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 DIRITTO INTERNAZIONALE LE ORIGINI E L’EVOLUZIONE DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE Il diritto di una comunità di stati. Il diritto internazionale è l’insieme delle norme che regolano i rapporti tra gli stati. I soggetti tipici destinatari delle sue norme sono gli stati. Operano nel diritto internazionale anche soggetti diversi dagli stati. Basti pensare alle or ganizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite o la Comunità Europea.q La comuni internazionale ha come su oi so gg etti degl i enti so vr an i: è sovrano l’ente che non è subordinato alle decisioni prese da altri enti che siano a esso superiori. Gli stati si trovano in una posizione di reciproca parità, designata con l’espressione sovrana uguaglianza degli stati . La Carta delle Nazion i Unite esprime chiara mente l’idea che gli stati membri mantengono la loro originaria sovranità e si collocano in una posizione di reciproca uguaglianza ( art. 2 C.N.U.). Una comunità rudimentale e primitiva. A causa dell’assenza di un’aut or ità superiore agli stati, l’ or dinamento internazionale presenta i caratteri di un ordinamento atipico. Sul piano normativo, le norme del diritto internazionale derivano dal consenso degl i stessi so gg et ti (gli stati) che ne sono de st inat ar i e sono prodotte mediante procedimenti, formali o informali, che coinvolgono direttamente tali soggetti. Queste norme rientrano nelle due categorie del dirit to consuetudinario e dei trattati: le leggi, nel senso in cui esse sono intese negli ordinamenti interni, non esistono nel sistema del diritto internazionale. Sul piano giudiziario, le corti o gli arbitri internazionali possono pronunciare una sentenza sul merito di una controversia solo se tutte le parti hanno accettato la giurisdizione del giudice adito. In mancanza del suo consenso, uno stato sovrano non può essere sottoposto alla giurisdizione di un giudice internazionale. Sul piano esecutivo, non esistono apparati precostituiti che possano garantire l’osservanza delle norme di diritto internazionale da parte degli stati. Nel diritto inte rnazionale è tu tt or a pr esente una forma di autotu te la, os sia la rappresaglia, che è da tempo bandita dai sistemi di diritto interno, dove il diritto di infliggere sanzioni rientra nel monopolio degli organi dello stato. Le origini storiche del diritto internazionale. Le varie ipotesi. Secondo un’opi nione, le or igini st oriche della comunità internazionale andrebbero collocate nel periodo del XVI e XVII secolo, quando si ebbe in 1

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DIRITTO INTERNAZIONALE

LE ORIGINI E L’EVOLUZIONE DELLA COMUNITA’INTERNAZIONALE

Il diritto di una comunità di stati.

Il diritto internazionale è l’insieme delle norme che regolano i rapporti tra glistati. I soggetti tipici destinatari delle sue norme sono gli stati.Operano nel diritto internazionale anche soggetti diversi dagli stati. Bastipensare alle organizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite o laComunità Europea.qLa comunità internazionale ha come suoi soggetti degli enti sovrani: èsovrano l’ente che non è subordinato alle decisioni prese da altri enti chesiano a esso superiori. Gli stati si trovano in una posizione di reciproca parità,designata con l’espressione sovrana uguaglianza degli stati .La Carta delle Nazioni Unite esprime chiaramente l’idea che gli stati membrimantengono la loro originaria sovranità e si collocano in una posizione direciproca uguaglianza (art. 2 C.N.U.).

Una comunità rudimentale e primitiva.

A causa dell’assenza di un’autorità superiore agli stati, l’ordinamento

internazionale presenta i caratteri di un ordinamento atipico.Sul piano normativo, le norme del diritto internazionale derivano dal consensodegli stessi soggetti (gli stati) che ne sono destinatari e sono prodottemediante procedimenti, formali o informali, che coinvolgono direttamente talisoggetti. Queste norme rientrano nelle due categorie del dirittoconsuetudinario e dei trattati: le leggi, nel senso in cui esse sono intese negliordinamenti interni, non esistono nel sistema del diritto internazionale.Sul piano giudiziario, le corti o gli arbitri internazionali possono pronunciareuna sentenza sul merito di una controversia solo se tutte le parti hannoaccettato la giurisdizione del giudice adito. In mancanza del suo consenso,uno stato sovrano non può essere sottoposto alla giurisdizione di un giudice

internazionale.Sul piano esecutivo, non esistono apparati precostituiti che possano garantirel’osservanza delle norme di diritto internazionale da parte degli stati. Nel dirittointernazionale è tuttora presente una forma di autotutela, ossia larappresaglia, che è da tempo bandita dai sistemi di diritto interno, dove ildiritto di infliggere sanzioni rientra nel monopolio degli organi dello stato.

Le origini storiche del diritto internazionale.

Le varie ipotesi.

Secondo un’opinione, le origini storiche della comunità internazionaleandrebbero collocate nel periodo del XVI e XVII secolo, quando si ebbe in

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Europa la costituzione di una pluralità di stati nazionali. Momentoemblematico del nuovo assetto politico sarebbe la fine della guerra deitrent’anni. La pace fu conclusa con i trattati firmati separatamente in due cittàdella Westfalia. Con la pace di Westfalia, l’Europa divenne un insieme di statipienamente sovrani, che erano costituiti entro frontiere delineate con

precisione.Secondo un’altra opinione, le origini storiche della comunità internazionalerisalirebbero all’alto medioevo e al periodo compreso tra il IX e l’XI secolo. Sisvilupparono intensi rapporti tra le entità politiche caratterizzate da unacomune fede cristiana e subordinate alla suprema autorità, temporale espirituale, del Romano Pontefice. Questo sistema di relazioni costituiva laRespublica Christiana.Anche una terza opinione riporta le origini della comunità internazionale alperiodo compreso tra il IX e l’XI secolo. Un’effettiva vita di relazioneinternazionale venne a svilupparsi tra i tre principali centri di poteredell’epoca, ognuno dei quali era portatore di una fede diversa: l’imperoromano d’oriente di Bisanzio, il sacro romano impero di Carlo Magno e ilcaliffato islamico di Bagdad.

La configurazione teorica di un ordinamento internazionale a sé stante.

Relazioni tra entità politiche indipendenti si sono avute in tutte le epochestoriche e in tutte le aree geografiche. Tali relazioni si sono manifestate anchesotto la forma di rapporti regolati da accordi conclusi dagli stati interessati oda pratiche consuetudinarie concernenti determinate materie.Non sembra però che i rapporti intercorsi in tali lontane epoche siano riferibili

a un ordinamento giuridico a sé stante.Solo in un periodo storico collocabile tra il secolo XVI e il secolo XVII vennead affermarsi sul piano teorico l’idea che le relazioni tra entità politicheindipendenti si dovessero collocare in un ordinamento giuridico a sé stante,separato da ordinamenti destinati a disciplinare fenomeni diversi.

Il contributo della dottrina classica nel diritto internazionale.

Alla costruzione teorica di un ordinamento internazionale si dedicarono, nelperiodo compreso tra i secoli XVI e XVII, alcuni celebri autori che sisegnalarono per i caratteri innovatori del loro pensiero.

Si avvertiva, in quell’epoca, la necessità di dell’elaborazione di normegiuridiche specifiche soprattutto relativamente a due temi: il regime dellaguerra e il regime della navigazione. Una regolamentazione appropriata diqueste materie non poteva desumersi da altri sistemi giuridici, troppo vetusti ecomunque inadeguati alle nuove situazioni storiche e politiche.Il nome dato al nuovo ordinamento fu all’origine quello di diritto delle genti (iusgentium), nel nuovo significato di diritto intercorrente tra gli stati.La dottrina dell’epoca prende il nome di dottrina classica del diritto e i suoiesponenti principali si collocano nell’ambito della corrente delgiusnaturalismo.Queste concezioni si contraddistinguono per il rifiuto dell’idea che solo il

sovrano possa fare e disfare il diritto. Ne consegue che anche il sovrano ètenuto all’osservanza di un nucleo di regole, desumibili dalla stessa natura

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dell’uomo, che esigono di venire applicate nonostante qualsiasi diversadisposizione del diritto nazionale. A uno dei principali giusnaturalisti, UgoGrozio, va attribuito il merito della prima elaborazione completa della materiache oggi denominiamo diritto internazionale, esposta nel De jure belli ac pacisliber tres, pubblicato nel 1625.

La dottrina del giusnaturalismo ha chiarito e rafforzato l’idea che un sistema didiritto a sé stante, diverso dagli altri sistemi, si fosse venuto a formare anchenell’ambito di una comunità composta da stati e che le sue norme nonpotessero venire né create né modificate in modo unilaterale da parte disingoli stati.Sembra che l’espressione diritto internazionale sia stata proposta per la primavolta nel 1789 da Jeremy Bentham.

Le tendenze stataliste.

Le ultime teorie favorivano, a partire dal secolo XIX, la diffusione di dottrineopposte, ma altrettanto estreme, fondate sull’esaltazione dello stato sovrano,quale unica fonte di norme giuridiche (positivismo statalistico).L’esaltazione dello stato quale unico fondamento del diritto e la conseguentedegradazione delle regole del diritto internazionale al secondario livello dimoralità positiva sono concetti espressi nell’opera di John Austin, che pose lebasi delle concezioni stataliste e imperativiste.L’esaltazione dello stato e la negazione del carattere giuridico del dirittointernazionale non sembrarono accettabili ad altri studiosi, che concentraronole loro analisi sul problema dei rapporti tra il diritto internazionale e i dirittiinterni.

Altri, come il giurista austriaco Hans Kelsen, elaborarono una teoria (dottrinapura del diritto), basata sul primato del diritto internazionale sopra il dirittointerno e sul presupposto di una norma base (Grundnorm), da cui discendonotutte le norme dell’ordinamento.

Eurocentrismo e società internazionale.

Le origini del colonialismo.

Plurisecolare periodo caratterizzato dall’espansione degli stati europei versoquei vasti territori d’oltremare che venivano via via scoperti e colonizzati.

L’approdo in territori che non di rado erano abitati da genti dotate di unapropria organizzazione politica e sociale poneva il problema dei rapporti dellepotenze europee con le popolazioni con cui esse venivano in contatto.La tendenza di gran lunga dominante degli stati europei era quella diespandere a qualsiasi costo, e spesso in reciproca competizione, il dominiopolitico verso i territori d’oltremare.La diffusa esigenza di fornire un appoggio teorico all’espansione coloniale sitradusse in una concezione eurocentrica della comunità internazionale e delsuo ordinamento giuridico e in facili giustificazioni dell’uso della forza a tal fineimpiegata. Le popolazioni dei territori d’oltremare erano spesso considerate,oltre che diverse, anche incivili e quindi prive di diritti sul piano giuridico.

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Le capitolazioni.

Regime delle capitolazioni che veniva applicato nei confronti di vari statiindipendenti di religione non cristiana. Con appositi trattati, detti capitolazioni,le potenze europee ottenevano che i processi, civili e penali, che

riguardavano i loro cittadini fossero sottratti alla giurisdizione dei giudici localie assegnati alla giurisdizione dei consoli europei.Nei confronti degli stati islamici il regime delle capitolazioni era giustificato conl’intento di evitare che i tribunali locali a composizione religiosa applicassero ildiritto cranico, considerato inadatto a regolare i rapporti intercorrenti trasoggetti stranieri che professavano una fede diversa.Il regime delle capitolazioni perdurò, in varie forme e con alcunitemperamenti, fino al secolo XX inoltrato.Anche il regime delle capitolazioni può venire inteso come unamanifestazione della tesi, all’epoca largamente diffusa, che il dirittointernazionale escludesse dal suo ambito gli stati di cultura non europea ocomunque riservasse a questi paesi una posizione secondaria.

Gli sviluppi del colonialismo nel secolo XIX.

Il periodo intercorrente tra la seconda metà del secolo XVII e la prima metàdel XIX vide la formazione di nuovi stati sul continente americano, a seguitodell’acquisto dell’indipendenza di estesi territori già colonizzati da GranBretagna e da Spagna e Portogallo. Stabili relazioni politiche e diplomatichefurono instaurate dagli stati europei con alcune potenze di civiltà noncristiana.

L’espansione politica e territoriale delle potenze europee si rafforzò in altricontinenti, di pari passo con il progredire delle esplorazioni di mari e territoridifficilmente accessibili, come l’interno dell’Africa e le isole dell’Oceania.Oltre che allo stabilimento di una colonia, che comportava l’estensione dellasovranità sul territorio rivendicato, era fatto spesso ricorso all’istituto delprotettorato, che denotava, pur nelle sue varie forme, una mancata influenzadi uno stato su di un altro. Con un apposito trattato uno stato (il protettore)acquisiva il diritto di esercitare un’ingerenza in vari aspetti degli affari interni enella gestione delle relazioni internazionali di un altro stato (il protetto), incambio dell’impegno di assicurare a quest’ultimo una protezione nei confrontidi paesi terzi.

Sul finire del secolo XIX si manifestò qualche segnale sporadico macomunque rilevante, di arresto nell’espansione del colonialismo. Con labattaglia di Adua (1896), per la prima volta uno stato africano, l’Etiopia,sconfisse sul piano militare e politico una potenza europea, l’Italia. Labattaglia costituì una concreta manifestazione di quanto sarà in seguitoconosciuto come principio di auto-determinazione dei popoli.

Il fenomeno dell’organizzazione internazionale.

La Società delle Nazioni.

Con l’inizio del secolo XX viene gradualmente a manifestarsi un fenomenonuovo, destinato a determinare importanti conseguenze sulla successiva

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evoluzione della comunità internazionale: la creazione da parte degli stati diorganizzazioni internazionali, ossia di enti intergovernativi, dotati di unapropria soggettività giuridica e portatori di interessi collettivi loro delegati daparte degli stati che li hanno istituiti.Solo dopo la fine della prima guerra mondiale venne creata, proprio per 

ridurre il rischio di ulteriori conflitti, un’organizzazione internazionale dotata diuna vocazione universale e investita del compito politico di garantire la pace ela sicurezza e di sviluppare la cooperazione tra gli stati. Si tratta della Societàdelle Nazioni, istituita con un apposito patto, approvato dalla conferenza dellapace il 28 aprile 1919.Il patto della Società delle Nazioni non vietava agli stati membri il ricorso allaguerra, ma lo subordinava al previo esperimento di una procedura di arbitratoo d’inchiesta.Ai limiti relativi ad alcuni aspetti giuridici del patto, in particolare la regoladell’unanimità cui erano sottoposte le decisioni dei suoi organi (assemblea econsiglio), si aggiungevano i limiti ben più rilevanti, del contesto politico in cuil’organizzazione veniva a operare. La rappresentatività della Società delleNazioni fu già all’inizio menomata dalla mancata ratifica del patto da partedegli Stati Uniti.La capacità dell’organizzazione di perseguire i suo obiettivo fondamentale digarantire la pace la pace fu gravemente messa in dubbio da casi diaggressione di uno stato membro contro un altro stato membro e fudefinitivamente cancellata dallo scoppio di una seconda guerra mondiale.

Le Nazioni Unite.

Dopo la seconda guerra mondiale, l’eredità ideale della Società delle Nazioni,che cessò formalmente di esistere il 18 aprile 1946, passò all’organizzazionedelle Nazioni Unite, istituita con un trattato (Carta delle Nazioni Unite) apertoalla firma a San Francisco il 26 giugno 1945. Ha allo stesso tempo naturapolitica, per quanto riguarda i suoi obiettivi, e una dimensione mondiale, per quanto riguarda la partecipazione degli stati all’organizzazione.La Carta delle Nazioni Unite è entrata in vigore il 24 ottobre 1945. I 51 statifirmatari della Carta sono i membri originari delle Nazioni Unite. I requisiti e laprocedura per l’ammissione di nuovi stati membri sono indicati nell’art. 4C.N.U..Oggi gli stati membri sono 188, vale a dire tutti gli stati tranne Città del

Vaticano, Isole Cook, Niue, Svizzera e Tuvalu.Alla base delle Nazioni Unite sta l’esperienza dei due conflitti mondiali e lanecessità di preservare le generazioni successive dal flagello della guerra. Ilmantenimento della pace costituisce il fine fondamentale; a esso siaggiungono altri fini di natura politica, economica e umanitaria.Il fatto che gli stati membri abbiano affidato determinate competenze alleNazioni Unite determina una corrispondente riduzione della sfera rientranteessenzialmente nella competenza interna degli stati membri, intesa come lasfera rispetto alla quale uno stato non è vincolato da obblighi sorti sul pianointernazionale.Tuttavia, per quanto importanti siano le materie affidate alla competenza delle

Nazioni Unite, la sovranità degli stati rimane ancora oggi la principalecaratteristica della comunità internazionale. Perdurante impossibilità di

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assoggettare uno stato a una qualsiasi forma di soluzione vincolante dellecontroversie che lo riguardano, senza che sia preventivamente intervenutaun’accettazione della giurisdizione da parte dello stato in questione. Lanecessità dell’accettazione vale anche per gli stati membri delle Nazioni Uniterispetto alla giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia, il principale

organo giudiziario delle Nazioni Unite.

Il perseguimento di obiettivi della comunità internazionale nel suo insieme.

Gli stati che creano un’organizzazione internazionale non si limitano aredigere norme per regolare la loro reciproca cooperazione; essi concludonoun trattato che ha lo specifico obiettivo di istituire un’entità a sé stante,caratterizzata da una propria indipendenza. Questa entità si pone sullo stessopiano degli stati che l’hanno creata, è titolare di una propria soggettivitàgiuridica nei confronti degli stati parte e degli stati terzi e svolge un’azionenelle materie rientranti nella sua sfera di competenza.Sotto il profilo politico, il fenomeno dell’organizzazione internazionale hacontribuito a rafforzare, rendendoli unitari e collettivi, vari obiettivi condivisi dapiù stati.Fondamentale nell’insieme degli obiettivi perseguiti dalle principaliorganizzazioni internazionali, è il tema del mantenimento della pace, checostituisce il presupposto stesso perché si possano instaurare normalirelazioni all’interno della comunità internazionale. Accanto al mantenimentodella pace vanno oggi annoverati anche altri obiettivi quali lo sviluppoeconomico e sociale, la protezione dell’ambiente, la tutela dei diritti dell’uomoe la responsabilità internazionale dell’individuo.

Lo sviluppo economico e sociale.

Il processo di decolonizzazione ha visto lo smantellamento dei dominicoloniali delle potenze europee e la creazione di nuovi stati indipendenti inmolti territori dell’Africa, dell’Asia, dell’America e dell’Oceania.La Carta si limita a prevedere che gli stati membri che amministrano territori lacui popolazione non abbia ancora raggiunto una piena autonomia hannol’obbligo di sviluppare l’autogoverno, di prendere in debita considerazione leaspirazioni delle popolazioni e di assisterle nel progressivo sviluppo delle lorolibere istituzioni politiche, secondo le circostanze particolari di ogni territorio e

delle sue popolazioni e del loro variabile grado di avanzamento.L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si orientò, nel giro di pochi anni,verso un’interpretazione estensiva dei concetti di autodeterminazione e diautogoverno, dichiarando che l’assoggettamento dei popoli a un dominiostraniero è contrario alla Carta e che un territorio raggiunge una pienacondizione di autogoverno tramite la sua costituzione in stato sovranoindipendente o la libera associazione con uno stato indipendente ol’integrazione con uno stato indipendente.Numerosi accordi internazionali, sia bilaterali che multilaterali, si pongonol’obiettivo di instaurare o migliorare la cooperazione tra paesi industrializzati epaesi in via di sviluppo.

Intorno agli anni ’70, i paesi del terzo mondo avevano avanzato varie richiestebasate sulla rivendicazione di un vero e proprio diritto allo sviluppo, tendente

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a rimediare al divario economico intercorrente tra stati diversi. Un sistemagiuridico che fosse ispirato ad un’astratta posizione paritaria di tutti i suoimembri sarebbe uno strumento destinato a favorire l’ulteriore progresso deglistati già ricchi e ad accrescere il divario che li separa dai paesi più poveri. Diqui l’esigenza, propugnata dagli stati del terzo mondo, di promuovere un

sistema di norme apertamente diseguale, proprio perché diretto acompensare mediante opportune misure la situazione dei paesi menoprogrediti (diseguaglianza compensatrice).L’obiettivo di un più equilibrato sviluppo continua a caratterizzare in modomolto marcato la comunità internazionale ed appare ancora più urgente negliultimi anni, quando si è fatta ancora più netta la differenza tra paesi semprepiù dotati e paesi sempre meno provvisti di risorse.

La protezione dell’ambiente.

Sempre maggiore rilievo assunto dalle esigenze di protezione dell’ambiente.Da numerose dichiarazioni di principi e da altri dati della praticainternazionale, emerge la formazione di due norme di diritto internazionalegenerale. La prima fa divieto ad uno stato di inquinare il territorio di un altrostato o uno spazio posto al di là delle giurisdizioni nazionali; la secondaobbliga gli stati a cooperare al fine della protezione dell’ambiente e dellaprevenzione dell’inquinamento.Secondo una norma di diritto internazionale consuetudinario di consolidataformazione, uno stato è obbligato a non causare o consentire che sianocausati fenomeni di inquinamento che attraversano una frontiera, in quantoderivanti da attività condotte nel territorio di uno stato che danneggia anche il

territorio di un altro stato.Nel caso dei rischi globali, non è possibile determinare quale stato sia ilresponsabile e quale la vittima, perché tutti gli stati concorrono a provocarel’evento e tutti ne sono lesi. Riveste pertanto un rilievo preponderantel’esigenza che gli stati cooperino, tramite appositi trattati di portata mondiale,ai fini della prevenzione di tali rischi, dato che i danni sono suscettibili diassumere una dimensione tale da eccedere qualsiasi possibilità dirisarcimento.Riguardo al fenomeno dell’assottigliamento della fascia di ozono, è stataconclusa la convenzione di Vienna del 1985, cui ha fatto seguito il protocollodi Montreal del 1987. Con il protocollo sono stati aggiunti impegni precisi di

progressiva riduzione delle sostanze dannose, diversificati a seconda che sitratti di paesi sviluppati o paesi in via di sviluppo.Sul problema della stabilità climatica, la convenzione di Rio del 1992stabilisce alcuni principi e impegni generali, compresa la previsione di unmeccanismo finanziario. A questo proposito è stato adottato il protocollo diKyoto del 1997, che prevede che gli stati sviluppati e gli stati in transizioneverso un’economia di mercato non eccedano un ammontare assegnato diemissioni di gas che determinano l’effetto serra, in vista di una successivaloro diminuzione al di sotto dei livelli dell’anno 1990.Anche nel settore della protezione dell’ambiente si manifesta oggi unacontrapposizione tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo.

I paesi industrializzati, che hanno in passato maggiormente approfittato delcapitale ecologico del pianeta, consumandone ampiamente le riserve naturali,

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dovrebbero oggi farsi carico degli oneri maggiori per la preservazione degliequilibri ambientali globali.L’obbligo di cooperazione si configura come un tipico dovere dicomportamento in buona fede. È anzitutto richiesto allo stato di informare glialtri stati sulle attività suscettibili di creare inquinamento e sul relativo rischio.

È poi doveroso che lo stato sia disponibile a consultarsi con gli altri paesiinteressati e, se del caso, a partecipare a negoziati per pervenire a unasoluzione reciprocamente accettabile.

La protezione dei diritti dell’uomo.

La progressiva affermazione della materia sul piano internazionale.

L’esigenza di proteggere i diritti fondamentali dell’individuo in quanto tale o,come si usa dire, i diritti dell’uomo, si è anzitutto manifestata nell’ambito degliordinamenti giuridici nazionali.L’idea stessa di diritti dell’uomo si fonda sul presupposto che l’individuo nondeve essere considerato un mezzo per la realizzazione di superiori finalitàdello stato. Ne consegue che esiste una serie di diritti fondamentali dellapersona umana che lo stato non può sopprimere o disconoscere.Per lungo tempo si è ritenuto che il modo in cui uno stato tratta individui che,in molti casi, sono i propri cittadini fosse materia rientrante nella sfera dicompetenza interna di ogni singolo stato, come tale immune da ingerenze daparte di altri paesi.In alcuni trattati di pace conclusi dopo la prima guerra mondiale furonoinserite clausole relative ai diritti da attribuire ai cittadini di uno stato

appartenenti a determinate minoranze etniche, religiose o linguistiche.Solo con la fine della seconda guerra mondiale si ebbe una chiaraaffermazione dell’idea che l’uomo richiede, anche sul piano del dirittointernazionale, di essere tutelato in quanto tale, indipendentemente dalla suanazionalità.La Carta annovera il rispetto dei diritti dell’uomo tra i fini dell’organizzazione(art. 1 C.N.U.).Le Nazioni Unite hanno promosso l’adozione di una nutrita serie di attiinternazionali di varia natura relativi ai diritti dell’uomo. All’origine dell’azionein questa materia sta la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottatanel 1948 dall’Assemblea Generale.

La dichiarazione si è rivelata un punto di partenza che ha indicato la volontàdelle Nazioni Unite di occuparsi in modo permanente e progressivo dellamateria dei diritti dell’uomo e che ha portato a successivi strumenti di naturavincolante.Dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sono derivati trattati aventiuna sfera di applicazione mondiale, che hanno ad oggetto: l’eliminazione diogni forma di discriminazione razziale; la repressione e punizione del criminedi apartheid; la repressione della tortura ed altre pene o trattamenti crudeli,inumani o degradanti; l’eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione neiconfronti della donna; il riconoscimento dei diritti del bambino.Sussiste per molti dei diritti dell’uomo una doppia tutela, che si esplica sia sul

piano dei vari diritti interni che sul piano del diritto internazionale e che sitraduce in una più ampia possibilità di protezione degli individui.

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I meccanismi internazionali per la tutela dei diritti dell’uomo.

I meccanismi procedurali, ossia gli strumenti che le norme di dirittointernazionale forniscono per ricorrere contro uno stato presunto responsabiledi violazioni, richiedono di essere stabiliti da appositi trattati, che valgono solo

per gli stati contraenti.Il sistema operante sul piano mondiale non è dotato di denti in grado dimordere gli stati con la stessa intensità di quanto dia previsto in alcuni sistemidi portata regionale. Manca, ad esempio, in entrambi i patti delle NazioniUnite la predisposizione di un organo giurisdizionale.Nell’ambito del patto sui diritti civili e politici, è stato creato il comitato dei dirittidell’uomo, che ha il potere, a condizione che vi sia una previa dichiarazione diaccettazione, di esaminare le comunicazioni con le quali uno stato pretendache un altro stato non adempia agli obblighi derivanti dal patto. A conclusionedell’esame il comitato redige delle considerazioni che sono trasmesse allostato interessato e all’individuo leso.A differenza del sistema dei patti delle Nazioni Unite, il sistema regionalecreato nel’ambito del Consiglio d’Europa con la convenzione europea deidiritti dell’uomo prevede il funzionamento di un organo giurisdizionale, la corteeuropea dei diritti del’uomo. Un individuo può mettere in modo unprocedimento che si conclude con una sentenza motivata da parte di unorgano giudiziario internazionale. La sentenza accerta se uno stato parte si ècomportato in modo contrario agli obblighi che derivano dalla convenzione eaccorda un’equa soddisfazione all’individuo leso, qualora il diritto interno dellostato responsabile non permetta di eliminare le conseguenze della violazione.

I crimini internazionali dell’individuo.

Il processo di Norimberga.

Molto significativo è il tema della responsabilità penale internazionaledell’individuo.

Coloro che sono imputati di comportamenti di particolare gravità, denominaticrimini internazionali dell’individuo, possono essere assoggettati a unprocesso e a una pena (se colpevoli) sulla base di norme di dirittointernazionale.

È così stabilito un doppio livello di repressione degli illeciti, poichéall’eventuale responsabilità penale secondo un diritto interno si aggiunge unaresponsabilità derivante dal diritto internazionale e all’eventuale giudicenazionale si aggiunge un giudice internazionale.Nel caso dei crimini internazionali dell’individuo, la responsabilità personaledell’individuo che li ha compiuti si aggiunge alla responsabilità dello stato per conto del quale egli ha agito. Uno stesso comportamento può pertantodeterminare sia un crimine internazionale dell’individuo, sia un illecitointernazionale di uno stato nei confronti di un altro.Un impulso all’affermazione della nozione di crimini internazionalidell’individuo deriva dall’accordo concluso a Londra l’8 agosto 1945 da

Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica per il giudizio e lapunizione dei principali agenti di stato tedeschi e membri del partito nazista,

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nei casi in cui i reati erano di così ampia scala, da non avere una collocazionegeografica determinata. L’accordo recava in allegato la Carta del TribunaleMilitare Internazionale (Tribunale di Norimberga). Al Tribunale di Norimbergaera conferito il potere di giudicare e punire le persone che avessero compiutoatti che rientravano nelle tre categorie dei crimini contro la pace, dei crimini di

guerra e dei crimini contro l’umanità.Per crimine di guerra la Carta del Tribunale di Norimberga intende, ingenerale, le violazioni delle norme o delle consuetudini di guerra.L’innovazione introdotta con la Carta consisteva nella previsione di unagiurisdizione internazionale, che potesse processare coloro che fosseroimputati di comportamenti che già risultavano vietati da norme giuridiche divaria origine.Il crimine contro la pace è caratteristico dell’uomo politico, che prende ladecisione di fare una guerra non consentita da norme di diritto internazionale.Iniziare una guerra di aggressione non è solo un crimine internazionale; è ilsupremo crimine internazionale, che si distingue dagli altri crimini di guerrasolo per il fatto che contiene in sé la somma dei mali di tutti gli altri.Nel crimine contro l’umanità rientrano, in base alla Carta, le persecuzioni per motivi politici, razziali o religiosi, come le uccisioni, lo sterminio, la riduzione inschiavitù, la deportazione e gli altri atti disumani commessi contro lapopolazione civile, prima o durante la guerra.Secondo il Tribunale di Norimberga, il fatto che gli imputati avessero agitosulla base di un ordine del loro governo o di un loro superiore non liesonerava dalla responsabilità, ma poteva essere considerato comeun’attenuante della pena. Agli imputati veniva riconosciuto il diritto a un equoprocesso e il Tribunale, con sentenza motivata e definitiva, poteva infliggere

ai responsabili la morte o ogni altra pena che esso stabilisse giusta.Il Tribunale ritenne che i crimini contro il diritto internazionale sono commessida uomini, e non da entità astratte, e le norme di diritto internazionalepossono venire applicate solo punendo gli individui che commettono talicrimini. Chi viola il diritto di guerra non può ottenere immunità perché ha agitosulla base dell’autorità dello stato, se lo stato che autorizza l’atto va oltrequanto gli compete secondo il diritto internazionale.

I Tribunali per la ex-Jugoslavia e il Ruanda e la Corte Penale Internazionale.

Dopo gli importanti precedenti costituiti dai processi di Norimberga e di Tokyo,

la materia dei crimini internazionali dell’individuo ha conosciuto significativi,anche se lenti, progressi.Nel 1947 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite diede inizio ai lavori per laredazione di un codice dei crimini contro la pace e la sicurezza dell’umanità. Ilavori sono stati ultimati il 17 luglio 1998 con l’apertura alla firma a Roma di untrattato recante lo statuto della Corte Penale Internazionale.Nel frattempo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la risoluzione808/’93, istituiva un Tribunale internazionale per il giudizio delle personeresponsabili di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commessenel territorio delle ex-Jugoslavia a partire dal ’91. Con la successivarisoluzione 827/’93, il Consiglio di Sicurezza approvava lo statuto del

tribunale.Alle categorie dei crimini di guerra, del genocidio e dei crimini contro l’umanità

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lo statuto del Tribunale per la ex-Jugoslavia non affianca la categoria deicrimini contro la pace (anche perché sarebbe stato complesso determinarequali individui avevano deciso di fare la guerra).Lo statuto presenta innovazioni per quanto riguarda l’elenco dei crimini control’umanità (inclusione dello stupro) e la tutela dei diritti dell’imputato e del

condannato (diritto ad un giudizio d’appello; esclusione della pena di morte).Poco dopo il Consiglio di Sicurezza, con la risoluzione 955/’94, istituiva ilTribunale penale internazionale per il giudizio delle persone responsabili digenocidio e altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitariocommessi nel territorio del Ruanda e dei cittadini ruandesi responsabili digenocidio e altre simili violazioni commessi nel territorio di stati vicini, tra l’1gennaio 1994 e il 31 gennaio 1994, e ne approvava lo statuto.L’istituzione di una Corte Penale Internazionale è l’obiettivo del trattato apertoalla firma a Roma nel 1998.La Corte Penale Internazionale ha il potere di esercitare la giurisdizione sullepersone imputate dei più gravi crimini di rilevanza internazionale. La Corte hagiurisdizione solo per i crimini verificatisi dopo l’entrata in vigore del suostatuto e commessi sul territorio di uno stato parte oppure imputati ad unindividuo che sia cittadino di uno stato parte. La giurisdizione della Corte siesercita riguardo ai casi che non siano sottoposti o non siano già statisottoposti agli organi di uno stato che abbia giurisdizione, a meno che risultiche tale stato non abbia l’intenzione o la capacità di esercitare effettivamentela sua giurisdizione.La Corte si compone di 18 giudici, eletti a scrutinio segreto dall’assembleadegli stati parte. Organo indipendente e separato dalla Corte è il Procuratore,eletto a scrutinio segreto dall’assemblea degli stati parte a maggioranza

assoluta. La Corte esercita la sua giurisdizione riguardo a casi che sono riferitial Procuratore dagli stati parte o dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU origuardo ai casi oggetto di indagini avviate di propria iniziativa dal Procuratoree autorizzate da una camera pregiudiziale della Corte stessa. Tuttavia,un’indagine non può essere avviata o un’azione non può essere esercitata, seil Consiglio di Sicurezza, con risoluzione adottata in base del cap. VII dellaCarta delle Nazioni Unite, chiede alla Corte di ritardare di dodici mesi la suafunzione, richiesta che può essere rinnovata dal Consiglio di Sicurezza allemedesime condizioni. Si suppone che il Consiglio di Sicurezza rivolga unasimile richiesta qualora, sulla base di circostanze specifiche e transitorie,ritenga opportuno rinviare la celebrazione di un processo che potrebbe

mettere in pericolo la pace e la sicurezza internazionali.Tra i principi generali di diritto penale, previsti dallo statuto della Corte,particolarmente importante è l’esclusione che la qualità ufficiale dell’imputatopossa esonerarlo dalla responsabilità per i reati compiuti. In caso contrarioverrebbe ad essere vanificata l’idea stessa della responsabilità internazionaledell’individuo. I crimini contro l’umanità sono commessi da uomini, non daentità astratte, e colpiscono altri uomini.Specifiche disposizioni dello statuto della Corte Penale Internazionaleriguardano due problemi che spesso si pongono in materia di criminiinternazionali dell’individuo, ossia i casi in cui il sottoposto risponde per gliordini da lui eseguiti e il comandante risponde per fatti compiuti dai suoi

sottoposti, anche in contravvenzione agli ordini da lui impartiti.Gli individui riconosciuti colpevoli di crimini sono condannati a una pena

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detentiva, che può arrivare fino a 30 anni di reclusione o all’ergastolo, qualoraquesto sia giustificato dall’estrema gravità del crimine e dalle circostanzesoggettive del reo. La Corte può anche comminare una multa, ordinare laconfisca dei proventi del reato, fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede, edisporre il risarcimento dei danni subiti dalle vittime. La sentenza è

impugnabile di fronte alla Camera d’Appello della Corte, su domanda delProcuratore o del condannato, per errore di procedura, errore di fatto, erroredi diritto o, nel caso di appello proposto dal condannato, ogni altro motivo chepregiudichi la giustizia o l’affidabilità della procedura o della decisione. Lasentenza è eseguita in uno stato designato dalla Corte da una lista di stati chehanno espresso la loro disponibilità ad accettare i condannati nelle lorocarceri. Solo la Corte può decidere sulla riduzione di una pena.Lo statuto della Corte enuncia quattro categorie di crimini: il crimine digenocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e il crimine diaggressione.La definizione del crimine di genocidio, che mantiene il suo carattere di tipicocrimine contro l’umanità, riprende quella contenuta nella convenzione sulgenocidio del ’48.La categoria dei crimini contro l’umanità risulta notevolmente ampliata econsiste in quei comportamenti che assumono una gravità tale da offenderela dignità stessa del genere umano (tortura, stupro o altri reati di naturasessuale, sparizione forzata di persone, segregazione razziale, trasferimentoforzato di popolazioni). Condizione necessaria perché si abbia un criminecontro l’umanità è che il fatto non sia un comportamento isolato, ma siaintenzionalmente compiuto nel corso di un ampio e sistematico piano direttocontro la popolazione civile.

L’elenco dei crimini di guerra fornito dallo statuto della Corte comprende legravi violazioni alle quattro convenzioni di Ginevra del ’49, le altre graviviolazioni delle norme e delle consuetudini applicabili nei conflitti armatiinternazionali, le gravi violazioni dell’articolo comune alle quattro convenzionidi Ginevra applicabile ai conflitti armati di carattere non internazionale e lealtre gravi violazioni delle norme e delle consuetudini applicabili nei conflittiarmati di carattere non internazionale. La Corte ha giurisdizione sui crimini diguerra in particolare quando essi siano stati commessi come parte di un pianoo come parte di una commissione su larga scala di tali crimini.Quanto al crimine di aggressione, che potrebbe venire considerato come lacontinuazione della nozione di crimine contro la pace previsto dalla Carta del

Tribunale di Norimberga, la giurisdizione della Corte è rinviata al momento incui le parti contraenti adotteranno norme relative alla sua definizione e alladeterminazione delle condizioni per l’esercizio di tale giurisdizione.È auspicabile che in un prossimo futuro la Corte penale Internazionale, cheavrà sede all’Aja, possa iniziare ad operare.Lo statuto della Corte è stato adottato con 120 voti favorevoli, 7 contrari e 21astensioni e richiede sessanta ratifiche o adesioni per la sua entrata in vigore.Ogni stato potrà dichiarare di non accettare, per un periodo di sette anni, lagiurisdizione della Corte per crimini di guerra che siano avvenuti sul suoterritorio o siano imputati ai suoi cittadini.

Verso una giurisdizione nazionale universale?

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I tribunali di qualunque stato hanno giurisdizione per processare gli imputati dicrimini contro l’umanità. proprio perché i crimini in questione offendono ilgenere umano nel suo insieme e rendono il responsabile nemico di tutto ilgenere umano, qualsiasi giudice nazionale potrebbe farsi carico di celebrare il

relativo processo.La qualifica di nemico del genere umano, che si attacca a chi compie criminicontro l’umanità, presuppone che vittime del crimine siano non solo gliindividui direttamente lesi, ma tutti gli uomini in generale; e che i giudici diqualsiasi collettività statale siano investiti del potere di giudicare gli imputati, inattesa che una simile giurisdizione possa venire esercitata da un appositoorgano internazionale.

LA PACE E LA SICUREZZA INTERNAZIONALI

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Il divieto di fare la guerra.

Il tema del mantenimento della pace rappresenta il termine di riferimentofondamentale per valutare l’evoluzione intervenuta all’interno della comunitàinternazionale.La Carta delle Nazioni Unite vieta agli stati membri di fare la guerra ossia, piùprecisamente, di minacciare o usare la forza contro l’integrità territoriale ol’indipendenza politica di qualsiasi stato (art. 2 C.N.U.).Il divieto di ricorso alla guerra e l’obbligo di risolvere le controversie con mezzipacifici erano già previsti, ma limitatamente ai rapporti tra le parti, dal trattatodi rinuncia alla guerra, firmato da diversi stati a Parigi nel 1928 (patto Briand-Kellog).Il divieto dell’uso della forza ha acquisito il valore di norma di dirittointernazionale generale, valevole come tale per tutti gli stati. È nullo il trattato

con il quale due o più stati si accordino per usare la forza contro uno statoterzo.Le controversie che possono pregiudicare la pace e la sicurezzainternazionali devono essere risolte attraverso mezzi pacifici concordementescelti dagli stati coinvolti (art. 33 C.N.U.).I due soli casi in cui l’uso della forza è consentito sono espressamente previstidalla Carta: la legittima difesa contro un attacco armato, nei limiti indicatidall’art. 51 C.N.U.; le azioni militari intraprese sulla base di una decisione delConsiglio di Sicurezza dell’ONU a norma del cap. VII della Carta, qualora siverifichi una minaccia alla pace, una violazione della pace o un atto diaggressione.

I fattori politici che condizionano l’effettivo operato del Consiglio diSicurezza dell’ONU.

Nel Consiglio di Sicurezza, di cui sono membri solo 15 stati, una posizione disupremazia è riservata ai cinque stati che ne sono membri permanenti: Cina,Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti. Gli altri dieci stati membri delConsiglio di Sicurezza sono eletti dall’Assemblea Generale per un periodo didue anni, tenendo in speciale considerazione il contributo dato almantenimento della pace e della sicurezza internazionali e agli finidell’organizzazione e in modo da assicurare un’equa distribuzione geografica

dei seggi disponibili.Ai cinque stati membri permanenti spetta il diritto di veto: le decisioni delConsiglio di Sicurezza su questioni sostanziali devono essere prese con i votifavorevoli di almeno nove stati membri, ivi compresi i voti favorevoli deicinque membri permanenti.Nella pratica l’astensione, la non partecipazione al voto o l’assenza di uno opiù membri permanenti non impediscono l’adozione di una decisione, qualorala maggioranza di nove voti sia altrimenti raggiunta.Il Consiglio di Sicurezza è l’organo dell’ONU cui gli stati membri hannoconferito la responsabilità principale in materia di mantenimento della pace edella sicurezza internazionali.L’Assemblea Generale è un organo a composizione plenaria e competenzagenerale. Essa è composta da tutti gli stati membri dell’ONU (art. 9 C.N.U.) e

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può discutere qualsiasi questione o materia che rientri nell’ambito della Cartadelle Nazioni Unite (art. 10 C.N.U.).Mentre il Consiglio di Sicurezza può decidere misure da adottare o azioni daintraprendere, l’Assemblea Generale può solo fare raccomandazioni, presecon la maggioranza dei due terzi o con la maggioranza semplice degli stati

presenti e votanti. Ogni stato membro dell’Assemblea Generale dispone di unvoto.A norma dell’art. 108 C.N.U., qualsiasi emendamento della Carta deve essereadottato da due terzi dei membri dell’Assemblea Generale e deve essereratificato da due terzi degli stati membri dell’ONU, ivi compresi i cinquemembri permanenti del Consiglio di Sicurezza.

L’accertamento di una minaccia alla pace, di una violazione alla pace odi un atto di aggressione.

Il capitolo VII della Carta è espressamente dedicato alle azioni che il Consigliodi Sicurezza può intraprendere in caso di minaccia alla pace, violazioni dellapace ed atti di aggressione.La prima determinazione che compete al Consiglio di Sicurezza èl’accertamento dell’esistenza di una delle situazioni rientranti nell’ambito delcap. VII, cioè di una minaccia alla pace, violazione della pace o atto diaggressione.La differenza tra le tre situazioni non è chiara e non è definita nella Carta. Ingenerale, la nozione di minaccia alla pace non implica necessariamentel’attribuzione di specifiche responsabilità ad uno stato determinato o ad unmovimento insurrezionale, mentre le altre due nozioni presuppongono

l’accertamento di chi sia responsabile di una violazione o di un’aggressione.Le misure conseguenti all’accertamento.

Le varie misure adottabili.

Dall’accertamento dell’esistenza di una minaccia alla pace, violazione dellapace o atto di aggressione, che costituisce il presupposto, esplicito o implicito,sul quale si fonda la competenza del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, in baseal cap. VII della Carta, possono derivare conseguenze diverse.Il Consiglio di Sicurezza può fare una raccomandazione o decidere una

misura o un’azione.Una risoluzione del Consiglio di sicurezza che sia chiaramente identificabilecome una decisione e non già come una raccomandazione è obbligatoria per gli stati membri, che devono darvi esecuzione (art. 25 C.N.U.).Può darsi che il Consiglio di Sicurezza ritenga che la situazione non presentiuna gravità da esigere una misura più incisiva di una raccomandazione. Puòdarsi che il Consiglio di Sicurezza ritenga opportuno limitarsi a esprimere ilsuo sostegno a un processo di pace già negoziato o concluso in altra sede.Può darsi che ogni decisione di adottare misure specifiche o di intraprendereuna determinata azione risulti impossibile a causa dell’esercizio del diritto diveto da parte di un membro permanente.

In altri casi il Consiglio di Sicurezza ha preannunziato la probabile adozione dimisure, qualora una determinata situazione persistesse.

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In altri casi il Consiglio di Sicurezza ha ingiunto a uno o più stati di tenere undeterminato comportamento diretto a ripristinare la situazione legittima cheesisteva in precedenza.A volte determina le misure da seguire per la soluzione di un conflitto internoo internazionale.

Le sanzioni economiche e politiche.

Se la sua decisione non ha avuto effetto o, come sembra di ritenere, se essanon avrà prevedibilmente effetto, il Consiglio di Sicurezza può deciderel’adozione, nei confronti di uno o più stati o altri soggetti, di misure che noncomportano l’uso della forza e che presentano natura economica o politica(sanzioni). L’art. 41 C.N.U. fornisce un elenco, ampio ma non esaustivo, deltipo di misure ad esso riferibili.Una volta adottata, la decisione crea obblighi giuridici per i soggetti, che nesono i destinatari, in particolare gli stati membri dell’ONU, che devonoastenersi dall’intrattenere con il soggetto destinatario delle misure le relazionivietate. L’art. 50 C.N.U. prevede che uno stato membro che incontri specialiproblemi economici a seguito dell’esecuzione di misure decise dal Consigliodi Sicurezza possa consultare il Consiglio stesso al fine di trovare unasoluzione a tali problemi. Secondo l’art. 49 C.N.U. i membri dell’ONU devonoprestarsi mutua assistenza nell’esecuzione delle misure decise dal Consigliodi Sicurezza.Talora le misure hanno colpito uno stato o un movimento insurrezionaleresponsabile di determinate violazioni. In altri casi, le misure, consistentisoprattutto nel divieto di forniture di armi o materiali militari, avevano lo scopo

di prevenire la continuazione o l’aggravamento di un conflitto, senza chevenisse precisato quale parte ne fosse responsabile.Nella pratica più recente si trovano anche vari esempi di decisioni atipiche,non espressamente previste da alcuna norma della Carta, ma prese dalConsiglio di Sicurezza nell’esercizio della sua generale responsabilità dimantenere la pace e la sicurezza internazionali e sulla base del cap. VII dellaCarta. Tra queste vanno ricomprese decisioni aventi obiettivi assaieterogenei, quali il ristabilimento di un governo legittimamente eletto, lacreazione di un tribunale internazionale per giudicare dei crimini compiuti daindividui, la sottoposizione a giudizio di individui imputati di gravi atti diterrorismo o attentati.

Sono implicitamente comprese tutte le misure che, in relazione allecircostanze proprie ai singoli casi e secondo l’ampio margine di discrezionalitàpolitica che gli compete, appaiono al Consiglio di Sicurezza appropriate a far fronte alla situazione.Gli unici limiti al pur ampio margine di discrezionalità del Consiglio diSicurezza, che non può trasformarsi in un organo svincolato dalla legalità(legibus solutus), sono dati dalla conformità della sua azione all’ambitocostituzionale della competenza dell’ONU. Occorre pertanto che si verifichiun’effettiva situazione di minaccia alla pace, violazione della pace o atto diaggressione e che la misura atipica sia potenzialmente idonea a porvirimedio.

Le azioni militari dirette contro uno stato.

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Se le misure di carattere economico o politico si rivelano inadeguate, ilConsiglio di Sicurezza può decidere di ricorrere a un’azione di natura militare(art. 42 C.N.U.).In alcuni casi l’azione che comporta l’uso della forza militare ha avuto il solofine di assicurare l’osservanza di misure economiche precedentemente

decise dal Consiglio di Sicurezza.In altri casi, l’azione che comportava l’uso della forza era qualificata da unpreciso obiettivo, come assicurare, in una situazione di guerra civile ecarestia, l’effettiva distribuzione ai destinatari di aiuti forniti a titolo umanitarioo ripristinare le legittime autorità politiche.In altri casi, l’azione che comportava l’uso della forza era diretta a ripristinarel’effettiva sovranità territoriale delle autorità di uno stato il cui territorio erastato oggetto di un unilaterale e illegittima invasione e annessione da parte diun altro stato.Gli unici limiti al pur ampio margine di discrezionalità del Consiglio diSicurezza, sono dati dalla conformità della sua azione all’ambitocostituzionale della competenza dell’ONU. Occorre pertanto che si verifichiun’effettiva situazione di minaccia alla pace, violazione della pace o atto diaggressione e che le azioni militari decise siano necessarie al fine dimantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionali (art. 42 C.N.U.),restando escluso qualsiasi uso della forza che risponda ad altre finalità.

Le operazioni per il mantenimento della pace.

Nella pratica, l’ONU ha anche fatto ricorso a un diverso tipo di operazioni,denominate operazioni di mantenimento della pace (peace-keeping

operations). Queste operazioni si caratterizzano per l’obiettivo di evitare lacontinuazione o l’inasprimento di un conflitto, sia esso internazionale ointerno, e per il loro carattere di imparzialità, riguardo alle parti coinvolte nelconflitto e alle loro ragioni. Si tratta di operazioni che richiedono il consensodegli stati sul cui territorio si svolgono e non comportano l’uso della forzamilitare da parte dei contingenti inviati dall’ONU, se non a titolo di legittimadifesa.Le operazioni per il mantenimento della pace non sono esplicitamentepreviste da alcuna norma della Carta.Negli ultimi tempi sono state istituite alcune operazioni miste di peace-keepinge di peace-enforcement, vale a dire operazioni di mantenimento della pace

autorizzate a fare uso della forza, qualora questo si rivelasse necessario per dare attuazione al loro mandato.Si può anche verificare il caso che il Consiglio di Sicurezza autorizzi gli statimembri a istituire una forza multinazionale di pace, che operi per larealizzazione di determinati obiettivi.Confermano il generale riconoscimento della legittimità delle operazioni dimantenimento della pace e ne rafforzano la rilevanza alcuni importanti trattatimultilaterali che accordano una protezione speciale al personale impegnatonelle operazioni e qualificano come crimine di guerra l’attacco intenzionalecontro di esso.

Il reperimento di forze armate.

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I contingenti militari e gli altri strumenti necessari per svolgere le azioni militaridecise dal Consiglio di Sicurezza sono messi a disposizione dagli statimembri tramite accordi speciali, nella pratica conclusi dal segretario generaledell’ONU su mandato del Consiglio di Sicurezza. Si tratta di unamanifestazione del generale obbligo degli stati membri di cooperare con

l’ONU.La Carta prevede l’istituzione di un comitato di stato maggiore, composto dacapi stato maggiore dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza,e incaricato, tra l’altro, di assistere il Consiglio di Sicurezza nellapredisposizione di piani per l’impiego della forza armata e di assumere ladirezione strategica delle forze messe a sua disposizione.In vari casi il Consiglio di Sicurezza ha autorizzato gli stati che hanno fornito icontingenti militari a usare la forza o, per riprendere l’eufemismo spessousato, a usare tutti i mezzi necessari per ristabilire la pace e la sicurezzainternazionali.Nulla vieta al Consiglio di Sicurezza di delegare ad altri quanto esso avrebbetitolo di fare direttamente.Un’azione intrapresa da alcuni stati sulla base di un’autorizzazione delConsiglio di Sicurezza è comunque sottoposta al controllo dell’organoautorizzante e non può andare al di là dei limiti e degli obiettivi indicatidall’autorizzazione stessa.Perché gli stati siano autorizzati a usare la forza occorre una decisione delConsiglio di Sicurezza, che lo preveda in termini specifici ed espliciti (sia purenella forma dell’abituale eufemismo dell’autorizzazione all’uso di tutti i mezzinecessari).

La legittima difesa.

Il secondo caso, oltre alle azioni decise dal Consiglio di Sicurezza, in cui laforza armata può essere usata è costituita dalla legittima difesa.

L’art. 51 C.N.U. qualifica la legittima difesa come un diritto inerente o naturalespettante ad ogni stato.La legittima difesa, così come intesa dalla carta, è elencata tra le circostanzeche escludono il carattere illecito di un determinato comportamento.Le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionalimenzionate dall’art. 51, devono rivelarsi in concreto efficaci per neutralizzare

l’attacco armato e le sue conseguenze. Non è sufficiente, per escludere ildiritto di legittima difesa dello stato attaccato, una mera adozione di unadecisione da parte del Consiglio di Sicurezza, se questa non sortisce l’effettovoluto.L’azione tenuta a titolo di legittima difesa deve presentare caratteri dellanecessità, dell’immediatezza e della proporzionalità rispetto all’attacco armatoin atto.La legittima difesa può essere individuale, se lo stato oggetto di un attaccoarmato si difende, o collettiva, se uno stato terzo, che non è attaccato, difendelo stato attaccato. In quest’ultimo caso occorre, però, che lo stato attaccatorichieda un intervanto a sua difesa, non essendo consentito usare la forza

solo sulla base di valutazioni unilaterali della situazione.Si discute se sia giustificabile a titolo di legittima difesa la risposta ad un

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attacco armato non ancora in atto, ma solo minacciato (legittima difesapreventiva). La questione della legittima difesa preventiva divieneparticolarmente delicata nel caso in cui uno stato tema di essere oggetto di unattacco con armi nucleari.Ulteriori problemi determinano i tentativi di dilatare la nozione di attacco

armato, fino a comprendervi i casi in cui l’azione contro la quale uno stato sidifende non consista nell’uso della forza contro il territorio o le installazioni o imezzi militari dello stato attaccato, ma consista in azioni dirette contro gliagenti civili di uno stato o i suoi cittadini.Sembra difficile accettare eccessive dilatazioni del concetto di attacco armatoe del conseguente presunto diritto di usare la forza a titolo di legittima difesada parte degli stati vittime di lesioni dei loro diritti.La legittima difesa è consentita nella sola ipotesi prevista dall’art. 51 C.N.U..Nella logica della Carta, l’uso difensivo della forza militare costituisce unarisposta, di natura eccezionale, a un corrispondente uso aggressivo dellaforza militare, consistente in un attacco armato diretto contro l’integritàterritoriale o l’indipendenza politica di uno stato.

Gli accordi e le organizzazioni regionali per il mantenimento della pace edella sicurezza internazionali.

L’esistenza di un sistema che dovrebbe garantire il mantenimento della pacee della sicurezza internazionali su scala mondiale, non impedisce laconclusione, su scala regionale, di trattati di cooperazione o alleanza politico-militare tra due o più stati. Questi trattati creano talora un’organizzazioneinternazionale che persegue i fini voluti dalle parti, come è avvenuto con

l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO).La NATO è stata creata con il Trattato dell’Atlantico del Nord, firmato aWashington il 4 aprile 1949. Ne sono parti 19 stati.In ogni caso, la Carta dell’ONU esige che i trattati regionali di alleanzapolitico-militare siano compatibili con i fini e i principi della Carta stessa.Non sarebbe pertanto lecita un’alleanza regionale che avesse il fine di usarela forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di altri stati inviolazione dell’art. 2 C.N.U., o che, indipendentemente dai fini enunciati nellostrumento costitutivo, agisse di fatto nella maniera sopra indicata. È invecelecita un’alleanza regionale che si proponga di organizzare un sistema dilegittima difesa collettiva a norma dell’art. 51 C.N.U., qualora uno degli stati

membri sia oggetto di un attacco armato da parte di uno stato terzo.La Carta dell’ONU consente che azioni che comportano l’uso della forzaarmata (e che non rientrano nell’ipotesi della legittima difesa) siano svolte daparte degli stati membri di accordi regionali o nel quadro di organizzazioniregionali. Ma questo può avvenire solo se tali azioni sono state autorizzate dalConsiglio di Sicurezza.Nella pratica è accaduto che il Consiglio di Sicurezza abbia autorizzatoorganizzazioni regionali a compiere interventi che comportavano l’uso dellaforza militare.In un recente caso la forza è stata invece usata contro uno stato, laJugoslavia, da parte di una coalizione di stati membri della NATO, senza che

vi fosse alcuna autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, e pertanto inevidente violazione della Carta. Si tratta dell’intervento armato svolto in

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occasione del conflitto interno tra le forze militari della Jugoslavia e imovimenti indipendentisti albanesi del Kosovo.Questo conflitto era caratterizzato dall’uso indiscriminato della forza da partedell’esercito e delle milizie di sicurezza jugoslave, dalle numerose vittime nellapopolazione civile, dal largo afflusso di rifugiati kosovari negli stati vicini e in

altri paesi europei, oltre che dal ricorso ad atti di terrorismo ad opera delleparti coinvolte nel conflitto.I massicci bombardamenti aerei della Jugoslavia ad opera dei dieci statimembri della NATO sono iniziati il 24 marzo 1999, dopo il rifiuto dellaJugoslavia di sottoscrivere il progetto di accordo emerso dai negoziati per unasoluzione politica della crisi, e si sono protratti per undici settimane.L’intervento militare dei dieci stati non è riconducibile al contesto della NATO,trattandosi di un’azione totalmente contrastante con il trattato istitutivo dellastessa organizzazione. Questo prevede l’uso della forza solo in caso diattacco armato contro una o più parti, lasciando impregiudicati laresponsabilità primaria del Consiglio di Sicurezza e gli obblighi derivanti dallaCarta delle Nazioni Unite.

L’intervento armato.

Al di fuori dei due casi previsti dalla Carta, la forza non può essere usata dauno stato, fosse anche per far valere un proprio diritto (o presunto tale).A volte, quale circostanza che potrebbe escludere il carattere illecito di unintervento armato è stato invocato il consenso dello stato sul cui territoriol’intervento era avvenuto.In altri casi, l’intervento militare è giustificato sulla base della legittima difesa,

vista come il mezzo per impedire che un attacco armato, consistente in unaserie successiva di singoli eventi, venga portato a compimento. Anche inquesti casi occorre valutare se sussistano o meno i requisitidell’immediatezza, della proporzionalità e della necessità checontraddistinguono la legittima difesa.

L’intervento armato a fini umanitari.

Problemi delicati solleva un’ulteriore causa di giustificazione che è stata avolte invocata per legittimare interventi armati sul territorio di altri stati, ossia ilcosiddetto intervento a fini umanitari. In effetti, la principale spiegazione data

dagli stati che hanno nel 1999 bombardato la Jugoslavia i basava propriosulla necessità di prevenire una catastrofe umanitaria causata dallarepressione operata dalle forze e milizie jugoslave a danno degli abitanti delKosovo di etnia albanese.I diritti dell’uomo devono essere tutelati con mezzi diversi dall’interventoarmato contro altri stati, se non si vuole correre il rischio di moltiplicare leviolazioni di tali diritti, aggiungendo violenze e distruzioni a situazioni già diper sé gravi.A ben vedere, il diritto internazionale generale già prevede un’ipotesieccezionale in cui un intervento armato è giustificato per fini umanitari, cioèper tutelare persone la cui vita sia messa in pericolo. Si tratta dell’ipotesi di

estremo pericolo.L’esimente dell’estremo pericolo opera entro limiti ben precisi. Vanno in

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particolare segnalate due condizioni: l’azione deve costituire l’unico mezzoper salvare vite umane in pericolo; l’azione non deve creare un pericolo piùgrave di quello che intende scongiurare.Occorre però valutare il mezzo impiegato nell’intervento, e cioè l’uso dellaforza tramite bombardamenti aerei, e le sue conseguenze.

Occorre che il comportamento tenuto costituisca l’unico mezzo per salvare levite umane in pericolo e che esso non determini un pericolo più grave diquello che intende scongiurare.Era facilmente prevedibile che la decisione di bombardare l’intera Jugoslaviaavrebbe ulteriormente aggravato la situazione delle popolazioni albanesi delKosovo, determinando un inasprimento della repressione e delle violazioni deidiritti dell’uomo compiute dalle forze militari e paramilitari jugoslave e unsostanziale aumento del numero di rifugiati.Forti dubbi suscita il concetto di intervento militare umanitario, soprattuttoquando esso si traduce nella variante del bombardamento aereo umanitario:questa variante appare una contraddizione in termini. Come è stato rilevato,la somma di un grave illecito (le violazioni dei diritti dell’uomo in Kosovo) e diun altro grave illecito (i bombardamenti della Jugoslavia, Kosovo compreso)dà come risultato due gravi illeciti, non potendo un illecito cancellare l’altro.Non sembra che gli stati attivi nei bombardamenti abbiano inteso promuoverela formazione di una nuova norma, come tale avente portata generale,secondo la quale ogni stato avrebbe il diritto di bombardare un altro stato (ousare altrimenti la forza), qualora ritenesse che quest’ultimo sia responsabiledi violazioni alle norme del diritto umanitario applicabili sul nostro territorio.Una simile regola è improponibile.L’intervento in Jugoslavia potrebbe qualificarsi come un tentativo di eliminare

il sistema fondato sulla Carta delle Nazioni Unite, senza contestualmenteproporre alcun sistema alternativo fondato su regole generali epredeterminate, che rappresentino qualcosa di meglio dell’occasionaledecisione di bombardare uno stato.

Il disarmo.

Il divieto della minaccia e dell’uso della forza non esclude, in linea generale,che gli stati abbiano il diritto di mantenere e potenziare i propri armamenti, siaconvenzionali che nucleari, che potrebbero venire utilizzati nei due casi in cuil’uso della forza è lecito (legittima difesa e azioni militari intraprese sulla base

di una decisione del Consiglio di Sicurezza). Il possesso di armamenti puòanche avere un effetto preventivo, quale fattore di dissuasione verso possibiliaggressioni.Solo tramite appositi trattati è possibile perseguire l’obiettivo del disarmo,ossia la progressiva riduzione degli armamenti detenuti dagli stati e il divietodi determinati tipi di armi.Già l’art. 8 del Patto della Società delle Nazioni enunciava l’idea che ilmantenimento della pace internazionale richiede una riduzione degliarmamenti. La Carta delle Nazioni Unite prevede che l’Assemblea Generalepossa prendere in considerazione i principi che regolano il disarmo e ilcontrollo degli armamenti e fare raccomandazioni in proposito.

Il disarmo generale rimane un obiettivo ideale, ancora lontano da conseguire.Diversi accordi bilaterali sulla limitazione e riduzione di armi strategiche e

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offensive sono stati conclusi da Stati Uniti e Unione Sovietica, a partire daltrattato sulla limitazione dei sistemi missilistici anti-balistici, detto SALT I,firmato nel 1972. Altri trattati hanno una sfera di applicazione regionaleeuropea e si collocano nell’ambito dell’azione mirante a ridurre il rischio di unconflitto militare e a promuovere il disarmo favorita dalla Conferenza sulla

Sicurezza e la Cooperazione in Europa.Sono stati anche conclusi vari trattati multilaterali che vietano l’acquisizione, lafabbricazione, il possesso, la collocazione o la sperimentazione di armiparticolarmente distruttive, come le armi nucleari, in determinati spazi.Nel parere consultivo dell’8 luglio 1996 sulla liceità della minaccia o dell’uso diarmi nucleari la Corte Internazionale di Giustizia giunse alla conclusione chel’insieme dei trattati relativi al disarmo nucleare non esprimesse un divietoassoluto e generale dell’uso dell’arma atomica, ma solo un presagio di unsimile divieto.Un progresso sula strada del disarmo nucleare potrà verificarsi quandoentrerà in vigore il trattato sul divieto completo di esperimenti nucleari, apertoalla firma a New York il 24 settembre 1996. Il trattato vieta alle parti dieffettuare esplosioni sperimentali di armi nucleari o altre esplosioni nucleari inogni luogo posto sotto la loro giurisdizione o controllo e di incoraggiare taliesplosioni o parteciparvi in qualsiasi maniera.

L’uso di armi che determinano sofferenze indiscriminate ed eccessive.

Divieto dell’uso di armi che determinano sofferenze eccessive osproporzionate rispetto al raggiungimento di un obiettivo militare.I belligeranti non devono usare armi che provochino nei combattenti nemici

sofferenze eccessive rispetto a quelle necessarie a raggiungere un obiettivomilitare. I belligeranti non devono usare la forza contro la popolazione civile,né utilizzare armi che non siano in grado di distinguere tra bersagli militari ebersagli civili.Il solo legittimo obiettivo di un’azione militare è l’indebolimento delle forzemilitari del nemico.Molto significativi, anche per le attinenze che presentano con il tema deldisarmo, sono i trattati multilaterali che mirano a vietare la detenzione el’impiego di armi considerate disumane (armi batteriologiche e tossiniche,frammenti non identificabili, mine, trappole e artifici, armi incendiarie, laser accecanti, armi chimiche).

La recente convenzione sul divieto dell’impiego, stoccaggio, produzione etrasferimento delle mine antipersona (Ottawa, 1997) è molto significativa.Tuttavia, paesi come Cina, India, Pakistan, Russia e Stati Uniti non sembranofinora disponibili ad accettare un divieto assoluto dell’uso di mine antipersonae a divenire parti della convenzione.

Diritto umanitario e uso dell’arma nucleare.

Problema della legalità dell’uso di armi nucleari, data l’enorme capacità

distruttiva e l’effetto indiscriminato di questo tipo di ordigni, che non solosprigionano un’immensa quantità di calore ed energia, ma anche emettono

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prolungate radiazioni lesive della salute umana.È particolarmente emblematico il parere consultivo reso dalla CorteInternazionale di Giustizia l’8 luglio 1996.La Corte si è innanzitutto chiesta se l’impiego di armi nucleari costituisca unaviolazione delle norme di diritto internazionale relative alla protezione

dell’ambiente. La Corte ha concluso che le norme sulla protezionedell’ambiente non privano uno stato del diritto di legittima difesa. Tuttavia, ifattori di natura ambientale sono un elemento utile per valutare se l’uso dellaforza risponda ai principi di necessità e di proporzionalità.La Corte si è in seguito chiesta se l’uso di armi nucleari possa considerarsiillecito perché incompatibile con le norme del diritto internazionale umanitario.La Corte ha ricordato a riguardo i principi fondamentali della materia,consistenti nell’obbligo di non attaccare le popolazioni civili, né direttamente,né mediante armi che colpiscano in modo indiscriminato, e nell’obbligo di nonusare armi che provochino sofferenze superflue ai combattenti.Da questo richiamo ai principi del diritto umanitario sembrerebbe di poter desumere l’illiceità dell’uso dell’arma nucleare, in quanto arma che, più diqualsiasi altra, colpisce in modo indiscriminato la popolazione civile.Ciononostante, la Corte ha dichiarato, in maniera molto brusca e piuttostosorprendente, di non avere elementi sufficienti per dare una risposta alquesito che le era stato sottoposto.La Corte ha pertanto dichiarato di non poter concludere in modo definitivosulla liceità o illiceità dell’impiego di armi nucleari da parte di uno stato in unacircostanza estrema di legittima difesa nella quale la sua stessasopravvivenza sia messa in causa.La Corte sembra ipotizzare che l’uso dell’arma nucleare sarebbe consentito,

ammesso che sia mai consentito, nella sola circostanza estrema di legittimadifesa, in cui la stessa sopravvivenza di uno stato sia in questione. Se questofosse vero, se ne potrebbe dedurre che l’uso di armi nucleari sia in ogni casoillecito, se motivato da altre ragioni, ad esempio l’esigenza di risparmiare lavita dei militari coinvolti nelle operazioni belliche a scapito della vita dei civilivittime della bomba.

Quia sum leo?

È il caso di attribuire un vero e proprio carattere giuridico all’ordinamentointernazionale e alle norme di diritto internazionale? La risposta dipende in

gran parte dalla nozione di ordinamento giuridico che si ritiene di seguire.Se per ordinamento giuridico si intende un insieme organico di norme che,nella generalità dei casi, sono di fatto osservate dai soggetti che ne sono idestinatari, si può concludere che le norme di diritto internazionaleraggiungono, nel loro complesso, un apprezzabile livello di effettività. Gliepisodi di violazione che pur si verificano come in qualsiasi altro ordinamento,non cancellano la loro complessiva osservanza. Va pure detto che a volte,proprio a causa dell’assenza di un legislatore internazionale, l’inizialeviolazione di una norma da parte di un singolo stato rappresenta il primoprecedente di un processo evolutivo che porta gradualmente alla formazionedi una nuova norma di diritto internazionale generale.

Se invece per ordinamento giuridico s’intende un insieme di organi eprocedure che, come si verifica nei sistemi di diritto interni, impedisca ai

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soggetti più forti di usare la forza per far valere i loro diritti o i loro interessi,vanno oggi espressi pesanti dubbi sul carattere giuridico dell’ordinamentointernazionale.Anche in passato si erano verificati singoli casi in cui, in evidente o sospettaviolazione della Carta, alcuni stati avevano usato la forza contro altri. Ma

questi casi erano stati spiegati con giustificazioni che, per quanto dubbie opoco attendibili sul piano dei fatti concreti, riconducevano pur sempre aipotesi eccezionali previste dal sistema di diritto internazionale vigente e conesso compatibili.In occasione dei bombardamenti della Jugoslavia, l’evidente contrasto confondamentali disposizioni della Carta, si accompagna all’assenza di qualsiasigiustificazione fondata sul sistema di diritto internazionale vigente.Il bombardamento della Jugoslavia si qualifica come un comportamento cosìgrave da mortificare l’intero apparato delle relazioni internazionali sorto neldopoguerra, fondato sul primato della Carta delle Nazioni Unite; e cosìaggressivo da mettere in dubbio la stessa persistenza di un ordinamentointernazionale basato sul diritto e non sulla discrezione del più forte. Allenorme della Carta si vorrebbe sostituire un documento programmatico, moltoconfuso e molto inquietante, come “The Alliance’s Strategic Concept”.

I TRATTATI

Le categorie di norme di diritto internazionale.

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Non esiste nel sistema di diritto internazionale la legge, intesa come un attoscritto che pone norme di natura generale e astratta, che è adottato secondoprocedure predeterminate da un apposito organo investito della funzionelegislativa e che è pubblicato in una raccolta ufficiale: non vi è infatti alcunorgano internazionale che svolga funzioni simili a quelle dei parlamenti

nazionali.Un ruolo fondamentale hanno due categorie di norme che non sonopredisposte da un organo esterno, ma traggono origine dalla volontà deglistessi soggetti, cioè gli stati, che ne sono i destinatari: i trattati (o dirittointernazionale particolare) e le norme generali (o consuetudini o dirittointernazionale generale).L’art. 38 dello statuto della Corte Internazionale di Giustizia fa riferimento alleseguenti categorie di norme che la Corte è tenuta ad applicare nella decisionedelle controversie che le sono sottoposte: i trattati internazionali, sia generaliche particolari, che stabiliscono norme espressamente riconosciute dagli statiin lite; la consuetudine internazionale, come prova di una pratica generaleaccettata come diritto; i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazionicivili; le decisioni giudiziarie e la dottrina.Non è invece attribuita natura normativa all’equità: una decisione secondoequità può essere resa dalla Corte solo qualora le parti abbianoconcordemente conferito un tale potere.Obblighi possono anche sorgere da atti non aventi natura normativa, comeuna sentenza, che ha valore obbligatorio solo tra le parti in lite e riguardo alcaso deciso, o un atto giuridico unilaterale, che crea obblighi per chi ne èautore.

Il diritto dei trattati e la sua codificazione.

Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, aperta alla firma il 23 maggio1969 ed entrata in vigore sul piano internazionale il 27 gennaio 1980.La convenzione di Vienna non si limita a codificare varie regole che erano giàoperanti sul piano del diritto internazionale generale, ma contiene alcunedisposizioni che hanno portato allo sviluppo progressivo del dirittointernazionale.La convenzione di Vienna si applica solo ai trattati che sono stati conclusidopo la sua entrata in vigore (art. 4). Le norme sono vincolanti per tutti glistati, indipendentemente che essi siano parti della convenzione stessa.

Esclusi dall’ambito di applicazione della convenzione sono i trattatiinternazionali conclusi da stati con altri soggetti di diritto internazionale o daaltri soggetti di diritto internazionale tra loro.Sono comunque sottoposti alla convenzione i rapporti tra stati parte di trattatimultilaterali dei quali siano anche parte altri soggetti di diritto internazionale.

La nozione di trattato.

Trattato, convenzione, accordo, patto, protocollo, atto, statuto, carta, scambio

di note, scambio di lettere…Gli elementi sostanziali che contraddistinguono un trattato sono tre.

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In primo luogo vi è la redazione di un testo scritto.In secondo luogo occorre che due o più stati o altri soggetti di dirittointernazionale abbiano manifestato (o possano in futuro manifestare) il loroconsenso ad essere giuridicamente vincolati dalle norme contenute nel testoche hanno redatto. Il fatto che il trattato costituisce uno strumento

giuridicamente vincolante nel suo insieme non esclude che esso possacontenere alcune singole clausole che non sono idonee a produrre obblighigiuridici.In terzo luogo deve sussistere la volontà di sottoporre lo strumento alle regoledel diritto internazionale.La pubblicità del testo non costituisce un requisito essenziale di un trattato.Norme del diritto costituzionale di vari stati fanno divieto di concludere accordisegreti o limitano la segretezza a certe categorie di trattati. Ma nessunanorma di diritto internazionale generale sancisce la nullità di un trattatorimasto segreto. L’art. 102 C.N.U. obbliga gli stati membri a registrare pressoil segretariato nell’ONU i trattati conclusi dopo l’entrata in vigore della Carta eobbliga il segretariato a procedere alla loro pubblicazione. Ma la conseguenzache discende dalla mancata registrazione è solo l’impossibilità di invocare iltrattato davanti a un organo dell’ONU.Il procedimento che pone in essere un trattato si sviluppa in tre fasi distinte: laredazione del testo, la manifestazione del consenso a vincolarsi e l’entrata invigore del trattato.

Il testo.

La redazione.

La redazione del testo di un trattato si svolge di solito mediante negoziati tragli stati interessati, che si riuniscono a seguito di un’iniziativa presa da uno opiù stati o da un’organizzazione internazionale.Gli stati esclusi possono però avere il diritto di divenire parti al trattatomediante un atto di adesione, se questo è espressamente previsto nel trattatoo risulta altrimenti convenuto. Talora il negoziato è sostituito dall’invio da partedi uno stato di una nota scritta di proposta, in vista della sua accettazione daparte di un altro stato o di eventuali proposte di modifica.Gli stati sono liberi di seguire la procedura di negoziato che sembra loro piùopportuna. Ma l’esigenza di un andamento ordinato delle trattative induce gli

stati coinvolti ad accordarsi sulle modalità di svolgimento del negoziato,tramite l’elaborazione e l’adozione di un regolamento di procedura oregolamento interno.

L’adozione.

Se le trattative hanno esito positivo, il testo del trattato è adottato da partedegli stati che hanno partecipato alla sua elaborazione.Come prevede l’art. 9 della convenzione di Vienna, l’adozione del testo deltrattato si effettua, di regola, con il consenso di tutti gli stati che hannopartecipato alla sua elaborazione. Tuttavia, l’adozione del testo di un trattato

negoziato nell’ambito di una conferenza internazionale avviene con lamaggioranza dei due terzi degli stati presenti e votanti, a meno che gli stati

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decidano, con la stessa maggioranza, di applicare una regola diversa.Anche le organizzazioni intergovernative si fanno di frequente promotrici dellaredazione e successiva adozione del testo di trattati, come i diversi trattati ilcui testo è stato adottato con risoluzione dell’Assemblea Generale.

L’autenticazione.

All’adozione del testo del trattato fa seguito la sua autenticazione, cioèl’attestazione da parte dei rappresentanti degli stati coinvolti nel negoziatodell’autenticità del testo adottato e del suo carattere definitivo.L’autenticazione avviene con la firma da parte dei plenipotenziari, a questoautorizzati dagli stati.Ma l’art. 10 della convenzione di Vienna lascia agli stati ampia libertà sullaforma di autenticazione.Con l’autenticazione il procedimento formativo del testo del trattato èconcluso.

I plenipotenziari.

Alla fase formativa del testo del trattato partecipano coloro che sono munitidei pieni poteri (plenipotenziari), vale a dire di un documento che è emanatodall’autorità competente di uno stato e che designa una o più persone qualirappresentanti dello stato per il negoziato, l’adozione o l’autenticazione deltesto di un trattato, per esprimere il consenso dello stato a essere vincolato daun trattato o per compiere ogni altro atto relativo a un trattato.L’art. 7 della convenzione di Vienna indica tre categorie di persone che, in

ragione delle loro funzioni, sono abilitate a rappresentare lo stato senzaessere tenute a presentare un documento di pieni poteri. Tali persone sono:•I capi di stato, i capi di governo e i ministri degli affari esteri, per tutti gli atti

relativi alla conclusione di un trattato;•I capi di missione diplomatica, per l’adozione del testo di un trattato tra lo

stato accreditante e lo stato accreditatario;•I rappresentanti accreditati degli stati a una conferenza internazionale o

presso un’organizzazione internazionale o uno dei suoi organi, per l’adozione del testo di un trattato in questa conferenza, questaorganizzazione, o questo organo.

In base al diritto internazionale di guerra, la rappresentanza dello stato senza

necessità di esibizione di pieni poteri si estende ai comandanti in capo, per quanto riguarda il negoziato e la conclusione di trattati relativi alle operazionimilitari.L’atto compiuto da persona che non può essere considerata come abilitata arappresentare uno stato è privo di effetti giuridici, a meno che esso sia inseguito confermato da questo stato.

La struttura esteriore.

Il titolo identifica il trattato, insieme alla data della sua adozione, e indicamolto sommariamente la materia oggetto delle sue disposizioni.Al titolo segue il preambolo, che costituisce una parte introduttiva al testo del

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trattato. Nel preambolo gli stati enunciano gli antecedenti e i motivi che lihanno spinti a partecipare al negoziato e gli obiettivi che il trattato si prefigge.Nel preambolo, a volte, è anche indicato un elenco degli stati che hannopartecipato al negoziato.Al preambolo segue la parte dispositiva (o precettiva) del trattato, nella quale

è specificata la regolamentazione materiale posta in essere con il trattato.Il trattato si chiude con una parte finale, nella quale è raccolta una serie didisposizioni, dette clausole finali (o protocollari), in tema di entrata in vigoredel trattato e di altre questioni relative alla sua efficacia.

La lingua.

A partire dalla seconda metà del XVIII secolo, la lingua francese ha sostituitoil latino come lingua diplomatica e come lingua di stesura dei trattati.Da vari decenni a questa parte la pratica di redigere il trattato in un’unicalingua ha subito un considerevole declino. Mentre nei trattati bilaterali èdiffuso l’uso di predisporre il testo in entrambe le lingue delle parti contraenti,nel caso di trattati multilaterali il testo è redatto in una pluralità di lingue, chesono di solito considerate tutte parimenti autentiche, dotate cioè di pari valoreal fine dell’interpretazione del trattato.La Carta delle Nazioni Unite ad esempio è redatta in cinese, inglese,francese, russo e spagnolo.I trattati elaborati dalle conferenze diplomatiche convocate dall’ONU sonoredatti in sei lingue autentiche (le cinque sopra menzionate e l’arabo). Unnumero ancora maggiore di lingue autentiche caratterizza i trattati e gli altriatti elaborati nell’ambito delle Comunità europee.

La manifestazione del consenso a vincolarsi.

La libertà di forme.

La fase di formazione del testo va tenuta ben distinta da quella dellamanifestazione del consenso a vincolarsi.Necessità che i governi che hanno adottato il testo di un trattato riservino auna data successiva la manifestazione del consenso del loro stato avincolarsi, essendo questo un vento futuro e incerto.Di regola, la manifestazione del consenso a vincolarsi non è soggetta a

prescrizioni d’ordine formale.Secondo l’art. 11 della convenzione di Vienna, questo consenso può essereespresso con la firma, lo scambio degli strumenti costituenti un trattato, laratifica, l’accettazione, l’approvazione o l’adesione, o con ogni altro mezzoconvenuto.Lo stato che ha acconsentito a essere vincolato dal trattato si chiama statocontraente, indipendentemente dal fatto che il trattato sia entrato o meno invigore.La forma semplificata.

Un trattato è stipulato in forma semplificata tramite la firma da parte del

rappresentante dello stato, come prevede l’art. 12 della convenzione diVienna, quando:

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•Il trattato prevede che la firma abbia questo effetto;•È altrimenti stabilito che gli stati che hanno partecipato al negoziato avevano

convenuto che la firma avesse questo effetto;•L’intenzione dello stato di dare questo effetto alla firma risulta dai pieni poteri

del suo rappresentante o è stata espressa nel corso del negoziato.

In questi casi la firma apposta dal plenipotenziario esprime anche il consensodello stato a vincolarsi, oltre a costituire l’autenticazione del testo dello stesso.Un’altra forma semplificata di stipulazione è data dallo scambio deglistrumenti (note, lettere) che costituiscono il trattato. A una nota di proposta,inviata da parte di uno stato, fa seguito una nota con la quale lo statodestinatario dichiara di accettare il testo proposto. L’art. 13 della convenzionedi Vienna prevede che ciò avvenga quando:•Gli strumenti prevedono che il loro scambio abbia questo effetto;•È altrimenti stabilito che questi stati avevano convenuto che lo scambio degli

strumenti avesse questo effetto.

La forma solenne.

La forma solenne di espressione del consenso a vincolarsi a un trattato simanifesta attraverso lo scambio o i deposito di un’apposita e a sé stantedichiarazione scritta, denominata ratifica o accettazione o approvazione. Ciò èprevisto dall’art. 14 della convenzione di Vienna quando:•Il trattato prevede che questo consenso si esprime per mezzo della ratifica;•È altrimenti stabilito che gli stati che hanno partecipato al negoziato avevano

convenuto che la ratifica fosse richiesta;•Il rappresentante dello stato ha firmato il trattato con riserva di ratifica;•L’intenzione dello stato di firmare il trattato con riserva di ratifica appare dai

pieni poteri del suo rappresentante o è stata espressa nel corso delnegoziato.

Previsione che la firma del trattato sia seguita da una notifica da parte dellostato del completamento delle procedure prescritte dal suo diritto interno per vincolarsi a un trattato.Le forme di espressione del consenso a obbligarsi a un trattato sono di solitopreventivamente concordate dagli stati che ne hanno redatto il testo e sonospecificate nelle disposizioni finali.

L’adesione.Una particolare forma solenne di manifestazione del consenso a esserevincolato da un trattato è l’adesione (o accessione) al trattato stesso. Essaavviene quando un trattato presenta carattere aperto. L’adesione è possibilequando, secondo l’art. 15 della convenzione di Vienna, quando:•Il trattato prevede che questo consenso può essere espresso da questo

stato per via di adesione;•È altrimenti stabilito che gli stati che hanno partecipato al negoziato avevano

convenuto che questo consenso poteva essere espresso da questo statoper via di adesione;

•Tutte le parti hanno in seguito convenuto che questo consenso potevaessere espresso da questo stato per via di adesione.

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L’adesione è il modo attraverso il quale agli stati rimasti estranei ai negoziatiche hanno portato alla redazione del testo di un trattato viene data lapossibilità di divenirne parti.

L’entrata in vigore.

La determinazione della data.

L’entrata in vigore è il momento in cui un trattato inizia ad avere efficacia.La convenzione di Vienna prevede (art. 24) che un trattato entra in vigoresecondo le modalità stabilite dalle sue disposizioni o sulla base di un accordotra gli stati che hanno partecipato al negoziato. In mancanza di talidisposizioni o di un tale accordo, un trattato entra in vigore nel momento in cuiil consenso a vincolarsi è stato espresso da tutti gli stati che hannopartecipato al negoziato.Nel caso di trattati bilaterali, l’entrata in vigore è prevista nel giorno delloscambio degli strumenti di ratifica o una volta decorso un certo periodo ditempo da tale giorno.Nel caso di trattati multilaterali, la data di entrata in vigore è di solito previstauna volta decorso un determinato tempo dal giorno in cui si è raggiunto ildeposito di un determinato numero di strumenti di ratifica o adesione.Alla data di entrata in vigore, il trattato produce effetti solo nei rapporti tra glistati che hanno depositato i loro rispettivi strumenti di manifestazione delconsenso a vincolarsi.Lo stato che ha acconsentito a essere vincolato dal trattato per il quale iltrattato è in vigore si chiama parte. A meno che sia diversamente stabilito, un

trattato multilaterale non si estingue per il solo fatto che il numero delle partiscenda al di sotto del numero necessario per la sua entrata in vigore. A menoche sia diversamente convenuto, l’applicazione provvisoria di un trattatoriguardo a uno stato viene a cessare, se esso notifica agli altri stati la suaintenzione di non divenire parte al trattato.

Il valore obbligatorio delle disposizioni finali relative alla forma di stipulazione.

Le disposizioni finali (o protocollari) in esso inserite sono immediatamenteproduttive di effetti giuridici per gli stati che hanno adottato il testo del trattato.Gli stati non sono tenuti a manifestare il loro consenso a vincolarsi; ma, se

decideranno di manifestarlo, potranno farlo solo nei modi previsti dalledisposizioni finali del trattato.

L’obbligo di non privare un trattato del suo oggetto e del suo scopo primadella sua entrata in vigore.

Prima del momento della sua entrata in vigore, il trattato non è produttivo dieffetti giuridici.L’art. 18 della convenzione di Vienna prevede che un particolare obbligosussista per quegli stati che potrebbero divenire parti del trattato: uno statodeve astenersi da atti che priverebbero un trattato del suo oggetto e del suo

scopo quando:•Ha firmato il trattato o ha scambiato gli strumenti costituenti il trattato con

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riserva di ratifica, di accettazione o di approvazione, fino al momento in cuiabbia manifestato la sua intenzione di non divenire parte del trattato;

•Ha espresso il suo consenso ad essere vincolato dal trattato, nel periodo cheprecede l’entrata in vigore del trattato e a condizione che questa non siaindebitamente ritardata.

Le riserve.

Nozione.

La partecipazione di uno stato a un trattato è talora accompagnata da una opiù riserve, ossia da una o più dichiarazioni attraverso le quali lo statoesprime la sua volontà di limitare gli effetti giuridici che certe disposizioni deltrattato avrebbero nei suoi confronti.Diverse dalle riserve sono le dichiarazioni che, pur esprimendo il punto divista di uno stato circa determinate disposizioni di un trattato, non intendonoescludere o modificare il loro effetto giuridico rispetto allo stato in questione.Il tema delle riserve riferibile ai soli trattati multilaterali.

Ammissibilità.

L’ammissibilità delle riserve non suscita problemi tutte le volte che lo stessotrattato preveda espressamente che gli stati aventi qualità per divenire partipossano formulare riserve a tutte o ad alcune delle sue disposizioni. In talicasi, lo stato che formula la riserva diviene parte al trattato. L’inammissibilitàdelle riserve è fuori discussione tutte le volte che lo stesso trattato vieti

espressamente la possibilità che uno stato apponga qualsiasi riserva. In talicasi, o stato che presenta la riserva non ha titolo per divenire parte al trattato.Problemi si pongono se, invece, il trattato non contiene alcuna disposizionerelativa alle riserve.Secondo una prima tesi, tutti gli stati avrebbero un diritto innato di formulareriserve a loro discrezione.Secondo una tesi opposta, gli obblighi discendenti da un trattato nonpossono, una volta che il suo testo sia stato adottato, venire alterati tramite lapresentazione di una riserva, a meno che non sussista il consenso di tutti icontraenti.Secondo una terza tesi, oggi preferibile, il trattato può entrare in vigore nei

rapporti tra lo stato che presenta una riserva e lo stato disposto ad accettarla,ma non può entrare in vigore nei rapporti tra il primo stato e lo stato chepresenta un’obiezione alla riserva.Le riserve generali, che cioè riguardano tutte le disposizioni del trattato o chesono formulate in termini così vaghi che non consentono di determinare il loropreciso campo d’applicazione, come pure le riserve che subordinanol’applicazione dell’intero trattato al fatto che esso sia compatibile con le normedel diritto interno di uno stato, sono radicalmente in contrasto con l’oggetto elo scopo del trattato.Se la riserva è inammissibile, è come se lo stato non fosse parte al trattato.

Accettazione e obiezione.

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In base all’art. 20 della convenzione di Vienna, una riserva espressamenteautorizzata da un trattato non richiede una successiva accettazione da partedegli altri stati contraenti, a meno che il trattato preveda diversamente.Una riserva a un trattato che è un atto costitutivo di un’organizzazioneinternazionale richiede l’accettazione dell’organo competente di questa

organizzazione, a meno che il trattato disponga diversamente.L’accettazione di tutti gli altri stati è richiesta, quando risulta dal numerolimitato degli stati che hanno partecipato al negoziato, come pure dall’oggettoe dallo scopo di un trattato, che l’applicazione del trattato nella sua integritàtra tutte le arti è una condizione essenziale del consenso di ciascuna di essead essere vincolata dal trattato.In tutti gli altri casi, quando una riserva è depositata da uno stato contraente,agli altri stati si presenta una scelta tra due possibilità: accettare o obiettare.L’accettazione di una riserva da parte di una altro stato contraente fa dellostato autore della riserva una parte al trattato nei confronti di quest’altro stato,a partire dal momento in cui il trattato entra tra di loro in vigore. Vale unapresunzione di accettazione, per la quale, a meno che il trattato dispongadiversamente, una riserva si ha per accettata da uno stato, se quest’ultimonon ha formulato un’obiezione alla riserva sia allo scadere dei dodici mesi cheseguono la data in cui ne ha ricevuto notificazione, sia alla data in cui haespresso il suo consenso a essere vincolato dal trattato, se questa èsuccessiva.È modificata, nella misura prevista dalla riserva, la disposizione oggetto diriserva dello stato autore nei confronti dello stato accettante e,reciprocamente, a vantaggio dello stato accettante nei confronti dello statoautore.

Una riserva inammissibile non può neppure essere accettata. Pertanto,l’eventuale accettazione di una riserva inammissibile non produce alcuneffetto e non sana una situazione che è all’origine inidonea a consentire lapartecipazione di uno stato a un trattato.In caso di obiezione è previsto che quando uno stato che ha formulatoun’obiezione a una riserva non si è opposto all’entrata in vigore del trattato trasé e lo stato autore della riserva, le disposizioni sulle quali verte la riserva nonsi applicano tra i due stati nella misura prevista dalla riserva.Non è però affatto chiaro che cosa succeda se lo stato si limiti a un’obiezione,senza opporsi all’entrata in vigore del trattato per quanto riguarda i suoirapporti con lo stato riservante. Non è chiaro se, in questo caso, il trattato si

applichi tra i due stati in questione come se la riserva non fosse stata appostaovvero con pieno effetto della riserva.In queste condizioni, lo scambio dei consensi a vincolarsi non puòperfezionarsi. L’art. 21 della convenzione di Vienna dà invece per acquisitoche un valido consenso a vincolarsi sia già stato scambiato e, in qualunquemodo lo si voglia interpretare, finisce con l’imporre a uno dei due stati divincolarsi a un trattato diverso da quello al quale egli voleva effettivamenteobbligarsi.Uno stato non può formulare riserve successivamente alla manifestazione delconsenso a vincolarsi.La riserva, l’accettazione espressa di una riserva e l’obiezione a una riserva

devono essere formulate per iscritto e comunicate agli stati contraenti e aglialtri stati che hanno qualità per divenire parti al trattato (art. 23).

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A meno che il trattato disponga diversamente, la riserva può essere ritirata inqualsiasi momento, senza che occorra il consenso degli stati che l’hannoaccettata.

L’adempimento.

I trattati in vigore hanno natura obbligatoria per le parti e devono essere daqueste adempiuti in buona fede (regola pacta sunt servanda).Alla regola pacta sunt servanda è attribuita la natura di norma generale deldiritto internazionale.Se in vigore, il trattato vincola le parti, nonostante qualsiasi disposizione delloro diritto interno, precedente o successiva alla data di entrata in vigore deltrattato.La violazione di un obbligo previsto da un trattato costituisce un illecitointernazionale e determina la responsabilità internazionale dello stato che neè autore.

I trattati e gli stati terzi.

Le disposizioni del trattato si applicano solo nei rapporti tra gli stati parte, cioègli stati che hanno espresso il loro consenso a essere vincolati e per i quali iltrattato è in vigore. Un trattato non può creare diritti e obblighi per gli statiterzi.Può accadere che le parti includano in un trattato norme corrispondenti anorme internazionali generali. In questi casi, anche gli stati terzi sono tenuti aosservare tali norme in conseguenza della loro natura generale, ma non già in

forza di un trattato.Solo in un caso possono discendere da un trattato diritti e obblighi anche per gli stati che non ne sono parte, e cioè se le parti intendevano creare un dirittoo un obbligo per uno stato terzo e se lo stato terzo accetta tale diritto odobbligo.Lo stato che esercita un diritto derivante da un trattato di cui non è parte ètenuto a rispettare le condizioni previste nel trattato per l’esercizio di talediritto.La convenzione di Vienna distingue due diverse ipotesi circa la revoca o lamodificazione degli obblighi o dei diritti dello stato terzo. L’obbligo può venirerevocato o modificato solo con il consenso delle parti del trattato e dello stato

terzo, a meno che sia stabilito che essi avevano diversamente convenuto. Ildiritto non può essere revocato o modificato dalle parti, se risulta che essonon poteva essere revocato o modificato senza il consenso dello stato terzo.

L’applicazione.

Gli stati sono liberi di determinare gli ambiti spaziale e territoriale diapplicazione di un trattato. In mancanza, valgono in materia alcune normegenerali.

Circa l’applicazione nello spazio, a meno che una diversa intenzione risulti daltrattato o sia altrimenti stabilito, un trattato vincola ciascuna delle parti rispetto

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all’insieme de suo territorio.Circa l’applicazione nel tempo, la convenzione di Vienna accoglie il principiodella non retroattività dei trattati. A meno che una diversa intenzione risulti daltrattato o sia altrimenti stabilito, le disposizioni di un trattato non si applicano auna parte per quanto concerne un atto o un fatto che ha avuto luogo o una

situazione che ha cessato di esistere prima della data di entrata in vigore deltrattato per questa parte.L’unico trattato che prevale su tutti gli altri è la Carta delle Nazioni Unite, che,all’art. 103, sancisce la prevalenza, per gli stati membri, degli obblighiderivanti dalla Carta rispetto agli obblighi che essi abbiano assunto in base aqualsiasi altro trattato.Quando un trattato precisa che esso è subordinato a un trattato anteriore oposteriore o che non deve essere considerato come incompatibile con esso(clausola di non pregiudizio), le disposizioni di quest’ultimo trattatoprevalgono.In mancanza di una clausola di non pregiudizio, se tutte le parti al trattatoanteriore sono ugualmente parti al trattato posteriore, senza che il trattatoanteriore possa considerarsi estinto o sospeso, il trattato anteriore si applicasolo nella misura in cui le sue disposizioni siano compatibili con quelle deltrattato posteriore. Se le parti al trattato anteriore non sono tutte parti altrattato posteriore, nelle relazioni tra uno stato parte ai due trattati e uno statoparte a uno solo di questi trattati si applica il trattato al quale i due stati sonoparti.

L’interpretazione.

Le norme sull’interpretazione.Per i trattati non si pongono problemi di accertamento, dato che il loro testo èredatto per iscritto su di un esemplare ufficiale depositato presso undepositario. I dubbi che non si verificano in sede di accertamento possono,però, presentarsi al momento dell’interpretazione delle norme convenzionali,quando occorre scegliere un solo significato tra i due o più significati chequella norma potrebbe avere.L’interpretazione di un trattato è più che altro un’operazione di logica, che siispira a generalissimi criteri valevoli per ogni ordinamento giuridico.Esistono, però, norme di diritto internazionale in temi di interpretazione dei

trattato e sono oggi codificate nella convenzione di Vienna.Le norme del diritto internazionale sull’interpretazione dei trattati devonoessere seguite anche dai giudici nazionali che siano chiamati a interpretareun trattato.Alcune convenzioni che mirano a rendere uniformi determinati settori deldiritto privato degli stati parte contengono una clausola in base alle qualenell’interpretazione si deve tener conto del carattere internazionale dellaconvenzione e della necessità di promuovere l’uniformità della suaapplicazione.Una simile clausola obbliga il giudice interno chiamato a interpretare questeconvenzioni a tener conto del modo in cui esse sono interpretate dai giudici

degli altri stati parte.È previsto che i giudici interni cui si presenti una questione d’interpretazione

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della orme del trattato stesso e del diritto da esso derivato sospendano ilprocedimento, per sottoporre, a titolo pregiudiziale, la questione al giudicecomunitario. La decisione della Corte di Giustizia vincola il giudice per il casodi specie.

La reola generale d’interpretazione.

La convenzione di Vienna prevede una regola generale d’interpretazione (art.31) e dei mezzi complementare d’interpretazione (art. 32), che possonoessere utilizzati solo a titolo suppletivo. Vi è poi una terza disposizione ( art.33), relativa al caso particolare dell’interpretazione dei trattati redatti in piùlingue.Secondo la regola generale un trattato deve essere interpretato in buona fedesecondo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contestoe alla luce del suo oggetto e del suo scopo. Metodo testuale ed oggettivod’interpretazione. Se le parole da interpretare hanno già un significato cherisulta dal loro senso naturale ed ordinario, non si devono ricercare significatipoco evidenti o plausibili.L’opera d’interpretazione non deve però essere limitata a una singolaclausola, ma deve estendersi all’insieme del contesto del trattato, cogliendo lerelazioni che esistono tra una disposizione e le altre. Il contesto del trattato vainteso in senso ampio.Oltre che dei dati testuali, l’interpretazione deve tener conto dell’oggetto edello scopo del trattato nel suo insieme (metodo teleologico), scartando isignificati che appaiono in contrasto con gli obiettivi che il trattato intenderealizzare.

Metodi d’interpretazione di tipo soggettivo, che si fondano sull’intenzione delleparti, trovano uno spazio piuttosto limitato. Un termine può essere inteso in unsenso particolare, se è stabilito che tale era l’intenzione delle parti, di tutte leparti e non quella di alcune soltanto.Un peso decisivo ha l’interpretazione autentica, quella che le stesse partidell’atto da interpretare fanno con un atto successivo, avente la stessa naturaformale dell’atto precedente.Una sorta di interpretazione autentica in via implicita, tramite una serieconcludente e univoca di comportamenti, si ha quando si sviluppa una praticanell’applicazione del trattato dalla quale risulti l’accordo delle parti circal’interpretazione del trattato.

La convenzione di Vienna consente anche di tener conto, ai finidell’interpretazione, di ogni regola pertinente di diritto internazionaleapplicabile nelle relazioni tra le parti (criterio storico-evolutivo). Un trattato vainterpretato e applicato alla luce dell’insieme delle norme di dirittointernazionale in vigore nel momento in cui si svolge l’interpretazione e,quindi, anche alla luce dell’evoluzione normativa intervenuta successivamenteall’epoca della sua adozione.

I mezzi complementari d’interpretazione.

Si può fare ricorso a mezzi complementari d’interpretazione, e in particolare ai

lavori preparatori e alle circostanze nelle quali il trattato è stato concluso, siaper confermare il significato risultante dall’applicazione dell’art. 31, sia per 

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determinare un significato, quando l’interpretazione data dall’applicazionedell’art. 31 lascia un significato ambiguo o oscuro, oppure conduce a unrisultato che è manifestamente assurdo o irragionevole.La convenzione di Vienna menziona due mezzi complementarid’interpretazione: i lavori preparatori e le circostanze in cui il trattato è stato

concluso. I lavori preparatori sono l’insieme dei documenti relativi ai negoziatiche hanno portato all’adozione del testo di un trattato.Le circostanze nelle quali il trattato è stato concluso sono il secondo dei mezzicomplementari d’interpretazione indicati dall’art. 32 della convenzione diVienna. Tra tali circostanze si può includere anche il fatto che il negoziato siastato condotto esclusivamente in una lingua, benché il trattato sia statoautenticato in più versioni linguistiche.Gli altri mezzi complementari d’interpretazione dei trattati, che non sonoespressamente indicati nell’art. 32 della convenzione di Vienna, sono spessoda ricercare in quei principi generali di logica ermeneutica che sono utilizzabilianche sul piano del diritto internazionale.Basterà richiamare il criterio dell’effetto utile, per il quale, nel dubbio, sisceglie il significato secondo il quale una disposizione del trattato ha unaragione d’essere, piuttosto che il significato che la renderebbe inutile o ilcriterio expressio unius est exclusio alterius, in base al quale le cose nonespressamente menzionate in una lista si devono intendere da essa escluse.Altri mezzi complementare d’interpretazione sono invece tipici del dirittointernazionale, come il criterio per cui le limitazioni alla sovranità degli statinon si presumono (in dubio mitius).

L’interpretazione dei trattati autenticati in due o più lingue.

La redazione dei trattati in due o più versioni linguistiche, tutte ugualmenteautentiche e facenti fede, solleva complessi problemi in temad’interpretazione.Un trattato redatto in più versioni linguistiche non si compone di più testiseparati, ma di un unico testo, che è costituito dall’insieme delle singoleversioni.L’esame del testo del trattato e l’interpretazione delle sue disposizioni vannopertanto fatti alla luce di tutte le versioni linguistiche autenticate.L’art. 33 della convenzione di Vienna prevede quanto segue: quando untrattato è stato autenticato in due o più lingue, il suo testo fa fede in ciascuna

di queste lingue, a meno che il trattato disponga o che le parti converganoche in caso di divergenza un testo determinato prevalga. Una versione deltrattato in una lingua diversa da una di quelle nelle quali il testo è statoautenticato è considerata come autentica solo se il trattato lo prevede o leparti lo hanno convenuto. Si presume che i termini di un trattato abbiano ilmedesimo significato nei diversi testi autentici. All’infuori del caso in cui untesto determinato prevalga in conformità al paragrafo 1, quando il confrontodei testi autentici fa apparire una differenza di significato che l’applicazionedegli artt. 31, 32 non permette di eliminare, si adotta il significato che, tenutoconto dell’oggetto e dello scopo del trattato, concilia meglio questi testi.L’art. 33 pone, anzitutto, una presunzione di concordanza di significati.

Nei casi in cui la presunzione di concordanza non risolve il problemainterpretativo, occorre scegliere il significato che, tenuto conto dell’oggetto e

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dello scopo del trattato, concilia meglio i vari testi, ossia il significato che siaplausibile secondo tutti questi testi.La regola posta dall’art. 33 presuppone che sempre esista un significato chesia plausibile secondo tutte le varie versioni linguistiche. Non è però chiaroquale significato debba essere scelto nell’ipotesi in cui due versioni

linguistiche portino a significati radicalmente antitetici l’uno all’altro.

L’emendamento.

L’art. 39 della convenzione di Vienna dispone che un trattato può essereemendato a seguito di un accordo tra le parti.A volte è prevista una procedura speciale, di natura semplificata (ad esempio,una presunzione di accettazione decorso un certo termine dall’adozione di unemendamento senza che venga depositata un’obiezione) per quanto riguardagli emendamenti di alcune parti del trattato che, per il loro carattere tecnico,richiedono di essere frequentemente modificate.La convenzione di Vienna stabilisce, all’art. 40, alcune regole suppletive intema di emendamento dei trattati multilaterali, destinate a valere nel caso incui il trattato non disponga diversamente. La proposta di emendamento deveessere notificata a tutti gli stati contraenti. Ciascuno di essi ha diritto diprendere parte a una decisione sul seguito da dare a questa proposta, a unnegoziato e alla conclusione di un accordo avente l’obiettivo di emendare iltrattato. Ogni stato avente titolo di divenire parte al trattato ha anche titolo didivenire parte al trattato emendato. L’accordo di emendamento non vincola glistati che sono già parti del trattato originario e che non intendono divenireparti di tale accordo.

Lo stato che diviene parte di un trattato dopo l’entrata in vigore di un accordodi emendamento è, a meno che abbia espresso una diversa intenzione,considerato parte al trattato come emendato nei confronti delle parti vincolatedall’accordo di emendamento, ma parte al trattato non emendato nei confrontidelle parti non vincolate dall’accordo di emendamento.

La modificazione di un trattato multilaterale tra alcune delle sue parti.

Una situazione diversa dall’emendamento si ha quando alcune soltanto tra leparti di un trattato multilaterale concludono tra di loro un accordo che modificale disposizioni del trattato stesso.

Mentre l’emendamento ha una portata soggettiva generale, l’accordomodificativo è, invece, già dall’origine inteso come destinato ad applicarsiesclusivamente nei rapporti che intercorrono tra alcune parti ed è solo daqueste negoziato.È molto frequente il caso che il trattato di base nulla preveda al riguardo. In talcaso, l’art. 41 della convenzione di Vienna ammette la possibilità di accordimodificativi tra alcune delle parti solo se si verificano due condizioni: se taliaccordi non portano pregiudizio al godimento dei diritti discendenti dal trattatoper le altre parti, né all’esecuzione dei loro obblighi; se tali accordi nonriguardano una disposizione la cui deroga risulta incompatibile con l’effettivarealizzazione dell’oggetto e dello scopo del trattato nel suo insieme.

L’invalidità.

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Un trattato è invalido (o nullo) se, nel momento in cui il trattato è statonegoziato o nel momento in cui il consenso a vincolarsi è stato manifestato, sisono verificate determinate anomalie (o vizi) che rendono tale apparentetrattato inidoneo a produrre qualsiasi effetto giuridico.

Uno stato non può sciogliersi dagli obblighi derivanti da un trattato sulla basedi una qualsiasi situazione che esso ritenga opportuno invocare, ma soloqualora ricorrano le condizioni previste dal diritto internazionaleconsuetudinario e dalla convenzione di Vienna in particolare.

Le cause d’invalidità: errore.

L’errore determina una divergenza tra la volontà dichiarata e quella chesarebbe stata la volontà reale del soggetto, se essa si fosse formata senzal’effetto anomalo del vizio. Il vizio consiste in una falsa rappresentazione dellarealtà che porta uno stato a concludere un trattato che non avrebbe altrimenticoncluso o ad accettare condizioni diverse da quelle che avrebbenormalmente accettato.L’errore può essere invocato da uno stato come causa d’invalidità se si trattadi un errore essenziale di fatto, vale a dire se esso riguarda un fatto o unasituazione che questo stato supponeva esistere al momento in cui il trattato èstato concluso e che costituiva una base essenziale del consenso di questostato a essere vincolato dal trattato (art. 48). È esclusa ogni rilevanza, comecausa d’invalidità dei trattati, sia dell’errore di diritto, sia dell’errore ostativo,ossia l’errore sulla manifestazione esteriore di una volontà che si siaregolarmente formata.

L’errore deve anche essere scusabile, nel senso che uno stato non puòinvocare un errore se vi ha contribuito con il proprio comportamento o se lecircostanze erano tali che esso doveva avvedersi della possibilità di un errore.L’errore può essere invocato dallo stato che è in esso incorso.Diverso dall’errore sulla formazione del consenso a vincolarsi è l’errorerelativo alla redazione materiale del testo del trattato. Questo tipo di errore,che non pregiudica la validità di un trattato, dà luogo a una procedura dicorrezione regolata dall’art. 79 della convenzione di Vienna.

Dolo e corruzione.

Nel caso di dolo, la falsa rappresentazione della realtà è volontariamentedeterminata da uno stato partecipante al negoziato che fraudolentemente,con artifici e raggiri, imbroglia un altro stato.Secondo l’art. 49 della convenzione di Vienna, uno stato, se è stato indotto aconcludere un trattato per mezzo della condotta fraudolenta di un altro statoche partecipa al negoziato, può invocare il dolo come causa d’invalidità delsuo consenso a essere vincolato dal trattato.L’art. 50 prevede il caso della corruzione: se l’espressione del consenso diuno stato a essere vincolato da un trattato è stata ottenuta per mezzo dellacorruzione del suo rappresentante a seguito di un’azione diretta o indiretta diun altro stato che ha partecipato al negoziato, lo stato può invocare questa

corruzione come causa d’invalidità del suo consenso a essere vincolato daltrattato.

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Minaccia.

Nel caso di minaccia, l’irregolare formazione del consenso di uno stato siverifica perché quest’ultimo viene minacciato di un male ingiusto e

difficilmente resistibile, che si verificherebbe se il trattato non fosse concluso ose non fosse concluso a certe condizioni.La minaccia vizia il consenso indipendentemente dal fatto che ilcomportamento ingiusto minacciato venga effettivamente tenuto.Non vi era mai stato dubbio alcuno che portasse all’invalidità di un trattato unaminaccia esercitata nei confronti della persona abilitata a rappresentare lostato nella conclusione di un trattato, al fine di indurla a prestare il consensodello stato a obbligarsi (art. 51).Per contro, fino alla seconda guerra mondiale, la minaccia dell’impiego dellaforza nei rapporti internazionali non era considerata, secondo le concezioniprevalenti, quale causa d’invalidità di un trattato.La situazione è oggi cambiata dopo che la Carta delle Nazioni Unite haobbligato gli stati membri ad astenersi nelle loro relazioni internazionali dallaminaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale ol’indipendenza politica di qualsiasi stato, sia in qualunque altra manieraincompatibile con i fini delle Nazioni Unite (art. 52).Si ritiene che l’art. 52 della convenzione di Vienna riguardi la minacciadell’impiego della forza militare e che esso non si estenda a quel tipo dipressioni o minacce che uno stato ricco potrebbe esercitare nei confronti diuno stato povero (violenza economica).Da un lato, la minaccia economica non è stata inserita tra le cause d’invalidità

dei trattati codificate nel testo della convenzione di Vienna; dall’altro lato, essarisulta menzionata in una dichiarazione allegata all’atto finale della conferenzadi Vienna (e quindi in un atto non avente valore direttamente vincolante per leparti), con la quale la conferenza condanna solennemente il ricorso allaminaccia o all’impiego di tutte le forme di pressione, militare, politica oeconomica, da parte di qualsiasi stato, al fine di costringere un altro stato acompiere un atto qualunque legato alla conclusione di un trattato, inviolazione dei principi dell’uguaglianza sovrana degli stati e della libertà delconsenso.

Violazione delle norme di diritto interno sulla conclusione dei trattati.

Uno stato non può invocare le disposizioni del suo diritto interno comegiustificazione per la mancata esecuzione degli obblighi derivanti da untrattato. L’unica eccezione a questa regola si ha quando siano state violate ledisposizioni del diritto interno relative alla specifica materia della conclusionedei trattati, come quella in tema di conferimento dei pieni poteri per ilnegoziato o di manifestazione del consenso a vincolarsi.Perché la causa d’invalidità in esame possa operare, occorre tener conto delfatto che la ripartizione delle competenze tra gli organi di uno stato è materiache rientra nella sua giurisdizione domestica, non esistendo in propositoalcuna norma di diritto internazionale generale. Di qui la necessità di

bilanciare l’esigenza del rispetto delle procedure interne sulla conclusione deitrattati con l’esigenza di tutelare l’affidamento degli altri stati contraenti, ai

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quali non può essere fatto carico di conoscere nei dettagli tali procedure e diverificarne l’osservanza in ogni singola circostanza.Il fatto che il consenso di uno stato a essere vincolato da un trattato sia statoespresso in violazione di una disposizione del suo diritto interno concernentela competenza per concludere dei trattati non può essere invocato da questo

stato (come causa d’invalidità di un trattato), a meno che questa violazionesia stata manifesta e riguardi una norma del suo diritto interno di importanzafondamentale. Una violazione è manifesta se essa è oggettivamente evidenteper ogni stato che si comporta in materia conforme alla pratica abituale e inbuona fede.

Contrasto con norme imperative del diritto internazionale generale.

Prima della convenzione di Vienna, non si riteneva che esistessero normegenerali di diritto internazionale aventi natura imperativa (o inderogabile, operentoria, o cogente: ius cogens).La convenzione di Vienna viene invece a configurare una gerarchia tra lenorme di diritto internazionale generale.Esiste un ristretto nucleo di norme generali che sono così connaturate alleesigenze fondamentali della comunità internazionale nel suo insieme, da nonpoter essere mai oggetto di deroga. Secondo l’art. 53 della convenzione diVienna, è nullo ogni trattato che, al momento della sua conclusione, è incontrasto con una norma imperativa del diritto internazionale generale.La convenzione di Vienna non fornisce l’elenco delle norme generali dotatedel requisito dell’inderogabilità, ma una definizione di norma imperativa: ai finidella presente convenzione, una norma imperativa del diritto internazionale

generale è una norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionaledegli stati nel suo insieme come norma alla quale non è permessa alcunaderoga e che può essere modificata solo da una nuova norma del dirittointernazionale generale avente lo stesso carattere.L’art. 66 della convenzione di Vienna prevede che una controversia relativaall’applicazione o all’interpretazione degli articoli in materia di norme generaliimperative può venire sottoposta alla giurisdizione della Corte Internazionaledi Giustizia da una qualsiasi delle parti alla controversia.

Conseguenze.

Le disposizioni di un trattato invalido non hanno dall’origine (ex tunc) alcuneffetto giuridico. Se, cioonostante, dagli atti sono stati compiuti in esecuzionedi un trattato invalido, una parte può richiedere all’altra di ristabilire, nei limitidel possibile e nei loro rispettivi rapporti, la situazione che si sarebbe avuta segli atti non fossero stati compiuti. Tuttavia, gli atti compiuti in buona fedeprima che l’invalidità sia invocata non divengono illeciti per il solo fatto che iltrattato sia invalido.Una disposizione regola le conseguenze dell’invalidità di un trattato checontrasta con una norma imperativa del diritto internazionale generale. Inquesto caso, le parti sono tenute a eliminare, nella misura del possibile, leconseguenze di ogni atto compiuto sulla base di una disposizione in contrasto

con la norma imperativa del diritto internazionale generale e a rendere le lororelazioni reciproche conformi alla norma stessa.

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Di regola, l’invalidità colpisce l’intero trattato. Però, una causa d’invalidità cheriguardi solo alcune disposizioni del trattato può essere invocata solo rispettoa tali disposizioni, lasciando impregiudicato il resto del trattato, quandoricorrono le seguenti tre condizioni: se tali disposizioni possono essereseparate dal resto del trattato ai fini della loro applicazione; se risulta dal

trattato o è altrimenti stabilito che l’accettazione di tali disposizioni non erauna base essenziale del consenso dell’altra parte ad essere vincolata daltrattato nel suo insieme; se la continuata esecuzione del resto del trattato nonappare ingiusta.La separabilità non opera in caso d’invalidità per minaccia o contrasto connorme imperative del diritto internazionale generale.Uno stato non può più invocare l’invalidità di un trattato se, dopo aver avutoconoscenza dei fatti rilevanti, ha espressamente concordato che il trattato siada considerarsi valido o abbia con la sua condotta prestato acquiescenza allavalidità del trattato. Tuttavia, la possibilità di convalida non sussiste nel casod’invalidità per minaccia o per contrasto con norme imperative del dirittointernazionale generale.

L’estinzione.

Le cause di estinzione: cause previste dal trattato stesso (termine, denuncia).

Un trattato si estingue quando, dopo essere regolarmente entrato in vigore,cessa di produrre i suoi effetti.Le clausole finali di un trattato dispongono circa la sua durata o circa il dirittodi una parte di denunciare il trattato o di recedervi.

Nella libertà delle parti rientra anche la previsione di un termine di durata,senza possibilità di un tacito rinnovo.Più frequente è il caso di un termine di durata tacitamente rinnovabile.Nei trattati conclusi senza indicazione di alcun termine di durata è di solitoesplicitamente previsto il diritto delle parti di denunciare il trattato medianteun’apposita manifestazione di volontà.L’art. 56 della convenzione di Vienna prevede che un trattato che noncontiene disposizioni relative alla sua estinzione e non prevede che si possadenunciarlo o recedere da esso non può essere oggetto di denuncia o direcesso a meno che:•Sia stabilito che era nell’intenzione delle parti di ammettere la possibilità di

una denuncia o di un recesso;•Il diritto di denuncia o di recesso possa essere dedotto dalla natura del

trattato.L’art. 55 prevede il caso del trattato multilaterale che, a seguito di molteplicidenunce, viene a vincolare un numero di parti inferiore a quello che era statonecessario per la sua entrata in vigore: a meno che il trattato dispongadiversamente, un trattato multilaterale non si estingue per il solo fatto che ilnumero delle parti scende al di sotto del numero necessario per la sua entratain vigore.

Abrogazione.

Come le parti possono fare un trattato, così esse possono anche disfarlo.

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Secondo l’art. 54 della convenzione di Vienna, un trattato si può estinguere inqualsiasi momento a seguito del consenso di tutte le parti e dopoconsultazione con gli altri stati contraenti.Di solito, le parti, con il nuovo trattato, predispongono anche una nuovaregolamentazione della materia che era oggetto del trattato precedente. Può

accadere che, con una clausola del trattato successivo, le parti provvedanoad abrogare il trattato precedente, che cessa così di produrre effetti(abrogazione espressa). Ma l’abrogazione può anche derivare dal fatto che leparti, senza nulla disporre circa la sorte del trattato precedente, concludanosuccessivamente tra di loro un nuovo trattato sulla medesima materia(abrogazione tacita o implicita).Secondo l’art. 59 della convenzione di Vienna, un trattato è consideratoestinto quando tutte le parti di esso concludono un trattato successivo relativoalla stessa materia e:•Risulta da trattato successivo o è altrimenti stabilito che le parti intendevano

che la materia sarebbe stata regolata da questo trattato;•Le disposizioni del trattato successivo sono a tal punto incompatibili con

quelle del trattato precedente che i due trattati non sono suscettibili diessere applicati nello stesso tempo.

La convenzione di Vienna esclude la possibilità di attribuire effetti abrogativi diun trattato multilaterale precedente a accordi conclusi tra alcune soltanto delleparti di tale trattato.

Violazione sostanziale del trattato ad opera di una delle parti.

Una parte di un rapporto di natura contrattuale non è tenuta ad adempiere

alla sua prestazione se l’altra parte non ha adempiuto alla propria.Secondo l’art. 60 della convenzione di Vienna, un trattato può estinguersi inpresenza di una violazione ad opera di una della delle parti.La violazione che dà luogo all’estinzione del trattato deve essere sostanziale,come tale intendendosi o un rifiuto del trattato non autorizzato dellaconvenzione di Vienna o la violazione di una disposizione essenziale per larealizzazione dell’oggetto e dello scopo del trattato.La norma si configura diversamente a seconda che il trattato sia bilaterale omultilaterale. Nel primo caso, una violazione sostanziale ad opera di una delleparti autorizza l’altra parte a invocare la violazione come motivo per metterefine al trattato o sospendere la sua applicazione in tutto o in parte.

L’estinzione consegue a una richiesta della parte lesa.Nel caso di un trattato multilaterale, le conseguenze dell’adempimentosostanziale ad opera di una parte sono molto più complesse. È fatta unadistinzione tra le misure adottabili per accordo unanime da tutte le parti e lemisure adottabili dalla parte che sia specialmente lesa dalla violazione. Nellaprima ipotesi, una violazione sostanziale del trattato autorizza le parti asospendere l’efficacia del trattato o a porvi fine in tutto o in parte, sia nellerelazioni tra esse stesse e lo stato autore della violazione, sia nelle relazionitra tutte le parti. Nella seconda ipotesi, la parte specialmente lesa puòinvocare la violazione come motivo di sospensione dell’applicazione deltrattato in tutto o in parte nelle relazioni tra essa stessa e lo stato

inadempiente. È inoltre previsto che ogni parte di un trattato multilateralediversa dallo stato inadempiente può invocare la violazione come motivo per 

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sospendere l’applicazione del trattato in tutto o in parte per quanto laconcerne, se il trattato è di natura tale che una violazione sostanziale dellesue disposizioni ad opera di una parte modifica radicalmente la situazione diciascuna delle parti rispetto all’esecuzione ulteriore degli obblighi discendentidal trattato.

Questa regola ha un’eccezione. Essa non si applica alle disposizioni relativealla protezione della persona umana contenute in trattati di carattereumanitario, in particolare alle disposizioni che proibiscono ogni forma dirappresaglia contro le persone protette da tali trattati.La norma sull’estinzione di un trattato per inadempimento sostanziale nonpregiudica le eventuali disposizioni contenute nel trattato stesso in tema diviolazione.

Impossibilità sopravvenuta.

L’impossibilità sopravvenuta è causa di estinzione dei trattati: una parte puòinvocare l’impossibilità di eseguire un trattato come motivo di estinzione o direcesso se questa impossibilità deriva dalla scomparsa o distruzionepermanente di un oggetto indispensabile per l’esecuzione del trattato. Sel’impossibilità è temporanea, essa può essere invocata solo come motivo per sospendere l’efficacia del trattato (art. 61 della convenzione di Vienna).Se l’impossibilità, anziché sopravvenuta, fosse preesistente alla conclusionedel trattato, si verificherebbe il caso dell’invalidità di un trattato per errore.L’impossibilità di esecuzione non può essere invocata da una parte comemotivo per porre fine a un trattato, per recedervi o per sospenderne l’efficaciase l’impossibilità è il risultato di una violazione, ad opera di quella parte, o di

un obbligo del trattato o di ogni altro obbligo internazionale nei confronti diogni altra parte al trattato.

Mutamento fondamentale delle circostanze.

Un mutamento fondamentale di circostanze che si è verificato rispetto aquelle esistenti al momento della conclusione di un trattato e che non erastato previsto dalle parti non può essere invocato come motivo di estinzione odi denuncia di un trattato, a meno che:•L’esistenza di queste circostanze abbia costituito una base essenziale del

consenso delle parti a essere vincolate dal trattato;

•L’effetto del mutamento sia di trasformare radicalmente la portata degliobblighi che devono ancora essere eseguiti in virtù del trattato.

Per portare all’estinzione del trattato, le trasformazioni prodotte dalmutamento delle circostanze devono presentare un carattere radicale eoggettivo. Il mutamento non deve essere stato previsto dalle parti e deverisultare fondamentale.Il mutamento fondamentale previsto dall’art. 62 della convenzione di Viennanon necessariamente riguarda le circostanze di fatto, ma può anche verteresu circostanze di diritto, ossia su cambiamenti nelle norme di dirittointernazionale applicabili nelle relazioni tra le parti.L’art. 62 della convenzione di Vienna esclude che il mutamento fondamentale

delle circostanze possa venire invocato come motivo di estinzione o didenuncia:

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•Se il trattato stabilisce una frontiera;•Se il mutamento fondamentale è il risultato di una violazione, ad opera della

parte che lo invoca, o di un obbligo del trattato o di ogni altro obbligointernazionale nei confronti di ogni altra parte al trattato.

L’articolo prevede anche che una parte possa invocare il mutamento

fondamentale delle circostanze, qualora ne ricorrano i presupposti, comecausa di sospensione del trattato, anziché di estinzione.

Contrasto con norme imperative del diritto internazionale generale.

L’art. 64 della convenzione di Vienna prevede l’estinzione di un trattato che,essendo valido al momento della conclusione, venga in seguito a contrastarecon una norma generale imperativa sopravvenuta.

Conseguenze.

Le cause di estinzione fanno cessare l’efficacia di un trattato solo a partire dalmomento in cui esse si verificano (ex nunc) e lasciano impregiudicati gli effettiche si sono prodotti in precedenza.L’art. 71 della convenzione di Vienna regola le conseguenze dell’estinzione diun trattato che contrasta con una norma imperativa del diritto internazionalegenerale sopravvenuta. In questo caso, non sono pregiudicati i diritti, gliobblighi o le situazioni giuridiche sorti a seguito dell’esecuzione del trattato nelperiodo che precede la sua estinzione, purchè tali diritti, obblighi o situazionipossano essere mantenuti senza risultare in conflitto con la norma imperativadi diritto internazionale generale.

Anche le cause di estinzione dei trattati, come le cause d’invalidità, sonotipiche.Di regola le cause di estinzione colpiscono l’intero trattato.Tuttavia, una causa di estinzione che riguardi solo alcune disposizioni deltrattato può essere invocata solo rispetto a tali disposizioni, lasciandoimpregiudicato il resto del trattato, quando ricorrono tre condizioni:•Se tali disposizioni possono essere separate dal resto del trattato ai fini della

loro applicazione;•Se risulta dal trattato o è altrimenti stabilito che l’accettazione di tali

disposizioni non era una base essenziale del consenso dell’altra parte aessere vincolata dal trattato nel suo insieme;

•Se la continuata esecuzione del resto del trattato non appare ingiusta.Uno stato non può più invocare l’estinzione di un trattato se, dopo aver avutoconoscenza dei fatti rilevanti, ha espressamente concordato che il trattatopermanga efficace o abbia con la sua condotta prestato acquiescenza almantenimento dell’efficacia del trattato. Tuttavia, la possibilità di convalidanon sussiste nel caso di estinzione per contrasto con norme imperative deldiritto internazionale generale.

La sospensione.

Quasi tutte le cause di estinzione dei trattati possono, sia pure a volte inpresenza di presupposti diversi, operare anche solo quali cause disospensione dell’applicazione del trattato (l’unica causa che fa eccezione è il

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contrasto con una norma imperativa sopravvenuta).La sospensione dell’applicazione di un trattato può verificarsi, riguardo a tuttele parti o a una specifica parte, conformemente alle disposizioni del trattato oin qualsiasi momento a seguito del consenso di tutte le parti e dopoconsultazione con gli altri stati contraenti.

La conclusione di un trattato successivo sulla stessa materia ad opera di tuttele parti di un trattato può comportare solo la sospensione del trattatoanteriore, se questo risulta dal trattato successivo o se è altrimenti stabilitoche questa era l’intenzione delle parti.Nell’ipotesi di violazione del trattato ad opera di una delle parti, lasospensione dell’applicazione del trattato può essere invocata in certi casiquale unica conseguenza dell’inadempimento e in altri casi quale alternativaall’estinzione.La sospensione dell’applicazione del trattato può anche venire invocata inpresenza di un’impossibilità sopravvenuta, ma temporanea, dell’esecuzionedel trattato e in presenza di un mutamento fondamentale delle circostanze.Secondo l’art. 72 della convenzione di Vienna, la sospensionedell’applicazione di un trattato libera le parti tra le quali l’applicazione deltrattato è sospesa dall’obbligo di eseguire il trattato nelle loro reciprocherelazioni durante il periodo di sospensione, ma non pregiudica altrimenti larelazioni giuridiche tra le parti stabilite dal trattato.

Gli effetti della guerra sui trattati.

La convenzione di Vienna (art. 73) non pregiudica la questione degli effettiche l’insorgere di un conflitto armato può esercitare sui trattati in vigore tra i

belligeranti o tra questi e gli stati terzi. La materia resta pertanto regolata daldiritto internazionale generale.Talora l’insorgere di uno stato di guerra costituisce la condizione cui èsubordinata l’applicazione di un trattato.In mancanza di clausole specifiche, la pratica sembra orientata nel senso chel’insorgere di una guerra fra due o più stati abbia l’effetto di sospenderel’applicazione, per il periodo di durata della guerra, dei trattati multilaterali dicui gli stati stessi siano parti.Lo stato di guerra produrrebbe l’estinzione dei trattati bilaterali in vigore, almomento dell’insorgere del conflitto armato, tra stati belligeranti avversari.

I trattati conclusi da organizzazioni internazionali.

Sempre più numerosi sono oggi i trattati conclusi dalle organizzazioniinternazionali, sia con gli stati sia con altre organizzazioni internazionali.La convenzione di Vienna del 1986 si applica ai trattati fra uno o più stati euna o più organizzazioni internazionali e ai trattati fra organizzazioniinternazionali (art. 1). Restano esclusi dal suo ambito di applicazione i trattatidi cui siano parti soggetti di diritto internazionale diversi dagli stati e dalleorganizzazioni internazionali (art. 3).L’atto, corrispondente a quello della ratifica di uno stato, con il quale

un’organizzazione internazionale manifesta sul piano internazionale il suoconsenso ad essere vincolata da un trattato è chiamato atto di conferma

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formale. I pieni poteri sono definiti come un documento rilasciato dall’organocompetente di un’organizzazione internazionale.La capacità di un’organizzazione internazionale di concludere trattati èdisciplinata dalle regole di questa organizzazione.Un’organizzazione internazionale parte a un trattato non può invocare le

regole dell’organizzazione per giustificare la mancata esecuzione di untrattato, a meno che non sussista una causa di nullità per violazione delleregole dell’organizzazione sulla competenza a concludere trattati.Soluzione obbligatoria delle controversie sulle cause d’invalidità per contrastocon norme imperative del diritto internazionale generale. L’art. 66 dellaconvenzione di Vienna del 1986 prevede, per le controversie che a questoriguardo possano sorgere tra uno o più stati e una o più organizzazioniinternazionali, una procedura di arbitrato e una procedura di richiesta diparere consultivo alla Corte Internazionale di Giustizia.Il parere reso dalla Corte è accettato come decisivo da tutte le parti allacontroversia.Nell’ipotesi di un trattato concluso tra due o più stati e una o piùorganizzazioni internazionali, le relazioni tra stati parti della convenzione diVienna del 1969 sul diritto dei trattati restano regolate da quest0ultimaconvenzione (art. 73).

LE NORME GENERALIE LE ALTRE CATEGORIE DI NORME

La concezione prevalente circa la natura delle norme generali.

Le norme generali del diritto internazionale sono tali perché, a differenza deitrattati che creano diritti e obblighi solo tra le parti, esse riguardanoindistintamente tutti i membri della comunità internazionale.Le norme generali, o consuetudinarie, o consuetudini, sorgono sulla base di

fenomeni spontanei e informali.Perché si abbia una norma generale occorrono due requisiti concomitanti:

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•Un elemento oggettivo, dato dalla ripetizione costante nel tempo di una seriedi comportamenti (repetita iuvant);

•Un elemento soggettivo, dato dal convincimento che i comportamenti inquestione sono giuridicamente obbligatori, perché prescritti da una normagiuridica.

La fase formativa delle norme generali alla luce di alcuni casi concreti.

È evidente che gli stati che intendono provocare la formazione di una nuovanorma generale non possono avere il convincimento di doversi conformare aun obbligo giuridico già esistente.

Outer space is freely available for exploration and use by all.

A volte, quando sussiste un diffuso convincimento degli stati circal’opportunità di un’evoluzione normativa, la formazione di una nuova regolagenerale avviene spontaneamente e senza che si manifestino particolariproblemi in proposito.Nel corso dell’anno geofisico internazionale (1957-58), gli enti di ricerca dialcuni paesi iniziarono programmi congiunti per l’esplorazione dello spazioextra-atmosferico tramite satelliti artificiali. Questi satelliti ruotavano intornoalla terra, sorvolando, al di là del limite dell’atmosfera, il territorio di numerosistati, che non sollevarono obiezioni al riguardo, nonostante non fosse stataloro richiesta alcuna autorizzazione.Un simile comportamento presupponeva un’intenzione di natura normativa,poiché esso significava l’abbandono della tradizionale regola secondo la

quale la sovranità di uno stato si estendeva al di sopra del suo territorio senzaalcun limite.Secondo la nuova norma generale che si voleva introdurre, il regime dellospazio extra-atmosferico era caratterizzato dal principio della libertà diesplorazione e utilizzazione, mentre l’applicazione della regola tradizionaledella sovranità dello stato sottostante era limitata allo spazio atmosferico.Senza sostanziali obiezioni, la regola della libertà dello spazio extra-atmosferico venne espressamente enunciata nella risoluzione n.1962 adottatanel 1963 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.Una nuova norma generale si era così formata a seguito di uncomportamento di alcuni stati che presupponeva un’intenzione di natura

normativa.Los gobiernos proclaman la soberania y la jurisdicion exclusivas sobre el mar hasta una distancia de 200 millas.

In altri casi, a un’intenzione di natura normativa manifestata da uno o più statifa riscontro l’opposizione di altri stati, che non ritengono opportuna laformazione di una nuova norma generale.Con una dichiarazione fatta a Santiago nel 1952, Cile, Perù ed Ecuador rivendicarono la sovranità e giurisdizione esclusive sul mare adiacente alleloro coste fino a una distanza di 200 miglia nautiche.Con tale atto veniva enunciato il contenuto di una nuova norma generale, che

i tre paesi auspicavano si sarebbe applicata non solo nel loro caso specifico,ma in modo generale a tutti gli stati costieri.

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Una norma generale limitava i diritti dello stato rivierasco entro uno spazio di3 miglia e comunque non eccedente le 12 miglia. Ciò determinava un conflittocon il diritto internazionale allora vigente.Inizialmente le grandi potenze marittime si opposero in modo categorico allerivendicazioni dei tre stati.

Tuttavia, con il passare del tempo, i tre stati trovarono sostegno in alcunipaesi in via di sviluppo. La zona marittima, inizialmente proposta, venivaassumendo i contorni di una zona economica esclusiva di 200 miglia diestensione, entro la quale lo stato costiero poteva esercitare dirittirelativamente a materie di rilievo economico, fermo restando una mareterritoriale, limitato a 12 miglia, ove la sovranità dello stato costieromanteneva un pieno contenuto.Intorno al 1975 anche le tradizionali potenze marittime cominciarono a istituirezone economiche esclusive di 200 miglia di ampiezza. Veniva così a formarsiuna nuova norma di diritto internazionale generale.Qui manca sia la ripetizione costante di una serie di comportamenti, sia ilconvincimento che i comportamenti in questione fossero giuridicamenteobbligatori.Le proposte di Cile, Ecuador e Perù, pur partendo dalle esigenze di casispecifici, erano presentate nella forma di enunciati normativi di caratteregenerale.Lo stato che enuncia la proposta di norme nuove sa di comportarsi in mododiverso da quanto i precedenti richiederebbero. Ciononostante, spera diinterpretare nuove esigenze, sentite dall’insieme dei membri della comunitàinternazionale, e di raccogliere un adeguato numero di consensi.

But, in the meantime, we had to act now.Una manifestazione molto esplicita dell’intenzione di natura normativa di unostato che tiene un comportamento diverso da quello che regole generaliavrebbero prescritto si può trovare nella posizione presa dal Canada nel1970, al momento dell’adozione della legge che regolamentava lanavigazione all’interno di una zona di 100 miglia nautiche dalle terre e dalleisole che costituiscono la parte settentrionale del paese.Il Canada era preoccupato dal rischio d’inquinamento marino che sarebbederivato dal progetto di trasportare gli idrocarburi estratti dai giacimentidell’Alaska per mezzo di super-petroliere rompighiaccio che transitassero

lungo il passaggio di nord-ovest.Le regole consolidate del diritto internazionale generale avrebbero consentitola realizzazione del progetto.Emerge un comportamento che non ha l’appoggio di precedenti, in presenzadi una situazione nuova e nell’intento di favorire la formazione di regole piùadeguate alle nuove esigenze.La pretesa canadese, benché inizialmente avversata dagli Stati Uniti, trovò unsostanziale accoglimento nella convenzione delle Nazioni Unite sul diritto delmare.

Those peolple do not enjoy International diplomatic respect.

Casi in cui alla manifestazione di un’intenzione, che pure potrebbe avere una

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natura normativa, non fa seguito una corrispondente serie di consensi,espliciti o impliciti, da parte degli altri stati. In questi casi, il comportamentoche fa eventualmente seguito alla manifestazione dell’intenzione è e rimaneuna violazione di obblighi discendenti da norme generali.Nel 1979 un gruppo di sedicenti studenti mussulmani invase i locali

dell’ambasciata degli Stati Uniti a Teheran e, con l’appoggio, prima tacito epoi espresso, delle autorità dell’Iran, tenne prigionieri per oltre un anno imembri del personale diplomatico e consolare americano.La tesi dell’Iran era che la norma generale che obbliga uno stato a noneseguire misure che privano della libertà i diplomatici stranieri, non si sarebbeapplicata nel caso di diplomatici sospettati di spionaggio e di complotti.È possibile notare, nel caso specifico, una divergenza di opinioni sulcontenuto di una norma generale.Nel comportamento tenuto dall’Iran non poteva neppure ravvisarsi il punto dipartenza tendente all’evoluzione di norme generali.Mentre la zona marittima di 200 miglia o la zona di prevenzionedell’inquinamento canadese rappresentano violazioni di norme generalisuscettibili di determinare un’evoluzione fisiologica delle norme stesse, lacattura e la detenzione di diplomatici appare una violazione di normedestinata a rimanere nella patologia del diritto internazionale.

La manifestazione di un’intenzione di natura normativa.

Più che i convincimenti di per sé considerati, assumono rilievo lemanifestazioni esteriori di intenzioni aventi natura normativa, e cioè ledichiarazioni provenienti da autorità ufficiali di uno o più stati o i

comportamenti che presuppongono una simile intenzione.A differenza di quanto avviene nel diritto interno, le norme generali del dirittointernazionale, benché volute ed esteriormente manifestate, non sono postein essere secondo procedure rigidamente formali.

L’accettazione generale di un’intenzione di natura normativa.

Occorre verificare se le prime manifestazioni di intenzioni di natura normativasono seguite da una serie concordante di consensi da parte di altri stati o dauna serie di comportamenti che presuppongono consensi impliciti.Un procedimento di consenso generale deve concretarsi in una serie di

manifestazioni adeguatamente uniformi, estese e rappresentative.È sufficiente constatare che la norma sia voluta o accettata come tale da unamaggioranza significativa di stati. L’accettazione può anche essere implicita.La maggioranza di stati deve essere composta da un numero di statiadeguatamente rappresentativo dei paesi portatori di interessi opposti nellamateria oggetto della norma e deve venire ponderata di conseguenza.Le norme generali si formano a seguito dell’iniziativa volontaria di uno o piùstati e della successiva generale accettazione, esplicita o implicita, da partedegli altri; e rimangono tali per tutto il tempo in cui perdura un simileatteggiamento di accettazione generale.A differenza di quanto avviene con i diritti interni, il procedimento formativo

delle norme del diritto internazionale generale è dominato dalla mancanza diqualsiasi elemento di ufficialità e formalità.

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L’irrilevanza dei comportamenti in quanto tali.

Le norme giuridiche hanno lo scopo di indurre i soggetti che ne sonodestinatari a tenere alcuni comportamenti.

Non occorre che le norme siano necessariamente conformi a precedenticomportamenti, potendo darsi il caso che le norme siano state enunciate e sisiano formate proprio al fine di portare al cambiamento di comportamentisentiti come inadeguati dalla maggioranza degli stati. Neppure occorre che icomportamenti tenuti dopo che le norme si sono formate corrispondano aquanto prescritto dalle norme stesse.Importa, ai fini dell’esistenza di norme generali, non quello che gli stati fanno,ma quello che gli stati sostengono che si deve fare.Di solito, lungi dal portare alla formazione di una nuova norma generale, icomportamenti difformi da una norma costituiscono una violazione dellanorma stessa.Questi tipi di comportamenti non presuppongono un’intenzione di naturanormativa, ma rilevano il desiderio di sfuggire nei fatti a una norma di cui nonsi vuole o non si può mettere in discussione l’esistenza.Diversi dagli altri, poiché dotati di un significato potenzialmente normativi,sono solo i comportamenti tenuti nell’intenzione, esplicita o implicita, diportare alla formazione di una nuova norma generale. In questi casi, icomportamenti sono rilevanti non in quanto tali, ma come manifestazione diun’intenzione di natura normativa.

L’accertamento delle norme generali.

L’accertamento, o rilevazione dell’esistenza e del contenuto di normegenerali, implica un esame accurato degli elementi significativi; è necessariobasarsi su dati empirici.Non esiste alcuna gerarchia tra i vari dati della pratica utilizzabili: tutti quellidisponibili devono essere ponderati e confrontati al fine di poter trarreconclusioni circa l’esistenza e il contenuto di norme di diritto internazionalegenerale.Vi sono dati della pratica interna in materia internazionale, cioè gli atti e idocumenti che, pur provenendo esclusivamente da organi nazionali,riguardano materie oggetto di norme di diritto internazionale.

In secondo luogo, vi sono i dati della pratica internazionale in senso stretto,cioè gli atti e i documenti che si formano sul piano internazionale.Le decisioni di organi giudiziari o arbitrali internazionali sono richiamate in viasussidiaria.I trattati internazionali, le ripetizioni di una certa clausola in un ambio numerodi trattati bilaterali possono, in certi casi, essere considerate come segnodell’esistenza di una norma generale di contenuto conforme.Ma può anche succedere che le ripetizioni in questione siano lamanifestazione dell’intenzione delle parti di derogare a una norma generale e,pertanto, di stabilire nei loro specifici rapporti una regolamentazione diversada quella che risulterebbe a seguito dell’applicazione di una norma generale.

Tutti i dati della pratica hanno in comune il fatto di provenire, in modo diretto oindiretto, non da privati individui o enti privati, ma da organi di uno stato o di

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un altro soggetto di diritto internazionale.L’onere della prova delle norme stesse nel corso di un procedimentogiudiziale o arbitrale non incombe su alcuna delle parti, dato che, in forza delprincipio generale che il giudice conosce il diritto (iura novit curia), l’organoinvestito di una controversia deve accertare e applicare d’ufficio tutte le norme

aventi una natura generale.

Gli strumenti della pratica internazionale.

Poiché non esiste una sorta di gazzetta ufficiale internazionale,l’accertamento delle norme generali deve, all’atto pratico, avvenire mediantela consultazione di un ampio insieme di raccolte di dati della praticainternazionale.La pratica nazionale in materia internazionale accessibile alla consultazione èancora prevalentemente quella di un limitato gruppo di stati.La restante pratica resta depositata in archivi, non sempre di pubblicaconsultazione, e viene occasionalmente alla luce quando, in caso dicontroversie internazionali, gli stati hanno cura di esibire in giudizio i materialiche appoggiano le loro domande.

L’efficacia soggettiva delle norme generali.

Le norme generali o consuetudinarie del diritto internazionale si applicano atutti gli stati e a tutti i soggetti di diritto internazionale, in questo distinguendosidai trattati, che vincolano solo le parti contraenti. L’ambito di applicazione diuna norma generale si estende agli stati che non hanno attivamente

contribuito alla sua formazione o che si sono dimostrati indifferenti al riguardo.Le norme generali si applicano anche agli stati che non potevano contribuirealla loro creazione.

Le consuetudini locali.

Un’efficacia non generale hanno invece quelle norme non scritte che vengonoa formarsi nei rapporti intercorrenti tra un gruppo limitato e determinato di stati(consuetudini locali, o particolari, o regionali).Questo tipo di regole si avvicina alle norme generali per la mancanza di unaredazione ufficiale di un testo scritto, e si avvicina ai trattati sotto il profilo della

loro sfera di efficacia particolare.Diversamente da quanto avviene per le regole generali, l’onere processuale difornire la prova di una consuetudine locale incombe sulla parte che la invoca:le consuetudini locali sfuggono alla presunzione di conoscenza del diritto daparte del giudice.

Lo stato obiettore persistente.

Caso dello stato obiettore persistente (o stato oppositore o recalcitrante), cioèdello stato che, già nella fase formativa di una norma generale, e non dopoche la norma si sia formata, manifesta in modo persistente e in equivoco la

sua opposizione ad essere vincolato dalla norma stessa. Secondo l’opinioneprevalente la norma generale, una volta affermata, non potrebbe essere fatta

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valere nei confronti di uno stato obiettore persistente.Ciò appare molto discutibile: le norme generali del diritto internazionale nonrichiedono di essere accettate e condivise dalla totalità degli stati, ma da unamaggioranza sufficientemente rappresentativa. Una volta che la norma si siaformata, essa dovrebbe valere per tutti gli stati, compresi quegli stati che vi si

siano opposti.È pertanto preferibile ritenere che, in certi casi, uno stato obiettore persistenteriesce a sottrarsi a un obbligo derivante da una regola generale non perchéesso possa unilateralmente esonerarsi dall’osservanza di tale obbligo, amaperché si è formata una regola consuetudinaria locale nel senso voluto dallostato in questione.

La codificazione del diritto internazionale.

La codificazione dottrinale.

Iniziative di redigere per iscritto e di classificare in modo sistematico le normedel diritto internazionale.I tentativi di singoli studiosi e di associazioni scientifiche, per quantosignificativi essi siano, non costituiscono però un’opera di codificazione insenso proprio, mancando in essi il carattere dell’ufficialità, che rende le normecodificate obbligatorie per i soggetti di un dato ordinamento. I compito dellacodificazione nel sistema di diritto internazionale può essere intrapreso solodagli stati.

La codificazione del diritto internazionale di guerra.

Il primo esempio di codificazione ad opera degli stati si verificò nella secondametà del secolo XIX, nel settore del diritto internazionale di guerra, con iltentativo di rendere più umano il fenomeno delle ostilità belliche nei confrontidei combattenti e delle popolazioni civili coinvolte nel conflitto.Dopo la seconda guerra mondiale, l’insieme del diritto internazionale di guerrafu ulteriormente codificato con le quattro convenzioni adottate a Ginevra nel1949.

La Commissione del Diritto Internazionale.

Nello scorso secolo, i lavori per la codificazione del diritto internazionale sonostati soprattutto promossi dalle due organizzazioni politiche mondiali che glistati hanno costituito dopo i conflitti mondiali.Il tentativo della Società delle Nazioni d’intraprendere un’opera dicodificazione del diritto internazionale non diede luogo a risultatiparticolarmente significativi.Dopo la seconda guerra mondiale, fu possibile riprendere, nel contesto delleNazioni Unite, il proposito della codificazione del diritto internazionale.La Carta delle Nazioni Unite attribuisce all’Assemblea Generale anche ilcompito d’intraprendere studi e fare raccomandazioni allo scopo diincoraggiare lo sviluppo progressivo del diritto internazionale e la sua

codificazione.Per adempiere a tale compito, l’Assemblea Generale ha creato un suo organo

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sussidiario a carattere permanente, la Commissione del Diritto Internazionale.Particolarmente accurato è il metodo di lavoro della commissione. Una voltascelto uno specifico settore del diritto internazionale generale, vienedesignato un relatore tra i membri della commissione. Egli predispone unaserie di articoli preliminari con relativi commenti, che vengono analizzati nel

corso delle sessioni della commissione. Al termine di questo processo dielaborazione, la commissione è in grado di adottare un progetto di trattato e difare raccomandazioni circa il suo seguito.Una volta completata la fase tecnica, si apre la fase politica del processo dicodificazione. L’Assemblea Generale può decidere di convocare unaconferenza di stati che discuta il progetto, vi apporti le modifiche opportune eadotti un trattato di codificazione.L’Assemblea Generale può anche ritenere opportuno adottare, senza laprevia convocazione di una conferenza, il testo di un trattato di codificazione,che corrisponda al progetto della commissione, e allegarlo a una propriarisoluzione.Altre scelte sono pure ammissibili: ad esempio, l’incorporazione del progettodella commissione in uno strumento di carattere non vincolante.Sono anche emerse procedure di codificazione e di sviluppo progressivo deldiritto internazionale che non comportano l’intervento di un organo tecnicocome la Commissione del Diritto Internazionale.Tali procedure si compongono di una prima fase che si tiene nel quadro diuna commissione dell’Assemblea Generale, e di una seconda fase chegiunge all’adozione definitiva di una convenzione ad opera della stessaAssemblea o di un’apposita conferenza diplomatica.

Codificazione e diritto internazionale generale.

Lo strumento giuridico utilizzato per procedere alla codificazione e allosviluppo progressivo dei vari settori del diritto internazionale ènecessariamente costituito da un trattato. Esso richiede, dopo la suaadozione, un numero minimo di ratifiche per la sua entrata in vigore; e, unavolta entrato in vigore, produce effetti solo per gli stati che ne sono divenutiparte.Il trattato può avere l’effetto di una incorporazione di norme generali, nelsenso che esso dà forma scritta a norme generali già esistenti al momentodella sua adozione. Queste norme, proprio in quanto norme generali,

obbligano anche gli stati che non sono parti del trattato di codificazione.I trattato può anche avere l’effetto di una cristallizzazione di norme generaliche stavano emergendo, nel senso che il trattato costituisce l’elemento checonclude la fase formativa di tali norme.Inoltre, il trattato può essere un fattore generatore di nuove norme generali,nel senso che esso determina modelli di comportamento degli stati che, con ilpassare del tempo, portano alla formazione di norme generali che nonesistevano al momento dell’adozione del trattato stesso.

I rapporti tra norme generali e trattati.

Si è affermata l’idea di una gerarchia tra norme generali e trattati; alcunenorme generali caratterizzate dalla loro natura imperativa prevalgono sui

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trattati, così da rendere nullo un trattato che sia in conflitto con tali norme.Nei casi di conflitto tra norme occorre tenere anzitutto presente il criterio per cui la norma speciale deroga, nei rapporti tra le parti, alla norma generale. Male norme generali devono essere utilizzate per colmare le eventuali lacunelasciate nella regolamentazione convenzionale o per interpretare, se

necessario, le disposizioni del trattato.In altri casi è preferibile seguire il criterio secondo il quale la normasuccessiva deroga a quella preesistente. Questo può verificarsi quando siassista alla formazione, successivamente al trattato, di una nuova normaconsuetudinaria che è in conflitto con il trattato stesso.

I principi generali di diritto.

L’art. 38 dello statuto della Corte Internazionale di Giustizia prevede che lacorte applichi, nel decidere in base al diritto internazionale le controversie chele sono sottoposte, anche i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazionicivili. È plausibile che si tratti di principi generali degli ordinamenti giuridicinazionali.I principi generali di diritto non vanno confusi con regole metagiuridiche digiustizia, canoni di diritto naturale: si tratta di una categoria diversa dall’equità.Alcuni esempi sono: lex specialis derogat generali, lex posterior derogat priori,nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet, nemo turpitudinem suamadducens audiatur…Molto importante è il principio generale in base al quale tutto ciò che non èespressamente vietato, è permesso.Il ricorso a un principio generale è sottoposto ad alcune condizioni e

restrizioni: non vi devono essere trattati o regole generali di dirittointernazionale applicabili nel caso concreto; il principio utilizzato deve esserepresente nella maggior parte dei sistemi giuridici nazionali; il principio nondeve risultare incompatibile con i caratteri e la struttura della comunitàinternazionale.

I precedenti giudiziari.

Le sentenze accertano e quindi applicano il diritto internazionale vigente, ivi

comprese le norme generali.In alcuni casi, sembra possibile attribuire ai giudici un ruolo creativo di nuovenorme di diritto internazionale generale.Una decisione internazionale ha valore di cosa giudicata solo fra le parti e noncostituisce un precedente dotato di effetto vincolante rispetto ad altri casi. Maè anche vero che le decisioni giudiziarie rappresentano quasi sempre unmodello rispetto ai casi simili che si possono verificare in seguito e fornisconoun importante punto d’appoggio per lo sviluppo di una pratica internazionalein senso corrispondente.

La dottrina.

Non si può affermare che le opinioni degli studiosi costituiscano un dato della

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prassi internazionale.Le argomentazioni degli studiosi, che pure sono richiamate in via sussidiariadall’art. 38 dello statuto della Corte Internazionale di Giustizia, non sonoattribuibili agli stati, a meno che essi non espongano le loro tesi nella veste dirappresentanti ufficiali di uno stato.

Le raccomandazioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Problema dell’incidenza della prassi delle Nazioni Unite sulla formazione diregole del diritto internazionale generale, soprattutto per quanto riguarda lanatura e gli effetti di quelle risoluzioni dell’Assemblea Generale checontengono un insieme di regole relative a una determinata materia. Talirisoluzioni sono formulate in modo generale e astratto e sono di solitodesignate con l’espressione dichiarazioni di principi.Le dichiarazioni di principi dell’Assemblea Generale hanno un pesoconsiderevole tra i vari elementi della pratica che caratterizzano i processi diformazione spontanea di regole generali di diritto internazionale. Ma èaltrettanto vero che nella Carta delle Nazioni Unite non si trova alcunriferimento specifico al potere dell’Assemblea Generale di emanaredichiarazioni di principi e al valore giuridico che a esse debba venire attribuito.Hanno il valore non vincolante di una raccomandazione.L’intento di chi ha adottato la dichiarazione è quello di raccomandare uncomportamento che sarebbe auspicabile tenere, pur non essendo essoprescritto da alcuna regola generale del diritto internazionale.

Il diritto soffice.

Considerazioni non dissimili da quelle svolte a proposito delle dichiarazioni diprincipi dell’Assemblea Generale possono ripetersi per tutti quegli atti aventinatura politica o tecnica, ma comunque giuridicamente non vincolante, chesono frequentemente adottati da organi delle varie organizzazioniinternazionali o da conferenze cui prendono parte delegati degli stati.Sono spesso indicati con l’espressione diritto soffice; rimangono atti nonvincolanti, aventi tutt’al più il carattere di raccomandazioni.Gli atti unilaterali.

Nel caso degli atti unilaterali, la manifestazione di volontà di un solo soggetto

è di per sé idonea a creare effetti giuridici sul piano del diritto internazionale,indipendentemente da una sua convergenza con una manifestazione divolontà di contenuto corrispondente da parte di un altro soggetto. Per questomotivo si distinguono dai trattati, per i quali è richiesta la convergenza di piùmanifestazioni di volontà.Gli effetti derivanti da un atto unilaterale possono riguardare la nascita, lamodificazione, l’estinzione o la salvaguardia di situazioni giuridiche soggettivefacenti capo allo stato da cui promana la manifestazione unilaterale di volontàe operanti nei riguardi dello stato cui la manifestazione è diretta o di tutti glistati in genere.

Il riconoscimento.

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Il riconoscimento è l’atto attraverso il quale uno stato, sulla base di una suapreventiva valutazione di una determinata situazione di fatto o di diritto,manifesta unilateralmente la sua volontà di considerare esistente e di noncontestare tale situazione.L’effetto che il diritto internazionale generale collega al riconoscimento

consiste nell’obbligo, per lo stato che lo ha effettuato, di non contestare lasituazione di fatto o di diritto riconosciuta e in un corrispondente dirittosoggettivo a favore degli stati verso i quali il riconoscimento è diretto. Siritiene che tale effetto possa essere sottoposto a condizioni e che possacessare in caso di revoca del riconoscimento.

La rinuncia.

La rinuncia è l’atto mediante il quale uno stato manifesta la volontà di nonavvalersi di un diritto soggettivo che gli spetta sulla base di una norma,generale o convenzionale, del diritto internazionale.Per effetto della rinuncia si estingue l’obbligo che uno o più stati dovevanoadempiere nei confronti dello stato autore della rinuncia. La rinuncia non puòpresumersi.

L’acquiescenza.

Il riconoscimento e la rinuncia possono risultare sia da una manifestazioneespressa di volontà di uno stato sia da suoi comportamenti concludenti chedenotano un consenso tacito. In questi casi si verifica una situazione diacquiescenza. Ma non si può desumere il consenso di uno stato a un certo

comportamento dal solo fatto che esso non abbia dato risposta entro un certotermine a una proposta fatta da un altro stato.

La preclusione.

La preclusione è spesso indicata con la parola stoppe: a uno stato è preclusodi assumere una posizione che sia in contraddizione con un’altra posizione daesso in precedenza assunta.La protesta.

La possibilità di desumere dal comportamento di uno stato il riconoscimento

di una determinata situazione o la rinuncia ad avvalersi di un proprio diritto èesclusa, qualora esso abbia formulato tempestivamente una protesta contro ilverificarsi di quella situazione o contro la violazione di quel suo diritto.

La promessa.

La promessa è una manifestazione unilaterale di volontà con la quale unostato s’impegna a tenere un certo comportamento.Lo stato è obbligato ad attenersi al comportamento promesso.

Gli atti unilaterali.

Tra gli atti unilaterali relativi alla sfera di efficacia di un trattato si segnalano la

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ratifica o l’adesione, che manifestano la volontà di vincolarsi, la denuncia o ilrecesso, che esprimono la volontà di far venir meno i diritti e gli obblighi diuno stato rispetto ad un trattato, la riserva, che limita l’efficacia del trattato neiriguardi di uno stato.Con la richiesta uno stato dà inizio a un procedimento per il regolamento

giudiziario di una controversia.Come atto unilaterale può essere intesa anche la dichiarazione di annessionedi un territorio altrui o nullius.

DIRITTO INTERNAZIONALE E DIRITTO INTERNO

La separazione tra diritto internazionale e diritti interni.

Il sistema (o ordinamento) di diritto internazionale costituisce un insieme dinorme distinto dai vari sistemi di diritto interno (o nazionale o domestico).Procedimenti attraverso i quali le norme di diritto internazionale, siano essegenerali o contenute in trattati, sono recepite nei sistemi di diritto interno.La separazione dei sistemi nazionali da quello internazionale fa sì che in molticasi l’adempimento degli obblighi imposti da norme internazionali avvengamediante l’adozione di un atto legislativo con il quale uno stato modifica ilproprio diritto interno.In molti casi, l’emanazione di norme legislative è il modo più pratico o il solo

modo consentito dal diritto interno per creare le condizioni affinchè l’obbligointernazionale venga adempiuto. Ma non esiste alcuna norma di diritto

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internazionale che regoli i meccanismi attraverso i quali gli stati provvedonoad adeguare i propri ordinamenti interni agli obblighi internazionali. Ciascunostato è libero di provvedere allo scopo come ritiene più opportuno.

La prevalenza del diritto internazionale sul diritto interno.

Sono i diritti interni dei vari stati che sia adattano al diritto internazionale.Nelle stesse carte costituzionali di molti stati sono frequenti le norme chericonoscono la prevalenza del diritto internazionale sul diritto interno.Uno stato non può invocare il proprio diritto interno per giustificarel’inadempimento di un obbligo internazionale. Tale principio è ribadito nell’art.27 della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.

L’adattamento del diritto italiano al diritto internazionale generale.

Per quanto riguarda l’adattamento alle norme generali del dirittointernazionale opera l’art. 10 Cost., secondo il quale l’ordinamento giuridicoitaliano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmentericonosciute.Non è chiaro se nel disposto dell’art. 10 Cost. rientrino le consuetudiniparticolari.Il meccanismo di adattamento del diritto italiano al diritto internazionalepredisposto dall’art. 10 Cost. è automatico. Le norme di diritto internazionalegenerale sono recepite nel diritto italiano, ove esse acquisiscono una naturaobbligatoria che si aggiunge a quella loro originaria, senza che occorra alcunintervento del legislatore. Il meccanismo in questione ha anche carattere

immediato. Le modificazioni del diritto italiano prodotte dall’art. 10 Cost. siverificano a partire dal momento stesso in cui è divenuta operante una normadi diritto nazionale generale.La Corte Costituzionale ha attribuito alle norme recepite tramite l’art. 10 Cost.una garanzia costituzionale, nel senso di ritenere costituzionalmenteillegittime, per violazione dell’art. 10 Cost., le norme di legge che siano incontrasto con norme internazionali generali.Problema del contrasto tra una norma italiana di rango costituzionale e unanorma di diritto internazionale consuetudinario, immessa nel nostroordinamento tramite l’art. 10 Cost.. la Corte Costituzionale ha seguito ilcriterio che, per quanto riguarda le norme di diritto internazionale

generalmente riconosciute venute ad esistenza dopo l’entrata in vigore dellaCostituzione, il meccanismo di adeguamento automatico previsto dall’art. 10Cost. non può mai operare in modo da consentire la violazione dei principifondamentali del’ordinamento costituzionale italiano. La ricezione è, invece,piena e senza limiti per quanto riguarda le norme internazionali generalianteriori alla data di entrata in vigore della Costituzione, cioè il 1 gennaio1948.

Il procedimento per la partecipazione a trattati.

Nel diritto internazionale non esistono regole che provvedano a determinare

quale organo di uno stato sia investito della competenza a negoziare estipulare i trattati, né quali procedure di diritto interno uno stato debba seguire

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per divenire parte a un trattato e introdurre nel proprio diritto gli obblighi cheda esso discendono.Occorre distinguere tre diverse fasi del negoziato con conseguente adozionedel testo del trattato, della formazione sul piano interno del consenso avincolarsi con conseguente autorizzazione alla ratifica e della manifestazione

di tale consenso sul piano internazionale con conseguente deposito dellaratifica.

Il negoziato e l’adozione del testo.

Per quanto riguarda il negoziato, importanti competenze in materia di trattatispettano al governo della Repubblica.Il presidente del consiglio dei ministri ha il compito di mantenere l’unità diindirizzo politico e amministrativo del governo. Sono pertanto sottoposti alladeliberazione del consiglio dei ministri le linee di indirizzo in tema di politicainternazionale e comunitaria e i progetti dei trattati e degli accordiinternazionali.Tra le varie attribuzioni del consiglio del ministero degli affari esteri sonoinclusi anche quelle relative alla stipulazione e revisione dei trattati, cioè leattribuzioni relative alla rappresentanza dello stato nella fase del negoziato e,quindi, dell’adozione del testo di trattati.Il negoziato con gli altri stati è condotto da coloro cui è attribuito tale poterecon apposita lettera firmata dal ministro degli affari esteri italiano. In molti casiè designata una delegazione.Nel corso del negoziato e nei rapporti con gli altri stati, la delegazione deveattenersi a una posizione unitaria e coerente, secondo le istruzioni che le

sono state impartite e che sono di solito definite in riunioni di coordinamentointerno tenute prima dell’inizio del negoziato.Se il negoziato si conclude positivamente, il capo della delegazione è di solitoinvestito anche del potere di partecipare all’adozione del testo in nome e per conto dell’Italia. Il testo del trattato adottato è quindi trasmesso al ministerodegli affari esteri.

L’autorizzazione alla ratifica.

Spetta al governo una prima decisione, di natura politica, sull’opportunità diavviare la procedura perché l’Italia divenga parte a un determinato trattato e,

quindi, sulla manifestazione del consenso in proposito tramite un atto diratifica o di adesione, accompagnato talora da una o più riserve.Il coinvolgimento del parlamento nella procedura di formazione del consensoa vincolarsi è reso obbligatorio, per quanto riguarda la maggior parte deitrattati, da una specifica norma del sistema costituzionale italiano e cioèdall’art. 80 Cost.: le camere autorizzano con legge la ratifica dei trattatiinternazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamentigiudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze omodificazioni di leggi.Viene pertanto coinvolto nella procedura anche il potere legislativo che, dopoil potere esecutivo, è chiamato a prendere, nella forma del suo atto tipico (la

legge), un’altra decisione, di natura politica, sull’opportunità o meno diautorizzare la ratifica di un determinato trattato.

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Il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica di un trattato deve esseresottoposto alla procedura normale di esame e di approvazione diretta daparte delle camere. È esclusa la possibilità del suo deferimento a unacommissione parlamentare.La partecipazione del parlamento alla stipulazione dei trattati internazionali si

realizza attraverso una legge di autorizzazione, un atto con il quale unorgano, esprimendo una sua valutazione positiva su di un atto da compiersida parte di un altro organo, soddisfa una condizione necessaria perché l’attopossa essere compiuto.Una volta ricevuta l’autorizzazione, il governo non è tenuto a porre in esserela ratifica del trattato. Anche in questa fase, il governo mantiene un poterediscrezionale.La legge che autorizza la ratifica di un trattato è una legge non in sensosostanziale, ma in senso formale. Rispetto a tale legge non è ammessoreferendum abrogativo.Pratica occasionale di non comunicare al parlamento il testo delle riserve chein seguito, al momento del deposito dello strumento di ratifica, il governoandrà ad apporre. In questo caso, la violazione dell’art. 80 Cost. appareevidente, in quanto il parlamento viene ad autorizzare la ratifica di un trattatoche, a causa di riserve a esso ignote, è diverso da quello che sarà poi ineffetti vincolante per l’Italia. Neppure in questo caso risulta però che ilparlamento abbia mai sollevato obiezioni.

Il deposito della ratifica.

Come prevede l’art. 87 Cost., il presidente della repubblica ratifica i trattati

internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle camere.La ratifica di un trattato è un atto del presidente della repubblica solo in sensoformale, poiché, in senso sostanziale, essa presuppone una specificainiziativa del governo. Anche rispetto alla ratifica di un trattato si applica l’art.89 Cost. secondo il quale nessun atto del presidente della repubblica è validose non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono laresponsabilità.L’adattamento del diritto italiano ai trattati.

L’ordine di esecuzione.

Occorre anche che vengano inserite nel sistema di diritto interno normecorrispondenti a quelle del trattato, in modo che esso possa essere eseguitoda chiunque debba osservarlo e farlo osservare. All’autorizzazione alla ratificasi accompagna quasi sempre un ordine di esecuzione, che esprimel’intervento tecnico del parlamento ossia la formulazione delle norme di leggeche consentono l’adattamento del diritto interno al trattato.L’adattamento dei diritto italiano ai trattati non è automatico, ma richiede casoper caso l’intervento del potere legislativo.Viene pubblicata sulla gazzetta ufficiale un’unica legge che provvede siaall’autorizzazione alla ratifica che all’esecuzione del trattato. Con la prima, ilparlamento autorizza il presidente della repubblica a ratificare un determinato

trattato, il cui testo è allegato alla legge stessa. Con la seconda (ordine diesecuzione), il parlamento dispone la piena ed intera esecuzione del trattato i

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questione, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore.La legge che autorizza la ratifica e dà esecuzione a un trattato entra in vigoreil quindicesimo giorno successivo alla sua pubblicazione, salvo che la leggestessa stabilisca un termine diverso. A partire da tale data, potrà esseredepositato lo strumento di ratifica.

Le norme convenzionali sono introdotte nell’ordinamento italiano solo nelmomento in cui il trattato entra in vigore per l’Italia sul piano internazionale esi estinguono nello stesso momento in cui il trattato si estingue per l’Italia,senza che per questo occorra una legge di abrogazione della legge di ratificaed esecuzione.Sotto il profilo formale, l’atto legislativo che dà esecuzione a un trattato è,nella maggior parte dei casi, una legge.Il parlamento deve però fare ricorso a una legge costituzionale nei casi in cuile norme del trattato immesse tramite l’ordine di esecuzione vengono aincidere su norme interne di rango costituzionale.La legge che dà esecuzione a un trattato può essere sottoposta a sindacatodi legittimità costituzionale a d opera della Corte Costituzionale. Un’eventualedichiarazione d’illegittimità costituzionale colpisce la legge nella parte in cuiessa ha introdotto nell’ordinamento italiano norme internazionali in contrastocon norme italiane aventi rango costituzionale.Si deve oggi considerare costituzionalmente illegittima una legge chedisciplini una determinata materia in modo contrario a quanto richiede untrattato in vigore per l’Italia.

Le norme ordinarie di adattamento.

In certi casi, è sufficiente una legge che dia in generale piena ed interaesecuzione a un trattato perché il sistema di diritto interno si adatti agliobblighi che dallo stesso discendono e il trattato possa venire applicato inItalia.In altri casi, accade però che le norme del trattato non abbiano carattere-esecutivo (self-executing), non siano cioè suscettibili di immediataapplicazione nel diritto interno. Occorre allora che il legislatore adotti normeulteriori che disciplinano direttamente la materia oggetto del trattato.Le norme che provvedono all’applicazione in via ordinaria di un trattatopossono essere contenute, oltre che nella stessa legge che dà esecuzione altrattato, anche in altre leggi diverse dalla prima, che di solito fanno un

esplicito riferimento al trattato cui si collegano.Ci si può chiedere quale sia l’effetto di un ordine di esecuzione relativo anorme di trattati non auto-esecutive che, pertanto, avrebbero richiesto lacontestuale adozione di norme di applicazione in via ordinaria.L’ordine, proveniente dal parlamento e comunque contenuto nella legge diesecuzione, di dare a un trattato un’esecuzione piena ed intera, dovrebbeportare a qualcosa di diverso da un’esecuzione mancata o parziale o differita.È il caso pertanto di presumere che, al momento dell’approvazione dellalegge contenente l’ordine di esecuzione, il legislatore italiano fosse convintoche le norme del trattato in questione potessero essere senz’altro applicate inItalia e che tutti coloro che hanno successivamente il compito di assicurare

l’esecuzione delle leggi siano conseguentemente tenuti a fare tutto quanto inloro potere per dare loro applicazione.

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Anche le norme interne relative all’applicazione in via ordinaria di un trattatorisultano logicamente legate al trattato cui si riferiscono per quanto riguarda ilmomento iniziale e quello finale della loro efficacia. Ma può anche capitareche l’intento del legislatore sia quello di emanare norme che, per quantooccasionalmente motivate dall’esistenza di un trattato, non siano influenzate

da quanto attiene alla sua efficacia.L’efficacia delle norme interne di adattamento segue le prescrizioni sullavacatio legis, senza dipendere dall’entrata in vigore della normainternazionale e l’estinzione o la modificazione della norma internazionale nonprovoca né l’estinzione né la modificazione delle norme di adattamentointerne.Il referendum abrogativo non è ammissibile, in base all’art. 75 Cost., rispettoalle norme di legge che danno adattamento in via ordinaria a un trattato, senell’emanazione di esse non vi sia margine di discrezionalità quanto alla loroesistenza e al loro contenuto.

La stipulazione di trattati in forma semplificata.

Nel sistema costituzionale italiano, solo nel caso di trattati di minoreimportanza la manifestazione del consenso a vincolarsi può essere dispostadal governo senza che occorra una previa autorizzazione del parlamento(stipulazione in forma semplificata). Ma non è sempre agevole determinare seun trattato rientra in una delle cinque categorie elencate nell’art. 80 Cost.. Ilcaso più semplice è quello dei trattati che prevedono arbitrati o regolamentigiudiziari tra l’Italia e stati stranieri.Semplice dovrebbe essere il caso dei trattati che importano variazioni del

territorio (confini terrestri e confini marittimi).Abbastanza agevole dovrebbe essere la determinazione dei trattati cheimportano oneri alle finanze, ma solo quelli che richiedono una spesa nuova,non prevista dalla legislazione in vigore.La portata delle altre due categorie di trattati previste dall’art. 80 Cost. appareassai elastica. Stabilire se un trattato importa modificazioni di leggi puòsollevare problemi tecnico-giuridici.La categoria dei trattati che sono di natura politica sfugge, per il suo caratteregenerico, ai tentativi di venire contenuta entro una definizione precisa.In caso di dubbio sembra costituzionalmente più corretto che il governosottoponga comunque il trattato al sindacato del parlamento.

Il trattato segreto.

Le caratteristiche del vigente sistema costituzionale italiano lasciano ben pocospazio ai trattati segreti, intendendosi come tali i trattati conclusi dal governosenza che sia data comunicazione del loro testo al parlamento o i trattaticontenenti clausole diverse o aggiuntive rispetto a quelle rese note alparlamento.Nel caso di trattati rientranti nelle categorie previste dall’art. 80 Cost.,qualsiasi impegno assunto dal governo a vincolarsi a uno strumento tenutosegreto sia costituzionalmente illegittimo.

Se il mistero che circonda un trattato segreto rientrante in una delle categoriepreviste dall’art. 80 Cost. venisse svelato, il governo che lo ha stipulato e

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anche i governi che hanno in seguito continuato a tenerlo segreto sirenderebbero responsabili di un’usurpazione dei poteri del parlamento.Il ricorso a un trattato segreto è ammissibile solo in presenza di strumenti chepossono venire stipulati in forma semplificata senza violare l’art. 80 Cost. e,anche in questo caso, con molti limiti e riserve.

Le esigenze di trasparenza fatte proprie dalla l. 839/‘84 sono solo in partederogate, in quanto norma speciale, dall’art. 12 l. 801/‘77, che disciplinano ilsegreto di stato: sono coperti dal segreto di stato gli atti, i documenti, lenotizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sarebbe idonea a recar danno all’integrità dello stato democratico, anche in relazione ad accordiinternazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suofondamento, al libero esercizio degli organi costituzionali, all’indipendenzadello stato rispetto agli altri stati e alle relazioni con essi, alla preparazione ealla difesa militare dello stato. Il trattato segreto potrebbe pertanto ammettersisolo qualora esso, oltre a non riguardare una delle categorie menzionatenell’art. 80 Cost., non potesse essere divulgato senza rischiare di recaredanno a una delle esigenze elencate in via eccezionale nella norma.

L’erosione della competenza dello stato a concludere trattati.

La competenza a gestire le relazioni internazionali e a concludere trattati, checostituisce una tradizionale prerogativa dello stato, è oggetto di un continuoprocesso di erosione a favore di enti diversi dallo stato e situati a un livello siasotto-statale (regioni) che sovra-statale (Comunità Europea).

La competenza delle regioni.

Fino all’adozione della l.cost. 3/’01, era previsto che lo stato esercitasse lefunzioni attinenti ai rapporti internazionali e con la Comunità economicaeuropea e che le regioni non potessero svolgere all’estero attivitàpromozionali relative alle materie di loro competenza se non previa intesa conil governo e nell’ambito degli indirizzi e degli atti di coordinamento esercitatidallo stato.Fuori discussione rimaneva il diritto delle regioni o di altri enti territoriali disvolgere attività di rilievo internazionale quando queste fossero autorizzate daapposite leggi.Con le modifiche alla Costituzione introdotte dalla l. cost. 3/’01, allo stato è

attribuita la legislazione esclusiva in diciassette materie esplicitamenteelencate, tra le quali vi è la politica estera e rapporti internazionali dello stato;rapporti dello stato con l’Unione Europea; diritto d’asilo e condizione giuridicadei cittadini di stati non appartenenti all’Unione Europea.Sono poi elencate sedici materie per le quali la legislazione è concorrente trastato e regioni e che, tra l’altro, includono i rapporti internazionali e conl’Unione Europea delle regioni. In tali materie, spetta alle regioni la potestàlegislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservataalla legislazione dello stato.L’art. 117 Cost. prevede che, nelle materie di sua competenza, la regionepuò concludere accordi con stati e intese con enti territoriali interni ad altro

stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello stato.Alla competenza a stipulare si aggiunge una competenza esecutiva; le regioni

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e le province autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di lorocompetenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli attinormativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degliaccordi internazionali e degli atti dell’Unione Europea, nel rispetto delle normedi procedura stabilite da legge dello stato, che disciplina le modalità di

esercizio del potere sostitutivo in caso d’inadempienza.La legge cui fa rinvio l’art. 117 Cost. è la l. 131/’03, che contiene un’appositadisposizione sull’attività internazionale delle regioni.Delle tre diverse ipotesi previste in tale disposizione, la prima riguardal’esecuzione da parte delle regioni di trattati già in vigore per l’Italia.La seconda ipotesi riguarda le intese delle regioni con enti territoriali interni astati esteri.La terza ipotesi riguarda la conclusione di trattati con stati esteri.Nella terza ipotesi il ruolo delle regioni sul piano internazionale è in buonaparte attenuato dal fatto che o stato è abilitato a svolgere un certo controllosull’operato delle regioni nel corso del negoziato e dal fatto che la firma deltrattato da esse negoziato è subordinata al conferimento di pieni poteri daparte dello stato.La nuova versione dell’art. 117 Cost. non sembra derogare al dispostodell’art. 80 Cost., rimasto immutato, e che, pertanto gli accordi esecutivi,applicativi, tecnico-amministrativi o programmatici conclusi dalle regioni nonpotrebbero mai cadere in una delle cinque categorie di trattati previste dall’art.80 Cost..A proposito dell’esecuzione dei trattati, l’art. 120 Cost., come modificato dallal. cost. 3/’01, attribuisce allo stato un potere sostitutivo che può venireesercitato, anche al fine di evitare una responsabilità sul piano internazionale,

quando le regioni non adempiano a obblighi di diritto internazionale.

La competenza della Comunità Europea.

La Comunità Europea è un’organizzazione internazionale, creata con untrattato concluso a Roma il 25 marzo 1957 e in seguito più volte modificato, dicui sono oggi membri venticinque stati, tra i quali l’Italia.La Comunità Europea è il risultato di un disegno politico su ampia scaladiretto alla creazione per tappe progressive di uno stato federale europeo.

Nelle materie per le quali la competenza nelle relazioni internazionali èespressamente prevista dal trattato o per le quali la Comunità ha adottatonorme comuni sul piano interno, la competenza della Comunità Europea èesclusiva e si sostituisce a quella dei singoli stati membri, che perdono lacapacità di negoziare, adottare e ratificare trattati con stati terzi.Nel caso di trattati che riguardino sia materie di esclusiva competenzacomunitaria sia materie rimaste nella competenza degli stati membri, rimaneferma la competenza esterna della Comunità Europea per le materie ad essariservate. Anche nelle materie di loro spettanza, gli stati membri sono obbligatia cooperare strettamente con la Comunità Europea sia nel processo dinegoziato e di conclusione dei trattati in questione sia nell’adempimento degli

obblighi che ne discendono.

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L’adattamento del diritto italiano al diritto comunitario.

Una particolare situazione si verifica in tema di adattamento del diritto italianoal diritto comunitario, come tale intendendosi il trattato istitutivo dellaComunità Europea, il trattato, concluso in pari data (1957), istitutivo della

Comunità Europea dell’Energia Atomica e gli atti aventi natura obbligatoria daessi derivati.L’Italia ha provveduto al recepimento dei trattati istitutivi della ComunitàEuropea e della CEEA tramite ordine d’esecuzione dato con una leggeordinaria. Tuttavia, la Corte Costituzionale ha ritenuto che il diritto comunitarioabbia un rango costituzionale, in quanto rientrante nell’ambito dell’art. 11Cost., che dispone: l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri stati,alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pacee la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioniinternazionali rivolte a tale scopo.La Corte Costituzionale ha escluso che sia possibile sottoporre normecomunitarie a giudizio di costituzionalità, argomentando sulla base delladistinzione tra ordinamento interno e ordinamento comunitario e sulla basedell’esistenza di garanzie di tutela giuridica in quest’ultimo ordinamento.Oggi, il primato del diritto comunitario sul diritto italiano possono veniredesunti anche dal disposto dell’art. 117 Cost., come modificato dalla l. cost.3/’01.La legge che ha dato esecuzione in Italia al trattato istitutivo della ComunitàEuropea ha comportato il recepimento anche dell’art. 249 di tale trattato, chedefinisce gli atti aventi natura normativa che gli organi comunitari possonoadottare per l’assolvimento dei loro compiti e i loro effetti sul piano dei diritti

interni degli stati membri.Il regolamento ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed èdirettamente applicabile in ciascuno degli stati membri, decorsi venti giornidalla data della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’UnioneEuropea.L’ordinamento italiano risulta automaticamente modificato per adeguarsi airegolamenti, senza che occorra alcuna attività legislativa di recepimento.La direttiva vincola lo stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultatoda raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in meritoalla forma e ai mezzi.La direttiva indica di solito un termine, entro il quale gli stati membri devono

mettere in vigore le misure necessarie per conformarsi ad essa. La direttiva sipresenta come uno strumento legislativo di natura non auto-esecutiva, cherichiede apposite norme di adattamento di diritto interno.La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essadesignati. Essa ha un’efficacia diretta, nei limiti in cui abbia carattere auto-esecutivo.La l. 11/’05 pone norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processonormativo dell’Unione Europea e sulle procedure di esecuzione degli organicomunitari. Questa legge disciplina il processo di formazione della posizioneitaliana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’UnioneEuropea e garantisce l’adempimento degli obblighi derivanti

dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea, sulla base dei principi disussidiarietà, di efficienza, di trasparenza e di partecipazione democratica.

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I trattati conclusi dalla Comunità Europea in materie di sua esclusivacompetenza sono immediatamente recepiti, a decorrere dalla loro data dientrata in vigore, nel diritto interno degli stati membri. Questo sia in forza dellalegge che ha dato esecuzione al trattato istitutivo della Comunità Europea, siain forza del fatto che la conclusione di tali trattati avviene, sul piano

dell’ordinamento comunitario, per mezzo di decisioni sui generis.

LA RESPONSABILITA’ INTERNAZIONALE

La responsabilità internazionale come conseguenza del fatto illecitointernazionale.

La responsabilità internazionale è il complesso delle relazioni giuridiche chederivano dalla violazione da parte di uno stato di un obbligo posto a suocarico dal diritto internazionale, ovvero dal fatto illecito internazionale.La commissione di un fatto illecito internazionale fa nascere una nuovarelazione giuridica tra lo stato autore della violazione e lo stato titolare deldiritto corrispondente all’obbligo violato.Obbligo dello stato autore della violazione di rimuovere le conseguenzenegative prodotte dall’illecito e diritto corrispondente dello stato vittima dellaviolazione di pretendere tali adempimenti.

La natura delle regole sulla responsabilità internazionale e la lorocodificazione.

Serie di apposite regole, volte a disciplinare i presupposti, il contenuto el’attuazione del rapporto di responsabilità internazionale. Queste regole sono

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dette secondarie in contrapposizione alle regole primarie del dirittointernazionale, che pongono diritti ed obblighi sostanziali in capo agli stati.Le regole secondarie del diritto internazionale che si occupano dellaresponsabilità internazionale sono principalmente norme generali non scritte,di natura consuetudinaria.

Manca a tutt’oggi una convenzione internazionale a portata universale che, inmaniera analoga a quanto avviene per altri settori del diritto internazionaleprovveda a enunciare le regole generali applicabili in tema di responsabilitàinternazionale.Al compito di predisporre una convenzione generale in questa materia si èdedicata la Commissione del Diritto Internazionale delle Nazioni Unite (CDI).Questo sforzo di codificazione ha portato nel 2001 all’adozione in secondalettura da parte della CDI di un progetto di 59 articoli sulla responsabilitàinternazionale degli stati per atti internazionalmente illeciti.Nel 2001 la CDI ha trasmesso il progetto all’Assemblea Generale, la quale siè limitata a prendere nota degli articoli sulla responsabilità internazionale conuna sua risoluzione, segnalandoli all’attenzione dei governi.Si può affermare che gli articoli contenuti nel progetto rappresentinoun’attendibile esposizione dei principi generali applicabili alla responsabilitàinternazionale.Diversi tribunali internazionali, chiamati a pronunciarsi su controversie relativea questioni di responsabilità internazionale, hanno più volte fatto riferimento alprogetto nelle loro sentenze.Il progetto adottato dalla CDI nel 2001 rappresenta un punto di riferimentoimprescindibile ai fini dell’esposizione delle regole generali del dirittointernazionale in tema di responsabilità degli stati.

Gli elementi costitutivi dell’illecito internazionale e l’irrilevanza del dirittointerno ai fini della sua qualificazione.

Il progetto della CDI provvede ad indicare due condizioni necessarie esufficienti per stabilire l’esistenza di un fatto illecito internazionale. Occorre inprimo luogo che una certa condotta, consistente in un’azione o inun’omissione, possa essere attribuita allo stato in base al diritto internazionale(elemento soggettivo). In secondo luogo, è necessario che la condotta inquestione rappresenti la violazione di un obbligo internazionale incombente in

capo allo stato (elemento oggettivo).La sussistenza delle due condizioni va verificata alla luce dei criteri previstidal diritto internazionale, non potendo attribuirsi alcun rilievo al diritto internodello stato nella qualificazione di un certo comportamento comeinternazionalmente illecito.

L’elemento soggettivo del’illecito e l’attribuzione della condotta allostato.

La condotta degli organi dello stato.

La prima condizione essenziale per il sorgere della responsabilitàinternazionale è che la condotta rilevante per la violazione di un obbligo

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internazionale possa essere attribuita allo stato, ossia che essa integri unfatto proprio dello stato.Si pone il problema di determinare in quali circostanze e condizioni siapossibile attribuire allo stato una certa condotta individuale.Il progetto della CDI provvede a indicare una serie di criteri che consentono di

operare un collegamento tra il comportamento di persone fisiche e lo statoquale soggetto di diritto internazionale e di imputare in capo a quest’ultimotutte le conseguenze giuridiche derivanti dalla condotta contraria a un obbligointernazionale.Secondo un primo criterio sono considerati fatti dello stato ai fini dellaresponsabilità internazionale le azioni od omissioni di individui o gruppi diindividui che, appartenendo alla sua struttura ed organizzazione, rivestono laqualità di organi dello stato; qualunque persona o ente avente tale qualità inbase al diritto interno dello stato.Non è solo la condotta degli organi appartenenti al potere esecutivo acoinvolgere la responsabilità internazionale dello stato. A tal fine può rilevarealtresì la condotta di organi del potere legislativo o del potere giudiziario.Anche le azioni od omissioni di organi di amministrazioni locali o territorialisono riferibili allo stato quale persona internazionale e possono far sorgere lasua responsabilità internazionale. Analoghe considerazioni valgono, nel casodi stati a struttura federale, per quanto concerne la condotta degli organiappartenenti all’amministrazione dei singoli stati membri della federazione,che va riferita allo stato federale.Perché il comportamento sia attribuibile allo stato, è però necessario che lepersone o gli enti che rivestono la qualità di organi dello stato abbiano agito investe ufficiale, nell’esercizio delle funzioni e dei poteri a tale qualità inerenti.

La condotta contraria al contenuto di un obbligo internazionale è attribuita allostato anche quando l’organo dello stato, agendo in veste ufficiale, abbiaecceduto i limiti delle proprie competenze o contravvenuto alle istruzioniricevute.Il progetto pone una regola senza eccezioni, che mira a tutelare le esigenze ditrasparenza e sicurezza delle relazioni internazionali: uno stato non potrà mai,per evitare la propria responsabilità internazionale, eccepire l’incompetenzadei propri agenti derivante dall’inosservanza del diritto interno o di istruzionieventualmente impartite, nemmeno nel caso in cui tale incompetenza fossemanifesta.A tali condizioni, è equiparato al fatto dell’organo dello stato il comportamento

di persone o enti che, pur non rivestendo formalmente la qualità di organidello stato, siano comunque abilitati in base al diritto interno dello stesso adesercitare prerogative del potere pubblico.Tra i possibili esempi, vi è anche quello dei dipendenti di imprese di sicurezzaprivata cui è affidato il compito di garantire il servizio di vigilanza e sicurezzain istituti penitenziari o negli aeroporti.Il progetto prevede poi l’ipotesi particolare dell’attribuzione ad uno stato delcomportamento di un organo di un altro stato. Ciò si verifica nella situazionein cui l’organo di uno stato venga effettivamente messo a disposizione di unaltro stato e agisca esclusivamente sotto l’autorità e nell’interesse diquest’ultimo. Il comportamento contrario a un obbligo internazionale verrà in

tal caso riferito allo stato nella cui effettiva disponibilità l’organo si trovi.

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La condotta dei privati e il problema degli agenti di fatto.

Di regola, in mancanza di un legame organico, in diritto internazionale lo statonon risponde del comportamento di semplici individui privati, che abbianoagito come tali.

In realtà, accade piuttosto frequentemente che la condotta di privatirappresenti il presupposto materiale per il sorgere della responsabilitàinternazionale dello stato.Ciò accade, ad esempio, quando lo stato non abbia adottato le adeguatemisure preventive e protettive o abbia mancato di rimuovere le conseguenzenegative dell’azione dei privati. In queste circostanze, lo stato non è peròresponsabile del fatto lesivo del privato, ma della violazione, derivante dacomportamenti omissivi imputabili a suoi organi, di propri ed autonomiobblighi di vigilanza, prevenzione, protezione o repressione.Diversa è l’ipotesi nella quale particolari circostanze permettano di stabilirel’esistenza di una determinata relazione di fatto tra la persona o il gruppo dipersone private che hanno tenuto un certo comportamento e lo stato.In virtù del legame che si viene a stabilire tra i privati e lo stato, i primi sitrovano ad operare quali veri e propri agenti di fatto del secondo: in similicircostanze il comportamento degli individui privati è direttamente attribuibileallo stato, e, se contrario ad un obbligo internazionale, ne coinvolge laresponsabilità internazionale.Il progetto della CDI provvede a identificare alcuni criteri in base ai quali ilcomportamento di un individuo o di un gruppo di individui privi della qualità diorgani può essere attribuito allo stato, facendo riferimento a due fattispeciedistinte: il caso dell’individuo che abbia agito dietro istruzioni o sotto la

direzione o controllo dello stato e il caso dell’individuo che in situazioni diemergenza si sia sostituito agli organi dello stato.La prima situazione si trova regolata all’art. 8 del progetto, secondo il qualeva attribuito allo stato il comportamento della persona o del gruppo di personeche, nell’adottare il comportamento in questione, abbiano agito di fatto in basealle istruzioni o sotto la direzione o il controllo dello stato stesso.Risulta piuttosto immediato riferire allo stato i comportamenti di individui cheabbiano agito sulla base di specifiche istruzioni da questo impartite; maggioriproblemi pone la situazione di carattere più generale, in cui dei privatioperano sotto la direzione o il controllo dello stato.Definizione del grado di controllo che lo stato deve aver effettivamente

esercitato sulle azioni dei privati affinchè tali azioni gli siano attribuibili.L’alternativa si pone tra un criterio maggiormente rigoroso, che richiede uncontrollo effettivo da parte dello stato sulla specifica operazione posta inessere dai privati; e un criterio meno stringente, in base al quale basterebbeuna generica situazione di controllo globale esercitato dallo stato sull’insiemedelle attività svolte dai privati.Sul punto, il progetto della CDI sembra propendere per la soluzione piùrestrittiva, richiedendo che il controllo dello stato si attui avendo riguardo allaspecifica condotta posta in essere dal privato. La prassi più recente rivela unprogressivo orientamento verso soluzioni più elastiche.Attentati dell’11 settembre 2001 e la conseguente offensiva militare degli Stati

Uniti e dei loro alleati contro l’Afghanistan e i talebani, giustificata a titolo dilegittima difesa. In quella circostanza la responsabilità internazionale

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dell’Afghanistan per l’attacco alle twin towers è stata fondata sulla meratolleranza o acquiescenza offerta dal governo dei talebani alla presenza interritorio afghano delle basi dei terroristi esecutori materiali dell’attentato,appartenenti alla rete Al-Qaida.Mano problematica è l’ulteriore ipotesi prevista all’art. 9 del progetto, di

attribuzione allo stato delle azioni dell’agente di necessità: è così definitol’individuo che, in una situazione di emergenza e in assenza delle autoritàdello stato, esercita di propria iniziativa prerogative del potere pubblico. Incircostanze di carattere eccezionale nelle quali le autorità ufficiali dello stato sidissolvono, sono assenti o temporaneamente inoperanti e nelle quali ègiustificata l’assunzione da parte di privati individui di funzioni essenziali dipubblica utilità. È il dato materiale della partecipazione all’esercizio del poteredi governo che spiega l’attribuzione del suo comportamento allo stato.La condotta di privati individui che non abbiano alcun legame organico con lostato e neppure abbiano agito dietro sue istruzioni, direzione o controllo, puònondimeno essere attribuita allo stato se questi riconosce come propria oadotta la condotta in questione. Questo criterio di attribuzione è destinato adoperare a posteriori, quando non esista al momento dell’azione od omissionealcun collegamento tra i privati individui che ne sono autori e lo stato, e nonsia pertanto possibile applicare nessuno degli altri criteri. L’attribuzione delcomportamento del privato allo stato si verifica nella misura in cui l’intenzionedello stato di riconoscere detto comportamento come proprio sia chiara edinequivocabile e solo nei limiti di quanto espressamente riconosciuto oadottato dallo stato.Il progetto regola anche l’ipotesi particolare nella quale la responsabilità dellostato può essere chiamata in causa dalla condotta di movimenti insurrezionali.

È il caso di eventuali fatti illeciti di enti organizzati che combattono contro ilgoverno al potere in uno stato ai fini di rovesciarlo o sostituir visi, commessidurante il periodo della lotta. Se la lotta del movimento insurrezionale hasuccesso in tutto o in parte i fatti illeciti del movimento insurrezionaledivengono fatti del nuovo governo dello stato o del nuovo stato.

L’elemento oggettivo dell’illecito e la violazione di un obbligointernazionale.

La seconda condizione, indispensabile per stabilire l’esistenza di un illecitointernazionale, è che la condotta dello stato rappresenti la violazione di un

obbligo internazionale gravante sullo stesso.Secondo il progetto, si ha violazione di un obbligo internazionale se ilcomportamento di uno stato non è conforme a quanto gli è richiestodall’obbligo in questione, qualunque sia l’origine o la natura dell’obbligo.Non ha alcun rilievo ai fini dell’esistenza della violazione né la fontedell’obbligo, né la natura o l’importanza dell’obbligo violato.Dal punto di vista temporale occorre, perché si abbia violazione di un obbligointernazionale, che l’obbligo in questione vincoli lo stato nel momento in cuiquesti ha tenuto il comportamento difforme.Si pone il problema di stabilire quando una violazione ha avuto luogo e per quanto tempo essa si è protratta, problema della determinazione del tempus

commissi delicti.Si distinguono fatti illeciti istantanei e fatti illeciti continuati, in relazione ai quali

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la violazione dell’obbligo internazionale ha luogo e si esaurisce nel momentoin cui il fatto illecito si verifica oppure si estende per tutto il periodo in cui ilfatto illecito continua e resta non conforme all’obbligo.Viene poi individuato il caso di obblighi che richiedono allo stato di prevenireun dato evento, rispetto ai quali la violazione si perfeziona nel momento in cui

l’evento si realizza e si estende per tutto il periodo in cui l’evento continua.Infine il progetto distingue la fattispecie degli illeciti compositi, costituiti cioè dauna serie di azioni od omissioni definite nel loro insieme come illecite. Laviolazione si produce nel momento in cui ha luogo l’ultima azione odomissione che, combinata alle precedenti, serve a completare l’illecito; essa siestende a partire dalla prima azione od omissione della serie e perdura per tutto il tempo in cui la serie di azioni od omissioni si ripetono e restano nonconformi all’obbligo.La determinazione del momento in cui la violazione si perfeziona è importanteper distinguere l’illecito vero e proprio, che è fonte di responsabilità, dai suoiatti preparatori, che non danno luogo a responsabilità.

Altri supposti elementi dell’illecito internazionale: il danno e la colpa.

Il progetto della CDI non prevede altre condizioni per il sorgere dellaresponsabilità internazionale. Ci si può però domandare se rientrino tra glielementi costitutivi dell’illecito internazionale anche il danno e la colpa.Per quanto riguarda il danno, è da escludere che questo rappresenti unacondizione autonoma della responsabilità internazionale. Vi sono violazionidel diritto internazionale che non danno luogo ad alcun tipo di danno: adesempio la violazione dell’obbligo di adottare una legge di diritto uniforme,

assunto da uno stato mediante un trattato: tale obbligo risulta violato per ilsolo fatto della mancata adozione della legge da parte dello stato, senza chealcun altro stato subisca, a causa di tale fatto, un danno materiale o morale.Ogni violazione di un obbligo internazionale da parte di uno stato comporta lalesione di un diritto soggettivo di un altro stato e questa circostanza, da sola,determina un pregiudizio di natura giuridica, alla cui rimozione lo stato vittimadell’illecito è interessato. In tale prospettiva, la funzione specifica dellaresponsabilità internazionale è quella di garantire l’osservanza del diritto, aprescindere dal danno concretamente prodotto dalla violazione.Ruolo della colpa ai fini dell’esistenza dell’illecito internazionale. Di colpa sipuò parlare con riferimento all’individuo-organo che ha agito in nome e per 

conto dello stato.La prassi internazionale sembra piuttosto orientata verso una concezioneoggettiva della responsabilità internazionale dello stato, che sorgerebbe aseguito della semplice contrarietà del comportamento dello stato al dirittointernazionale, a prescindere dall’esistenza di qualsiasi elemento psicologicodi dolo o colpa.Non è escluso però che la colpa possa rilevare in tutta una serie di casiparticolari. ipotesi in cui le stesse norme primarie che si presumono violateprevedono la colpa o il dolo dello stato quali condizioni per il sorgere dellaresponsabilità. Caso delle norme internazionali che impongono a uno stato diadottare un comportamento diligente al fine di prevenire eventi dannosi per il

territorio di altri stati, la cui violazione sarà determinata da un’omissionecolposa da parte dello stato obbligato.

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Lo stesso progetto, che da un lato non menziona la colpa tra gli elementicostitutivi dell’illecito e sembra aderire a una concezione oggettiva diresponsabilità internazionale, dall’altro riconosce indirettamente unapotenziale rilevanza della colpa ai fini del sorgere della responsabilità. Ciòavviene con riferimento alla fattispecie del caso fortuito, prevista dal progetto

tra le possibili cause di esclusione dell’illecito. In base a tale figura,l’antigiuridicità del comportamento di uno stato è esclusa quando l’agente cheha agito in suo nome, a causa di un evento esterno imprevedibile e fuori dalcontrollo, ha inconsapevolmente violato un obbligo internazionale: nonessendo configurabile alcun atteggiamento colposo consapevole dell’agentedello stato circa la contrarietà del proprio comportamento a un obbligo postodal diritto internazionale, è esclusa la responsabilità.Responsabilità indiretta: si ha responsabilità internazionale di uno stato per aver assistito, controllato o diretto o costretto un altro stato nella commissionedi un illecito internazionale se vi è la consapevolezza nel primo del carattereillecito del fatto alla cui commissione ha contribuito. L’intenzionalità delcomportamento illecito è presupposta nelle disposizioni del progetto che sioccupano della responsabilità dello stato per le violazioni gravi, cioè massiccee sistematiche, di obblighi derivanti da norme imperative del dirittointernazionale.Sembra che il rilievo della colpa ai fini dell’esistenza dell’illecito internazionalenon possa essere escluso a priori.

La partecipazione all’illecito altrui e il problema della responsabilitàindiretta.

Si possono configurare dei casi eccezionali di responsabilità derivata, in cuiuno stato risponde non del fatto proprio, ma del fatto illecito commesso da unaltro stato. Ciò si verifica in tre ipotesi:•Quando uno stato aiuta o assiste un altro stato nella commissione di un

illecito internazionale;•Quando uno stato esercita una direzione o un controllo sulla commissione di

un illecito internazionale da parte di un altro stato;•Quando uno stato costringe un altro stato a commettere un fatto

internazionalmente illecito.Uno stato è ritenuto responsabile per l’attività di aiuto ed assistenza prestatialla commissione dell’altrui illecito se era a conoscenza delle circostanzedell’illecito e se il fatto sarebbe stato internazionalmente illecito qualora da luidirettamente commesso; alle medesime condizioni, lo stato che dà direttive oesercita un controllo nella commissione dell’altrui fatto illecito divieneinternazionalmente responsabile di tale fatto; da ultimo, lo stato che costringeun altro stato a commettere un certo fatto ne diviene internazionalementeresponsabile se tale fatto, in assenza di coercizione, costituirebbe un illecitodello stato costretto e se ha agito con conoscenza delle circostanze di talefatto.Se nel primo caso si può parlare di una forma di responsabilità indirettaderivante dal fatto di aver coadiuvato la commissione di un illecito che non è

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proprio, nelle altre due ipotesi sarebbe più corretto parlare di responsabilitàdiretta dello stato autore del controllo o della coazione per il fattointernazionalmente illecito.

Le circostanze che escludono l’illecito.

Il diritto internazionale ammette che il ricorso di determinate circostanzeeccezionali possa escludere il carattere illecito del comportamento di unostato contrario ad un obbligo internazionale. Le circostanze di esclusionedell’illecito riconosciute nel progetto sono il consenso, la legittima difesa, lecontromisure, la forza maggiore, l’estremo pericolo e lo stato di necessità.Fungono da giustificazione o scusante per la mancata esecuzione di unobbligo internazionale. L’operatività delle circostanze di esclusione dell’illecitoè limitata a casi eccezionali e ben circoscritti.Le cause di esclusione dell’illecito non possono mai essere invocate per giustificare la violazione di norme imperative del diritto internazionale. Ilricorso a una delle circostanze di esclusione dell’illecito non pregiudical’esistenza e la validità dell’obbligo sottostante, il quale dovrà esserepienamente rispettato se e nella misura in cui la circostanza in questionevenga meno (la circostanza di esclusione dell’illecito on estingue l’obbligo inquestione, ma ne sospende temporaneamente l’efficacia). L’operare dicircostanze di esclusione dell’illecito non pregiudica le eventuali questioni dirisarcimento del danno causato dal mancato rispetto temporaneo dell’obbligostesso.

Il consenso.Il consenso espresso di uno stato affinchè un altro stato tenga uncomportamento contrario al contenuto di un obbligo internazionale vale adescludere l’illiceità di tale comportamento nei confronti dello statoconsenziente.La circostanza in parola opera entro limiti ben precisi.Il consenso deve essere validamente espresso, cioè deve proveniredall’organo dello stato competente a manifestarne la volontà nel casospecifico, ed essere liberamente dato, cioè non essere viziato da costrizione.Occorre poi che il consenso sia manifestato in forma chiara ed inequivocabile;

il consenso della commissione di un fatto illecito non può mai esserepresunto.Il consenso esclude l’illiceità di un certo comportamento solo nella misura incui il comportamento stesso si mantenga nei limiti di quanto consentito e sololimitatamente ai rapporti tra lo stato consenziente e lo stato che pone inessere il comportamento consentito.Il consenso deve essere dato anteriormente o contemporaneamente allacommissione del fatto; se prestato posteriormente, esso varrà piuttosto comerinuncia a far valere il diritto alla riparazione conseguente l’illecito.

La legittima difesa.

Secondo il progetto, è esclusa l’illiceità del fatto dello stato che costituisca una

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misura lecita di legittima difesa adottata conformemente alla Carta delleNazioni Unite.Il progetto ammette la legittima difesa quale eccezione al divieto generaledell’uso della forza nelle relazioni internazionali.Il ricorso alla legittima difesa non vale a giustificare l’illiceità della condotta

dello stato in ogni caso e rispetto alla violazione di qualsiasi obbligo: nonpotrà violare le prescrizioni delle convenzioni di Ginevra del 1949 e del Iprotocollo addizionale del 1977, che riguardano la protezione delle vittime deiconflitti armati internazionali; né potrà essere contraria alle disposizioni deitrattati internazionali in materia di protezione dei diritti umani che presentanoun carattere inderogabile.Una norma consuetudinaria considera immediatezza, proporzionalità enecessità quali limiti intrinseci alla legittima difesa; una regola convenzionalecontenuta nell’art. 51  CNU lega l’esercizio del diritto naturale di legittimadifesa dello stato al verificarsi di un attacco armato ai suoi danni.Gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 hanno imposto l’esigenza dirivedere la stessa nozione di attacco armato, la quale può essere riferita adazioni o situazioni che vanno ben oltre la tradizionale offensiva lanciata oorganizzata dalle forze armate di uno stato ai danni di un altro.Si pone la questione di stabilire quando sorga il diritto di uno stato esposto adattacco di reagire in legittima difesa. Ad una tesi più rigorosa, fedele al dettatodell’art. 51 CNU, che lega l’esercizio della legittima difesa all’attualitàdell’attacco armato, si contrappone un’interpretazione più ampia, cheammette una forma di legittima difesa preventiva volta ad anticipare unattacco armato non ancora consumato, ma imminente.La legittima difesa preclusiva servirebbe a legittimare il ricorso alla forza

armata per sventare o scongiurare la semplice minaccia, congettura oprospettiva di attacchi futuri e potenziali. La nozione di legittima difesapreclusiva ha trovato un’applicazione concreta in occasione dell’intervantoarmato condotto dagli Stati Uniti e dai loro alleati contro l’Iraq nel 2003.Nel caso della legittima difesa preclusiva, la valutazione dei limiti finisce per essere totalmente rimessa alla discrezionalità dello stato che si consideriesposto alla minaccia di un attacco armato.

Le contromisure.

Il progetto prevede che il carattere illecito del comportamento di uno stato non

conforme ad un obbligo vigente nei confronti di un altro stato è escluso se talecomportamento rappresenta una contro misura adottata in risposta ad unaprevia violazione commessa dal secondo stato ai danni del primo.In quanto reazione a una violazione subita, la contromisura (o rappresaglia)rappresenta una forma di autotutela dello stato vittima di una illecitointernazionale. Dalla legittima difesa la contromisura si distingue perchémentre la legittima difesa, per il fatto di costituire la risposta ad un illecitoparticolarmente qualificato, giustifica la reazione in deroga al divieto di usodella forza, la contromisura non può mai consistere in una reazione dicarattere armato.Risolvendosi nella violazione pacifica di un diritto soggettivo dello stato autore

del primo illecito, la contromisura va tenuta distinta dalla semplice ritorsione;quest’ultima, che consiste nella lesione dell’interesse giuridicamente non

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tutelato di uno stato, rappresenta un comportamento semplicemente nonamichevole, non vietato dal diritto internazionale e pertanto sempre lecito.L’esercizio di contromisure deve rispettare alcuni limiti sostanziali.Non è possibile in alcun caso violare a titolo di contromisura determinatiobblighi o categorie di obblighi per loro natura fondamentali; le contromisure

non potranno mai recare pregiudizio al divieto generale di uso della forza, agliobblighi posti per la protezione dei diritti umani fondamentali, agli obblighi dicarattere umanitario che proibiscono le rappresaglie contro persone protettein tempo di conflitto armato e gli altri obblighi posti da norme imperative deldiritto internazionale generale. Lo stato che ricorre a contromisure dovràrispettare gli obblighi, utili per mantenere aperti i canali di comunicazione conlo stato destinatario delle contromisure, relativi a eventuali procedure diregolamento delle controversie applicabili tra le parti interessate, nonché gliobblighi relativi all’inviolabilità degli agenti, locali, archivi e documentidiplomatici e consolari.In secondo luogo, la liceità delle contromisure adottate in relazione a unaviolazione del diritto internazionale è subordinata al rispetto del limitefondamentale della proporzionalità, che va valutata alla stregua di parametritanto quantitativi, che qualitativi. Il rispetto della proporzionalità non implicanecessariamente una perfetta equivalenza e simmetria tra l’illecito iniziale e lacontromisura adottata in risposta a tale illecito, essendo sempre possibile chela contromisura si traduca nel mancato rispetto di un obbligo diverso da quellooggetto della prima violazione.Il progetto prevede altre condizioni procedurali cui è subordinata l’adozione dicontromisure da parte di uno stato leso.La forza maggiore e il caso fortuito.

Sotto il nome di forza maggiore il progetto annovera due analoghe, madistinte, situazioni nelle quali è esclusa l’illiceità del comportamento di unostato contrario a un obbligo internazionale: ipotesi in cui lo stato hacommesso una violazione del diritto internazionale perché costretto o da unaforza esterna irresistibile (forza maggiore) o da un avvenimento esternoimprevedibile (caso fortuito).L’ipotesi della nave da guerra dello stato che, ridotta in avaria dalla violenza diun uragano, è costretta a rifugiarsi nel mare territoriale di uno stato costiero ea sostarvi non autorizzata; ipotesi dell’aeromobile di uno stato che, sospintoda correnti ignote, devia inavvertitamente dalla rotta prestabilita e sconfina,

non autorizzato, nello spazio aereo di un altro stato.In ambedue le situazioni la condotta illecita dell’agente dello stato non èintenzionale, ma è conseguenza di un evento esterno che sfugge al controllodello stato e che rende materialmente impossibile l’adempimento dell’obbligo.Nel caso della forza maggiore l’agente dello stato è consapevole dicomportarsi in maniera contraria all’obbligo internazionale, ma non può farediversamente; invece, nel caso fortuito, l’agente dello stato non si rende contoche sta tenendo un comportamento contrario a un obbligo internazionale, acausa dell’interferenza di un evento imprevisto.Forza maggiore e caso fortuito debbono aver determinato un’assolutaimpossibilità materiale di adempiere l’obbligo previsto violato e non aver reso

semplicemente più difficoltoso l’adempimento. Il progetto prevede poi che leesimenti in parola non possano essere invocate dallo stato che abbia

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contribuito con il proprio comportamento a determinare la situazione di forzamaggiore o caso fortuito, o che abbia previamente accettato il rischio del loroverificarsi.

L’estremo pericolo.

In questo caso l’illiceità del comportamento dello stato non conforme ad unobbligo internazionale è esclusa se l’autore del comportamento, trovandosi inuna situazione di pericolo, non aveva ragionevolmente altri mezzi per salvarela vita propria o di persone affidate alle sue cure, se non violare l’obbligointernazionale.Il comportamento dell’autore del fatto illecito è determinato da un eventoesterno.La violazione dell’obbligo internazionale è frutto di una scelta deliberatadell’agente.Quanto alla situazione oggettiva che ne giustifica l’ammissibilità, si devetrattare di una minaccia reale ed effettiva che tocca direttamente la vita dellepersone. Occorre poi che esista una relazione speciale e diretta tra l’agentedello stato che commette la violazione e le persone la cui vita è in pericolo,mentre i casi di urgenza più generale sembrano dover rientrare nell’esimentedello stato di necessità.L’esimente in parola non può valere se la situazione di pericolo è dovuta, siaunicamente, sia in combinazione con altri fattori, al fatto dello stato che lainvoca.L’estremo pericolo può escludere l’illiceità del fatto solo se il comportamentoin questione non crea un pericolo comparabile o maggiore di quello che

intende evitare.Lo stato di necessità.

Il carattere antigiuridico del comportamento dello stato è giustificato, anzichédal fine di salvare vite umane, dall’esigenza di proteggere un interesseessenziale dalla minaccia di un pericolo. È una situazione esterna econtingente di pericolo che determina la possibilità per lo stato di venir temporaneamente meno al rispetto dei propri obblighi internazionali.Vi è il rischio che l’esimente in parola sia utilizzata in maniera abusiva daglistati, per sottrarsi deliberatamente all’adempimento dei propri impegni

internazionali.L’art. 25 del progetto indica una serie di condizioni rigorose, da riunirsicumulativamente ai fini di invocare lo stato di necessità quale motivo diesclusione dell’illiceità del fatto dello stato.Un interesse essenziale dello stato autore del comportamento deve essereminacciato da un pericolo grave ed imminente; il comportamento contrarioall’obbligo internazionale deve essere l’unico mezzo per salvaguardarel’interesse essenziale minacciato; la violazione commessa a titolo di necessitànon deve a sua volta pregiudicare un interesse essenziale dello stato o deglistati verso cui l’obbligo violato esiste o della comunità internazionale nel suoinsieme; lo stato di necessità non può in ogni caso essere invocato come

scusante se lo stato agente ha contribuito con il proprio comportamento adeterminare la situazione di necessità.

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Il progetto non definisce in astratto la nozione di interesse essenziale, nérichiede che tale interesse sia dello stato che agisce.L’interesse in questione può essere sia proprio dello stato agente o dei suoicittadini, sia della comunità internazionale nel suo insieme.La figura della necessità continua ad essere considerata, nella prassi e nella

giurisprudenza internazionale, come un’esimente dell’illecito ammissibile soloin via eccezionale e a condizioni molto restrittive.

Il contenuto della responsabilità internazionale e le conseguenzedell’illecito.

Si pone il problema di stabilire il contenuto della responsabilità internazionaleo di definire quali conseguenze giuridiche il diritto internazionale collega allacommissione del fatto internazionalmente illecito. Queste conseguenze sitraducono nell’imposizione in capo allo stato responsabile di una serie dinuovi obblighi di natura secondaria, che consistono essenzialmentenell’obbligo di cessare il fatto illecito e nell’obbligo di fornire una riparazioneintegrale del pregiudizio derivante dall’illecito.Gli obblighi secondari nascenti in capo allo stato responsabile a seguito dellacommissione dell’illecito possono sussistere nei confronti di un altro stato, dialtri stati, o della comunità internazionale nel suo insieme.Le conseguenze giuridiche che si producono per effetto della violazione nonliberano lo stato responsabile dal dovere di continuare ad adempiere l’obbligoviolato.Lo stato responsabile non potrà valersi delle disposizioni del proprio dirittointerno per sottrarsi all’adempimento degli obblighi derivanti dalla

commissione del fatto illecito.La cessazione e le garanzie di non ripetizione.

La prima conseguenza consiste nell’obbligo dello stato responsabile di porrefine al comportamento internazionalmente illecito.Talora una stessa azione dello stato responsabile della violazione puòrappresentare simultaneamente una cessazione dell’illecito e un ripristinodella situazione precedente alla violazione.La cessazione rappresenta una forma di adempimento tardivo e parzialedell’obbligo primario violato, mentre la restituzione in forma specifica ha lo

scopo più ampio di ripristinare la medesima situazione che esisteva primadella commissione dell’illecito, come se questo non fosse mai avvenuto.Il progetto prevede l’ulteriore obbligo dello stato responsabile di offrireappropriate assicurazioni e garanzie di non ripetizione. Scopo di tali garanzieè di rafforzare pro futuro il rispetto dell’obbligo primario violato, impedendo ilreiterarsi della violazione. Il loro contenuto potrà variare da semplici impegniformali fino a misure concrete.Il progetto precisa che lo stesso obbligo dello stato di offrire adeguateassicurazioni e garanzie di non ripetizione sussiste solo quando le circostanzelo richiedano.

La riparazione delle sue varie forme.

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La seconda conseguenza generale consiste nell’obbligo dello statoresponsabile di riparare integralmente il pregiudizio causato dal fatto illecito.Il termine pregiudizio va inteso in senso da comprendere tanto l’eventualedanno materiale causato ai beni o agli interessi di uno stato o di suoi cittadiniche sia suscettibile di valutazione pecuniaria, tanto il danno morale risultante

dall’offesa all’onore o alla dignità di un altro stato o dalle sofferenze inferte aindividui.Importa l’esistenza di un legame tra il fatto illecito e il pregiudizio, nel sensoche il danno materiale o morale deve essere una conseguenza diretta dellaviolazione del diritto internazionale.La riparazione è una categoria generale, che comprende le diverse fattispeciedella restituzione in forma specifica, della restituzione per equivalente(risarcimento monetario) e della soddisfazione. La rimozione delleconseguenze dell’illecito può essere realizzata, a seconda dei casi, attraversouna sola delle modalità indicate o attraverso la loro combinazione.

La restituzione in forma specifica.

La prima forma di riparazione cui è tenuto lo stato responsabile è larestituzione in forma specifica (restituito in integrum), che consiste nelristabilire la situazione precedente alla commissione dell’illecito, come sequesto non avesse avuto luogo. Può consistere in differenti prestazioni omodalità.L’obbligo dello stato responsabile di procedere alla restituzione in formaspecifica non è assoluto.Esso può venir meno quando il ripristino della situazione precedente all’illecito

sia materialmente impossibile, oppure quando ciò si riveli eccessivamenteoneroso.Circa la scusante dell’impossibilità materiale, si deve trattare di unimpedimento radicale di reintegrare la situazione anteriore all’illecito e non diuna semplice difficoltà pratica di esecuzione.Non è invece ammissibile la variante dell’impossibilità giuridica, dovuta adostacoli derivanti dal diritto dello stato.

La riparazione per equivalente: il risarcimento monetario.

Nel caso in cui la restituzione in forma specifica non sia possibile o non

permetta di riparare che in modo parziale il pregiudizio derivante dall’illecito,lo stato responsabile è tenuto a fornire una riparazione per equivalente, cheprende la forma del versamento di una somma di denaro di valorecorrispondente alla mancata restituzione.Il progetto afferma che il risarcimento deve coprire ogni danno suscettibile divalutazione finanziaria, comprendendo in tale valutazione, oltre alle perditepatrimoniali effettivamente subite in conseguenza del fatto illecito (dannoemergente), l’eventuale mancato guadagno da esso derivante (lucrocessante).

La soddisfazione.

Quale ulteriore forma di riparazione, applicabile nella misura in cui non sia

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possibile rimuovere le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito né attraverso larestituzione in forma specifica, né attraverso il risarcimento monetario, ilprogetto prevede l’obbligo dello stato responsabile di fornire la soddisfazione.Si presenta come una forma di riparazione dei danni di natura morale, nonsuscettibile di valutazione economica, derivanti da illeciti commessi contro

l’onore, la dignità, il prestigio dello stato o del danno giuridico insito nel fattostesso della violazione di un obbligo internazionale.Anche la relativa modalità di riparazione assumerà forma e portatalargamente simbolica.Il progetto indica in via non esaustiva, quali esempi di soddisfazione, ilriconoscimento della violazione, l’espressione di rincrescimento, le scuseformali e fa salve altre modalità appropriate, fermi restando come unici limitigenerali che la soddisfazione prescelta non sia sproporzionata rispetto alpregiudizio causato dall’illecito e non assuma forme umilianti per lo statoresponsabile.A quelle già citate si possono aggiungere il versamento di una sommasimbolica di denaro, gli onori alla bandiera o alle autorità dello stato leso, lapunizione degli autori materiali dell’illecito, la dichiarazione da parte diun’istanza internazionale dell’avvenuta commissione dell’illecito.Una questione controversa è se possano rientrare nella nozione disoddisfazione o se addirittura possano configurarsi come autonomaconseguenza dell’illecito i danni punitivi, indicando le ulteriori prestazioni indenaro, aggiuntive rispetto a quelle necessarie per garantire il risarcimentodei danni derivanti dall’illecito, che lo stato leso potrebbe pretendere dallostato responsabile a titolo di punizione per la violazione commessa.La prassi internazionale sembra orientata nel senso di escludere

l’ammissibilità di esborsi monetari inflitti allo stato responsabile a titolo dipunizione.

Le contromisure come conseguenze strumentali dell’illecito.

Le contromisure, in quanto reazioni adottate da uno stato per rispondere auna violazione subita, rappresentano però, oltre che cause di esclusionedell’illiceità di un comportamento, anche possibili conseguenze del fattoillecito internazionale e delle modalità di attuazione coercitiva del dirittoviolato. Il progetto peraltro esclude che le contromisure possano essereutilizzate con una finalità afflittiva, quali strumenti per punire lo stato autore

dell’illecito.Il progetto stabilisce che lo stato leso può adottare contromisure nei confrontidello stato responsabile al solo fine di spingere tale stato ad adempiere aipropri obblighi di cessazione dell’illecito e di riparazione del pregiudizioderivante.Le contromisure debbono aver fine non appena lo stato responsabile haadempiuto ai propri obblighi di cessazione e riparazione. Le contromisurerappresentano un rimedio di carattere temporale e reversibile, che devonoessere limitate alla mancata esecuzione temporanea degli obblighi dello statoleso nei confronti dello stato responsabile e devono essere adottate inmaniera da permettere, nella misura del possibile, il ripristino dell’esecuzione

degli obblighi in questione.Il progetto enuncia poi una serie di condizioni procedurali alle quali la loro

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adozione deve essere subordinata.Lo stato leso, prima di adottare le contromisure, deve invitare lo statoresponsabile ad adempiere ai propri obblighi di cessazione e riparazionedell’illecito; deve inoltre notificare ogni decisione di ricorrere a contromisure,offrendo allo stato leso di negoziare. Tali obblighi preliminari non escludono

peraltro per lo stato leso la possibilità di ricorrere a quelle contromisureurgenti che si rivelino necessarie per riservare i propri diritti.Le contromisure non possono essere adottate e, se già adottate, devonoessere sospese senza ritardo, se l’atto illecito ha avuto fine e se lacontroversia sorta in relazione all’illecito è pendente di fronte ad un tribunaledotato dell’autorità di pronunciare decisioni vincolanti per le parti. Questeultime limitazioni non si applicano se lo stato responsabile non collabora inbuona fede nell’attivazione delle procedure di soluzione delle controversie.

Le conseguenze delle gravi violazioni di norme imperative del dirittointernazionale.

Un primo passo nel senso di distinguere il regime delle conseguenzedell’illecito in ragione dell’importanza degli obblighi violati era stato compiutodalla CDI nel 1976, attraverso l’introduzione nel progetto della nozione dicrimine internazionale dello stato. Tale nozione intendeva indicare le formepiù gravi di illecito internazionale, che nascono dalla violazione da parte diuno stato di obblighi essenziali per la salvaguardia di interessi fondamentalidella comunità internazionale.Quali possibili esempi possono essere la violazione del divieto diaggressione, la violazione del divieto di instaurare forme di dominio coloniale

o straniero contrarie al diritto di autodeterminazione dei popoli, le violazionigravi e massicce dei diritti dell’uomo quali la schiavitù, il genocidio,l’apartheid.La figura del crimine internazionale è stata in seguito abbandonata dalla CDI.Il problema sottostante è ancora considerato in due disposizioni dell’attualeprogetto, dedicate alle violazioni gravi di obblighi derivanti da normeimperative del diritto internazionale generale. La categoria degli obblighi la cuiviolazione dovrebbe comportare conseguenze particolari è individuata dalprogetto facendo rinvio alla nozione di norme imperative del dirittointernazionale o di diritto cogente, già utilizzata dall’art. 53 della convenzionedi Vienna sul diritto dei trattati al fine di indicare le regole del diritto

internazionale generale dotate di carattere inderogabile.Una violazione delle norme imperative si qualifica poi come grave quandodenota, da parte dello stato responsabile, l’inosservanza flagrante esistematica dell’obbligo sottostante.Quanto alle conseguenze derivanti dalle violazioni gravi di norme imperative,il progetto ribadisce che trovano applicazione in primo luogo le usualiconseguenze derivanti dalla commissione dell’illecito e restano salve altrepossibili conseguenze eventualmente previste dal diritto internazionalegenerale o convenzionale.Oltre a ciò, vere e proprie conseguenze particolari delle gravi violazioni diobblighi di solidarietà che nascono in capo a tutti gli stati diversi dallo stato

responsabile. Costoro avranno l’obbligo di non riconoscere come legittima lasituazione creata dalla grave violazione e di non prestare aiuto o assistenza al

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suo mantenimento; dall’altro, saranno tenuti a cooperare tra loro per porrefine, attraverso mezzi leciti, alla grave violazione.Quest’ultima soluzione mira in realtà ad aggravare la situazione dello statoautore di una grave violazione, mediante un suo isolamento sul pianointernazionale.

L’attuazione della responsabilità internazionale: la nozione di stato lesoe il diritto a far valere la responsabilità.

Assume un rilievo centrale la nozione di stato leso; con essa si indica lo statoil cui diritto è stato direttamente pregiudicato dalla violazione dell’obbligo eche, in tale qualità, potrà pretendere l’attuazione di tutte le conseguenzederivanti dall’illecito.Si pone il problema di obblighi di natura e contenuto più complessi, dovuti nonpiù a un solo stato, ma a un gruppo di stati oppure, come nel caso degliobblighi erga omnes, dovuti all’intera comunità degli stati, in quanto posti aprotezione di un interesse collettivo di tale comunità.La violazione degli obblighi di quest’ultimo tipo interessa potenzialmente tuttigli stati, e accanto alla posizione dello stato direttamente leso dal fatto illecito,vi sarà anche l’interesse di tutti gli altri stati membri della comunitàinternazionale a ottenere il rispetto dell’obbligo violato e la rimozione delleconseguenze della violazione.Il progetto risponde a tali problemi attraverso un duplice espediente. Da unlato viene allargata la cerchia degli stati di volta in volta abilitati a invocare laresponsabilità dello stato autore della violazione.D’altro lato, vengono differenziate le pretese che gli stati legittimati a invocare

la responsabilità possono avanzare nei confronti dello stato responsabile:mentre lo stato direttamente leso potrà far valere l’intera gamma delleconseguenze derivanti dalla violazione, gli altri stati aventi titolo a invocare laresponsabilità, in quanto non direttamente pregiudicati dalla violazione macomunque interessati a ottenere il rispetto della norma violata, potrannopresentare richieste più limitate.L’art. 42 del progetto stabilisce che il diritto a invocare la responsabilità dellostato autore della violazione appartiene innanzitutto allo stato leso. Questi èidentificato con lo stato nei cui confronti l’obbligo violato era individualmentedovuto.Nel caso in cui l’obbligo sia invece dovuto nei confronti di un gruppo di stati o

nei confronti dell’intera comunità internazionale, lo stato leso sarà quelmembro del gruppo o della comunità che venga specificamente toccato dallaviolazione.La qualità di stato leso sarà invece estesa a ogni stato membro del gruppo odella comunità, se la violazione è di natura tale da modificare radicalmente laposizione di tutti gli stati riguardo all’ulteriore esecuzione dell’obbligo inquestione.Secondo l’art. 48 del progetto, la responsabilità dello stato autore dellaviolazione può essere invocata da ogni stato diverso da quello leso, sel’obbligo violato è dovuto nei confronti di un gruppo di stati cui quest’ultimoappartiene ed è stabilito per la tutela di un interesse collettivo del gruppo;

oppure nell’ipotesi in cui l’obbligo violato sia dovuto alla comunitàinternazionale nel suo insieme.

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Lo stato legittimato su questa base a invocare la responsabilità può esigerein nome proprio dallo stato autore della violazione la cessazione dell’illecito ela prestazione di adeguate garanzie di non ripetizione dell’illecito; e puòanche domandare l’esecuzione degli obblighi di riparazione previsti nelprogetto, ma in questo caso nel solo interesse dello stato direttamente leso o,

se questo non esista nell’interesse dei beneficiari dell’obbligo violato.A proposito del diritto degli stati, diversi da quello leso, di adottarecontromisure contro lo stato autore della violazione di un obbligo posto atutela di un interesse collettivo. Una disposizione afferma di non voler pregiudicare il diritto di ogni stato, avente titolo in virtù dell’art. 48 a invocarela responsabilità internazionale, di adottare misure lecite nei confronti dellostato responsabile, al fine di ottenere da questo la cessazione della violazioneo la riparazione nell’interesse dello stato leso o dei beneficiari dell’obbligoviolato.I progetto specifica alcune condizioni di carattere procedurale concernenti lemodalità di esercizio del diritto di invocare la responsabilità.Lo stato leso che invoca la responsabilità deve inviare allo stato autoredell’illecito una richiesta, nella quale può precisare in particolare sia ilcomportamento che lo stato responsabile dovrebbe tenere per porre termineall’illecito, sia la forma che dovrebbe assumere l’eventuale riparazione.La responsabilità non può essere invocata se la relativa richiesta non è statapresentata conformemente alle regole applicabili in materia di nazionalità deireclami e se non sono state esaurite le vie di ricorso disponibili ed efficaci, nelcaso in cui la richiesta è sottoposta alla regola del previo esaurimento deiricorsi interni.Il diritto di invocare la responsabilità viene meno se lo stato leso ha

validamente rinunciato alla richiesta o se si può considerare che tale stato, inragione del comportamento tenuto, ha prestato acquiescenza all’abbandonodella richiesta.

I regini speciali di responsabilità.

Sono configurabili in diritto internazionale dei regimi speciali di responsabilitànei quali, accanto alle norme primarie che fissano i diritti e gli obblighi deglistati in un particolare settore delle loro relazioni, esistono apposite normesecondarie che si occupano di stabilire sia le particolari condizioni necessarieper stabilire l’avvenuta violazione delle norme primarie del sistema, sia le

specifiche conseguenze che da tale violazione derivano.In omaggio della lex specialis, il progetto ammetta l’esistenza di tali regimispeciali di responsabilità e ne faccia salva l’applicabilità in deroga ai principigenerali in esso codificati.La possibilità di derogare alle regole generali in materia di responsabilitàinternazionale va circoscritta alla luce di due considerazioni. In primo luogo, iprincipi generali del progetto mantengono un carattere residuale e suppletivo,nel senso che essi devono trovare applicazione per integrare quegli aspettidella disciplina della responsabilità non regolati dalle norme secondarieappartenenti al regime autonomo.In secondo luogo, le regole particolari del regime autonomo di responsabilità

non possono mai autorizzare comportamenti degli stati che risultino contrari anorme inderogabili del diritto internazionale.

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Il problema della responsabilità derivante da attività lecite.

Responsabilità dello stato per attività lecite, non proibite dal dirittointernazionale, nel caso in cui da tali attività derivino conseguenze dannose.

La questione si pone in relazione alle attività ultrapericolose. Con taleespressione si indicano attività non vietate di diritto internazionale, ma il cuiesercizio da parte di uno stato può provocare danni ingenti al territorio oall’ambiente naturale di altri stati: si pensi al lancio di oggetti nello spazio,all’attività di produzione di energia nucleare, o al trasporto di merci pericolosein mare, come rifiuti tossici o idrocarburi.Per quanto riguarda la prassi, sono innanzitutto eccezionali le ipotesi di trattatiinternazionali che prevedono un regime di responsabilità assoluta dello statoper i danni prodotti da una determinata attività pericolosa, ovvero un regimeche si presenta concettualmente come il più vicino all’idea di responsabilità daatto lecito. D’altro lato, vi sono numerosi trattati con i quali gli stati affrontano ilproblema del risarcimento dei danni derivanti da attività ultrapericolose,ponendo la relativa responsabilità direttamente a carico degli operatori privatiche gestiscono le attività in questione.Quanto ai lavori di codificazione della materia, la CDI aveva intrapreso già dal1978 lo studio del tema della responsabilità internazionale per leconseguenze dannose derivanti da atti non proibiti dal diritto internazionale.Solo nel 2001 la CDI è stata in grado di adottare in via definitiva un gruppo di19 articoli concernenti la prevenzione del danno transfrontaliero derivante daattività pericolose.Tali articoli prevedono una serie di obblighi in capo allo stato sotto la cui

giurisdizione si svolgono attività non vietate dal diritto internazionale checomportano il rischio di causare danni transfrontalieri significativi; spiccanol’obbligo generale di adottare appropriate misure per prevenire il danno eminimizzare i rischi connessi all’attività pericolosa, l’obbligo di subordinare aun’autorizzazione preliminare lo svolgimento di attività pericolose, basando larelativa decisione su un’adeguata valutazione d’impatto dell’attività, l’obbligodi informare e consultare gli stati esposti al rischio di conseguenze dannosecirca i risultati di tali valutazioni.A completamento degli articoli sulla prevenzione, nel 2004 la CDI ha adottatoin prima lettura, e in seguito trasmesso agli stati per commenti e osservazioni,un ulteriore progetto di principi relativi alla riparazione delle perdite in caso di

danno transfrontaliero derivante da attività pericolose.Gli otto articoli pongono l’accento su alcuni obblighi primari degli stati sotto lacui giurisdizione si svolgono attività ultrapericolose, i quali sono chiamati adadottare le misure necessarie per assicurare un pronto e adeguatorisarcimento alle vittime dei danni transfrontalieri prodotti da simili attività.Tra le misure che gli stati dovrebbero predisporre a tal fine vengono indicatel’imposizione della responsabilità sul gestore dell’attività, l’obbligo da parte diquesti di dotarsi d’assicurazioni o altre garanzie finanziarie a copertura deidanni, l’istituzione di appositi fondi di indennizzo alimentati dagli operatori disettore a livello nazionale.

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