permane anche se viene meno il primo.

Disciplina

Nelle mutue assicuratrici per le obbligazioni sociali, ed in particolare per il pagamento delle indennità assicurative ai soci, risponde solo la società col proprio patrimonio. Esistono mutue assicuratrici a ripartizione ed a quota fissa: nelle prime i partecipanti assumono l’obbligo di contribuire pro quota al pagamento dell’indennità di assicurazione; nelle seconde abbiamo la costituzione di un fondo sociale mediante conferimenti determinati fin dall’inizio o invece variabili. Solo rispetto a queste ultime è possibile parlare di società ed è possibile applicare la disciplina prevista dal codice. Nelle mutue a ripartizione si ha un contratto parziario, ma non una società mutua di assicurazione: presupposto di questa è infatti la costituzione di un patrimonio sociale dal quale siano garantite le obbligazioni della società (2546). Queste società in comune con le altre hanno lo scopo lucrativo e la possibilità di

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dividere i guadagni, questo è presupposto necessario quando si ha la presenza di soci avventori, la cui partecipazione è rimessa solo alla realizzazione di un guadagno.

Contributi dei soci

I soci assicurati sono obbligati verso la società al pagamento di contributi che costituiscono conferimento e premio di assicurazione; essi sono calcolati con i criteri tecnici propri dei premi di assicurazione. Il patrimonio sociale, formato con i contributi dei soci assicurati, può essere insufficiente per l’esercizio dell’attività assicurativa e per superare questo ostacolo l’atto costitutivo può prevedere la costituzione di fondi di garanzia per il pagamento delle indennità, mediante speciali conferimenti da parte dei soci assicurati o di terzi, attribuendo anche a questi ultimi la qualità di socio (art. 2548 cc).

Soci sovventori

Nelle mutue assicuratrici possono quindi coesistere 2 categorie di soci, cioè soci assicurati e soci sovventori, i quali si limitano a conferire il capitale necessario per l’attività della società senza essere assicurati. La legge si preoccupa di evitare che i soci sovventori (non animati da scopo mutualistico) prendano il sopravvento nella gestione della società. Così l’atto costitutivo può attribuire a ciascun socio sovventore più voti, ma non oltre 5, in relazione all’ammontare del conferimento; i voti attribuiti ai soci sovventori devono essere in ogni caso inferiori al numero dei voti spettanti ai soci assicurati. E’ consentito poi che i soci sovventori siano nominati amministratori, ma la maggioranza degli amministratori deve essere costituita da soci assicurati.

TRASFORMAZIONE. FUSIONE E SCISSIONE

Il potere di autonomia, in ordine alle modificazioni dell’ordinamento sociale, può essere esercitato nel senso di mutare il tipo di organizzazione sociale( trasformazione), o di annullare l’autonomia della organizzazione sociale, confondendola con una altra(fusione) o ancora di frazionare l’organizzazione sociale originaria in più distinte organizzazioni(scissione), anche esse già esistenti. Carattere comune ai tre istituti, è che si attuano in conseguenza di un negozio corporativo e cioè di un negozio che opera sulla organizzazione sociale e che di riflesso si riverbera sulla posizione dei soci e sul patrimonio della società. comune è anche il fatto che ci si riferisce a vicende che riguardano una riorganizzazione della impresa: perciò si caratterizzano tutte in quanto consentono un mutamento delle sue stesse basi organizzative senza soluzione di continuità, senza la dispersione di valori che si avrebbe qualora si procedesse alla eliminazione e poi successiva costituzione della impresa.

LA TRASFORMAZIONE

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NOZIONE E LIMITI

La riforma del 2003 ha modificato la disciplina della trasformazione (artt. 2498-2500 novies). L’attuale disciplina distingue fra trasformazione omogenea (fra società) e trasformazione eterogenea (da società di capitali in altri enti o viceversa, per esempio il passaggio da società di capitali in consorzi, società consortili, comunioni di azienda e fondazioni ). Con la trasformazione, la singola società muta l’organizzazione sociale e l’ordinamento giuridico. Fondamento della trasformazione può rinvenirsi nella continuità della impresa collettivamente esercitata, e per questo motivo, è possibile che la vicenda avvenga sulla base di una decisione collettiva e non si richiede un consenso individuale dei singoli: la loro tutela è individuata nel riconoscimento di un diritto di recesso (2437 1 comma). Nel sistema originario del codice si dubitava se una società ordinaria si potesse trasformare in una società cooperativa e viceversa. La questione era stata superata in un certo senso dalla legge numero 127 del 1971 in base alla quale le società cooperative non possono essere trasformate in società ordinarie anche se tale trasformazione sia deliberata ad una unanimità; in realtà tale divieto circoscritto alle cooperative a mutualità prevalente, non risolveva la questione di trasformabilità della società ordinaria in società cooperativa. Il non aver esteso tale divieto in questa ipotesi voleva significare che rispetto ad essa il divieto non si applicava e la esclusione si sarebbe potuta giustificare sulla base della considerazione che nella trasformazione da società ordinaria a società cooperativa, non ci si sottrae ad una serie di controlli , bensì ad essi ci si sottopone; si sarebbe potuto anche osservare che la limitazione dipendeva dalla collocazione della norma in una legge che disciplina le cooperative e che quindi non poteva invadere il campo riservato alle leggi che regolano le società ordinarie. Era tuttavia indubbio che gli ostacoli alla trasformazione di società ordinarie in società cooperative erano minori e sostanzialmente si riducevano a quello consistente in ciò che in questa ipotesi si sarebbe passati da un negozio ad altro negozio e si sarebbe modificato l’elemento causale del negozio sostituendo allo scopo lucrativo , quello mutualistico. In questo quadro si comprendono le scelte del legislatore che da un lato si è mostrato di considerare la sostituzione dello scopo lucrativo con quello mutualistico una modificazione della stessa causa del negozio che ha dato vita alla organizzazione: lo dimostra la sottoposizione della trasformazione di società di capitali in società cooperativa alla disciplina della trasformazione eterogenea. Da un altro lato si è anche permessa la trasformazione delle medesime società in associazioni , nelle quali lo scopo lucrativo viene sostituito da uno altruistico. Oppure delle società cooperative in società lucrative ma limitatamente a quelle a mutualità prevalente, cioè non ammesse ad agevolazioni fiscali. Infine si è disposto che la deliberazione di trasformazione può essere anche adottata solo dalle cooperative ( mutualità non prevalente) sottoposte però a revisione nell’anno precedente. Il sistema originario del codice, considerava essenzialmente la trasformazione di società di persone in società di capitali, ora l’inverso ossia il passaggio da società di capitali a società di persone: e poi si è sentita l’esigenza di adottare una disciplina unitaria ,applicabile a tutte le trasformazioni, degli effetti e della pubblicità della decisione con la quale i soci addivengono alla trasformazione. La pubblicità riveste un ruolo importantissimo,

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perché è costitutiva e sanante al tempo stesso: non solo infatti l’atto di trasformazione diventa efficace solo nel momento in cui è stato effettuato l’ultimo di tali adempimenti pubblicitari, ma da tale momento risulta preclusa la possibilità di pronunciare l’invalidità di tale atto, salvo l’eventuale diritto di risarcimento dei danni derivanti dalla trasformazione. ( 2500). Una particolare disciplina ha effetto solo per la trasformazione eterogenea, che ha effetto dopo 60 giorni dalla attuazione della pubblicità, salvo che consti del consenso di tutti i creditori: entro tale termine , costoro possono fare opposizione sempre che il tribunale, ritenendo infondato il pericolo di pregiudizio o idonee le garanzie prestate dalla società, non abbia disposto altrimenti( 2500). La trasformazione può importare il passaggio da un tipo di società, in cui soci sono responsabili illimitatamente, a un tipo di società in cui per le obbligazioni sociali risponde solo il patrimonio della società( trasformazione da società di persone a società di capitali), in questo caso la trasformazione non importa eliminazione della responsabilità personale dei soci per le obbligazioni sorte antecedentemente alla attuazione della pubblicità della deliberazione di trasformazione, se non intervenga il consenso espresso o tacito dei creditori sociali alla trasformazione: questa ha effetto en nunc e non modifica gli effetti che si sono già prodotti prima che la trasformazione sia intervenuta. Può anche verificarsi il passaggio da società in cui i soci sono limitatamente responsabili a società in cui i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali assunte( trasformazione da società di capitali a società di persone), in questo secondo caso si richiede il consenso dei soci divenuti illimitatamente responsabili, responsabilità che si estende alle obbligazioni sorte anteriormente alla trasformazione; le motivazioni e gli effetti devono poi essere illustrati da una relazione degli amministratori, che deve essere depositata in copia presso la sede sociale nei 30 giorni che precedono l’assemblea convocata per deliberare la trasformazione, affinchè i soci possano prenderne visione. Nel caso in cui la trasformazione determini l’acquisto della personalità giuridica, la legge richiede che si ottemperi alle esigenze di forma prescritte per la costituzione di società di capital e richiede che la deliberazione risulti da atto pubblico contenga le indicazioni richieste e sia accompagnata dalla documentazione richiesta per le società di capitali. Anche in questo caso no si ha trapasso del patrimonio sociale: ma la società oltre a proseguire tutti i rapporti sostanziali e processuali, conserva diritti ed obblighi anteriori alla trasformazione. Quindi la trasformazione determina diversa posizione dei soci, diversa situazione patrimoniale, non anche un atto di disposizione del patrimonio. Continuazione della società originaria su nuove basi. La posizione dei soci nei confronti della società e degli altri soci non può essere modificata. Delicato è il punto circa la divisione del capitale e la conseguente assegnazione delle partecipazioni nella ipotesi di trasformazione eterogenea in società di capitali delle associazioni, partecipazione che non si presta ad essere misurata; in questo caso le relative partecipazioni sono suddivise tra gli associati in parti uguali.

a)TRASFORMAZIONE OMOGENEA

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Nozione

La trasformazione omogenea è il passaggio da un tipo ad altro tipo di società (es. una snc assume la veste giuridica della spa).

Con essa non si ha estinzione della società preesistente e nascita di una nuova società in quanto è la stessa società che continua a vivere in una rinnovata veste giuridica.

Essa conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione (art. 2498 cc).

b)TRASFORMAZIONE ETEROGENEA

L’attuale disciplina regola la trasformazione eterogenea da parte di una società di capitali o che dà vita ad una società di capitali.

Non è invece disciplinata la trasformazione eterogenea di società di persone o in società di persone.

LA FUSIONE

NOZIONE. DISTINZIONI

La compenetrazione di due gruppi sociali in unico gruppo, è necessariamente l’effetto di un atto intersoggettivo. Per questo motivo sono essenziali due momenti 1) decisione delle singole società che partecipano alla fusione e 2) l’atto di fusione tra le diverse società. anche nella fusione si ha la sostituzione di un nuovo ordinamento sociale a quello preesistente; solo che in questo nuovo ordinamento confluiscono varie organizzazioni sociali prima autonome ed i membri delle organizzazioni stesse, e il loro patrimonio; il che spiega la ragione per cui la società che risulta dalla fusione prosegue in tutti i rapporti anche processuali, così come nella trasformazione con l’unica differenza che non conservano ma assumono diritti ed obblighi delle società partecipanti alla fusione secondo un principio che esclude ipotesi di continuità. La partecipazione alla società incorporante è conseguenza della compenetrazione in unico organismo di diverse organizzazioni: si attua per tanto necessariamente una successione a titolo universale della società incorporante, nel patrimonio delle società , che in conseguenza della fusione perdono loro autonomia. Tale fusione si realizza tramite negozio corporativo, quindi si distingue dalla concentrazione dove si ha un fenomeno di unificazione di patrimoni appartenenti a diversi soggetti e tale unificazione si attua mediante un atto di disposizione del patrimonio di un soggetto a

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favore di un altro soggetto. È quindi una successione a titolo particolare e non universale come avviene invece nella fusione. È stata inoltre ideata la fusione transfrontaliera, la fusione cioè tra società appartenenti a Stati membri tra loro doversi. La fusione è in breve l’unificazione di due o più società in una sola.

Fusione in senso stretto e per incorporazione

Può essere realizzata in 2 diversi modi:

a)con la costituzione di una nuova società che prende il posto di tutte le società che si fondono (fusione in senso stretto)

b)mediante assorbimento in una società preesistente di una o più altre società (fusione per incorporazione).

E’ questa la forma più diffusa nella pratica.

Fusioni omogenee ed eterogenee

La riforma del 2003 ha semplificato la disciplina della fusione, già modificata nel 1991 dando attuazione alla 3^ e 6^ direttiva Cee in materia societaria.

La fusione può aver luogo sia fra società dello stesso tipo (fusione omogenea), sia fra società di tipo diverso (fusione eterogenea).

La fusione fra società eterogenee comporta anche la trasformazione di una o più delle società che si fondono e quindi valgono gli stessi limiti esposti per la trasformazione.

La partecipazione alla fusione non è consentita alle società che si trovano in stato di liquidazione e abbiano già iniziato la distribuzione dell’attivo, mentre con la riforma del 2003 è caduto il divieto per le società sottoposte a procedura concorsuale.

La società incorporante o che risulta dalla fusione assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione (art. 2504 bis 1° comma cc).

I creditori delle società estinte potranno perciò far valere i loro diritti sull’unitario patrimonio della società risultante dalla fusione.

I soci delle società che si estinguono diventano soci della società incorporante o della nuova società e ricevono in cambio della loro originaria partecipazione quote o azioni di quest’ultima, in base ad un predeterminato rapporto di cambio.

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PROCEDIMENTO DI FUSIONE

Il procedimento di fusione si articola in 4 fasi:

1)PROGETTO DI FUSIONE(1 momento)

Gli amministratori delle diverse società partecipanti alla fusione devono redigere un progetto di fusione (art. 2501 ter cc) nel quale sono fissate le condizioni e le modalità dell’operazione da sottoporre all’approvazione dell’assemblea.

Contenuto minimo

Il progetto di fusione deve avere identico contenuto per tutte le società partecipanti alla fusione e deve indicare:

a)il tipo, la denominazione o ragione sociale, la sede delle società partecipanti alla fusione

b)l’atto costitutivo della nuova società risultante dalla fusione o di quella incorporante

c)il rapporto di cambio in base al quale saranno assegnate ai soci delle società che si estinguono le azioni o quote della società incorporante o della nuova società; deve essere specificato anche l’eventuale conguaglio in danaro da corrispondere ai soci, che non può però superare il 10% del valore nominale delle azioni o quote assegnate.

Pubblicità legale

Il progetto di fusione deve essere iscritto nel registro delle imprese del luogo ove hanno sede le società partecipanti alla fusione.

Altri documenti

E’ prescritta la redazione preventiva di altri 3 documenti:

a)situazione patrimoniale (art. 2501 quater cc)

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gli amministratori di ciascuna delle società partecipanti alla fusione devono redigere la situazione patrimoniale della propria società, con l’osservanza delle norme sul bilancio di esercizio; quindi rispettando la struttura (stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa) e i criteri prudenziali di valutazione. Si tratta in sostanza di un bilancio di esercizio infrannuale (bilancio di fusione), la cui funzione principale è quella di fornire ai creditori sociali informazioni per l’esercizio del diritto di opposizione alla fusione.

b)relazione illustrativa degli amministratori (art. 2501 quinquies cc)

gli amministratori delle società partecipanti alla fusione devono redigere una relazione (unica per tutte le società) la quale illustri in particolare il rapporto di cambio, in modo da mettere i soci in condizione di verificare i metodi di valutazione utilizzati dagli amministratori nella determinazione del rapporto di cambio.

c)relazione degli esperti (art. 2501 sexies cc)

per ciascuna società partecipante alla fusione 1 o più esperti, scelti fra i revisori dei conti o società di revisione, devono redigere una relazione sulla congruità del rapporto di cambio ed esprimere un parere sull’adeguatezza del metodo seguito per la sua determinazione. La designazione dell’esperto è riservata al tribunale quando l’incorporante o la società che risulta dalla fusione è una società per azioni o in accomandita per azioni. Il legislatore permette di prescindere da tale relazione nel caso di incorporazione di società posseduta al 90%, a condizione che venga riconosciuto agli altri soci, della società incorporata,diversi cioè dall’incorporante, il diritto di far acquistare le proprie partecipazioni alla incorporante, medesima per un corrispettivo.

Deposito dei documenti

Il progetto di fusione, le relazioni degli amministratori e degli esperti, le situazioni patrimoniali di tutte le società partecipanti alla fusione ed inoltre i bilanci degli ultimi 3 esercizi delle stesse, devono restare depositati in copia nelle sedi di ciascuna delle società partecipanti alla fusione durante i 30 giorni che precedono l’assemblea e finchè la fusione sia deliberata.

Fusioni semplificate

Si chiude così la fase preparatoria della delibera di fusione che ammette semplificazioni quando:

-una società deve incorporarne altra di cui possiede tutte le azioni o quote o almeno il 90%

-alla fusione non partecipano società con capitale rappresentato da azioni o società cooperative per azioni

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-la fusione avviene sulla base di un piano di leveraged buyout, che prevede l’indebitamento dell’incorporante per acquisire il controllo dell’altra società e per effetto della fusione il patrimonio di quest’ultima viene a costituire garanzia generica o fonte di rimborso dei relativi debiti.

2)LA DELIBERA DI FUSIONE(2 momento)

La fusione viene decisa da ciascuna delle società che vi partecipano mediante l’approvazione del progetto (art. 2502 cc).essa deve avvenire almeno 30 giorni dopo iscrizione del progetto di fusione nel registro delle imprese a meno che i soci con consenso unanime , non abbiano rinunciato a tale termine.

Maggioranze

Per l’approvazione vanno rispettate le norme dettate per le modificazioni dell’atto costitutivo.

Nelle società di persone non si richiede più il consenso di tutti i soci ma è sufficiente la maggioranza dei soci calcolata secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili.

Al socio che non abbia consentito la fusione è riconosciuto il diritto di recesso dalla società.

Nelle società di capitali la fusione deve essere invece deliberata dall’assemblea straordinaria con le normali maggioranze; se la società risultante dalla fusione è di tipo diverso (fusione eterogenea) nelle società non quotate dovranno essere osservate anche le maggioranze rafforzate stabilite per la trasformazione.

Diritto di recesso

In caso di fusione eterogenea i soci che non hanno concorso alla deliberazione avranno diritto di recesso; questo diritto è riconosciuto in caso di fusione omogenea solo per la srl.

Controllo e pubblicità

Le delibere di fusione delle singole società devono essere iscritte nel registro delle imprese, previo controllo di legalità da parte del notaio verbalizzante se la società risultante dalla fusione è una società di capitali.

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LA TUTELA DEI CREDITORI SOCIALI(3 momento)

La fusione può pregiudicare la posizione dei creditori delle società partecipanti dato che, attuata la fusione, tutti concorreranno sull’unico patrimonio risultante dall’unificazione dei patrimonio delle singole società. Ciò può danneggiare i creditori delle società più solide.

Opposizione dei creditori

E’ perciò stabilito che la fusione può essere attuata solo dopo che siano trascorsi 60 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese dell’ultima delibera delle società che vi partecipano (art. 2503 cc). Entro tale termine ciascun creditore anteriore alla pubblicazione del progetto di fusione può proporre opposizione alla fusione. L’opposizione sospende l’attuazione della fusione fino all’esito del relativo giudizio. Il tribunale può tuttavia disporre che la fusione avvia ugualmente luogo, previa prestazione da parte della società di idonea garanzia a favore dei soli creditori opponenti; la garanzia non è necessaria se la relazione degli esperti è redatta da una società di revisione la quale asseveri, sotto la propria responsabilità, che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società partecipanti alla fusione non la rende necessaria. Se alla fusione partecipano società con soci a responsabilità illimitata e la società risultante dalla fusione è una società di capitali, resta ferma la responsabilità personale dei soci delle prime per le obbligazioni anteriori alla fusione. La liberazione degli stessi potrà aversi solo col consenso dei creditori.

3)L’ATTO DI FUSIONE (4 momento).

Il procedimento di fusione si conclude con la stipulazione dell’atto di fusione (art. 2504 cc) da parte dei legali rappresentanti delle società interessate.

Forma

L’atto di fusione, che nella fusione in senso stretto funge da atto costitutivo della nuova società, deve essere sempre redatto per atto pubblico.

Pubblicità

L’atto di fusione deve poi essere iscritto nel registro delle imprese dei luoghi ove è posta la sede di tutte le società partecipanti alla fusione e di quello, eventualmente

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diverso della società risultante dalla fusione. Ciò deve essere svolto entro 30 giorni dalla stipula e a cura degli amministratori o del notaio rogante.

Effetti

Dall’ultima iscrizione nel registro delle imprese decorrono gli effetti della fusione. L’atto di fusione ha effetto estintivo e costitutivo: La società risultante dalla fusione assume tutti i diritti e gli obblighi di quelle partecipanti (che si estinguono); i soci di queste hanno diritto di ottenere in cambio delle proprie azioni o quote, azioni o quote della società che continua l’attività, in base al rapporto di cambio prefissato. Le singole società cessano di esistere come società autonome, e al tempo stesso, sorge la nuova organizzazione giuridica o si modifica la organizzazione della società incorporante, assorbendo in sé l’organizzazione delle società estinte. Automaticamente i soci, delle società estinte diventano soci della nuova società ed ad essi vengono assegnate partecipazioni in misura corrispondente al rapporto di cambio indicato nel progetto di fusione; e il patrimonio delle società estinte automaticamente diventa patrimonio della nuova società o di quella incorporante. È consentita una lieve retroattività, degli effetti della fusione, è possibile infatti stabilire date anteriori al riguardo della decorrenza del godimento dei diritti sociali ed della imputazione contabile delle operazioni compiute dalle società partecipanti alla fusione. I diritti dei terzi possono essere pregiudicati nel caso in cui la fusione determini anche un mutamento del tipo societario che importi una limitazione di responsabilità dei soci. A tale ipotesi la legge afferma che la liberazione del socio dalla responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali sorte anteriormente al momento della fusione, è subordinata al consenso dei creditori sociali.

Invalidità della fusione

Una volta eseguite le iscrizioni dell’atto di fusione, l’invalidità dell’atto di fusione non può essere più pronunciata. Resta salvo solo il diritto al risarcimento dei danni eventualmente spettante ai soci o ai terzi danneggiati dalla fusione, che potranno agire nei confronti degli amministratori delle società partecipanti alla fusione e/o della società risultante dalla stessa. Quindi i soci possono proporre impugnativa di fronte all’autorità giudiziaria per cercare di ottenere la sospensione dell’atto di fusione solo nell’intervallo di tempo fra la delibera di fusione e l’ultima iscrizione dell’atto di fusione.

LA SCISSIONE

NOZIONE. FORME

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Nozione

Con la scissione il patrimonio di una società è scomposto e trasferito in tutto o in parte ad altre società preesistenti o di nuova costituzione, con assegnazione ai soci della prima di azioni o quote delle società beneficiarie del trasferimento patrimoniale.

Funzione

L’operazioni risponde ad esigenze di ristrutturazione e di riorganizzazione aziendale non diverse da quelle cui può dar luogo il conferimento in altre società di un’azienda; la differenza è che nella scissione le azioni o quote della società beneficiare del trasferimento patrimoniale sono acquisite direttamente dai soci della società che si scinde e non da quest’ultima.

Scissione totale e parziale

La scissione non era regolata dal codice del 1942.

Il d.lgs 22/1991, attuativo della 6^ direttiva Cee, oltre a riformare la disciplina della fusione, ha introdotto l’istituto della scissione, al quale la riforma del 2003 ha apportato solo marginali ritocchi (artt. 2506-2506 quater cc).

La scissione può essere:

a)totale

l’intero patrimonio della società che si scinde viene trasferito a più società.

La prima società perciò si estingue senza che si abbia liquidazione della stessa dato che l’attività continua tramite le società beneficiarie della scissione che assumono i diritti e gli obblighi corrispondenti alla quota di patrimonio loro trasferita

b)parziale ( scorporazione)

solo parte del patrimonio della società che si scinde viene trasferita ad una o più altre società. La società scissa resta perciò in vita con un patrimonio ridotto e continua l’attività parallelamente alle società beneficiarie, di cui entrano a far parte i soci della prima.

Scissione in senso stretto e per incorporazione

Beneficiarie della scissione possono essere:

a)società di nuova costituzione (scissione in senso stretto)

in tal caso di soci della società scissa sono inizialmente i soli soci delle società risultanti dalla scissione

b)una o più società preesistenti (scissione per incorporazione)

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esse vedono incrementati il loro patrimonio e la compagine sociale per l’ingresso dei soci della società scissa; questa può sopravvivere od estinguersi a seconda che la scissione sia parziale o totale.

Alla scissione non possono partecipare società in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell’attivo.

IL PROCEDIMENTO

Il procedimento di scissione ricalca, sia pure con i necessari adattamenti, quello dettato per la fusione.

Progetto di scissione

Gli amministratori delle società partecipanti alla scissione devono redigere un unitario progetto di scissione, il quale deve essere iscritto nel registro delle imprese del luogo dove hanno sede le società partecipanti alla scissione. Il progetto deve contenere in particolare:

a)l’esatta descrizione degli elementi patrimoniali (attività e passività) da trasferire a ciascuna delle società beneficiarie

b)i criteri di distribuzione ai soci delle azioni o quote delle società beneficiarie.

Sono ammessi conguagli in denaro.

Nella scissione totale gli elementi attivi di incerta attribuzione, cioè la cui destinazione non è desumibile dal progetto, sono ripartiti fra le società beneficiarie in proporzione della quota di patrimonio trasferita a ciascuna di esse; delle passività di dubbia imputazione rispondono invece in solido tutte le società beneficiarie.

Nella scissione parziale, invece, le relative attività restano in testa alla società trasferente; delle passività rispondono in solido sia questa sia le società beneficiarie.

La responsabilità solidale delle società beneficiarie è limitata al valore del patrimonio loro trasferito.

Ulteriore documentazione

Per la situazione patrimoniale, la relazione degli amministratori e quella degli esperti, è integralmente richiamata la disciplina della fusione.

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Gli amministratori possono essere esonerati dalla redazione di tali documenti con il consenso unanime dei soci e dei possessori di strumenti finanziari con diritto di voto.

Altre fasi

Rinvio alla disciplina della fusione si ha anche per le altre fasi del procedimento di scissione, cioè delibera di scissione, pubblicità, opposizione dei creditori e stipula dell’atto di scissione.

Queste fasi devono essere percorse anche dalle società beneficiarie qualora si tratti di società preesistenti.

Se beneficiarie della scissione sono società di nuova costituzione, l’atto di scissione, da redigere per atto pubblico, vale anche come atto costitutivo delle stesse.

Effetti

La scissione diventa efficace a partire dalla data in cui è stata eseguita l’ultima iscrizione dell’atto di scissione nel registro delle imprese in cui sono iscritte le società beneficiarie.

A partire da tale momento ciascuna delle società beneficiarie assume i diritti e gli obblighi della società scissa, che le sono stati attribuiti nell’atto di scissione.

E’ stabilito che ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore del patrimonio ad essa assegnato, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico.

Invalidità

Vale per l’invalidità dell’atto di scissione la stessa disciplina dettata per la fusione.

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LE SOCIETA, con azioni quotate in mercati regolamentati: il sistema attuale, conosce la distinzione tra le s.p.a. che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio ( società aperte), e quelle che non fanno ricorso a tale mercato (società chiuse). Non solo ma l’articolo 2325, annovera accanto alle società aperte quelle con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante. Infatti gran parte della attuale disciplina, delle società che fanno ricorso al capitale di rischio, deriva da disposizioni in materia di società quotate che prima della riforma organica, erano contenute in leggi speciali. L’intervento del legislatore ha portato all’estensione di tali regole alle società con azioni diffuse. La distinzione tra società aperte e società chiuse, è solo in funzione del modo in cui la società si procura il capitale di rischio e segnatamente in funzione del fatto che le azioni siano o meno quotate in un mercato. La partecipazione azionaria, oltre che essere un mezzo per partecipare ad una iniziativa, imprenditoriale, può essere anche un mezzo di investimento del risparmio, che consente da un lato la conservazione del valore capitale e dall’altro la possibilità di monetizzare in qualsiasi momento, l’investimento attraverso la vendita delle azioni di mercato. Conseguenza di ciò è una polverizzazione del capitale sociale. da essa deriva la possibilità che il controllo della società possa essere esercitato dai gruppi i quali come partecipazione azionaria rappresentano la minoranza spesso esigua, e deriva uno spostamento dei poteri a favore dell’organo amministrativo nei confronti di quello assembleare. Deriva, la differenza nell’ambito della società di due categorie di azionisti: gli azionisti imprenditori e gli azionisti risparmiatori, i primi partecipano alla società con l’obiettivo di realizzare una iniziativa economica e si preoccupano alla gestione della impresa, i secondi si preoccupano solo del proficuo investimento dei loro risparmi, e

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dei risultati economici della gestione alla quale peraltro non potrebbero partecipare. Il mercato in tal senso si pone come uno strumento che rappresenta l’equilibrio di interessi, il suo funzionamento e le relative modalità assumono importante rilievo. Gli azionisti che nelle società quotate non hanno concorso alla deliberazione che comporta l’esclusione dalla quotazione hanno diritto di recedere. In tal modo l’essenzialità della quotazione in borsa viene ad assumere rilevanza tale da far conoscere quel diritto di recesso che in via di principio il sistema ammette per le sole modificazioni organizzative essenziali; per quanto riguarda le s.p.a. quotate il valore da liquidare al socio recedente, viene calcolato in base alla loro quotazione. In tal modo le regole ed i modi d’essere del mercato vengono direttamente ad incidere sugli equilibri societari e per un altro verso la disciplina della società si riflette pure sul funzionamento di quel mercato. Inoltre in tali società essendo coinvolti, interessi degli azionisti e del mercato , sono previste forme di controllo pubblico. Si tratta di soddisfare esigenze di trasparenza, e di disporre misure volte a salvaguardare il valore economico dell’investimento azionario, ad impedire inoltre un pregiudizio comparativo degli azionisti di minoranza rispetto a quelli di controllo. Per l’investitore l’interesse si puntualizza essenzialmente sul valore dell’investimento, e che questo consegue da una valutazione sia dell’andamento economico sia della struttura organizzativa della società e delle garanzie che è in grado di offrire agli azionisti. Mentre per altro verso il mercato è anche il luogo ove le diverse iniziative, imprenditoriali competono nella ricerca dei capitali: una competizione che si fonda soprattutto sul valore che riescono ad esprimere , da cui deriva la loro forza di attrazione per gli investitori. Da ciò una doppia alternativa, da un lato si ritiene impropria la tradizionale scelta da parte dell’ordinamento di imporre in modo autoritativo regole imperative di tutela degli azionisti, meglio sarebbe ampliare gli spazi per l’autonomia statutaria: dall’altro si ritiene che la rilevanza degli interessi coinvolti, non consenta di affidarsi alla mano invisibile del mercato: sarebbe necessario un intervento dell’ordinamento volto a definire le garanzie minime per gli investitori. Questa ricerca di equilibrio tra esigenze di autonomia e domanda di tutela che spiega il ruolo sempre più incisivo riconosciuto ai codici di comportamento elaborati da società di gestione dei mercati. La scelta del nostro legislatore è stata una sorta di compromesso. Significativo è che siano state adottate soluzioni, legislative volte a rendere più agevole l’esercizio di poteri di intervento degli azionisti nella vita di società, ciò nel presupposto che la passività degli azionisti, non dipenda solo da fatti strutturali. Una prospettiva che tenendo conto del fatto che sempre più eccentrica è l’ipotesi di diretto investimento da parte del singolo risparmiatore, e sempre più rilevante è la mediazione da parte degli investitori istituzionali. La disciplina delle società quotate prevede infatti per l’esercizio dei diritti di minoranza , un quantum di partecipazione inferiore rispetto a quello richiesto nelle società chiuse. Le caratteristiche del mercato e la connotazione oggettiva ed anonima delle azioni possono rappresentare un ostacolo a scelte statutarie volte a dare rilevanza a coloro che ne risultano titolari: si comprende allora la ragione per cui solo le società chiuse possono prevedere limitazioni o scaglionamenti del diritto di voto in ragione della quantità di azioni possedute da un medesimo soggetto, o introdurre forme personalizzate di convocazione della assemblea. Le azioni di risparmio:

la disciplina delle società quotate pone problemi per la polverizzazione del capitale, sociale, e per il conseguente assenteismo degli azionisti. Ora sono previste soluzioni un tempo esclusive delle società quotate ora estese a tutte le società che fanno

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ricorso al mercato del capitale di rischio, ossia la previsione di quorum costitutivi e deliberativi ridotti per l’assemblea straordinaria. Si è inoltre previsto che per tale categoria di società , si possa prevedere in base allo statuto, una convocazione unica e cioè la possibilità di rendere immediatamente operativi i quorum ordinariamente richiesti per le convocazioni successive alla prima: è inoltre prevista la possibilità di emettere il voto per corrispondenza, il cui esercizio ora resta soggetto al potere regolamentare della CONSOB. Inoltre vi è il caso anche della emissione di nuove azioni ai dipendenti delle società di gruppo, come le convocazioni successive alla seconda le quali , attualmente possono essere previste per tutte le società per azioni da parte degli statuti, infine altra peculiarità è che l’assemblea straordinaria può essere convocata in terza convocazione anche in assenza di una previsione statutaria. Il TU finanziario detta inoltre, specifiche regole in tema di assemblea delle società quotate in parte estese a quelle con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante, salva la possibilità che tale estensione venga disposta con regolamento della CONSOB quando la diffusione riguarda strumenti finanziari diversi dalle azioni. Una disciplina che vuole rendere il più consapevole possibile lì esercizio di voto. Convocazione della assemblea : l’avviso deve essere pubblicato sul sito internet, esiste poi una fase preassembleare che intercorre tra la pubblicazione dell’avviso di convocazione e la data fissata per lo svolgimento della assemblea dove si determina una dialettica tra azionisti e società con il potere delle minoranze di chiedere l’integrazione dell’ordine del giorno e ora quello dei soci di porre domande sulle materie oggetto dell’ordine del giorno, cui deve rispondersi al più tardi durante la stessa , a meno che le richieste non siano già rese disponibili in apposita sezione del sito internet, e poi il dovere degli amministratori di mettere a disposizione del pubblico una relazione sulle materie dell’ordine del giorno entro il termine di pubblicazione dell’avviso di convocazione della assemblea. Per quanto riguarda la legittimazione dell’azionista relativa all’esercizio del diritto di voto o di intervento, si afferma che questa deve essere comunicata dall’intermediario alla società emittente. Se la società non è quotata lo statuto, può richiedere che le azioni siano registrate nel conto dell’azionista, a partire da un termine prestabilito eventualmente prevedendo la loro incedibilità fino alla chiusura della assemblea, invece nel caso di società quotate, la soluzione è ispirata alla tecnica del record date : la comunicazione dell’intermediario viene effettuata sulla base delle evidenze relative al termine della giornata contabile, del 7 giorno di mercato aperto precedente la data fissata per l’assemblea ed i trasferimenti successivi non rilevano ai fini della legittimazione all’esercizio del diritto di voto. Si determina una scelta che implica che l’eventualità che partecipi alla votazione chi non è più azionista e che al contrario non possa parteciparvi chi al momento della assemblea è già divenuto tale. Perciò il TU finanziario dispone che ai fini dell’esercizio della impugnativa e dell’esercizio del diritto di recesso, deve considerasi assente chi ha acquistato le azioni nell’intervallo di tempo tra il record date e l’apertura dei lavori assembleari: già socio, ma non legittimato al voto. Per quanto riguarda la rappresentanza è vista come uno strumento in grado di consentire una partecipazione indiretta dell’azionista: si prevede che la società designi un soggetto al quale i soci possono conferire una delega con istruzioni di voto: quindi l’articolo 2372 riconosce a coloro cui spetta il diritto di voto nelle società quotate di avvalersi di un rappresentante ,uno per assemblea, e perciò i limiti soggettivi e quelli quantitativi previsti in generale non si applicano per le società quotate. Nei casi di conflitti di interesse non si provvede

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come per le società non quotate, limitando la possibilità di attribuire un potere di rappresentanza , bensì richiedendo che il socio sia consapevole della situazione ed abbia dato specifiche istruzioni di voto per ciascuna delibera: a queste condizioni la delega è consentita anche a chi controlli o sia controllato dalla società, la posizione del rappresentante è come quella di un NUNCIUS. La sollecitazione che consiste nella richiesta di conferimento di deleghe di voto rivolta a più di 200 azionisti, accompagnata da raccomandazioni o indicazioni idonee ad influenzare il voto , viene considerata uno strumento per contribuire alle scelte della società ma che può rappresentare anche l’occasione per manovre speculative e poco trasparenti. Perciò si richiede che il promotore della sollecitazione diffonda un prospetto e un modulo di legge, l’obiettivo è di consentire all’azionista di compiere una scelta consapevole. E perciò si afferma sia responsabilità del promotore per la completezza della informazione sia una regola secondo cui nei giudizi per il risarcimento dei danni derivanti da violazioni di tali obblighi, spetta al promotore l’onere della prova di aver agito con diligenza richiesta.

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LA COMPRAVENDITA Ai sensi dell’art. 1470 la compravendita soddisfa una delle più diffuse e importanti tra le esigenze economiche, ovvero quella di trasferire un diritto (di solito la proprietà) di un bene diverso dal denaro (e quindi una cosa), ricevendo in corrispettivo la proprietà di una determinata quantità di denaro (prezzo). Inoltre, secondo l’art. 1326, ogni compravendita è un contratto consensuale, che si conclude con l’accordo delle parti. A) Di solito, la compravendita ha effetti reali nel senso che al momento della conclusione del contratto il compratore acquista la proprietà della cosa; affinché ciò avvenga, è necessario che la cosa venduta sia determinata nella sua individualità (ad esempio, vendo questo appartamento, questo sacco di grano). Non è invece necessario che la detenzione della cosa sia trasferita al compratore: infatti, essa può restare al venditore, ed in questo caso dalla vendita sorge anche l’obbligo di consegnare la cosa al compratore che ne è (già divenuto) proprietario. Al momento della conclusione del contratto può anche avvenire che il venditore acquisti la proprietà del denaro; affinché ciò avvenga, è necessario che il denaro gli sia consegnato o almeno che sia individuato in modo non equivoco. Poiché, se il denaro non è consegnato al venditore – o, almeno, individuato – al momento del contratto, dalla vendita sorge l’obbligo di pagamento del prezzo al momento stabilito nel contratto: in tal caso si parla di vendita con pagamento differito, in quanto la proprietà del denaro passerà dal compratore al venditore solo quando verrà compiuto il pagamento. B) Per quando riguarda, invece, la vendita con effetti obbligatori diciamo che, può capitare che alla conclusione del contratto non consegua nessun effetto reale, cioè nessun trasferimento di diritti reali, ma scaturiscano solo effetti obbligatori, cioè solo obblighi (ad esempio, l’obbligo del venditore di trasferire al compratore la proprietà della cosa, ed obbligo del compratore di trasferire al venditore la proprietà del prezzo). Cioè, praticamente, può capitare che il trasferimento di proprietà della cosa dal venditore al compratore non avvenga al momento della stipulazione del contratto, ma in un momento successivo, ossia all’avverarsi di determinati atti o fatti giuridici. La vendita obbligatoria si ha principalmente nelle seguenti ipotesi: 1. vendita di cose generiche, quando la cosa è indicata attraverso il riferimento a determinate caratteristiche, che sono comuni ad una pluralità di beni (ad esempio, un’automobile di un determinato modello). In questa ipotesi, infatti, il trasferimento di proprietà al compratore avviene quando nel genere si sceglie un bene determinato; e precisamente la scelta si chiama specificazione, che deve essere fatta d’accordo tra le parti o nei modi da esse stabiliti, o individuazione, che avviene anche mediante la consegna al vettore o allo spedizioniere (art. 1378). 2. vendita di cose future, - cioè, di cosa che al momento del contratto ancora non esiste – la proprietà della cosa viene acquistata automaticamente dal compratore nello stesso momento in cui la cosa viene ad esistenza; se si tratta di frutti naturali, nel momento in cui questi vengono separati (art. 1472). È opportuno specificare che, se la cosa non viene ad esistenza, il contratto è nullo e quindi non produce nessun effetto, a meno che le parti non abbiano stabilito che il compratore deve egualmente pagare il prezzo (in questo caso si tratta di un “contratto aleatorio”, denominato vendita di speranza). 3. vendita di cosa altrui, che si ha se al momento del contratto la cosa non è in proprietà del venditore, ma di un terzo; in questo caso il venditore è obbligato a fare acquistare al compratore la proprietà della cosa, il che può avvenire o se il proprietario della cosa ne trasferisce la proprietà direttamente al compratore o anche se il venditore ne acquista la proprietà, in quanto questo acquisto fa diventare ipso facto proprietario della cosa il compratore (art. 1478). Inoltre, se il compratore di cosa altrui, al momento della conclusione del contratto, ignorava che il venditore non fosse proprietario della cosa venduta, può chiedere la risoluzione della vendita fino al momento in cui il venditore non gliene fa acquistare la proprietà (art. 1479 c.1). 4. vendita con riserva di proprietà, in cui nelle vendite con pagamento differito, di solito il venditore vuole garantirsi contro il rischio che il compratore non paghi il prezzo e che non sia più possibile ottenere la restituzione della cosa chiedendo la risoluzione della vendita per inadempimento, perché il compratore ha già rivenduto la cosa ad altri ovvero i suoi creditori l’hanno pignorato. Per garantirsi contro questi rischi si stabilisce nel contratto – attraverso una clausola – che il compratore acquista la proprietà della cosa solo al momento del “pagamento dell’ultima rata di prezzo” e che fino a questo momento egli avrà solo la detenzione della cosa.

Per quanto riguarda l’opponibilità della riserva ai terzi acquirenti diciamo che, il compratore – finchè non ha pagato il prezzo – non può rivendere la cosa in quanto non è ancora sua; dunque, se la rivende compie un reato (c.d. appropriazione indebita); né il terzo acquirente acquista la proprietà della cosa mobile, a meno che non ne abbia avuto la consegna in buona fede, credendo cioè che il compratore ne fosse già proprietario. Se

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si tratta di macchina vendute ad un prezzo superiore a 30000 £, per potere opporre la riserva ad eventuali terzi acquirenti è necessario che il patto di riservato dominio sia trascritto in un registro della cancelleria del tribunale e che la macchina, quando è acquistata dal terzo, si trovi ancora nella circoscrizione del tribunale nella cui cancelleria la trascrizione è stata eseguita (art. 1524 c.2). Quanto, invece, all’opponibilità ai creditori del compratore diciamo che costoro non possono pignorare la cosa, purchè la riserva di proprietà risulti da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento (art. 1524 c.1). Per quanto riguarda l’inadempimento del compratore diciamo che, nel passato i venditori con patto di riservato dominio avevano preteso dai loro acquirenti l’inserzione nel contratto di clausole vessatorie, quale quella che, in caso di ritardo nel pagamento anche di una sola rata, il venditore avesse il diritto di pretendere immediatamente il pagamento dell’intero prezzo, ovvero la risoluzione della vendita col diritto di trattenere le rate già pagate quale corrispettivo dell’uso della cosa. Per impedire simili sopraffazioni contrattuali il codice ha stabilito: a) nonostante patto contrario, se il compratore è in ritardo nel pagamento di una sola rata che non super l’ottava parte del prezzo, il venditore non può risolvere il contratto né pretendere che il compratore, decadendo dal beneficio del termine, paghi subito le rate successive (art. 1525); b) se per inadempimento del compratore avviene la risoluzione del contratto, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno (1526 c.1).

C) Nelle compravendite commerciali, abbastanza frequente è la clausola di esclusiva che può essere apposta o a carico del venditore, o del compratore o di entrambi. Se è apposta a carico del venditore, questi – nella zona stabilita nel contratto – non può vendere la merce ad altri ma soltanto al compratore; se è apposta a carico del compratore, questi si impegna ad acquistare la merce soltanto dal venditore; se è apposta a carico di entrambi, queste obbligazioni sono reciproche per venditore e compratore. Inoltre, può capitare che la cosa venduta venga consegnata in un momento posteriore a quello della conclusione del contratto. Tuttavia, la cosa deve’essere consegnata nello stato in cui si trovava al momento della vendita (art. 1447 c.1). E precisamente, se la consegna deve avvenire dopo la conclusione del contratto e si tratta di cosa mobile, il compratore si affida alla onestà del venditore, in quanto corre il rischio che questi venda e consegni la stessa cosa ad altri, il quale ignori che la cosa fosse stata già venduta e la creda invece ancora di proprietà del venditore. In questo caso, infatti, il secondo compratore acquista la proprietà della cosa (che è stata venduta due volte), ed il primo compratore ne perde la proprietà, potendo pretendere soltanto il risarcimento del danno dal venditore (ciò ai sensi dell’art. 1153). Se il bene venduto è divisibile, può stabilirsi nel contratto che la consegna debba avvenire in più riprese, e – pertanto – in questo caso si ha la vendita a consegne ripartite (o successive).

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Quanto al luogo della consegna diciamo che, se nel contratto nulla è stabilito circa il luogo dove la consegna deve essere fatta, bisogna distinguere se al momento del contratto le parti conoscevano – oppure no – dove la cosa si trovasse. Poiché, nella prima ipotesi la consegna deve avvenire in tale luogo; mentre, nella seconda ipotesi la consegna deve avvenire nel luogo in cui al momento del contratto il venditore aveva il suo domicilio: ma se il venditore è un imprenditore e la vendita costituisce un atto di esercizio della sua impresa, la consegna deve avvenire nella sede dell’impresa (art. 1510 c.1). Ora, per la validità della vendita, è necessario che il prezzo – anche se non determinato al momento del contratto – sia almeno determinabile, essendo stati indicati gli elementi idonei a determinarlo. Infatti, se nel contratto il prezzo non è stabilito, e si tratta di cose che hanno un prezzo di borsa o di mercato, il prezzo si desume dai listini o dalle mercuriali della piazza di consegna o della piazza più vicina (art. 1474 c.2); se si tratta di cose che il venditore vende abitualmente, il prezzo è quello normalmente praticato dal venditore (art. 1474 c.1). Nella vendita di prodotti industriali dal produttore al rivenditore, è frequente la clausola di prezzo imposto in base alla quale l’acquirente si obbliga a non rivendere la merce ad un prezzo diverso da quello impostogli dal produttore. Se tale clausola viene violata, e la cosa rivenduta ad un prezzo inferiore, il terzo subacquirente non è tenuto a nessuna integrazione del prezzo, poiché la clausola non ha effetto nei suoi confronti. Per alcune merci (di solito, di largo consumo), il prezzo è talvolta stabilito dall’autorità amministrativa: in questo caso, detti prezzi (c.d. prezzi di imperio) “sono di diritto inseriti nel contratto”, prevalendo anche sui diversi prezzi che eventualmente sono stati convenuti tra le parti (art. 1339). Quanto alle spese della vendita diciamo che, se non è stato pattuito diversamente, le spese della vendita e le altre accessorie – comprese le spese di trasporto (art. 1510 c.2) – sono a carico del compratore (ai sensi dell’art. 1475). Nelle vendite commerciali, il pagamento delle spese di trasporto è regolato diversamente, in quanto il prezzo è comprensivo di dette spese e quindi il venditore si obbliga a spedire le merci al compratore con la clausola “franco” (ad esempio, franco arrivo, franco consegna domicilio). Nelle vendite marittime, invece, sono emerse le clausole cif (o caf) [cif: cost, insurance, freight o – in francese - caf: cost, assurance, fret] e fob [free on board]. Se è apposta la clausola “franco trasporto assicurazione” (cif o caf), il prezzo di vendita è comprensivo delle spese di trasporto della merce, di caricamento sul mezzo di trasporto e di assicurazione, spese che sono perciò a carico del venditore (la clausola cif è di solito prevista nella vendita di documenti). Dal momento che la merce è assicurata, se essa perisce o subisce avarie dopo il caricamento, il compratore ha il diritto di essere indennizzato dall’assicuratore. Se, invece, è apposta la clausola “franco a bordo” (fob), le spese di trasporto rimangono a carico del compratore, mentre tocca al venditore provvedere al pagamento delle spese di caricamento sulla nave o sul diverso mezzo di trasporto previsto; dalla clausola fob va distinta la clausola fas (free alongside ship, in italiano “franco banchina”), perché l venditore si obbliga a provvedere a sue spese solo alla consegna della merce nel punto di imbarco (appunto la banchina), restando al compratore l’obbligo di pagare le spese di trasporto e di caricamento della merce. Per quanto riguarda la vendita su documenti diciamo che, normalmente si ricorre a questo tipo di vendita quando la merce è in viaggio, ed il venditore ha la disponibilità dei documenti rilasciati dal vettore, dai quali risulta che la merce è viaggiante (polizza di carico, rilasciata dal vettore marittimo; duplicato della lettera di vettura, o ricevuta di carico, rilasciate dal vettore terrestre; lettera di trasporto aereo, rilasciata dal vettore aereo). Per avere la disponibilità dei documenti (titoli rappresentativi) del trasporto, il venditore deve esserne portatore legittimo e quindi – se si tratta di documenti al portatore – deve averne il possesso ovvero – se si tratta di titoli all’ordine – deve averli ricevuti attraverso una serie continua di girate. 5

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Nella vendita su documenti, le parti convengono di sostituire la consegna della merce con la consegna dei titoli di trasporto (e degli altri documenti stabiliti nel contratto: ad esempio, certificati d’origine della merce), in virtù dei quali il compratore può pretendere la consegna della merce dal vettore: pertanto, al momento fissato dal contratto, il venditore deve consegnare al compratore detti documenti facendolo diventare portatore legittimo di essi, ed il compratore deve trasferire al venditore il prezzo (art. 1527, 1528). Può anche convenirsi che il pagamento del prezzo debba avvenire per mezzo di una banca (art. 1530): in tal caso si parla di vendita con pagamento contro documenti a mezzo banca. Possiamo distinguere diverse clausole contrattuali che incidono sulla stessa conclusione del contratto di vendita: Vendita con riserva di gradimento e a prova, e precisamente: nella vendita con “riserva di gradimento” le parti stabiliscono che il compratore esamini la cosa entro un dato termine (in mancanza di un termine contrattuale, l’esame deve essere fatto nel termine risultante dagli usi o, in mancanza, in un termine congruo fissato dal venditore), dichiarandola o meno di suo gradimento. La vendita si perfeziona nel momento in cui il compratore dichiara la cosa di suo gradimento; nel caso opposto, il contratto non viene concluso, e quindi gli effetti della vendita non si producono (art. 1520 c.1). Se il compratore fa trascorrere il termine senza compiere l’esame e la cosa è detenuta dal venditore, gli effetti della vendita non si producono (art. 1520 c.2); se, invece, la cosa è detenuta dallo stesso compratore e questi fa trascorrere il termine senza comunicare la sua decisione, si producono gli effetti della vendita (art. 1520 c.3).

Nella vendita “a prova” (art. 1521), il contratto è sottoposto a condizione sospensiva, nel senso che si perfeziona e produce i suoi effetti solo se la cosa venduta ha le qualità pattuite ed è idonea all’uso a cui è destinata; altrimenti la vendita non si perfeziona. Ma nell’ipotesi di vendita a prova – appunto perché si tratta di una condizione – il compratore deve attenersi alla realtà obiettiva e non può dichiarare che la cosa non è di suo gradimento se questa è idonea all’uso ed ha le qualità pattuite. Vendita su campione e su tipo di campione, in cui il campione è una piccola quantità di merce divisibile e serve per individuare le qualità della merce oggetto della vendita. In questo tipo di vendita, il contratto si conclude al momento dell’accordo: il campione deve servire soltanto come esclusivo paragone delle qualità della merce, e pertanto qualsiasi difformità tra la qualità della merce e il campione attribuisce al compratore il diritto di risolvere il contratto (vendita “su campione”) (art. 1522 c.1). Ma può anche risultare dal contenuto del contratto o dagli usi che il campione deve servire ad indicare le qualità della merce solo in modo approssimativo, in questo caso – infatti - si parla di vendita “su tipo di campione”, e si può domandare la risoluzione soltanto se la difformità sia notevole (art. 1522 c.2).

Per quanto riguarda l’inadempimento del venditore, diciamo che contro l’inadempimento del venditore si può anche fare ricorso ad alcuni rimedi specifici posti a tutela del compratore, e precisamente: 1) Esecuzione coattiva, se il venditore al termine stabilito non consegna la cosa venduta, e questa è una “cosa fungibile che ha un prezzo corrente” risultante da atti della pubblica autorità o da listini o da mercuriali, il compratore – il quale non abbia pagato il prezzo – può procedere alla c.d. esecuzione coattiva (art. 1516): cioè fa comprare la cosa da un altro venditore per mezzo di un intermediario professionale (agente di cambio o società di intermediazione mobiliare) o di un commissionario nominato dal tribunale, e ha il diritto di esigere dal venditore inadempiente la differenza tra la somma occorsa per l’acquisto e il prezzo stipulato per la prima vendita, oltre al risarcimento degli ulteriori danni (in questo modo, se il prezzo della merce è aumentato, la differenza di prezzo viene subita dal venditore inadempiente, mentre il compratore si procura senza ritardo la disponibilità della merce di cui ha bisogno). 6 2) Vizi o mancanza di qualità della cosa, poiché nelle vendite di cose mobili, oltre alla mancata consegna, i più frequenti inadempimenti del venditore consistono nella consegna di cose affette da vizi che le rendono inidonee all’uso cui sono destinate o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore ovvero di cose prive delle qualità promesse o di quelle essenziali per l’uso cui sono destinate.

Se si tratta di vizi, il compratore può chiedere: a) o la risoluzione del contratto (c.d. azione redibitoria) b) ovvero la riduzione del prezzo (c.d. azione estimatoria o quanti minoris) (art. 1492 c.1).

Inoltre, è opportuno specificare che può chiedere solo la riduzione del prezzo se ha rivenduto o trasformato la cosa o se gli usi escludono la risoluzione: la scelta tra le due azioni (o quella redibitoria o quella estimatoria) è irrevocabile una volta che sia stata fatta con la domanda giudiziale. Se si tratta di mancanza di

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qualità, il compratore ha il diritto di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, purchè il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi (art. 1497 c.1). Il compratore, per non perdere il diritto alla risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo, deve però denunziare – a pena di decadenza – i vizi o la mancanza di qualità entro 8 giorni dalla scoperta; compiuta la denunzia, ed evitata così la decadenza, occorre poi che egli si preoccupi di iniziare, entro 1 anno dalla consegna, il giudizio per chiedere la risoluzione o la riduzione, giacchè dopo il decorso dell’anno si compie la prescrizione (art. 1495 c.1 e 3, art. 1497 c.2). Se però il compratore non ha ancora pagato il prezzo, può anche lasciare trascorrere l’anno e chiedere in via di eccezione la risoluzione o la riduzione quando viene convenuto in giudizio dal venditore per il pagamento del prezzo, purchè gli abbia denunziato il vizio o la mancanza di qualità della cosa entro 8 giorni dalla scoperta e prima del decorso dell’anno dalla consegna (art. 1495 c.3). L’azione di risoluzione non è invece soggetta a detti termini di decadenza e di prescrizione abbreviata nell’ipotesi di “aliud pro alio” : ipotesi che ricorre quando le caratteristiche della cosa consegnata sono completamente diverse da quelle della cosa contrattata. 3) Cattivo funzionamento della cosa, in quanto può capitare che il venditore abbia garantito per un certo tempo il buon funzionamento della cosa venduta (ad esempio, orologi, penne stilografiche, autoveicoli) ovvero questa garanzia sia dovuta in forza degli usi. In questo caso, il compratore può pretendere – oltre al risarcimento dei danni – la sostituzione o la riparazione della cosa: ma, per non perdere tale diritto, deve denunziare al venditore il cattivo funzionamento entro 30 giorni ed agire giudizialmente entro 6 mesi dalla scoperta (art. 1512).

Per avere una prova sicura: a) dei vizi b) o della mancanza di qualità c) o del cattivo funzionamento della cosa

è opportuno che il compratore, subito dopo la scoperta e prima di iniziare il giudizio civile, chieda all’autorità giudiziaria un “accertamento tecnico preventivo” diretto ad accertare le predette circostanze attraverso la verifica della condizione o della qualità delle cose vendute (art. 696 cod. proc. civ.). Quanto all’inadempimento del venditore di beni di consumo diciamo che una disciplina particolare, di origine comunitaria, regola la responsabilità del fornitore nella vendita di beni di consumo, ossia di cose (beni mobili) a persone fisiche che le acquistano per scopi estranei all’esercizio della loro attività imprenditoriale o professionale. Allo scopo di applicare tale disciplina, ai contratti di vendita sono equiparati i contratti di permuta e di somministrazione, nonché quelli di appalto, di opera e tutti gli altri contratti che hanno per oggetto la fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre, o anche solo da assemblare. 7

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Il fornitore, infatti, ha l’obbligo di consegnare al consumatore beni idonei al loro uso abituale o a quello particolare voluto dal consumatore, ed è responsabile nei suoi confronti per “qualsiasi difetto di conformità” esistente al momento della consegna del bene o che derivi dalla sua installazione quando nel contratto è convenuto che essa sia effettuata dal fornitore. Si tratta di una garanzia legale di conformità, a cui possono aggiungersi anche apposite garanzie convenzionali. La responsabilità legale del fornitore sussiste quando la difformità si manifesta entro 2 anni dalla consegna del bene; ma soprattutto il consumatore non può pretendere immediatamente la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, perché prima deve, a sua scelta, richiedere la sostituzione o la riparazione del bene. Solo nel caso in cui tali rimedi sono oggettivamente impossibili o eccessivamente onerosi, il consumatore può ottenere – sempre a sua scelta - una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto. Quanto, invece, all’inadempimento del compratore diciamo che in questo caso vi sono alcuni rimedi particolari posti a tutela del venditore, e precisamente: innanzitutto, anche qui è ammesso il ricorso all’esecuzione coattiva: infatti, se il compratore non paga il prezzo al termine stabilito, il venditore ha il diritto di far vendere senza ritardo la cosa all’incanto – per mezzo di un pubblico mediatore o di un ufficiale giudiziario – per conto e a spese del compratore inadempiente; prima di procedere alla vendita, tuttavia, bisogna avvisare il compratore del luogo giorno e ora in cui essa sarà eseguita. Se poi la cosa venduta ha un prezzo corrente, la vendita può essere fatta dall’incaricato anche senza incanto, e il venditore deve dare pronta notizia al compratore dell’avvenuta vendita. In ogni caso, il venditore ha diritto alla differenza tra il prezzo convenuto e il ricavo netto della vendita, oltre al risarcimento del maggiore danno. Inoltre, può darsi che nel contratto si sia stabilito che il pagamento del prezzo debba avvenire nel momento della consegna della cosa, ma che poi il venditore consegni la cosa venduta senza esigere contemporaneamente il prezzo; in questo caso, il venditore può ottenere la restituzione della cosa consegnata (e non pagata) purchè ricorrano le seguenti condizioni: a) che la domanda di restituzione sia proposta entro 15 giorni dalla consegna; b) che la cosa venduta sia ancora presso il compratore; c) che la cosa venduta non sia stata trasformata; d) che non sia stata pignorata o sequestrata da creditori del compratore, i quali ignorassero che il prezzo era ancora dovuto (art. 1519) [il rimedio è denominato “rivendicazione del venditore”, ma si tratta di una denominazione impropria, in quanto la proprietà della cosa venduta è già passata dal venditore al compratore inadempiente].

Per quanto riguarda, infine, la risoluzione di diritto diciamo che nelle compravendite, in cui la consegna della cosa e il pagamento del prezzo devono avvenire contemporaneamente, se una delle parti (il venditore o il compratore) si vuole assicurare la possibilità di risolvere rapidamente il contratto in caso di inadempimento della controparte, può: prima del giorno, in cui deve avere luogo la consegna della merce e il pagamento del prezzo, comunicare alla controparte – nelle forme di uso – di essere pronta ad eseguire il contratto al termine stabilito; se a tale giorno l’altra parte non è pronta ad eseguire il contratto, la parte che era pronta ad adempiere la propria prestazione può comunicarle – entro 8 giorni successivi – che il contratto è risolto di diritto (art. 1517). Se non si è fatto ricorso a questo procedimento o se si sono lasciati trascorrere gli 8 giorni concessi dall’art. 1517 per comunicare che ci s’intende valere della risoluzione di diritto, si potrà fare ricorso alle disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento (art. 1453), e si potrà ancora provocare la risoluzione di diritto della vendita osservando l’altro procedimento prescritto dall’art. 1454 (diffida scritta ad adempiere entro un termine non inferiore a 15 giorni). 8

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LA SOMMINISTRAZIONE

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La somministrazione è il contratto con il quale una parte (detta somministrante) si obbliga, contro il corrispettivo di un prezzo, ad eseguire a favore dell’altra (detta avente diritto alla somministrazione o somministrato) prestazioni periodiche o continuative di cose (art. 1559). Poichè la somministrazione ha per oggetto l’esecuzione di prestazioni di cose, ne deriva che nel caso di prestazioni – anche se periodiche e continuative – di servizi (ad esempio, il servizio della pulizia di un grande edificio) non si ha un contratto di somministrazione, bensì un contratto di prestazione d’opera ovvero di appalto, al quale però si applicano sia le norme del contratto d’appalto che quelle del contratto di somministrazione (art. 1677). Nel contratto di somministrazione può essere stabilita la quantità delle prestazioni (ad esempio, un quintale di carbone al mese); inoltre può essere stabilito un massimo e un minimo, ed in questa ipotesi spetta all’avente diritto alla somministrazione stabilire, entro i limiti suddetti, il quantitativo dovuto (art. 1560 c.1). Se è stabilito che il prezzo sia quello di mercato, bisogna riferirsi al prezzo del luogo e del tempo di ogni prestazione (art. 1561). Nella somministrazione a carattere periodico, il prezzo dev’essere pagato all’atto delle singole prestazioni, mentre nella somministrazione continuativa, secondo le scadenze d’uso (art. 1562). In caso di inadempimento di una delle parti relativo a singole prestazioni, l’altra parte può chiedere la risoluzione del contratto, solo però se l’inadempimento ha notevole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti (art. 1564). Se la parte che ha diritto alla somministrazione è inadempiente e l’inadempimento è di lieve entità, il somministrante non può sospendere l’esecuzione del contratto senza dare congruo preavviso (art. 1565). Essendo la somministrazione un contratto di durata, l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite (art. 1458 c.1). Nel contratto di somministrazione può anche essere stabilito un patto di esclusiva tanto a favore del somministrante che del somministrato (art. 1567, 1568). Si può stabilire anche un patto di preferenza a favore del somministrante, nel senso che l’avente diritto alla somministrazione si obbliga – rispetto ad altri eventuali proponenti e a parità di condizioni – a dare la preferenza al somministrante nella stipulazione di un successivo contratto per lo stesso oggetto (art. 1566 c.1). Il contratto di somministrazione non può – tuttavia – avere durata perpetua. Se la durata della somministrazione non è stabilita, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dando preavviso nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi, o in mancanza, in un termine congruo avuto riguardo alla natura de CONTRATTI RELATIVI ALLA PRESTAZIONE DI SERVIZI L’APPALTO L’appalto è il contratto con il quale una parte (detta appaltatore) si obbliga al compimento di un’opera (come ad esempio, la costruzione di una casa), o di un servizio (ad esempio, la pulizia di una città) ed ha diritto ad un corrispettivo in denaro, cui si obbliga l’altra parte (detta committente) (art. 1655). L’appaltatore è necessariamente un imprenditore, che deve organizzare tutti i mezzi necessari per il compimento dell’opera o del servizio (ad esempio, procurarsi i macchinari o assumere gli operai) e deve fornire la materia necessaria, a meno che dal contratto o dagli usi non sia stabilito che la materia debba essere fornita dal committente (art. 1658). Se non è stato autorizzato dal committente, l’appaltatore non può dare in subappalto a terzi l’esecuzione dell’opera o del servizio (art. 1656). Secondo la giurisprudenza, l’appalto si distingue dal contratto d’opera (lavoro autonomo), appunto perchè esso presuppone l’esistenza di un’impresa in capo all’appaltatore; inoltre esso (ossia l’appalto d’opera) si distingue anche dalla vendita, poichè la prestazione dell’appaltatore è soprattutto una prestazione di fare (cioè, ha per oggetto un’attività lavorativa diretta alla produzione della cosa) e non soltanto una prestazione di dare. Quando si tratta di appalti per l’esecuzione di opere pubbliche, è previsto che all’aggiudicazione possono concorrere anche consorzi tra imprenditori commerciali, consorzi di cooperative, od anche imprese che si sono riunite per l’occasione conferendo mandato ad una di esse, che le rappresenti nei confronti dell’ente committente. Inoltre, la progettazione delle opere pubbliche può anche essere affidata a società di ingegneria, costituite nelle forme di società di capitali ovvero di cooperative. Nell’appalto la costruzione dell’opera avviene a rischio dell’imprenditore: dunque, se la cosa perisce, per causa non imputabile a nessuna delle parti, prima che sia accettata dal committente o prima che il committente sia in mora nel verificarla, l’appaltatore non ha diritto al corrispettivo. Se, invece, dopo l’inizio dell’opera il completamento ne diventa impossibile per causa non imputabile a nessuna delle parti, il committente deve pagare la parte di opera già compiuta, in proporzione dell’intero prezzo pattuito, ma solo “nei limiti in cui (detta parte) è per lui utile” (art. 1672). Il corrispettivo può essere determinato globalmente (ossia à forfait) o a misura, e precisamente: se le parti non hanno determinato la misura del corrispettivo nè hanno stabilito il modo di determinarla, essa è determinata con riferimento alle tariffe esistenti o agli usi; in mancanza, è determinata dal giudice (art. 1657). Se dopo la conclusione del contratto – per effetto di circostanze imprevedibili – il costo dei materiali o della manodopera aumenta o diminuisce in misura superiore al decimo del prezzo stabilito, l’appaltatore (in caso di aumento ) e il committente (in caso di diminuzione) possono chiedere una revisione del prezzo per quella parte che eccede il decimo (art. 1664).

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[Ad esempio: la villa da costruire, al momento del contratto, costa 80000,00; il corrispettivo convenuto è di 100000,00; se durante la costruzione il costo sale a 92000,00 – ossia 12000,00 di aumento, superiore (dunque) a 10000,00 che è il decimo del prezzo – l’appaltatore ha diritto ad un aumento di 2000,00 (che è la differenza tra l’aumento che si è verificato nel costo dell’opera e il decimo del prezzo pattuito]. L’appaltatore deve dare pronto avviso al committente dei difetti della materia da lui fornita, ovviamente se questi difetti si scoprono nel corso dell’esecuzione dell’opera e sono tali da comprometterne la regolare esecuzione (art. 1663). 11

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Il committente, tuttavia, ha il diritto di controllare lo svolgimento dei lavori: infatti, se accerta che il lavoro non procede secondo quanto stabilito nel contratto o secondo le regole d’arte, può fissare un termine congruo entro il quale l’imprenditore deve togliere all’opera i suoi difetti, altrimenti il contratto verrà risolto e l’appaltatore dovrà risarcire i danni al committente (art. 1662 c.2). Il committente può sempre recedere dal contratto, purchè rimborsi all’appaltatore le spese sostenute, e lo ricompensi dei lavori eseguiti e del mancato guadagno (art. 1671). Se l’appaltatore muore, non c è motivo di sciogliere il contratto, quando l’opera o il servizio possono essere egualmente eseguiti dall’impresa del defunto: lo scioglimento, pertanto, avviene solo nell’ipotesi di cessazione dell’impresa o se l’appalto era stato stipulato intuitu personae, cioè in considerazione della particolare fiducia riposta dal committente nella persona del defunto; inoltre, se gli eredi dell’appaltatore non danno affidamento per la buona esecuzione dell’opera o del servizio, il committente può recedere dal contratto (art. 1674), pagando agli eredi una somma “nei limiti in cui le opere gia eseguite e le spese sostenute per l’esecuzione delle opere rimanenti gli sono utili” (art. 1675 c.1). Compiuta l’opera, l’appaltatore invita il committente a procedere a verifica per controllarne la conformità alle pattuizioni contrattuali e, quindi, a consegnarsi l’opera. L’opera si considera accettata quando ricorrono queste 4 ipotesi: 1. se il committente, dopo la verifica, dichiara di accettarla;

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2. se il committente non comunica all’appaltatore i risultati delle verifica entro un breve termine;

3. se il committente riceve senza riserve la consegna dell’opera, senza procedere a verifica;

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4. ed infine, se il committente non compie la verifica né riceve la consegna senza giusti motivi.

Subito dopo l’accettazione l’appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo, a meno che il contratto o gli usi non stabiliscano che il pagamento debba avvenire prima (art. 1665). Per quanto riguarda la responsabilità dell’appaltatore diciamo che l’appaltatore è responsabile se l’opera presenta dei vizi o è difforme da quanto convenuto. Il committente può chiedere che la difformità o i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito; se però la difformità o i vizi sono tali da rendere l’opera del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto (art. 1668). La responsabilità dell’appaltatore si estingue in queste 3 ipotesi: 1. se il committente ha accettato l’opera, e i vizi o le difformità erano da lui conosciuti, o erano almeno conoscibili e non taciuti in mala fede dall’appaltatore; 2. se il committente fa trascorrere il termine (di decadenza) di 60 giorni dalla scoperta senza denunziare i vizi all’appaltatore; 3. se poi fa trascorrere il termine (di prescrizione) di 2 anni dalla consegna senza fare valere giudizialmente la responsabilità dell’appaltatore o senza compiere nessun atto di messa in mora. Il committente, però, può sempre fare valere detta responsabilità in via di eccezione quando l’appaltatore agisce per il pagamento del prezzo, purchè le difformità o i vizi siano stati denunziati entro 60 giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi 2 anni dalla consegna dell’opera (art. 1667).

La responsabilità decennale dell’appaltatore è inoltre stabilita nell’ipotesi di rovina o gravi difetti di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata. Il committente, i suoi aventi causa e qualunque terzo che sia stato danneggiato dalla rovina o dal pericolo di rovina o dai gravi difetti della costruzione, devono denunziare i fatti dannosi entro 1 anno dalla scoperta art. 1669 c.1), e l’azione del committente si prescrive entro 1 anno dalla denunzia (art. 1669 c.2). 12 lla somministrazione (art. 1569). 10

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IL TRASPORTO Con il contratto di trasporto una parte (detta vettore) si obbliga a trasferire persone o cose da un luogo ad un altro. L’obbligo può essere assunto dietro corrispettivo (art. 1678), e in questo caso si ha il contratto di trasporto a titolo oneroso; oppure senza corrispettivo e in questo caso – invece – si ha il contratto di trasporto a titolo gratuito. Se poi la prestazione del vettore avviene solo in via extracontrattuale, cioè: a) senza assumere alcun obbligo b) e nell’interesse esclusivo del trasportato (un mio amico, sapendo che io mi reco con la mia automobile da Milano a Pavia, mi prega di trasportarlo ed io acconsento per cortesia), si ha il trasporto a titolo amichevole. Questa distinzione è molto importante per l’accertamento del grado di responsabilità del vettore per i danni subiti dal trasportato. A seconda se il trasferimento ha per oggetto una persona o una cosa, si distingue il trasporto di cose dal trasporto di persone. Inoltre, a seconda del mezzo di trasporto, si distinguono il trasporto ferroviario, il trasporto automobilistico. Ed infine, a seconda dell’ambiente in cui il trasporto si svolge, si distinguono il trasporto terrestre, il trasporto aereo, e il trasporto marittimo. Se le cose debbono essere trasportate attraverso le linee di vari vettori, si possono seguire più vie: o si concludono direttamente tanti contratti quanti sono i vettori, oppure si conclude un unico contratto col primo vettore, il quale si obbliga verso il mittente per l’esecuzione dell’intero trasporto, di guisa (cosicché) il mittente rimane estraneo ai rapporti tra il primo vettore ed i successivi (c.d. contratti di subtrasporto). Se il primo vettore si impegna a compiere il trasporto nelle proprie linee e a concludere per conto del mittente coi successivi vettori altri contratti di trasporto, assume la figura dello spedizioniere (infatti in questo caso si parla di servizio di corrispondenza o di ricarteggio). Infine, il trasporto può essere assunto con un unico contratto da più vettori successivi (c.d. trasporto cumulativo): che è, appunto, l’unico contratto che può essere concluso con un solo vettore, con le adesioni successive degli altri. L’OBBLIGO DEL VETTORE DI CONTRARRE CON PARITÀ DI TRATTAMENTO Per fare in modo che chiunque possa godere, in condizioni di parità con gli altri dei servizi delle ferrovie dello stato e delle altre imprese concessionarie che gestiscono pubblici servizi di linea, queste sono soggette al c.d. “obbligo di contrarre”, essendo obbligate ad accettare tutte le richieste di trasporto che ricevono, a meno che tutte le richieste siano incompatibili con i mezzi ordinari dell’impresa. Esse, inoltre, hanno l’obbligo della parità di trattamento, essendo obbligate ad eseguire i contratti conclusi, senza preferenze, seguendo l’ordine delle richieste ed applicando a tutti gli utenti le stesse tariffe (art. 1679 c.1 e 3). 14

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Per quanto riguarda il trasporto di persone diciamo che con questo contratto il vettore si obbliga a trasferire il viaggiatore dal luogo di partenza al luogo di destinazione nel tempo stabilito. Di solito al viaggiatore viene consegnato un documento il c.d. biglietto di viaggio, che costituisce la prova dell’avvenuta conclusione del contratto e che egli deve esibire per poter esigere la prestazione dal vettore (documento di legittimazione). Normalmente (ad esempio, nel trasporto ferroviario) viene dato al viaggiatore, prima dell’inizio del viaggio, il diritto di recedere dal contratto e di avere rimborsato il prezzo del biglietto, con la deduzione di una modesta percentuale. Per quanto riguarda, invece, la responsabilità del vettore diciamo che nel caso in cui il viaggiatore subisca un sinistro ovvero la perdita o l’avaria delle cose che trasporta con sè, la legge pone una presunzione relativa di responsabilità a carico del vettore, che è obbligato a risarcire il danno sofferto dal viaggiatore, a meno che non dia la prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno; pertanto affinchè il vettore non sia responsabile, non è sufficiente una diligenza media, ma è necessaria una diligenza che escluda ogni colpa, anche lieve; sono nulle le cause del contratto che limitano la responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore (art. 1681 c.1 e 2). Inoltre vi è – per entrambi i tipi di trasporto – anche la responsabilità extracontrattuale del vettore fondata sul principio generale del neminem laedere previsto dall’art. 2043. Non vi è responsabilità contrattuale, invece, nel trasporto terrestre a titolo amichevole, dove il vettore è responsabile solo in via extracontrattuale. Nei trasporti cumulativi di persone (in cui, cioè, è stato stipulato un unico contratto con più vettori), è obbligato al risarcimento solo quel vettore nel cui percorso si è verificato il danno (art. 1682 c.1). Se l’inadempimento del vettore ha causato ritardo nell’arrivo o nell’ interruzione del viaggio, il vettore è obbligato a risarcire l’intero danno subito dal viaggiatore (art. 1682 c.2), ma spesso le condizioni generali di contratto limitano tale diritto al rimborso (totale o parziale) del prezzo del biglietto. Inoltre, nel trasporto aereo può accadere che il vettore proceda alla sovraprenotazione dei voli (c.d. overbooking); pertanto, se al momento dell’accettazione dei passeggeri (check in) il loro numero risulta superiore ai posti disponibili, quelli in eccesso non possono essere imbarcati. Di conseguenza, i passeggeri non imbarcati hanno diritto di scegliere tra il rimborso del biglietto e l’imbarco in un volo alternativo; in ogni caso il vettore, oltre al rimborso delle spese conseguenti al mancato imbarco, è tenuto anche al pagamento immediato di una somma (detta di compensazione, appunto perché ha la finalità di compensare il negato imbarco). 15

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Per quanto riguarda, invece, il trasporto di cose diciamo che con tale contratto il vettore si obbliga a trasportare entro il termine convenuto (c.d. termine di resa) dal luogo di partenza a quello di destinazione una o più cose consegnategli dal mittente, il quale si obbliga a pagargli il corrispettivo (c.d. porto). Se cosi viene stabilito nel contratto, il vettore deve consegnare le cose trasportate al domicilio (c.d. resa a domicilio) del mittente o di altra persona a cui le cose sono indirizzate (detta destinataria); altrimenti, dovrà consegnare le cose trasportate nel proprio stabilimento al mittente o al destinatario, dopo averli avvertiti dell’arrivo (art. 1687 c.2). I diritti verso il vettore spettano al mittente dal momento della conclusione del contratto fino allo svincolo (cioè, fino a quando la merce non è stata lui consegnata – art. 1689 c.1 –); dopo questo momento, spettano al destinatario. Il mittente ha il diritto di dare contrordini finchè il destinatario non abbia operato lo svincolo, ma deve pagare le spese e i danni derivanti al vettore dal contrordine. Attraverso il contrordine il mittente può chiedere che il trasporto sia sospeso e le merci gli siano restituite, o che le merci siano consegnate ad un diverso destinatario, oppure ancora modificare le altre condizioni del trasporto (art. 1685 c.1). Il trasporto di cose è un contratto consensuale, che si conclude con le dichiarazioni delle parti, senza che sia necessario che il mittente consegni la merce al vettore; mentre, nel trasporto ferroviario, il contratto è reale in quanto la consegna della merce è necessaria per la sua conclusione. Inoltre, il mittente – se il vettore lo richiede – deve rilasciare un documento detto lettera di vettura, da lui sottoscritto ed in cui devono essere indicate: la natura, il peso, la quantità e il numero delle cose trasportate il luogo di destinazione e il nome del destinatario e tutte le altre clausole del contratto (art. 1683 e 1684 c.1).

Il vettore, di contro, - se il mittente lo richiede - deve rilasciare un duplicato della lettera di vettura con la propria sottoscrizione ovvero, se non gli è stata rilasciata lettera di vettura, una ricevuta di carico, con le stesse indicazioni (art. 1684 c.2). Tuttavia, se non viene redatta la lettera di vettura col suo duplicato né rilasciata la ricevuta di carico, il contratto di trasporto è ugualmente valido e può essere provato con qualsiasi mezzo (pertanto, il contratto di trasporto è un contratto a forma libera, la cui conclusione può essere dimostrata con qualunque mezzo di prova). Nel trasporto ferroviario, il documento probatorio del contratto deve essere sempre rilasciato e peraltro la documentazione relativa al tale trasporto (ferroviario) è più complessa che negli altri trasporti, poiché alla lettera di vettura (che rimane in possesso del vettore), ed al duplicato della lettera di vettura (che viene consegnato al mittente) si aggiungono: - l’avviso di arrivo, mediante il quale il vettore avverte il destinatario – in tutti i trasporti senza consegna a domicilio – che le merci sono giunte a destinazione; - e il bollettino di consegna, nel quale – invece – sono ripetute le indicazioni contenute nella lettera di vettura, e viene consegnato al destinatario al momento dello svincolo, perché questi possa constatare se la merce è giunta in ordine. 16

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IL DEPOSITO IN ALBERGO E NEI MAGAZZINI GENERALI Nel contratto d’albergo, l’albergatore, contro un corrispettivo in denaro, si obbliga ad alloggiare il cliente in uno o più locali dell’albergo, convenientemente mobilitati e forniti di adeguati servizi e – di solito – a fornirgli le bevande e i cibi richiesti. Il codice regola la responsabilità dell’albergatore nell’ipotesi in cui il cliente subisca la sottrazione, la perdita o il deterioramento delle cose che ha con sé (art. 1783); e precisamente, si distinguono 2 ipotesi: a) e cioè, l’ipotesi in cui dal cliente le cose sono state consegnate in custodia all’albergatore, o che questi ha rifiutato di ricevere pur avendo l’obbligo di accettarle (art. 1784); b) e l’ipotesi in cui si tratta di cose dal cliente portate in albergo (intendendosi per tali, oltre a quelle nell’alloggio, anche quelle consegnate all’albergatore o ad un suo dipendente onde vengano custodite fuori dell’albergo per il periodo in cui il cliente dispone dell’alloggio).

Nella prima ipotesi (a), la responsabilità dell’albergatore è illimitata; mentre nella seconda (b), la sua responsabilità è limitata al valore della perdita “sino all’equivalente di 100 volte il prezzo di locazione dell’alloggio per giornata”. Da questa responsabilità (sia illimitata sia limitata) l’albergatore può liberarsi solo provando che la perdita o il deterioramento “sono dovuti: 1) al cliente, alle persone che l’accompagnano, che sono al suo servizio o gli rendono visita; 2) a forza maggiore; 3) alla natura della cosa” (art. 1785). Il cliente, appena constata il danno, ha l’obbligo di denunciarlo senza ingiustificato ritardo all’albergatore, altrimenti questi non ne risponde, a meno che si tratti di danno causato da colpa grave, sua o dei suoi familiari o dipendenti. Infatti, i patti o le dichiarazioni volte ad escludere o limitare preventivamente la responsabilità dell’albergatore sono nulli. Tuttavia è opportuno specificare che, questa disciplina della responsabilità non si applica ai veicoli, alle cose lasciate negli stessi, né agli animali vivi; pertanto, se veicoli o animali vengono affidati alla custodia dell’albergatore, questi è obbligato come depositario (art. 1766), e quindi deve custodirle con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1768), sottraendosi ad ogni responsabilità solo se prova che il danno è dipeso da una causa a lui non imputabile (artt. 1218, 1780). La stessa responsabilità degli albergatori, è prevista per gli imprenditori titolari di case di cura, stabilimenti di pubblici spettacoli, stabilimenti balneari, pensioni, trattorie, carrozze letto e simili (ad esempio, campeggi turistici: art. 1786). Quanto al deposito nei magazzini generali, diciamo innanzitutto che i magazzini generali sono luoghi di deposito particolarmente attrezzati per garantire ai depositanti una conservazione razionale della loro merce. In particolare, le imprese di deposito nei magazzini generali sono soggette ad autorizzazione ed a vigilanza governativa. Esse sono obbligate, finchè dispongono di spazio, a prendere in deposito tutte le merci comprese nelle loro tariffe. Spesso il deposito nei magazzini generali è un deposito “alla rinfusa”, nel senso che il depositante consente che la sua merce venga unita a quella di altri depositanti (ad esempio, in modo da formare un solo cumulo di grano); in questo caso, il depositante non ha più un diritto esclusivo sulla sua merce, ma un diritto di comunione (insieme agli altri depositanti) sulla merce riunita in una sola massa. Se il deposito è alla rinfusa, i magazzini generali non possono rilasciare la fede di deposito e la nota di pegno relative alla merce depositata, giacchè in quei titoli devono essere indicati “ gli estremi atti a individuare” le merci rappresentate (art. 1790). 22

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La responsabilità dell’imprenditore esercente i magazzini generali è più grave della responsabilità degli altri depositari. Invece, l’esercente i magazzini, per essere esente da responsabilità, deve fornire la prova positiva che la perdita o il calo o l’avaria sono dovuti ad una di queste 4 cause specifiche: 1) il caso fortuito 2) la natura delle merci 3) i vizi delle merci 4) l’imballaggio (art. 1787).

Di conseguenza, i danni derivanti da cause ignote sono a suo carico. Inoltre, l’esercente i magazzini – previo avviso al depositante – può fare vendere le merci per mezzo di un pubblico mediatore, nelle seguenti 3 ipotesi: a) quando il deposito è a tempo determinato e, scaduto il termine, le merci non sono state ritirate; b) quando il deposito è a tempo indeterminato, ed è decorso un anno dalla data del deposito; c) quando le merci sono minacciate di deperimento.

Il ricavato della vendita, dedotte le spese e quanto altro spetta ai magazzini generali, deve essere tenuto a disposizione degli aventi diritto (art. 1789 c.2). I TITOLI RAPPRESENTATIVI DELLA MERCE DEPOSITATA: FEDE DI DEPOSITO E NOTA DI PEGNO I magazzini generali – a richiesta di chi ha depositato presso di essi una determinata quantità di merce specificata – devono rilasciare congiuntamente, staccandole da un unico registro a matrice (art. 1791 c.2), una fede di deposito ed una nota di pegno, intestate al depositante o ad un terzo da questi designato, e contenenti le seguenti indicazioni: a) il cognome, il nome o la ditta e il domicilio dell’intestatario; b) il luogo del deposito; c) la natura e la quantità delle merci depositate e gli altri estremi per l’individuazione; d) posizione doganale della merce e sua eventuale assicurazione (art. 1790).

In particolare, fede di deposito e nota di pegno sono titoli di credito rappresentativi (che però, possono essere emessi solo con la clausola “all’ordine”), per cui il portatore legittimo di essi ha diritto ad avere riconsegnate le merci dal magazzino generale, ed ha anche il diritto di chiedere che, a sue spese, le cose depositate siano divise in più partite e che per ogni partita gli siano rilasciate una fede di deposito ed una nota di pegno distinte (art. 1793 c.1). Pertanto, quando l’intestatario dei titoli vende la merce, per consegnare il possesso al compratore, non ha che a girargli e a consegnarli entrambi i titoli. Può accadere, però, che i due titoli (piuttosto che circolare congiuntamente) circolino separatamente. Infatti, con questi titoli di deposito, l’intestatario ha anche la possibilità di dare in pegno le merci per ottenere finanziamenti: per questo effetto, è sufficiente girare e consegnare la sola nota di pegno, costituendo così un diritto cartolare di credito garantito da un diritto di pegno sulla merce, e pertanto il portatore legittimo della nota di pegno è legittimato sia a pretendere l’adempimento del credito cartolare sia a realizzare – in caso di inadempimento – il diritto di pegno costituito a garanzia del credito stesso. La prima girata della sola nota di pegno deve indicare l’ammontare e la scadenza del credito concesso dal giratario, e l’indicazione degli interessi. Questa prima girata, corredata da queste indicazioni, deve essere trascritta sulla fede di deposito e controfirmata dal giratario, in modo che ogni (successivo) titolare della fede di deposito venga a conoscenza dell’ammontare del credito e della sua scadenza (art. 1794 c.1). Se nella girata della nota di pegno non si indica l’ammontare del credito, il possessore della nota in buona fede può pretendere l’intero valore delle cose depositate. Il portatore legittimo della sola fede di deposito può ritirare la merce solo se deposita presso i magazzini generali la somma che risulta dovuta al creditore pignoratizio. 23

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Venuta la scadenza del credito garantito dal pegno, il portatore legittimo della nota di pegno ne chiederà il pagamento al debitore principale, cioè al primo girante della nota di pegno (che è colui che ha ottenuto il finanziamento); se questi è ancora il portatore della fede di deposito, provvede al pagamento e così, ottenendo la restituzione della nota di pegno, riunisce in sé di nuovo i due titoli e può senz’altro farsi riconsegnare la merce dai magazzini generali; se – invece – ha girato ad altri la (sola) fede di deposito, ma alla scadenza del debito provvede egualmente a pagare il possessore della nota di pegno, resta surrogato nei diritti di quest’ultimo e può procedere alla vendita delle cose depositate decorsi 8 giorni dalla scadenza del credito (art. 1796 c.2). Pertanto, l’attuale titolare della fede di deposito, privo della nota di pegno, essendo informato della scadenza del credito garantito dalla nota di pegno dalla trascrizione che sulla fede di deposito è stata fatta nella prima girata della nota di pegno, sa che – dopo 8 giorni da detta scadenza – la merce corre il rischio di essere venduta. Per la soddisfazione del suo credito, il portatore della nota di pegno ha azione contro il debitore principale (primo girante della nota), contro gli altri giranti della nota di pegno e contro i giranti della fede di deposito. Dunque, per agire in regresso contro gli altri giranti della nota di pegno, il creditore pignoratizio non solo deve avere proceduto alla vendita della merce gravata dal pegno (art. 1797 c.1), ma inoltre alla scadenza del credito deve avere levato tempestivamente il protesto ed entro 15 giorni dal protesto deve anche avere fatto istanza per la vendita delle cose depositate. L’azione di regresso si prescrive in 1 anno. Anche se il creditore pignoratizio ha perduto – o per decadenza o per prescrizione – l’azione di regresso contro i giranti della nota di pegno successivi al primo girante (debitore principale), tuttavia conserva l’azione contro quest’ultimo e contro i giranti della fede di deposito: azione che si prescrive in 3 anni (art. 1797 c.4). 24

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(FRANCHISING)

Quando il mandato (senza rappresentanza) ha per oggetto la compera o la vendita di beni in nome del mandatario e per conto del mandante, si denomina commissione, e precisamente: il mandante si chiama committente e il mandatario – invece – commissionario (art. 1731). Spesso, il committente è un produttore che affida al commissionario i rapporti con la clientela, talvolta assicurandole anche l’assistenza tecnica. Al commissionario spetta una provvigione sugli affari conclusi, la cui misura, se non è stabilita dalle parti o dalle tariffe professionali, si determina secondo gli usi del luogo in cui è compiuto l’affare; in mancanza, è determinata dal giudice secondo equità (art. 1733). Se il committente revoca la commissione, al commissionario spetta una parte della provvigione, che si determina tenendo conto delle spese sostenute e all’opera prestata (art. 1734). Se nel contratto nulla è stabilito circa il potere del commissionario di concedere dilazioni di pagamento (c.d. vendite a fido), bisogna accertare se gli usi del luogo in cui si compie l’operazione attribuiscono o meno questo potere al commissionario: se gli usi gli danno questo potere, il commissionario che ha concesso dilazioni di pagamento deve indicare al committente la persona del contraente e il termine concesso (art. 1732 c.3); se il commissionario non fa detta comunicazione, o se gli usi non gli danno il potere di fare fido, o se nel contratto gliene è stato fatto divieto, il committente può esigere dal commissionario che ha concesso dette dilazioni il pagamento immediato della merce venduta (art. 1732 c.2). Il contratto o gli usi possono stabilire che il commissionario è responsabile verso il committente per la mancata esecuzione del contratto da parte del terzo contraente, cioè di colui a cui il commissionario ha venduto la cosa o da cui il commissionario l’ha comprata – c.d. star del credere – . In questo caso, cioè quando è stabilito lo star del credere, per tale responsabilità al commissionario spetta una maggiore provvigione, la quale è stabilita dal contratto o dagli usi; in mancanza anche di usi, è determinata dal giudice secondo equità (art. 1736). Il contratto di concessione di vendita, è il contratto nel quale le imprese produttrici si obbligano a “concedere” in vendita, rifornendolo continuamente, i propri prodotti ad un altro imprenditore (detto concessionario), il quale ne acquista cosi la proprietà, assumendo verso il concedente l’obbligo di promuovere la rivendita ai terzi. Nei contratti di concessione, sono di solito previste clausole per cui il concessionario acquista il diritto di usare nella pubblicità il nome e i marchi del concedente, ricevendone anche ricambi ed assistenza tecnica; a sua volta, il concessionario assume l’obbligo di assicurare, con una idonea organizzazione della propria azienda, i servizi di garanzia e di assistenza alla clientela (il contratto di concessione è particolarmente diffuso per la vendita di autoveicoli, di prodotti meccanici ed informatici). Il contratto di affiliazione (franchising) è il contratto con il quale l’impresa affiliante, anche se utilizza per la vendita al pubblico proprie sedi secondarie;inoltre, stipula accordi con altri imprenditori del settore (detti affilianti), cosicché costoro vendano al pubblico nelle loro sedi i prodotti dell’affiliante, svolgendo così un servizio ausiliario all’ampliamento dell’attività di distribuzione; a tali fini concedendo agli affiliati “la disponibilità, verso un corrispettivo, di un’insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relative a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d’autore, know how, brevetti, eccc… Di conseguenza, gli affiliati si obbligano ad adottare modalità di vendita simili a quelle usate nelle succursali dell’affiliante. I contratti di affiliazione (franchising) possono essere utilizzati in ogni attività economica (art. 1 c.2) e devono essere redatti per iscritto a pena di nullità (art. 3 c.1). Le norme legislative tendono soprattutto a tutelare la posizione degli affiliati, in quanto sono considerati contraenti deboli. A sua volta, l’affiliato ha per legge l’obbligo di osservare e di 28

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fare osservare ai propri collaboratori e dipendenti, anche dopo lo scioglimento del contratto, la massima riservatezza sul contenuto dell’attività oggetto di franchising (art. 5). IL CONTRATTO DI SPEDIZIONE Quando il mandato (senza rappresentanza) ha per oggetto la conclusione di un contratto di trasporto per conto del mandante e in nome del mandatario, il contratto si denomina spedizione (e precisamente il mandatario è lo spedizioniere e il mandante è il committente) [art. 1737]. La differenza tra contratto di trasporto e contratto di spedizione dipende dal contenuto dell’obbligo assunto, e precisamente: se si assume l’obbligo di trasportare la merce, si ha un contratto di trasporto, sia che si esegua l’obbligo mediante attività e mezzi propri e sia che si esegua l’obbligo con mezzi altrui; se invece si assume l’obbligo di concludere un contratto di trasporto per conto del committente, si ha la spedizione. Spesso lo spedizioniere si assume sia gli obblighi del vettore, in quanto si obbliga a trasportare la merce dalla residenza del committente fino allo stabilimento del vettore; e sia quelli dello spedizioniere, in quanto – dopo detto trasporto – deve concludere un contratto di trasporto per conto del committente (art. 1741). Fino a quando lo spedizioniere non ha concluso il contratto di trasporto con il vettore, il committente può revocare l’ordine di spedizione, rimborsando allo spedizioniere le spese sostenute e corrispondendogli un equo compenso per l’attività prestata (art. 1738). Se non è stabilito dal contratto o dagli usi lo spedizioniere non ha l’obbligo di assicurare le cose spedite (art. 1739 c.2). Se la misura della provvigione non è fissata nel contratto, essa si determina secondo le tariffe professionali o – in mancanza – secondo gli usi del luogo in cui avviene la spedizione; oltre alla provvigione, lo spedizioniere ha diritto al rimborso delle spese anticipate e ad un compenso per le eventuali prestazioni accessorie (ad esempio, per l’imballaggio della merce) [art. 1740]. IL CONTRATTO DI AGENZIA Il contratto di agenzia intercorre tra due parti: una detta preponente, l’altra detta agente. L’agente si obbliga a svolgere – in modo continuativo e in una determinata zona territoriale – tutta l’attività necessaria per fare concludere al preponente i contratti d’esercizio della sua impresa (art. 1742). La figura dell’agente si distingue da quella del c.d. procacciatore d’affari poiché l’attività di quest’ultimo è saltuaria, mentre quella dell’agente è stabile e duratura. Di solito il compito dell’agente è quello di promuovere la conclusione degli affari del preponente; se, però, gli viene conferito pure il potere di concludere direttamente i contratti, allora l’agente assume anche la figura del rappresentante (così, accanto alla figura dell’agente di commercio, si ha la figura del rappresentante di commercio). Quando all’agente è stata conferita la rappresentanza per la conclusione dei contratti, la stabilità del rapporto costituisce l’elemento principale per distinguere il contratto di agenzia dal contratto di mandato con rappresentanza. L’agente, per svolgere la sua attività, deve costituire un’azienda (detta agenzia), procurandosi la disponibilità di un locale, arredandolo di quanto necessario, procurandosi i mezzi di trasporto, assumendo il personale necessario; ed inoltre, le spese per la costituzione e il funzionamento dell’agenzia sono a carico dell’agente (art. 1748 c.4). In ricompensa delle sue attività, l’agente ha diritto alle corrispondenti provvigioni; se le spese sono inferiori alle provvigioni, l’agente ha un guadagno; altrimenti subisce una perdita. Pertanto, anche l’agente corre i rischi caratteristici dell’imprenditore, ed è anch’egli un imprenditore commerciale, seppure ausiliario autonomo dell’imprenditore preponente. Se, invece, l’attività dell’agente ha carattere prevalentemente personale, allora egli non è un imprenditore commerciale, bensì un lavoratore autonomo. 29

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Per svolgere la loro attività, gli agenti di commercio devono iscriversi in un apposito ruolo istituito presso la camera di commercio. A tal proposito è opportuno specificare che senza l’iscrizione, il rapporto di agenzia è nullo, e l’agente non ha quindi diritto al pagamento delle provvigioni, ma potrebbe agire nei confronti del preponente soltanto con l’azione generale di arricchimento senza causa (art. 2041). LA DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI AGENZIA Il contratto di agenzia deve essere provato per iscritto, e ciascuna parte ha il diritto di riceverne dall’altra una copia (art. 1742 c.2). Del contratto di agenzia il diritto di esclusiva costituisce un elemento naturale; pertanto l’agente, anche nel silenzio del contratto, nella zona territoriale assegnatagli (c.d. zona riservata) non può svolgere la sua attività per conto di un altro imprenditore che sia in concorrenza col primo. Il preponente, a sua volta, nella zona riservata all’agente non può servirsi di altri agenti per lo stesso ramo di affari (art. 1743). Di solito l’agente promuove soltanto la conclusione dei contratti, visitando i probabili clienti, facendo pubblicità ai prodotti, informando il preponente delle condizioni del mercato nella zona assegnatagli; ciò significa che è poi il preponente che conclude direttamente i contratti coi clienti, che esercita i diritti derivanti dai contratti conclusi (ad esempio, i diritti di credito). L’agente, dunque, non ha il potere di concludere i contratti in rappresentanza del preponente nè di riscuoterne i crediti. Il preponente, però, può attribuirgli espressamente detti poteri. All’agente spetta la provvigione per tutti gli affari conclusi a seguito della sua attività (art. 1748 c.1), nonché per quelli che siano stati promossi dal preponente personalmente, ossia senza la collaborazione dell’agente, nella sua zona riservata. L’agente, tuttavia, ha diritto alla provvigione solo per gli affari che hanno avuto regolare esecuzione; per gli affari conclusi anche dopo lo scioglimento del rapporto, se promossi in precedenza dallo stesso agente e se la loro conclusione è effetto soprattutto della sua attività. Per gli affari che, invece, non hanno avuto esecuzione per causa imputabile al preponente diciamo che: se il preponente e il terzo si accordano per non dare, in tutto o in parte, esecuzione al contratto, l’agente ha diritto – per la parte ineseguita – ad una provvigione ridotta nella misura stabilita dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità (art. 1748 c.5). A differenza di quanto è previsto per il contratto di commissione, nel contratto di agenzia è nullo lo “star del credere” che preveda in modo generalizzato a carico dell’agente la responsabilità per l’inadempimento delle obbligazioni dei clienti. La garanzia dello star del credere è eccezionalmente ammessa solo “con riferimento ai singoli affari, di particolare natura ed importo, individualmente determinati”, ed a condizione che l’ammontare della garanzia assunta dall’agente non superi l’ammontare della provvigione spettategli per l’operazione garantita. Il rapporto di agenzia può essere: - a tempo determinato, in cui il contratto si scioglie per lo scadere del termine;

- o indeterminato, in cui, invece, si scioglie per il recedere di una delle parti, che può farlo ma deve dare preavviso all’altra parte nel termine stabilito dalla legge (da uno a sei mesi) [art. 1750 c.2 e 3].

All’atto dello scioglimento del rapporto il preponente deve corrispondere una indennità all’agente, quando la sua attività gli ha procurato dei vantaggi permanenti; l’indennità non è dovuta se il rapporto di agenzia non è proseguito, neppure provvisoriamente, per gravi inadempimenti dell’agente; o se questi è receduto dal

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contratto senza giusta causa; o se, d’accordo con il proponente, ha trasferito a terzi il rapporto di agenzia (art. 1751). Per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di agenzia può essere posto a carico dell’agente “l’obbligo di non concorrenza”, che deve essere convenuto per iscritto e non può superare i 2 anni e – ovviamente – deve riguardare la stessa zona, la stessa clientela e genere di beni o di servizi oggetto del contratto di agenzia (art. 1751-bis). 30

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IL CONTRATTO DI ASSICURAZIONE Il contratto di assicurazione è il contratto con il quale l’assicuratore – dietro pagamento di una somma detta premio – si obbliga: - a risarcire all’assicurato, nei limiti di una somma stabilita (c.d. somma assicurata), il danno dallo stesso subito per il sinistro contemplato nell’assicurazione (ad esempio, incendio o furto) - o a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana (ad esempio, morte, raggiungimento di una determinata età, matrimonio) [art. 1882].

Ogni contratto di assicurazione, singolarmente considerato, è un contratto aleatorio in quanto la stessa entità – e talvolta la stessa esistenza – delle prestazioni dei contraenti sono subordinate alla realizzazione del rischio previsto nel contratto, cioè di un avvenimento che di per se è futuro e incerto; aleatoria non è invece l’industria delle assicurazioni, complessivamente considerata, la quale si basa su dati statistici che consentono all’assicuratore di determinare la misura dei premi in modo da distribuire proporzionalmente tra tutti gli assicurati contro un certo tipo di rischio le conseguenze dannose prodotte da tutti i sinistri che si vengono a verificare in un certo periodo. (ricorda!prescrizione di un anno) Per quanto riguarda l’assicurazione in nome altrui diciamo che anche il contratto di assicurazione – come avviene di solito per gli altri tipi di contratti – può essere concluso per mezzo di un rappresentante; e precisamente, se colui che si è qualificato come rappresentante, non aveva in realtà il potere di agire in nome del rappresentato, rimane obbligato verso l’assicuratore a pagare i premi, finché il rappresentato non abbia ratificato il contratto o non abbia rifiutato la ratifica; inoltre, il rappresentato può compiere la ratifica anche dopo che si è verificato il sinistro (art. 1890). Quanto, invece, all’assicurazione per conto di terzi diciamo che, Tizio può anche concludere un contratto di assicurazione in nome proprio, obbligandosi quindi al versamento dei premi, ma per conto altrui. Ciò significa che, se si verifica il sinistro, il danno viene subìto da un altro, il quale acquista il diritto di essere indennizzato dall’assicuratore . Pertanto, se – nel momento della conclusione del contratto – si indica a chi spetterà il diritto di avere risarcito il danno, si ha l’assicurazione per conto altrui, mentre se si indica genericamente che al risarcimento avrà diritto colui che al momento del sinistro risulterà titolare del bene colpito dal sinistro, si ha l’assicurazione per conto di chi spetta (art. 1891). E precisamente, l’assicurazione per conto di chi spetta permette – ad esempio – che le merci trasportate vengano vendute pur restando coperte dall’assicurazione. Nell’assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetta colui che s’impegna a pagare i premi si chiama contraente, mentre colui che avrà diritto al risarcimento si chiama assicurato. CONCLUSIONE DEL CONTRATTO E SUA FORMA Il contenuto del contratto di assicurazione solitamente è disposto dall’assicuratore mediante stampati, di modo che l’assicurato – se vuole concludere il contratto – deve accettarne il contenuto gia predisposto; pertanto, il contratto di assicurazione è di solito un contratto di adesione. Sono stati disposti vari mezzi al fine di impedire all’assicuratore abusi nei confronti dell’assicurato, e precisamente: 1. innanzitutto, prima della conclusione del contratto, l’assicuratore deve consegnare all’altro contraente una nota informativa, redatta con l’osservanza delle disposizioni regolamentari dell’Isvap, da cui risultino i diritti e gli obblighi contrattuali; 2. secondariamente, il codice civile detta numerose norme intese a tutelare gli interessi degli assicurati (art. 1932); 3. infine, anche al contratto di assicurazione si applica la disciplina codicistica delle clausole vessatorie (artt. 1341 e 1342) e delle clausole abusive. 36

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Nella conclusione del contratto di solito intervengono, per l’assicuratore, gli agenti di assicurazione, e precisamente bisogna distinguere gli agenti che hanno il potere di concludere il contratto in rappresentanza dell’assicuratore (art. 1903), da quelli che non hanno detto potere e sono soltanto incaricati di trasmettere all’assicuratore le proposte di contratto degli assicurati. Di solito, sono gli assicuratori - per mezzo dei loro agenti - che prendono l’iniziativa del contratto, che cioè prospettano all’altra parte la convenienza di concludere un contratto di assicurazione. La proposta scritta dell’assicurato diretta all’assicuratore è ferma, nel senso che non può essere revocata per il termine di 15 giorni (art. 1887), in modo tale che l’assicuratore ha il tempo di valutare il rischio e la convenienza del contratto svolgendo eventuali indagini. Il contratto di assicurazione è un contratto consensuale, che però deve essere provato per iscritto; e precisamente, esso “va redatto in modo chiaro ed esauriente”. Il documento, in cui è scritto il contratto, si chiama polizza d’assicurazione che può essere rilasciata con dicitura “all’ordine” o “al portatore”, in tal caso il contraente può trasferire ad altri il credito verso l’assicuratore, girandogli la polizza all’ordine o trasmettendogli il possesso della polizza al portatore. Spesso, a causa della grandezza delle loro dimensioni, le imprese di assicurazione stipulano i relativi contratti per mezzo di agenti intermediari professionali, e precisamente si distinguono: - gli agenti di assicurazione (art. 1753), cioè dipendenti dell’assicuratore, a lui legati da un contratto di lavoro subordinato, i quali pertanto operano nella sua stessa impresa, per lo più nelle sedi secondarie (art. 2197). Ma con tale termine si indicano anche gli imprenditori autonomi – ossia ausiliari dell’assicuratore – per conto del quale assumono stabilmente l’incarico di promuovere, in corrispettivo di provvigioni, la conclusione dei contratti di assicurazione in una determinata zona. Gli agenti di assicurazione, inoltre, per esercitare la loro attività, devono essere iscritti in un registro unico elettronico disciplinato dall’Isvap. - E i mediatori professionali (c.d. brokers), che si distinguono dagli agenti di assicurazione perché, essi (i brokers), non sono legati da nessun rapporto con l’impresa assicuratrice, e la loro opera – al pari di quella di ogni altro mediatore – si caratterizza per l’indipendenza ed imparzialità, essendo rivolta a mettere in diretta relazione con imprese di assicurazione soggetti che intendono provvedere con la sua collaborazione alla copertura di rischi, e che conferiscono l’incarico di assisterli nella determinazione del contenuto dei relativi contratti, collaborando eventualmente alla loro gestione ed esecuzione.

Le somme spettanti alle imprese assicurative e/o agli assicurati, ricevute dall’agente di assicurazione o dal broker e da costoro versate in un proprio conto bancario, costituiscono un patrimonio autonomo rispetto agli altri beni dello stesso intermediario, e quindi su detto “conto separato non sono ammesse azioni, sequestri o pignoramenti da parte di creditori diversi dagli assicurati e dalle imprese di assicurazione”. Infine, diciamo che gli agenti di assicurazione ed i brokers sono soggetti alla vigilanza dell’Isvap. L’assicuratore, per potere valutare le probabilità del verificarsi del sinistro, deve conoscere tutte le circostanze che possono avere influire: così, sulla probabilità del verificarsi di un incendio influisce il fatto che le scale dell’appartamento siano costruite in legno o in pietra, che siano conservate o meno nella casa materie infiammabili, ecc.. A questi scopi servono i questionari, con cui l’assicuratore chiede al contraente notizie di dette circostanze, denominate – appunto – circostanze influenti. Inoltre, per quanto riguarda le dichiarazioni inesatte o reticenti diciamo che negli artt. 1892 e 1893 è stabilito cosa accade quando il contraente, nel fare la proposta di contratto all’assicuratore, ha indicato delle circostanze influenti inesatte o – addirittura – le ha taciute, adottando un comportamento reticente. 37

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In questi casi bisogna distinguere 2 ipotesi, accertando se il contraente ha indotto in errore l’assicuratore operando: 1) con dolo o colpa grave, in cui l’assicuratore può dichiarare di volere annullare il contratto di assicurazione entro 3 mesi dal giorno in cui è venuto a conoscenza dell’inesattezza o della reticenza. Una volta annullato il contratto, l’assicuratore non è più tenuto a pagare la somma assicurata, anche se si è verificato il sinistro, ma ha diritto a riscuotere i premi relativi al periodo di assicurazione in corso al momento in cui ha dichiarato di volere l’annullamento. 2) senza dolo o colpa grave, in cui – invece – l’assicuratore può recedere dal rapporto, estinguendolo mediante una dichiarazione unilaterale che va fatta all’assicurato entro 3 mesi dal giorno in cui l’assicuratore ha conosciuto l’inesattezza della proposta contrattuale o la reticenza. A differenza dell’altra ipotesi, quindi, il contratto di assicurazione è valido (non annullabile); pertanto, se il sinistro si verifica prima della dichiarazione di recesso l’assicuratore deve risarcirlo.

Tuttavia, spesso nei contratti di assicurazione (specie sulla vita) sono per lo più previste delle clausole di incontestabilità per le quali – dopo un certo periodo dalla conclusione del contratto – l’assicuratore perde il potere di chiederne l’annullamento o di recedere dal rapporto. Per quanto riguarda gli effetti del contratto di assicurazione diciamo che, nell’assicurazione contro i danni l’assicurato acquista il diritto ad essere risarcito – nei limiti della somma assicurata – di un danno che colpisce il suo patrimonio; pertanto, bisogna stabilire nel contratto quale è il danno contro cui ci si assicura e quale è l’evento dannoso contro cui ci si assicura (il c.d. evento contemplato nell’assicurazione). Tuttavia è opportuno specificare che, l’assicuratore non è tenuto a risarcire il danno se l’evento contemplato nell’assicurazione avviene in conseguenza di movimenti tellurici, guerre, insurrezioni o tumulti popolari (art. 1912), o per dolo o colpa grave del contraente, dell’assicurato o del beneficiario. Inoltre, il premio viene commisurato alla gravità del rischio, cioè alla probabilità che il sinistro si verifichi, e pertanto è maggiore o minore a seconda che il rischio è maggiore o minore. In ordine all’incidenza del rischio sul contratto di assicurazione, si possono distinguere diverse ipotesi: a) inesistenza del rischio, se al momento della conclusione del contratto il rischio non esiste, e quindi il contratto è nullo, il rapporto assicurativo non nasce e pertanto, l’assicurato non deve pagare i premi (art. 1895); b) cessazione del rischio dopo la conclusione del contratto, in quanto se il rischio finisce il contratto si scioglie nel senso che il rapporto di assicurazione si estingue, e precisamente, l’estinzione avviene al momento in cui l’assicuratore ha notizia della fine del rischio, e pertanto il contraente deve pagare solo il premio corrispondente a quel periodo assicurativo nel quale l’assicuratore è venuto a conoscenza della cessazione del rischio (art. 1896 c.1); c) diminuzione del rischio, se il rischio diminuisce, l’assicurato ha l’onere di comunicarlo all’assicuratore che deve diminuire il premio a decorrere dalla scadenza del premio o della rata di premio successiva alla comunicazione; d) aggravamento del rischio, se il rischio si aggrava per una circostanza non prevista e non prevedibile al momento della conclusione del contratto, il contraente deve darne subito avviso all’assicuratore. L’assicuratore, a sua volta, entro un mese dal giorno in cui ha avuto notizia dell’aggravamento, può recedere dal contratto.

Il diritto al pagamento delle rate di premio si prescrive in 1 anno dalle singole scadenze (art. 2952 c.1). Gli altri diritti derivanti dal contratto di assicurazione si prescrivono in 1 anno dal giorno in cui si verifica il fatto su cui il diritto si fonda. 38

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L’ASSICURAZIONE CONTRO I DANNI Nell’assicurazione contro i danni vale il c.d. principio indennitario, la quale importa: a) che l’assicurato debba ricevere un danno dall’evento contro il quale si assicura, e che quindi egli debba avere un interesse alla conservazione della cosa assicurata; b) che l’assicuratore non è mai obbligato a versare all’assicurato una somma superiore al danno che questi ha sofferto (art. 1905 c.1), altrimenti l’assicurato ricaverebbe un vantaggio dal sinistro e potrebbe avere interesse a provocarlo. Pertanto, la somma assicurata non può essere superiore a quella cifra, che rappresenta in moneta – misurandolo – l’interesse dell’assicurato alla conservazione della cosa: questa cifra costituisce il c.d. valore assicurabile.

Per quanto riguarda la sovrassicurazione diciamo che, se la cosa è stata assicurata per una cifra superiore al valore assicurabile, bisogna distinguere se ciò è avvenuto con dolo o senza dolo del contraente. Poiché, se c’è dolo l’assicurazione non è valida e perciò l’assicurato non ha diritto al risarcimento, mentre – invece – l’assicuratore ha diritto a riscuotere il premio del periodo assicurativo in corso, purchè ignorasse l’eccedenza di valore. Se non c’è stato dolo, in caso di sinistro l’assicuratore deve una somma corrispondente al valore assicurabile e il contraente ha diritto di ottenere, dal momento in cui rende nota all’assicuratore l’eccedenza di valore, una riduzione del premio (art. 1909). Per quanto riguarda – invece – la sottoassicurazione diciamo che in questo caso si può stipulare l’assicurazione per una somma inferiore al valore assicurabile (assicurazione parziale). In questa ipotesi, se si verifica il sinistro, l’assicuratore non deve risarcire l’intero danno, ma una somma che stia al danno verificatosi come la somma assicurata sta all’intero valore della cosa assicurata. Nel contratto si può, tuttavia, stabilire che – anche se la somma assicurata è inferiore al valore assicurabile – l’assicuratore dovrà risarcire l’intero danno sofferto dall’assicurato, sempre nei limiti della somma assicurata (in questo caso si parla di assicurazione a premio rischio assoluto) [art. 1907]. È opportuno specificare, inoltre, che anche se l’assicurazione degli infortuni viene fatta rientrare tra le assicurazioni danni, ad essa non si applica il principio indennitario, che vale per le assicurazioni contro i danni alle cose, e non per le assicurazioni contro i danni alla persona. Nel caso in cui si assicura lo stesso interesse presso una pluralità di assicuratori, si applica la disciplina prevista dall’art. 1910 in modo che l’assicurato non possa ricevere in complesso una somma superiore al danno verificatosi. Esiste, pertanto, l’obbligo di dare avviso ad ogni assicuratore di tutti i contratti conclusi per assicurare lo stesso interesse. Se si viola questo obbligo con dolo, gli assicuratori non sono tenuti a pagare l’indennità. In caso di sinistro, l’assicurato deve darne avviso a tutti gli assicuratori, indicando a ciascuno il nome degli altri, infatti le somme che l’assicurato riscuote dai vari assicuratori non devono superare il valore assicurabile (principio indennitario). Inoltre, gli assicuratori – che hanno risarcito l’assicurato – possono rivolgersi in via di regresso contro gli altri, per ripartire l’indennità pagata in proporzione delle somme assicurate presso i vari assicuratori. Si ha coassicurazione quando, di comune accordo, una pluralità di assicuratori assicurano contestualmente un determinato interesse per lo stesso periodo e per lo stesso rischio, di solito stipulando un unico contratto con l’assicurato. I coassicuratori possono assumere l’obbligo di risarcire solidalmente il danno all’assicurato, salvo riparto tra di loro; ma solitamente è prevista la ripartizione in quote determinate (ad esempio, l’assicuratore A si obbliga a risarcire metà del danno, l’assicuratore B ¼ e l’assicuratore C il residuo quarto). Pertanto, se il danno si verifica l’assicuratore è tenuto a risarcirlo all’assicuratore solo in proporzione della quota convenuta. 39

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Per quanto riguarda la durata del rapporto di assicurazione diciamo che, essa (l’assicurazione), ha effetto dalle ore 24 del giorno della conclusione del contratto alle ore 24 dell’ultimo giorno della durata stabilita nel contratto stesso. Se questa durata supera i 10 anni, le parti – trascorso il decimo anno e nonostante patto contrario – hanno facoltà di recedere dal contratto, con preavviso di 6 mesi, che può darsi anche mediante raccomandata (art. 1899 c.1). In mancanza di recesso tempestivo, il contratto si considera tacitamente prorogato una o più volte, ma ciascuna proroga tacita non può avere una durata superiore a 2 anni (art. 1899 c.2). Per quanto riguarda, invece, l’alienazione delle cose assicurate diciamo che, se il contraente trasferisce ad altri il suo diritto sulla cosa assicurata (ad esempio, la vende), egli non ha più interesse all’esistenza della cosa, e perciò non può essere più assicurato; in questo caso, egli resta obbligato a pagare i premi, mentre assicurato diventa l’acquirente, il quale ha diritto all’indennizzo in caso di sinistro. Tuttavia, se l’alienante non vuole restare obbligato a pagare i premi, è sufficiente che egli comunichi: a) all’assicuratore l’avvenuta alienazione b) e all’acquirente l’esistenza del contratto di assicurazione.

A seguito di tale comunicazione, tutti i diritti e gli obblighi derivanti dall’assicurazione vengono trasferiti all’acquirente, a meno che questi non dichiari all’assicuratore la decisione di estinguere il rapporto assicurativo (art. 1918 c.1-4). Nel caso in cui è stata emessa una polizza all’ordine o al portatore, non occorre dare notizia dell’alienazione della cosa all’assicuratore ed inoltre né l’assicuratore né l’acquirente possono recedere dal contratto prima della scadenza. Il contraente è obbligato a pagare il premio alle scadenze convenute. Se il contraente non paga il primo premio o la prima rata di premio, l’assicurazione contro i danni resta sospesa fino alle ore 24 del giorno di pagamento. Se, invece, non paga i premi successivi, l’assicurazione è sospesa dalle ore 24 del quindicesimo giorno dopo la scadenza. In caso di mancato pagamento dei premi, se l’assicuratore non agisce giudizialmente per la riscossione nel termine di 6 mesi dal giorno in cui il premio o la rata sono scaduti, il contratto è risoluto di diritto e il rapporto si estingue. L’assicurato deve avvisare (c.d.obbligo di avviso) del sinistro l’assicuratore – o l’agente autorizzato a concludere il contratto – entro 3 giorni da quello in cui il sinistro si è verificato o lo stesso assicurato ne ha avuto conoscenza (art. 1913). Inoltre, l’assicurato deve fare quanto gli è possibile per evitare o diminuire il danno (c.d. obbligo di salvataggio) (art. 1914 c.1). L’obbligo di avviso è imposto all’assicurato per garantire l’interesse dell’assicuratore ad informarsi – il più rapidamente possibile – delle circostanze e delle conseguenze del sinistro; a sua volta, l’obbligo di salvataggio gli è imposto per garantire l’interesse dell’assicuratore a limitare al minimo il danno. Se l’assicurato non adempie all’obbligo di avviso o all’obbligo di salvataggio, bisogna distinguere se l’inadempimento è dovuto a dolo o a colpa, poiché: se è doloso, l’assicurato perde il diritto all’indennità; se, invece, è colposo l’indennità viene ridotta della cifra che corrisponde al danno subito dall’assicuratore per l’inadempimento di detti obblighi. 40

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GLI OBBLIGHI DELL’ASSICURATORE. LA SURROGAZIONE DELL’ASSICURATORE Verificatosi il sinistro, l’assicuratore deve pagare all’assicurato l’indennità. Per stabilire il danno subito dall’assicurato, bisogna procedere alla valutazione della cosa assicurata al momento del sinistro (art. 1908 c.1). Questo valore può essere già stabilito nel contratto di assicurazione mediante stima accettata per iscritto da entrambe le parti (c.d. polizza stimata). Se si tratta di assicurazione totale – se, cioè, la somma assicurata è uguale al valore assicurabile – la somma dovuta dall’assicuratore corrisponde al danno subito dall’assicurato in conseguenza del sinistro. Se, invece, si tratta di assicurazione parziale – se, cioè, la somma assicurata è minore del valore assicurabile – l’assicuratore deve un’indennità che stia al danno sofferto dall’assicurato come la somma assicurata sta al valore assicurabile. Per quanto riguarda la surrogazione dell’assicuratore diciamo che, se il sinistro si è verificato per il fatto doloso o colposo di un terzo (il quale, ad esempio, ha appiccato il fuoco alla casa dell’assicurato), questi può pretendere il risarcimento o dal danneggiatore o dall’assicuratore, ma non da entrambi: poiché, altrimenti farebbe un guadagno, e si violerebbe il principio indennitario. Se l’assicurato si fa risarcire dall’autore del danno, non ha più diritto ad essere indennizzato dall’assicuratore; se, invece, si fa risarcire dall’assicuratore, questi è surrogato nel diritto di credito che l’assicurato aveva verso l’autore del danno, e perciò può farsi rimborsare da quest’ultimo la somma pagata all’assicurato a titolo di indennità (art. 1916 c.1). L’assicuratore non ha però il diritto di surrogazione quando il terzo responsabile del danno sia il coniuge dell’assicurato o sia in particolari rapporti di parentela o di lavoro con l’assicurato, perché ne è: a) o figlio o affiliato o ascendente b) parente o affine, e convivente con lui c) domestico.

Un tipo particolare di assicurazione contro i danni è l’assicurazione della responsabilità civile, nella quale l’assicuratore si obbliga a risarcire l’assicurato di quanto questi deve pagare a terzi per aver loro causato dei danni – senza dolo – svolgendo una determinata attività. Nel nostro ordinamento è obbligatoria l’assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. In caso di sinistro, il terzo trasportato ha un’azione diretta contro l’assicuratore per il risarcimento del danno sofferto, entro i limiti della somma assicurata. Se il sinistro è avvenuto tra veicoli assicurati, ciascun danneggiato, che non sia un terzo trasportato, deve richiedere il risarcimento direttamente al proprio assicuratore (c.d.procedura di risarcimento diretto). Se il sinistro è stato provocato da un veicolo non identificato o non assicurato, il danno alle persone ed – entro i limiti – anche il danno alle cose sono risarciti da un “Fondo di garanzia per le vittime della strada” costituito con i contributi delle diverse imprese assicuratrici e gestito dalla Consap (Concessionaria servizi assicurativi pubblici). Nel contratto di riassicurazione il primo assicuratore assume la posizione di assicurato, mentre il riassicuratore assume la posizione di assicuratore; pertanto, se si verifica il sinistro, l’assicuratore riassicurato ha l’obbligo di indennizzare l’assicurato, ma a sua volta ha il diritto di farsi indennizzare dal riassicuratore. Di solito, la riassicurazione non è stipulata dal riassicurato di volta in volta, ma con trattati generali aventi per oggetto tutte (o una parte del)le assicurazioni che il riassicurato stipulerà in futuro (polizze di abbonamento). 41

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Nell’assicurazione sulla vita non vale il principio indennitario, e precisamente si distinguono 3 categorie: 1) assicurazioni per il caso di morte, in cui la morte dell’assicurato danneggia l’assicuratore, in quanto questi si impegna a pagare una somma o alla morte dell’assicurato o ad una scadenza fissa; 2) assicurazioni per il caso di vita, in cui – invece – la lunga vita dell’assicurato danneggia l’assicuratore, in quanto questi deve corrispondere all’assicurato una rendita vitalizia o versargli una somma una tantum, se l’assicurato raggiunge una determinata età; 3) assicurazioni miste, in cui l’assicuratore si obbliga a pagare una determinata somma o alla morte dell’assicurato o ad un determinato termine, se l’assicurato è ancora in vita.

L’evento contemplato nell’assicurazione può riguardare o la vita dello stesso contraente o quella di un terzo. L’assicurazione contratta per il caso di morte di un terzo non è valida, se questi o il suo rappresentante legale non dà il consenso alla conclusione del contratto (consenso che deve essere provato per iscritto) [art. 1919]. Si ha, dunque, assicurazione a favore di terzi quando si sia proceduto alla designazione espressa del beneficiario o nello stesso contratto di assicurazione o anche successivamente, con dichiarazione scritta comunicata all’assicuratore o per testamento. Per effetto della designazione, il terzo acquista un diritto proprio direttamente verso l’assicuratore, e quindi – anche se è erede – può riscuotere l’indennità assicurativa senza bisogno di dovere accettare l’eredità (art. 1920 c.3). Tuttavia, la designazione del beneficiario può sempre essere revocata, sostituendo il primo beneficiario con un altro o facendo coincidere contraente e beneficiario. La designazione diventa, però, irrevocabile con la morte del contraente o quando, essendosi verificato l’evento, il beneficiario abbia dichiarato di voler profittare del beneficiario (art. 1921 c.1). La designazione è, inoltre, irrevocabile quando ricorrono i seguenti presupposti: a) che il contraente abbia rinunziato per iscritto al potere di revoca, comunicando per iscritto detta rinunzia all’assicuratore; b) che il beneficiario abbia dichiarato di voler profittare del beneficiario e abbia comunicato per iscritto detta dichiarazione anche all’assicuratore.

Dopo il decorso di un determinato periodo di tempo dalla conclusione del contratto di assicurazione sulla vita, l’assicurato ha il diritto di riscattare o di ridurre la polizza. E precisamente, con il riscatto il rapporto assicurativo si estingue e l’assicurato ha diritto a percepire immediatamente dall’assicuratore una somma corrispondente alla c.d. riserva matematica. Mentre, con la riduzione si estingue ogni obbligo di pagamento di premi futuri e si riduce in corrispondenza la somma assicurata, che però verrà sempre pagata alla scadenza prevista nel contratto. Se il contraente non paga i premi successivi nel termine di tolleranza previsto dalla polizza o, in mancanza, nel termine di 20 giorni dalla scadenza, l’assicuratore non può obbligarlo al pagamento, ma il rapporto assicurativo si estingue. 42

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I CONTRATTI BANCARI E FINANZIARI L’IMPRESA BANCARIA Giuridicamente per attività bancaria si intende quella di intermediazione nella circolazione dei capitali, e cioè l’esercizio congiunto sia dell’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico sia dell’attività di concessione dei crediti; l’esercizio dell’attività bancaria è riservato alle imprese bancarie (c.d. banche). Per “raccolta del risparmio tra il pubblico” si intende la “acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma”. La raccolta del risparmio fra il pubblico è consentita solo alle banche: tuttavia la stessa legge bancaria prevede alcune deroghe, relative alla emissione di obbligazioni, consentita alle società per azioni e in accomandita per azioni, nonché alle società cooperative, qualunque sia l’oggetto della loro attività. Le banche devono avere la forma di società per azioni o di società cooperative per azioni. Hanno la forma di società cooperative le banche popolari e le banche di credito cooperativo, le quali esercitano l’attività bancaria prevalentemente a favore dei soci e sono considerate “a mutualità prevalente”. Per poter esercitare legittimamente la loro attività bancaria, le banche devono ottenere un’autorizzazione amministrativa dalla Banca d’Italia. Tale autorizzazione viene rilasciata solo se il capitale della società è stato versato in un “ammontare non inferiore a quello determinato”, con riferimento ai diversi tipi di società bancarie, dalla Banca d’Italia; ed inoltre, se gli amministratori, i sindaci e i direttori generali sono in possesso dei requisiti di esperienza e di onorabilità richiesti dalla legge. Le banche possono anche svolgere c.d. attività finanziarie in quanto esercitabili anche da imprese finanziarie (ad esempio, attività di leasing, di factoring, …) E precisamente, per lo svolgimento di tali attività possono anche essere costituiti gruppi bancari composti dalla stessa banca controllante e da società o enti controllati esercenti attività bancarie, attività finanziarie e attività strumentali di carattere ausiliario rispetto alle attività delle società ed enti del gruppo. Nel settore del credito, alla Banca d’Italia, che è un istituto di diritto pubblico, è riconosciuto un ruolo centrale, volto ad assicurarne la solidità (c.d. stabilità patrimoniale), con l’attribuzione di poteri di vigilanza e di controllo sulla regolarità della gestione delle banche, a garanzia della loro solvibilità e redditività, con conseguente tutela dell’interesse del pubblico dei risparmiatori alla restituzione dei capitali affidati al sistema bancario. I CONTRATTI BANCARI I contratti bancari sono i contratti con cui le banche esercitano la funzione di intermediazione nel credito, e possono essere distinti in 2 categorie: 1. i contratti che costituiscono operazioni passive, perché mediante gli stessi la banca diventa debitrice dei suoi clienti, cioè riceve credito dai clienti. 2. i contratti che costituiscono operazioni attive, perché mediante gli stessi la banca diventa creditrice dei suoi clienti, cioè fa credito ai clienti.

Vi sono, poi, le operazioni che la banca conclude nella sua funzione di intermediazione nei pagamenti, e – infine – le operazioni accessorie con le quali la banca fornisce ai clienti particolari servizi. I contratti relativi alle operazioni e ai servizi bancari devono essere redatti per iscritto, ed un loro esemplare dev’essere consegnato ai clienti; l’inosservanza della forma scritta comporta la nullità del contratto. 43

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I DEPOSITI BANCARI Con il contratto di deposito il cliente trasferisce alla banca la proprietà di una somma di denaro. La banca si obbliga a restituire nella sua sede detta somma o parte di essa in uno dei seguenti 3 modi: ad una data stabilita (ad esempio, dopo 1 anno dal giorno del deposito), in questo caso si ha il deposito a scadenza fissa; dopo che sia trascorso un determinato termine dilatorio (ad esempio, 8, 15 giorni) dal giorno in cui la banca riceve dal depositante la richiesta di restituzione, ed in questo caso si ha un deposito con preavviso; immediatamente, cioè appena il depositante ne faccia richiesta, e in questo caso si ha il deposito libero (c.d. deposito a vista);

Se nulla è stabilito nel contratto circa il termine di restituzione, questa deve avvenire con l’osservanza del termine di preavviso risultante dagli usi. La banca si obbliga, ancora, a corrispondere sulla somma depositata un interesse, che di solito è maggiore nei depositi a scadenza fissa, minore nei depositi con preavviso, ancora minore nei depositi liberi. Quando il deposito è (denominato) in conto corrente, il correntista può depositare più somme in momenti successivi (versamenti) e richiedere in più volte la restituzione delle somme depositate (prelevamenti). Di solito i prelievi si effettuano mediante emissione di assegni, che il correntista trae sulla banca in virtù di un’apposita convenzione di assegno. La possibilità di fare i prelievi mediante assegni, invece, non si ha nel deposito (denominato) a risparmio, che si caratterizza perché la banca rilascia al depositante un “libretto di risparmio” che le deve essere esibito ogni volta che si effettuano versamenti o prelevamenti, i quali devono essere annotati sullo stesso libretto. Il libretto di deposito può essere nominativo, cioè intestato al nome del cliente, o al portatore o – ancora – nominativo (ma) pagabile al portatore, in cui la banca non può impedire i prelievi del portatore del libretto, anche se questi non è il depositante. Il libretto nominativo, dunque, è un documento di legittimazione, in quanto serve solo ad identificare l’avente diritto alla prestazione. In caso di smarrimento, distruzione o sottrazione di buoni fruttiferi, di libretti di risparmio nominativi o al portatore è previsto un particolare procedimento per farne dichiarare l’inefficacia (c.d. ammortamento). L’APERTURA DEL CREDITO E L’ANTICIPAZIONE BANCARIA L’apertura di credito bancario è il contratto con il quale la banca, ricevendo in compenso un interesse, si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte (c.d. accreditato) una somma di denaro per un dato periodo di tempo (c.d. apertura di credito a tempo determinato) o anche a tempo indeterminato (c.d. apertura di credito a tempo indeterminato) [art. 1842]. Solitamente, ricorre all’apertura di credito chi vuole assicurarsi la disponibilità di una somma, ma non è ancora sicuro se ne avrà bisogno, se avrà bisogno di tutta la somma o parte di essa, in quale momento ne avrà bisogno. Inoltre, si ha apertura di credito semplice quando l’accreditato può solo fare prelevamenti, entro i limiti della somma messagli a disposizione dalla banca (c.d. fido). Si ha, invece, l’apertura del credito in conto corrente , quando l’accreditato può alternare prelevamenti a versamenti, sempre però entro i limiti del fido consentitogli dalla banca (art. 1843 c.1). Se la banca non richiede all’accreditato né garanzie reali (cioè, costituzione di pegni e ipoteche) né garanzie personali (ad esempio, fideiussioni), si dice che l’apertura di credito è allo scoperto; viceversa si parla di apertura di credito garantita se invece c’è la garanzia. In particolare, la garanzia s’intende data per tutta la durata del rapporto di apertura di credito; se la garanzia diviene insufficiente, la banca può chiedere un supplemento di garanzia o la 44

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sostituzione del garante: se l’accreditato non ottempera alla richiesta, la banca può ridurre il credito, in proporzione al diminuito valore della garanzia (cioè, può recedere dal contratto). Se l’apertura del credito è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal rapporto, mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto o dagli usi o – in mancanza anche di usi – in quello di 15 giorni. Se l’apertura del credito è, invece, a tempo determinato, la banca può recedere dal contratto solo per giusta causa, a meno che il contrario non sia stabilito nel contratto; estinguendosi il rapporto, l’accreditato non può più prelevare altre somme e deve restituire la somma di cui è debitore in un termine non minore di 15 giorni; se però la giusta causa consiste nell’insolvenza dell’accreditato la banca può esigere il pagamento immediatamente senza dover attendere 15 giorni (art. 1186). Per quanto riguarda l’anticipazione bancaria diciamo che in questo caso, la banca dà – o pone a disposizione del cliente – una somma di denaro dietro garanzia di merci o di titoli costitutivi di pegno. Il pegno delle merci o dei titoli può essere: regolare se la proprietà delle merci spetta all’accreditato e irregolare se, invece, la proprietà dei beni dati in pegno si trasferisce alla banca (art. 1848).

Oggetto del pegno possono essere solo merci o titoli, cioè beni che hanno un prezzo corrente agevolmente individuabile. LE OPERAZIONI BANCARIE IN CONTO CORRENTE E IL CONTRATTO DI CONTO CORRENTE I contratti bancari di deposito, di apertura del credito e di anticipazione possono essere regolati in conto corrente, e quindi il correntista – mediante una serie di versamenti e prelevamenti – può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito (salva l’osservanza del termine di preavviso eventualmente stabilito nel contratto) senza bisogno di attendere la chiusura del conto (art. 1852). Questa caratteristica differenzia le operazioni bancarie in conto corrente dal contratto di conto corrente ordinario, con il quale le parti (di solito, due imprenditori) si obbligano ad annotare in conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, considerandoli inesigibili e indisponibili fino alla chiusura del conto. Tra le operazioni bancarie in conto corrente rientra anche il conto corrente di corrispondenza (detto anche “conto corrente bancario”), contratto nel quale il cliente può compiere operazioni di versamento e di prelievo sia sulla base di fondi propri da lui affidati alla banca sia sulla base di fondi messigli a disposizione dalla banca. Inoltre, è opportuno distinguere: - conti plurimi, in base alla quale se tra la banca e il cliente esistono più rapporti o più conti, i saldi attivi e passivi dei diversi conti si compensano reciprocamente (art. 1853); - conti congiunti, quando – invece – il conto è intestato a più persone, occorre accertare se a ciascuna di esse sia stato attribuito il potere di compiere operazioni “anche separatamente”; poiché, se così è stato pattuito, ogni intestatario è considerato creditore (o debitore) solidale dei saldi del conto, e quindi può prelevare l’intera somma anche da solo (art. 1854).

Altra operazione bancaria attiva è lo sconto, contratto mediante cui la banca – previa deduzione di un interesse (detto appunto sconto) – anticipa al cliente (detto scontatario) l’importo di un credito non ancora scaduto che il cliente ha verso un terzo; alla banca detto credito viene ceduto “pro solvendo” (art. 1858), con la conseguenza che, se la banca non riesce ad esigere il credito dal debitore ceduto, essa può richiedere allo scontatario la restituzione della somma anticipatagli, oltre all’interesse a suo tempo dedotto. L’interesse, che la banca detrae dall’importo del credito, è calcolato in proporzione del tempo che deve decorrere tra il momento dello sconto e il momento di scadenza del credito ceduto. 45

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Se la banca utilizza il credito scontato presso di essa per scontarlo a sua volta presso altra banca, si ha il risconto, che è – per la banca scontataria – un’operazione passiva. OPERAZIONI BANCARIE DI INTERMEDIAZIONE NEI PAGAMENTI Le banche svolgono anche opera di intermediazione nei pagamenti. Oltre a provvedere al pagamento ai terzi beneficiari degli ordini di pagamento (c.d. bonifici bancari) ricevuti dai correntisti, o degli assegni bancari tratti dai correntisti che dispongono di una somma di denaro per avere compiuto un deposito o ottenuto un’apertura di credito o un’anticipazione, le banche sogliono fare pagamenti per conto dei loro clienti soprattutto in occasione delle compravendite da piazza a piazza OPERAZIONI BANCARIE ACCESSORIE Le più significative operazioni bancarie dette accessorie sono: Depositi a custodia, poiché anche la banca – come altri soggetti – conclude depositi regolari (di solito beni preziosi) in cui la cosa depositata resta di proprietà del depositante e la banca ne ha solo la detenzione. Se il deposito ha per oggetto contenitori chiusi (quali, cassette e bauli), la banca risponde soltanto dell’integrità esteriore, entro i limiti contrattualmente determinati. Deposito di titoli in amministrazione, poiché se i beni depositati sono titoli, la banca può assumere – oltre l’obbligo di custodirli – anche quello di provvedere alla loro gestione, esercitando i diritti inerenti ai titoli stessi. La banca deve, nell’amministrare i titoli, usare “l’ordinaria diligenza” ed è nullo ogni patto contrario (art. 1838 c.4). Se si conviene che la banca non è obbligata a restituire gli stessi titoli depositati, ma solo il tantundem (cioè titoli della stessa natura), si ha il c.d. comodato bancario, contratto che è in realtà un mutuo di titoli, e – precisamente – deve considerarsi un’operazione passiva e non accessoria. Esecuzione di incarichi, poiché solitamente la banca può assumere – secondo le regole del contratto di mandato – l’incarico di compiere delle operazioni per conto del cliente (ad esempio, incassare e pagare cambiali, riscuotere cedole, comprare o vendere titoli) con diritto al rimborso delle spese e ad un compenso (la c.d. commissione). Quando l’incarico deve eseguirsi su una piazza dove non esistono filiali della banca, questa può incaricare dell’esecuzione un’altra banca o un suo corrispondente (art. 1856 c.2). Abbonamento alle cassette di sicurezza, in quanto la banca può avere costruito dei locali corazzati e custoditi da appositi guardiani, in cui sono contenuti molti loculi in metallo che si aprono mediante due chiavi, e nell’interno dei quali è contenuta una cassetta metallica. Con il contratto d’abbonamento alle cassette di sicurezza, precisamente, la banca si obbliga a fare usare del loculo il cliente, il quale – nelle ore in cui la banca è aperta al pubblico – può aprire la cassetta mediante il concorso di un impiegato della banca, in modo da prelevare o conservare in piena segretezza nella cassetta interna gli oggetti che crede.

Se la cassetta è intestata a più persone, ognuno degli interessati ha il diritto di aprirla (art. 1840 c.1). Se muore l’intestatario o uno degli intestatari, la banca – che conosca della morte – può consentire l’apertura della cassetta soltanto se vi è il consenso di tutti gli aventi diritto, o secondo le modalità stabilite dall’autorità giudiziaria. Di solito, la durata del rapporto è annuale, ed esso si proroga tacitamente di anno in anno, salva disdetta di una delle parti. Se, dopo la scadenza del contratto, l’abbonato non vuota la cassetta e non restituisce la chiave alla banca, questa può riacquistarne la disponibilità col seguente procedimento: fa un’intimazione all’intestatario e, dopo il decorso di 6 mesi, chiede al tribunale l’autorizzazione ad aprire la cassetta alla presenza di un notaio, a vendere quella parte degli oggetti rinvenuti occorrente per soddisfare quanto le è dovuto per canoni e spese, e a depositare il resto degli oggetti in altro luogo per conto del depositante (art. 1841). 46

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IL CONTRATTO DI RIPORTO Il riporto è un contratto con il quale una parte (detta riportato) trasferisce all’altra (detta riportatore), per un determinato prezzo, la proprietà di titoli di credito già individuati; il riportatore assume l’obbligo di trasferire al riportato, ad un determinato termine, la proprietà di altrettanti titoli della stessa specie per un determinato prezzo, che può essere maggiore del prezzo già versato dal riportatore, o minore (in questo caso si parla di deporto) [art. 1548]. Il prezzo è maggiore, se è il riportato che ha bisogno di disporre di una somma per la durata del riporto (c.d. riporto finanziario); è minore, se invece è il riportatore che ha bisogno di disporre ei titoli. Il riporto non è un tipico contratto bancario. Secondo il codice, esso (il riporto) è un contratto reale, in quanto si perfeziona nel momento in cui il riportato consegna i titoli al riportatore (art. 1549). Il contratto di riporto può essere stipulato dalle banche anche nello svolgimento della loro attività di investimento in strumenti finanziari, ed in particolare nei mercati di borsa, allo scopo di fornire al contraente la disponibilità del denaro o dei titoli che gli occorrono per l’adempimento di un contratto di borsa. L’IMPRESA FINANZIARIA L’attività delle banche è definita d’intermediazione creditizia, nel senso che esse impegnano i capitali ricevuti in prestito in varie forme dai risparmiatori (la c.d. provvista) per fare credito a terzi. Dall’intermediazione creditizia va giuridicamente distinta l’attività di intermediazione finanziaria che si ha quando le imprese finanziarie fanno credito a terzi, o assumono partecipazioni in altre società mediante l’utilizzazione di capitali propri, o ricevuti da terzi con operazioni diverse (ad esempio, mutui, obbligazioni sociali) da quelle tipiche di raccolta delle banche, o prestati dalle stesse banche o da altre imprese finanziarie. LE CAMBIALI FINANZIARIE. I CERTIFICATI D’INVESTIMENTO Uno strumento per il finanziamento a breve termine delle imprese è costituito dalle cosiddette cambiali finanziarie, regolate dalla legge 13 gennaio 1994 n.43. Le cambiali finanziarie sul piano strutturale sono titoli all’ordine, soggette alla disciplina formale delle cambiali ordinarie, ma che da esse si distinguono sul piano funzionale, perché vengono emesse dalle imprese commerciali – al pari delle obbligazioni, che però sono titoli a medio lungo termine – allo scopo di ricevere finanziamenti, a titolo di mutuo collettivo, direttamente dal pubblico dei risparmiatori, che possono acquistarle a scopo di investimento. Le cambiali finanziarie sono pertanto titoli di credito emessi in serie, e sono qualificate dalla legge “valori mobiliari”. La scadenza non può essere inferiore a 3 mesi e superiore a 12 mesi dalla data di emissione. Poiché le cambiali finanziarie hanno per oggetto “l’acquisizione di fondi con l’obbligo di rimborso” alla scadenza, esse costituiscono uno strumento di raccolta del risparmio tra il pubblico, e sono quindi soggette anche alla disciplina regolamentare del Cicr (comitato interministeriale del credito e del risparmio). Il Circ ha, dunque, stabilito che le cambiali finanziarie devono avere un taglio minimo non inferiore a 100 milioni di lire (ossia, 51.645,69 euro) e che possono essere emesse: - dalle società finanziarie iscritte in un apposito elenco speciale tenuto dalla Banca d’Italia; - da società ed enti con strumenti finanziari quotati in borsa o in altri mercati regolamentati; - da società non quotate,purché gli ultimi tre esercizi siano stati in utile; e precisamente, se emesse da società non quotate le cambiali finanziarie devono essere assistite per almeno il 50% del loro valore di sottoscrizione, da garanzie 47

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(fideiussioni, avalli) rilasciate o da banche o da società finanziarie iscritte nell’elenco speciale o da società di assicurazione.

Le cambiali finanziarie sono girabili esclusivamente con la clausola “senza garanzia”, e quindi nessun girante diventa obbligato di regresso. Secondo la delibera del Circ le imprese, alle quali è consentito emettere cambiali finanziarie, possono emettere anche titoli denominati certificati d’investimento; la durata deve essere non inferiore a 12 mesi e il taglio non deve essere inferiore a 51.645,69. L’ammontare della raccolta del risparmio tra il pubblico, effettuata mediante cambiali finanziarie e certificati di investimento, non può eccedere – insieme alla raccolta mediante obbligazioni – il limite del capitale versato e delle riserve risultanti dall’ultimo bilancio approvato. LA LOCAZIONE FINANZIARIA (LEASING) Le imprese possono acquistare (compravendita) o prendere in godimento (locazione, affitto) i beni strumentali occorrenti per la loro attività produttiva (immobili, mobili, macchinari). Per l’acquisto, se non hanno o se non sono sufficienti i propri capitali, le imprese devono ricorrere al credito; mentre, se hanno capitali propri, questi restano immobilizzati. Uno strumento alternativo di finanziamento si ha con il cosiddetto contratto di locazione finanziaria, talvolta denominato anche contratto di leasing. Tale contratto può essere concluso direttamente tra l’impresa produttrice o venditrice del bene e l’impresa che deve utilizzarlo; a quest’ultima il bene viene dato in godimento, dietro versamento di un corrispettivo suddiviso in canoni periodici; di solito, alla scadenza è previsto che l’utilizzatore ha la facoltà di restituire il bene all’impresa produttrice, o di divenirne proprietario, versandone una somma finale (c.d. prezzo d’opzione) gia calcolata al momento della conclusione del contratto, sulla base del prevedibile valore residuo del bene. Il contratto di leasing, rispetto all’acquisto da compravendita, consente di evitare immobilizzazioni di capitali, mentre rispetto alla locazione o all’affitto, consente all’impresa di acquistare alla fine del rapporto la proprietà del bene. Secondo la cassazione, se le parti hanno previsto un prezzo d’opzione molto inferiore al valore residuo del bene, gli ammontari dei canoni periodici vanno considerati, per una parte, quale corrispettivo del godimento del bene e, per l’altra parte, quale corrispettivo dell’acquisto. In tale ipotesi, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento o per fallimento dell’utilizzatore, l’impresa di leasing deve restituire i canoni riscossi, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, e al risarcimento del danno; se invece il prezzo di opzione corrispondeva o era vicino al prevedibile valore residuo del bene utilizzato, l’impresa di leasing può trattenere i canoni riscossi, appunto perchè da considerarsi corrispettivi (solo) del periodo di durata del godimento del bene (art. 1458 c.1). Spesso nel contratto interviene una terza impresa, che ha per oggetto proprio l’attività di leasing, la quale – da un canto – acquista il bene dal produttore e – dall’altro – lo concede in leasing all’impresa che ne ha bisogno per l’esercizio della propria attività economica. Tali imprese devono essere costituite nelle forme di società per azioni, e devono avere un capitale versato non inferiore a 500.000,00 euro, e devono – inoltre – essere iscritte nell’elenco delle imprese finanziarie. 48

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IL FACTORING Con il contratto di factoring un imprenditore cede ad un altro imprenditore (detto factor) i crediti sorti, o che possono venire a sorgere anche in dipendenza di rapporti futuri, nei confronti dei propri clienti (ad esempio, crediti da forniture o da servizi). L’attività di factoring è stata regolata da una legge speciale (21 febbraio 1991 n.52) che disciplina, appunto, la cessione dei crediti d’impresa (essa riguarda elusivamente quei crediti derivanti dall’esercizio di un’impresa commerciale). L’attività di factoring deve essere esercitata esclusivamente da imprese bancarie, o da imprese finanziarie iscritte nell’elenco generale il cui oggetto sociale preveda l’acquisto di crediti di impresa. E precisamente, essa, può avere una duplice funzione: 1) sia quella di finanziamento delle attività commerciali

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2) e sia di riscossione dei crediti d’impresa. Ovviamente tutto questo dietro il pagamento di un corrispettivo.

La cessione dei crediti futuri è ammissibile solo se vi è l’indicazione dei debitori ceduti e solo se si tratta di crediti che sorgeranno da contratti da stipulare entro il biennio successivo alla stipula dell’atto di cessione. Di regola, la cessione dei crediti avviene “pro solvendo”, nei limiti del corrispettivo pattuito. Le parti possono, però, stabilire con apposito patto contrario, che la cessione dei crediti avvenga “pro soluto”. Il factor si obbliga a versare al cedente le somme corrispettive dei crediti ceduti dopo l’incasso (per quelli ceduti “pro soluto”ad una data convenuta, alcuni mesi dopo la scadenza). Sui crediti non esigibili il factor può anche accettare di concedere anticipazioni al cedente, il quale così – oltre ai risparmi di gestione per non doversi occupare della riscossione dei propri crediti – può ottenere anche un finanziamento della propria attività economica. Per quanto riguarda l’efficacia della cessione nei confronti dei terzi diciamo che l’impresa di factoring può rendere opponibile ai terzi la cessione dei crediti nei modi diversi previsti dall’articolo 1265 del codice civile; ma anche se non vi è stata la notifica o non è avvenuta l’accettazione del debitore dell’atto di cessione, questa è ugualmente opponibile ai terzi, se il factor abbia pagato – in tutto o in parte – il corrispettivo della cessione, e se il pagamento ha data certa: in tal caso, infatti, l’atto di cessione è opponibile sia ai terzi creditori del cedente, i quali abbiano pignorato il credito dopo la data di pagamento; sia ai terzi altri cessionari dello stesso credito, i quali a loro volta non abbiano reso efficace il loro atto di acquisto anteriormente alla data del pagamento. E’ tuttavia egualmente liberato il debitore ceduto che abbia pagato un altro cessionario, prima che il factor gli abbia notificato l’atto di cessione, o prima che lo stesso debitore abbia accettato la cessione (art. 1264 c.1). Questa disciplina (cioè della legge 1991/52) è applicabile solo se l’attività di acquisto dei crediti di impresa è esercitata da imprese bancarie o finanziarie; in mancanza, ai contratti di factoring rimane applicabile la disciplina della cessione dei crediti secondo le norme del codice civile. Le imprese di factoring hanno predisposto condizioni generali di contratto, in cui al factor sono tra l’altro attribuiti poteri di controllo sulle scritture contabili del cedente, ed in cui si pongono a carico di quest’ultimo una serie di obblighi la cui violazione può condurre alla risoluzione del contratto a norma dell’art. 1456 (clausola risolutiva espressa). 49

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IL CREDITO AL CONSUMO Per l’acquisto di beni o di servizi destinati al consumo, un soggetto può: - utilizzare mezzi finanziari di cui dispone (denaro) - o può ricorrere, per convenienza o per costrizione, al finanziamento di terzi - o rivolgendosi ad imprese bancarie o finanziarie - o ottenendo dilazioni di pagamento degli stessi fornitori.

La legge individua la fattispecie di credito al consumo nella concessione, nell’esercizio di un’attività commerciale, di “credito sotto forma di dilazione di pagamento o di prestito o di finanziamento a favore di una persona fisica (consumatore) che agisce per scopi estranei all’ attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”. L’esercizio dell’attività di concessione di credito è riservato: alle banche alle imprese finanziarie e agli stessi fornitori dei beni o dei servizi acquistati per il consumo.

Le imprese bancarie e finanziarie solitamente concedono credito al consumo mediante prestiti (mutui) o mediante contratti bancari o finanziari (anticipazioni, leasing, aperture di credito in conto corrente da utilizzare mediante carte di credito). Qualunque sia la forma, i contratti con cui vengono concessi crediti ai consumatori devono essere stipulati, a pena di nullità relativa, per iscritto, e un esemplare del contratto va consegnato contestualmente al consumatore. Nel contratto devono essere indicati: o l’ammontare e le modalità del finanziamento o il numero, gli importi, le scadenze delle singole rate o il tasso annuo effettivo globale (c.d. taeg) che indica il costo totale del credito per il consumatore espresso in percentuale annua del credito concesso e comprensivo degli interessi e degli oneri) o il dettaglio delle condizioni per l’eventuale modifica del taeg o le eventuali garanzie e coperture assicurative richieste.

Il rispetto di questa disciplina è affidato alla vigilanza della Banca d’Italia e del Ministero delle attività produttive (art. 128 c.3). 50

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CONTRATTI DI INVESTIMENTO E MERCATI FINANZIARI GLI INVESTIMENTI DI NATURA FINANZIARIA Nell’espressione prodotti finanziari il legislatore ricomprende “ogni forma di investimento di natura finanziaria”, e cioè ogni investimento di capitali in attività economiche esercitate da altri soggetti, attività produttive di reddito (utili, interessi) e/o di incrementi patrimoniali. Tra i prodotti finanziari l’art. 1 fa espresso riferimento agli strumenti finanziari, nel cui elenco ricomprende anche i valori mobiliari, il cui concetto è ristretto solo ai “titoli rappresentativi di capitale di rischio… ai titoli di debito… agli strumenti finanziari previsti dal codice civile negoziabili nel mercato di capitali”. I prodotti finanziari, ed in particolare gli strumenti finanziari, sono pertanto strumenti di investimento (solitamente rappresentati da documenti o certificati) che normalmente costituiscono strumenti per la raccolta del risparmio diffuso tra il pubblico. Gli strumenti finanziari possono servire per la raccolta del risparmio tra il pubblico, ma possono anche servire per attività speculative, o di copertura del rischio di investimento. Dunque, le imprese di investimento svolgono un’attività di intermediazione finanziaria, nel senso che ha per oggetto strumenti finanziari. La raccolta del risparmio tra il pubblico è sottoposta al controllo della pubblica Amministrazione, controllo che si esercita sulle imprese bancarie e finanziarie e sulle imprese assicurative per vigilare sulla correttezza e sulla prudenza della gestione e garantire la stabilità patrimoniale e la solvibilità. Secondo l’art. 1 del testo unico 24 febbraio 1998 n.58, costituisce sollecitazione all’investimento “ogni offerta, invito a offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolti al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari”. Pertanto, rientra nel concetto di sollecitazione: - ogni offerta di pubblica sottoscrizione, avente per oggetto prodotti finanziari di nuova emissione; - ogni proposta, mediante offerta al pubblico, di acquisto o di vendita di prodotti finanziari già emessi; - ogni invito al pubblico a presentare offerte per la sottoscrizione o l’acquisto di prodotti finanziari; - ogni messaggio volto a promuovere operazioni di collocamento di prodotti finanziari.

Su ogni operazione di sollecitazione ad un investimento finanziario gli artt. 94 e seguenti del testo unico 1998/58 prevedono il controllo della Consob, allo scopo di assicurare un’adeguata informazione del pubblico. Pertanto, coloro che intendono sollecitare all’investimento – con qualsiasi mezzo – il pubblico risparmio devono darne preventiva comunicazione alla Consob, alla quale spetta di regolamentare il contenuto della comunicazione (art. 95 c.1). Assieme alla comunicazione dell’operazione di sollecitazione del pubblico risparmio deve essere trasmessa la bozza di un prospetto informativo redatto secondo le disposizioni di carattere generale dettate dalla Consob con regolamento, per fornire al pubblico degli investitori i dati necessari per consentirgli un fondato giudizio sulle caratteristiche dei prodotti finanziari e sulla situazione di coloro che li emettono o li hanno emessi. Pertanto possiamo dire che, ogni sollecitazione all’investimento deve essere preceduta dalla pubblicazione del prospetto informativo. 51

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Inoltre, la Consob deve: 1. stabilire le regole sulle modalità di svolgimento dell’operazione, anche al fine di assicurare la parità di trattamento degli investitori. 2. indicare le regole di correttezza che devono essere osservate dall’offerente, dall’emittente, dai soggetti incaricati del collocamento dei prodotti finanziari oggetto dell’offerta. 3. stabilire il contenuto tipico dei prodotti finanziari, quando questi sono individuati attraverso una particolare denominazione (art. 94).

Prima della pubblicazione del prospetto informativo è vietato qualsiasi annuncio pubblicitario relativo all’operazione di sollecitazione. Sono, tuttavia, consentiti la diffusione di notizie, lo svolgimento di indagini di mercato, la raccolta di intenzioni di acquisto o di sottoscrizione di prodotti finanziari. Se le disposizioni sugli annunci pubblicitari non vengono rispettate, la Consob può sospendere o vietare l’ulteriore diffusione degli annunci, e in caso di violazione dei suoi provvedimenti di sospensione o di divieto degli annunci, può vietare l’esecuzione della stessa sollecitazione all’investimento (art. 101 c.2). E precisamente, il sospetto della violazione delle disposizioni – legislative e regolamentari – sulle operazioni di sollecitazione consente alla Consob di sospendere in via cautelare la sollecitazione per un periodo non superiore a 90 giorni, e di vietarla quando è accertata l’inosservanza dell’obbligo di comunicazione e delle altre disposizioni. Il controllo della Consob non è previsto quando la sollecitazione è rivolta ad investitori professionali (ad esempio, banche, organismi di investimento collettivo del risparmio), o quando è rivolta a un ridotto numero di investitori o è di ammontare modesto. Coloro che intendono emettere valori mobiliari devono darne comunicazione alla Banca d’Italia indicando la quantità e le caratteristiche dei titoli da emettere, nonché le modalità ed i tempi di attuazione dell’emissione. La comunicazione è richiesta soltanto se l’ammontare dell’emissione supera il limite stabilito in generale dalla stessa Banca d’Italia (tale limite deve essere superiore a 50 milioni di euro). Tuttavia, la Banca d’Italia non esamina il merito dell’operazione, ma ne controlla soltanto l’incidenza sul mercato finanziario. L’operazione può essere effettuata decorsi 20 giorni dal ricevimento della comunicazione, sempre che la stessa Banca d’Italia entro lo stesso termine non abbia disposto di differire l’esecuzione dell’operazione, o addirittura di vietarla. L’inosservanza dell’obbligo di comunicazione o delle prescrizioni della Banca d’Italia non produce l’invalidità dell’emissione o della offerta al pubblico, ma è punita con la sanzione penale dell’ammenda sino ad un massimo della metà del valore totale dell’operazione. LE SOCIETA’ DI INVESTIMENTO Le imprese che possono svolgere professionalmente l’attività di intermediazione finanziaria sono principalmente le imprese bancarie e le imprese di investimento autorizzate ad investire in attività finanziarie il risparmio raccolto tra il pubblico dei risparmiatori sia nell’interesse di singoli risparmiatori (investimenti individuali) sia nel loro interesse comune (investimenti collettivi). Le imprese di investimento devono costituirsi nella forma di società per azioni e devono – inoltre – essere autorizzate dalla Consob o dalla Banca d’Italia a svolgere l’attività di intermediazione finanziaria; sono soggette alla vigilanza della Consob, volta soprattutto ad assicurare “la trasparenza e la correttezza dei loro comportamenti”; sono anche soggette alla vigilanza della Banca d’Italia principalmente per assicurarne la solidità patrimoniale (c.d. stabilità). In caso di crisi, le società di investimento sono soggette – come le società bancarie – alle procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa; ed inoltre i crediti dei clienti delle società di investimento sono garantiti da appositi fondi patrimoniale di garanzia (c.d. sistemi di indennizzo: art. 59). 52

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LE OPERAZIONI DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI PECUNIARI Le operazioni di cartolarizzazione dei crediti pecuniari svolgono solitamente funzioni di finanziamento (per le imprese) e di investimento (per i risparmiatori). E precisamente, tali operazioni possono essere realizzate dagli imprenditori commerciali mediante cessione in blocco a titolo oneroso di una pluralità di crediti pecuniari – sia esistenti sia futuri – a favore di società di capitali o cooperative iscritte negli elenchi degli intermediari finanziari. Per rendere efficace la cessione globale nei confronti dei terzi, la società cessionaria deve darne notizia mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Assieme ai crediti si trasferiscono automaticamente alla società cessionaria anche le eventuali garanzie accessorie (ad esempio, le garanzie ipotecarie), senza bisogno di alcuna formalità o annotazione. La società cessionaria deve avere per oggetto esclusivo della propria attività il compimento di operazioni di cartolarizzazione, e cioè di emissioni di titoli di debito (ad esempio, obbligazioni), che essa può effettuare direttamente o tramite altra società emittente . Sul piano finanziario, la società cedente, originaria titolare dei crediti, può acquisire – tramite la loro cessione – la liquidità (il denaro) che le occorre per lo svolgimento della propria attività d’impresa. Con il ricavato dell’emissione dei titoli, la società cessionaria si procura i mezzi per il pagamento del prezzo di cessione dei crediti; mentre, con il ricavato della successiva riscossione dei crediti, la società cessionaria può procedere alla scadenza dei titoli al rimborso del capitale e al pagamento degli interessi. I crediti oggetto dell’operazione di cartolarizzazione costituiscono un patrimonio autonomo, separato da quello della società cessionaria, e sul quale “non sono ammesse azioni da parte dei creditori diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti” oggetto della cessione. I titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti sono strumenti finanziari, e quindi alla loro emissione si applica la disciplina della sollecitazione all’investimento in attività finanziarie; occorre – dunque – la comunicazione dell’emissione alla Banca d’Italia e il collocamento dei titoli dev’essere attuato da intermediari professionali. Inoltre diciamo che, l’affidabilità dei titoli oggetto dell’operazione di cartolarizzazione deve essere valutata da un’impresa indipendente, specializzata nella stima del valore dei crediti (rating). Non si ha, invece, sollecitazione all’investimento (e non è dunque neppure prescritto il rating dei titoli) se questi vengono offerti ad investitori professionali. Anche se tuttavia deve essere data comunicazione dell’emissione alla Banca d’Italia. 53

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GLI ORGANISMI DI INVESTIMENTO COLLETTIVO LE SOCIETA’ DI INVESTIMENTO A CAPITALE FISSO Può accadere che la società d’investimento distribuisca solo (piccola) parte degli utili, in modo che i frutti (disponibilità monetaria) che danno le sue azioni rimangono inferiori a quelli dati da altri investimenti; può ancora accadere che il prezzo di mercato delle azioni della società di investimento non rifletta l’eventuale aumento del patrimonio sociale o che comunque non ne sia possibile l’alienazione al loro effettivo valore, mentre, d’altra parte, i titolari delle azioni non sono in condizioni di conoscere in qualunque momento quale è l’effettivo valore patrimoniale delle loro azioni e quindi se il valore di mercato di quel momento sia o meno conveniente ai fini di una vendita. In questo caso, gli azionisti: - da un lato, non vengono a realizzare i loro scopi di investimento, e cioè di ottenere ogni anno un adeguato reddito in moneta e (o) potere rapidamente disinvestire (cioè, tramutare in moneta) le loro azioni all’effettivo valore patrimoniale; - dall’altro lato, non hanno neppure il diritto di recedere dalla società per ottenere la liquidazione delle loro azioni; - da un terzo lato, ancora, corrono il rischio – se le scelte di investimento della società risultano errate – di partecipare alle perdite della società.

Il legislatore ha previsto la costituzione di altri organismi di investimento collettivo del risparmio (c.d. oicr), e precisamente di “società di investimento a capitale variabile-sicav”, ossia delle società di investimento nelle quali i risparmiatori – essendone azionisti – sono partecipi dei suoi risultati economici. Però, a differenza di quanto accade nelle società a capitale fisso, essi ( a causa della variabilità del capitale) possono recedere in ogni tempo dalla società, ottenendo immediatamente il rimborso delle proprie azioni. È stata, inoltre, disciplinata la istituzione di “fondi comuni di investimento” il cui patrimonio – costituito dai versamenti degli investitori che vi partecipano – è distinto dal patrimonio della società a capitale fisso alla quale ne è affidata la gestione. A loro volta, i fondi comuni possono essere: di “tipo aperto”, e in questo caso i partecipanti possono ottenere in qualsiasi momento il rimborso delle loro quote. Essi sono ammissibili solo se l’oggetto dell’investimento è costituito da strumenti finanziari. Nell’ambito dei fondi aperti, vanno menzionati i c.d. fondi armonizzati, le cui quote possono essere commercializzate in tutti i paesi dell’Unione europea. o di “tipo chiuso”, e in questo caso il rimborso delle quote avviene alla scadenza della durata del fondo.

I fondi comuni di investimento, sia di tipo aperto che di tipo chiuso, presentano una organizzazione complessa, le cui caratteristiche principali sono: a) vi è anzitutto una società per azioni, detta società di gestione (sgr), la quale svolge il compito di gestire un patrimonio (il c.d. fondo) comune, costituito con i capitali di una pluralità di investitori (c.d. partecipanti). È opportuno specificare che, il fondo è “gestito in monte”, cioè nell’interesse collettivo della pluralità dei partecipanti; b) si ha poi il fondo, o i diversi fondi, (in) comune, in quanto a seguito dell’attività del gestore, del fondo vengono a fare parte, oltre le somme versate dagli investitori, gli strumenti finanziari e (o) gli altri beni acquistati con tali somme, i ricavi delle loro alienazioni e i dividendi. Ciascun fondo comune – suddiviso in quote – costituisce un patrimonio autonomo, distinto sia dal patrimonio della società di gestione del risparmio sia da patrimoni degli investitori; c) il patrimonio del fondo comune è depositato presso una banca, scelta secondo i criteri determinati dalle autorità di vigilanza. La banca depositaria esegue le operazioni di gestione del patrimonio del fondo disposte dalla società di gestione; e precisamente, la banca depositaria deve accertare la legittimità delle operazioni di emissione e di 54

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rimborso delle quote del fondo, della destinazione dei redditi del fondo, e deve controllare la legittimità delle istruzioni della società di gestione.

In definitiva possiamo dire che: l’istituto del fondo comune di investimento consiste in un complesso patrimoniale di pertinenza di una pluralità di partecipanti, che viene gestito da una società per azioni nell’interesse degli stessi partecipanti, ma rimane distinto ed autonomo rispetto ai patrimoni dell’una e degli altri; le somme di denaro e gli strumenti finanziari facenti parte del patrimonio del fondo comune devono essere depositati presso una banca la quale – in quanto depositaria – acquista la proprietà delle somme e la detenzione dei titoli. Le sgr possono istituire anche: - fondi riservati, che sono quelli a cui possono partecipare soltanto investitori qualificati; - fondi garantiti, che – invece – sono quelli che garantiscono – mediante la stipula di apposite convenzioni con imprese bancarie, assicurative o finanziarie – la restituzione del capitale investito o il riconoscimento di un rendimento minimo; - fondi speculativi, che – infine –sono quelli il cui patrimonio può essere investito in deroga alle norme prudenziali di contenimento e frazionamento del rischio stabilite dalla Banca d’Italia. È opportuno specificare che, possono partecipare a ciascun fondo speculativo non più di 200 unità e le quote non possono essere oggetto di sollecitazione all’investimento.

Di qualunque tipo sia, l’istituzione di ogni fondo comune deve essere disciplinata da un apposito regolamento deliberato dal consiglio di amministrazione della società di gestione del risparmio, ed approvato dalla Banca d’Italia. Tale regolamento definisce le caratteristiche (cioè, se è aperto o chiuso), il funzionamento, indica la società promotrice, il gestore e la banca depositaria; ancora, regola il rapporto con i partecipanti, indica il tipo di beni (mobili, immobili, crediti), di strumenti finanziari e di altri valori in cui è possibile investire il patrimonio del fondo. Inoltre, nel regolamento devono indicarsi: a) la denominazione e la durata del fondo b) le modalità di partecipazione al fondo c) gli organi amministrativi e/o tecnici competenti per la scelta degli investimenti, e i criteri di ripartizione degli investimenti tra i diversi tipi di beni d) i beni oggetto d’investimento devono essere coerenti con la natura, aperta o chiusa, del fondo e) le spese a carico del fondo e quelle a carico delle società di gestione f) le modalità di pubblicità del valore delle quote di partecipazione g) le modalità di liquidazione del fondo.

È opportuno precisare, inoltre, se si tratta di: - fondi di accumulazione, nei quali – ad esempio – i proventi ricavati dai titoli (ossia dividendi, interessi) rimangono nel patrimonio del fondo, e quindi aumentano il valore delle partecipazioni; - o di fondi di reddito, nei quali i proventi vengono distribuiti tra i partecipanti; - o di fondi misti, in cui i proventi vengono in parte trattenuti ed in parte distribuiti. 55

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Per quanto riguarda l’istituzione dei fondi comuni, nell’art. 34 del testo unico è disposto che la società richieda alla Banca d’Italia l’autorizzazione all’esercizio di gestione collettiva del risparmio. Tale autorizzazione viene rilasciata se: la società ha un capitale minimo interamente versato di almeno 1 milione di euro se la misura del capitale indicata nello statuto viene giudicata adeguata alla realizzazione del programma di attività che la società deve presentare alla Banca d’Italia se ha sede in Italia se gli esponenti aziendali hanno i prescritti requisiti di onorabilità e di professionalità se i requisiti di onorabilità sono posseduti anche dai soci detentori di partecipazioni superiori al 5% del capitale con diritto di voto.

La partecipazione al fondo comune si realizza attraverso la conclusione di un contratto tra la società di gestione e gli investitori che chiedono di sottoscrivere le quote del fondo. Le quote di partecipazione sono rappresentate da certificati, i quali rientrano tra gli strumenti finanziari. I fondi sono sottoposti alla vigilanza amministrativa della Consob e della Banca d’Italia. Per quanto riguarda i fondi aperti diciamo che, la società di gestione – con periodicità almeno settimanale – deve calcolare il valore delle quote, anche ai fini della loro emissione e del loro rimborso. Durante lo stesso periodo, gli investitori possono ottenere il disinvestimento dei propri capitali o alienando i certificati rappresentativi delle quote di partecipazione, o richiedendo in qualsiasi momento alla società di gestione di ordinare alla banca depositaria di procedere al rimborso delle quote. Inoltre, proprio perché si tratta di fondi comuni aperti, il relativo patrimonio è essenzialmente variabile nel senso che aumenta per la sottoscrizione delle quote e diminuisce per il loro rimborso, seguendo le iniziative degli investitori e senza bisogno di alcuna deliberazione formale. Per quanto riguarda, invece, i fondi chiusi diciamo che, il patrimonio del fondo chiuso può essere raccolto mediante una o più emissioni di quote, tutte di eguale valore unitario. Per ciascuna emissione, le quote devono essere collocate tra il pubblico degli investitori mediante un’operazione di sollecitazione all’investimento, e devono essere sottoscritte entro il termine massimo di 18 mesi dalla pubblicazione del prospetto informativo. Tuttavia, può accadere che in tale termine non avvenga la sottoscrizione di tutte le quote; se però ne sono state sottoscritte in misura non inferiore ad un ammontare minimo indicato nello stesso regolamento, la sgr può procedere al c.d. ridimensionamento del fondo, in modo che le sue dimensioni vengano a corrispondere all’ammontare delle sottoscrizioni avvenute. Viceversa, nel caso in cui un fondo sia sottoscritto in misura superiore all’offerta, la sgr può aumentarne il patrimonio, nella maggiore misura già eventualmente prevista nello stesso regolamento del fondo. La durata dei fondi chiusi non può essere superiore a 30 anni, anche se – tuttavia – la Banca d’Italia (se è previsto nel regolamento) può consentire, su richiesta della società di gestione, una proroga del termine di durata del fondo non superiore a 3 anni (c.d. periodo di grazia) per il completamento dello smobilizzo degli investimenti. 56

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I FONDI IMMOBILIARI E LA PRIVATIZZAZIONE DEI BENI PUBBLICI La costituzione di fondi immobiliari chiusi è ritenuta opportuna per agevolare lo sviluppo delle attività di compravendita di beni immobili, e indirettamente svilupparne anche l’attività di costruzione. L’utilizzazione dello strumento dei fondi immobiliari chiusi è stata prevista anche per agevolare il trasferimento ai privati dei beni immobili appartenenti al patrimonio disponibile dello Stato, o di altri enti pubblici. A tal proposito diciamo che, la legge ammette che le quote dei fondi immobiliari chiusi possano essere sottoscritte anche con “apporto di beni immobili, qualora l’apporto sia costituito per oltre il 51% da beni apportati esclusivamente dallo Stato, da enti previdenziali pubblici, da regioni, da enti locali o loro consorzi, …”. Dopo la costituzione del fondo, la società di gestione deve procedere all’offerta al pubblico delle quote del fondo presso operatori diversi dai soggetti conferenti, per il collocamento di almeno il 60 % del numero originario delle stesse quote. Entro 6 mesi dal collocamento e dalla consegna delle quote agli acquirenti, la società di gestione deve chiedere alla Consob l’ammissione dei relativi certificati alla negoziazione in un mercato regolamentato. Qualora, dopo il decorso del termine di 18 mesi dalla data dell’ultimo apporto in natura, risulti collocato un numero di quote inferiore al 60%, l’operazione di privatizzazione si considera fallita e la società di gestione deve: a) dichiarare il mancato raggiungimento dell’obiettivo minimo di collocamento; b) dichiarare decadute le prenotazioni ricevute per l’acquisto delle quote; c) deliberare la liquidazione del fondo.

In alternativa all’offerta al pubblico, il Ministro dell’economia, per le quote di propria pertinenza, può emettere titoli speciali, da collocare tra i risparmiatori, convertibili nelle quote dei fondi. LA CONTABILITA’. La società di gestione, assieme alla propria contabilità, deve anche redigere con le stesse modalità le scritture contabili del fondo. Oltre ad un prospetto periodico indicativo nei fondi aperti del valore delle quote di partecipazione, in tutti i tipi di fondi occorre redigere il libro giornale del fondo ed una relazione semestrale relativa alla gestione del fondo, entro 30 giorni dalla fine del semestre. Deve essere anche redatto il rendiconto della gestione del fondo, entro 60 giorni dalla fine di ogni esercizio annuale o del minor periodo in relazione al quale si procede alla distribuzione dei proventi. Pertanto, rendiconto, relazione semestrale e prospetto periodico devono essere messi a disposizione del pubblico nella sede della società di gestione. Inoltre, i partecipanti al fondo hanno diritto di ottenere gratuitamente anche a domicilio copia del rendiconto e della relazione semestrale. 57

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LE SOCIETÀ DI INVESTIMENTO A CAPITALE VARIABILE (sicav) L’investimento collettivo del risparmio può anche avvenire tramite società di investimento a capitale variabile; e precisamente, le sicav sono società per azioni. Sul piano strutturale, la costituzione della sicav si distingue nettamente dalla costituzione dei fondi comuni di investimento di tipo aperto, in quanto nelle sicav non si ha la distinzione dei patrimoni, e le posizioni di investitore e di azionista coincidono, dal momento che l’investimento viene effettuato attraverso la sottoscrizione delle azioni emesse, a fronte di un corrispondente conferimento in denaro. La sicav può essere costituita soltanto dopo che sia intervenuta l’autorizzazione della Banca d’Italia, su parere obbligatorio della Consob. Il capitale sociale minimo deve essere di ammontare non inferiore a quello determinato con provvedimento di portata generale dalla stessa Banca d’Italia. I soci fondatori devono essere in possesso dei requisiti di onorabilità, e gli organi di amministrazione e direzione della sicav anche dei requisiti di professionalità. Inoltre, i soci fondatori devono procedere alla costituzione della società – mediante la stipula dell’atto costitutivo pubblico – e ad effettuare i versamenti delle quote sottoscritte entro 30 giorni dal rilascio dell’autorizzazione. La sicav non può essere costituita mediante pubblica sottoscrizione e non sono ammessi conferimenti in natura. La costituzione della sicav può avvenire solo se il capitale è interamente versato e la denominazione deve contenere l’indicazione di “società di investimento per azioni a capitale variabile-sicav”, e tale denominazione deve risultare in tutti i documenti della società (art. 43 c.5). Inoltre, le sicav devono essere iscritte in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia, e trascorsi 2 anni dal rilascio di essa (cioè, dell’autorizzazione) senza che la sicav abbia iniziato ad operare, l’autorizzazione decade automaticamente. Il capitale delle sicav è sempre uguale al patrimonio netto (cioè, al supero delle attività sulle passività), senza distinzione tra capitale e fondi di riserva, o tra attività disponibili e indisponibili. Qualora il capitale diminuisce al di sotto del livello minimo iniziale e se la diminuzione permane per un periodo di almeno 60 giorni, si verifica una causa di scioglimento della sicav la quale, se non viene fusa con altra sicav, dev’essere messa in liquidazione. Le azioni delle sicav devono essere immediatamente liberate al momento della loro emissione. Nello statuto delle sicav devono essere indicate le modalità di determinazione del valore delle azioni, cioè il regime di variazione del loro valore reale (il valore reale si ottiene dividendo il valore del patrimonio netto per il numero delle azioni in circolazione). Le azioni possono essere, a scelta del sottoscrittore, nominative o al portatore. Inoltre, alle sicav è vietato di emettere obbligazioni, azioni di godimento e azioni di risparmio. Le azioni emesse dalla sicav, tanto nominative quanto al portatore, attribuiscono ai titolari eguali diritti patrimoniali. Mentre, per quanto riguarda i diritti amministrativi diciamo che solo le azioni nominative attribuiscono nelle assemblee un voto per ciascuna azione, a differenza delle azioni al portatore che invece attribuiscono al loro titolare un solo voto (qualunque sia il numero delle azioni possedute) [art. 45 c.4]. Per quanto riguarda i quorum assembleari diciamo che, l’assemblea ordinaria e quella straordinaria in seconda convocazione sono regolarmente costituite qualunque sia la parte del capitale sociale intervenuta. Lo statuto può ammettere anche il voto per corrispondenza, e in tal caso l’avviso di convocazione dell’assemblea deve contenere per esteso la deliberazione proposta. Inoltre, le deliberazioni che modificano lo statuto sociale possono essere iscritte nel registro delle imprese soltanto se approvate dalla Banca d’Italia. Per quanto riguarda, invece, le partecipazioni nelle sicav diciamo che la comunicazione preventiva alla Banca d’Italia dell’acquisto o della cessione di partecipazioni qualificate dev’essere solitamente effettuata da chi intende acquisire o cedere una partecipazione superiore a 20.000 azioni nominative o, se minore, una partecipazione superiore al 10% del capitale rappresentato da azioni nominative. 58

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Nello statuto delle sicav può essere prevista “l’esigenza di più comparti d’investimento per ognuno dei quali può essere emessa una particolare categoria di azioni” (sicav multicomparto). Nella sicav multicomparto non si ha un patrimonio sociale unico, in quanto “ciascun comparto costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti da quello degli altri comparti”. Nello statuto devono anche essere stabiliti “i criteri di ripartizione delle spese generali tra i vari comparti”. Le sicav possono anche svolgere attività connesse e strumentali all’investimento collettivo del risparmio. Le scritture contabili delle sicav devono essere tenute con modalità analoghe a quelle previste per i fondi comuni. Quanto alla fusione e scissione diciamo che i progetti di fusione e di scissione devono essere sottoposti al preventivo nulla osta della Banca d’Italia (art. 49 c.3). In particolare, fusione e scissione sono ritenute ammissibili soltanto se la società incorporante o la nuova società che ne derivi sono anch’esse sicav, cioè società di investimento collettivo a capitale variabile. I FONDI PENSIONE I fondi pensione sono costituiti al fine di assicurare ai lavoratori l’erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico. E precisamente, tali fondi possono essere costituiti nelle forme di persone giuridiche o di associazioni non riconosciute. Il patrimonio del fondo è composto: - dai contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori destinatari del trattamento pensionistico complementare; - da quote degli accantonamenti annuali destinati al c.d. trattamento di fine rapporto.

La gestione del patrimonio del fondo può essere affidata ad imprese di investimento o a banche abilitate alla gestione di patrimoni mobiliari, o ad imprese assicurative o a società di gestione del risparmio. L’esercizio dell’attività dei fondi pensione dev’essere autorizzato da un ente pubblico, la Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione), di nomina del Consiglio dei ministri; l’autorizzazione decade se il fondo non inizia la propria attività entro 1 anno dal rilascio. Alla Covip compete il controllo esterno sui fondi pensione volto a “perseguire la corretta e trasparente amministrazione” (art. 16 c.2). 59

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LE SOCIETÀ DI INTERMEDIAZIONE MOBILIARE (sim) Le sim sono delle società che hanno sede e direzione generale in Italia. L’autorizzazione alle sim è rilasciata, dopo avere sentito il parere della Banca d’Italia, dalla Consob la quale ne dispone l’iscrizione in un apposito albo. Per rilasciare tale autorizzazione alle sim, occorre che: - siano costituite nella forma di società per azioni

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- l’espressione “società di intermediazione mobiliare” sia compresa nella denominazione sociale

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- il capitale sociale risulti già versato in un ammontare non inferiore a quello determinato in via generale dalla Banca d’Italia

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- che le sim presentino un programma iniziale di attività ed una relazione sulla loro struttura organizzativa

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- che gli amministratori, i sindaci e coloro che compongono la direzione abbiano particolari requisiti di professionalità e di onorabilità

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- che i soci titolari di partecipazioni qualificate siano anch’essi in possesso di particolari requisiti di onorabilità.

Il testo unico elenca i servizi di investimento il cui esercizio è riservato alle sim e alle banche regolarmente autorizzate. E precisamente, i servizi elencati sono: 1) la ricezione di ordini di negoziazione di strumenti finanziari 2) la negoziazione di strumenti finanziari 3) il collocamento di strumenti finanziari 4) la gestione su base individuale di portafogli di investimento in strumenti finanziari (art. 1 c.5). 60

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LA RACCOLTA DEGLI ORDINI E LA NEGOZIAZIONE DEGLI STRUMENTI FINANZIARI. I CONTRATTI SWAP Un servizio di investimento è la negoziazione degli strumenti finanziari, che è riservata agli intermediari professionali sia che venga effettuata per conto proprio sia per conto di terzi; sia nei mercati regolamentati sia fuori dei mercati regolamentati. I contratti derivati sono contratti con scadenza a termine, il cui valore deriva dalla variazione delle quotazioni delle attività finanziarie che ne sono alla base, e precisamente: merci, tassi di interesse, valute… Tra i contratti considerati dalla legge strumenti finanziari vi sono: i futures le options e gli swap.

Quanto ai primi due (cioè, futures ed options) diciamo che si tratta di contratti standardizzati, ammissibili solo in mercati finanziari organizzati. Quanto ai contratti swap (letteralmente scambio), invece, diciamo che si tratta di contratti conclusi mercè l’intervento di intermediari professionali fuori dei mercati organizzati. I principali contratti swap sono quelli sui tassi di interesse e quelli su valute. Negli swap su tassi di interesse, due parti indebitate con terzi a tassi differenti stipulano un contratto di swap in base al quale si obbligano, alla scadenza di ciascun periodo di maturazione degli interessi, a regolare tra loro la differenza dei due ammontari. Negli swap su valute, invece, le parti – l’una (ad esempio, un importatore) con un debito verso terzi a scadenza futura e in valuta estera; l’altra (ad esempio, un esportatore) con un credito verso terzi di pari importo e scadenza, nella stessa valuta estera – concordano come indicatore di riferimento il rapporto di cambio tra la valuta estera ed un’altra valuta, e si obbligano a regolare tra loro la differenza tra il valore di cambio concordato e il valore di cambio in vigore alla data di scadenza dei due debiti. Così facendo viene eliminato il rischio di cambio, in quanto la parte – che, per effetto dell’eventuale deprezzamento della valuta nazionale, avrebbe subito un danno – riceve dall’altra parte – che, per effetto del medesimo deprezzamento, avrebbe conseguito un profitto di eguale entità – una somma d’importo equivalente; e viceversa (se si ha un apprezzamento della valuta nazionale). Quando la conclusione di tali contratti avviene mediante l’intervento di intermediari professionali, opera la riserva di legge e quindi gli intermediari devono essere imprese di investimento o banche autorizzate all’attività di negoziazione o di mediazione finanziaria. Il servizio di collocamento presso il pubblico di strumenti finanziari (ad esempio, azioni od obbligazioni di società) è riservato agli intermediari autorizzati (quali, imprese di investimento, banche). Nel concetto di collocamento rientra anche la distribuzione degli strumenti finanziari, che può avvenire (la distribuzione) nelle sedi degli emittenti o degli intermediari, ma può anche avvenire fuori delle loro sede legali; in quest’ultimo caso si ha la c.d. offerta fuori sede di strumenti finanziari, che costituisce una forma di sollecitazione all’investimento. L’offerta fuori sede di strumenti finanziari può essere effettuata soltanto tramite intermediari professionali autorizzati allo svolgimento del servizio di collocamento. Infatti, solo gli organismi di investimento collettivo (ossia, società di gestione del risparmio, sicav) possono procedere direttamente a operazioni di collocamento fuori sede, ma limitatamente alle proprie quote di partecipazione. Inoltre diciamo che, l’offerta fuori sede può avere per oggetto anche gli stessi servizi di investimento (ad esempio, offerte di negoziazione o di gestione di strumenti finanziari). 61

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Gli intermediari professionali che effettuano offerte fuori sede di strumenti finanziari o di servizi di investimento devono avvalersi dell’opera dei c.d. promotori finanziari. E precisamente, se l’offerta fuori sede è effettuata mediante tecniche di comunicazione a distanza (ad esempio, telefax…) è la Consob a individuare i casi in cui gli intermediari devono avvalersi di promotori finanziari (art. 32). Si definiscono promotori finanziari le persone fisiche che, “in qualità di dipendente, agente o mandatario” dell’intermediario, esercitano professionalmente l’attività di offerta fuori sede. L’attività di promotore finanziario è subordinata all’iscrizione in un albo unico tenuto da un ente, soggetto alla vigilanza della Consob e costituito dalle associazioni professionali degli intermediari e dei promotori. Per quanto riguarda i contratti fuori sede diciamo che, l’idea di fondo a cui si ispira la disciplina di tali contratti è quella della tutela degli investitori, nel timore che essi corrono il rischio di non riuscire a valutare né la serietà e/o la convenienza dell’operazione, né la correttezza degli ausiliari dell’impresa. Dunque, per la preoccupazione che il risparmiatore abbia concluso il contratto d’investimento senza adeguata valutazione della sua convenienza, gli è concesso un periodo di riflessione: nel senso che si è stabilito che, nel termine di 7 giorni dalla data della sottoscrizione del contratto, l’investitore possa – senza alcun onere a suo carico – recedere dal rapporto, dandone comunicazione all’intermediario o al promotore (art. 30 c.6). Allo scopo di tutelare gli investitori il principio-base è che gli intermediari devono curarne gli interessi “con diligenza, correttezza e trasparenza” (art. 21 c.1). In generale, gli intermediari devono adottare procedure di controllo interne, “idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi”, e devono svolgere una gestione indipendente, sana e prudente, adottando “misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati”. A tal proposito è opportuno specificare che, i contratti che hanno per oggetto i servizi d’investimento devono essere redatti per iscritto, a pena di nullità del contratto, ed un’esemplare dev’essere consegnato al cliente. 62

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I CONTRATTI DI BORSA I principali mercati organizzati in cui vengono compiute le operazioni commerciali aventi per oggetto la negoziazione degli strumenti finanziari sono le borse valori. La caratteristica principale delle borse valori è la concentrazione delle operazioni di negoziazione, per lo più costituite da contratti di compravendita. I contratti di borsa devono necessariamente essere conclusi per mezzo di intermediari professionali ai quali devono essere conferiti gli ordini di acquisto o di vendita. Nel codice civile non è prevista una disciplina specifica per i c.d. contratti di borsa. Di solito si tratta di vendite di cose generiche in cui il trasferimento della proprietà degli strumenti finanziari dal venditore al compratore avviene mediante operazioni contabili effettuate da una società di gestione accentrata sui conti degli intermediari incaricati dagli investitori di effettuare le operazioni di negoziazione. Per la conclusione del contratto di borsa non è prescritto alcun requisito formale, e quindi il contratto può anche essere stipulato verbalmente. La redazione di un particolare documento (il c.d. fissato bollato) è prevista solo per particolari effetti probatori e tributari. Solitamente si distinguono: - i contratti di borsa a mercato fermo, in cui entrambi i contraenti si obbligano ad eseguire il contratto secondo il contenuto stabilito al momento della sua conclusione (si parla di contratti con impegni definitivi). I contratti a fermo sono negoziati “a contante”. Essi hanno ad oggetto azioni, obbligazioni o warrants, dovendo essere eseguiti secondo le modalità della c.d. “liquidazione a contante”, e non hanno finalità speculative. Inoltre, trattandosi di contratti di compravendita a contante, l’esecuzione delle obbligazioni assunte nel contratto deve avvenire il 3° giorno di borsa aperta successivo alla stipulazione. Pertanto, nei contratti di borsa a contante, non sono ammessi né gli acquisti né le vendite di titoli dei quali non si abbia la disponibilità (c.d. vendite allo scoperto). - ed i contratti di borsa a mercato libero, in cui uno dei due contraenti versa all’altro una somma (detta premio), ed acquista il diritto di sciogliersi dal contratto o di variarne il contenuto (si parla di contratti con impegni non definitivi o di contratti a premio). Anche i contratti a mercato libero (a premio) sono negoziati a contante, ma nel senso che è il premio (e solo il premio) a dovere essere versato nel 5° giorno di borsa aperta successivo alla stipulazione del contratto. Per quanto riguarda invece la loro esecuzione, i contratti a premio sono contratti a termine, in quanto la loro esecuzione è prevista a scadenze mensili predeterminate. Tra i contratti a premio va ricordato il contratto dont (detto anche a premio semplice) in cui colui che versa il premio acquista il diritto di non eseguire il contratto; se il premio viene versato dal venditore a termine, il contratto si denomina put. Altro contratto a premio da ricordare è il contratto stellage (a doppia facoltà), in cui chi versa il premio ha il diritto di scegliere la posizione di venditore o quella di compratore.

L’esecuzione dei contratti borsa viene semplificata attraverso l’adesione degli intermediazione autorizzati alla c.d. stanza di compensazione, per cui gli organi della Stanza attuano la liquidazione provvedendo alla compensazione delle partite omogenee e determinando il saldo di liquidazione che, a seconda dell’esito della compensazione, ciascun intermediario deve riscuotere o deve pagare. L’esecuzione dei contratti viene garantita da una particolare “Cassa di compensazione e garanzia” mediante l’utilizzazione di appositi fondi costituiti dagli intermediari autorizzati; pertanto, la liquidazione – sia a contante che a termine – è denominata “liquidazione garantita” (art. 68). In caso di inadempimento di una delle parti o di altre ipotesi in cui si verifica l’insolvenza degli intermediari professionali autorizzati alla negoziazione, la Consob procede alla 63

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dichiarazione della c.d. “insolvenza di mercato”, con la conseguente liquidazione coattiva dei contratti stipulati dall’intermediario inadempiente o insolvente. Essa (la liquidazione coattiva) viene direttamente effettuata da commissari nominati dalla Consob, i quali solitamente procedono nello stesso mercato di borsa alla compera o alla vendita in danno dell’insolvente degli strumenti finanziari oggetto dei contratti rimasti non adempiuti. Il vantaggio della c.d. liquidazione coattiva delle insolvenze di mercato sta anzitutto nel fatto che i commissari rilasciano un documento – detto certificato di credito – dal quale risulta la differenza di prezzo ancora dovuta dall’inadempiente alla controparte. Questo certificato costituisce titolo esecutivo, di modo che si può subito iniziare l’esecuzione forzata a carico dell’inadempiente senza bisogno di chiedere all’autorità giudiziaria una sentenza o un decreto di condanna. Altro vantaggio sta nel fatto che la liquidazione coattiva dei contratti di borsa è definitiva, per cui non può essere dichiarata inefficace mediante l’esercizio della azione revocatoria fallimentare, neppure se l’intermediario venga successivamente sottoposto ad una procedura concorsuale (quale, la liquidazione coatta amministrativa) [artt. 71 e 72 c.6]. I CONTRATTI UNIFORMI A TERMINE SU STRUMENTI FINANZIARI I contratti uniformi a termine sono detti anche prodotti, o strumenti, derivati, appunto perché il loro valore deriva dalla variazione delle quotazioni delle attività finanziarie (o delle merci) che ne sono alla base. Questi contratti possono avere finalità di speculazione e/o di copertura dei rischi finanziari. Uno degli strumenti finanziari oggetto di negoziazione è l’opposizione (art. 1321 c.c.). L’opzione di borsa è un contratto a premio in base al quale all’optante, che paga un corrispettivo (detto premio) alla controparte, è riconosciuta la facoltà – per un prezzo base prefissato – di assumere la posizione di compratore (call optino) di determinate attività finanziarie entro la scadenza di un termine o alla scadenza di esso. A seconda della misura in cui alla scadenza il prezzo corrente delle attività finanziarie risulti superiore o inferiore al prezzo base prefissato, l’optante potrà o esercitare l’opzione (stipulando il contratto di compravendita) o non esercitarla (rinunciando a stipulare il contratto). Un altro strumento finanziario è il future, il quale si distingue dall’opzione in quanto le parti assumono l’obbligo (e non solo la facoltà) di scambiare, ad una certa data, determinate attività finanziarie, o a versare o riscuotere un importo determinato in base all’andamento di un indicatore di riferimento. E precisamente, si tratta di un importo pari alla differenza tra il valore convenzionalmente attribuito dalle parti all’indicatore alla data di conclusione del contratto e il valore effettivo dell’indicatore alla data di scadenza. Tali contratti si distinguono dai contratti a mercato libero: - sia perché non hanno per oggetto soltanto titoli azionari

- sia per la loro standardizzazione, in quanto il loro contenuto negoziale non è convenuto dagli intermediari al momento della conclusione del contratto, ma è già predeterminato dagli organi di borsa. 64

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Le società quotate hanno l’obbligo di comunicare al pubblico le c.d. informazioni privilegiate, ossia quelle informazioni specifiche, di cui il pubblico non dispone, riguardanti strumenti finanziari. Di contro, sono previste delle sanzioni penali a carico di “chiunque diffonde notizie false, o pone in essere operazioni simulate od altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari” quotati in mercati regolamentati [c.d. manipolazione del mercato] (art. 185). Se, invece, il reato riguarda strumenti non quotati, o per i quali non è stata presentata una domanda di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, esso è punito a titolo di aggiotaggio (art. 2637 c.c.). Spetta, dunque, alla Consob vigilare sull’osservanza della disciplina prevista, ed al presidente della Consob di trasmettere al pubblico ministero gli esiti degli accertamenti compiuti dalla stessa Commissione (art. 187). IL SISTEMA DI GESTIONE ACCENTRATA DEGLI STRUMENTI FINANZIARI LA MONTE TITOLI S.P.A. Solitamente, il trasferimento dei titoli di investimento (c.d. titoli di massa) non avviene direttamente tra alienante ed acquirente, ma per mezzo degli intermediari autorizzati. Ecco perché si è diffusa l’idea di assicurare una più rapida circolazione dei titoli di massa, accentrandone la negoziazione presso una società nei cui archivi elettronici vengano inseriti i dati relativi ai titoli depositati soprattutto presso le banche e le sim, e da queste subdepositati presso la stessa società. Dunque, i titoli vengono immessi nel c.d. sistema di gestione accentrata. E precisamente, l’attività di gestione è affidata dalla legge 19 giugno 1986 n.289 ad un’unica società per azioni – denominata “Monte Titoli S.P.A.” e potrà essere svolta da società per azioni aventi come oggetto esclusivo lo svolgimento di questa attività, autorizzate dalla Consob (art. 80). È opportuno specificare che le società di gestione accentrata devono: 1. avere un capitale minimo determinato dalla Consob 2. gli esponenti aziendali devono avere particolari requisiti di professionalità ed onorabilità 3. la contabilità è controllata da società di revisione (art. 80) 4. sono sottoposte alla vigilanza della Consob e della Banca d’Italia “al fine di assicurare trasparenza, l’ordinata prestazione dei servizi di gestione accentrata e la tutela degli investitori” (art. 82) 5. ed infine, in caso di crisi, sono applicabili le procedure concorsuali di natura amministrativa (art. 83).

L’immissione nel sistema di negoziazione accentrata è ammissibile solo se gli strumenti finanziari sono stati depositati presso intermediari che aderiscono al sistema (e cioè, presso banche, imprese di investimento, agenti di cambio, società commissionarie, …). E precisamente, sono proprio tali intermediari (in quanto depositari) che possono immettere gli strumenti depositati nel sistema mediante la stipulazione con la Monte Titoli di contratti di subdeposito. A sua volta, la stipulazione del contratto di subdeposito accentrato con la Monte Titoli può avvenire soltanto se nel contratto di deposito (e cioè nel contratto-base) è stata espressamente attribuita ai depositari la facoltà di procedere al subdeposito presso la Monte Titoli. Anche il contratto di subdeposito accentrato è (al pari del contratto base di deposito in custodia o in amministrazione) un contratto regolare, nel senso che gli strumenti finanziari oggetto del subdeposito non si trasferiscono in proprietà alla Monte Titoli, la quale non può disporne. 65

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Presupposto fondamentale della gestione accentrata è la fungibilità degli strumenti immessi nel sistema, per cui ogni depositante può “disporre in tutto o in parte dei diritti inerenti alle quantità di strumenti finanziari a lui spettanti a favore di altri depositanti o chiedere la consegna di un corrispondente quantitativo di strumenti finanziari della stessa specie in deposito presso la società di gestione accentrata” (art. 86 c.1). In particolare, per realizzare tali caratteri di fungibilità, la legge prevede la seguente disciplina: 1) Custodia dei titoli, in quanto dagli intermediari che concludono il contratto di subdeposito, la Monte Titoli riceve i titoli, che essa provvede a custodire. Il Monte apre un “conto titoli” suddiviso in tanti sottoconti quante sono le specie di titoli subdepositati, al nome di ciascun depositario. In particolare, si ha una suddivisione di funzioni tra Monte Titoli e depositari. E precisamente: 2) Giroconti e ritiro dei titoli dal sistema, nel senso che gli ordini di disposizione e/o ritiro dei titoli sono dati dai depositanti ai propri depositari, i quali (depositari) trasmettono gli ordini alla Monte Titoli che li esegue, se si tratta di trasferimento nell’ambito del sistema di amministrazione accentrata, mediante operazioni di giro (giroconti), ossia mediante operazioni meramente contabili con cui si annota il trasferimento dei titoli dal conto del depositario ordinante al conto del depositario beneficiario dell’ordine, e quindi senza che si abbia alcun movimento fisico dei titoli stessi. 3) Vincoli, poiché – secondo il codice civile – i vincoli (ad esempio, diritti di pegno) sui titoli di credito nominativi sono efficaci solo se risultano annotati sia sui titoli stessi sia sul registro di chi li ha emessi. 4) Amministrazione dei titoli, l’affidamento dell’amministrazione accentrata alla Monte Titoli non significa l’affidamento dell’esercizio di tutti i diritti sociali. 5) Libro dei soci, ossia quando le azioni nominative vengono immesse nel sistema, l’aggiornamento del libro dei soci avviene a seguito della comunicazione che la Monte Titoli dà all’emittente dell’avvenuto subdeposito.

LA DEMATERIALIZZAZIONE DEGLI STRUMENTI FINANZIARI QUOTATI NEI MERCATI REGOLAMENTATI Quando il trasferimento ha per oggetto strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione nei mercati regolamentati, è vietato – alle società per azioni – di emettere documenti rappresentativi degli stessi strumenti, i quali perciò non possono essere rappresentati da titoli (di credito). Pertanto, la legge ha disposto la dematerializzazione degli stessi strumenti finanziari quotati o destinati alla quotazione in borsa, e non soltanto la dematerializzazione della loro circolazione. E precisamente, la legge ha disposto: da un lato, che l’emittente deve comunicare ad una società di gestione accentrata le caratteristiche dell’emissione, e che la società di gestione accentrata deve a sua volta aprire un conto a nome dell’emittente; dall’altro lato, che il loro trasferimento, e l’esercizio dei relativi diritti patrimoniali, può essere effettuato soltanto tramite intermediari professionali autorizzati alla negoziazione (quali, banche, sim), e che questi devono a loro volta richiedere alla società di gestione accentrata di accendere a loro nome conti destinati a registrare i trasferimenti degli strumenti finanziari che possono essere disposti dai loro titolari soltanto tramite gli stessi intermediari.

A differenza degli strumenti non quotati, il trasferimento degli strumenti quotati può avvenire soltanto tramite il sistema di gestione accentrata.

L’INDIVIDUAZIONE DELL’IMPRESA:

L’impresa economica,deve poter essere individuata e localizzata. L’individuazione può riguardare l’impresa come tale o invece i prodotti o ancora i locali nei quali l’attività imprenditrice si esplica. Sussiste pertanto una pluralità di mezzi di individuazione o disegni distintivi quali la ditta,l’insegna, il marchio: mezzi di individuazione o segni distintivi che la legge tutela, riconoscendone all’imprenditore l’esclusività dell’uso e impedendo che altri se ne avvalga. Questa posizione di esclusività si è pretesa giustificare talora considerando i segni distintivi come creazioni intellettuali : ma a parte che l’attività creatrice può essere insignificante o addirittura mancare ( si pensi all’ipotesi in cui la ditta, l’insegna e il marchio

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corrispondono al nome dell’imprenditore) , la tutela dei segni distintivi trova il suo fondamento nell’esigenza di individuazione dell’impresa, del locale in cui è esercitata, dei , suoi prodotti ed esclusivamente in questa. Già così si comprendono alcuni caratteri generali della disciplina dei segni distintivi. In primo luogo IL PRINCIPIO DELLA LORO UNITARIETA’ espressamente affermato nell’art. 22 del codice della proprietà industriale di cui al D.Lgs. 10 febbraio 2005 , n. 30: in quanto la fondamentale unitarietà della loro funzione richiede di estendere la tutela anche all’ipotesi in cui l’altrui segno distintivo sia utilizzato in forma diversa, per esempio l’altrui marchio come propria ditta. Quella posizione di esclusività goda in via di principio di una tutela soltanto relativa quando non sussistono possibilità di confusione, è infatti possibile l’uso contemporaneo da parte di più persone di uno stesso segno distintivo. Comunque l’eventualità che il segno distintivo assuma un valore proprio sul mercato , un valore cioè suggestivo e attrattivo della clientela.

Anche di esso il legislatore tiene conto disciplinando l’ipotesi in cui, a causa della particolare “rinomanza” del segno, la sua utilizzazione da parte di altri, pur senza determinare confusione, sia in grado di provocare un indebito vantaggio a chi lo utilizza o un pregiudizio al valore del segno stesso. Quindi l’esigenza di speciali requisiti per i segni distintivi, quello della VERITA’ e quello della ORIGINALITA’ : il segno distintivo non può essere scelto in modo da trarre in inganno il pubblico sulla natura dell’impresa o sull’origine e la provenienza del prodotto; il segno distintivo deve essere ORIGINALE e cioè deve avere la capacità distintiva, in quanto solo così può adempiere alla funzione che gli e propria. La TUTELA DEL SEGNO DISTINTIVO si attua quindi per ragioni e su basi essenzialmente diverse da quelle per le quali e sulle quali si attua la tutela delle creazioni intellettuali. Ciò non esclude che in talune ipotesi il segno distintivo possa essere il risultato di una attività creativa , ma in questo caso la tutela della creazione intellettuale si aggiunge a quella del segno distintivo, rimanendone autonoma e indipendente.

LA DITTA: DITTA ORIGINARIA E DITTA DERIVATA

La ditta , il nome sotto il quale l’imprenditore svolge la sua attività non solo questa normalmente impronta di sé gli altri segni distintivi, quali il marchio e l’insegna, ma costituisce , a differenza del marchio e dell’insegna che hanno carattere meramente facoltativo, un mezzo di individuazione necessario dell’impresa economica. Come la persona ha necessariamente un nome, l’impresa ha necessariamente una ditta: questa può corrispondere anche al nome dell’imprenditore , ma questo nome, in quanto è ditta ha un proprio regime giuridico, diverso da quello posto per il nome della persona. Questa diversità si rivela soprattutto sotto due aspetti: 1) pur essendovi esatta corrispondenza nel nome di due imprenditori, n on può sussistere omonimia tra le ditte rispettivamente assunte. Vige il principio che quando la ditta sia uguale o simile a quella usata da altro imprenditore o comunque possa creare confusione, essa debba essere integrata o modificata con indicazioni idonee a differenziarla e l’obbligo di differenzazione grava sulla ditta adottata in epoca cronologicamente successiva o, nel caso di imprese soggette a registrazione, sulla ditta registrata in epoca posteriore( art. 2564 cod.civ.). 2) in quanto il nome , come mezzo di individuazione della persona , cessa ogni funzione con la morte della persona stessa e non può essere trasferito ad altri,mentre la ditta , come mezzo di individuazione dell’impresa, conserva la sua funzione anche quando l’imprenditore sia morto o abbia cessato la sua attività , purchè l’impresa sussista: da ciò la trasmissibilità della ditta in caso di successione pere causa di morte dell’azienda e di continuazione da parte di altri dell’attività imprenditrice. Si è molto discusso in dottrina se la ditta individui l’attività dell’imprenditore o l’azienda. La ditta contraddistingue l’impresa economica,e della quale l’attività

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dell’imprenditore e l’azienda non sono che aspetti, il solo problema che si può porre è quello se la regolamentazione della ditta si attui prevalentemente su basi soggettive o su basi oggettive. Per quanto riguarda nel l codice italiano per la ditta si riproduca quella prevalenza che, è attribuita all’attività dell’imprenditore rispetto all’azienda. Il collegamento della ditta alla persona dell’imprenditore è chiaro nel 2°comma dell’art 2563 quando si impone che la ditta contenga almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore, e nell’art. 2565 cod. civ. per il quale il trasferimento della ditta non si attua, nel caso di trasferimento o di successione nell’azienda, senza il consenso dell’imprenditore esplicitamente manifestato o legalmente presunto.

La ditta è nel sistema del codice , piuttosto il mezzo di individuazione della persona in quanto imprenditore, ciò spiega come la tutela della ditta sorga e si ponga autonomamente dalla tutela del nome essenzialmente per le persone fisiche , le quali, svolgendo molteplici attività possono usare mezzi di individuazione diversi per ciascuna di esse, mentre coincida con la tutela della ragione sociale o della denominazione sociale per gli enti collettivi costituiti per l’esercizio dell’impresa . La ragione sociale o la denominazione sociale costituiscono già di per se mezzo di individuazione dell’impresa e pertanto l’art. 2567 rinvia in questa ipotesi alla disciplina dettata per la ragione o denominazione sociale in materia di società , limitandosi a richiamare l’obbligo della differenzazione deposto nell’art, 2564 Quindi la legge prevede che la ditta formata debba contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore; per le ditte derivate, cioè per le ditte che siano state trasmesse in occasione di successione nell’azienda o di trasferimento di essa, questa esigenza non sussiste.

Comunque anche nel codice italiano, non manca un riferimento obiettivo: la ditta è infatti legata oltre che alla persona dell’imprenditore, anche all’azienda e non è pertanto ammissibile un trasferimento della ditta che non sia collegato con il trasferimento dell’azienda.

TUTELA DELLA DITTA

La tutela della ditta si esplica nel riconoscere all’imprenditore l’esclusività dell’uso della ditta da lui

prescelta ( art.2563, 1° comma, cod. civ. ) il che importa da un lato la possibilità di respingere la pretesa altrui diretta a contestare l’uso che egli faccia della ditta, dall’altro lato la possibilità di impedire che altri usi della ditta da lui prescelta. L a tutela si esplica erga omnes: il diritto alla ditta è cioè un diritto assoluto come il diritto al nome. Non è peraltro che si abbia un diritto di proprietà sulla ditta . L a tutela della ditta è, subordinata alla registrazione di essa nel registro delle imprese, registrazione che è consentita soltanto in quanto la ditta abbia i requisiti voluti dalla legge e, se si tratti di ditta derivata, in quanto sia depositata copia dell’atto in base al quale ha avuto la successione nell’azienda. La priorità nella registrazione serve appunto a risolvere i conflitti che, in ordine all’uso della ditta possono insorgere tra imprenditori.( 2564 2 comma). Essendo la ditta un mezzo di individuazione della persona in quanto imprenditore, nulla vieta che siano assunte obbligazioni in tale qualità mediante la spendita della ditta anziché del nome, purchè risulti inequivocabilmente la persona dell’obbligato. Solo per gli atti formali può sorgere il problema se, quando sia richiesta la sottoscrizione, sia sufficiente l’uso della ditta o sia invece necessaria la spendita del nome. Il problema è semplificato dal fatto che la ditta comprende normalmente il nome dell’imprenditore, ma anche quando ciò non accada e purchè si tratti sempre di rapporti inerenti l’esercizio della impresa, sembra innegabile la equiparazione alla sottoscrizione della spendita della ditta.

INSEGNA:

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IL Fallimento:

A) DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO:

PRESUPPOSTI DELLA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO: presupposto della dichiarazione di fallimento è l’insolvenza dell’imprenditore commerciale. L’insolvenza si riferisce ad una situazione patrimoniale, deficitaria, nella quale cioè il passivo supera l’attivo. Essa non si basa su un semplice calcolo matematico. Vi può essere una situazione patrimoniale deficitaria senza che vi sia insolvenza, perché rimane integro il credito dell’imprenditore, come può esserci insolvenza senza che vi sia un deficit vero e proprio nel patrimonio. L’insolvenza è la incapacità patrimoniale, dell’imprenditore e cioè impotenza a far fronte alle proprie obbligazioni manifestatasi esteriormente con inadempimenti o altri fatti come la fuga, la irreperibilità o la latitanza dell’imprenditore , con regolarità, ossia nei modi normali, con i mezzi ordinari. In sostanza il presupposto della dichiarazione di fallimento è l’insolvenza. Naturalmente essendo unico il patrimonio dell’imprenditore, e investendo l’insolvenza il patrimonio nella sua interezza, atti che rivelino questa situazione obiettiva del patrimonio implicitamente rilevano anche una crisi dell’impresa economica. E infatti ai fini della legge questi atti assumono, rilievo non in se e per sé ma appunto in quanto rivelino una crisi economica della impresa. Da ciò la necessità di un provvedimento che l’insolvenza accerti, e, dando luogo alla procedura concorsuale, realizzi la tutela di tutti i creditori, secondo il principio della PAR CONDICIO CREDITORUM, ossia in base al fatto che di fronte alla crisi economica si mira a far ricadere in egual misura su tutti i creditori le conseguenze della crisi stessa. D’altra parte quando le dimensioni della impresa le conferiscono una particolare rilevanza sociale e quando è possibile, una prognosi favorevole per il suo risanamento, emerge anche un interesse alla sua conservazione. Così l’accertamento della insolvenza implica l’avvio soltanto di una procedura preliminare volta a verificare quelle possibilità di risanamento: ad essa farà seguito una dichiarazione di successiva di fallimento oppure di apertura della procedura di amministrazione straordinaria. Le imprese di dimensioni particolarmente più significative, possono poi chiedere al Ministro delle attività produttive, di essere ammesse immediatamente alla

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procedura di amministrazione straordinaria. Altro presupposto fondamentale è il ricorrere della qualità di imprenditore.

Potere di iniziativa: il potere di iniziativa per la dichiarazione di fallimento spetta all’imprenditore, per il quale anzi costituisce un particolare obbligo, ai creditori, ed al pubblico ministero. L’attuale disciplina, esclude la possibilità che il fallimento sia dichiarato d’ufficio dal tribunale, ma circoscrive la legittimazione del p.m. alle ipotesi di insolvenza risultante da fuga, irreperibilità o latitanza dell’imprenditore, chiusura dei locali o sottrazione dell’attivo. La domanda di fallimento da parte del debitore, come da parte dei creditori si propone mediante ricorso. Competente a dichiarare il fallimento è il tribunale del luogo ove l’impresa abbia la sua sede principale, o anche la sede secondaria, se la sede principale dell’impresa è all’estero. Se il fallimento è dichiarato da un tribunale incompetente, la incompetenza può essere fatta valere in sede di opposizione alla dichiarazione di fallimento. Una volta accertata l’incompetenza, non si fa luogo alla revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, ma solo alla rimessione degli atti davanti al giudice competente: poi la procedura prosegue presso il tribunale dichiarato competente. Sulla istanza per la dichiarazione di fallimento, il tribunale pronuncia con decreto, reclamabile in appello , nel caso in cui non ravvisi i presupposti per la dichiarazione di fallimento. Pronuncia invece mediante sentenza nel caso in cui ritenga ricorrere la qualità di imprenditore e lo stato di insolvenza, previa audizione obbligatoria del debitore, dovendosi anche in questa fase riconoscere il diritto costituzionale di difesa. La dichiarazione di fallimento presuppone l’esistenza dei suoi due presupposti, la qualità di imprenditore e lo stato di insolvenza. Questo accertamento pertanto richiede una istruttoria, nella quale l’imprenditore deposita una situazione patrimoniale economica e finanziaria, e si prevede inoltre la possibilità di provvedimenti cautelari a tutela della impresa e del suo patrimonio, destinati ad essere confermati o revocati dalla sentenza dichiarativa di fallimento o revocati dal decreto che rigetta la relativa istanza. Diversa è la procedura nel caso in cui l’impresa raggiunga i limiti dimensionali. In tale ipotesi si ha prima una sentenza adottata previa audizione del debitore, del ricorrente e del Ministro delle attività produttive , con la quale si provvede alla dichiarazione dello stato di insolvenza; verificate poi le possibilità di risanamento oppure no, si procede con decreto motivato alla apertura della procedura di amministrazione straordinaria oppure alla dichiarazione di fallimento. L’impresa di dimensioni significative può chiedere direttamente l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria al Ministro delle attività produttive presentando contestuale ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza al tribunale, che vi provvede anche in tal caso con sentenza ; mentre lo spossessamento e il divieto di azioni esecutive individuali, si producono fin dalla emanazione del decreto , gli altri effetti sono determinati dalla sentenza , ma sempre con riferimento alla data del decreto. La natura giuridica del fallimento: si è considerata un provvedimento cautelare, avuto riguardo a taluni effetti si è considerata un provvedimento esecutivo. Pare però più esatto ricomprendere la dichiarazione di fallimento nella categoria delle pronunce di accertamento costitutivo. Tuttavia siccome, la dichiarazione di fallimento segna anche l’inizio di una esecuzione collettiva, è logico che essa contenga quei provvedimenti che sono indispensabili a tal fine e cioè: costituzione degli organi del fallimento( nomina giudice delegato e del curatore), e predisposizione degli elementi per la formazione del fallimento( ordine per il fallito di depositare i bilanci, le scritture contabili e l’elenco dei suoi creditori). La sentenza dichiarativa è notificata al debitore, ed è comunicata al curatore ed al creditore richiedente, essa inoltre è annotata nel registro delle imprese. I suoi effetti si producono al momento della pubblicazione e cioè dal deposito, mentre quelli nei confronti dei terzi decorrono a partire dalla iscrizione nel registro delle imprese.

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RECLAMO: Contro la dichiarazione di fallimento, è ammesso reclamo alla corte d’appello nel termine di 30 giorni, che decorrono per il debitore dalla data di notificazione della sentenza, e per gli altri interessati al momento della sua iscrizione nel registro delle imprese. L’impugnazione contro la sentenza non avviene più mediante opposizione dinanzi allo stesso tribunale, ma con reclamo effettuato con ricorso depositato presso la corte d’appello competente: il chè si spiega in quanto l’istruttoria prefallimentare ha assunto un più marcato carattere contradditorio. Con il reclamo si mira ad ottenere la revoca della dichiarazione attraverso la dimostrazione dell’inesistenza , al momento della dichiarazione , delle condizioni di legge per farvi luogo: e cioè la non assoggetabilità della impresa a procedura fallimentare; l’inesistenza dello stato di insolvenza ; oppure il decorso dell’anno entro il quale può essere promossa la dichiarazione; inesistenza del rapporto sul quale la dichiarazione di fallimento si fonda, ed infine sussistenza dei presupposti che avrebbero dovuto giustificare l’adozione della procedura di amministrazione straordinaria: in questo ultimo caso, se la dichiarazione è stata preceduta da quella dello stato di insolvenza il reclamo può fondarsi solo sulla ricorrenza delle condizioni per l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria. La situazione va esaminata , con riferimento al momento della dichiarazione: i fatti sopravvenuti non importano la revoca, ma la chiusura del fallimento. D’altra parte non ha rilievo, il fatto che la dichiarazione di fallimento abbia erroneamente considerato come sintomi, dello stato di insolvenza fatti che non potevano essere considerati tali: quando lo stato di insolvenza sussista e sia accertabile, il fallimento deve essere mantenuto. Il reclamo non sospende gli effetti della sentenza dichiarativa. È solo prevista l’eventualità, che ricorrendo gravi motivi la corte d’appello sospenda in tutto o in parte la liquidazione dell’attivo.

Effetti revoca: in via generale quando il reclamo è accolto per la mancanza dei presupposti richieste dalla legge fallimentare, tale accoglimento comporta la revoca del fallimento e con essa il venir meno degli effetti sia personali, che patrimoniali che del fallimento sono propri. Non comporta una piena RESTITUTIO IN INTEGRUM del fallito, in quanto rimangono salvi, gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organo di fallimento. La revoca del fallimento non importa l’obbligo del risarcimento, dei danni da parte del creditore, se non nel caso di dolo o colpa grave. L’onere delle spese del curatore grava sul creditore nel caso in cui sia condannato al risarcimento dei danni per aver chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa, oppure sul fallito persona fisica , se con il suo comportamento ha dato causa alla dichiarazione di fallimento. Quando invece il reclamo si fonda sul possesso dei requisiti per l’amministrazione straordinaria , al suo accoglimento consegue con decreto. Nel caso poi in cui il fallimento sia stato dichiarato con decreto la corte di appello se accoglie il reclamo rimette d’ufficio gli atti al tribunale perché adotti il provvedimento di apertura della procedura di amministrazione straordinaria.

B) EFFETTI DELLA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO: la dichiarazione di fallimento, determina una modificazione giuridica, nella posizione dell’imprenditore la quale si riverbera sui rapporti con i creditori, sugli atti da lui compiuti, e sui rapporti in corso di esecuzione. Ci sono quatto categorie di effetti: 1) Effetti nei confronti del fallito: rispetto al fallito la modificazione riveste, la sfera personale e

quella patrimoniale. La dichiarazione di fallimento, importa infatti particolari incapacità per il fallito( piano personale), e importa limitazioni alla sua libertà personale ( è obbligato a consegnare al curatore la corrispondenza relativa ai rapporti compresi nel fallimento; obbligato

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a presentarsi agli organi del fallimento personalmente ad ogni richiesta; obbligato a comunicare il cambio di residenza ). Inoltre sul piano patrimoniale il fallimento comporta, lo spossessamento, dalla data di dichiarazione, della amministrazione e della disponibilità dei beni e la contemporanea attribuzione di tali poteri al curatore, alla quale consegue la rappresentanza processuale del curatore stesso nelle controversie relative a diritti di carattere patrimoniale. Per effetto dello spossessamento il patrimonio del fallito rimane insensibile di fronte alle obbligazioni dipendenti dalla sua nuova attività, e per quanto teoricamente egli non sia impedito di assumere nuove obbligazioni, nella pratica ciò è reso impossibile. Per effetto dello spossessamento, si attua cioè una quasi separazione del patrimonio dalla persona del fallito e una sua specifica destinazione al soddisfacimento dei creditori esistenti alla data della dichiarazione di fallimento. La modificazione in seguito al fallimento è oggettiva : riguarda cioè la situazione dei beni e non la persona del fallito, che rimane titolare del suo patrimonio e pienamente capace. L’insensibilità del patrimonio dipende dalla natura del provvedimento, esecutivo e quindi l’insensibilità sussiste fino a quando il patrimonio è necessario per il pagamento dei creditori concorsuali e viene meno quando si ha l’assunzione al fallimento di altri beni durante la procedura fallimentare; in tal caso il curatore può rinunciare all’acquisizione dei beni o di utilità. Il fallimento si estende a tutti i beni del debitore esistenti alla data della dichiarazione e altresì rispetto ai beni che pervengono al fallito durante il fallimento. Restano esclusi dal fallimento solo una serie di beni e di diritti che si caratterizzano per la loro natura personale o familiare, o per la loro funzione alimentare di sussistenza per il fallito e la sua famiglia. Si considerano esistenti nel patrimonio quei beni che cono stati alienati con atti in opponibili ai terzi. È stata invece eliminata la presunzione che i beni intestati al coniuge e acquistati nei 5 anni precedenti alla dichiarazione fossero stati acquistati con denaro del fallito e quindi fossero di sua proprietà. Restano esclusi dal fallimento i beni altrui, e i beni che il fallito detenga o abbia acquistato in qualità di mandatario, per conto del mandante.

2) Effetti nei confronti dei creditori: per le esecuzioni già iniziate, l’assorbimento della esecuzione individuale nella procedura concorsuale si attua mediante la sostituzione del curatore al creditore istante: se il curatore non vi subentra , l’esecuzione è dichiarata improcedibile; e nel caso in cui il credito sia assistito da garanzia reale su beni mobili, il creditore può anche in costanza di fallimento chiedere l’autorizzazione alla vendita, ma a tale fine è necessario l’accertamento del credito e della prelazione e il giudice delegato può sempre autorizzare il curatore a pagare il creditore o a procedere egli stesso alla vendita. La posizione dei creditori, ai fini del concorso: posizione di ciascun creditore, ai fini dell’esercizio dei poteri che eventualmente siano ad esso riconosciuti e dei diritti sul ricavato della vendita ; non anche la posizione nei confronti del fallito, che rimane immutata. Posizione che non presenta nulla di particolare, per i creditori muniti del diritto di prelazione. Se il creditore munito di tale diritto non si soddisfa integralmente sul bene che costituisce la sua garanzia specifica, per il residuo egli ha gli stessi diritti del creditore chirografaro. Rispetto a questi ultimi si determinano importanti modificazioni: a) sospensione del corso degli interessi legali e convenzionali, b) scadenza dei debiti pecuniari alla data di dichiarazione c) applicazione di particolari criteri di valutazione per i crediti infruttiferi , d) applicazione di particolari principi verso il creditore di più coobbligati in soldo di cui almeno uno sia fallito, in relazione alla azione di regresso tra coobbligati solidali. La dichiarazione di fallimento invece non esclude la compensazione tra crediti verso il fallimento e debiti nei confronti di esso: si ammette anzi la compensazione.

3) Effetti sugli atti pregiudizievoli ai creditori: la finalità del fallimento di assicurare la parità di condizione dei creditori può attuarsi se si provvede alla ricostituzione del patrimonio del fallito

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e allo assoggettamento alla procedura esecutiva concorsuale di quei beni che ne fossero eventualmente usciti, determinatosi lo stato di insolvenza. La domanda di fallimento, è un obbligo giuridico dell’imprenditore che sorge per il fatto stesso del determinarsi della insolvenza, ed è molto difficile che la dichiarazione di fallimento sorga immediatamente dopo l’accertamento dello stato di insolvenza, ma corre un certo lasso di tempo e durante questo intervallo temporale, può essere profondamente alterata la PAR CONDICIO CREDITORUM e possono essere compromesse le garanzie dei creditori attraverso atti di disposizione o di adempimento , compiuti nel tentativo di ovviate alla crisi imminente o di mascherarla. È ovvio che questi atti siano pregiudizievoli alla realizzazione della parità di trattamento dei creditori, e compito della legge è quello di eliminare tali pregiudizi e di ricorrere tramite mezzi idonei alla ricostituzione del patrimonio del debitore quale era nel momento in cui l’insolvenza si è determinata. L’insolvenza del debitore viene ad assumere un importante rilievo nei confronti della generalità dei creditori e non anche nei confronti di un singolo creditore; la procedura fallimentare investe l’intero patrimonio del debitore si che non tanto di ricostituzione della garanzia si tratta, ma di ricostituzione del patrimonio stesso. Compito del fallimento è quello di eliminare gli atti pregiudizievoli compiuti dal debitore anteriormente alla dichiarazione di fallimento e quando lo stato di insolvenza si era già determinato. Perciò alla revocatoria fallimentare possono essere assoggettati pure atti che sono invece sottratti dalla revocatoria del codice in quanto pur non determinando la diminuzione della consistenza patrimoniale, ma risolvendosi nella eliminazione di una passività, alterano appunto la parità di trattamento dei creditori , sottraendo valori al riparto cui tutti possono concorrere. La legge fallimentare, fissa un periodo di tempo, entro il quale gli effetti dell’atto possono essere eliminati rispetto ai creditori del fallimento, in quanto l’atto stesso viene considerato come fatto in frode di essi con presunzione IURIS ET DE IURE , cioè non suscettibile di prova contraria, o con presunzione IURIS TANTUM , e cioè a meno che non risulti la ignoranza del terzo della insolvenza del debitore. Con questo sistema non sorge l’esigenza di fissare il momento in cui l’insolvenza si è determinata: la eliminabilità degli effetti dell’atto consegue automaticamente all’essere esso compreso nella categoria fissata dalla legge e dall’essere stato compiuto nel periodo di tempo determinato per legge. La prova contraria può essere data dal terzo anche dimostrando che la nel momento in cui l’atto fu compiuto l’insolvenza non esisteva. L’azione di revocatoria fallimentare può essere esercitata nel termine di decadenza di 3 anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque di 5 anni dal compimento dell’atto. Non possono essere revocati: A) I pagamenti di beni e servizi effettuati nella attività di esercizio di impresa nei termini di usoB) Le rimesse effettuate su conto corrente bancarioC) Le vendite ed i preliminari di vendita trascritti di immobili destinati a costituire l’abitazione

principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affiniD) Gli atti , i pagamenti, le garanzie, concesse sui beni del debitore, purchè posti in essere in

esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria della impresa

E) Atti, pagamenti e la concessione di garanzie effettuati in esecuzione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti

F) Pagamenti di corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti e da altri collaboratori del fallito

G) Pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alla procedura di concordato preventivo. Le ragioni di tali esclusioni sono varie: in alcuni casi si tratta di far prevalere la posizione di alcuni soggetti ,

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in ragione dello specifico interesse di cui sono portatori. Oppure della posizione che essi occupano nell’ambito della impresa rispetto alla posizione degli altri creditori; in altre ipotesi l’esclusione è fondata su motivi tecnici, in altre ancora l’irrevocabilità appare volta a favorire l’adozione di strumenti di soluzione della crisi diversi dal fallimento.La revocabilità degli altri atti risulta diversamente disciplinata: A) Atti a titolo gratuito compiuti nei due anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento

e pagamento dei debiti con scadenza alla data della dichiarazione di fallimento o successiva: per questi atti la legge commina la inefficacia a prescindere da ogni indagine circa la conoscenza del terzo dello stato di insolvenza del debitore, si tratta di dichiarazione che deriva direttamente dalla dichiarazione di fallimento

B) Atti a titolo oneroso , pagamenti e garanzie che presentino le caratteristiche da far ritenere l’esistenza di un accordo tra imprenditore e terzo a danno dei creditor. In questa ipotesi lo squilibrio delle prestazioni, l’anormalità dei mezzi di pagamento, la richiesta di particolari garanzie inducono a ritenere una partecipazione del terzo agli intenti fraudolenti del debitore/imprenditore, e una conoscenza dello stato di insolvenza. Appunto per questo tali atti possono essere eliminati a meno che il terzo non provi che non conosceva lo stato di insolvenza.

C) Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie che di per sé non presentino caratteristiche tali da far indurre un accordo a danno dei creditori , pur risultando obiettivamente pregiudizievoli. L’efficacia di questi atti può essere eliminata solo se gli atti stessi sono stati compiuti nei 6 mesi antecedenti alla dichiarazione di fallimento e se il curatore prova la conoscenza da parte del terzo della insolvenza dell’imprenditore.

D) Atti compiuti tra coniugi: possono essere revocati in qualsiasi tempo siano stati compiuti, salvo se il coniuge prova di aver ignorato lo stato di insolvenza del coniuge fallito. LA REVOCATORIA ordinaria: se gli atti compiuti dal fallito non rientrano in nessuna delle categorie considerate, l’eliminazione dei loro effetti è subordinata alla ricorrenza delle condizioni richieste dal codice civile per l’azione revocatoria ordinaria. Il curatore deve dimostrare pertanto: a) la consapevolezza del debitore del pregiudizio derivante ai creditori dal compimento dell’atto e b) per gli atti a titolo oneroso , la consapevolezza da parte del terzo del pregiudizio dei creditori. Ricorrono pertanto gli estremi per l’applicazione dei principi della revocatoria ordinaria, quando il curatore dimostri che : a) l’insolvenza dell’imprenditore era al momento in cui l’atto fu compiuto e b) il terzo per gli atti compiuti a titolo oneroso fosse a conoscenza della insolvenza. L’azione è di esclusiva spettanza del curatore, va proposta dinanzi al tribunale fallimentare e non mira tanto a ricostituire la garanzia del singolo creditore, ma invece a ricostituire il patrimonio dell’imprenditore per il soddisfacimento di tutti i suoi creditori.

Effetti della revocatoria: la eliminazione degli effetti pregiudizievoli ai creditori è stabilita solo nei confronti dei creditori del fallimento e importa che la esecuzione concorsuale possa esperirsi anche quando il bene sia uscito dal patrimonio del fallito. Tra le parti l’atto rimane valido ed efficace. Alla eliminazione può perciò corrispondere il diritto del terzo ad essere ammesso al passivo del fallimento per la somma di cui eventualmente risulti creditore. Si pone così un principio diverso da quello che vige in caso di revocatoria ordinaria.

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4) Effetti sui contratti in corso di esecuzione:l’imprenditore fallito è al centro di una trama di

rapporti contrattuali che non sono stati eseguiti compiutamente da entrambe le parti, al momento della dichiarazione di fallimento. La dichiarazione di fallimento, non importa lo scioglimento automatico del contratto , bensì la sospensione della sua esecuzione. Il curatore ha il diritto di chiedere l’esecuzione del contratto, ma in questo caso deve adempiere agli obblighi integralmente , anche quelli rimasti inadempiuti prima del fallimento. Nel caso in cui non intenda assumere tali obblighi connessi alla esecuzione del contratto, il curatore ha il diritto di sciogliersi dal contratto. L’esecuzione è infatti sospesa fino a quando il curatore, non abbia deciso di subentrare al fallito oppure di scioglierlo. Trattandosi di un diritto del curatore è evidente come dall’esercizio di tale diritto non possa derivare un obbligo di risarcimento dei danni. Il contraente in bonis, può tuttavia richiede al curatore una dichiarazione sulle sue intenzioni, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine decorso il quale, il contratto si intende sciolto. Se però una parte, per esempio il fallito ha già eseguito compiutamente la sua parte di prestazione, il contraente in bonis non potrà esimersi dall’eseguire la propria parte; se invece questo ha per primo eseguito il contratto il suo diritto consiste nell’ammissione al passivo del fallimento dell’ammontare del suo credito. Nel caso in cui pur avendo il contraente in bonis dato esecuzione alla sua prestazione, la cosa venduta non sia ancora pervenuta a disposizione del compratore fallito, e altri non abbia acquistato diritti si di essa, si applicano ugualmente i principi ora indicati e il contraente in bonis ha il diritto di riprendere a sue spese il possesso della cosa , ove il curatore non intenda farsi consegnare la cosa pagandone il prezzo integrale. Si esclude infine che il fallimento comporti lo scioglimento del contratto di affitto di azienda.

C) La procedura fallimentare: gli organi: fanno parte dell’ufficio esecutivo fallimentare, il tribunale fallimentare, il giudice delegato, il curatore del fallimento ed il comitato dei creditori. Il tribunale: oltre ad essere competente a conoscere tutte le azioni dirette ad accertare l’attivo ed il passivo, ed ad attuare l’esecuzione sull’intero patrimonio del fallito; è investito dell’intera procedura fallimentare e provvede con decreto su tutte le controversie che non sono di competenza del giudice delegato e sui reclami contro i provvedimenti del giudice delegato, è in sostanza l’organo supremo del fallimento. IL giudice delegato: svolge funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura. Diretta emanazione del tribunale fallimentare, è nominato nella sentenza dichiarativa, egli adempie a funzioni complesse e di diversa natura controllando , quale autorità tutoria, l’operato del curatore e degli incaricati e concedendo le necessarie autorizzazioni; provvedendo sui reclami esposti contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori, procedendo all’accertamento dei crediti e dei diritti personali e reali vantati dai terzi. Il curatore: è l’organo amministrativo del fallimento, provvede sotto la vigilanza sia del giudice delegato, sia del comitato dei creditori, alla conservazione, amministrazione e realizzazione del patrimonio fallimentare. Nell’esercizio delle sue funzioni compete al curatore la veste di pubblico ufficiale, e non è ammessa sostituzione , se non con riferimento a operazioni singole e previa autorizzazione del giudice delegato. La legge dispone particolari requisiti per la sua nomina, vietando assolutamente o subordinando il compimento degli atti di straordinaria amministrazione alla autorizzazione del comitato dei creditori. Inoltre consente al fallito di proporre reclamo contro il curatore, prevedendo la sua revocabilità e responsabilità personale qualora risultasse la violazione degli obblighi del suo ufficio. L’ufficio del curatore non è gratuito, il compenso è liquidato dal

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tribunale. Comitato dei creditori: ha il compito di vigilare sull’operato del curatore, e ha il potere nei casi previsti dalla legge di autorizzare gli atti e di approvare il programma di liquidazione.

A) CONSERVAZIONE DEL PATRIMONIO: momento essenziale della procedura fallimentare, è quello costituito da una serie di atti che mirano alla conservazione del patrimonio del fallito e che corrispondono al pignoramento nella esecuzione individuale. Rientrano in questa categoria di atti: l’apposizione di sigilli sui beni di pertinenza del fallito ad opera del curatore; la consegna al curatore del denaro contante, titoli, scritture contabili ed altri documenti; l’inventario dei beni; e la presa in consegna dei beni da parte del curatore. Il quale entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario, deve redigere un programma di liquidazione da sottoporre all’approvazione del comitato dei creditori, e una volta approvato, da comunicare al giudice delegato che autorizza l’esecuzione degli atti conformi. Il programma deve indicare la destinazione della azienda; il suo affitto; l’eventuale esercizio provvisorio di impresa; l’opportunità di vendita in blocco dei singoli cespiti.

B) ACCERTAMENTO DEL PASSIVO: dagli atti diretti all’accertamento del passivo , può prescindersi solo nel caso in cui risulti che l’attivo consentirebbe di soddisfare solo i crediti prededucibili( quelli destinati ad essere soddisfatti con preferenza rispetto agli altri) e le spese della procedura. L’accertamento del passivo è necessario per trasformare in creditore concorrente sul ricavato dei beni del fallito, il creditore concorsuale, il creditore cioè che a seguito del fallimento ha diritto di partecipazione al concorso. A tale accertamento sono soggetti anche i crediti prededucibili. L’accertamento del passivo si svolge in due fasi, una necessaria davanti al giudice delegato, l’altra eventuale, dinanzi al tribunale. La prima fase risulta da un complesso di operazioni: a) predisposizione da parte del curatore dell’elenco dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti, e diritti di prelazione e comunicazione ai creditori compresi in tale elenco, della data fissata per l’esame dello stato passivo nonché del termine entro il quale debbono essere presentate le loro domande. B) presentazione da parte dei creditori delle domande di ammissione, mediante ricorso da depositare presso la cancelleria del tribunale, almeno 30 giorni prima della udienza fissata per l’esame dello stato passivo con la indicazione della somma che si intende insinuare al passivo, dei fatti che costituiscono la ragione della domanda e della indicazione dell’eventuale titolo di prelazione. C) predisposizione di un progetto di stato passivo, da parte del curatore. Il progetto deve essere depositato in cancelleria e viene assoggettato ad esame in apposita udienza. D ) formazione dello stato passivo da parte del giudice delegato,che con decreto può ammettere o escludere il credito ma può anche ammetterlo con riserva laddove si tratti di credito condizionato. Terminato l’esame di tutte le domande viene formato lo stato passivo definitivo e il giudice delegato lo dichiara esecutivo. Il curatore comunica a ciascun creditore l’esito della domanda e l’avvenuto deposito in cancelleria dello stato passivo. Con la dichiarazione di esecutività dello stato passivo si chiude la prima fase dell’accertamento del passivo. Le opposizioni allo stato passivo, possono essere proposte dai creditori la cui domanda sia stata accolta in parte o respinta: le impugnazioni possono essere proposte dal curatore dai creditori contro l’ammissione di altri creditori. Contro i crediti ammessi è consentita una domanda di revocazione( proposta da curatore o qualunque creditore), quando risulta che l’ammissione di un credito è stata determinata da errore essenziale di fatto, falsità, dolo o mancata conoscenza di documenti decisivi. Le impugnazioni si propongono davanti al tribunale mediante ricorso nel termine di 30 giorni dalla comunicazione da parte del curatore oppure in caso di revocazione dal momento della scoperta del fatto o del documento. Il collegio in definitiva provvede sui

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ricorsi con decreto motivato,nei confronti del decreto del tribunale è ammesso ricorso in cassazione. Tutto ciò detto non impedisce ai creditori di presentare nuove domande di ammissione entro 12 mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo. L’ammissione tardiva attribuisca al creditore il diritto di partecipare alle ripartizioni successive, e solo ove sussista causa di prelazione il creditore può prelevare quanto avrebbe dovuto percepire nelle precedenti ripartizioni.

C) ACCERTAMENTO DELL’ATTIVO: tra i beni in possesso del fallito possono esserci anche beni di pertinenza dei terzi. Allora sorge la necessità di escludere dal fallimento i beni di proprietà altrui e la legge distingue a seconda che i diritti reali o personali del terzo siano chiaramente o meno riconoscibili; nel primo caso il g.d. può disporre con decreto la restituzione all’avente diritto , nell’altro caso il curatore deve ampliare l’elenco di coloro che vantano diritti reali e personali, su cose in possesso del fallito, e deve comunicare anche a costoro la data della udienza di discussione dello stato passivo e del termine per la presentazione delle relative domande. I titolari devono presentare domande di restituzione mediante ricorso, e l’accertamento dei loro diritti avviene sulla base, dell’accertamento dei crediti. Con la domanda può essere chiesta la sospensione della liquidazione dei beni, possibilità questa che nel caso di domanda tardiva è circoscritta alla ipotesi in cui il ritardo non è dipeso da causa imputabile al titolare. Nel caso in cui il bene sia stato acquistato dal curatore, ma questi dopo ne abbia perso il possesso, il titolare del diritto può chiedere che il controvalore sia corrisposto in prededuzione.

D) AMMINISTRAZIONE DEL PATRIMONIO: particolare importanza assume l’esercizio provvisorio di impresa, del quale può essere disposta dal tribunale, la continuazione, anche limitatamente a specifici rami aziendali, purchè non arrechi pregiudizio ai creditori. La cessazione della impresa, può determinare gravi danni per i creditori in seguito alla dispersione dei valori ed allora la continuazione della impresa è vista come rimedio; la legge prende in esame l’ipotesi di conflitto tra l’interesse dell’imprenditore alla continuazione della impresa e interesse dei creditori volto in questo caso alla cessazione della impresa. Prevale quello dei secondi. La continuazione temporanea dell’impresa deve essere autorizzata dal giudice delegato su proposta del curatore, e deve essere sentito il parere del comitato dei creditori che è vincolante. Al comitato spetta anche il controllo dell’andamento della gestione e di ottenerne la cessazione ,quando la continuazione della gestione, non è nell’interesse dei creditori. La cessazione può essere ordinata in ogni momento dal tribunale, e il curatore è tenuto ad informare il comitato ed il g.d. senza indugio delle circostanze sopravvenute. La continuazione della impresa, determina la continuazione dei rapporti pendenti che non vengono sciolti né restano sospesi.

E) LIQUIDAZIONE DELL’ATTIVO: ossia la realizzazione dei beni del fallito per il soddisfacimento dei creditori: essa si attua sulla base del programma di liquidazione approvato dal comitato dei creditori. Prima della approvazione, il curatore può procedere alla liquidazione dei beni solo quando dal ritardo può derivare, pregiudizio all’interesse dei creditori e previa autorizzazione del giudice delegato e sentito il comitato dei creditori se già nominato. Sarà il curatore a decidere il modo più conveniente di realizzare i beni potendo anche rinunciare previa autorizzazione dei creditori ala realizzazione di uno o più beni, quando la loro liquidazione è manifestamente non conveniente. Tuttavia la legge privilegia la vendita dell’intero complesso aziendale. La liquidazione deve essere effettuata dal curatore, sulla base di stime effettuate da esperti, deve inoltre prevedere nel programma di liquidazione che le vendite vengano effettuate dal g.d. secondo le disposizioni del codice di procedura civile.

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F) RIPARTIZIONE DELL’ATTIVO: operazione conclusiva è appunto la redistribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo fra i creditori che riguarda:1) crediti prededucibili: otre a quelli qualificati per legge, quelli sorti in funzione del

fallimento, cui si aggiungono i crediti sorti per la continuazione dell’esercizio di impresa e la gestione del patrimonio del debitore dopo la dichiarazione dello stato di insolvenza.

2) Crediti ammessi con prelazione sulle cose vendute3) Crediti chirografari in proporzione dell’ammontare di ciascuno. L a distribuzione non può

riguardare, la totalità delle somme disponibili, ma deve essere accantonata una percentuale non inferiore al 20% per eventuali imprevisti e si debbono accantonare le somme necessarie per pagare i creditori ammessi con riserva, o quelli la cui domanda è stata accolta con sentenza passata in giudicato. Contro il progetto i creditori possono esporre reclamo entro 15 giorni dalla comunicazione dell’avvenuto deposito. Il riparto finale avviene dopo, la approvazione del rendiconto del curatore , se i creditori non sono reperibili, le somme sono depositate presso l’ufficio postale o la banca indicati dal curatore. Le somme non riscosse nei successivi 5 anni dagli aventi diritto, sono distribuite ai creditori insoddisfatti, ed agli interessati che ne abbiano fatto richiesta.

Chiusura del fallimento: i fatti che danno chiusura al fallimento sono:a) ripartizione finale dell’attivo;b) avvenuta estinzione di tutti i debiti; c) mancata proposizione di domande di ammissione al passivo del fallimento nel termine stabilito dalla sentenza dichiarativa; d) insufficienza dell’attivo. La chiusura del fallimento non ha luogo, automaticamente ma deve essere dichiarata dal tribunale con decreto motivato su istanza del fallito, curatore o d’ufficio. Il decreto di chiusura, è soggetto al reclamo dinanzi alla corte di appello. Questo è efficace, solo quando è decorso inutilmente il termine per il reclamo o questo sia stato definitivamente rigettato.

IL CONCORDATO FALLIMENTARE: il concordato è un mezzo tramite il quale si ricorre, al soddisfacimento dei creditori senza ricorrere alla liquidazione giudiziaria del patrimonio del fallito. Il concordato non va confuso con gli accordi stragiudiziali. Il concordato è un atto complesso, al quale partecipano il fallito, i creditori ed in vario modo gli organi del fallimento. Nella disciplina originaria ruolo importante era riservato alla omologazione del tribunale che non solo verificava la legittimità dell’atto, e cioè la ricorrenza delle condizioni previste, ma anche la convenienza dello stesso. Ora invece la funzione del giudice in sede di omologazione, del concordato si limita ad una verifica della regolarità della procedura, e dell’esito delle votazioni con cui i creditori hanno espresso il loro consenso, risultando escluso ogni controllo sul merito della proposta. Il provvedimento di omologazione è adottato con decreto e non più con sentenza. Il concordato presuppone una proposta che può essere presentata non solo dal fallito, ma anche da uno o più creditori e da un terzo. La proposta da parte del fallito può essere proposta solo dopo il decorso di 1 anno dalla dichiarazione di fallimento, e purchè non siano trascorsi 2 anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo. La proposta deve contenere l’indicazione delle modalità con le quali verrebbero soddisfatti i creditori, e richiede la conoscenza della situazione debitoria. Può essere offerto il pagamento di una percentuale ( concordato remissorio) oppure, dell’intero ma dilazionato nel tempo( concordato dilatatorio). Può essere offerta anche la cessione di beni ai creditori o ad un terzo che assuma l’esecuzione degli obblighi previsti dal concordato, si può prevedere che i creditori muniti del diritto di prelazione non vengano soddisfatti integralmente. La legge prevede che i creditori siano suddivisi in classi secondo la loro posizione giuridica, e i loro interessi e che siano possibili

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trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a diverse classi. Tra le diverse proposte assume particolare rilievo, quella in cui le obbligazioni nascenti da concordato siano assunte da un terzo con immediata liberazione del fallito, quella cioè in cui vi sia un assuntore, del concordato. La proposta quando è presentata dai creditori, o da un terzo, può prevedere la cessione non solo dei beni compresi nell’attivo, ma anche le azioni già autorizzate dal giudice delegato e specificamente indicate. La proposta di concordato è presentata con ricorso al giudice delegato, che acquisisce il parere del curatore e quello favorevole del comitato dei creditori. Nel caso di pluralità di proposte è il comitato dei creditori, a scegliere quella da sottoporre alla attenzione dei creditori. La proposta di concordato viene sottoposta alla approvazione dei creditori. Il concordato riguarda i creditori chirografari, dovendo quelli ipotecari pignoratizi o privilegiati, essere soddisfatti per intero. Tuttavia anche questi sono ammessi a dare l’adesione al concordato e considerati nel calcolo della maggioranza, qualora la proposta ne preveda la soddisfazione non integrale, essi sono considerati chirografari per la parte residua del credito. Ai fini del concordato sono considerati tutti i creditori per i quali la proposta non preveda l’integrale pagamento; ma per l’adesione al concordato non hanno diritto di voto il coniuge, i parenti ,gli affini del fallito , i cessionari , e gli acquirenti dei crediti verso il fallito dopo la dichiarazione di fallimento. La proposta di concordato per ritenersi approvata deve avere il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto, e nel caso di differenti classi , quello dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto nella maggioranza delle classi medesime: qualora ai creditori siano sottoposte una pluralità di proposte, si considera approvata quella che ha conseguito il maggior numero di consensi, o in caso di parità quella presentata per prima. Se la proposta trova la sua maggioranza richiesta, allora il g.d. dispone che ne sia data comunicazione al proponente a che richieda l’omologazione del concordato al tribunale, al fallito, ed ai creditori dissenzienti , per la proposizione di eventuali opposizioni alla omologazione. In mancanza di opposizioni, il tribunale verifica la regolarità della procedura, e l’esito della votazione , omologa il concordato con decreto motivato, mentre nel caso contrario, il tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio. Il decreto che omologa il concordato è reclamabile in sede di appello. Divenuto definitivo il decreto di omologazione, essendo scaduti i tempi per opporsi, o esauritisi i procedimenti di impugnazione, la proposta di concordato diviene efficace. Il curatore rende conto della gestione e il tribunale dichiara chiuso il fallimento. Se le garanzie promesse non vengono costituite, o se gli obblighi del concordato non sono adempiuti dal proponente, il tribunale su richiesta di qualsiasi creditore, pronuncia la risoluzione del concordato e riapre la procedura fallimentare. Se invece risulta che il passivo è stato dolosamente esagerato o una parte dell’attivo sottratta o diminuita, il curatore e i creditori possono richiedere l’annullamento del concordato.

Riapertura del fallimento : la procedura di fallimento può essere riaperta, a) in conseguenza della risoluzione o dell’annullamento del concordato; b) quando non avendo i creditori trovato completo soddisfacimento, sopravvengono nel patrimonio del fallito, attività che rendono utile il provvedimento o il debitore faccia offerta di pagare almeno il 10 % ai creditori vecchi e nuovi.

ESDEBITAZIONE: la chiusura del fallimento, determina il venir meno, degli organi di fallimento e la cessazione degli effetti del fallimento sul patrimonio del fallito e delle conseguenti incapacità personali. Allo stesso modo i creditori del fallito riacquistano piena libertà di azione, per la realizzazione della parte non soddisfatta dei loro crediti. Tutto ciò implica per il fallito un grave ostacolo da superare, per poter riprendere l’attività economica. Perché i guadagni con essa

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realizzati possono venir aggrediti, dai creditori precedenti al fallimento. Si tratta di una regola secondo cui dei debiti si risponde pure con i beni futuri. Allora per consentire all’imprenditore dopo il fallimento un FINANCIAL FRESH RESTART, si fa riferimento alla esdebitazione: con essa il fallito persona fisica può essere ammesso al beneficio della liberazione dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali , limitatamente , alla parte dei debiti eccedente la percentuale attribuita ai creditori di pari grado nella liquidazione fallimentare : il che implica che i relativi crediti possono essere inesegibili. La legge esclude dalla esdebitazione gli obblighi di mantenimento e alimenti ed i debiti estranei all’esercizio della impresa o per il risarcimento dei danni derivanti da illecito extracontrattuale ,il fallito può essere ammesso al beneficio perché trattasi di beneficio e non di diritto solo se non ne ha già usufruito 10 anni prima. Anche in presenza della esdebitazione restano salvi i diritti verso i coobbligati, fideiussori e degli obbligati in via di regresso. La esdebitazione viene pronunciata con decreto del tribunale e può essere compresa nel decreto stesso di chiusura del fallimento oppure dichiarata autonomamente entro l’anno successivo su richiesta del fallito, sentiti il curatore e il comitato dei creditori.

Concordato preventivo:

DOMANDA Di AMMISSIONE ALLA PROCEDURA: l’imprenditore, che si trova in stato di crisi( temporaneo momento di insolvenza), può chiedere di essere ammesso alla procedura del concordato preventivo, sulla base di un piano, che può prevedere la ristrutturazione dei debiti, e la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma, ( anche mediante cessione dei beni, o attribuzione ai creditori di partecipazioni sociali), l’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore, la suddivisione dei creditori in classi secondo posizioni giuridiche ed interessi economici omogenei, al fine di sottoporre i creditori appartenenti a classi diverse a trattamenti tra loro differenziati, come pure la soddisfazione non integrale dei creditori privilegiati, nonché una transazione fiscale. La procedura di concordato preventivo, è anche essa una procedura concorsuale. Essa però, a differenza della procedura di fallimento che può essere iniziata su istanza dell’imprenditore insolvente come su istanza dei creditori, o del pubblico ministero ,può essere iniziata solo su istanza dell’imprenditore mediante ricorso al tribunale del luogo dove si trova la sede principale della impresa. Il ricorso, da comunicare al p.m. , deve essere corredato da una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa, da uno stato analitico e estimativo della attività, dall’elenco dei creditori e dei titolari dei diritti personali o reali sui beni di proprietà o in possesso del debitore, e dalla indicazione del valore dei beni e dei creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili. Se la domanda di concordato preventivo è proposta da una società , essa deve essere sottoscritta dai legali rappresentanti della società e approvata preventivamente dalla maggioranza dei soci o deliberata degli amministratori. Il piano e la documentazione devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili, che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano.

Provvedimenti del tribunale: se non ricorrono i presupposti, il tribunale sentito il debitore dichiara inammissibile la proposta di concordato con decreto non soggetto a reclamo: e su istanza del creditore o iniziativa del pubblico ministero , dichiara previo accertamento dei relativi presupposti, il fallimento del debitore con sentenza reclamabile. Altrimenti, con decreto non soggetto a

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reclamo, dichiara aperta la procedura di concordato preventivo e dà i seguenti provvedimenti: delega un giudice alla procedura di concordato; ordina la convocazione dei creditori nel termine di 30 giorni dal provvedimento e stabilisce il termine entro il quale questo deve essere comunicato ad essi; nomina il commissario giudiziale; stabilisce il termine entro il quale il ricorrente deve depositare in cancelleria del tribunale la metà della somma che si presume necessaria per le spese dell’intera procedura. L’esecuzione del deposito nel termine è condizione di procedibilità della domanda; ove non sia eseguito, il tribunale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato e in presenza delle condizioni di legge, dichiara su iniziativa di parte il fallimento. Il decreto di ammissione al concordato è pubblicato e se il debitore possiede beni immobili o altri beni registrati , viene trascritto in estratto nei pubblici registri.

Effetti dell’ammissione del decreto al concordato: l’ammissione al concordato preventivo, determina una modificazione della posizione giuridica dell’imprenditore, e dei suoi rapporti con creditori in base agli atti da lui compiuti. Tale ammissione non determina lo spossessamento del debitore, né una sostituzione nella amministrazione dei beni: il debitore conserva l’amministrazione dei beni e continua l’esercizio della impresa, agendo però sotto la vigilanza del commissario giudiziale. Tuttavia questi non può modificare da solo la situazione patrimoniale, ed ha bisogno della autorizzazione scritta del giudice delegato per il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione ,se compiuti senza autorizzazione sono privi di efficacia rispetto ai creditori. Nei confronti di questi, si determina , la preclusione delle azioni esecutive individuali e arresto di quelle già in corso; sospensione del corso della prescrizione e non verificarsi della decadenza , impossibilità di modificare la propria posizione mediante acquisto di diritti di prelazione. L’ammissione non importa alcun particolare effetto sui contratti in corso di esecuzione, questi devono avere normale svolgimento. L’ammissione al concordato non consente neppure la revoca degli atti compiuti dal debitore anteriormente alla domanda di concordato e che siano pregiudizievoli ai creditori. I creditori sono liberi di aderire alla proposta di concordato e potranno valutare la convenienza della proposta non solo alla stregua del patrimonio del debitore esistente al momento della proposta, ma anche alla stregua di quella parte di patrimonio che sia stata alienata e che possa essere acquistata alla massa in caso di fallimento tramite l’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari.

Organi della procedura: il tribunale, è l’organo che ha il compito di risolvere i conflitti che eventualmente possono sorgere anteriormente al compimento di atti da parte del debitore , per i quali sia necessaria l’autorizzazione scritta del giudice delegato, ma ha anche il compito di dare, attraverso l’omologazione la sanzione definitiva alla proposta di concordato. Il giudice delegato: ha il potere di dare le autorizzazioni richieste e deve riferire al tribunale in caso di mancata approvazione del concordato perché, su istanza del creditore o su richiesta del p.m., dichiari se del caso il fallimento , e in caso di approvazione , perché proceda al giudizio di omologazione. Commissario giudiziale: procede alla verifica dell’elenco dei creditori e dei debitori sulla scorta delle scritture contabili apportando le necessarie rettifiche e redige l’inventario del patrimonio e una relazione sulle cause del dissesto; riferisce al giudice delegato sul risultato delle sue indagini, controlla il debitore nella amministrazione dei beni , riferendo al giudice delegato ove necessario a

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promuove i provvedimenti a tutela dei creditori, inoltre egli ha diritto ad un compenso per la sua opera, assume responsabilità viene revocato dal tribunale.

Le fasi della procedura: ci sono tre fasi: A) accertamento della situazione patrimoniale del debitore: c’è la annotazione da parte del giudice delegato del decreto di ammissione sui libri contabili, nonché la redazione dell’inventario e della relazione da parte del commissario giudiziale. Se questi rileva che il debitore ha occultato o dissimulato una parte dell’attivo, o ha dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti , deve riferirne immediatamente al tribunale, che d’ufficio, apre il procedimento per la revoca della ammissione al concordato, dandone comunicazione al p.m. ed ai creditori: all’esito di tale procedimento, con decreto il tribunale revoca l’ammissione alla procedura e su richiesta del creditore o del p.m. , dichiara con sentenza il fallimento. Stessa conseguenza si verifica anche quando il debitore compia atti eccedenti l’ordinaria amministrazione non autorizzati dal giudice delegato. B) approvazione proposta di concordato: il concordato è approvato con il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Se la maggioranza qualificata non raggiunge il numero , la proposta si intende respinta : il giudice delegato ne riferisce al tribunale che provvede se del caso alla dichiarazione di fallimento. Per la discussione e approvazione del concordato i creditori vengono riuniti in apposita adunanza, che è presieduta dal giudice delegato: i creditori possono farsi rappresentare; il debitore deve invece intervenire personalmente e solo in caso di assoluto impedimento accertato dal giudice delegato, può farsi rappresentare da un mandatario speciale. L’adunanza consta di due fasi : 1) si discute l’ammissibilità e la convenienza della proposta di concordato e si fa luogo ad eventuali contestazioni di crediti da parte di singoli creditori o anche del debitore previa illustrazione della proposta e della relazione del commissario giudiziale; 2) si fa luogo alla votazione della proposta di concordato . alla prima fase partecipano tutti i creditori, dalla votazione restano invece esclusi: a) i creditori muniti di privilegio, pegno , ipoteca , a meno che non rinunciano al diritto di prelazione; b) coniuge , parenti ed affini , nonché i cessionari o aggiudicatari dei crediti di questi; c) i creditori esclusi dal giudice delegato. Dalla adunanza è redatto un verbale nel quale devono essere nominativamente indicati i creditori che hanno votato favorevolmente e quelli che hanno votato contro , e l’ammontare dei rispettivi crediti. Il verbale è sottoscritto dal g.d. , dal c.g., e dal cancelliere. C) omologazione del concordato: una volta approvata la proposta di concordato, il giudice delegato, riferisce al tribunale che fissa una udienza per la comparizione delle parti e del commissario. Il debitore, i creditori dissenzienti e il commissario devono costituirsi indicando i mezzi istruttori ed i documenti prodotti , almeno 10 giorni prima della udienza. Se non sono state proposte opposizioni, il tribunale verificata la regolarità della procedura e l’esito della votazione, omologa il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame; in caso contrario , assume tutte le informazioni e le prove necessarie. Il decreto di omologa deve essere motivato dal tribunale, comunicato al debitore e pubblicato. Se respinge il concordato dichiara su istanza del creditore, o su richiesta del p.m. e previo accertamento dei presupposti di legge , il fallimento del debitore. Contro il decreto che omologa o respinge il concordato è ammesso reclamo presso la corte di appello. Con il decreto di omologazione si chiude la procedura di concordato, ma non cessano le funzioni del commissario giudiziale.

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Se gli obblighi assunti con il concordato non vengono regolarmente adempiuti, ciascun creditore può chiederne la risoluzione per inadempimento entro un anno dalla scadenza del termine dell’ultimo adempimento con esso previsto. Il concordato può invece essere annullato, su istanza del commissario o dei singoli creditori se si scopre che il passivo è stato dolosamente esagerato, oppure che è stata sottratta una parte rilevante dell’attivo. Il ricorso per l’annullamento deve essere proposto nel termine di 6 mesi dalla scoperta del dolo , ed in ogni caso non oltre 2 anni dalla scadenza del termine dell’ultimo adempimento.

Nel sistema originario, la legge prevedeva in alcune ipotesi,( inammissibilità della proposta di concordato preventivo, mancata approvazione o mancata omologazione del tribunale della proposta stessa), l’automatica dichiarazione di fallimento del debitore ammesso alla procedura di concordato preventivo. A seguito della riforma organica, questo automatismo è venuto meno, da un lato con l’eliminazione del potere del tribunale di dichiarare il fallimento d’ufficio, dall’altro con la circostanza che almeno il presupposto oggettivo del concordato non coincide più con quello del fallimento. Le due procedura si susseguono, e sorge un problema circa i crediti sorti durante la procedura di concordato preventivo; ai fini così del concorso fallimentare devono restare esclusi i crediti che siano sorti durante la procedura di concordato preventivo. In tal caso i creditori possono far valere i loro diritti, una volta che il fallimento è chiuso, sui beni residui o successivamente acquistati dall’imprenditore. Circa invece i crediti legittimamente acquisiti durante il concordato, si prevede ora che i crediti sorti in occasione o in funzione del concordato preventivo siano da considerarsi crediti prededucibili nel successivo fallimento.

Omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti: con la riforma organica, è stata riconosciuta la possibilità all’imprenditore in stato di crisi, di chiedere al tribunale l’omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti ( transizione fiscale), conclusi dal debitore con i propri creditori in sede stragiudiziale cioè al di fuori di una procedura concorsuale, purchè consti il consenso dei creditori rappresentanti almeno il 60 % dei crediti. Si tratta di accordi che vincolano nonostante l’omologazione unicamente le parti e non i creditori estranei: questi devono essere soddisfatti nei termini originariamente stabiliti, e la legge si preoccupa di assicurare che ciò accada effettivamente , richiedendo che la domanda di omologazione sia accompagnata , da una relazione di un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili ed in possesso dei requisiti per assumere il ruolo di curatore ed assicurare ai terzi estranei il regolare pagamento. L’accordo diviene efficace tra le parti, dal giorno della sua pubblicazione nel registro delle imprese. Dalla data di pubblicazione decorre il termine di 30 giorni entro il quale i creditori ed ogni altro interessato possono proporre opposizione. Decise le eventuali opposizioni, il tribunale omologa l’accordo con decreto motivato che deve essere pubblicato nel registro delle imprese, ed è reclamabile alla corte di appello entro i successivi 15 giorni.

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liquidazione coatta amministrativa è una procedura concorsuale che si applica ad alcune categorie d’impresa predeterminate dalla legge:

Imprese bancarie e assicurative, imprese fiduciarie, la società monte titoli. Società con partecipazione dell’Istituto per la ricostruzione industriale, SIM E SICAV. Imprese finanziate dal fondo per il finanziamento dell’industria meccanica Società cooperative

La liquidazione coatta amministrativa ha la sua fonte regolamentare in parte nella legge ordinaria (legge fallimentare) e, in parte, nelle leggi speciali. La crisi economica della impresa è solo una delle possibili cause del suo intervento, per esempio altre cause autonome possono essere l’irregolare funzionamento dell’impresa, esercizio della impresa senza autorizzazione, mancata osservanza degli obblighi e delle direttive imposte e a volte generiche ragioni di pubblico interesse, le quali a giudizio insindacabile nel merito della pubblica autorità , impongono la soppressione dell’ente. I presupposti obiettivi qui sono decisamente più ampi rispetto a quelli delle altre procedure, e non sempre sussistono le esigenze alle quali si soddisfa attraverso la procedura concorsuale. Quando il provvedimento è determinato da irregolare funzionamento dell’impresa o da ragioni di pubblico interesse senza che si verifichi una crisi economica della impresa, la necessità del soddisfacimento dei creditori permane come presupposto della soppressione dell’ente e trova fondamento nel principio secondo cui la definizione dei rapporti con i terzi costituisce un elemento del procedimento di estinzione.

A) Per le imprese per le quali è prevista la liquidazione coatta amministrativa, il fallimento può essere dichiarato solo se ammesso dalla legge.

B) Vige il principio della prevenzione, per cui la dichiarazione di fallimento preclude la liquidazione coattiva e viceversa

C) Quando la dichiarazione di fallimento non è ammessa per quella categoria di imprese, in sostituzione della dichiarazione di fallimento si fa luogo l’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza, con la conseguenza di rendere applicabili le norme dirette a tutelare i creditori di fronte agli atti compiuti precedentemente, o con i quali si sono sottratte garanzie ai creditori o si è violata la par condicio , e di rendere altresì applicabili le disposizioni in tema di reati fallimentari. Il sistema è logico: l’unica esigenza che può sussistere, nella ipotesi in cui il fallimento non è ammissibile, è quella di assicurare la conservazione del patrimonio in attesa che sia emanato il provvedimento di liquidazione, e nella ipotesi in cui la liquidazione sia già in atto, quella di consentire la dichiarazione di inefficacia degli atti compiuti a danno dei creditori e in violazione della par condicio : le differenze fondamentali tra

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fallimento e liquidazione non riguardano tanto la posizione sostanziale dei diversi interessati, ma riguardano essenzialmente la procedura , le modalità di attuazione del concorso. Mentre il fallimento è un procedimento che si risolve integralmente nell’ambito giurisdizionale, la liquidazione amministrativa , è un procedimento nel quale l’intervento della autorità giudiziaria si attua solo per l’accertamento di certe situazioni, mentre i compiti di natura amministrativa sono demandati, ad organi amministrativi, e sono svolti sotto la vigilanza ed il controllo della autorità amministrativa.

L’apertura del procedimento di liquidazione coatta preclude al creditore le azioni individuali in sede di giurisdizione ordinaria, poiché i creditori devono far valere le proprie istanze nella procedura amministrativa di accertamento dei crediti attuata dal commissario giudiziale.

Organi

Commissario Liquidatore( pubblico ufficiale).

L’art. 198 l. Fall. prevede la nomina di un commissario liquidatore, ovvero di tre commissari, laddove l’importanza dell’impresa lo consigli. Il Commissario liquidatore, cui è affidata l’amministrazione del patrimonio dell’impresa,una volta ricevuto sulla base di un inventario, insieme con le scritture contabili e gli altri documenti di impresa , e gestione della impresa durante la fase di liquidazione può:

Autorizzare gli atti di straordinaria amministrazione Esercitare le competenze che, nel fallimento, sono del giudice delegato Nominare legali per cause attive o passive Esercitare azioni revocatorie Proseguire con l’attività d’impresa, con l’autorizzazione dell’Autorità di Vigilanza Esercitare l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori dell’impresa sottoposta

alla liquidazione.

Il commissario liquidatore è un pubblico ufficiale e deve dunque adempiere con diligenza ai doveri del proprio ufficio e la responsabilità dell’organo sottostà al medesimo regime che si applica al curatore fallimentare. L’autorità di vigilanza può revocare il commissario con un provvedimento amministrativo; tale provvedimento può essere impugnato davanti al giudice amministrativo. Egli deve svolgere le sue funzioni con diligenza e personalmente , pur potendo avvalersi dell’ausilio di tecnici o di persone retribuite.

Comitato di sorveglianza

Il comitato di sorveglianza è composto da 3 o 5 membri che divengono pubblici ufficiali e sono scelti tra persone con esperienza nell’attività imprenditoriale dell’impresa in liquidazione. La funzione del comitato di sorveglianza è paragonabile a quella del comitato dei creditori nel fallimento, anche se è un organo consultivo i cui pareri, dunque, non sono vincolanti. Il comitato dà pareri in materia di:

Riduzione di crediti, compromessi, riconoscimento dei diritti dei terzi, eredità e donazioni, restituzione di pegni

Vendita in blocco di beni mobili e immobili ( parere vincolante) Autorizzazione della proposta del concordato;

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Distribuzione di acconti ai creditori. Inoltre fa un rapporto semestrale, all’autorità di vigilanza, sulla situazione patrimoniale della impresa e sull’andamento della gestione, assiste in fine il commissario liquidatore nella sorveglianza dell’esecuzione del concordato.

Autorità amministrativa di Vigilanza

Riassume in se le funzioni del comitato dei creditori, del tribunale e del giudice delegato, sovraintendendo alle operazioni di liquidazione. L’autorità amministrativa di vigilanza ha una funzione di indirizzo e controlla l’attività del Commissario liquidatore tramite i ragguagli del Comitato di sorveglianza. Inoltre chiede chiarimenti al commissario ed impartisce direttive generali, nomina e revoca gli altri due organi della liquidazione, autorizza le vendite in blocco ed i riparti parziali, liquida i compensi.

Il Procedimento

La liquidazione coatta amministrativa è la procedura di gestione delle imprese assoggettate a controllo pubblico.

La procedura si apre con un provvedimento amministrativo dell’autorità amministrativa competente, solitamente su proposta dell’autorità di vigilanza o conseguentemente ad una sentenza che abbia accertato lo stato d’insolvenza. La sentenza in questione vincola l’autorità amministrativa competente a disporre la liquidazione coatta [14] Nel caso in cui ci sia concorso tra liquidazione coatta amministrativa e fallimento vige la regola della prevenzione [15] , per cui l’apertura di una delle due procedure preclude l’accesso all’altra. La preclusione ha luogo nel momento in cui si ha il deposito in cancelleria della sentenza di fallimento e dalla data di pubblicazione sulla gazzetta Ufficiale del provvedimento che ordina la liquidazione coatta. La procedura può essere iniziata anche contro la volontà dei creditori o dell’imprenditore, poiché la logica della liquidazione coatta è l’eliminazione dell’ente o dell’impresa dal mercato.

Quindi la liquidazione si apre con un provvedimento della Pubblica Amministrazione pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica, anche se gli effetti decorrono dal momento dell’emanazione del provvedimento e non da quella della pubblicazione che può avvenire fino a dieci giorni dopo l’emissione. Il decreto di messa in liquidazione coatta è impugnabile dinanzi al tribunale del luogo ove l’impresa ha sede ed è revocabile dalla stessa Amministrazione che l’ha emanato. L’autorità amministrativa nomina il commissario liquidatore ed il comitato di sorveglianza. Le limitazioni al diritto di difesa nel corso della procedura e alla libertà d’iniziativa economica hanno sollevato alcuni dubbi sulla Costituzionalità della liquidazione coatta, ma la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità di quest’ultima, poiché i limiti alla libertà d’impresa sono giustificati dagli interessi generali che si intende tutelare. Gli effetti sono : 1)spossessamento del debitore di tutti i beni, eccetto quelli personalissimi, e indisponibilità di essi da parte del proprietario; 2) sostituzione del commissario liquidatore all’imprenditore e per le persone giuridiche e società agli organi sociali nella amministrazione del patrimonio; 3) effetti che una procedura concorsuale produce nei confronti dei creditori e sui rapporti giuridici preesistenti.

Le fasi in cui si svolge la procedura di liquidazione coatta amministrativa sono analoghe a quelle del fallimento: formazione dello stato passivo, liquidazione e ripartizione dell’attivo.

Formazione del passivo

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La formazione dello stato passivo subisce rilevanti modificazioni rispetto alla procedura del fallimento, data la diversa struttura degli organi della liquidazione. Infatti non c’è un dibattito davanti al giudice delegato, ma il commissario deve comunicare l’ammontare dei crediti riconosciuti ad ogni singolo creditore a mezzo raccomandata. La comunicazione è effettuata con riserva di verifica delle eventuali contestazioni, per cui non è vincolante per il commissario. Il creditore che non sia soddisfatto deve comunicare entro quindici giorni le proprie osservazioni, che possono essere relative al quantum o alla natura del credito. I creditori e i titolari di diritti immobiliari che non hanno ricevuto alcuna comunicazione dal commissario liquidatore hanno l’onere di presentare la propria domanda entro 60 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Della repubblica Italiana. Tutti i creditori devono sottostare al vaglio del commissario giudiziale e tutte le pretese devono essere azionate in via amministrativa. Con il deposito in cancelleria lo stato passivo diviene esecutivo e non è più possibile modificarlo o revocarlo. Il deposito assolve una duplice funzione: pubblicità notizia sui debiti dell’impresa e sui debitori concorrenti. Entro novanta giorni dal provvedimento di liquidazione, il commissario forma l’elenco di creditori ammessi o respinti e lo deposita nella cancelleria nel luogo in cui l’impresa ha la sede principale. In una fase eventuale di formazione del passivo, i creditori e gli altri interessati possono presentare opposizioni o impugnazioni, queste sono regolate dalla legge fallimentare, se e per quanto compatibile. Ovviamente sostituendo al giudice delegato ed al curatore, rispettivamente, il giudice istruttore ed il commissario liquidatore . Il termine per le opposizioni e le impugnazioni decorre dalla comunicazione individuale del deposito in cancelleria, poiché non vi è un provvedimento giudiziale che renda esecutivo lo stato passivo. È incerta l’applicazione di alcune norme sul fallimento, in questa fase eventuale, soprattutto per quanto riguarda le pretese da far valere in sede di formazione dl passivo ed il rito, in particolare sulle modalità di accertamento del passivo e la loro compatibilità con le norme dell’art. 103 L. Fall. sulle domande tardive.

Liquidazione dell’attivo

In questa fase si nota moltissimo il distacco dalla procedura fallimentare. Il commissario liquidatore ha la massima autonomia per quanto riguarda le operazioni di liquidazione dell’attivo, tranne che per la vendita in blocco di beni immobili e mobili, per la quale necessita dell’autorizzazione dell’Autorità di Vigilanza, previo parere del comitato di sorveglianza. Le operazioni di liquidazione possono essere effettuate in qualsiasi momento. Il commissario liquidatore, dunque, può procedere anche con strumenti di liquidazione privatistici (per esempio un contratto di compravendita per la liquidazione di un immobile e non un decreto di trasferimento), ma si tratta sempre di vendite coattive, per cui non possono essere esclusi alcuni effetti tipici di queste vendite, come l’effetto purgativo. La cancellazione dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie esistenti sui beni liquidati dal commissario può essere effettuata soltanto con il consenso del creditore o in forza di sentenza passata in giudicato o di «altro provvedimento definitivo emesso dalle autorità competenti» . Altra operazione tipica della liquidazione dell’attivo è a riscossione dei crediti, cui il commissario può provvedere anche con gli strumenti ordinari come il procedimento di cognizione o il procedimento di esecuzione, infatti per il versamento dei decimi dovuti dai soci limitatamente responsabili si applicano le norme relative al fallimento .

Ripartizione dell’attivo

Si procede innanzitutto con ripartizioni parziali, in occasione dei quali vengono effettuati gli accantonamenti, poi si procede con la ripartizione finale. Il commissario può distribuire acconti parziali, sia a tutti i creditori, sia ad alcune categorie di essi, anche prima che siano realizzate tutte le attività e accertate tutte le passività, una volta sentito il comitato di sorveglianza e con l'autorizzazione dell'autorità. Ma questi non hanno carattere irrevocabile come le ripartizioni parziali, ma sono provvisori e revocabili. L’erogazione degli acconti parziali è espressione della

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discrezionalità amministrativa, per cui è insindacabile, salvi, ovviamente, i vizi rilevabili davanti al giudice amministrativo. I riparti parziali possono essere impugnati con gli stessi mezzi previsti per il riparto finale di cui all’art. 213, 2° L. Fall. L’articolo 212 della legge fallimentare inoltre recita: «Le domande tardive per l'ammissione di crediti o per il riconoscimento dei diritti reali non pregiudicano le ripartizioni già avvenute, e possono essere fatte valere sulle somme non ancora distribuite.»

Chiusura del Procedimento

Non sono previsti specifici atti per la chiusura della procedura, né è previsto un procedimento di chiusura.

Il commissario liquidatore redige il bilancio finale della liquidazione con il conto della gestione ed il riparto finale; il comitato di sorveglianza stende una relazione. L’autorità di vigilanza sottopone questi atti al controllo di regolarità formale e sostanziale, se non ritiene di dover formulare osservazioni, ne autorizza il deposito nella cancelleria del tribunale ove ha sede l’impresa.

L’Autorità liquida il compenso del commissario, prima dell’approvazione del rendiconto. Ai creditori viene data notizia dell’avvenuto deposito mediante pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e sui giornali che l’autorità di vigilanza ha indicato nel provvedimento autorizzativo. Gli interessati possono presentare contestazioni od osservazioni con ricorso al tribunale entro 20 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta. Le contestazioni possono riguardare sia il bilancio di liquidazione, sia il piano di riparto, ma in questo secondo caso, esse possono riguardare solo le modalità di ripartizione e non anche il diritto dei singoli creditori a parteciparvi. Se non vengono presentate contestazioni, il conto di gestione ed il riparto finale si danno per approvati ed il commissario liquidatore può procedere con il riparto finale.

Se ci sono ricorsi, la cancelleria ne fa pervenire notizia all’Autorità di Vigilanza ed al comitato di sorveglianza che possono presentare, entro 20 giorni, le loro osservazioni. Il presidente del tribunale nomina un giudice istruttore. Il giudizio può avere ad oggetto le contestazioni relative a tutti i documenti depositati ed è devoluto al giudice istruttore che funge da giudice unico. Avvenuti i pagamenti, conseguentemente al riparto finale dell’attivo, la procedura si chiude, decadono tutti gli organi e l’impresa si estingue. Se dovesse risultare un residuo della liquidazione, questo si dividerà tra i soci con conseguente estinzione dei rapporti e cancellazione della società dal Registro delle imprese. Il procedimento di liquidazione può concludersi, con un concordato. Qui però esso si attua al di fuori di ogni partecipazione dei creditori. I quali non sono chiamati a approvare proposta di concordato, ma possono solo far valere le proprie ragioni mediante opposizione dinanzi al tribunale, al quale è rimessa la pronuncia sull’accoglimento o sul rigetto della proposta. L’approvazione del concordato non importa la cessazione delle funzioni degli organi della procedura: questi rimangono fino a quando il concordato non sia stato eseguito per sorvegliarne l’adempimento. Il concordato può essere risolto su istanza del liquidatore o dei creditori, in caso di inadempimento degli obblighi assunti, come può essere annullato quando sia stato dolosamente esagerato il passivo oppure sottratta o dissimulata una parte notevole dell’attivo. Alla risoluzione e all’annullamento del concordato consegue la riapertura della liquidazione amministrativa.

L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza è una procedura concorsuale, introdotta nel 1979 dalla legge Prodi e ora regolata dal D. Lgs. 270/99. Essa ha una finalità conservativa del patrimonio dell'impresa, al contrario delle altre procedure concorsuali (il fallimento e la liquidazione coatta amministrativa), che hanno invece finalità liquidativa.

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Essa infatti mira al recupero e al risanamento delle grandi imprese che versano in uno stato di insolvenza, per evitare la dispersione del patrimonio aziendale e la perdita di un gran numero di posti di lavoro.

Presupposti [modifica]

Presupposto soggettivo:

la procedura può essere applicata alle imprese, anche individuali, soggette a fallimento. l'imprenditore deve presentare richiesta di ammissione al Ministero dello Sviluppo

Economico.

Sono dunque esclusi gli imprenditori non commerciali, i piccoli imprenditori e gli enti pubblici, ex art. 1 l.f.

Presupposti oggettivi: le imprese commerciali

devono essere in stato di insolvenza; devono avere un numero di dipendenti non inferiore a 200; devono avere un indebitamento complessivo pari ad almeno i 2/3 tanto del totale dell'attivo

dello stato patrimoniale che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio.

Se concorrono tali presupposti, ed se è accertato lo stato di insolvenza il tribunale, invece che dichiarare con sentenza il fallimento, deve pronunciare una sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza. Da ciò si prevede una fase intermedia volta a verificare la possibilità di risanamento; a seconda poi dell’esito di tale verifica avrà luogo il fallimento oppure l’apertura della vera e propria amministrazione straordinaria, volta appunto a finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione , riattivazione, o riconversione delle attività imprenditoriali. La decisione poi di procedere al fallimento oppure alla ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria può essere adottata anche con decreto, e le opposizioni contro tale decreto, non possono contestare la sussistenza dello stato di insolvenza, ma solo degli specifici presupposti della procedura adottata. Perciò la sentenza che accerta la mancanza di requisiti dimensionali richiesti non procede alla sua revoca : sua conseguenza è solo la conversione , con decreto motivato del tribunale, della procedura in fallimento. Tale sentenza di dichiarazione dello stato di insolvenza nomina uno o tre commissari giudiziali un giudice delegato e apre la fase preliminare. Inoltre si provvede a fissare i termini per le domande di ammissione al passivo da parte dei creditori e di rivendicazione dei terzi che vantano diritti su beni mobili in possesso dell’imprenditore dichiarato insolvente, a stabilire la data per l’adunanza ove davanti al giudice delegato si procederà all’esame dello stato passivo e , a decidere se la gestione dell’impresa sarà in questa fase lasciata all’imprenditore insolvente oppure affidata al commissario giudiziale. La sentenza che dichiara lo stato di insolvenza produce gli stessi effetti della sentenza di fallimento, ossia anche lo spossessamento del debitore nell’ipotesi di affidamento dell’impresa al commissario giudiziale ed in ogni caso l’assoggettamento dei creditori alle regole del concorso e l’inefficacia delle formalità e dei pagamenti effettuati successivamente. In entrambi i casi i crediti sorti per la continuazione della impresa e la gestione del patrimonio del debitore devono essere soddisfatti in prededuzione.

Fase preliminare

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In questa fase bisogna accertarsi che esistano per l'impresa "concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico". Solo ed esclusivamente in caso di giudizio positivo, il procedimento potrà continuare, ammettendo l'impresa alla procedura di amministrazione straordinaria, con decreto motivato dal tribunale. In caso contrario, infatti, il tribunale pronuncerà il fallimento allorché ne ricorrano i presupposti. Al fine di evitare un eccesso di discrezionalità, il legislatore ha voluto delimitare il tipo di interventi possibili per tale recupero, e definire il procedimento per accertare tale possibilità. Il compito di verificare la sussistenza di tali condizioni è affidato al commissario giudiziale che deve, entro 30 giorni dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, depositare una relazione che esponga le cause dell'insolvenza e che esprima una valutazione motivata circa l'esistenza di concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali. Tale risultato deve potersi realizzare, in via alternativa tramite la cessione dei complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno ("programma di cessione dei complessi aziendali"), oppure tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa, sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni ("programma di ristrutturazione"). Ad essi è stato poi aggiunto ma solo per le società operanti nel settore dei servizi essenziali, la cessione dei complessi di beni e contratti, sulla base di un programma non superiore ad un anno. Il tribunale, entro trenta giorni dal deposito della relazione, tenuto conto del parere e delle osservazioni depositati, nonché degli ulteriori accertamenti eventualmente disposti, dichiara con decreto motivato l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria. In caso contrario, dichiara con decreto motivato il fallimento. Le imprese di maggiori dimensioni possono richiedere al Ministero delle attività produttive con istanza motivata corredata di adeguata documentazione l’immediata ammissione alla amministrazione straordinaria.

Svolgimento della procedura [modifica]

Entro cinque giorni dalla comunicazione del decreto che dichiara aperta la procedura, il Ministero delle Attività Produttive, dopo aver verificato la sussistenza dei soli requisiti dimensionali, nomina con decreto uno o tre commissari straordinari, che prendono il posto del commissario o dei commissari giudiziali nominati per la fase preliminare, e che debbono provvedere alla amministrazione della impresa fino alla dichiarazione dello stato di insolvenza compiendo ogni atto utile al suo accertamento. Il ministro nomina inoltre un comitato di sorveglianza, che esprime il parere sugli atti del commissario nei casi previsti dalla legge e in ogni altro caso in cui il Ministero dell'industria lo ritiene opportuno. Il commissario straordinario ha la gestione dell'impresa e l'amministrazione dei beni dell'impresa; egli deve scegliere una delle seguenti strategie di risanamento:

un programma di cessione dei beni aziendali oppure un programma di ristrutturazione

e deve, dopo l'autorizzazione dal Ministero delle Attività Produttive, attuarlo.

Il programma deve indicare:

a) le attività imprenditoriali destinate alla prosecuzione e quelle da dismettere;

b) il piano per la eventuale liquidazione dei beni non funzionali all'esercizio dell'impresa;

c) le previsioni economiche e finanziarie connesse alla prosecuzione dell'esercizio dell'impresa;

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d) i modi della copertura del fabbisogno finanziario, con specificazione dei finanziamenti o delle altre agevolazioni pubbliche di cui è prevista l'utilizzazione.

Se è adottato l'indirizzo della cessione dei complessi aziendali, il programma deve altresì indicare le modalità della cessione, segnalando le offerte pervenute o acquisite, nonché le previsioni in ordine alla soddisfazione dei creditori.

Se è adottato l'indirizzo della ristrutturazione dell'impresa, il programma deve indicare, inoltre, le eventuali previsioni di ricapitalizzazione dell'impresa e di mutamento degli assetti imprenditoriali, nonché i tempi e le modalità di soddisfazione dei creditori, anche sulla base di piani di modifica convenzionale delle scadenze dei debiti o di definizione mediante concordato.

Il commissario può proporre azioni revocatorie fallimentari soltanto se è stata autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali, non invece quando vi è l’attuazione di un programma di ristrutturazione. Per quanto riguarda i contratti in corso di esecuzione, regola generale è quella di una loro continuazione, salva la facoltà del commissario straordinario di sciogliersi da essi, facoltà che egli può esercitare anche dopo aver eseguito il contratto o averne richiesta l’esecuzione fino a quando non abbia espressamente dichiarato di subentrarvi.

Cessazione della procedura [modifica]

La procedura di amministrazione straordinaria cessa nei seguenti casi, in cui il tribunale ne dispone con decreto la conversione in fallimento:

qualora, in qualsiasi momento nel corso della procedura di amministrazione straordinaria, risulta che la stessa non può essere utilmente proseguita;

quando, essendo stato autorizzato un programma di cessione dei complessi aziendali, tale cessione non sia ancora avvenuta, in tutto o in parte, alla scadenza del programma;

quando, essendo stato autorizzato un programma di ristrutturazione, l'imprenditore non abbia recuperato la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni alla scadenza del programma.

Chiusura della procedura [modifica]

La procedura di amministrazione straordinaria si chiude:

se, nei termini previsti dalla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, non sono state proposte domande di ammissione al passivo;

se, anche prima del termine di scadenza del programma, l'imprenditore insolvente ha recuperato la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni;

con il passaggio in giudicato della sentenza che approva il concordato.

Se è stato autorizzato un programma di cessione dei complessi aziendali, la procedura di amministrazione straordinaria si chiude altresì:

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quando, anche prima che sia compiuta la ripartizione finale dell'attivo, le ripartizioni ai creditori raggiungono l'intero ammontare dei crediti ammessi, o questi sono in altro modo estinti e sono pagati i compensi agli organi della procedura e le relative spese;

quando è compiuta la ripartizione finale dell'attivo

I reati concorsuali: reati concorsuali sono tutti quei fatti che la legge punisce, siano essi compiuti dall’imprenditore, o invece da altre persone prima dell’instaurarsi di una procedura concorsuale o quando questa sia in atto, solo in quanto una procedura concorsuale si determini. Il reato non sussiste o l’azione penale non può essere esercitata fino a quando non si inizi una procedura concorsuale. Tra i reati concorsuali, assumono particolare rilievo quelli fallimentari.

Bancarotta: la bancarotta è un reato fallimentare, commesso dalla persona del fallito, ed a seconda che l’elemento soggettivo del reato si concreti in un dolo o in una colpa, abbiamo la bancarotta fraudolenta o semplice. La dichiarazione di fallimento è la condizione obbiettiva di punibilità. Al di fuori del fallimento , non vi è bancarotta e se il fallimento è revocato per difetto di presupposti la bancarotta viene meno e l’azione penale eventualmente iniziata cade. L’insolvenza non è sufficiente, occorre la dichiarazione di fallimento.

BANCAROTTA FRAUDOLENTA: è punito a titolo di bancarotta fraudolenta,

A) l’imprenditore fallito che prima o durante il fallimento abbia dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, oppure abbia esposto o riconosciuto passività inesistenti. Si colpisce con ciò l’artificiosa sottrazione dell’attivo alla azione esecutiva dei creditori e altresì l’aumento artificioso del passivo. In entrambi i casi è necessario il dolo specifico.

B) L’imprenditore che prima del fallimento abbia sottratto, distrutto, o falsificato in tutto o in parte ,con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori , i libri e le altre scritture contabili, o li abbia tenuti in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, o che durante il fallimento abbia sottratto distrutto o falsificato i libri e le altre scritture contabili. Anche qui mentre la falsificazione sottrazione o distruzione delle scritture contabili antecedente al fallimento deve essere qualificata dall’intento specifico di ricavare un vantaggio o di procurare un danno ai creditori, questa qualificazione non è necessario che venga dimostrata , essendo in re ipsa, quando i fatti avvengono durante la procedura fallimentare.

C) L’imprenditore che prima o durante la procedura fallimentare allo scopo di favorire a danno dei creditori alcuni di essi, esegua pagamenti o simuli titoli di prelazione.

RICORSO ABUSIVO AL CREDITO: accanto al reato di bancarotta , è punito il ricorso abusivo al credito, ossia il fatto che l’imprenditore ricorra al credito, dissimulando lo stato di dissesto, o di insolvenza, anche quando non ricorrano gli estremi della bancarotta semplice o fraudolenta. Sussiste reato per il solo fatto che è messa in forse la possibilità di restituzione. Non si tratta di reato colposo, ma di reato doloso. La pena consiste nella reclusione da 6 mesi a 3 anni, e come pena accessoria è prevista l’inabilitazione all’esercizio della impresa e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi, fino a 3 anni.

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