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I - “È imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi” (art. 2082 c.c.). Il codice civile distingue diversi tipi di imprenditori in base a tre criteri: l’oggetto , che distingue l’imprenditore agricolo dall’imprenditore commerciale, la dimensione , con il quale si individua il piccolo imprenditore e, di riflesso, l’imprenditore medio-grande, e la natura , che determina la tripartizione tra impresa individuale, impresa in forma di società e impresa pubblica. Tutti gli imprenditori sono assoggettati allo statuto generale dell’imprenditore (azienda, segni distintivi, concorrenza, consorzi). Chi è imprenditore non piccolo è poi assoggettato ulteriormente allo statuto tipico dell’imprenditore commerciale (iscrizione nel registro delle imprese, scritture contabili, rappresentanza commerciale, fallimento). Fondamentale perché si possa parlare di impresa è la produzione o lo scambio di beni e servizi. Irrilevante è invece sia la natura dei beni scambiati o prodotti, sia che l’attività produttiva costituisca anche godimento di beni inesistenti . Non può però considerarsi impresa l’attività di mero godimento: il proprietario che cede solo in locazione un immobile non è imprenditore in quanto non produce nuove utilità economiche, a differenza del proprietario che adibisce ad albergo un suo immobile, in quanto accompagna la prestazione locativa all’erogazione di servizi collaterali come la pulizia locale, il cambio biancheria, ecc.. È infine opinione prevalente che la qualità di imprenditore vada riconosciuta anche quando l’attività produttiva svolta è illecita (contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume). Inconcepibile è l’attività di impresa senza l’impiego coordinato di fattori produttivi: capitale e lavoro proprio e/o altrui. All’interrogativo posto con riferimento al considerare o meno imprenditori i prestatori d’opera manuale (elettricisti, idraulici, ecc.) è stato risposto, benché il punto non sia pacifico, che questi non posso essere considerati tali in quanto manchi un minimo di <<etero organizzazione>> nel loro lavoro. Questi dati confermano di conseguenza che un minimo di lavoro altrui o di capitale (etero organizzazione) è quindi sempre necessario perché si possa parlare di impresa. Per aversi impresa è essenziale che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico: copertura dei costi con i ricavi. Non è quindi essenziale che l’intento dell’imprenditore sia quello di conseguire un 1

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I - “È imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi” (art. 2082 c.c.).

Il codice civile distingue diversi tipi di imprenditori in base a tre criteri: l’oggetto, che distingue l’imprenditore agricolo dall’imprenditore commerciale, la dimensione, con il quale si individua il piccolo imprenditore e, di riflesso, l’imprenditore medio-grande, e la natura, che determina la tripartizione tra impresa individuale, impresa in forma di società e impresa pubblica.

Tutti gli imprenditori sono assoggettati allo statuto generale dell’imprenditore (azienda, segni distintivi, concorrenza, consorzi). Chi è imprenditore non piccolo è poi assoggettato ulteriormente allo statuto tipico dell’imprenditore commerciale (iscrizione nel registro delle imprese, scritture contabili, rappresentanza commerciale, fallimento).

Fondamentale perché si possa parlare di impresa è la produzione o lo scambio di beni e servizi. Irrilevante è invece sia la natura dei beni scambiati o prodotti, sia che l’attività produttiva costituisca anche godimento di beni inesistenti . Non può però considerarsi impresa l’attività di mero godimento: il proprietario che cede solo in locazione un immobile non è imprenditore in quanto non produce nuove utilità economiche, a differenza del proprietario che adibisce ad albergo un suo immobile, in quanto accompagna la prestazione locativa all’erogazione di servizi collaterali come la pulizia locale, il cambio biancheria, ecc..

È infine opinione prevalente che la qualità di imprenditore vada riconosciuta anche quando l’attività produttiva svolta è illecita (contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume).

Inconcepibile è l’attività di impresa senza l’impiego coordinato di fattori produttivi: capitale e lavoro proprio e/o altrui. All’interrogativo posto con riferimento al considerare o meno imprenditori i prestatori d’opera manuale (elettricisti, idraulici, ecc.) è stato risposto, benché il punto non sia pacifico, che questi non posso essere considerati tali in quanto manchi un minimo di <<etero organizzazione>> nel loro lavoro. Questi dati confermano di conseguenza che un minimo di lavoro altrui o di capitale (etero organizzazione) è quindi sempre necessario perché si possa parlare di impresa.

Per aversi impresa è essenziale che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico: copertura dei costi con i ricavi. Non è quindi essenziale che l’intento dell’imprenditore sia quello di conseguire un guadagno o un profitto personale, nonostante sia incontestabile che normalmente l’imprenditore privato abbia come scopo quello di lucro.

L’ultimo dei requisiti richiesti è il carattere professionale dell’attività. E per professionalità si intende l’esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva. Non è richiesto che quella di impresa sia l’attività unica o principale ed è possibile parlare di impresa anche nel caso di <<unico affare>>, se questo comporta il compimento di operazioni molteplici e l’utilizzo di un apparato produttivo complesso. Infine, nonostante il punto sia controverso, anche chi costruisce un singolo edificio per destinarlo a uso personale può essere considerato imprenditore, in quanto l’attività produttiva può considerarsi svolta con metodo economico anche quando i costi sono coperti da un risparmio di spesa o da un incremento del patrimonio del produttore. Imprenditore può essere qualificato quindi anche chi produce beni o servizi destinati ad uso o consumo personale (c.d. impresa per conto proprio)

Per libera scelta del legislatore i liberi professionisti (avvocati, dottori commercialisti, ecc.) non sono mai imprenditori in quanto tali e le disposizioni in tema di imprese si applicano alle professioni intellettuali solo se l’esercizio della professione costituisce elemento di una attività organizzata in forma di impresa (es: medico che gestisce una clinica privata nella quale opera).

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II - “È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse” (art. 2135 c.c.).

Riguardo alle attività agricole essenziali, l’evoluzione tecnologica dell’agricoltura aveva portato però in dottrina a un contrasto di opinioni tra chi sosteneva che impresa agricola fosse ogni impresa che produce ogni specie di vegetali o animali e quindi fondata sullo sviluppo di un ciclo biologico e chi riteneva, all’opposto, che doveva essere dato rilievo al modo di produzione tipico dell’agricoltore e quindi non poteva essere qualificato imprenditore agricolo chi produceva vegetali o animali in modo del tutto svincolato dal fondo agricolo e dallo sfruttamento della terra. Con la recente riforma il legislatore ha optato per lo sviluppo del ciclo biologico!

La seconda categoria di attività agricole è costituita dalle attività agricole per connessione. Si intendono connesse quella attività commerciali aventi ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dall’esercizio dell’attività agricola essenziale. Pertanto sono tre le condizioni da rispettare: connessione soggettiva, il soggetto che le esercita è già imprenditore agricolo in quanto svolge un’attività agricola essenziale, connessione oggettiva tra le due attività e la prevalenza, per rilievo economico, dell’attività essenziale su quella connessa.

Il piccolo imprenditore è sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore. È invece esonerato, anche se esercita attività commerciale, dalla tenuta delle scritture contabili e dall’assoggettamento al fallimento e alle altre procedure concorsuali. L’iscrizione nel registro delle imprese non ha funzione di pubblicità legale. Fino a qualche anno vi erano due diverse nozioni di piccoli imprenditore, una dettata dal codice civile e una dalla legge fallimentare. “Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia” (art. 2083 c.c.). Per aversi piccolo imprenditore il codice civile individuava il criterio della prevalenza sul lavoro altrui e sul capitale come carattere distintivo, intendendola come una prevalenza qualitativo-funzionale: l’apporto dell’imprenditore e dei suoi familiari devono caratterizzare i prodotti. La legge fallimentare invece, nel ribadire che non falliscono, individuava i piccoli imprenditori esclusivamente in base a parametri monetari (in base al reddito di ricchezza mobile o al capitale investito) e quindi con criterio palesemente non coincidente con quello fissato dal codice civile. Le due norme comportavano il paradosso di dover riconoscere e negare allo stesso soggetto la qualità di piccolo imprenditore e agli stessi effetti (paradosso venuto meno in seguito alla soppressione dell’imposta di ricchezza mobile e alla dichiarata incostituzionalità del parametro fissato dalla legge fallimentare sul capitale investito). Nel 2006 è stata riformata la legge fallimentare, la quale non definisce più chi è piccolo imprenditore, ma semplicemente individua alcuni parametri dimensionali dell’’impresa, al di sotto dei quali l’imprenditore non fallisce. Questo comporta un migliore coordinamento con la disciplina codicistica: secondo l’opinione prevalente, chi può essere dichiarato fallito si determina esclusivamente in base ai parametri della nuova legge fallimentare, mentre la definizione del codice civile rileva ai fini dell’applicazione della restante parte dello statuto dell’imprenditore commerciale.

I nuovi criteri dimensionali della legge fallimentare stabiliscono che non è soggetto a fallimento chi si dimostri in possesso dei seguenti requisiti: 1aver avuto nei tre anni antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento un attivo patrimoniale complessivo annuo non superiore a trecentomila euro; 2aver realizzato nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento ricavi lordi non superiori a duecentomila euro; 3avere un ammontare di debiti, anche non scaduti, non superiore a cinquecentomila euro. Basta superarne uno per essere esposti al fallimento. A differenza che in passato, inoltre, anche le società commerciali possono essere esonerate dal fallimento, se rispettano tali limiti.

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L’imprenditore artigiano rientra tra i piccoli imprenditori. La legge n. 860 del 1956 affermava però che l’impresa che rispondeva ai requisiti dalla stessa fissata era da considerarsi artigiana “a tutti gli effetti di legge” e quindi anche a quelli codicistici e fallimentari. Per la legge n. 860, il dato caratterizzante l’impresa artigiana risiedeva nella natura “artistica o usuale” dei beni o servizi prodotti e non più nella prevalenza del lavoro familiare nel processo produttivo. Perciò, l’impresa doveva ritenersi artigiana e sottratta al fallimento anche quando, per gli ingenti investimenti di capitali e la manodopera impiegata, non era più rispettato il criterio della prevalenza. Questo privilegio è stato abolito con la legge quadro del 1985, la quale, nel definire l’impresa artigiana (basandosi sull’oggetto dell’impresa, che può essere costituito da qualsiasi attività di prestazioni di beni o di servizi, e sul ruolo dell’artigiano, richiedendosi che esso svolga “in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo”) non afferma più che è definita a tutti gli effetti di legge, anzi, scopo dichiarato della legge è quello di fissare i principi direttivi da osservare dalle regioni per le provvidenze a favore dell’artigianato. Non basta quindi la qualifica artigiana in base alla legge quadro per essere esonerati ne dallo statuto dell’imprenditore commerciale (criterio della prevalenza), ne dal fallimento (limiti dimensionali).

È impresa familiare l’impresa nella quale collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado dell’imprenditore (famiglia nucleare). Funzione dell’istituto è quello di predisporre una tutela minima del lavoro familiare nell’impresa “quando non sia configurabile un diverso rapporto giuridico”. La tutela legislativa riconosce ai membri della famiglia nucleare che lavorino “in modo continuato” nell’impresa familiare diritti patrimoniali: diritto al mantenimento, diritto di partecipazione agli utili dell’impresa in proporzione al lavoro prestato, diritto sui beni acquistati con gli utili e sugli incrementi di valore dell’azienda e diritto di prelazione sull’azienda in caso di divisione ereditaria, e diritti amministrativi: le decisioni in merito alla gestione straordinaria dell’impresa e su decisioni di particolare importanza sono prese a maggioranza. È infine previsto che il diritto di partecipazione è trasferibile solo a favore degli altri membri della famiglia nucleare e con il consenso unanime dei familiari già partecipanti. È inoltre liquidabile in denaro qualora cessi la prestazione di lavoro ed in caso di alienazione dell’azienda.

L’impresa pubblica è l’attività di imprese svolta dallo Stato o da altri enti pubblici. Sono tre le possibili forme di intervento dei pubblici poteri nell’economia: costituzione o partecipazione in società (generalmente per azioni); la creazioni di enti pubblici economici (enti di diritto pubblico il cui compito esclusivo o principale è l’attività di impresa), i quali sono sottoposti ad entrambi gli istituti degli imprenditori con la sola eccezione di essere soggetti a liquidazione coatta amministrativa; e attraverso le imprese-organo (strutture organizzative prive di distinta soggettività in cui l’attività di impresa è secondaria ed accessoria), le quali sono sottoposte agli statuti degli imprenditori ma restano esonerati sia dall’iscrizione nel registro delle imprese sia dalle procedure concorsuali.

Sono imprese sociali le imprese gestite senza scopo di lucro in settori di utilità sociale (tassativamente indicati nel d. lgs. 155/2006). Proprio per l’assenza dello scopo di lucro sul patrimonio dell’impresa grava un vincolo di indisponibilità in quanto né durante l’esercizio dell’impresa, né allo scioglimento è possibile distribuire fondi. Per l’impresa sociale è previsto che ci si possa organizzare in qualsiasi forma di organizzazione privata. È previsto, inoltre, un privilegio per le imprese sociali secondo il quale è possibile limitare la responsabilità dei partecipanti anche quando la forma giuridica impiegata prevedrebbe invece la responsabilità illimitata di questi: se l’impresa sociale è dotato di un patrimonio (netto) di almeno ventimila euro, dal momento dell’iscrizione risponde delle obbligazioni assunte soltanto l’organizzazione con il suo patrimonio, qualora però il patrimonio diminuisca in conseguenza di perdite di oltre un terzo al di sotto del limite delle obbligazioni assunte rispondono illimitatamente e personalmente i soggetti agenti. In caso di insolvenza l’impresa sociale è soggetta a liquidazione coatta amministrativa.

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III - Esercizio diretto dell’attività d’impresa: gli effetti degli atti giuridici ricadono sul soggetto il cui nome è stato validamente speso nel traffico giuridico (principio della spendita del nome). Si ricava dalla disciplina del mandato secondo cui, nel caso di mandato con rappresentanza, tutti gli atti posti in essere dal mandatario si producono direttamente nella sfera giuridica del mandante. Di conseguenza quando gli atti d’impresa sono compiuti tramite rappresentante, imprenditore diventa il rappresentato.

Esercizio indiretto dell’attività d’impresa: fenomeno che da luogo a una dissociazione fra il soggetto cui è formalmente imputabile la qualità di imprenditore e il reale interessato (imprenditore indiretto). Espediente, a cui si può ricorrere per aggirare un divieto di legge o per non esporre al rischio d’impresa tutto il proprio patrimonio personale, che comporta il pericolo per i creditori di non vedere soddisfatte le proprie obbligazioni in caso di dissesto. Parte della dottrina riteneva di poter neutralizzare tali pericoli sostenendo che chi esercita il potere di direzione di un’impresa se ne assume il rischio, acquisisce la qualità di imprenditore e risponde, solidalmente con il prestanome, delle obbligazioni (teoria dell’imprenditore occulto). Teoria ritenuta però infondata in quanto contrastante sia con il principio della spendita del nome, sia dai principi che regolano le società di capitali (liceità dell’esercizio dell’attività di impresa in regime di responsabilità limitata attraverso una società di capitali rispettando le regole di organizzazione per la stessa dettate). La tecnica prevalentemente seguita in giurisprudenza è invece quella di considerare i comportamenti del socio che tratta la società come cosa propria, con disprezzo delle regole, come un’autonoma attività di impresa (impresa fiancheggiatrice) rispondendo pertanto delle obbligazioni da lui contratte.

Inizio dell’impresa: la qualità di imprenditore si acquista con l’effettivo inizio dell’esercizio dell’attività di impresa, la stessa iscrizione nel registro delle imprese non è condizione né necessaria né sufficiente.

Fine dell’impresa: la nuova legge fallimentare dispone che gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese (condizione quindi necessaria, ma non sufficiente, affinchè l’imprenditore benefici del termine annuale), salva la facoltà per il creditore o il p.m. di dimostrare che l’attività d’impresa sia effettivamente cessata in un altro momento.

Capacità e impresa: la capacità all’esercizio dell’attività d’impresa si acquista con la piena capacità d’agire (18 anni). Si perde in seguito a interdizione o inabilitazione. Il minore che con raggiri ha occultato la sua minore età non diventa in nessun caso imprenditore. Riguardo l’attività agricola trovano applicazione le norme di diritto comune. Una specifica disciplina è invece prevista per l’attività commerciale: in nessun caso è consentito l’inizio di una nuova impresa commerciale in nome e nell’interesse del minore. Identica regola è dettata per l’interdetto e l’inabilitato. È pertanto consentita solo la continuazione dell’esercizio di un impresa commerciale preesistente, quando ciò sia utile all’incapace, e purchè sia autorizzata dal tribunale. Intervenuta l’autorizzazione, chi ha la rappresentanza legale del minore e dell’interdetto può compiere tutti gli atti (ordinari e straordinari) che rientrano nell’esercizio dell’impresa. È richiesta una specifica autorizzazione solo per quegli atti che non sono in rapporto di mezzo a fine per la gestione dell’impresa. L’inabilitato invece, intervenuta l’autorizzazione, potrà esercitare personalmente l’impresa, sia pure con l’assistenza del curatore e con il suo consenso per gli atti estranei all’attività d’impresa. Diversamente che per gli altri incapaci il minore emancipato può essere autorizzato dal tribunale ad iniziare un’attività d’impresa. Con l’autorizzazione acquista la piena capacità d’agire. Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno conserva invece capacità d’agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’autorizzazione dell’amministratore di sostegno.

IV - Il registro delle imprese è lo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali non piccole e delle società commerciali previsto dal codice civile del 1942. Per anni l’istituto è rimasto inapplicato

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(sostituito da un regime transitorio) per la mancanza del regolamento di attuazione e solo nel 1997 diventa finalmente operante, non solo come strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali ma anche come strumento di informazione per tutte le altre imprese. Il registro delle imprese è istituito in ciascuna provincia presso la camera di commercio. È articolato in una sezione ordinaria, dove sono iscritti gli imprenditori (non agricoli) per i quali l’iscrizione produce gli effetti di pubblicità legale previsti dal codice civile, e in tre sezioni speciali, nella prima sono iscritti gli imprenditori che secondo il codice ne erano esonerati e per i quali l’iscrizione aveva originariamente solo funzione di pubblicità notizia, la seconda è destinata alla pubblicità notizia delle società tra professionisti e la terza alla pubblicità dei legami di gruppo. Non è consentita l’iscrizione di atti non previsti dalla legge. Le iscrizioni devono essere fatte nel registro delle imprese delle provincia in cui l’impresa ha sede, su domanda dell’interessato o anche d’ufficio qualora siano obbligatorie. Prima di procedere l’ufficio del registro deve controllare che la documentazione è formalmente regolare (regolarità formale), nonché l’esistenza e la veridicità dell’atto (regolarità sostanziale). Non può rilevare invece eventuali cause di nullità o annullabilità.

L’iscrizione nella sezione ordinaria ha funzione di pubblicità legale, di regola ha efficacia dichiarativa: i fatti e gli atti iscritti sono opponibili a chiunque dal momento della loro registrazione, che, una volta eseguita, impedisci ai terzi di eccepire l’ignoranza del fatto o dell’atto iscritto (parziale temperamento si ha nelle società di capitali: l’opponibilità diventa piena solo dopo quindici giorni). L’imprenditore che ha omesso la registrazione non è tuttavia senza difesa e può comunque provare che i terzi, nonostante l’omessa registrazione avevano avuto comunque conoscenza effettiva dell’atto. In alcuni casi, tassativamente previsti, l’iscrizione ha invece efficacia costitutiva: diventa presupposto perché l’atto sia produttivo di effetti, sia fra le parti che per i terzi (costitutiva totale: prima della registrazione la società non esiste giuridicamente), o solo nei confronti dei terzi (costitutiva parziale: l’omissione impedisce il decorso del termine entro il quale i creditori possono opporsi e perciò la riduzione del capitale è per loro improduttiva di effetti). In altri casi, infine, l’iscrizione può avere efficacia normativa: è presupposto per la piena applicazione di un determinato regime giuridico (s.n.c. prive di iscrizione si considerano “irregolari” e per i loro soci viene adottato un regime patrimoniale più gravoso). L’iscrizione nella sezione speciale, di regola, ha funzione di pubblicità notizia. Recentemente però anche per gli imprenditori agricoli (anche piccoli) e per le società semplici ha efficacia di pubblicità legale.

Le scritture contabili sono i documenti che contengono la rappresentazioni, in termini quantitativi e monetari, dei singoli atti di impresa, della situazione del patrimonio dell’imprenditore e del risultato economico dell’attività svolta. Tutti gli imprenditori che esercitano attività commerciali, tranne i piccoli imprenditori, sono obbligati alla loro tenuta, e così anche tutte le società commerciali, esclusa quella semplice. L’imprenditore deve tenere tutte le scritture contabili “che siano richieste dalla natura e dalla dimensione dell’impresa”. In ogni caso devono poi essere tenuti il libro giornale, registro cronologico-analitico dove sono indicate giorno per giorno le operazioni relative all’esercizio dell’impresa, e libro degli inventari, registro periodico-sistematico redatto all’inizio dell’impresa e successivamente ogni anno che contiene l’indicazione e la valutazione delle attività e delle passività dell’imprenditore. Tutte le scritture contabili devono essere tenute “secondo le norme di ordinata contabilità (senza spazi bianchi, interlinee, abrasioni e in modo che le parole cancellate siano leggibili)”. L’inosservanza di tali regole le rende irregolari e giuridicamente irrilevanti: l’imprenditore non può utilizzarle come mezzo di prova a suo favore. I terzi invece possono sempre usarle, anche se irregolarmente tenute, come mezzo processuale di prova contro l’imprenditore che le tiene. Il terzo non può però scinderne il contenuto, e l’imprenditore potrà dimostrare con qualsiasi mezzo che le sue scritture non corrispondono a verità. Le scritture contabili devono essere conservate per dieci anni, e, se regolari, possono essere utilizzate come mezzo di prova dall’imprenditore solo contro un altro imprenditore e in una controversia relativa a rapporti d’impresa.

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La rappresentanza commerciale è regolata da norme speciali in cui figure tipiche di ausiliari interni, per la posizione loro assegnata nell’impresa, sono automaticamente investiti di un potere di rappresentanza commisurato ex lege al tipo di mansioni che la qualifica comporta. È institore colui che è preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa o di una sede secondaria o di un ramo particolare della stessa. Ha un potere di gestione generale che comporta, innanzitutto, congiuntamente con l’imprenditore, l’adempimento degli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili (e in caso di fallimento dell’imprenditore troveranno applicazione anche nei suoi confronti le sanzioni penali a carico del fallito, fermo restando che fallisce solo l’imprenditore). L’institore ha un altrettanto ampio generale potere di rappresentanza: rappresentanza sostanziale, infatti può compiere in nome dell’imprenditore “tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa” e rappresentanza processuale, sia attiva che passiva. L’imprenditore può modificare tali poteri, ma le limitazioni saranno opponibili ai terzi solo se iscritte nel registro delle imprese, salvo la prova che i terzi effettivamente le conoscevano. L’institore è personalmente obbligato se omette di far conoscere al terzo che egli tratta per il preponente. È solidalmente obbligato anche l’imprenditore quando gli atti compiuti dall’institore “siano pertinenti all’esercizio dell’impresa”. I procuratori sono coloro che, in base a un rapporto continuativo, abbiano il potere di compiere per l’imprenditore gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, pur non essendo preposti ad esso. Il loro potere di rappresentanza è circoscritto ad un determinato settore operativo. Inoltre il procuratore non ha ne la rappresentanza processuale né obblighi di iscrizione nel registro delle imprese o di tenuta delle scritture contabili. L’imprenditore non risponde di nessun atto compiuto dal procuratore senza spendita del nome dell’imprenditore stesso. I commessi sono ausiliari subordinati cui sono affidate mansioni esecutive o materiali che li pongono in contatto con i terzi. Possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie di operazioni di cui sono incaricati. Non è prevista l’iscrizione per l’ampliamento dei loro poteri che saranno opponibili ai terzi solo se portati alla loro conoscenza.

V - “L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” (art. 2555 c.c.). È un complesso caratterizzato da unità funzionale per il coordinamento fra i diversi elementi che la costituiscono. Tale complesso unitario acquisisce di regola un valore di scambio maggiore (avviamento) della somma dei valori dei singoli beni che in un dato momento lo costituiscono. La disciplina del trasferimento di azienda è applicabile anche quando l’imprenditore trasferisca un ramo particolare della stessa, purchè dotato di organicità operativa. Manca un’autonoma e unitaria legge di circolazione dell’azienda e quindi i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o la concessione in godimento di dell’azienda sono validi solo se stipulati con l’osservanza “delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto”. Per le imprese soggette a registrazione con effetti di pubblicità legale è poi previsto che gli atti di disposizione dell’azienda devono essere provati per iscritto. Per le imprese soggette a registrazione i relativi contratti devono essere iscritti nel registro delle imprese (con atto pubblico o scrittura privata) entro trenta giorni.

La vendita dell’azienda produce ex lege, oltre agli effetti dedotti in contrato, effetti ulteriori: divieto di concorrenza dell’alienante: chi aliena un’azienda commerciale deve astenersi, per un periodo massimo di cinque anni, dall’iniziare una nuova attività di impresa che possa sviare l’azienda ceduta (se l’azienda è agricola il divieto opera solo per le attività ad essa connesse). Il divieto può essere escluso o ampliato, purchè non sia impedita ogni attività professionale all’alienante. È poi previsto che, se non è pattuito diversamente, l’acquirente subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa, a meno che non abbiano carattere personale (per il cui trasferimento sarebbe necessario un’espressa pattuizione contrattuale fra alienante e acquirente, oltre che il consenso del contraente ceduto). Al terzo contraente è riconosciuto il diritto di recedere dal contratto solo se sussiste giusta causa entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante (deroga ai principi di diritto comune in

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cui la cessione del contratto non può avvenire senza il consenso del contraente ceduto). Limitata è la deroga in caso di cessione dei crediti relativi all’azienda, che ha effetto nei confronti dei terzi nel momento in cui il trasferimento dell’azienda viene iscritto nel registro delle imprese (nel diritto comune ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’abbia accettata o gli sia stata notifica). Questa disciplina vale solo per le imprese soggette a registrazione con effetti di pubblicità legale. Riguardo ai debiti è mantenuto fermo il principio di diritto comune secondo cui non è ammesso il mutamento del debitore senza il consenso del creditore. In deroga al diritto comune è però previsto che, per le sole aziende commerciali, nel trasferimento dell’azienda risponde dei debiti nei confronti dei creditori che non hanno acconsentito alla cessione anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori (nel diritto comune, invece, ciascuno risponde solo delle obbligazioni da lui assunte). Per i debiti di lavoro, invece, l’acquirente (in questo caso anche di un’azienda non commerciale) risponde anche per i debiti che non risultano dai libri contabili obbligatori, anche se non ne era a conoscenza al momento del trasferimento.

L’azienda può formare oggetto di un diritto reale o personale di godimento. Può essere costituita in usufrutto: l’usufruttuario deve esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue, non può modificarne la destinazione e deve conservare l’efficienza della stessa. La violazioni di tali obblighi o la cessione arbitraria della gestione dell’azienda determinano la cessazione dell’usufrutto per abuso dell’usufruttuario. È previsto che venga redatto un inventario all’inizio e alla fine dell’usufrutto e che la differenza venga regolata in denaro. Si applicano all’usufrutto la disciplina dei crediti aziendali, della successione dei contratti e il divieto di concorrenza, ma non quella dei debiti aziendali per i quali risponde il nudo proprietario. L’azienda può anche essere concessa in affitto, la cui disciplina ricalca quella dell’usufrutto, esclusi i crediti aziendali.

VI - I tre principali segni distintivi dell’imprenditore sono la ditta, il marchio e l’insegna.

La ditta è il nome commerciale dell’imprenditore: lo individua come soggetto di diritto nell’esercizio dell’attività d’impresa. Può essere liberamente scelta dall’imprenditore incontrando solamente due limiti: quello della verità, rispettato semplicemente inserendo “almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore” e quello della novità, nel caso in cui infatti sia uguale o simile a quella usata da un altro imprenditore, in modo tale da creare confusione per l’oggetto o il luogo dell’impresa, va integrata o modificata con indicazione idonee a differenziarla (per le imprese commerciali obbligato l’obbligo di differenzazione grava su chi ha iscritto per secondo la proprio ditta nel registro delle imprese). La ditta è trasferibile solo insieme all’azienda. Se il trasferimento avviene per atto fra vivi è necessario il consenso espresso dell’alienante, se acquistata per successione per causa di more si trasmette invece al successore, salvo patto contrario.

Il marchio è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa. Ha funzione di differenziazione dei proprio prodotti rispetto a quelli dei concorrenti. Su uno stesso prodotto possono coesistere più marchi, ma il rivenditore non può mai sopprimere il marchio del produttore. L’imprenditore può utilizzare un solo marchio per tutti i suoi prodotti (marchio generale: Fiat) o servizi di più marchi per differenziarli (marchi speciali: Fiat-Brava, Fiat-Punto). Il marchio può essere costituito da solo parole (marchio denominativo), da solo figure (marchio figurativo) o essere costituito dalla forma particolare, arbitraria e capricciosa del prodotto (marchio di forma). Un tipo particolare di marchio è infine il marchio collettivo: si distingue dai marchi d’impresa in quanto titolare è un soggetto che lo concede in uso a produttori e commercianti con la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi.

Il marchio deve rispondere a determinati requisiti di validità: liceità, non deve contenere segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume; verità, non deve contenere segni idonei ad ingannare il pubblico; originalità, deve consentire l’individuazione dei prodotti contrassegnati fra tutti i prodotti dello

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stesso genere immessi sul mercato (non vanno quindi bene le denominazione generiche: la parola “scarpa” per u marchio di calzature); novità (va bene la parola “treno” per un marchio di calzature). Il difetto dei requisiti esposti comporta la nullità del marchio.

Il marchio può essere registrato presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi istituito presso il Ministero dello sviluppo economico. Il marchio registrato attribuisce al titolare del marchio il diritto all’uso esclusivo dello stesso su tutto il territorio nazionale. il diritto di esclusiva (che ricorre dalla presentazione della domanda all’Ufficio brevetti) copre non solo i prodotti identici, ma anche quelli affini qualora possa determinarsi confusione per il pubblico. Non copre invece prodotti del tutto diversi, per i quali può essere registrato anche lo stesso marchio, a meno non si tratti di un marchio registrato che gode nello Stato di rinomanza (marchio celebre): in quel caso il titolare può vietare ai terzi l’uso del proprio marchio anche per prodotti non affini, quando tale uso consente di trarne indebitamente vantaggio dalla rinomanza dello stesso. La registrazione nazionale dura dieci anni ed è rinnovabile illimitatamente. Costituisce causa di decadenza del marchio la sua volgarizzazione (il marchio è divenuto nel commercio denominazione generica di quel dato prodotto). A difesa del marchio può esser promossa l’azione di contraffazione, volta ad ottenere l’inibitoria alla continuazione degli atti lesivi del proprio diritto e la rimozione degli effetti degli stessi. Anche il marchio non registrato garantisce una minime tutela: chi ne ha fatto uso ha, infatti, la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione altrui, nei limiti in cui anteriormente se n’è avvalso.

Il marchio può essere trasferito sia a titolo definitivo che a titolo temporaneo (c.d. licenza di marchio), senza che sia necessario il contemporaneo trasferimento dell’azienda. Nel caso di trasferimento temporaneo è consentita la licenza non esclusiva: il marchio viene contemporaneamente utilizzato dal titolare originario e da uno o più concessionari, con la condizione che il licenziatario si obblighi ad utilizzare il marchio per prodotti con caratteristiche uguali a quelle dei corrispondenti prodotti messi in commercio dal concedente o dagli altri. Dal trasferimento del marchio non deve derivare inganno.

L’insegna contraddistingue i locali dell’impresa. Non può essere uguale o simile a quella già utilizzata da un altro imprenditore concorrente, con conseguente obbligo di differenziazione.

VII - Il diritto d’autore si costituisce in seguito alla creazione (e non necessariamente alla divulgazione) di un’opera dell’ingegno: idee creative nel campo culturale: letterarie, musicali, teatrali, ecc.. L’unica condizione richiesta è che l’opera abbia carattere creativo. Grazie al diritto d’autore il titolare dell’opera acquisisce sia diritti morali, che consistono nel rivendicare la paternità dell’opera, decidere se pubblicarla o meno (diritto di inedito), opporsi a modificazione, ecc., e che sono diritti irrinunciabili e inalienabili, sia diritti patrimoniali, che consentono l’utilizzazione economica esclusiva dell’opera o di singole parti (es: Topolino, Pantera Rosa), e che si estinguono, in linea di principio, in settant’anni.

Il diritto di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno è liberamente trasferibile, sia fra vivi che per causa di morte. I contratti specificatamente previsti sono il contratto di edizione, con il quale l’autore concede in via esclusiva l’esercizio del diritto di pubblicare per la stampa l’opera ad un editore, il quale si obbliga a mettere in commercio l’opera e a corrispondere all’autore il compenso pattuito, e il contratto di rappresentazione, con il quale l’autore cede, di regola non in esclusiva, il solo diritto di rappresentare in pubblico l’opera. Il diritto d’autore è protetto da sanzioni civili, amministrative pecuniarie e penali.

Le invenzioni industriali* sono idee creative nel campo della tecnica che consistono nella soluzione originale di un problema suscettibile di pratica applicazione nel settore della produzione di beni e servizi. Il modo di acquisto del diritto di utilizzazione economica è la concessione del corrispondente brevetto da parte dell’Ufficio italiano brevetti e marchi. Possono formare oggetto di brevetto le invenzioni di prodotto,

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di procedimento o invenzioni derivate. Non sono considerate invenzioni, invece, ciò che già esiste in natura e l’uomo si limita a percepire (es: la scoperta dell’atomo) o una nuova teoria (es: postulato di Euclide). Perché si possa parlare di invenzioni industriali devono essere soddisfatti quattro requisiti: liceità, novità, è nuova l’invenzione che “non è compresa nello stato della tecnica”, attività invettiva, ossia “per una persona esperta nel ramo non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica, e applicabilità industriale.

L’inventore ha diritto di essere riconosciuto autore dell’invenzione, e tale diritto morale si acquista per il solo fatto dell’invenzione. Per acquisire il diritto di utilizzazione economia è necessario il conseguimento del brevetto, invenzione brevettata, concesso dall’Ufficio brevetti sulla base di una domanda corredata dalla descrizione dell’invenzione. Il brevetto per invenzioni industriali dura vent’anni, non è rinnovabile e conferisce al suo titolare la facoltà di attuare l’invenzione e trarne profitto nel territorio dello Stato. Tale diritto di esclusiva si può perdere prima della scadenza in seguito a nullità o decadenza del brevetto. Il brevetto è liberamente trasferibile indipendentemente dal trasferimento dell’azienda e può essere concesso in licenza d’uso, con o senza esclusiva. L’invenzione brevettata è tutelata con sanzioni penali e civili e a suo difesa il titolare può esercitare l’azione di contraffazione. Anche l’invenzione non brevettata gode di una minima tutela: chiunque ha fatto uso dell’invenzione nella proprio azienda, nei dodici mesi anteriori al deposito dell’altrui domanda di brevetto, può continuare a sfruttarla nei limiti del preuso.

I modelli industriali sono creazioni intellettuali applicate all’industria di minore rilievo rispetto alle invenzioni industriali. Tra questi vi sono i modelli di utilità: nuovi trovati destinati a conferire particolare funzionalità a macchine, strumenti, utensili o oggetti d’uso (es: particolare forma di attacco per gli sci). La loro tutela si fonda sulla brevettazione, che rispetto alle invenzioni industriali dura però solo dieci anni. I disegni e modelli sono invece nuove idee destinati a migliorare l’aspetto dei prodotti industriali. La relativa tutela avviene mediante registrazione (di cinque anni, rinnovabile fino a un massimo di venticinque) subordinata ai requisiti di novità e carattere individuale.

VIII - Il sistema italiano per lungo tempo si è contraddistinto per la mancanza di una normativa antimonopolistica. Questa lacuna era stata parzialmente colmata a metà degli anni cinquanta dalla diretta applicabilità nel nostro ordinamento della disciplina antitrust dettata dalla CE. Tale normativa disciplinava però solo le pratiche che potevano pregiudicare il mercato comune europeo, non quello che incidevano esclusivamente sul mercato italiano. Il vuoto è stato finalmente colmato con la legge 10-10-1990, n. 287.

L’antitrust è il complesso delle norme giuridiche che sono poste a tutela della concorrenza sui mercati economici. Principio cardine è che la libertà di iniziativa economica non può tradursi in atti e comportamenti che pregiudicano in modo rilevante e durevole la struttura concorrenziale del mercato. La legge 287/1990 ha istituito un apposito organo pubblico indipendente, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che vigila sul rispetto della normativa antimonopolistica, adotta i provvedimenti necessari e irroga le sanzioni amministrative e pecuniari previste dalla legge. Tre sono i fenomeni rilevanti per la disciplina antimonopolistica nazionale e comunitaria: le intese restrittive della concorrenza, l’abuso di posizione dominante e le concentrazioni. Le intese sono comportamenti concordati tra imprese volte a limitare la propria libertà di azione sul mercato. Non tutte sono vietate, ma solo quelle che “abbiano per oggetto o effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza”. Sono quindi lecite le intere minori. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto e chiunque può agire in giudizio per farne accertare la nullità. Il divieto di intese non ha carattere assoluto, infatti l’Autorità garante può concedere esenzioni temporanee in caso di intese che migliorino le condizioni di offerta del mercato e comportino benefici per i consumatori. Il secondo fenomeno è l’abuso di posizione dominante: ad un impresa in posizione dominante (il fatto di trovarcisi è quindi lecito) è vietato di imporre prezzi o altre

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condizioni contrattuali ingiustificatamente gravosi; impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato; applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti. Il divieto di abuso di posizione dominante non ammette eccezioni. È oggi vietato dall’ordinamento nazionale anche l’abuso di dipendenza economica nel quale si trova un’impresa cliente o fornitrice rispetto a una o più imprese anche in posizione non dominante sul mercato. Terzo ed ultimo fenomeno è costituito dalle concentrazioni tra imprese. Si ha concentrazione quando: 1due o più imprese si fondono in un’unica impresa (concentrazione giuridica); 2due o più imprese, pur restando giuridicamente distinte, diventano un’unica unità economica (concentrazione economica); 3e quando due o più imprese dipendenti costituiscono un’impresa societaria comune. Non sono di per se vietate, diventano però illecite quando diano luogo a gravi alterazioni del regime concorrenziale del mercato. È perciò prevista, per le concentrazioni che superano determinate soglie di fatturato, una comunicazione preventiva all’Autorità garante (in Italia) o alla Commissione Ce (in Europa), le quali possono certamente vietarle o autorizzarle prescrivendo misure necessarie ad impedire che provochino effetti discorsivi per la concorrenza. Sono previste pesanti sanzioni pecuniarie se la concentrazione vietata viene ugualmente eseguita.

Limitazioni della concorrenza: possono essere legali: l’interesse generale può legittimare la radicale soppressione della libertà di concorrenza attraverso la costituzione per legge di monopoli pubblici, in settori predeterminati dalla stessa Costituzione. Chi opera in regime di monopolio ha però l’obbligo di contrattare con chiunque richieda la prestazione e di rispettare la parità di trattamento fra i richiedenti; o convenzionali (art. 2596 c.c.): il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto e non può precludere al soggetto che si vincola ogni attività professionale. Può essere stipulato per massimo cinque anni. Quando ricade nel divieto di intese anticoncorrenziali o di abuso di posizione dominante sono vietati.

La concorrenza sleale è disciplinata dall’art. 2598 c.c., che individua i comportamenti che la determinano. È atto di concorrenza sleale ogni atto idoneo a creare confusione con i prodotti o con l’attività di un concorrente. Il legislatore ne individua espressamente due: l’uso di nomi o segni distintivi che creano confusione con quelli usati da un altro imprenditore concorrente, e l’imitazione servile dei prodotti altrui. La seconda categoria comprende gli atti di denigrazione e gli atti di appropriazione di pregi altrui; non costituisce concorrenza sleale, invece, la pubblicità comparativa quando è fondata su dati veri ed oggettivamente verificabili, non ingenera confusione e non comporta discredito o denigrazione del concorrente. Infine è atto di concorrenza sleale ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda . Gli atti di concorrenza sleale sono repressi e sanzionati anche se compiuti senza dolo o colpa, e anche se non hanno ancora arrecato un danno ai concorrenti (è sufficiente il danno potenziale). Tanto basta per l’inibitoria alla loro continuazione e la rimozione degli effetti prodotti. In caso di dolo o colpa il danneggiato ha anche diritto al risarcimento del danno. Legittimati ad agire contro gli atti di concorrenza sleale sono solo gli imprenditori concorrenti e le loro associazioni di categoria, non invece i consumatori, nonostante recentemente sia stato introdotta una disciplina contro tutte le pratiche commerciali scorrette nei confronti dei consumatori che prevede un controllo amministrativo da parte dell’Autorità garante, la quale, su richiesta o d’ufficio, può inibire tali atti.

IX - “Con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina e lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese” . Un consorzio può essere costituito al fine di disciplinare, limitandola, la reciproca concorrenza tra imprenditori che svolgono la stessa attività (consorzi anticoncorrenziali) o al fine di coordinare lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese (consorzi di coordinamento). La rilevante distinzione del codice civile è tra consorzi con (sola) attività interna, il cui compito si esaurisce nel regolare i reciproci rapporti e controllare che quanto convenuto

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venga rispettato, e consorzi con (anche) attività esterna, in cui le parti prevedono l’istituzione di un ufficio comune destinato a svolgere attività con i terzi nell’interesse delle imprese consorziate.

Il contratto di consorzio può essere stipulato solo fra imprenditori e deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità. Essenziale è la determinazione dell’oggetto del consorzio e degli obblighi assunti dai consorziati. È un contratto di durata e nel silenzio è valido per dieci anni (è controverso se tale regola vale anche per quelli anticoncorrenziali in deroga all’art. 2596 c.c.). Le condizioni per l’ammissione devono essere predeterminate nel contratto, il quale può sciogliersi limitatamente ad un consorziato per volontà di questi (recesso) o per decisione degli altri consorziati (esclusione). Le cause di recesso ed esclusione devono essere indicate nel contratto e vanno tenute distinte dalle cause di scioglimento dell’intero consorzio: decorso del tempo stabilito, conseguimento o impossibilità dell’oggetto, volontà unanime dei consorziati, deliberazione dei consorziati se sussiste giusta causa e altre cause previste nel contratto. L’organizzazione comune prevede la presenza di un’assemblea, composta da tutti i consorziati, che delibera a maggioranza a meno che non si tratti di una delibera che modifichi il contratto (in quel caso unanimità) e le cui delibere possono essere impugnate dai consorziati assenti o dissenzienti, se non prese in conformità della legge o del contratto, entro trenta giorni davanti all’autorità giudiziaria, e di un organo direttivo, la cui funzione tipica è, nei consorzi ad attività interna, quella di controllare l’attività dei consorziati.

Per i consorzi ad attività esterna è previsto un regime di pubblicità legale (deposito entro trenta giorni), e l’ufficio direttivo deve indicare le persone cui è attribuita la presidenza, la direzione e la rappresentanza del consorzio. Per gli stessi è poi espressamente prevista la formazione di un fondo consortile: fondo patrimoniale autonomo destinato a garantire il soddisfacimento dei soli creditori del consorzio. Sono distinte le obbligazioni assunte in nome del consorzio dai suoi rappresentanti, per le quali risponde esclusivamente il consorzio con il fondo consortile, e le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati, per le quali rispondono solidalmente il consorzio e i singoli consorziati.

Netta è la differenza tra consorzi ad attività interna e società, in quanto ai primi manca l’esercizio in comune di un’attività economica da parte dei consorziati. Meno evidente è quella tra società e consorzi ad attività esterna e va ricercata nello scopo perseguito: scopo consortile è quello di produrre beni o servizi necessari alle imprese consorziate e destinati, di regola, ad essere assorbiti dalle stesse senza il conseguimento di utili da parte del consorzio, cioè ottenere un vantaggio patrimoniale diretto sotto forma di minori costi o di maggiori ricavi conseguiti (completamente diverso dalle società con scopo lucrativo, simile alle società con scopo mutualistico nelle quali si tende a procurare un vantaggio patrimoniale diretto sotto forma di un risparmio di spesa o di un maggior guadagno, ma nello scopo consortile il vantaggio <<mutualistico>> è specifico e tipico: riduzione dei costi di produzione o aumento dei ricavi delle rispettive imprese). Con la riforma del 1997 è stato consentito anche alle società di perseguire lo scopo consortile.

Funzione identica a quella dei consorzi di coordinamento con attività esterna può essere realizzata in campo transnazionale con la costituzione di un Gruppo Europeo di interesse economico (Geie): istituto giuridico predisposto dall’UE per favorire la cooperazione tra imprese appartenenti a diversi Stati membri. Non è necessario che si tratti solo di imprenditori e può essere costituito anche da liberi professionisti. Il contratto deve essere redatto per iscritto a pena di nullità e con l’iscrizione il gruppo acquista la capacità di essere titolare di diritti e obbligazioni, ma non la personalità giuridica. Sono previsti due organi: l’assemblea, che può adottare qualsiasi decisione (per le più importanti è richiesta l’unanimità), e un organo amministrativo, al quale spetta esclusivamente la rappresentanza del gruppo. Il Geie deve tenere le scritture contabili previste per gli imprenditori (anche se non esercita attività commerciale). Diversamente dalla disciplina italiana, per le obbligazioni di qualsiasi tipo rispondono solidalmente ed illimitatamente sia il

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gruppo che i membri, anche se la responsabilità di quest’ultimi è sussidiaria. Salvo patto contrario, opponibile solo se pubblicato, i nuovi membri rispondono anche delle obbligazioni anteriori al loro ingresso. I membri che cessano di far parte del consorzio continuano a rispondere delle obbligazioni anteriori.

X - Le società sono organizzazioni di persone e di mezzi create dall’autonomia privata per l’esercizio in comune di un’attività produttiva. Società semplice, società in nome collettivo e società in accomandita semplice sono definite società di persone. Società per azioni, società in accomandita semplice e società a responsabilità limitata sono definite società di capitali.

“Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili” (art. 2247 c.c.). I conferimenti sono le prestazioni cui le parti del contratto di società si obbligano. La loro funzione è quella di dotare la società del capitale di rischio iniziale. È essenziale che tutti i soci si obblighino ad eseguire un apporto a titolo di conferimento. Il patrimonio sociale è il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo alla società, è accertato periodicamente attraverso il bilancio e costituisce la garanzia principale dei creditori della società. La differenza positiva tra attività e passività si definisce patrimonio netto. Il capitale sociale nominale è una cifra che esprime il valore in denaro dei conferimenti quale risulta dall’atto costitutivo della società. Rimane immutato nel corso della vita della società a meno che, con modifica dell’atto costitutivo, non se ne decide l’aumento o la riduzione. L’oggetto sociale è, invece, la specifica attività economica (produttiva: attività d’impresa) che i soci si propongono di svolgere, deve essere predeterminata nell’atto costitutivo e può essere cambiata solo con una modificazione dello stesso. Come visto in precedenza l’attività dei professionisti è attività economica, ma non è legislativamente considerata attività d’impresa. Per lunghi anni si è discusso in giurisprudenza sull’ammissibilità di costituire una società di professionisti, in quanto la definizione di società parla di “attività economica” e non di attività di impresa. Fino ad oggi però è prevalsa una soluzione negativa, soprattutto in quanto il carattere personale della prestazione mal si concilia con l’esercizio della professione da parte di un ente impersonale quale è una società. In seguito a diverse sollecitazioni sulla materia però si è affidato ad un regolamento governativo il compito di fissare la disciplina delle società di professionisti. Tale regolamento non è stato ancora emanato, ma sulla materia ci sono stati interventi parziali. Nel 2001 è stata ammessa la costituzione di società tra avvocati, che ha per oggetto l’esercizio in comune dell’attività di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio svolta dai proprio soci. È regolata dalle norme della società in nome collettivo , è iscritta in un sezione speciale del registro delle imprese e, in quanto non svolge attività commerciale, non è soggetta al fallimento. Tutti i soci devono essere avvocati e non possono partecipare ad altra società d’avvocati. In rispetto della personalità della prestazione e della diretta responsabilità del professionista nei confronti del cliente, l’amministrazione non può essere affidata a terzi e il cliente ha diritto di chiedere che l’incarico sia affidato ad un socio da lui scelto. In mancanza è la società che comunica al cliente il socio incaricato, prima dell’inizio dell’esecuzione del mandato. Fermo restando la disciplina delle società in nome collettivo per le obbligazioni sociali non derivanti dall’attività professionale, solo il socio incaricato è responsabile personalmente e illimitatamente per l’attività per l’attività professionale svolta. Con essi risponde la società con il proprio patrimonio. Qualora la società ometta di comunicare il socio incaricato prima dell’esecuzione del mandato sono responsabili personalmente e illimitatamente tutti i soci. Nel 2006 è stata inoltre consentita la società di servizi professionali interdisciplinari da parte di una società di persone oppure di associazione tra i professionisti (es: medesima società offre congiuntamente ai clienti consulenza legale e attività fiscale. Ultimo elemento caratterizzante le società è lo scopo. Una società può perseguire uno scopo lucrativo: l’attività d’impresa viene svolta per conseguire utili (lucro oggettivo), destinati ad essere successivamente divisi fra i soci (lucro soggettivo). Altra possibilità è lo scopo mutualistico: fornire direttamente ai soci beni, servizi od occasioni di lavoro a condizioni più vantaggiose di quelle che si otterrebbero dal mercato. È lo

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scopo istituzionale delle società cooperative e consiste nel procurare ai soci un vantaggio patrimoniale diretto, che potrà consistere in un risparmio di spesa o in una maggiore remunerazione del lavoro prestato dai socie alla cooperativa. Per completare il quadro va ricordato lo scopo consortile, sopra citato.

La società semplice è utilizzabile solo per l’esercizio di attività non commerciale. Tutte le altre società lucrative possono esercitare sia attività commerciale, sia attività non commerciale. Solo le società di capitali e le società cooperative hanno personalità giuridica: sono soggetti di diritto formalmente distinti dalle persone dei soci e godono di una piena e perfetta autonomia patrimoniale. Come conseguenza è prevista per le società di capitali legislativamente e inderogabilmente (salvo che per la s.r.l.) un’organizzazione di tipo corporativo, in cui il funzionamento degli organi sociali è dominato dal principio maggioritario. Il socio non ha alcun potere diretto di amministrazione e controllo, ma solo il diritto di concorrere con il voto in assemblea alla nomina dei membri dell’organo amministrativo e/o di controllo. La partecipazione sociale è, di regola, trasferibile. Nelle società di persone (prive di personalità giuridica), invece, non è prevista un’organizzazione di tipo corporativo: ogni socio a responsabilità illimitata ha il potere di amministrare la società ed è richiesto il consenso di tutti soci per le modifiche dell’atto costitutivo. Il consenso degli altri soci è necessario anche per il trasferimento della partecipazione sociale. Anche se il legislatore gli nega la personalità giuridica, il loro patrimonio è autonomo, in quanto i creditori personali dei soci non possono aggredire il patrimonio della società per soddisfarsi (con una parziale deroga nella società semplice), ne i creditori della società possono aggredire direttamente quello personale dei soci illimitatamente responsabili. Chi costituisce una società può liberamente scegliere tra tutti i tipi di società previsti, esclusa la società semplice nel caso in cui l’attività è commerciale. La scelta non è tuttavia essenziale: in mancanza se l’attività non è commerciale si applica la disciplina delle società semplice, se l’attività è commerciale quella della società in nome collettivo; sono questi i regimi residuali dell’attività societaria. Scelto un tipo di società le parti possono, con apposite clausole contrattuali, disegnare un assetto organizzativo parzialmente diverso da quello della disciplina legale. Tali clausole, definite atipiche, devono risultare dall’atto costitutivo e non possono contrastare con la disciplina del tipo di società prescelto. È infatti vietata la creazione di una società del tutto inconsueta e stravagante, che non corrisponde ai modelli legali.

XI - La società semplice è un tipo di società che può esercitare solo attività non commerciale. La società in nome collettivo può essere utilizzata sia per l’esercizio di attività commerciale, sia per l’esercizio di attività non commerciale; tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali e non è ammesso patto contrario. Il contratto di società semplice non è soggetto a forme speciali, salvo quelle richieste dalla natura dei beni conferiti (necessaria, per esempio, la forma scritta a pena di nullità per il conferimento di beni immobili, nullità che varrà solo nei confronti della partecipazione del socio conferente e non sulla società, a meno che la partecipazione del socio non sia essenziale) e, diversamente da quanto previsto dal codice del 1942, è prevista la sua iscrizione, con effetto di pubblicità legale, nel registro delle imprese. Per le società in nome collettivo, invece, l’iscrizione del contratto è condizione di regolarità della società: in mancanza si avrà una società in nome collettivo irregolare dove i rapporti fra società e terzi saranno regolati sotto alcuni aspetti dalla disciplina (per i soci meno favorevoli) della società semplice. Solo ai fini della registrazione e della regolarità, perciò, l’atto costitutivo della società in nome collettivo deve essere redatto per atto scritto o scrittura privata autenticata. Per la costituzione di una società di persone non è necessario l’atto scritto e il contratto si può perfezionare anche per fatti concludenti: si parla di società di fatto, che è esposta comunque al fallimento qualora esercita attività commerciale, fallimento che sarà determinato automaticamente anche per i soci della società, sia noti che occulti (la cui esistenza viene scoperta successivamente). Dalla società con soci occulti va tenuto distinto il fenomeno della società occulta: costituita con l’espressa volontà dei soci di non rivelarne l’esistenza all’esterno. Scopo delle parti è quello di limitare la responsabilità nei confronti dei terzi al patrimonio del solo gestore, con la conseguenza

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che soci e società non risponderanno delle obbligazioni e non saranno esposti al fallimento. Questi obiettivi, di per sé leciti e conseguibili con gli strumenti previsti dall’ordinamento, con la società occulta vogliono essere perseguiti segretamente e pertanto al di fuori di ogni regola e controllo. La nuova legge fallimentare dispone che, qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l’impresa è riferibile a una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile, si applica agli altri soci illimitatamente responsabili la regola del fallimento del socio occulto. Nel caso di società occulta l’attività non è svolta in nome della società e gli atti d’impresa non sarebbero ad essa formalmente imputabili, quindi il suo fallimento va considerato norma eccezionale.

Con la costituzione della società il socio si obbliga ad effettuare i conferimenti determinati nel contratto sociale; quando non sono determinati si presume che i soci sono obbligati a conferire in parti uguali quanto è necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale. Nessuna limitazione è posta per quanto riguarda le entità conferibili; per conferimenti di beni in proprietà, garanzie e rischi sono regolati dalle norme sulla vendita; per i conferimenti di beni in godimento il rischio resta a carico del socio, che potrà essere escluso qualora la cosa perisca o il godimento diventi impossibile per causa non imputabile agli amministratori; per il conferimento di crediti il socio risponde dell’insolvenza del debitore ceduto. È infine costituibile come conferimento la propria attività lavorativa a favore della società (socio d’opera).

I conferimenti dei soci formano il patrimonio sociale iniziale, del quale i soci non possono servirsi per fini estranei a quello della società, e la violazione del divieto espone al risarcimento dei danni e all’esclusione della società. Il divieto è derogabile col consenso di tutti i soci. Nella società semplice è assente una disciplina del capitale sociale, dettata invece per la s.n.c. nella quale è previsto che l’atto costitutivo debba indicare non solo i conferimenti, ma anche il valore ad essi attribuito e il modo di valutazione (rimessa alla libertà delle parti). È poi vietata sia la ripartizione fra i soci di utili non realmente conseguiti (utili fittizi), sia il rimborso o la liberazione di conferimenti dovuti, a meno che ci sia una riduzione del capitale sociale, la quale, se disposta, dà ai creditori sociali il diritto di opporsi. Nonostante l’opposizione il tribunale può disporre la riduzione previa idonea garanzia della società.

Tutti i soci partecipano agli utili e alle perdite. È massima l’autonomia privata, con il solo divieto di patto leonino: esclusione di uno o più soci da ogni partecipazione agli utili o alle perdite. Nel caso il contratto nulla disponga trovano applicazione i criteri legali: le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si presumono proporzionali ai conferimenti; se il valore dei conferimenti non è stato determinato si presumono uguali; se è determinata solo la parte di ciascuno nei guadagni si presume uguale la partecipazione alle perdite, e viceversa. Infine la parte spettante al socio d’opera, se non è determinata, è fissata dal giudice secondo equità. Nella società semplice il socio ha diritto agli utili dal momento in cui è approvato il rendiconto, nella s.n.c. invece si ha un vero e proprio bilancio. Solo all’atto dello scioglimento i liquidatori possono chiedere ai soci illimitatamente responsabili le somme necessarie per il pagamento dei debiti sociali, in proporzione della parte di ciascuno nelle perdite.

Nella società semplice la responsabilità personale di tutti i soci per le obbligazioni può esser esclusa o limitata per i soci non investiti del potere di rappresentanza, in un apposito patto sociale opponibile ai terzi solo se portato loro a conoscenza. Nella s.n.c. è invece principio inderogabile, e l’eventuale patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi. Chi entra a far parte di una società risponde per le obbligazioni anteriori. L’ex socio continua ad essere responsabile per le obbligazioni anteriori allo scioglimento del rapporto, che deve esser portato a conoscenza dei terzi altrimenti non è opponibile. I soci sono responsabili in solido fra loro, ma in via sussidiaria rispetto alla società in quanto godono del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale: nella società semplice e nella s.n.c. irregolare il creditore può rivolgersi

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direttamente al singolo socio al quale spetterà invocare la preventiva escussione indicando i beni sui quali il creditore può soddisfarsi (escussione eccezionale); nella s.n.c. regolare, invece, i creditori non possono pretendere il pagamento dei singoli soci se non dopo l’escussione del patrimonio sociale (escussione automatica). Il creditore personale del socio non può aggredire direttamente il patrimonio sociale; può però far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al socio suo debitore e compiere atti conservativi sulla quota allo stesso spettante nella liquidazione. Nella società semplice e nella s.n.c. irregolare, ma non nella s.n.c. regolare (a meno che la durata della società non sia prorogata), può chiedere la liquidazione della quota del debitore provando che “gli altri beni del debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti”.

L’amministrazione della società è l’attività di gestione dell’impresa. Ogni socio illimitatamente responsabile è amministratore della società, salvo che l’atto costitutivo la riservi solo ad alcuni soci. Se il contratto nulla dispone, trova applicazione l’amministrazione disgiuntiva: ciascun socio amministratore può intraprendere da solo tutte le operazioni che rientrano nell’oggetto sociale, salvo il diritto di opposizione riconosciuto agli altri soci amministratori. Sull’opposizione decide la maggioranza dei soci (amministratori e non) determinata secondo la parte negli utili. L’amministrazione congiuntiva invece deve essere espressamente convenuta nell’atto costitutivo e prevede il consenso di tutti i soci amministratori (o la maggioranza, se stabilito) per il compimento delle operazioni sociali; i singoli amministratori possono però agire individualmente quando vi sia urgenza. Fra i poteri degli amministratori vi è la rappresentanza: potere di agire nei confronti dei terzi in nome della società. In mancanza di diversa disposizione spetta a ciascun socio amministratore disgiuntamente o congiuntamente a seconda dell’amministrazione. Nelle s.n.c. le limitazioni del potere di rappresentanza non sono opponibili senza l’iscrizione nel registro delle imprese; nelle s.n.c. irregolari se non si provi che i terzi ne erano a conoscenza. Nelle società semplici invece sono sempre opponibili. I soci amministratori possono essere nominati nell’atto costitutivo (revocabili solo con modifica e solo per giusta causa) o per atto separato (revocabili anche senza motivo, salvo il risarcimento danni). L’amministratore è investito per legge di compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, ordinari e straordinari. Non possono compiere solo gli atti che comportano una modificazione del contratto sociale; devono tenere le scritture contabili, redigere il bilancio e provvedere agli adempimenti pubblicitari. Dei numerosi obblighi sono solidalmente responsabili verso la società; tale responsabilità non si estende a coloro che dimostrino di essere esenti da colpa. Ai soci non amministratori sono riconosciuti ampi poteri di informazione e controllo. Nella s.n.c. incombe su tutti i soci (amministratori e non) il divieto di concorrenza: non possono esercitare per conto proprio o altrui un’attività concorrente con quella della società e non possono partecipare come socio illimitatamente responsabile ad altra società concorrente. La violazione comporta il risarcimento dei danni e legittima l’esclusione. Il divieto può essere rimosso.

Se non è convenuto diversamente, le modificazioni dell’atto costitutivo avvengono con il consenso di tutti i soci, necessario anche per il trasferimento della quota sociale sia tra vivi che a causa di morte. L’atto costitutivo può però prevedere la libera trasferibilità tra vivi e/o la continuazione con gli eredi del socio defunto. Le modificazioni sono soggette a pubblicità legale. Lo scioglimento del singolo rapporto sociale in nessun caso determina lo scioglimento della società; se viene meno la pluralità dei soci però, questa deve esser ricostituita entro sei mesi. Il singolo socio può cessare per morte: i soci devono liquidare entro sei mesi la quota agli eredi, a meno che non decidano lo scioglimento anticipato della società (gli eredi partecipano alla liquidazione) o la continuazione con gli eredi del defunto (è necessario il loro consenso); per recesso: se la società è a tempo indeterminato ogni socio può recedere liberamente dando un preavviso di tre mesi, se è a tempo determinato è ammesso solo se sussiste giusta causa; o per esclusione: di diritto se il socio è dichiarato fallito o il suo creditore particolare ha ottenuto la liquidazione della quota; facoltativa in caso di gravi inadempienze degli obblighi derivanti da legge o contratto sociale, interdizione, inabilitazione o condanna che comporti interdizione dai pubblici uffici e nei casi di sopravvenuta

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impossibilità di conferimento per causa non imputabile al socio. L’esclusione è deliberata a maggioranza dei soci calcolata per teste, non computandosi il socio da escludere, il quale entro trenta giorni può opporsi davanti al tribunale. In tutti i casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente ad un solo socio, questi, entro sei mesi, “ha diritto soltanto a una somma di denaro che rappresenti il valore della quota”.

Le cause di scioglimento della società sono: 1decorso del termine; 2conseguimento o sopravvenuta impossibilità dell’oggetto sociale; 3la volontà di tutti i soci; 4il venir meno della pluralità dei soci non ricostituita entro sei mesi; 5altre cause previste dal contratto. Verificatasi una delle cause la società entra automaticamente in stato di liquidazione (nelle s.n.c. tale stato deve essere indicato negli atti e nella corrispondenza). L’ulteriore attività degli amministratori deve limitarsi al compimento degli “affari urgenti”. La liquidazione inizia con la nomina di uno o più liquidatori, che richiede il consenso di tutti i soci e in caso di disaccordo la nomina da parte del tribunale. I liquidatori, revocabili per giusta causa, prendono il posto degli amministratori, e con loro redigono il bilancio di apertura della liquidazione per fissare le eventuali responsabilità. I liquidatori possono compiere tutti “gli atti necessari per la liquidazione”. Non possono né intraprendere nuove operazioni, e se violano tale divieto rispondono personalmente e solidamente per gli affari intrapresi nei confronti dei terzi; né ripartire fra i soci i beni sociali finchè i creditori sociali non siano stati pagati o le somme necessarie accantonate. Estinti tutti i debiti inizia la ripartizione dell’attivo patrimoniale residuo convertito in denaro, se non è stata convenuta la ripartizione dei beni in natura. Nessuna regola è prevista per la società semplice. Nella s.n.c. invece i liquidatori devono redigere il bilancio finale di liquidazione e il piano di riparto. Con l’approvazione del bilancio i liquidatori sono liberati di fronte ai soci e la liquidazione ha termine e i creditori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese, che può anche essere disposto d’ufficio. Con la cancellazione la società si estingue, quand’anche non tutti i creditori sociali siano stati soddisfatti. I creditori insoddisfatti possono agire sia nei confronti dei soci,che restano personalmente e illimitatamente obbligati per le obbligazioni sociali insoddisfatte; sia nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è imputabile loro colpa o dolo. I creditori della s.n.c. possono inoltre chiedere il fallimento della società entro un anno dalla cancellazione.

XII - La società in accomandita semplice si differenzia per la presenza di due categorie di soci: i soci accomandatari, che rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali, e i soci accomandanti, che rispondono limitatamente alla quota conferita. L’amministrazione della società compete esclusivamente agli accomandatari. L’atto costitutivo deve indicare quali siano gli accomandanti e quali gli accomandatari e la ragione sociale deve essere formata col nome di almeno uno degli accomandatari. Non può essere inserito il nome di un socio accomandante: in caso di violazione del divieto l’accomandante che consente che il suo nome sia compreso nella ragione sociale risponde solidamente e illimitatamente con gli accomandatari per tutte le obbligazioni sociali, senza però diventare amministratore. Gli accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società (divieto di immistione), se non in forza di procura speciale per singoli affari. L’accomandante che viola il divieto di immistione risponde di fronte ai terzi illimitatamente e solidalmente per tutte le obbligazioni sociali (e in caso di fallimento della società anche’egli sarà dichiarato fallito al pari degli accomandatari) ed è esposto all’esclusione dalla società. Per la nomina e la revoca degli amministratori è necessario il consenso di tutti i soci accomandatari e l’approvazione di tanti soci accomandanti che rappresentano la maggioranza del capitale da essi sottoscritto. In quanto esclusi dall’amministrazione, gli accomandanti non sono tenuti a restituire gli utili fittizi eventualmente riscossi, purchè in buona fede e risultanti da un bilancio regolarmente approvato. Il trasferimento per atto fra vivi della quota degli accomandatari può avvenire solo con il consenso di tutti i soci (accomandanti e accomandatari), la quota degli accomandanti è invece liberamente trasferibile per causa di morte, per atto fra vivi è necessario invece il consenso della maggioranza del capitale sociale. Oltre alle cause di scioglimento previste per la s.n.c., la società in

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accomandita semplice si scioglie quando rimangono solo soci accomandatari o accomandanti se nell’arco di sei mesi non sia stato sostituito il socio che è venuto meno. Se sono venuti meno gli accomandatari, gli accomandanti devono nominare un amministratore provvisorio, i cui poteri per legge sono limitati agli atti di ordinaria amministrazione. Cancellata la società dal registro delle imprese, i creditori insoddisfatti potranno far valere i loro crediti nei confronti degli accomandanti solo nei limiti di quanto da essi ricevuto a titolo di quota di liquidazione. È accomandita semplice irregolare la società che non ha iscritto l’atto costitutivo, e nella stessa i soci accomandanti rispondono limitatamente alla loro quota, salvo che abbiano partecipato alle operazioni sociali (neppure il rilascio di una procura speciale per singoli affari li esonera).

XIII - La società per azioni è una società di capitali nella quale la partecipazione sociale è rappresentata da azioni e per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società col suo patrimonio. È dotata di personalità giuridica, per legge è trattata come soggetto di diritto distinto dalle persone dei soci e gode perciò di una piena e perfetta autonomia patrimoniale, per le obbligazioni sociali vi è una responsabilità limitata dei soci che trova un contrappeso nell’organizzazione di tipo corporativo. Ultimo dato caratterizzante sono le azioni: partecipazioni-tipo omogenee e standardizzate di uguale valore e che conferiscono uguali diritti. Le azioni non solo sono liberamente trasferibili, ma soprattutto circolano attraverso documenti assoggettato alla disciplina dei titoli di credito. È così favorito il pronto smobilizzo del capitale investito e il ricambio delle persone dei soci. La costituzione della s.p.a. si articola in due fai essenziali: la stipulazione dell’atto costitutivo e la sua iscrizione nel registro delle imprese. L’atto costitutivo può essere stipulato immediatamente dai soci fondatori che contestualmente provvedono all’integrale sottoscrizione del capitale sociale iniziale (costituzione simultanea) , o al termine di un complesso procedimento che consente la raccolta fra il pubblico del capitale iniziale sulla base di un programma predisposto dai soci promotori (costituzione per pubblica sottoscrizione). Può essere stipulato per contratto o per atto unilaterale, ma deve sempre essere redatto per atto pubblico a pena di nullità. Deve indicare: 1la generalità dei soci e il numero delle azioni a ciascuno di essi assegnate; 2la denominazione sociale,che non può essere uguale o simile a quella già adottata da altra società concorrente, quando ciò possa creare confusione; 3il comune dove ha sede la società; 4l’oggetto sociale; 5l’ammontare del capitale sottoscritto e versato; 6numero, valore nominale e caratteristiche delle azioni; 7la valutazione di beni in natura e crediti; 8le norme di ripartizione degli utili; 9il sistema di amministrazione adottato e quali amministratori hanno la rappresentanza della società; 10il numero dei sindaci; 11la nomina dei primi amministratori e sindaci; 12la durata della società. L’omissione di uno di tali requisiti legittima il notaio a rifiutarne la stipulazione. Sovente si preferisce redigere insieme all’atto costitutivo lo statuto (che comunque si considera parte integrante dell’atto costitutivo e di conseguenza deve essere redatto per atto pubblico a pena di nullità), inserendo in quest’ultimo le regole di funzionamento della società. La s.p.a. deve costituirsi con un capitale non inferiore a centoventimila euro, il quale deve essere sottoscritto per intero con versamento del venticinque per cento dei conferimenti in denaro o, nel caso di costituzione per atto unilaterale, dell’intero ammontare. I conferimenti devono essere versati prima della stipula dell’atto costitutivo e restano vincolati verso la banca fino al completamento del procedimento di costituzione; possono infatti essere consegnati solo agli amministratori che provino l’avvenuta iscrizione della società nel registro delle imprese e se entro novanta giorni la società non è iscritta, l’atto costitutivo perde efficacia e i sottoscrittori hanno diritto di rientrare in possesso delle somme versate. Con l’iscrizione nel registro delle imprese la s.p.a. acquista la personalità giuridica. È il notaio che ha ricevuto l’atto costitutivo che deve depositarlo, entro venti giorni, presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede della società. Se il notaio non provvede l’obbligo incombe sugli amministratori; nell’inerzia di entrambi ogni socio può provvedervi a spese della società. È stato soppresso il giudizio di omologazione da parte del tribunale competente, che rimane però facoltativo nel caso di modifiche dell’atto costitutivo. È al notaio che spetta il controllo

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dell’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge per la costituzione, mentre l’ufficio del registro verifica solo la regolarità formale della documentazione. Per le operazioni compiute prima dell’iscrizione in nome della costituenda società sono responsabili illimitatamente e solidalmente verso i terzi i soggetti agenti. Inoltre, solidalmente con loro, sono responsabili l’unico socio fondatore, o, in caso di più soci fondatori, quelli che hanno deciso, autorizzato o consentito il compimento delle operazioni. Perfezionatasi la costituzione, la società resta automaticamente vincolata solo per le operazioni necessarie per la costituzione, ma può decidere di accollarsi le altre. L’accollo non fa venir meno la responsabilità verso i terzi dei soggetti agenti. Prima dell’iscrizione è vietata l’emissione di azioni ed esse non possono formare oggetto di offerta al pubblico. Prima della registrazione c’è solo un contratto di società, annullabile nei casi previsti dalla disciplina del contratto. Intervenuta l’iscrizione, invece, la nullità della s.p.a. è dichiarabile solo in tre casi: 1mancata stipulazione dell’atto costitutivo con atto pubblico; 2illiceità dell’oggetto sociale; 3mancanza nell’atto costitutivo di ogni indicazione riguardante denominazione, conferimenti, ammontare del capitale sociale o oggetto sociale. Mentre la nullità di un contratto ha effetto retroattivo, quella della s.p.a. non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l’iscrizione nel registro delle imprese; conseguentemente i soci non sono liberati dall’obbligo di conferimento fino alla soddisfazione dei creditori. Quindi, la nullità opera come semplice causa di scioglimento. Infine, mentre la nullità del contratto è insanabile, quella della società iscritta “non può essere dichiarata quando la causa è stata eliminata e di tale eliminazione ne sia stata data pubblicità con iscrizione nel registro delle imprese”. Chiunque può farla valere ed è imprescrittibile. Oggi è consentita la costituzione di una s.p.a. unipersonale: con atto unilaterale di un unico socio fondatore, che risponde in solido con i soggetti agenti per le operazioni compiute in nome della società prima dell’iscrizione. L’unico socio è tenuto a versare integralmente , al momento della sottoscrizione, i conferimenti in denaro. La s.p.a. unipersonale deve indicare negli atti e nella corrispondenza che ha un unico socio, e i suoi dati anagrafici vanno iscritti nel registro delle imprese. Anche nella s.p.a. unipersonale per le obbligazioni sociali risponde la società con il proprio patrimonio, salvo due eccezioni nelle quali l’unico socio incorre in responsabilità illimitata: quando non sia osservata la disciplina di liberazione integrale dei conferimenti; e fino a quando non è attuata la specifica pubblicità dettata. Infine, i rapporti fra società e unico socio sono opponibili ai creditori della società solo se risultano dal libro della adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento.

La s.p.a. può costituire uno o più patrimoni destinati in via esclusiva a uno specifico affare, sia pure nei limiti del dieci per cento del proprio patrimonio netto. La costituzione di un patrimonio destinato avviene con apposita deliberazione dell’organo amministrativo a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Diventa produttiva di effetti dopo sessanta giorni dall’iscrizione, entro cui i creditori sociali anteriori possono opporsi. Decorso tale termine si ha la separazione patrimoniale: i creditori della società non possono far valere i loro diritti sul patrimonio destinato, e viceversa. Resta salva la responsabilità illimitata della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito. Gli atti compiuti in relazione dello specifico affare devono menzionare il vincolo di destinazione, altrimenti risponde la società. Realizzato o divenuto impossibile l’affare gli amministratori redigono un rendiconto finale; se permangono creditori insoddisfatti entro novanta giorni possono chiedere la liquidazione del patrimonio destinato. Altro tipo è la stipulazione con terzi di un contratto di finanziamento destinato a uno specifico affare: il patrimonio destinato è formato dai proventi dell’affare, che saranno destinati al rimborso del finanziamento. Solo il patrimonio separato risponde delle obbligazioni nei confronti del finanziatore, salvo la società non presti garanzia.

I conferimenti devono essere effettuati in denaro, se l’atto costitutivo non stabilisce diversamente. È disposto l’obbligo di versarne il venticinque per cento presso una banca per garantire la costituzione della società. Costituita la società, in ogni momento gli amministratori possono chiedere i conferimenti ancora

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dovuti. In caso di trasferimento di azioni non liberate l’obbligo di versamento grava sia sull’acquirente che sull’alienante, ma su quest’ultimo solo sussidiariamente e solo per tre anni dall’iscrizione del trasferimento nel libro dei soci. Il socio in mora nei versamenti non può esercitare il diritto di voto. Inoltre la società può vendere coattivamente le sue azioni: è tenuta innanzitutto ad offrirle agli altri soci, in proporzione della loro partecipazione e per un corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti; in mancanza di offerte può far vendere le azione a mezzo di una banca o di un intermediario autorizzato; se la vendita coattiva non ha esito, gli amministratori possono dichiarare decaduto il socio, trattenendo i conferimenti già versati e salvo il risarcimento di maggiori danni; le azioni del socio escluso entrano a far parte del patrimonio della società, che può rimetterle in circolazione entro l’esercizio; svanita anche questa possibilità vanno annullate, e il capitale sociale ridotto. Sono possibili conferimenti diversi dal denaro, escluse le prestazioni di opere e servizi. Le azioni corrispondenti a conferimenti di beni in natura e i di crediti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione. Chi conferisce tali beni deve presentare una relazione giurata di stima di un esperto designato dal tribunale. Entro centottanta giorni dalla costituzione, gli amministratori devono controllare tale valutazione e, se sussistono fondati motivi, operano una revisione della stima, durante la quale le azioni corrispondenti sono inalienabili e devono restare depositate presso la sede della società. Se dalla revisione risulta che il valore di beni o crediti conferiti sia inferiore di oltre un quinto rispetto a quello per cui avvenne il conferimento, la società deve ridurre il capitale sociale e annullare le azioni, salvo la possibilità per il socio di versare la differenza in denaro o recedere dalla società. Oltre l’obbligo di conferimenti lo statuto può prevedere l’obbligo dei soci di eseguire prestazioni accessorie, non consistenti in denaro, determinandone contenuto, durata, modalità e compenso. Le azioni con prestazioni accessorie devono essere nominative e non sono trasferibili senza il consenso degli amministratori; tali obblighi possono essere modificati solo con il consenso di tutti i soci.

XIV - Le azioni sono le quote di partecipazione dei soci nella società per azioni. La singola azione è indivisibile, e qualora più soggetti diventino titolari di un’unica azione devono nominare un rappresentante comune. Le azioni sono tutte di uguale valore ed è consentito emetterle sia con valore nominale (la parte del capitale da ciascuna rappresentata espressa in cifra monetaria), che va specificato nello statuto ed è insensibile, come il capitale sociale, alle vicende patrimoniali della società ed è modificabile solo con una modifica dell’atto costitutivo, sia senza valore nominale (la parte del capitale è espressa in percentuale del numero complessivo delle azioni emesse). Non è consentito emetterle contemporaneamente con e senza valore nominale. In nessun caso il valore di emissione (valore complessivo dei conferimenti) può essere inferiore all’ammontare globale del capitale sociale. È invece possibile emettere azioni per somma superiore al valore nominale (emissione con sovrapprezzo), anzi obbligatoria quando venga escluso o limitato il diritto di opzione degli azionisti sulle azioni di nuova emissione ed il valore reale (si ottiene dividendo il patrimonio netto della società per il numero di azioni, e quindi sensibile alle vicende patrimoniali della società) delle azioni sia superiore a quello nominale. Le azioni conferiscono ai loro possessori uguali diritti; si tratta di un uguaglianza non soggettiva in quanto la posizione di potere nella società di chi è titolare di una sola azione è diversa da quella di chi ne possiede mille. “Chi ha più conferito e più rischia ha più potere e può imporre, nel rispetto della legalità, la propria volontà alla minoranza”, è questo il principio cardine delle società di capitali. È inoltre un’uguaglianza relativa in quanto è possibile creare categorie speciali di azioni fornite di diritti diversi, con lo statuto o con successiva modificazione dello stesso. Le deliberazioni dell’assemblea generale che pregiudicano i diritti di una di esse devono essere approvate anche dall’assemblea speciale della categoria interessata. Nella loro creazione la società gode di ampia autonomia, anche se è posto il divieto di emettere azioni a voto plurimo. È possibile l’emissione di azioni senza voto, a voto limitato e a voto condizionato, ma non possono superare complessivamente la metà del capitale sociale. Specifica considerazione meritano le azioni di risparmio: sono azioni speciali del

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tutto prive del diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie (di esse non si tiene quindi conto per i quorum costitutivi e deliberativi), ma sono necessariamente dotate di privilegi di natura patrimoniale, determinati nell’atto costitutivo. Possono essere emesse solo da società le cui azioni ordinarie sono quotate, e , a differenza delle altre azioni, anche al portatore. Non possono superare, in concorso con le azioni a voto limitato, la metà del capitale sociale. La loro disciplina prevede un’organizzazione di gruppo che si articola nell’assemblea, che delibera sugli oggetti di interessi comune e in particolare sulle deliberazioni dell’assemblea della società che pregiudichino i diritti degli azionisti di risparmio, e nel rappresentante comune, nominato dall’assemblea di categoria, che esegue le delibere dell’assemblea e tutela gli interessi comuni degli azionisti, e al quale è riconosciuto il diritto di intervento nell’assemblea della società (vietato per gli azionisti di risparmio) e di impugnarne le deliberazioni. Il codice consente anche l’assegnazione di azioni a favore dei prestatori di lavoro: l’assemblea straordinaria delibera l’assegnazione di utili, che sono imputati al capitale e, per l’importo corrispondente, la società emette speciali categorie di azioni che vengono assegnate gratuitamente ai prestatori di lavoro. Sempre con delibera assembleare straordinaria, la società può assegnare ai propri dipendenti o a quelli di società controllate strumenti finanziari partecipativi che, a differenza delle azioni, non sono parti del capitale sociale pur incrementando il patrimonio della società. Non possono essere forniti di diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti. A loro può essere però riservato il voto su specifiche materie.

La circolazione delle azioni, quando sono rappresentate da titoli azionari, avviene secondo le regola proprie dei titoli di credito. È prevista la nominatività obbligatoria, escluse le azioni di risparmio e le azioni emesse dalle Sicav. Qualora lo statuto escluda l’emissione dei titoli azionari, la qualità di socio è provata dall’iscrizione nel libro dei soci e il trasferimento resta assoggettato alla disciplina della cessione del contratto. Nelle società quotate le azioni non possono più essere rappresentata da titoli, sostituiti da un sistema di gestione accentrata dematerializzata. Sulle azioni possono essere posti dei vincoli: pegno, usufrutto, sequestro. Salvo diversamente previsto il diritto di voto spetta al creditore pignoratizio o all’usufruttuario; nel caso di sequestro al custode. Gli altri diritti amministrativi spettano disgiuntamente anche al socio. Il diritto di opzione spetta al socio, e solo ad esso sono attribuite le nuove azioni sottoscritte. In caso di aumento gratuito di capitale, i vincoli si estendono alle azioni di nuova emissione. Il versamento delle somme dovute sulle azioni non liberate in caso di pegno spetta al socio, e in mancanza il creditore pignoratizio può far vendere le azioni e soddisfarsi sul ricavato; in caso di usufrutto spetta all’usufruttuario, salvo il diritto alla restituzione di tale somma al termine dell’usufrutto. È possibile mettere dei limiti alla circolazione delle azioni (che in via di principio sono liberamente trasferibili), in aggiunta ai limiti legali che prevedono per le azioni liberate con conferimenti diversi dal denaro la non alienabilità prima del controllo della valutazione, e la non trasferibilità delle azioni con prestazioni accessorie senza il consenso degli amministratori. Tali limiti possono derivare da dei sindacati di blocco: patti parasociali che hanno lo scopo di evitare l’ingresso di terzi non graditi, ma vincolano solo le parti contraenti e non comportano invalidità sulla vendita delle azioni, esponendo solo l’inadempiente al risarcimento danni; o da limiti statutari: accordi previsti nell’atto costitutivo che invece vincolano tutti i soci e sono opponibili ai terzi. I più diffusi sono le clausole di prelazione: il socio deve offrire le azioni preventivamente agli altri soci altrimenti il trasferimento è inefficacie; e le clausole di gradimento: il trasferimento è subordinato al possesso di determinati requisiti per i nuovi soci, o al consenso di un organo sociale (in tal caso dette di mero gradimento, dove il rifiuto degli organi sociali comporta un obbligo di acquisto a carico della società o il diritto di recesso dell’alienante). Lo statuto può anche vietare del tutto la circolazione delle azioni per massimo cinque anni. Le clausole limitative possono essere inserite o rimosse con delibera dell’assemblea straordinaria ma, di regola, è riconosciuto diritto di recesso ai soci che non hanno concorso all’approvazione.

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In nessun caso è possibile da parte della società la sottoscrizione di azioni proprie (incremento del capitale sociale senza incremento del capitale reale). In caso di violazione le azioni si intendono sottoscritte e devono essere liberate dai soggetti agenti che materialmente hanno violato il divieto. L’acquisto di azioni proprie da parte della società (riduzione del capitale reale senza riduzione del capitale nominale) è invece consentita rispettando quattro condizioni: 1le somme impiegate non possono eccedere l’ammontare degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato; 2le azioni da acquistare devono essere interamente liberate; 3l’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria; 4il valore nominale delle azioni da acquistare non può eccedere la decima parte del capitale sociale, tenuto conto anche delle azioni possedute da società controllare. Le azioni acquistate in violazione di tali condizioni devono essere alienate entro un anno, e in mancanza andranno annullate, con corrispondente riduzione del capitale sociale. Il diritto di voto (e gli atri amministrativi) sono sospesi, tuttavia le azioni proprie sono computate nei quorum costitutivi e deliberativi, il diritto agli utili e il diritto di opzione spettano proporzionalmente alle altre azioni. Infine gli amministratori non posso disporre delle azioni proprie senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea.

Le partecipazioni reciproche fra società di capitali danno luogo a pericoli simili: è vietato alle società la costituzione o l’aumento del capitale mediante la sottoscrizione reciproca di azioni. Inoltre in nessun caso la società controllata può sottoscrivere azioni o quote della società controllante, in caso di violazione rispondono i soggetti agenti in solido con gli amministratori che non dimostrino di essere esenti da colpa. L’acquisto reciproco di azioni è possibile senza alcun limite tra due società quando non incorre un rapporto di controllo e nessuna delle due è quotata in borsa. Se invece è realizzato tra controllata e controllante, l’acquisto da parte della società controllata è soggetto alla disciplina di acquisto di azioni proprie. Infine, per le società quotate in borsa tra le quali non esiste un rapporto di controllo sono previsti limiti quantitativi: se entrambe le società sono quotate, l’incrocio non può superare il due per cento del capitale con diritto di voto (elevabile al cinque per cento con accordo delle società interessate); se una delle due non è quotata, la società quotata può acquistare fino al dieci per cento della non quotata, fermo restando per quest’ultima il limite del due per cento. La società che ecceda tali limiti non può esercitare il diritto di voto per le azioni eccedenti, deve alienarle entro un anno e in caso di mancata alienazione la sospensione del voto si estende all’intera partecipazione. Le delibere adottate con voto determinante di tali azioni sono annullabili.

XV - Le partecipazioni rilevanti nelle società comportano degli obblighi di comunicazione alla società partecipata e alla Consob per tutti coloro che partecipano in una società con azioni quotate in misura superiore al due per cento del capitale di questa; e per coloro che partecipano in società con azioni non quotate o in società a responsabilità limitata in misura superiore al dieci per cento del capitale di queste. Per il calcolo delle percentuali si tiene conto solo delle azioni e delle quote che attribuiscono il diritto di voto. La Consob può determinarli anche per strumenti finanziari. Per la violazione di tali obblighi sono previste sanzioni pecuniarie; solo per la partecipazioni in società con azioni quotate è prevista l’ulteriore sanzione della sospensione del voto inerente alle azioni o agli strumenti finanziari per i quali la comunicazione è stata omessa. Per l’acquisto di partecipazioni rilevanti in società quotate è previsto il lancio di un’offerta pubblica di acquisto (opa), per legge obbligatorio in due casi: l’opa successiva totalitaria e l’opa residuale. L’opa successiva totalitaria deve esser promossa da chiunque in seguito ad acquisti a titolo oneroso venga a detenere, direttamente o indirettamente, una partecipazione superiore al trenta per cento delle azioni che attribuiscono diritto di voto nelle deliberazioni assembleari riguardanti nomina o revoca o responsabilità degli amministratori o del consiglio di sorveglianza, e l’azione deve avere ad oggetto l’acquisto della totalità delle azioni ancora in circolazione, con prezzo minimo fissato dalla legge. Chi intende acquisire il controllo di una società quotata può tuttavia sottrarsi all’obbligo dell’opa totalitaria (su autorizzazione della Consob) lanciando un’opa preventiva che lo porti a detenere una partecipazione

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superiore al sessanta per cento, la quale potrà essere totale, volta a conseguire tutte le azioni con libera fissazione del prezzo; o parziale, che deve avere per oggetto almeno il sessanta per cento delle stesse azioni. L’opa residuale è prevista invece quando qualcuno venga a detenere più del novanta per cento delle azioni con diritto di voto, che dovrà lanciarla al prezzo fissato dalla Consob, se entro centoventi giorni non ripristina un flottante sufficiente ad assicurare il regolare andamento delle negoziazioni. Obbligo dovuto anche per chi venga a detenere più del novanta per cento di una categoria speciale di azioni che attribuiscano diritto di voto, ma in tal caso l’opa è rivolta solo ai possessori di tali azioni. È infine previsto il diritto all’acquisto coattivo delle azioni residue, ad un prezzo fissato da un esperto designato dal tribunale, per chi venga a detenere in seguito ad un’opa totalitaria più del novantotto per cento delle azioni con diritto di voto. Le violazione dell’obbligo di promuovere un’opa comporta la sospensione del diritto di voto dell’intera partecipazione e l’obbligo di alienare le azioni eccedenti il trenta e il novanta per cento entro dodici mesi. L’opa è una proposta irrevocabile rivolta a parità di condizioni ed ogni clausola contraria è nulla. Chi lancia un’opa deve darne preventiva comunicazione alla Consob con il documento di offerta, che deve essere trasmesso anche alla società bersaglio, obbligata a diffonderlo con un comunicato. Si apre così la fase di adesioni all’offerta. Gli amministratori della società bersaglio devono astenersi dal compiere atti o operazioni che possano contrastare con gli obiettivi del’offerta (es: lancio di un’opa concorrente), ma tale divieto può essere rimosso con delibera dell’assemblea, appositamente convocata, con una maggioranza del trenta per cento del capitale sociale in ogni convocazione. Alla scadenza del termine l’offerta diventa irrevocabile se è stato raggiunto il quantitativo minimo specificato nel documento d’offerta, se le adesioni superano invece il quantitativo richiesto, il documento di offerta deve specificare se si procederà ad una riduzione proporzionale o se l’offerta si riserva la facoltà di acquistare ugualmente tutti i titoli.

Il gruppo di società è un’aggregazione di imprese societarie formalmente autonome e indipendenti, ma assoggettate tutte ad una direzione unitaria. È sotto controllo la società che si trova, direttamente o indirettamente, sotto l’influenza dominante di altra società (controllante). Il controllo può essere di diritto, società in cui un’altra dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; di fatto, società in cui un’altra dispone dei voto sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; e contrattuale, società sotto l’influenza dominante di altre in virtù di particolari vincoli contrattuali. Ai fini del solo controllo azionario (di diritto o di fatto) si computano anche “i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta”, con esclusione però dei “voti spettanti per conto dei terzi”, quali i voti per delega (se A controlla B che a sua volta controlla C, A controlla indirettamente C). Si considerano invece società collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole, ma non dominante. L’esistenza di un rapporto di controllo non è sufficiente per affermare che si è in presenza di un gruppo di società, infatti in base all’attuale disciplina si presume salvo prova contraria che l’attività di direzione e coordinamento di società è esercitato dalle società tenute alla redazione del bilancio consolidato, nonché da quelle che comunque le controllano. La società capogruppo è direttamente responsabile nei confronti dei soci e dei creditori delle società controllate per i danni al valore della partecipazione sociale o della cagionata integrità del patrimonio della società subìti a causa della violazione dei principi di corretta gestione nell’attività di direzione e coordinamento. Rispondono in solido con la capogruppo sia coloro che abbiano preso parte al fatto lesivo (es: amministratori della capogruppo), sia coloro che ne abbiano consapevolmente tratto beneficio (es: altra società del gruppo), nei limiti del vantaggio conseguito. I soci possono esperire l’azione di risarcimento danni nei confronti della capogruppo solo nel caso in cui non sono stati soddisfatti dalla società controllata. È poi previsti che sia data pubblicità dell’attività di direzione e coordinamento nel registro delle imprese, e inoltre la società controllata deve indicare la proprio soggezione alla direzione altrui negli atti e nella corrispondenza. Gli amministratori delle società controllate che omettono di provvedere all’iscrizione o all’indicazione, o le mantengono quando la

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soggezione è cessata, sono responsabili dei danni che i soci o i terzi hanno subito per la mancata conoscenza di tali fatti. In sede di redazione del bilancio gli amministratori devono indicare nella relazione sulla gestione i rapporti con chi esercita la direzione e il coordinamento e con le altre società che vi sono soggette, nonché l’influenza di questi sull’andamento sociale. Le società soggette ad attività di direzione e coordinamento devono analiticamente motivare le decisioni quando queste sono influenzate da tale attività di direzione, e indicare le ragioni e gli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione. Infine è riconosciuto il diritto di recesso ai soci di una società soggetta ad attività di direzione e coordinamento quando: 1la capogruppo ha deliberato una trasformazione che implica il mutamento del suo scopo sociale; 2l’oggetto sociale venga mutato in modo tale da alterare le condizione economiche e patrimoniali della società controllata; 3quando il socio abbia ottenuto una sentenza di condanna esecutiva in seguito all’azione di responsabilità nei confronti della capogruppo; 4quando in una società non quotata l’inizio o la cessazione dell’attività di direzione e coordinamento alteri le condizioni di rischio dell’investimento.

XVI - La s.p.a. si caratterizza per la necessaria presenza di tre distinti organi: l’assemblea dei soci, l’organo amministrativo e l’organo di controllo interno.

L’assemblea è l’organo composto dalle persone dei soci. La sua funzione è quella di formare la volontà della società nelle materie riservate alla sua competenza dalla legge o dall’atto costitutivo. È organo collegiale che decide secondo il principio maggioritario. Tutti i soci sono vincolati dalla volontà espressa dall’assemblea. Si distingue in ordinaria: approva il bilancio; nomina e revoca amministratori, sindaci, soggetto del controllo contabile; delibera sulla responsabilità di amministratori e sindaci e sugli altri oggetti che la legge gli attribuisce; e straordinaria: delibera sulle modificazioni dello statuto; sulla nomina, sostituzione e poteri dei liquidatori; e su ogni altra materia che la legge gli attribuisce. L’assemblea è unica e generale se la società ha emesso solo azioni ordinarie, gli si affiancano le assemblee speciali quando sono emesse diversi categorie di azioni o strumenti finanziari con diritti amministrativi.

La convocazione è di regola decisa dall’organo amministrativo. Gli amministratori devono convocare l’assemblea almeno una volta l’anno entro centoventi giorni (aumentabile fino a centottanta in caso di società tenuta alla redazione del bilancio consolidato o per particolari esigenze) dalla chiusura dell’esercizio per consentire l’approvazione del bilancio. Devono inoltre convocarla senza ritardo qualora ne sia fatta richiesta da tanti soci che rappresentano almeno il dieci per cento del capitale sociale. Nelle società quotate i soci che rappresentino un quarantesimo del capitale sociale possono chiedere l’integrazione dell’ordine del giorno. Né la convocazione né l’integrazione su richiesta della minoranza sono pero ammesse quando si tratti di argomenti sui quali l’assemblea deve deliberare su proposta degli amministratori. La convocazione è disposta dal collegio sindacale quando la convocazione è obbligatoria e gli amministratori non vi hanno provveduto e, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, qualora nell’espletamento del suo incarico ravvisi fatti di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere. L’assemblea è convocata nel comune in cui ha sede la società mediante avviso da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica (o altro quotidiano indicato nello statuto), almeno quindici giorni prima di quello fissato per l’adunanza (trenta per le società quotate). Nelle società che non fanno ricorso al capitale di rischio può essere consentita la convocazione mediante avviso comunicato ai soci almeno otto giorni prima. Pur in assenza di convocazione l’assemblea è regolarmente costituita quando è rappresentato l’intero capitale sociale e partecipa all’assemblea la maggioranza degli amministratori e dei sindaci: assemblea totalitaria, che può deliberare su qualsiasi argomento; ciascuno degli intervenuti può però opporsi alla discussione degli argomenti sui quali non si ritiene sufficientemente informato. È riconosciuto il diritto di chiedere il rinvio dell’adunanza, per massimo cinque giorni, ai soci che rappresentano un terzo del capitale

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sociale rappresentato in assemblea, dichiarando di non essere sufficientemente informati sugli argomenti in discussione. È possibile un solo rinvio per lo stesso oggetto.

Quorum costitutivi e deliberativi: l’assemblea ordinaria in prima convocazione è costituita con la metà del capitale sociale e delibera con la maggioranza assoluta delle azioni che hanno preso parte alla votazione; in seconda convocazione non è richiesto un quorum costitutivo e la deliberazione avviene con la maggioranza delle azioni presenti; l’assemblea straordinaria per le società che non ricorrono al capitale di rischio in prima convocazione non prevede un quorum costitutivo, ma delibera col voto favorevole di più della metà del capitale sociale; in seconda convocazione è regolarmente costituita con un terzo del capitale sociale e delibera a maggioranza dei due terzi dei presenti; per le società che fanno ricorso al mercato del capitale rischio in prima convocazione il quorum costitutivo è la metà del capitale sociale e si delibera col voto favorevole di almeno due terzi dei presenti, in seconda convocazione cambia solo il quorum costitutivo che diventa più di un terzo. Sempre, quando si delibera sull’esclusione del diritto di opzione è richiesta l’approvazione di almeno la metà del capitale sociale. Lo statuto può modificare solo in aumento le maggioranze previste, non sono modificabili in seconda convocazione l’approvazione del bilancio e la nomina e revoca delle cariche sociali.

Possono intervenire in assemblea i soggetti con diritto di voto e il socio (senza diritto di voto) che ha dato le proprie azioni in pegno o in usufrutto. È consentita la rappresentanza in assemblea: la delega deve indicare il nome del rappresentante, deve essere conferita per iscritto ed è sempre revocabile. Nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio è conferibile solo per singole assemblee. Non può essere però conferita ai membri degli organi amministrativi o di controllo, a dipendenti della società, società controllate e membri degli organi amministrativi o di controllo di queste. Non può inoltre essere conferita a più di venti soci (se società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio cinquanta, cento o duecento a seconda che il capitale della società non superi i cinque, i venticinque milioni di euro o quest’ultimi). Nel 1998 sono introdotti, per le sole società con azioni quotate, due strumenti per i quali non operano le limitazioni esposte, volti al rilascio di deleghe in modo consapevole: la sollecitazione, richiesta di conferimento di deleghe di voto, attraverso un intermediario professionale, rivolto a tutti gli azionisti da parte di uno o più committenti con almeno l’un per cento delle azioni con voto, che richiedono l’adesione a specifiche proposte di voto; e la raccolta di deleghe, richiesta di conferimento di deleghe effettuata da associazioni di azionisti esclusivamente nei confronti dei propri associati. In ogni caso la delega è liberamente revocabile fino al giorno precedente l’assemblea. Versa in conflitto di interessi il socio che in una determinata delibera ha un interesse personale contrastante con quello della società. È annullabile la delibera votata dal socio in conflitto di interessi qualora il suo voto sia stato determinante (prova di resistenza) e la delibera possa danneggiare la società (danno potenziale). È espressamente vietato ai soci amministratori di votare nelle delibere riguardanti la loro responsabilità e, nel sistema dualistico, ai soci consiglieri di gestione di votare nelle delibere riguardanti nomi, revoca e responsabilità dei consiglieri di sorveglianza.

I sindacati di voto sono patti parasociali con cui alcuni soci s’impegnano a concordare preventivamente il modo in cui votare in assemblea; sono produttivi di effetti solo tra le parti e non nei confronti della società. Non possono avere durata superiore ai cinque anni ma sono rinnovabili. Nessuna forma è prevista quelli riguardanti le società che non ricorrono al mercato del capitale di rischio. Invece nelle società che ricorrono al mercato del capitale di rischio devono esser comunicati alla società e dichiarati in apertura di assemblea; la dichiarazione dev’essere trascritta nel verbale, che va depositato presso l’ufficio del registro delle imprese. In caso di omissione le azioni cui il patto si riferisce sono sospese e la delibera è annullabile qualora adottata con voto determinante di tali azioni; nelle società quotate vanno comunicati alla Consob, pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana e depositati presso il registro delle imprese. In caso di omissione sono nulli, il diritto di voto è sospeso e la delibera è annullabile.

Riguardo l’invalidità delle deliberazioni assembleari, nel codice del 1942 la nullità era prevista solo per le delibere aventi oggetto impossibile o illecito, mentre i vizi di procedimento davano vita sempre e solo all’annullabilità. Giurisprudenza e dottrina avevano però introdotto nella prassi una terza categoria: quella

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delle delibere inesistenti, ossia quelle delibere che presentavano vizi di procedimento talmente gravi da precludere la possibilità stessa di qualificare l’atto come delibera assembleare. In sostanza, la nullità era estesa ad alcune delibere che presentavano solo vizi di procedimento. La riforma del 2003 ha risolto il problema delle delibere inesistenti riconducendo nelle categorie della nullità e dell’annullabilità tutti i vizi possibili. Sono annullabili (art. 2377 c.c.) tutte “le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto”, si specifica che possono dar vita solo ad annullabilità: 1la partecipazione all’assemblea di persone non legittimate, ma solo se determinante per la regolare costituzione; 2l’invalidità o l’errato conteggio di singoli voti, ma solo se determinante per la deliberazione; 3l’incompletezza o inesattezza del verbale, ma solo se quando impediscono l’accertamento del contenuto. L’impugnativa può essere proposta solo da soci assenti, dissenzienti o astenuti (rappresentati l’uno per mille nelle società a capitale di rischio e il cinque per cento nelle altre), gli amministratori, il collegio sindacale e il rappresentante comune degli azionisti di risparmio, entro novanta giorni dalla deliberazione o dall’iscrizione. I soci impugnanti devono essere in possesso del prescritto numero di azioni. I soci non legittimati a proporre l’annullabilità possono tuttavia chiedere il risarcimento dei danni loro cagionati dalla non conformità della legge alla delibera o all’atto costitutivo. L’annullamento ha effetto per tutti i soci e obbliga gli amministratori a prendere i provvedimenti conseguenti. L’annullamento non può aver luogo se la delibera è sostituita con un’altra presa in conformità della legge. In qualsiasi caso sono salvi gli effetti acquistati in buona fede dai terzi. La delibera è nulla (art. 2379 c.c.) solo in tre casi tassativamente indicati dalla legge: 1mancata convocazione dell’assemblea, si precisa che la convocazione non si considera mancante nel caso di irregolarità dell’avviso, se questo proviene da un componente dell’organo amministrativo o di controllo ed è idoneo a consentire a coloro che hanno diritto di intervenire di essere preventivamente avvertiti della convocazione e della data dell’assemblea; 2mancanza del verbale, si precisa che il verbale non si considera mancante se contiene data e oggetto ed è sottoscritto dal presidente dell’assemblea o del c.d.a. e dal notaio, e che la nullità per mancanza del verbale è sanata con effetto retroattivo mediante verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea successiva, salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede; 3oggetto impossibile o illecito. Può esser fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può esser rilevata d’ufficio dal giudice. Le delibere che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite sono sempre impugnabili, mentre le altre hanno un termine di decadenza di tre anni, esclusi alcuni casi speciali: decadenza in centottanta giorni in caso di aumento del capitali sociale, riduzione reale ed emissione di obbligazioni; novanta giorni per l’approvazione del bilancio parzialmente eseguita; non sono impugnabili le delibere di approvazione del bilancio dopo quella del bilancio successivo. Anche la dichiarazione di nullità non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede, e non può essere dichiarata se la delibera è sostituita con altra presa in conformità della legge.

XVII - La riforma del 2003 ha previsto tre sistemi di amministrazione e controllo: il sistema tradizionale, basato sulla presenza dell’organo amministrativo e del collegio sindacale; il sistema dualistico, che prevede un consiglio di sorveglianza e un consiglio di gestione; e il sistema monistico, nel quale c’è un consiglio di amministrazione con all’interno un comitato per il controllo sulla gestione.

Gli amministratori, nel sistema tradizionale, sono l’organo cui è affidata in via esclusiva la gestione dell’impresa sociale. Possono essere soci o non soci. La s.p.a. può avere sia un amministratori unico, sia un consiglio di amministrazione. La nomina può essere di massimo tre esercizi, ma se l’atto costitutivo non dispone diversamente sono rieleggibili. I primi amministratori sono nominati nell’atto costitutivo, i successivi dall’assemblea ordinaria. Non possono essere nominati l’interdetto, l’inabilitato, il fallito o chi è stato condannato a una pena che comporta l’interdizione dai pubblici uffici o l’incapacità ad esercitare uffici direttivi. Sono cause di cessazione prima della scadenza del termini: la revoca da parte dell’assemblea, che può essere anche senza giusta causa, salvo il risarcimento danni; le dimissioni; la decadenza ove

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sopraggiunga una causa di ineleggibilità; e la morte. In caso di scadenza del termine, gli amministratori rimangono in carica con pienezza di poteri fino all’accettazione della nomina dei nuovi amministratori (prorogatio). Se nel corso dell’esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, gli altri provvedono a sostituirli con delibera approvata dal collegio sindacale, purchè la maggioranza sia sempre di nomina assembleare (cooptazione); gli amministratori così nominati restano in carica fino alla successiva assemblea, che può confermarli. Se viene meno la maggioranza di nomina assembleare non si da luogo alla cooptazione, ma i superstiti devono convocare l’assemblea perché provveda a sostituire i mancanti; i nuovi nominati scadono con quelli in carica all’atto di nomina. Se infine vengono a cessare tutti gli amministratori, il collegio sindacale deve convocare con urgenza l’assemblea per la ricostituzione dell’organo, e nel frattempo può compiere gli atti ordinari. Gli amministratori sono soggetti al divieto di concorrenza e nel caso di inosservanza si espongono alla revoca per giusta causa e al risarcimento danni. Nel consiglio di amministrazione l’attività è esercitata collegialmente, con decisione adottate in apposite riunioni alle quali assistono i sindaci. Per la validità delle deliberazioni è necessaria la presenza delle maggioranza degli amministratori in carica e l’approvazione della maggioranza assoluta dei presenti. Non è ammesso il voto per rappresentanza. Possono essere impugnate tutte le delibere del c.d.a. che non sono prese in conformità della legge o dello statuto. L’impugnativa può essere proposta dagli amministratori assenti o dissenzienti e dal collegio sindacale (ma non dai soci) entro novanta giorni dalla deliberazione. Inoltre, quando la delibera leda direttamente un diritto soggettivo del socio questi avrà diritto di agire giudizialmente per annullarla; l’annullamento non pregiudica i diritto acquistati dai terzi in buona fede. L’amministratore che ha un interesse non necessariamente in conflitto con quelli della società deve darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale precisandone “natura, termini, origine e portata”; se si tratta di amministratore delegato deve astenersi dall’operazione investendo della stessa l’organo collegiale; il consiglio di amministrazione deve indicare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione. Se l’assemblea ha un amministratore unico, questi deve darne notizia al collegio sindacale e anche alla prima assemblea utile. La delibera, qualora possa recare danno alla società, è impugnabile non solo nel caso di voto determinante dell’interessato, ma anche quando siano stati violati gli obblighi di trasparenza, astensione e motivazione indicati. L’impugnazione può essere proposta entro novanta giorni dal collegio sindacale e dagli amministratori assenti o dissenzienti; nonché dagli stessi amministratori favorevoli se non sono stati adempiuti gli obblighi di informazione.

Se l’atto costitutivo lo consente il c.d.a. può delegare le proprie attribuzione ad un comitato esecutivo o a uno o più amministratori delegati. Non sono delegabili: 1la redazione del bilancio; 2la facoltà di aumentare il capitale sociale o di emettere obbligazioni convertibili per delega; 3gli adempimenti degli amministratori in caso di riduzione obbligatoria del capitale sociale; 4la redazione del progetto di fusione o scissione. Almeno ogni sei mesi gli organi delegati devono riferire sul generale andamento della gestione al c.d.a., il quale può sempre impartire direttive e avocare a se operazioni rientranti nella delega.

Gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società; in presenza di un c.d.a. gli amministratori investiti del potere di rappresentanza devono essere indicati nello statuto o nella deliberazione di nomina, soggetta a pubblicità legale. Due sono i principi cardine: 1intervenuta l’iscrizione dell’atto di nomina, la mancanza del potere rappresentativo dovuta all’invalidità di tale atto non è opponibile ai terzi; 2le limitazioni al potere di rappresentanza non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi hanno agito intenzionalmente a danno della società. Restano opponibili i limiti legali del potere di rappresentanza.

Gli amministratori sono responsabili verso la società e sono tenuti al risarcimento dei danni dalla stessa subiti quando non adempiono i doveri ad essi con la diligenza richiesta. Se sono più di uno, sono

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responsabili solidalmente. Nel caso la responsabilità sia da attribuire ad organi con funzioni delegate, gli altri amministratori sono in ogni caso solidalmente responsabili qualora non abbiano fatto quanto potevano per impedire il fatto; risponderanno però solo per culpa in vigilando. Sono esonerati dalla responsabilità quelli che, immuni da colpa, abbiano fatto annotare senza ritardo il proprio dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del c.d.a. e del proprio dissenso ne abbiano data notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale. L’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori deve essere deliberata dall’assemblea ordinaria, oppure dal collegio sindacale a maggioranza di due terzi, entro cinque anni dalla cessione dalla carica; in caso di fallimento o liquidazione coatta amministrativa l’azione spetta al curatore. Sé è votata con voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale, l’amministratore è revocato di diritto. La società può decidere di rinunciare all’azione o transigerla con espressa deliberazione dell’assemblea, ma necessario è che non vi sia il voto contrario di un quinto o più del capitale sociale. L’azione di responsabilità può essere promossa anche dai soci che rappresentino un quinto del capitale sociale (nelle quotate un quarantesimo), ma è comunque diretta a reintegrare il patrimonio sociale. Gli amministratori sono responsabili verso i creditori sociali “per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”; l’azione può essere promossa solo quando il patrimonio risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. Quanto corrisposto spetterà direttamente ai creditori. Sono infine responsabili verso i singoli soci o i terzi coloro che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori, entro cinque anni dall’atto.

Il collegio sindacale è l’organo di controllo interno. Nelle società non quotate si compone di tre o cinque membri effettivi, soci o non soci, e di due membri supplenti. Nelle quotate il numero massimo può essere liberamente determinato. I primi sindaci sono nominati nell’atto costitutivo, successivamente li nomina l’assemblea ordinaria. Nelle società quotate almeno un membro effettivo deve essere eletto dalla minoranza. Nelle società non quotata almeno un sindaco e un supplente devono essere iscritto nel registro dei revisori contabili. Oltre alle cause di ineleggibilità previste per gli amministratori non possono essere nominati sindaci: il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori, gli amministratori di società dello stesso gruppo; e coloro che sono legati alla società o a società dello stesso gruppo da rapporti patrimoniali che ne compromettano l’indipendenza. I sindaci restano in carica per tre esercizi e sono rieleggibili. Possono essere revocati solo se sussiste giusta causa. Inoltre la delibera di revoca deve essere approvata dal tribunale, e fino a quel momento è improduttiva di effetti e il sindaco sgradito resta in carica. Sono cause di decadenza il sopraggiungere di una causa di ineleggibilità o di sospensione dal registro dei revisori, nonché il caso in cui un sindaco, senza giustificato motivo, non assista alle assemblee o diserti, durante un esercizio, due riunioni del c.d.a., del comitato esecutivo o del collegio sindacale. In caso di morte, rinuncia o decadenza subentrano automaticamente i supplenti in ordine di età, fino alla successiva assemblea che provvede alla nomina dei sindaci effettivi e supplenti necessari per integrare il collegio. Funzione primaria del collegio sindacale è il controllo sull’amministrazione. Oggi non svolge più il controllo contabile, a meno che non si tratti di società che non fanno appello al capitale di rischio e non siano tenute alla redazione del bilancio consolidato, in quel caso può prevederlo, ma tutto il collegio deve essere costituito da revisori contabili iscritti nell’apposito registro. Nei suoi confronti gli amministratori hanno numerosi obblighi di informazione. I sindaci hanno il potere-dovere di procedere, anche individualmente, ad atti di ispezione e controllo, nonché di chiedere notizie sull’andamento delle operazioni sociali. Il collegio sindacale può, previa comunicazione al presidente del c.d.a., convocare l’assemblea “qualora nell’espletamento del suo incarico ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere”. Questo potere è esercitabili anche da solo due sindaci. Nelle quotate un solo sindaco può convocare il c.d.a. o il comitato esecutivo. Il presidente del collegio è nominato dall’assemblea. Il collegio sindacale deve riunirsi almeno ogni novanta giorni, è regolarmente costituito con la maggioranza

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dei sindaci e delibera a maggioranza dei presenti. Ogni socio può denunziare al collegio fatti che ritiene censurabili, e il collegio deve tenerne conto nella relazione annuale all’assemblea. Nel caso in cui però la denuncia provenga da tanti soci che rappresentano almeno il cinque per cento del capitale sociale (due per cento per le società che ricorrono al capitale di rischio), il collegio sindacale “deve indagare senza ritardo sui fatti censurabili e presentare le sue conclusioni ed eventuali proposte all’assemblea”. I sindaci devono compiere i propri doveri con diligenza, sono responsabili della verità delle loro attestazioni e sono tenuti al segreto d’ufficio. Hanno responsabilità esclusiva, solidalmente fra loro, qualora il danno sia loro imputabile. Sono invece responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti e le omissioni di quest’ultimi, qualora il danno non si sarebbe provocato se avessero vigilato diligentemente.

Il controllo contabile è esercitabile sulle società non quotate da un revisore dei conti persona fisica o da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili (solo quest’ultima se fanno ricorso al mercato del capitale di rischio). Il soggetto è nominato per la prima volta nell’atto costitutivo, successivamente dall’assemblea, sentito il collegio sindacale. Non possono essere incaricati i sindaci e coloro che si trovano nelle cause di ineleggibilità dei sindaci. L’incarico dura tre esercizi ed è rinnovabile. Può essere revocato solo per giusta causa, sentito il parere del collegio sindacale. La deliberazione deve essere approvata dal tribunale. La revisione contabile è esercitata sulle società con azioni quotate, nonché su società controllate o che controllano società quotate, da una società di revisione iscritta nell’albo speciale tenuto dalla Consob. L’incarico è conferito con deliberazione dell’assemblea ordinaria in occasione dell’approvazione del bilancio, su proposta motivata dell’organo di controllo. In mancanza è conferito d’ufficio dalla Consob. L’incarico ha la durata di nove esercizi, e non può essere nuovamente conferito se non siano decorsi almeno tre anni dalla cessazione. L’assemblea ordinaria può revocare l’incarico solo se ricorre una giusta causa e su proposta dell’organo di controllo. La revoca va trasmessa alla Consob che entro venti giorni può vietarne l’esecuzione; fino a quel momento è inefficacie. Funzioni dei revisori dei conti sono il controllo della regolare tenuta della contabilità e l’espressione di un giudizio sul bilancio di esercizio e sul bilancio consolidato(1con rilievi, 2senza rilievi, 3negativo, 4 impossibile esprimerlo). Il soggetto incaricato del controllo deve adempiere ai suoi compiti con diligenza, è responsabile delle sue attestazioni ed è tenuto al segreto su fatti e attestazioni di chi ha la conoscenza per ragioni del suo ufficio.

Il sistema dualistico, di ispirazione tedesca, prevede un consiglio di gestione e un consiglio di sorveglianza. Il consiglio di sorveglianza svolge sia le funzioni dei sindaci, sia alcune proprie dell’assemblea: nomina e revoca i componenti de consiglio di gestione; approva il bilancio (tuttavia lo statuto può prevedere che l’assemblea approvi il bilancio in caso di mancata approvazione del consiglio di sorveglianza o quando ne faccia richiesta almeno un terzo dei consiglieri di gestione o dei consiglieri di sorveglianza). I componenti possono essere soci o non soci e il loro numero, non inferiore a tre, è fissato nello statuto. I primi sono nominati nell’atto costitutivo, gli altri dall’assemblea ordinaria. Non possono essere eletti coloro che sono legati alla società da rapporti patrimoniali che ne compromettano l’indipendenza. Restano in carica tre esercizi e sono rieleggibili. A differenza di sindaci nel sistema tradizionale, sono revocabili anche se non ricorre giusta causa, salvo il diritto al risarcimento; è tuttavia necessario che la delibera sia approvata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. È l’assemblea che sostituisce i consiglieri di sorveglianza che vengono a mancare. I componenti del consiglio di sorveglianza devono adempiere i loro doveri con diligenza, e sono solidalmente responsabili con i consiglieri di gestione per i fatti e le omissioni di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se avessero vigilato con diligenza. Il consiglio di gestione svolge le funzioni degli amministratori. I primi consiglieri di gestioni sono nominati nell’atto costitutivo, i successivi dal consiglio di sorveglianza. Devono essere almeno due. Non opera la cooptazione, quindi è sempre il consiglio di sorveglianza che provvede alla sostituzione. L’azione di responsabilità contro i

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consiglieri di gestione, oltre che dalla società e dai soci, può essere promossa dal consiglio di sorveglianza, che delibera a maggioranza dei componenti e comporta la revoca d’ufficio se approvata dai due terzi.

Il sistema monistico, di ispirazione anglosassone, si caratterizza per la soppressione del collegio sindacale. L’amministrazione ed il controllo sono esercitati dal c.d.a. e da un comitato per il controllo sulla gestione costituito al suo interno. L’unica differenza per il consiglio di amministrazione rispetto al sistema tradizionale è che almeno un terzo dei suoi componenti deve avere i requisiti di indipendenza dei sindaci, e fra questi saranno scelti i componenti del comitato per il controllo sulla gestione, che non può essere inferiore a tre. Il comitato di gestione svolge funzioni analoghe al collegio sindacale, ma, nonostante i suoi componenti debbano assistere alle adunanze del c.d.a., non è prevista la decadenza automatica in caso di assenza ripetute e ingiustificate. Deve riunirsi ogni novanta giorni, è regolarmente costituito a maggioranza dei consiglieri di gestioni e delibera a maggioranza dei presenti.

Il controllo giudiziario sulla gestione delle s.p.a. è una forma di intervento dell’autorità giudiziaria. Il procedimento può essere attuato se vi è il fondato sospetto che gli amministratori “in violazione dei loro doveri abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione” che “possano arrecare danno alla società, o a una o più controllate”. L’iniziativa può essere promossa: 1dai soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale (cinque per cento nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio); 2dal collegio sindacale o il corrispondente organo di controllo nei sistemi alternativi, 3dal pubblico ministero o 4dalla Consob (3 e 4 solo però se le società fanno ricorso al capitale di rischio). Il tribunale non può procedere d’ufficio. Una prima fase, di carattere istruttorio, è diretta ad accertare l’esistenza di dette irregolarità e ad individuare i provvedimenti necessari. Il tribunale deve sentire in camera di consiglio sindaci e amministratori, e può fare eseguire l’ispezione della società; questa può però evitarla e ottenere una sospensione del procedimento per un periodo determinato se l’assemblea sostituisce amministratori e sindaci con soggetti professionali che si attivino per accertare le violazioni ed eliminarle. Il tribunale può disporre gli opportuni provvedimenti cautelari per evitare altre irregolarità e nel frattempo convocare l’assemblea per le deliberazioni conseguenti. L’assemblea può decidere se adottare o meno tali deliberazioni. Nei casi più gravi però il tribunale può revocare gli amministratori ed eventualmente anche i sindaci e nominare un amministratore giudiziario, il quale è investito per legge del potere di proporre l’azione di responsabilità nei confronti di sindaci e amministratori, senza la preventiva deliberazione dell’assemblea. L’amministratore giudiziario ha la rappresentanza della società ma non può compiere atti straordinari senza l’autorizzazione del presidente del tribunale; prima della scadenza del suo incarico può convocare l’assemblea per la nomina dei nuovi amministratori o sindaci o, in alternativa, proporre all’assemblea la messa in liquidazione della società o addirittura una procedura concorsuale.

La Consob è la Commissione nazionale per la società e la borsa. È organo di controllo dell’intero mercato mobiliare e stabilisce per tutte le società quotate gli obblighi di informazione nei confronti del pubblico.

XVIII - Il bilancio di esercizio è il documento contabile che rappresenta la situazione patrimoniale e finanziaria della società alla fine di ciascun esercizio, nonché il risultato economico dell’esercizio stesso. La s.p.a. deve redigerlo annualmente. Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e il risultato economico. Le valutazioni delle voci deve esser fatta secondo prudenza e nella prospettiva di continuazione dell’attività. Il bilancio si articola in tre parte: stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa. Le singole voci devono rispettare il tassativo ordine fissato dalla legge, e per ognuna va indicato l’importo dell’esercizio precedente. Lo stato patrimoniale rappresenta in modo sintetico la composizione qualitativa e quantitativa del patrimonio della società e la sua situazione finanziaria ed è diviso in quattro grandi categorie all’ATTIVO: A crediti verso i soci

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per versamenti ancora dovuti; B immobilizzazioni, che si distinguono in immateriali (es: avviamento), materiali (es: terreni) e finanziarie (partecipazioni azionarie e crediti destinati a permanere stabilmente nel patrimonio della società); C attivo circolante, tra cui le rimanenze, crediti che non costituiscono immobilizzazione, disponibilità liquidi, ecc.; 4 ratei e risconti (attivi); e cinque al PASSIVO: A patrimonio netto, composto dal capitale sociale e dalle riserve aumentato degli utili e diminuito dalle perdite; B fondi per rischi e onori, destinati a perdite certe e probabili; C trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato; debiti; D ratei e risconti (passivi). In calce vanno iscritti i conti d’ordine (es:titoli di terzi depositati presso la società), che hanno funzione di informare su impegni futuri che non incidono attualmente sul patrimonio sociale. Il conto economico espone il risultato economico dell’esercizio (utile o perdita) attraverso la rappresentazione dei costi e degli oneri sostenuti, nonché dei ricavi e degli altri proventi conseguiti nell’esercizio. Deve essere redatto in forma espositiva scalare e si articola in cinque sezioni: <<A valore della produzione>>, indica i ricavi di competenza dell’esercizio dell’attività e le variazioni delle relative rimanenze d magazzino; al quale si sottraggono i <<B costi della produzione>> ottenendo così il risultato lordo della gestione ordinaria delle società; nella terza sezione vanno iscritti i <<C proventi ed oneri finanziari>>, quali i proventi derivanti da partecipazioni in altre società, gli utili e le perdite su scambi, ecc.; le <<D rettifiche di valore di attività finanziarie>>; <<E i proventi ed oneri straordinari>>. La somma algebrica dei risultati così ottenuti costituisce il risultato globale di esercizio, che va indicato prima al lordo e poi al netto delle imposte sul reddito. Si ottiene così l’utile o la perdita che va riportato nello stato patrimoniale. La nota integrativa illustra e specifica le voci dello stato patrimoniale e del conto economico, in particolare vengono elencate le partecipazioni in società collegate e controllate.

La relazione sulla gestione, invece, è un allegato esterno al bilancio, che assolve una funzione di resoconto sulla gestione della società e delle sue prospettive. I criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro se non in casi eccezionali e con l’obbligo degli amministratori di motivare la deroga nella nota integrativa. Le immobilizzazioni sono iscritte in bilancio al costo storico (costo di acquisto o di produzione), il loro valore deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione alla possibilità di utilizzazione del bene, attraverso la riduzione del valore iscritto nell’attivo dello stato patrimoniale; se tuttavia tale valore risulta durevolmente minore del costo storico regolarmente ammortizzato, dovrà esser iscritta per tale minore valore. Per le immobilizzazioni finanziare costituite da partecipazioni in imprese controllate e collegate può essere usato il metodo del patrimonio netto: si iscrive in bilancio un importo pari alla corrispondente quota del patrimonio netto della società partecipata risultante dall’ultimo bilancio della stessa. L’avviamento può essere iscritto nell’attivo solo se acquistato a titolo oneroso e nei limiti del costo sostenuto. I crediti devono essere sempre valutati secondo il valore di prudente realizzo. I cespiti dell’attivo diversi dai crediti devono essere iscritti al costo di acquisto o, se minore, al valore di realizzo desumibile dall’andamento del mercato, che non può essere però mantenuto nei successivi esercizi se sono venuti meno i motivi. Tali criteri possono essere derogati in casi eccezionali (es: in un terreno si scopre un giacimento di metano); gli eventuali utili risultanti dalla deroga vanno iscritti in un’apposita riserva non distribuibile fin quando il maggio valore iscritto non sia stato realizzato.

L’assemblea ordinaria deve esser convocata almeno una volta l’anno, entro centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio, per l’approvazione del bilancio. Sono gli amministratori che redigono il progetto di bilancio,e tale funzione non è delegabile. Almeno trenta giorni prima dell’assemblea, il progetto di bilancio con la relazione degli amministratori deve essere comunicato al collegio sindacale, che riferisce all’assemblea sui risultati dell’esercizio sociale. Il progetto di bilancio e i relativi allegati (relazioni degli amministratori, relazione dei sindaci e relazione del soggetto incaricato del controllo contabile) devono restare depositati in copia nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l’assemblea; i soci possono prenderne visione. L’assemblea può approvarlo o respingerlo. Per la distribuzione degli utili (che non è

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obbligatoria) è necessaria un’ulteriore deliberazione. Non possono essere ripartiti utili se negli esercizi precedenti si è verificata una perdita, finchè il capitale sociale non sia stato reintegrato o ridotto. Degli utili netti annuali dev’essere poi dedotta la riserva legale: il cinque per cento degli stessi fino a quando la riserva non abbia raggiunto il venti per cento del capitale sociale; e la riserva statutaria, con la differenza che la sua costituzione è decisa dallo statuto. Sono infine riserve facoltative quelle discrezionalmente disposte dall’assemblea che approva il bilancio; di queste la stessa assemblea può disporne per distribuire gli utili negli esercizi successivi. La società non può pagare dividendi sulle azioni se non per utili realmente conseguiti e risultanti dal bilancio regolarmente approvato. La delibera che consente la distribuzione di utili fittizi è nulla per illiceità dell’oggetto sociale; gli azionisti non sono tuttavia obbligati a restituire quanto ricevuto se: erano in buona fede al momento della riscossione, i dividendi sono stati distribuiti in base a un bilancio regolarmente approvato da cui risultano utili netti corrispondenti.

Il bilancio consolidato è un bilancio redatto dalla capogruppo in aggiunta al proprio bilancio e in esso è rappresentata la situazione patrimoniale ed economica del gruppo; non è assoggettato ad approvazione dell’assemblea e costituisce perciò atto degli amministratori.

XIX - Le modificazioni dello statuto rientrano nella competenza dell’assemblea straordinaria. Il notaio che verbalizza l’assemblea verifica le condizioni di legge e, entro trenta giorni, ne richiede l’iscrizione; l’ufficio del registro delle imprese, a sua volta, controlla la regolarità formale della documentazione. Se il notaio ritiene non adempiute regolarmente le condizioni stabilite dalla legge ne da comunicazione tempestiva agli amministratori, che nei trenta giorni successivi possono convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti, oppure ricorrere al tribunale. In caso di inerzia degli amministratori la delibera è definitivamente inefficace. La deliberazione non produce effetti se non dopo l’iscrizione. Il diritto di recesso può essere esercitato dai soci assenti, dissenzienti o astenuti. Le cause inderogabili, che non possono essere soppresse dallo statuto, riguardano le delibere che hanno per oggetto: 1la modifica dell’oggetto sociale, purchè consista in un cambiamento significativo dell’attività della società; 2la trasformazione della società; 3il trasferimento della sede sociale all’estero; 4la revoca dello stato di liquidazione; 5l’eliminazione di una causa di recesso derogabile o statutaria; 6la modificazione dei criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso; le modificazione dello statuto concernenti il diritto di voto o di partecipazione. Le cause derogabili, che lo statuto può escludere, hanno per oggetto: 1la proroga della durata della società; 2l’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni. Possono essere previste ulteriori cause statutarie nelle società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio. Infine, tutti i soci possono recedere liberamene da una società a tempo indeterminato non quotata con un preavviso di centottanta giorni, allungabile dallo statuto fino a un anno. Il diritto di recesso deve essere esercitato mediante comunicazione con lettera raccomandata alla società entro quindici giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera che lo legittima. Le azioni per le quali è chiesto il recesso non possono essere cedute e devono essere depositate presso la sede della società; questa può sottrarsi al rimborso se entro novanta giorni (successivi al recesso) revoca la delibera che lo legittima o se i soci deliberano lo scioglimento della società. Nelle società non quotate il valore delle azioni da rimborsare è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del revisore contabile, tenuto conto del patrimonio della società. Nelle società quotate è invece determinato facendo esclusivo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono la convocazione dell’assemblea. Le azioni del socio che recede devono essere innanzitutto offerte in opzione agli altri soci; le restanti possono essere collocate sul mercato; in caso di mancato collocamento vengono rimborsate mediante acquisto della società, rispettando il limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili; in assenza di utili e riserve disponibili l’assemblea straordinaria deve deliberare la riduzione del capitale sociale o lo scioglimento della società.

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L’aumento reale del capitale sociale dà luogo all’emissione di nuove azioni a pagamento, che vengono sottoscritte dai soci attuali, cui per legge è riconosciuto il diritto di opzione, o da terzi. Condizione necessaria è che le azioni precedenti siano interamente liberate; in caso i violazione di tale limite, gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni restano salvi ma gli amministratori sono responsabili in solido per i danni a soci o terzi. Competente all’aumento è, in via di principio, l’assemblea straordinaria. Lo statuto o una successiva modifica possono però attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare, in una o più volte, il capitale sociale. È specificato che deve essere predeterminato l’ammontare massimo entro cui gli amministratori possono aumentare il capitale, e la delega può essere concessa per un periodo non superiore ai cinque anni. Gli amministratori possono deliberare anche in merito all’esclusione del diritto di opzione dei soci, ma lo statuto deve determinare i criteri cui devono attenersi. Qualora al termine fissato dalla deliberazione per la sottoscrizione questa sia soltanto parziale, il capitale è aumentato di importo pari alle sottoscrizioni raccolte solo se la deliberazione di aumento lo aveva espressamente previsto, in mancanza ne società ne i sottoscrittori sono vincolati e quest’ultimi hanno diritto alla restituzione delle somme già versate. Il diritto di opzione è il diritto dei soci attuali di essere preferiti ai terzi nella sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale a pagamento. Ha per oggetto le azioni di nuova emissione di qualsiasi categoria e le obbligazioni convertibili in azioni emesse dalla società, ed è attribuito a ciascun azionista in proporzione del numero delle azioni già possedute. Per esercitarlo la società deve concedere agli azionisti un termine non inferiore a trenta giorni, che decorre dall’iscrizione dell’offerta di opzione nel registro delle imprese. Qualora ci fossero delle azioni inoptate: se non sono quotate coloro che hanno esercitato il diritto di opzione hanno diritto di prelazione nella loro sottoscrizione, purchè ne facciano richiesta all’atto dell’esercizio del diritto di opzione; se sono quotate i diritti di opzione residui devono essere offerti nel mercato regolamentato dagli amministratori, per conto della società, per almeno cinque riunioni ed il ricavato della vendita va a beneficio del patrimonio sociale. Solo se gli azionisti non si avvalgono per l’intero del diritto di prelazione o i diritti offerti nel mercato regolamentato restano invenduti, le azioni di nuova emissione potranno essere liberamente collocate. Il diritto di opzione è escluso quando: 1le azioni devono essere liberate mediante conferimenti in natura (è obbligatoria l’emissione in sovraprezzo qualora la società abbia accumulato utili); 2nelle società con azioni quotate lo statuto può escluderlo nei limiti del dieci per cento del capitale sociale, a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato in apposita relazione della società incaricata della revisione contabile; 3può essere escluso o limitato con la delibera di aumento di capitale “quando l’interesse della società lo esige”, la delibera deve però essere aumentato da tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale (sovraprezzo); 4infine può essere escluso quando le azioni offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società o di società controllanti o controllate nei limiti di un quarto, qualora il quarto sia superato è necessaria l’approvazione della metà del capitale sociale.

L’aumento nominale del capitale sociale è posto in essere dall’assemblea straordinaria “imputando a capitale le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio”. Può essere attuato mediante l’aumento del valore nominale delle azioni in circolazione, o mediante l’emissione di nuove azioni che vengono assegnate gratuitamente agli azionisti in proporzione.

La riduzione reale del capitale sociale può aver luogo sia mediante la liberazione dei soci dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti, sia mediante il rimborso del capitale ai soci. Il capitale sociale non può essere ridotto al di sotto del limite legale di centoventimila euro; e va rispettato il limite legale di emissione delle obbligazioni. L’avviso di convocazione deve indicare le ragioni della riduzione. La delibera può essere eseguita solo dopo novanta giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese, entro cui i creditori sociali anteriori possono fare opposizione alla delibera di riduzione, sospendendone l’esecuzione fino all’esito del giudizio sulla stessa (il tribunale può disporre che l’esecuzione abbia ugualmente luogo previa garanzia

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societaria). Le modalità di riduzione devono assicurare la parità di trattamento degli azionisti. È possibile anche l’estrazione a sorte di un certo numero di azioni dietro il rimborso del solo valore nominale delle azioni e il rilascio per gli azionisti rimborsati di azioni di godimento, le quali partecipano alla ripartizione degli utili solo dopo che sia corrisposto alle altre azioni un dividendo pari all’interesse legale sul valore nominale e alla ripartizione del saldo attivo solo dopo che alle altre sia stato rimborsato il valore nominale.

La riduzione del capitale sociale per perdite (nominale) consiste nell’adeguare la cifra del capitale sociale nominale all’attuale minor valore del capitale reale. Non è obbligatoria fino a quando la perdita non sia superiore ad un terzo. Se il terzo è invece stato superato ma il minimo legale non è stato intaccato, gli amministratori (e in caso di inerzia il collegio sindacale) devono convocare senza indugio l’assemblea straordinaria e sottoporle una situazione patrimoniale aggiornata della società, con le osservazioni del collegio sindacale; l’assemblea prende gli opportuni provvedimenti e può decidere ancora di non ridurre il capitale sociale, ma se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l’assemblea ordinaria che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. Se invece superando il terzo il capitale scende al di sotto del minimo legale, l’assemblea, convocata dagli amministratori, deve necessariamente deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento ad una cifra non inferiore al minimo legale o la trasformazione della società. Se una di tali decisioni non viene adottata, la società si scioglie ed entra in stato di liquidazione.

XX - Le obbligazioni sono titoli di credito (nominativi o al portatore) che rappresentano frazioni di uguale valore nominale e con uguali diritti di un’unitaria operazione di finanziamento a titolo di mutuo. L’obbligazione attribuisce la qualità di creditore della società, che diversamente dall’azionista ha diritto ad una remunerazione periodica fissa (interessi), normalmente svincolata dai risultati economici della società finanziata. Ha inoltre diritto al rimborso del valore nominale del capitale prestato alla scadenza pattuita. In base all’attuale disciplina, la s.p.a. può emettere obbligazioni, nominative o al portatore, per somma complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale sottoscritto, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato (in passato non potevano essere emesse per somma eccedente il capitale versato ed esistente risultante dall’ultimo bilancio approvato). I sindaci attestano il rispetto di tale limite. La società può tuttavia emettere obbligazioni per ammontare superiore a tale limite quando: 1quelle emesse in eccedenza sono destinate ad essere sottoscritte da investitori istituzionale soggetti a vigilanza prudenziale (es: banche), i quali a loro volta, se trasferiscono le obbligazioni sottoscritte rispondono della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali; 2le obbligazioni sono garantite da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della società, sino a due terzi del valore di questi; 3la società è autorizzata dall’autorità governativa. La società che ha emesso obbligazioni non può ridurre volontariamente il capitale sociale o distribuire riserve se i limiti delle obbligazioni non sono rispettati. È invece consentita la riduzione per perdite, ma la società non potrà distribuire utili fin quando il limite non sia ripristinato. Se non è disposto diversamente da legge o statuto, l’emissione di obbligazioni è deliberata dagli amministratori. La delibera produce effetti solo dopo la sua iscrizione. Tra i vari tipi vi sono le obbligazioni convertibili in azione, le quali attribuiscono il diritto di sottoscrivere azioni della stessa società, in base ad un prefissato rapporto di cambio, utilizzando come conferimento le somme già versate al momento dell’acquisto delle obbligazioni. È l’assemblea straordinaria ad esser competente a deliberare obbligazioni convertibili, che vanno offerte in opzione agli azionisti e ai possessori di obbligazioni convertibili precedentemente emesse. Condizioni necessarie sono poi l’integrale versamento del capitale sociale precedentemente sottoscritto e l’emissione di obbligazioni convertibili per somma per lo meno pari al loro valore nominale. Come per gli aumenti di capitale, tale facoltà può essere delegata agli amministratori. La stessa assemblea che delibera l’emissione deve determinare il rapporto di cambio, il periodo e la modalità di conversione; e contestualmente deliberare l’aumento di capitale sociale

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(che sarà sottoscritto via via che gli obbligazionisti eserciteranno il diritto di conversione) corrispondentemente al valore nominale delle azioni da convertire. Durante la pendenza del periodo di conversione: 1il diritto di opzione spetta anche a tali obbligazionisti; 2il rapporto di cambio è automaticamente modificato in caso di aumento di capitale o di riduzione dello stesso per perdite; 3fin quando i termini di conversione non sono fissati, la società non può ridurre volontariamente il capitale sociale, fondere o scindere la società, né modificare disposizioni dello statuto concernenti la ripartizione degli utili, a meno che non conceda agli obbligazionisti la facoltà di conversione anticipata. Per gli obbligazionisti è prevista un’organizzazione di gruppo articolata in due organi: l’assemblea, convocata dagli amministratori sociale, dal rappresentante comune, o da tanti azionisti che rappresentino almeno un ventesimo dei titoli emessi, che delibera sulle modificazioni delle condizioni del prestito, con voto favorevole di almeno la metà dei titoli emessi; e il rappresentante comune, nominato dall’assemblea, che tutela gli interessi comuni degli azionisti nei confronti della società.

XXI - Lo scioglimento della società per azioni si verifica in seguito ad una delle seguenti cause: 1il decorso del termine di durata; 2il conseguimento o l’impossibilità di conseguirlo dell’oggetto sociale; 3l’impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell’assemblea; 4la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale; 5la delibera straordinaria di scioglimento della società in seguito al recesso di uno o più soci ovvero all’impossibilità di provvedere al rimborso delle relative azioni senza ridurre il capitale sociale o all’opposizione dei creditori alla riduzione; 6la deliberazione dell’assemblea di scioglimento anticipato; 7altre cause. Verificatasene una, gli amministratori devono procedere senza indugio al suo accertamento e iscrivere nel registro delle imprese la relativa dichiarazione o la delibera assembleare che lo dispone; in caso di ritardo o omissione gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dalla società, dai creditori sociali e dai terzi. Alla denominazione della società va aggiunta l’indicazione che si tratta di società in liquidazione. Il verificarsi di una delle cause non comporta l’estinzione della società ma l’inizio della liquidazione: gli amministratori restano in carica fino alla nomina dei liquidatori e, per il semplice verificarsi di una causa di scioglimento, conservano il potere di gestione “ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale”; se violano tale limitazione sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni alla società, i creditori sociali o i terzi. La società può in ogni momento revocare lo stato di liquidazione e tornare ad una fase di normale esercizio con delibera dell’assemblea straordinaria (ma nelle quotate è richiesta la maggioranza di almeno un terzo); la revoca ha effetto dopo sessanta giorni dall’iscrizione, entro cui i creditori sociali possono proporre opposizione. I liquidatori sono nominati dall’assemblea straordinaria, con delibera che ne fissa anche numero e poteri; in caso di inerzia provvede il tribunale. Possono essere revocati dall’assemblea straordinaria; se sussiste giusta causa, sono revocabili anche dal tribunale su istanza dei soci, dei sindaci o del pubblico ministero. Con l’iscrizione della nomina dei liquidatori, gli amministratori cessano dalla carica e devono consegnare loro i libri sociali. I liquidatori devono adempiere ai loro doveri con diligenza e la loro responsabilità è disciplinata dalle norme sugli amministratori. Possono compiere “tutti gli atti utili per la liquidazione”, salva diversa disposizione. Non possono ripartire fra i soci i beni della società finchè non siano pagati tutti i creditori noti; verso cui i liquidatori sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti. Se i fondi risultano insufficienti possono chiedere ai soci i versamenti ancora dovuti. I liquidatori devono redigere ogni anno il bilancio (bilancio annuale) e sottoporlo all’approvazione dell’assemblea; completata la liquidazione del patrimonio con la conversione in denaro dell’attivo, devono redigere il bilancio finale di liquidazione, indicando la parte spettante a ciascun socio nella divisione. Il bilancio finale di liquidazione deve esser approvato dai singoli soci e non dall’assemblea. Approvato il bilancio finale, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese; prevista d’ufficio dalla legge quando per tre anni consecutivi non viene adottato il bilancio annuale di liquidazione. I creditori sociali rimasti insoddisfatti

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potranno far valere i loro diritti: nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale; e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da loro colpa.

XXII - La società in accomandita per azioni si caratterizza per la presenza di due categorie di soci: i soci accomandatari e i soci accomandanti. Le quote sono rappresentate da azioni. Il socio accomandatario che cessa dall’ufficio di amministratore non risponde per le obbligazioni sociali posteriori all’iscrizione della cessazione dall’ufficio, diventa quindi accomandante. L’atto costitutivo deve indicare i soci accomandatari, che rispondono illimitatamente e solidalmente verso i terzi, ma godono del beneficio d’escussione automatico. Gli accomandatari, in quanto amministratori, non possono votare nelle delibere di nomina e revoca dei sindaci né in quelle concernenti l’azione di responsabilità nei loro confronti; nelle modifiche dell’atto costitutivo però è necessario il voto di tutti gli accomandatari. Gli accomandatari possono essere revocati, anche se non ricorre giusta causa, con delibera dell’assemblea straordinaria. Se tutti gli amministratori cessano, la società si scioglie a meno che non vengono sostituiti entro centottanta giorni, durante i quali il collegio sindacale nomina un amministratore provvisorio (con poteri di gestione ordinaria).

XXIII – La società a responsabilità limitata è una società di capitali nella quale per le obbligazioni risponde solo il patrimonio sociale, e le partecipazioni non possono essere rappresentate da azioni e non possono costituire oggetto di offerta al pubblico. Il capitale sociale minimo richiesto è di diecimila euro. Come nelle società di persone, possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica. Inoltre, il versamento del venticinque per cento dei conferimenti in denaro (dell’intero se unipersonale) può essere sostituito dalla stipula di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria. Per la valutazione non è necessario un esperto designato dal tribunale, ma è sufficiente che si tratti di un esperto iscritto nel registro dei revisori contabili. Resta ferma la regola che il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci e la possibilità per la società di vendere coattivamente le sue quote: la società può venderle agli altri soci in proporzione; in mancanza di offerte si procede alla vendita all’incanto solo se lo statuto lo consente; se la vendita non può aver luogo gli amministratori escludono il socio moroso, trattenendo la somma, e riducono direttamente il capitale sociale, in quanto la s.r.l. non può mai farsi acquirente delle proprie quote.

Le s.r.l. non possono emettere obbligazioni, ma gli è consentita l’emissione di titoli di debito, ed è lo statuto a stabilire se tale competenza spetti a soci o amministratori. I titoli di debito non possono avere taglio minimo inferiore a cinquantamila euro, e possono essere sottoscritti solo da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale che, in caso di successiva alienazione, rispondono della solvenza della società a meno che gli acquirenti non siano investitori professionali o soci della società emittente.

Il capitale della società è diviso in parti in base al numero dei soci (criterio personale) e ciascun socio diventa titolate di un’unica partecipazione, corrispondente alla frazione di capitale sottoscritta; i diritti sociali spettano proporzionalmente alla quota. L’atto costitutivo può prevedere l’attribuzione a singoli soci (ma non a categorie di quote) di particolari diritti, amministrativi o patrimoniali, modificabili solo col consenso di tutti i soci. L’atto costitutivo può limitare ma anche escludere il trasferimento delle quote, o subordinarlo al gradimento di organi sociali, soci o terzi. In tali casi però il socio può recedere dalla società; ma può essere previsto che il recesso non possa essere esercitato prima di un certo termine (non maggiore di due anni) dalla costituzione della società. Se la società è a tempo indeterminato il socio può recedere con un preavviso di centottanta giorni, che l’atto costitutivo può allungare ad un anno. La quota del socio recedente deve essere prima offerta in opzione agli altri soci, o a un terzo concordemente individuato dai soci stessi; in mancanza di acquirenti si procede al rimborso attingendo alle riserve disponibili o, in mancanza, tramite riduzione reale del capitale; qualora questa non fosse possibile la società si scioglie.

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Come nella società di persone, l’atto costitutivo può prevedere cause di esclusione del socio per giusta causa. Il trasferimento della quota è valido ed efficace fra le parti per effetto del semplice consenso; produce però effetti verso la società solo quando è iscritto nel libro dei soci. I trasferimenti per atto fra vivi devono risultare da scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio, che entro trenta giorni deve depositarla per l’iscrizione; su richiesta poi dell’alienante o dell’acquirente deve essere annotato nel libro dei soci. In nessun caso la s.r.l. può acquistare proprie quote. La quota può formare oggetto di espropriazione da parte dei creditori personali del socio; qualora la partecipazione non sia liberamente trasferibile, però, la vendita è priva di effetto se la società presenti entro dieci giorni un altro acquirente che offra lo stesso prezzo.

L’assemblea dei soci degrada ad organo solo eventuale: l’atto costitutivo può infatti prevedere che le decisioni dei soci siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso per iscritto, adottate con volo favorevole di almeno la metà del capitale sociale. Il metodo assembleare è tuttavia necessario per: 1le modifiche dell’atto costitutivo, 2le decisioni che comportano una sostanziale modifica dell’oggetto sociale o una rilevante modifica dei diritti dei soci; 3la riduzione per perdite obbligatoria. Decide l’assemblea inoltre anche quando ne sia fatta richiesta da uno o più amministratori o dai soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale. Diversamente dalla s.p.a., si prevede che i soci decidono su qualsiasi argomento sottoposto dagli amministratori alla loro approvazione o da tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale. Il modo di convocazione dell’assemblea è rimessa all’atto costitutivo, possono intervenire tutti i soci iscritti nel libro dei soci (anche se l’iscrizione è avvenuta il giorno stesso); il voto dei soci vale in misura proporzionale alla propria quota. L’assemblea è regolarmente costituita con tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale e delibera a maggioranza del capitale intervenuto; per le modifiche dell’atto costitutivo, dell’oggetto sociale o dei diritti sociali è richiesta l’approvazione di tanti soci che rappresentano almeno la

metà del capitale sociale. Le decisioni non prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo possono essere impugnate dai soci anche individualmente (a differenza che nella s.p.a.), nonché da ciascun amministratore e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei soci; identica disciplina per le decisioni adottate con voto determinante in conflitto d’interessi. Il tribunale può assegnare un termine, non superiore a centottanta giorni, per l’adozione di una nuova decisione che elimini la causa d’invalidità. Le decisioni aventi oggetto impossibile o illecito e quelle prese in assenza assoluta di informazione possono essere impugnate da chiunque vi abbia interesse entro tre anni.

In mancanza di diversa disposizione statutaria, l’amministrazione è affidata a uno o più soci, nominati con decisione dei soci, che restano in carica a tempo indeterminato. Quando è affidata a più persone, l’atto costitutivo può prevedere che gli amministratori non operino come c.d.a., bensì disgiuntamente o congiuntamente come nelle società di persone. Non si può però prescindere dal metodo collegiale per: 1la redazione del progetto di bilancio; 2di fusione e scissione; 3l’aumento di capitale per delega. Possono essere impugnate le decisioni del c.d.a. approvate con voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi, quando cagionino un danno alla società, entro novanta giorni dagli altri amministratori, dal collegio sindacale e dal revisore; nulla invece è disposto sulla comunicazione degli interessi degli amministratori. La disciplina in tema di azione di responsabilità degli amministratori è simile a quella della s.p.a., con la differenza che anche il singolo socio può promuoverla; e inoltre responsabili con gli amministratori sono anche i soci che hanno intenzionalmente deciso il compimento di alcuni atti dannosi.

L’atto costitutivo può prevedere la nomina di un collegio sindacale, obbligatoria solo se il capitale non è inferiore a quello minimo stabilito per le s.p.a. (centoventimila euro), o se ricorrono le condizione stabilite per la relazione del bilancio in forma abbreviata; nelle società in cui manca alcuni poteri di controllo propri del controllo sono riconosciuti direttamente ai soci che non amministrano la società.

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Infine, la disciplina dell’aumento reale del capitale sociale mediante nuovi conferimento ricalca quella della s.p.a., tuttavia il diritto di opzione può essere escluso solo se è previsto nell’atto costitutivo, e in tal caso i soci che non hanno consentito alla decisione possono recedere dalla società; non è inoltre consentito il quando l’aumento del capitale sociale è reso necessario da una riduzione dello stesso per perdite.

XXIII - Le società cooperative sono società a capitale variabile che si caratterizzano per lo scopo mutualistico: fornire beni o servizi od occasioni di lavoro direttamente ai membri dell’organizzazione a condizione più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato. Scopo che deve essere prevalentemente, ma non per forza esclusivamente mutualistico; se l’atto costitutivo lo prevede le cooperative possono svolgere attività con terzi finalizzata alla produzione di utili; è però incompatibile con lo scopo mutualistico l’integrale distribuzione ai soci degli utili prodotti. Importante distinzione è quella tra le società cooperative a mutualità prevalente e altre società cooperative, che non godono delle agevolazioni di carattere tributario. Le società coop. a mutualità prevalente si caratterizzano per la presenza di clausole statutarie che limitano la distribuzione di utili e riserve ai soci, e per la circostanza che la loro attività deve essere svolta prevalentemente a favore dei soci (coop. di consumo), ovvero deve utilizzare prevalentemente prestazioni lavorative dei soci (coop. di lavoro) o beni e servizi dagli stessi apportati (coop. di produzione e lavoro); tali condizioni di prevalenza vanno indicate nella nota integrativa. Perdono la qualifica di coop. a mutualità prevalente le società che per due esercizi non rispettino tali condizioni. La disciplina delle società coop. era in passato modellata su quella delle s.p.a., ma oggi si consente alle piccole coop. la disciplina delle s.r.l. (obbligatoria per le coop. con meno di nove soci). Necessario per la costituzione è che i soci siano almeno nove, sono tuttavia sufficienti tre persone fisiche se la società adotta le norme della s.r.l.; se il numero scende al di sotto del minimo e entro un anno non è reintegrato, la società si scioglie. Non possono essere soci quanti esercitano in proprio imprese in concorrenza con quella della cooperativa. L’atto costitutivo deve stabilire regole per lo svolgimento dell’attività con i soci che rispettino il principio della parità di trattamento, tale attività possa anche essere disciplinata da appositi regolamenti predisposti dagli amministratori ed approvati dall’assemblea straordinaria. Con l’iscrizione dell’atto costitutivo la società coop. acquista personalità giuridica. La disciplina per i conferimenti è uguale a quella delle s.p.a., a meno che venga adottata quella delle s.r.l.; il socio moroso può essere escluso dalla società, se cessa di farne parte risponde verso la stessa per un anno dal giorno in cui il recesso, l’esclusione o la cessione della quota si è verificata, e se entro quell’anno si manifesta l’insolvenza della società è tenuta a restituire quanto ricevuto per la liquidazione della quota o il rimborso delle azioni. Il creditore particolare del socio non può agire sulla quota o le azioni dello stesso, ne fare opposizione in caso di proroga della società. Nella società coop. la partecipazione può essere rappresentata da quote o da azioni, a seconda della disciplina scelta, ma nessun socio persona fisica può avere una quota superiore a centomila euro (elevabile al due per cento del capitale sociale nelle coop. con più di cinquecento soci). Le quote e le azioni dei soci cooperatori non possono essere cedute, con effetto verso la società, senza l’autorizzazione degli amministratori, il cui provvedimento deve essere comunicato al socio entro sessanta giorno dalla richiesta; il silenzio vale assenso. Il provvedimento che nega l’autorizzazione dev’esser motivato e il socio può fare opposizione al tribunale. L’atto costitutivo può vietare del tutto la trasferibilità di quote e azioni, salvo il diritto del socio di recedere dalla società con preavviso di novanta giorni e purchè siano trascorsi due anni dal suo ingresso in società. L’atto costitutivo può autorizzare gli amministratori ad acquistare o rimborsare quote o azioni solo nei limiti degli utili e delle riserve e solo quando il rapporto tra patrimonio netto e complessivo indebitamento sia superiore ad un quarto. L’atto costitutivo può autorizzare gli amministratori all’acquisto da parte della società di proprie azioni, purchè questo sia fatto nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili e che inoltre il rapporto tra il patrimonio netto e il complessivo indebitamento della società sia superiore ad un quarto. Oggi è prevista la figura dei soci sovventori: soggetti sprovvisti dei

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requisiti richiesti per partecipare all’attività mutualistica e il cui ruolo è esclusivamente quello di apportare il capitale di rischio necessario. I conferimenti dei soci sovventori sono rappresentati da azioni o quote nominative liberamente trasferibili, salvo lo statuto non disponga diversamente. L’atto costitutivo può inoltre prevedere in loro favore particolari condizioni per la ripartizione degli utili (ma non può essere maggiorata in misura superiore al due per cento rispetto agli altri soci) e la liquidazione; può inoltre attribuire a ciascuno di loro più voti, ma non oltre ai cinque, e inoltre i voti attribuiti ai soci sovventori non possono mai superare un terzo dei voti di tutti i soci. La maggioranza degli amministratori deve essere costituita da soci cooperatori. Altra soluzione per incentivare il capitale di rischio sono le azioni a partecipazione cooperativa: particolari azioni prive del diritto di voto ma privilegiate nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale. Anche alle società coop. è consentita l’emissione di obbligazioni e di strumenti finanziari. Nell’assemblea, ogni socio persona fisica ha diritto ad un solo voto (“una testa-un voto), qualunque sia il valore della quota o delle azioni possedute; ai soci persone giuridiche possono esser attribuiti fino a cinque voti. Hanno diritto di voto coloro che risultano iscritti nel libro dei soci da almeno novanta giorni. Il socio può farsi rappresentare in assemblea solo da altro socio; ciascun socio non può rappresentarne più di dieci. I quorum solo determinati liberamente nell’atto costitutivo. Nelle coop. con ampia compagine sociale e territorialmente articolate, l’atto costitutivo può prevedere il meccanismo delle assemblee separate (obbligatorie quando le società hanno più di tremila soci e svolgono l’attività in più province): le assemblee separate deliberano sulle stesse materie che formeranno oggetto dell’assemblea generale ed eleggono dei soci-delegati che parteciperanno a quest’ultima; l’assemblea generale delibera definitivamente sulle materie all’ordine del giorno. La nomina degli amministratori riprende il sistema tradizionale, ma l’atto costitutivo può prevedere diversamente, purchè la maggioranza resti di nomina assembleare. Il collegio sindacale è obbligatorio negli stessi casi delle s.r.l., e quando la cooperativa ha emesso strumenti finanziari non partecipativi. È prassi consolidata la previsione negli statuti di un altro organo: il collegio dei probiviri: cui è affidata la risoluzione di eventuali controversie fra soci o fra cosi e società, riguardanti il rapporto sociale o la gestione mutualistica. Le società coop. sono sottoposte al controllo del Ministero dello sviluppo economico; che in caso di irregolare funzionamento della società può revocare, sempre previa diffida, amministratori e sindaci e affidare la gestione ad un commissario governativo, determinandone poteri e durata; può inoltre disporre lo scioglimento della società se non la ritiene in grado di raggiungere il suo scopo o se per due anni non ha depositato il bilancio o non ha compiuto atti di gestione. La formazione del bilancio è assoggettata alla disciplina delle s.p.a., le coop. di maggiore dimensione e quelle che emettono obbligazioni devono sottoporlo a revisione obbligatoria. Cambia la riserva legale: il trenta per cento degli utili, e senza limiti di ammontare. Per tutte le coop. è vietato distribuire dividendi se il rapporto tra patrimonio netto e complessivo indebitamento societario non è superiore a un quarto. Per le coop. a mutualità prevalente sono previsti altri limiti nella distribuzione degli utili (es: divieto di distribuire riserve tra i soci cooperatori; obbligo di devolvere, in caso di scioglimento, l’intero patrimonio ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione), mentre per la altre è sufficiente che l’atto costitutivo fissi la percentuale massima dei dividendi ripartibili fra i soci cooperatori. Dagli utili vanno tenuti distinti i ristorni (ai quali non si applicano le limitazione per gli utili): rimborsi ai soci di parte del prezzo pagato per beni o servizi acquistati dalla coop. a prezzo di mercato, ovvero integrazione della retribuzione corrisposto per le prestazioni del socio. Le società coop. sono a capitale variabile: la variazione del numero e delle persone dei soci non comporta modificazione dell’atto costitutivo. L’ammissione di nuovi soci è deliberata dagli amministratori, su domanda dell’interessato. Il nuovo socio deve versare, oltre l’importo delle azioni o delle quote sottoscritte, anche il sovrapprezzo eventualmente determinato dall’assemblea in sede di approvazione del bilancio su proposta degli amministratori. Qualora la domanda non sia accolta dagli amministratori, l’interessato può chiedere che sull’istanza si pronunci l’assemblea. Il recesso è ammesso per legge quando l’atto costitutivo vieta la

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cessione delle quote o delle azioni, e nei casi previsti per la s.p.a. (o per la s.r.l.). L’esclusione può essere disposta dalla società: 1in caso di mancato pagamento delle quote o delle azioni; 2nei casi previsti per la società di persone; 3per gravi inadempienze del socio degli obblighi sociali o derivanti dal rapporto mutualistico; 4per mancanza o perdita dei requisiti previsti per la partecipazione alla società. L’esclusione deve essere deliberata dagli amministratori o, se lo prevede l’atto costitutivo, dall’assemblea va comunicata al socio, che può proporre opposizione al tribunale. In caso di morte del socio, il rapporto sociale si scioglie, salvo l’atto costitutivo non disponga la continuazione con gli eredi. La liquidazione della quota avviene secondo criteri stabiliti nell’atto costitutivo. Valgono per le coop. le cause di scioglimento previsti per le s.p.a., con la sola differenza che solo la perdita totale del capitale sociale ne è causa. Sono poi cause specifiche: la riduzione dei soci al di sotto del minimo, se non reintegrato entro un anno; e la liquidazione coatta amministrativa disposta dall’autorità governativa. Il residuo attivo della liquidazione nelle coop. a mutualità prevalente deve essere devoluto a fondi mutualistici. Le mutue assicuratrici sono società coop. nelle quali “non si può acquistare la qualità di socio, se non assicurandosi presso la società”; i soci sono obbligati verso la società al pagamento di contributi, che costituiscono nel contempo conferimento e premio di assicurazione.

XXV - La trasformazione omogenea è il passaggio da un tipo ad altro tipo di società, che continua a vivere in una rinnovata veste giuridica, conserva diritti e obblighi e prosegue in tutti i rapporti. È possibile la trasformazione di società di persone in società di capitali, e viceversa. È espressamente vietata la trasformazione di una società coop. prevalente in una società lucrativa, anche se deliberata all’unanimità. La trasformazione omogenea dev’essere deliberata secondo le modalità previste per le modificazioni dell’atto costitutivo; al fine di favorire la trasformazione di società di persone in società di capitali, se l’atto costitutivo non dispone diversamente, è richiesto il consenso solo della maggioranza dei soci. I soci che non hanno concorso alla delibera hanno diritto di recesso. La delibera di trasformazione deve rispondere ai requisiti di forma e di contenuto previsti per l’atto costitutivo del tipo di società prescelto; la delibera di trasformazione in società di capitali, al pari dell’atto costitutivo, è soggetta al controllo di legittimità del notaio che ha redatto il verbale e ad iscrizione nel registro delle imprese; completati tali adempimenti l’invalidità della trasformazione non può più essere pronunciata. Se in seguito alla trasformazione i soci assumono responsabilità illimitata è richiesto il consenso di tutti i soci che assumono tale responsabilità, che opera anche per le obbligazioni anteriori alla trasformazione. Se invece la responsabilità illimitata viene meno i soci non sono liberati dalla responsabilità per le obbligazioni anteriori all’iscrizione della delibera; è però previsto che il consenso dei creditori alla trasformazione vale come consenso alla liberazione di tutti i soci a responsabilità illimitata, e tale consenso si presume se ai singoli creditori è stata comunicata per raccomandata la delibera di trasformazione ed essi non hanno negato espressamente la loro adesione entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione. La trasformazione eterogenea non è disciplinata per quanto riguarda la società di persone; una società di capitali può invece trasformarsi in “consorzi, società consortili, coop., comunioni d’ azienda, associazioni non riconosciute (associazioni riconosciute no) e fondazioni” ed è richiesto il voto favorevole dei due terzi gli aventi diritto al voto oltre il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata. È anche prevista la trasformazione eterogenea in società di capitali. Diversamente dalle omogenee, le trasformazioni eterogenee hanno effetto solo dopo che siano decorsi sessanta giorni dall’ultimo adempimento pubblicitario richiesto, entro cui i creditori possono opporsi.

La fusione è l’unificazione di due o più società in una sola. La fusione in senso stretto è realizzata con la costituzione di una nuova società che prende il posto di tutte quelle che si fondono; la fusione per incorporazione mediante l’assorbimento in una società preesistente di una o più altre società. La società incorporante o che risulta dalla fusione assume diritti e obblighi delle società partecipanti, proseguendo in tutti i loro rapporti anteriori. Può aver luogo sia tra società dello stesso tipo (omogenea) che fra società o

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enti di tipo diverso (eterogenea). La fusione tra società eterogenee comporta la trasformazione di una o più delle società che si fondono. Non è consentita alle società che si trovano in stato di liquidazione e abbiano già iniziato la distribuzione dell’attivo. Prima fase è la redazione di un progetto di fusione, redatto dagli amministratori delle diverse partecipanti, nel quale sono fissate, sulla base di trattative, le modalità dell’operazione (tipo di società, atto costitutivo, rapporto di cambio di azioni o quote). Il progetto di fusione è soggetto a iscrizione nel registro delle imprese. Accanto vanno redatti altri tre documenti (per ciascuna partecipante): una relazione degli amministratori delle società partecipanti sulla situazione patrimoniale aggiornata della propria società; una relazione degli amministratori la quale illustri e giustifichi il progetto di fusione; una relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio. Progetto e documenti devono restare depositati in copia in ciascuna delle società partecipanti durante i trenta giorni che precedono l’assemblea e fino alla delibera. La delibera di fusione è decisa dalle società che vi partecipano mediante l’approvazione del progetto, rispettando le norme dettate per le modificazione dell’atto costitutivo. Nelle società di persone è richiesta la maggioranza dei soci. In caso di fusione eterogenea i soci che non hanno concorso alla deliberazione avranno diritto di recesso, riconosciuto invece solo per le s.r.l. in caso di fusione omogenea. La fusione può essere attuata solo dopo sessanta giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese dell’ultima delibera delle società che vi partecipano, entro tale termine i creditori possono opporsi al tribunale, sospendendo l’attuazione della fusione. Se nella fusione partecipano soci con responsabilità illimitata, resta ferma la loro responsabilità per le obbligazioni anteriori, a meno che non vengano liberati col consenso dei creditori. Il procedimento di fusione si conclude con la stipulazione dell’atto di fusione, redatto per atto pubblico. Eseguita l’iscrizione l’invalidità dell’atto non può più essere pronunciata.

Con la scissione il patrimonio di una società è scomposto e assegnato in tutto o in parte ad altre società, con contestuale assegnazione ai soci della prima di azioni o quote delle società beneficiarie. Beneficiari possono essere società di nuova costituzione (scissione in senso stretto) e o una o più società preesistenti (per incorporazione). Non è consentita la scissione di società in liquidazione. Gli amministratori delle società partecipanti alla scissione (anche le beneficiarie) devono redigere un unitario progetto di scissione, soggetto alla stessa pubblicità di quello di fusione. Con la scissione totale la società trasferente si estingue, le attività di incerta attribuzione sono ripartite tra le beneficiarie in proporzione della quota di patrimonio netto loro trasferita, le passività dubbie invece sono ripartite in solido fra loro. Nella scissione parziale invece le attività restano in testa alla trasferente, delle passività rispondono in solido sia queste sia le beneficiarie. I soci che non approvano la scissione hanno il diritto di fare acquistare le proprie partecipazioni dai soggetti indicati nel progetto di scissione per un corrispettivo determinato secondo le norme in tema di recesso. Le altre fasi sono identiche alla fusione. La scissione diventa efficace dalla data in cui l’ultima iscrizione dell’atto di scissione è stata eseguita.

XXVI - La società europea è una società per azioni, dotata di personalità giuridica, in cui ciascun socio risponde delle obbligazioni sociali esclusivamente nei limiti del capitale sottoscritto. La sua costituzione è consentita quando: 1si fondono s.p.a. soggette alla legge di Stati membri differenti (per fusione); 2due o più s.p.a., o s.r.l., che presentino un collegamento stabile con ordinamenti comunitari diversi ,promuovono la costituzione di una società europea holding al fine di sottoporsi a direzione unitaria (SE holding); 3due o più enti (anche non società) che presentano un collegamento stabile con ordinamenti comunitari diversi costituiscono una società europea controllata in comune (SE affiliata); 4è costituita una società europea affiliata da parte di un’altra società europea; 5una s.p.a. che controlli da almeno due anni una società soggetta alla legge di altro Stato comunitario si trasformi (trasformazione in SE). Il procedimento di costituzione è regolato dalla legge dello Stato della sede in tema di s.p.a., con conclusione di iscrizione in un registro (in Italia, registro delle imprese). La disciplina dell’assemblea riprende quella delle s.p.a. delle Stato della sede, ma il regolamento precisa che gli organi di direzione e vigilanza (sistema dualistico) o l’organo di

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amministrazione (sistema monistico) possono disporre la convocazione in qualsiasi momento. Hanno potere di convocazione o di integrazione dell’ordine del giorno anche gli azionisti che rappresentino il dieci per cento del capitale sociale. Le deliberazioni a maggioranza semplice dei voti, ma per le modificazioni dello statuto sono richiesti i due terzi; tali quorum si applicano solo le la legge dello Stato della sede non ne preveda di maggiori. Non è possibile organizzare l’amministrazione della SE secondo il sistema tradizionale. Si può organizzare o con sistema dualistico, che prevede un organo di vigilanza che ha funzione di controllo e un organo di direzione che gestisce la società sotto la propria responsabilità; o con sistema monistico, che prevede un solo organo di amministrazione, che gestisce la società. I componenti degli organi dei sistemi dualistici e monistici restano in carica per il periodo stabilito dallo statuto, che non può essere superiore ai sei anni, e sono rieleggibili. Non possono essere nominati i soggetti che la legge dello Stato della sede considera non eleggibili come componenti del corrispondente organo di una società per azioni. Se non diversamente disposto, gli organi sono regolarmente costituiti con la metà dei loro componenti e deliberano a maggioranza dei presenti. La SE si caratterizza per la necessaria presenza di forme di coinvolgimento dei lavoratori nella gestione, le cui modalità sono rimesse ad accordi fra i rappresentanti dei dipendenti e gli organi competenti delle società partecipanti alla costituzione. Tale procedura di negoziazione è avviata quando viene stabilito il progetto di convocazione, e a tal fine viene istituita un’apposita delegazione speciale di negoziazione composta dai rappresentanti dei lavoratori. Qualora non si raggiunga un accordo è prevista una specifica disposizione cui fare riferimento, applicabile solo se gli organi competente dichiarino di accettarla, fermo restando che, se rifiutano, la SE non può essere iscritta. La disposizione di riferimento prevede la costituzione di un organo di rappresentanza dei lavoratori che ha diritto al essere informato e consultato almeno una volta l’anno in merito all’evoluzione dell’attività e delle prospettive della società. Se erano invece già presenti forme di partecipazione dei dipendenti alla gestione, queste vanno conservate nella SE.

La società cooperativa europea è una società cooperativa, dotata di personalità giuridica, in cui i soci rispondono limitatamente o illimitatamente. Se lo statuto nulla prevede, la responsabilità è limitata. È caratterizzata dallo scopo mutualistico. Devono partecipare alla costituzione almeno cinque soci; è però ulteriormente richiesto che i soci fondatori presentino un legame con almeno due ordinamenti nazionali diversi. Il capitale sottoscritto non può essere inferiore a trentamila euro. In Italia l’atto costitutivo va redatto per atto pubblico, con iscrizione presso il registro delle imprese. Le partecipazioni dei soci sono rappresentate da quote obbligatoriamente nominative; è ammessa la creazioni di quote speciali dotate di diritti diversi, ma è previsto che nella medesima categoria le quote abbiano tutte lo stesso valore nominale ed attribuiscano gli stessi diritti. L’ingresso di nuovi soci può avvenire mediante trasferimento delle quote o con sottoscrizione di quote di nuova emissione. L’aumento di capitale non comporta modificazione dell’atto costitutivo in quanto il capitale delle società coop. è variabile. L’acquisto della qualità di socio coop. è soggetto ad approvazione dell’organo amministrativo; in caso di rifiuto, la decisione può essere impugnata davanti all’assemblea. È consentita la presenza di soci sovventori, su la cui ammissione delibera direttamente l’assemblea. La qualità di socio si perde per morte, recesso o esclusione. Il diritto di recedere spetta al socio che ha votato contro una modifica statutaria che: 1impone ai soci di effettuare nuovi conferimenti o altre prestazioni a favore della società, o aggrava gli obblighi esistenti; 2prolunga il termine di preavviso di recesso ad oltre cinque anni; 3trasferisce la sede sociale all’estero. Il recesso va dichiarato entro due mesi dalla delibera contestata. Il socio può essere escluso con delibera dell’organo amministrativo quando sia gravemente inadempiente ai propri obblighi o compia atti in contrasto con l’interesse della società. In caso di recesso, morte o esclusione il socio ha diritto esclusivamente al rimborso del valore nominale della quota, a meno che il capitale non si riduca al di sotto del minimo legale, altrimenti il pagamento resta sospeso. La società coop. europea può essere organizzata secondo il sistema dualistico

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oppure monistico, con disciplina identica a quella della SE. Nell’ assembla a ciascun socio è attribuito un solo voto, qualunque sia il numero delle quote che detiene. L’assemblea deve riunirsi almeno una volta l’anno, entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio per l’approvazione del bilancio. Le coop. europee con sede in Italia devono rispettare i vincoli alla distribuzione degli utili. Sono possibili i ristorni ai propri soci in proporzione degli scambi mutualistici realizzati con ciascuno.

XXVII - La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo. È un contratto consensuale con effetti reali. In alcuni casi gli effetti reali della vendita si producono in un momento successivo (effetti reali differiti), come nel caso di vendita di cose generiche, di cose future o di cosa altrui. Le obbligazioni del venditore sono: 1la consegna della cosa al compratore; 2fare acquistare la proprietà al compratore, se l’acquisto non ha effetto immediato; 3garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa. La vendita su documenti riguarda merci già consegnate ad un vettore per il trasporto o depositate in magazzini generali, per le quali viene rilasciato dal vettore o dal magazzino un titolo di credito rappresentativo; ne consegue che la vendita di tali merci può essere effettuata mediante trasferimento del relativo titolo, dato che il possesso dello stesso consente al compratore di rientrare in possesso della merce. Si ha evizione quando il compratore perde la proprietà della cosa acquistate o subisce una limitazione nel libero godimento della stessa, a seguito dell’azione giudiziaria di un terzo che vanta diritti sulla cosa. Se l’evizione è totale, il venditore dovrà rimborsare al compratore il prezzo pagato e le spese sostenute anche se immune da colpa, e sarà tenuto al risarcimento del danno se il fatto che ha prodotto l’evizione è a lui imputabile. Se l’evizione è parziale, il compratore ha diritto solo a una riduzione del prezzo, oltre al risarcimento danni. La garanzia di evizione può essere esclusa dalle parti. Il venditore deve sempre garantire la cosa dai vizi occulti (anche dai facilmente riconoscibili se aveva dichiarato che la cosa era immune da vizi). La garanzia per vizi può essere limitata o esclusa, ma il relativo patto è improduttivo di effetti se il venditore ha in mala fede taciuto i vizi della cosa. In presenza di vizi coperti da garanzia il venditore può chiedere la risoluzione del contratto (azione redibitoria), o la semplice riduzione del prezzo (azione redibitoria). Il venditore è inoltre obbligato al risarcimento danni se non prova di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa. Il compratore decade dalla garanzia se non denuncia i vizi entro otto giorno dalla scoperta e l’azione in ogni caso si prescrive in un anno dalla consegna. Va distinto dai vizi i occulti il caso di mancanza di qualità promesse o essenziali per l’uso cui la cosa è destinata: il compratore ha diritto ad ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento, con decadenza e prescrizione uguale ai vizi occulti; in caso invece di consegna di una cosa completamente diversa (aliud pro alio) l’azione di risoluzione per inadempimento non è soggetta né a decadenza né a prescrizione. Diversa ancora è la <<garanzia di buon funzionamento>>, che invece deve essere espressamente pattuita. Nelle vendite commerciali sono diffuse clausole particolari volte ad assicurare la presenza nella cosa venduta di specifiche qualità in modo da evitare successive controversie: vendita con riserva di gradimento, che si perfezione solo dopo che il compratore ha esaminato la merce ed ha comunicato al venditore che è di suo gradimento; vendita a prova, in cui il contratto è sottoposto alla condizione sospensiva che la merce abbia le qualità pattuite (contratto già perfetto, ma che produce i suoi effetti al verificarsi della condizione). Obbligazione principale del compratore è quella di pagare il prezzo convenuto. In caso di mancata determinazione del prezzo il contratto è nullo a meno che non si tratti di cose che il venditore vende abitualmente e in tal caso si presume che le parti abbiano voluto riferirsi al prezzo normalmente praticato dal venditore, o si tratti di cose che hanno un prezzo di borsa o di listino. Con la clausola di riserva di proprietà il compratore diventa titolare della cosa acquistata solo col pagamento dell’ultima rata del prezzo, fermo restando che il venditore non ne può disporre; rischi di perimento della cosa sono a carico del compratore fin dalla consegna; il mancato pagamento di una sola rata, che non superi l’ottava parte del prezzo, non dà luogo a

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risoluzione del contratto. Risolto il contratto, il venditore ha diritto alla restituzione della cosa, se rimane di sua proprietà. Fino al pagamento dell’ultima rata il compratore non può vendere la cosa, ne questa potrà essere aggredita dai suoi creditori.

XXVIII - Il contratto estimatorio è il contratto con il quale una parte consegna una o più cose mobili all’altra e questa si obbliga a pagarne il prezzo entro un termine stabilito, salvo che restituisca le cose.

La somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, verso il corrispettivo di un prezzo, ad eseguire a favore dell’altra parte prestazioni periodiche o continuative di cose. Se le parti omettono di specificare l’entità della prestazione, questa si intende corrispondente al normale fabbisogno del somministrato al tempo della conclusione del contratto. L’inadempimento di una delle parti relativo a singole prestazioni non legittima la risoluzione del contratto, possibile solo se l’inadempimento ha notevole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi inadempimenti. In deroga al diritto comune, è stabilito che se l’inadempimento del somministrato è di lieve entità, il somministrante non può sospendere l’esecuzione del contratto senza congruo preavviso. Con il patto di preferenza, il somministrato si obbliga a preferire, a parità di condizione, il somministrante qualora intenda stipulate un successivo contratto. È possibile inoltre apporre la clausola di esclusiva a favore di una o entrambe le parti.

I contratti di distribuzione sono contratti nei quali, a differenza della vendita o della somministrazione, è consentito ai produttori di coordinare e indirizzare l’attività dei rivenditori, limitandone la libertà decisionale in cambio di una posizione di privilegio, di regola costituita dall’esclusiva di rivendita in una certa zona. Nonostante le modalità di rivendita possono essere variamente articolate, nella pratica sono due le figure contrattuali standardizzata: la concessione di vendita e il contratto di affiliazione commerciale. Nella concessione di vendita, fermo restando che l’organizzazione dei singoli punti spetta ai concessionari, ai rivenditori è imposta: 1un’efficiente organizzazione di vendita; 2l’acquisto di quantitativi minimi di merce a scadenze determinate e la detenzione di un minimo di scorte e pezzi di ricambio; 3la pratica di prezzi e condizioni di vendita prestabiliti dal produttore; 4la fornitura di assistenza tecnica alla clientela dopo la vendita; 5controlli periodici da parte del concedente. Gli si applica per analogia la disciplina della somministrazione. L’affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, stipulato fra soggetti giuridicamente ed economicamente distinti, con cui l’affiliante concede verso corrispettivo all’affiliato la disponibilità di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale (marchi, insegne, diritti di autore, brevetti, assistenza tecnica, ecc.,) e inserisce lo stesso in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati prodotti o servizi. Si caratterizza rispetto alla concessione di vendita in quanto: 1può essere utilizzata in ogni settore di attività economica (e non solo nella vendita di beni); 2l’affiliato è sempre tenuto ad utilizzare i segni distintivi dell’affiliante; 3l’affiliato è tenuto ad utilizzare la formula commerciale (pubblicità, condizioni di vendita, ecc.) creata dall’affiliante. A tutela dell’affiliato, l’affiliante deve avere già sperimentato la propria formula commerciale sul mercato. L’affiliante è tenuto a mantenere la massima riservatezza in ordine al contenuto dell’attività oggetto dell’affiliazione commerciale. Il contratto di franchising deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità.

XXIX - L’appalto è il contratto con il quale una parte (l’appaltatore) assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio, verso corrispettivo in denaro. Obbligazione dell’appaltatore è quella di compiere l’opera o il servizio commessogli. Salvo diversa pattuizione è lui stesso a dover fornire la materia; se fornita dal committente, l’appaltatore deve denunziarne prontamente i difetti se vuole essere esonerato da responsabilità per vizi e difformità dell’opera dovuti al materiale. L’appaltatore non può apportare variazione alle modalità di esecuzione pattuite senza l’autorizzazione scritta del committente, a meno che non si tratti di modifiche necessarie. Il

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committente ha il diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e verificare a proprie spese lo stato degli stessi e. se dai controlli risulta che l’appaltatore non sta rispettando le modalità di esecuzione, il committente può fissare un congruo termine entro il quale l’appaltatore deve rispettare tali condizioni, decorso il quale il contratto è automaticamente risolto. Completata l’opera, il committente ha diritto di verificare l’opera compiuta; questo collaudo è anche un onere per il committente perché se non lo compie entro breve termine l’opera s’intende accettata. Con l’accettazione dell’opera: 1i rischi di perimento o deterioramento passano al committente; 2l’appaltatore ha diritto al pagamento del prezzo; 3l’appaltatore è liberato dalla garanzia per difformità e vizi riconoscibili purchè non li abbia taciuti in malafede. Il committente deve denunziare vizi e difformità, a pena di decadenza, entro sessanta giorni; l’azione si prescrive in due anni. Il committente può richiedere la risoluzione del contratto solo se difformità o vizi sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione, in caso contrario può chiedere a sua scelta l’eliminazione dei vizi a spese dell’appaltatore o una riduzione proporzionale del prezzo. Se l’appalto ha per oggetto la costruzione di edifici o altri immobili di lunga durata, si aggiunge la garanzia di dieci anni di durata dell’opera da parte dell’appaltatore. Obbligazione del committente è quella di pagare un corrispettivo in denaro; se non è stato stabilito dalle parti è determinato dal giudice. Se l’esecuzione diventa impossibile per causa non imputabile ad alcuna delle parti, il contratto si scioglie; il committente è però tenuto a pagare la parte dell’opera già compiuta, in proporzione all’intero prezzo pattuito, ma solo nei limiti in cui essa gli è utile. Solo al committente è consentito il recesso, possibile anche senza giusta causa, ma dovrà tenere indenne l’appaltatore non solo delle spese sostenute e dei mancati guadagni. La morte dell’appaltatore non scioglie il contratto, a meno che non sia stato stipulato intuitu personae. Il subappalto è un contratto di appalto stipulato fra l’appaltatore e un terzo, avente ad oggetto l’esecuzione della stessa opera o servizio dal primo assunti verso il committente. È possibile solo se dal committente autorizzato. La subfornitura è il contratto con il quale le grandi imprese industriali affidano ad altre imprese alcune fasi della lavorazione dei propri prodotti attraverso la stipulazione di contratti di regola inquadrabili nello schema dell’appalto. Nel contratto devono essere specificati i beni o servizi richiesti dal committente, il prezzo pattuito e i termini e le modalità di consegna. Il subfornitore è responsabile del funzionamento e della qualità della parte o dell’assemblaggio da lui prodotti; non è invece responsabile per i difetti di materiale o attrezzi fornitigli dal committente, purchè li abbia tempestivamente segnalati. È nulla ogni pattuizione contraria.

XXX - Col contratto di trasporto una parte (il vettore) si obbliga, verso corrispettivo, a trasportare persone o cose da un luogo ad un altro. La disciplina è diversa a seconda dell’oggetto del trasporto. Quella trasporto di persone riguarda esclusivamente la responsabilità del vettore: la conclusione del contratto non è soggetta a particolari condizioni ed è di regola accompagnata dal rilascio di un biglietto di viaggio (che è un semplice documento di legittimazione): il vettore si obbliga a non solo a trasportare l’avente diritto, ma anche a farlo arrivare indenne nel luogo di arrivo e ad evitare perdite o avarie alle cose che il viaggiatore porta con se. Il vettore, responsabili quindi per ritardi o sinistri, potrà liberarsi provando di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Sono nulle le clausole che limitano la responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore. Il trasporto di cose è contratto consensuale fra mittente e vettore, colui al quale la merce va consegnata nel luogo di arrivo può essere lo stesso mittente o un terzo. Il mittente è tenuto a fornire al vettore tutte le indicazioni necessarie per l’individuazione della cosa da trasportare e per l’esecuzione del trasporto; di regola contenuta in un apposito documento: la lettera di vettura, rilasciata dal mittente al vettore. Su richiesta del mittente il vettore è tenuto a rilasciare un duplicato della lettera di vettura o una ricevuta di carico, che provano il ricevimento della merce; tali documenti, se rilasciati con la clausola all’ordine, diventano titoli di credito rappresentativi della merce: il possessore legittimo potrà esercitare perciò tutti i diritti derivanti dal contratto di trasporto o trasferirle

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mediante girata del titolo, avendo inoltre diritto alla restituzione della merde dietro la riconsegna del titolo. Obbligo del mittente sarà quello di pagare il trasporto, a meno che con apposita clausola tale obbligo non sia stato posto a carico del destinatario. Il vettore risponde per la mancata esecuzione del trasporto o per il ritardo, per sottrarsi al risarcimento danni dovrà dimostrare che l’adempimento è dovuto a causa a lui non imputabile. Il vettore è inoltre responsabile per la perdita o l’avaria delle cose consegnategli, dal momento che le riceve a quello in cui le riconsegna, e può esonerarsi da tale responsabilità solo per le seguenti cause a lui non imputabili: caso fortuito, natura o vizi delle cose trasportate o del loro imballaggio, fatto del mittente o del destinatario; per tutte le altre cause equivoche o ignote il rischio resta a suo carico. Il trasporto tra più vettori può avere diverse forme giuridiche: 1 il sub trasporto, caso in cui il vettore non potendo provvedere direttamente si avvale di altri vettori con i quali stipula altrettanti contratti di trasporto, rimanendo però unico responsabile nei confronti del proprio mittente, e acquistando diritto di rivalsa verso i sub vettori; 2 il trasporto con rispedizione, caso in cui il vettore si obbliga ad eseguire il percorso solo per una parte e a stipulare contratti con altri vettori in nome proprio ma per conto del mittente, rimanendo responsabile solo per il proprio percorso;3 e il trasporto cumulativo, in cui più vettori si obbligano con un solo contratto ad eseguire il trasporto fino al luogo di destinazione ciascuno per un tratto di percorso, e nel caso di trasporto di persone ciascuno è responsabile solo per il proprio percorso, mentre nel trasporto di cose sono responsabili tutti in solido a meno che uno non dimostri che il fatto non è avvenuto nella propria tratta.

XXXI - Il deposito nei magazzini generali è un deposito regolare: il magazzino assume l’obbligo di custodire le cose ricevute e di restituirle in natura. Può anche avvenire <<alla rinfusa>>: cioè immagazzinando negli stessi locali partite omogenee di merci (carbone, grano, ecc.) consegnate da diversi depositanti, e il depositario sarà tenuto a restituire la stessa quantità di merce ricevuta prelevandola dalla formata. La responsabilità dei magazzini generali è aggravata rispetto a quella del comune depositario, infatti sono responsabili a meno che non provino la perdita, il calo o l’avaria della merce derivanti da caso fortuito, dalla natura delle merci, o da vizi delle stesse; perciò i danni derivanti da cause ignote sono a suo carico. A richiesta del depositante, i magazzini generali devono rilasciare una fede di deposito cui è unita una nota di pegno. La fede di deposito è un titolo di credito all’ordine rappresentativo della merce depositata: è perciò trasferibile mediante girata e attribuisce al possessore il diritto della riconsegna della merce. La nota di pegno ha solo la funzione di attestare che sulla merce depositata non sussiste diritto di pegno; se staccata dalla fede di deposito attesta un finanziamento garantito da pegno sulle merci depositate, e diventa un autonomo titolo di credito all’ordine. Il possessore della sola fede di deposito può perciò ritirare la merce solo depositando presso i magazzini la somma dovuta al creditore pignoratizio.

XXXII - Il mandato è il contratto con il quale una parte (mandatario) si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra parte (mandante). È con rappresentanza quando il mandatario è legittimato ad agire non solo per conto ma anche in nome del mandante: tutti gli effetti degli atti posti in essere dal mandatario in nome del mandante si producono in capo quest’ultimo. È senza rappresentanza quando il mandatario agisce per conto del mandante ma in nome proprio: il mandatario acquista diritti e assume obblighi nei confronti dei terzi; tuttavia il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato purchè non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario. Quando il mandato ha per oggetto cose mobili, il mandante può rivendicare quelle acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio: il mandatario è obbligato a ritrasferire al mandante le cose acquistate. I beni e i diritti destinati ad essere acquistati dal mandante non possono essere aggrediti dai creditori del mandatario purchè risulti, in modo legalmente certo, che il mandato o l’acquisto siano anteriori al pignoramento. Il mandato può essere gratuito. Il mandatario deve eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia; deve rispettare i limiti nel mandato fissati, e in caso contrario l’atto

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resta a suo carico, salvo che il mandante non lo approvi successivamente. Salvo patto contrario, il mandatario non risponde verso il mandante delle obbligazioni assunte dai terzi nei suoi confronti, a meno che, al momento della conclusione del contratto col terzo, non conosceva l’insolvenza di questo. Il mandante può in ogni momento revocare l’incarico conferito, dando un congruo preavviso se il mandato è a tempo indeterminato. Il mandatario può sempre rinunciare al mandato conferitogli, ma deve risarcire i danni al mandante se non sussiste giusta causa. Il mandato si estingue in caso di morte, interdizione o inabilitazione del mandante o del mandatario; non si estingue però quando ha per oggetto atti pertinenti all’esercizio dell’attività d’impresa e questa è continuata, salvo il diritto di recesso delle parti o degli eredi, né quando per la morte o la sopravvenuta incapacità del mandante quando è stato conferito anche nell’interesse del mandatario o di un terzo. Si estingue anche per fallimento del mandatario, qualora fallisca il mandante invece l’esecuzione è sospesa fino alla decisione del curatore.

La commissione è un mandato senza rappresentanza che ha per oggetto l’acquisto o la vendita di beni per conto del committente ed in nome del commissionario. Si riferisce quindi solo ad affari di compravendita. Al commissionario spetta una provvigione. Con lo star del credere il commissionario si rende responsabile nei confronti del committente per l’esecuzione dell’affare e quindi per l’adempimento del terzo; ma in tal caso la provvigione è maggiorata. A differenza che nel mandato, la commissione si scioglie di diritto in caso di fallimento tanto del committente quanto del commissionario.

La spedizione è un contratto di mandato con il quale lo spedizioniere si obbliga a concludere, in nome proprio o per conto del mandante, un contratto di trasporto, nonché a compiere le operazioni accessoria.

XXXIII - Con il contratto di agenzia una parte (l’agente) assume, stabilmente e verso retribuzione, l’incarico di promuovere contratti in un zona determinata. L’agente assume il nome di rappresentante di commercio quando, oltre a promuoverli, ha anche il potere di concludere direttamente i contratti in nome e per conto del proponente. L’agente di commercio opera avvalendosi di una propria autonoma organizzazione e a proprio rischio; per questo, anche se legato al preponente da un rapporto stabile,si differenza dagli ausiliari subordinati dell’imprenditore. Il contratto di agenzia può essere concluso anche verbalmente o per fatti concludenti; deve essere però provato per iscritto. Comporta un diritto di esclusiva reciproca per la zona prefissata. Nello svolgimento della propria attività professionale l’agente deve tutelare gli interessi del preponente ed agire con lealtà e buona fede. Di regola promuove solamente i contratti, ma il preponente può conferirgli la rappresentanza per la conclusione degli stessi. L’agente ha diritto ad un compenso, normalmente costituito da una percentuale sull’importo degli affari (provvigione); diritto che però sorge solo con la conclusione del contratto fra terzo e preponente, e che diventa esigibile solo dal momento in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la propria prestazione. L’agente ha diritto alla provvigione anche per gli affari conclusi direttamente dal preponente con terzi che l’agente aveva precedentemente acquisito come clienti o appartenenti alla zona. È oggi impossibile prevedere nel contratto di agenzia la clausola dello star del credere; possibile solo se concordata di volta in volta per singoli affari, e accompagnato da un apposito corrispettivo per l’agente con il limite che la garanzia assunta non dev’essere di ammontare più elevato della provvigione che per quell’affare l’agente avrebbe diritto di percepire. Il contratto d’agenzia può essere a tempo determinato o indeterminato, quando è determinato si trasforma in indeterminato se continua ad essere eseguito dalle parti dopo la scadenza del termine. Quando è indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dandone preavviso. All’atto dello scioglimento del rapporto, il preponente deve corrispondere all’agente un’indennità di fine rapporto, ma solo nel caso in cui il preponente continui a ricevere sostanziali vantaggi dalla relazione di affari con la clientela procurategli dall’agente. L’indennità non è dovuta quando il rapporto si sciolga per causa imputabile all’agente o quando, di accordo col preponente, questi ceda a terzi il contratto di agenzia. Il patto con cui si limita la

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concorrenza da parte dell’agente dopo lo scioglimento deve farsi per iscritto; la sua durata non può superare due anni e deve riguardare la stessa zona, clientela e genere di beni e servizi.

La mediazione è il contratto nel quale un soggetto (mediatore) mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza. Si differenzia da commissionari e agenti per la posizione di indipendenza rispetto alle parti a favore delle quali esplica l’attività intermediaria: nel caso di incarico conferitogli può in ogni momento disinteressarsi dell’affare. Il diritto del mediatore alla provvigione matura con la conclusione del contratto; diversamente dall’agente, il mediatore non corre perciò il rischio del buon fine dell’affare e ha diritto alla provvigione anche se le parti non danno esecuzione al contratto concluso; è necessario però che il contratto sia stato concluso per effetto del suo intervento. Di regola la provvigione è dovuta da ciascuna delle parti e, in mancanza di accordo, l’ammontare e la misura in cui ciascuna parte deve contribuire sono determinate dalla Camera di commercio. Non ha diritto alla provvigione il mediatore non iscritto negli appositi ruoli. Il mediatore è responsabile verso le parti se omette di far conoscere loro le circostanze a lui note, relative alla valutazione ed alla sicurezza dell’affare, che possono influire sulla conclusione dello stesso; risponde inoltre dell’autenticità della sottoscrizione delle scritture e dell’ultima girata dei titoli emessi per suo tramite. È di regola estraneo all’esecuzione del contratto, ma diventa della stessa responsabile quando tace ad un contraente il nome dell’altro.

XXXIV - Le imprese bancarie sono imprese commerciali la cui attività tipica, anche se non esclusiva, consiste nella raccolta del risparmio fra il pubblico (operazioni passive) e nell’esercizio del credito (operazioni attive). I contratti bancari devono essere redatti per iscritto; un esemplare del contratto deve essere consegnato al cliente in modo da assicurargli la conoscenza e la prova delle condizioni che regolano il rapporto; l’inosservanza della forma scritta comporta la nullità del contratto, che può esser però fatta valere solo dal cliente. Nei contratti d durata può essere pattuita la facoltà della banca di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali, oggi però solo a condizione che la modifica sia sorretta da un giustificato motivo. Le variazione unilaterali sfavorevoli verso i clienti sono inefficaci se non sono state dagli sessi specificatamente approvate. Infine, nei contratti di durata il cliente ha sempre la facoltà di recedere dal contratto senza penalità e senza spese di chiusura.

Il deposito bancario è la principale operazione passiva delle banche. Costituisce un tipo particolare di deposito irregolare, che si caratterizza per il necessario intervento di una banca in veste di depositario. Con questo contratto la banca acquista infatti la proprietà della somma ricevuta in deposito e si obbliga a restituirla nella stessa specie monetaria alla scadenza del termine convenuto (deposito vincolato) ovvero alla scadenza del depositante (deposito libero), con o senza preavviso. I tassi di interesse e le altre condizioni economiche devono risultare dal contratto. Oltre che in conto corrente, i depositi bancari si distinguono in semplici e a risparmio. I depositi semplici non possono essere alimentati da successivi versamenti e non prevedono la possibilità di prelevamenti parziali prima della scadenza; fra questo tipo rientrano i depositi rappresentati da buoni fruttiferi e certificati di deposito. I depositi a risparmio danno invece al depositante la facoltà di effettuare successivi versamenti e prelevamenti parziali, che possono però essere effettuati solo in contanti e, salvo patto contrario, solo presso la sede dov’è stato costituito il rapporto. Il libretto di deposito ha per legge valore probatorio: le annotazione sopra poste, firmate dall’impiegato della banca che appare addetto al servizio, fanno piena prova; è nullo ogni patto contrario. I libretti di deposito a risparmio possono essere nominativi, nominativi pagabili al portatore, al portatore.

L’apertura di credito è il contratto con il quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di denaro, per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato. Il cliente può utilizzare la

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somma messagli a disposizione dalla banca in una o più volte, può inoltre ripristinare la disponibilità con successivi versamenti. L’apertura può essere allo scoperto o assistita da garanzie a favore della banca.

L’anticipazione bancaria è una tipica operazione di finanziamento garantita da pegno. La garanzia è costituita esclusivamente da titoli o merci il cui valore è facilmente accertabile, e l’ammontare del credito dalla banca concesso è proporzionale al loro valore. In deroga al principio dell’indivisibilità del pegno, il beneficiario dell’anticipazione, anche prima della scadenza, può ritirare parte dei titoli o delle merci in proporzione delle somme rimborsate dalla banca, purchè il credito residuo risulti sufficientemente garantito. La banca, a sua volta, ha diritto di ottenere un supplemento di garanzia se il valore delle cose in pegno diminuisce di un decimo, in alternativa può vendere i titoli. L’anticipazione può essere propria, quando merci e titoli sono costituiti in pegno regolare (la banca non può disporre delle cose ricevute e deve restituire gli stessi titoli e la stessa merce) o impropria, quando i titoli sono costituti in pegno irregolare.

Lo sconto è il contratto con il quale la banca (scontante) anticipa al cliente (scontatario) l’importo di un credito verso terzi non ancora scaduto, decurtato dell’interesse. Il cliente a sua volta cede alla banca il credito stesso, salvo buon fine; lo scontato resta quindi obbligato se non paga il debitore ceduto.

Il conto corrente bancario prevede l’apertura della banca di un conto intestato al cliente nel quale vengono annotati mediante scritture contabili tutti i versamenti e i prelievi, e la somma algebrica degli stessi determina il credito di cui il cliente può disporre. Si innesta un’attività gestoria della banca per conto del cliente (c.d. servizio di cassa) nella quale la stessa deve utilizzare la diligenza del mandatario. È prevista l’immediata disponibilità delle somme risultanti a credito del cliente, ad eccezione di quelle derivanti da operazioni che comportano una successiva attività di incasso da parte della banca (es: versamenti di assegni bancari), per le quali l’importo è accredito con riserva di verifica e salvo buon fine, e il correntista non ne può disporre prima che la banca ne abbia conseguito l’incasso. Si distingue tra saldo contabile, determinato dalle annotazioni in conto delle diverse operazioni; saldo disponibile, che indica l’ammontare giornaliero del credito di cui il cliente può disporre; e saldo per valute, che rileva solo per il conteggio degli interessi. Sia il tasso di interessi a favore del cliente che quello a favore della banca vanno indicati nel contratto. È infine stato eliminato il fenomeno dell’anatocismo(calcolo degli interessi sugli interessi) a favore esclusivo delle banche. Il conto corrente, di regola a tempo indeterminato, comporta il diritto per il cliente di essere informato periodicamente sullo svolgimento del rapporto con l’estratto conto, ed entro sessanta giorni dal suo ricevimento può proporre opposizione, altrimenti si considera approvato. L’approvazione non pregiudica la possibilità per il correntista di impugnare l’estratto conto per errori di scritturazione, di calcolo, omissioni o duplicazioni nel termine decennale di prescrizione. Il conto corrente può essere intestato a più persone, con facoltà di operare congiuntamente o disgiuntamente. Un soggetto può avere presso la stessa banca più conti, che restano distinti e autonomi tra loro, ma nel caso un conto presenti un saldo attivo e l’altro un passivo, questi si compensano reciprocamente. Quando il conto corrente è a tempo indeterminato, come di regola accade, ciascuna delle parti può recedere dando un preavviso, di regola fissato in un giorno. Il conto corrente si scioglie anche per fallimento del correntista. È stato posto il problema relativo al far rientrare o meno nella categoria dei debiti liquidi ed esigibile sottoposti a revocatoria fallimentare le rimesse effettuate sul conto corrente bancario passivo; dopo vari interventi legislativi è stato stabilito che le banche, per le rimesse effettuate nel periodo sospetto (sei mesi antecedenti il fallimento), sono tenute a restituire al fallimento solo una somma pari alla differenza fra il massimo saldo negativo raggiunto nel periodo in cui opera la revocatoria e quello registrato alla data di apertura del fallimento (c.d. regola del massimo scoperto).

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La fideiussione omnibus è una garanzia che assicura alla banca l’adempimento di qualsiasi obbligazione, anche futura, assunta dal cliente garantito. La sua funzione è assicurare alla banca il recupero del credito concesso al cliente. È tuttavia invalida la fideiussione omnibus che per obbligazioni future non stabilisce l’importo massimo garantito. Il fideiussore è tenuto a pagare immediatamente alla banca, a semplice richiesta scritta, quanto dovutole. Ispirato alla medesima finalità è il pegno omnibus, in base al quale i beni costituiti a garanzia di un determinato rapporto possono essere utilizzati dalla banca per tutti i crediti, presenti e futuri, vantati dalla stessa nei confronti del cliente.

Le garanzie bancarie autonome rappresentano invece il fenomeno dell’intervento di una banca come garante. Si caratterizzano per l’obbligo di pagamento <<a prima richiesta>> da parte della banca, senza che il beneficiario sia tenuto a provare l’inadempimento della controparte, e l’autonomia della garanzia (che la differenzia dalla fideiussione), in quanto la banca è obbligata anche se l’obbligazione del debitore principale non è venuta ad esistenza è divenuta impossibile. In caso di comportamento doloso del beneficiario (es: garanzia azionata nonostante l’avvenuto pagamento del debitore principale), la banca escussa può ottenere la sospensione della garanzia invocando l’exceptio doli.

I servizi di custodia delle banche si dividono in due figure: il deposito titoli in amministrazione la banca, dove questa, oltre all’obbligo di custodire i titoli ricevuti (deposito regolare), assume l’incarico di provvedere all’esercizio di tutti i diritti inerenti ai titoli stessi; e il servizio di cassette di sicurezza, che la banca mette a disposizione del cliente, munendola di doppia chiave (una per se stessa e una per il cliente) necessarie entrambe per l’apertura della stessa; il contenuto resta però ignoto alla banca, che però risponde dell’idoneità e la custodia dei locali e per l’integrità della cassetta, a meno che non fornisca la prova positiva che l’evento dannoso era imprevedibile ed inevitabile con la diligenza professionale.

XXXV – Il leasing è un contratto che intercorre fra un’impresa finanziaria (la società di leasing) e chi ha bisogno di beni strumentali per la propria impresa. La forma più diffusa è il leasing finanziario: si conclude nell’ambito di un’operazione trilaterale alle quali partecipano la società di leasing (concedente), l’impresa interessata all’utilizzo del bene (utilizzatore) ed un’impresa che produce o distribuisce il bene stesso (fornitore). L’impresa di leasing acquista dal fornitore il bene desiderato dall’utilizzatore e lo cede in godimento a questi stipulando un contratto (di leasing): il godimento è concesso per un periodo di tempo determinato; come corrispettivo l’utilizzatore deve corrispondere un canone periodico; all’utilizzatore è riconosciuta la facoltà di acquistare la proprietà del bene alla scadenza del contratto pagando un prezzo determinato. Con apposite clausole, tutti i rischi connessi al godimento del bene sono posti a carico dell’utilizzatore (differenza con locazione con patto di futuro acquisto della proprietà). È previsto che l’impresa di leasing ha diritto di chiedere la risoluzione del contratto anche in caso di mancato pagamento di un solo canone, e ha diritto di trattenere integralmente i canoni riscossi, quale ne sia l’ammontare, salvo il risarcimento dei maggiori danni (differenza dalla vendita con riserva di proprietà); solitamente predeterminati nell’ammontare dei canoni residui e nel prezzo di opzione. La Corte di Cassazione ha però introdotto una distinzione tra leasing tradizionale o di godimento (beni strumentali di impresa, che si consumano di regola parallelamente alla durata del contratto, alla cui scadenza il bene avrà un valore economico minimo) e leasing impuro o traslativo (beni di consumo durevoli) sostenendo che solo per i primi è applica il trattenimento dei canoni riscossi e del risarcimento danni, mentre per i secondi l’utilizzatore dovrà corrispondere solo un equo compenso, in quanto il bene non ha perso di valore. In caso di fallimento dell’utilizzatore il contratto rimane sospeso fino alla decisione del curatone; se questo subentra il concedente diventa creditore della massa, se opta per lo scioglimento il concedente ha diritto al restituzione del bene e può trattenere i canoni riscossi non soggetti a revocatoria fallimentare. Nel leasing operativo i beni sono concessi direttamente dal produttore, che si obbliga anche a fornire una serie di

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servizi collaterali (es: assistenza). Nel leasing di ritorno (lease-back) un imprenditore vende i propri beni ad una società di leasing che ne paga il prezzo; quest’ultima stipula col venditore un contratto di leasing avente ad oggetto gli stessi beni, questi restano perciò nella disponibilità del venditore, che pagherà i canoni di leasing e potrà riacquistarli alla scadenza esercitando la relativa opzione.

Il factoring è un contratto con il quale l’imprenditore cedente (fornitore) cede in massa al factor tutti i propri crediti presenti e futuri derivanti dai contratti stipulati nell’esercizio dell’impresa o anche solo quelli derivanti da determinati operazioni; il factor a sua volta si obbliga a gestire, contabilizzare e riscuotere i crediti cedutigli. Nell’accorso deve essere specificato il (futuro) debitore ceduto e la cessione può avere per oggetto solo crediti che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo non superiore a ventiquattro mesi. La cessione avviene di regola pro solvendo: il cedente garantisce la solvenza del debitore ceduto; il cessionario può tuttavia rinunciare alla garanzia della solvenza (pro soluto) assicurando il pagamento del credito anche in caso di inadempimento del debitore.

La cartolarizzazione dei crediti è un’operazione volta a facilitare lo smobilizzo di masse di crediti mediante l’incorporazione in titoli di credito di massa destinati ad essere sottoscritti da investitori professionali; l’emittente i titoli risponde del pagamento degli stessi non con tutto il suo patrimonio, ma esclusivamente con il flusso finanziario (interessi, rimborsi) derivanti dai crediti che sono a base dell’operazione di cartolarizzazione, sugli investitori viene a gravare il rischio dell’insolvenza dei debitori originari.

Le carte di credito sono documento che consentono al titolare di acquistare beni o servizi senza pagamento immediato del prezzo. Vanno distinti le carte bilaterali, rilasciate dalle stesse imprese fornitrici di beni e servizi (es: grandi magazzini) che consentono di effettuare acquisti in tutti i punti vendita dell’emittente con differimento del pagamento, e le carte trilaterali (es: Visa), in cui l’emittente paga ai fornitori quanto loro dovuto dai titolari della carta e a scadenza periodiche si fa poi rimborsare da quest’ultime quanto pagato dai primi per loro conto, e per il servizio percepisce un compenso sia dai fornitori sia dagli acquirenti. Il meccanismo delle carte trilaterali è reso possibile dalla stipulazione preventiva dell’emittente con i fornitori (convenzione di abbonamento) e con gli utilizzatori della carta (convenzione di rilascio).

La moneta elettronica è un valore monetario rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente, memorizzato su un dispositivo elettronico ed accettato come mezzo di pagamento da soggetti diversi dall’emittente stesso. Avviene dietro versamento da parte del richiedente dell’importo corrispondente, ed è utilizzabile presso gli esercizi commerciali convenzionati. Il titolare ha diritto di ottenere il rimborso delle somme non utilizzate, secondo le modalità previste dal contratto.

XXXVI - I servizi di investimento comprendono una serie di attività che hanno per oggetto valori mobiliari ed altri strumenti finanziari: compravendita degli stessi, collocazione sul mercato di nuove emissioni, gestione di patrimoni mobiliari, raccolta di ordine di acquisto e vendita. L’esercizio nei confronti del pubblico dei servizi di investimento è riservato alle Sim, alle banche e alle imprese di investimento estere. Le società di intermediazione mobiliare (Sim) devono essere costitute esclusivamente nella forma di s.p.a., devono avere un capitale versato non inferiore a quello determinato in via generale dalla Banca d’Italia e devono essere preventivamente autorizzate dalla Consob, sentita la Banca d’Italia, all’esercizio di uno o più servizi d’investimento. Gli intermediari devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità del mercato. Tutti i contratti relativi ai servizi di investimento devono essere redatti in forma scritta a pena di nullità, che può esser fatta valere solo dal cliente. L’attuale disciplina fissa per tutti i servizi di investimento il principio che gli strumenti finanziari ed il denaro dei singoli clienti costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’intermediario e degli altri clienti. E ancora, come regola generale, nell’offerta al pubblico fuori sede le Sim devono avvalersi esclusivamente dell’opera

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di promotori finanziari. La gestione di portafogli è un’operazione con la quale il cliente affida all’intermediario una determinata somma di denaro perché la investa in strumenti finanziari secondo criteri concordati; essi sono gestiti attraverso successive operazioni di investimento e disinvestimento tese ad incrementare il valore patrimoniale mobiliare. Il cliente può sempre impartire istruzioni vincolanti sulle operazioni e può recedere dal contratto in ogni momento; è nullo ogni patto contrario. Il patrimonio conferito dal cliente costituisce patrimonio separato da quello dell’impresa.

Gli organismi di investimento collettivo sono organismi che investono in strumenti finanziari o in altre attività di raccolta fra il pubblico dei risparmiatori operando secondo criteri di gestione fondati sul principio della ripartizione dei rischi. Nel nostro ordinamento sono previste due forme giuridiche: fondi comuni di investimento e società di investimento a capitale variabile (Sicav). Nei fondi comuni di investimento gli investitori (partecipanti al fondo) non diventano soci della società di gestione che provvede all’investimento collettivo; le somme versate e la attività in cui le stesse sono investite costituiscono patrimonio autonomo (il fondo comune) diverso da quello della società di gestione, e in cambio di queste gli investitori ricevono quote di partecipazione al fondo (tutte di uguale valore e che attribuiscono uguali diritti), e non azioni della società di gestione. Nei fondi aperti gli investitori possono sottoscrivere in ogni momento le quote del fondo, il cui ammontare non è quindi predeterminato; nel contempo i partecipanti in ogni momento possono ottenere il rimborso della propria quota. Nei fondi chiusi invece, l’ammontare del fondo è predeterminato, dev’essere raccolto mediante una o più emissioni di quote che devono essere sottoscritte entro diciotto mesi, e il diritto al rimborso può avvenire solo a scadenze predeterminate; i fondi chiusi non possono avere durata superiore ai trent’anni. L’iniziativa per l’istituzione dei fondi comuni è riservata alle società di gestione del risparmio (Sgr): costituite in forma di s.p.a. e soggette alla preventiva autorizzazione alla svolgimento dell’attività da parte della Banca d’Italia sentita la Consob, e soggette alla vigilanza di entrambe. Per ogni fondo istituito la Sgr deve predisporre un apposito regolamento soggetto all’approvazione della Banca d’Italia, al pari delle modificazioni dello stesso. Le somme versate dai partecipanti, i titoli, le altre attività con le stesse acquistate costituiscono il patrimonio del fondo comune; ciascun fondo comune di investimento costituisce patrimonio autonomo. La Sgr (e solo essa) è per legge investita del potere di decidere tutti gli atti di amministrazione e di disposizione del patrimonio del fondo, senza possibilità di ingerenza da parte degli investitori; deve operare con diligenza, trasparenza e correttezza nell’interesse dei partecipanti del fondo; è infine soggetta a limitazioni e divieti fissati dalla Banca d’Italia al fine di assicurare il contenimento ed il frazionamento del rischio. Ciascun partecipante, nei limiti del proprio interesse, può ottenere il risarcimento dei danni arrecati al fondo comune per mala gestio. È infine necessaria la presenza di una banca depositaria, alla quale deve essere affidata la custodia degli strumenti finanziari e delle disponibilità liquide del fondo; la stessa è tenuta ad accertare che le operazioni disposte dalla Sgr siano conformi alla legge e al regolamento e, in caso di violazione, può rifiutarsi di eseguire le operazioni che riceve. La contabilità della Sgr è soggetta a recisione contabile obbligatoria. Anche la banca depositaria è responsabili nei confronti della Sgr e dei partecipanti per ogni pregiudizio ad essi recato in conseguenza dell’inadempimento dei propri obblighi. I fondi pensione costituiscono forme di previdenza collettiva di natura privata per l’erogazione ai lavoratori e ai liberi professionisti di trattamenti pensionistici integrativi di quelli corrisposti dal sistema obbligatorio pubblico; il loro patrimonio è investito in valori mobiliari o altre attività finanziarie rispettando il criterio di ripartizione dei rischi. Il fondo può procedere direttamente solo alla sottoscrizione o all’acquisto di partecipazioni in società immobiliari e di quote di fondi comuni di investimento chiusi; la gestione degli altri investimenti dev’essere affidata ad intermediari specializzati (Sim, banche autorizzate, Sgr). Le società di investimento a capitale variabile (Sicav) sono s.p.a. nei quali l’investimento da parte dei risparmiatori avviene attraverso la sottoscrizione delle azioni emesse da tale società; gli investitori diventano perciò azionisti della Sicav e le somme da loro

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versate entrano a far parte del patrimonio sociale (non si costituisce quindi patrimonio separato). Inoltre, essendo le Sicav a capitale variabile è possibile in ogni momento l’ingresso e l’uscita dei soci senza che le corrispondenti variazioni di capitale comportino una modifica dell’atto costitutivo; l’emissione, al pari del rimborso, deve avvenire con la periodicità indicata nello statuto. La costituzione delle Sicav dev’essere preventivamente autorizzata dalla Banca d’Italia, sentita la Consob, e inoltre è richiesto per legge un capitale iniziale non inferiore a quello stabilito dalla Banca d’Italia (ad oggi, un milione di euro). Il capitale sociale deve essere interamente versato al momento della sottoscrizione, non sono ammessi conferimenti in natura; non è inoltre consentita la costituzione per pubblica sottoscrizione. Ogni modifica dello statuto deve essere preventivamente approvata dalla Banca d’Italia. Anche per le Sicav è necessaria una banca depositaria. Le azioni possono essere nominative o al portatore a scelta del sottoscrittore; mentre però per le azioni nominative ogni azione attribuisce un voto, le azioni al portatore attribuiscono un solo voto per ogni socio, indipendentemente dal numero delle azioni; è possibile convertire in qualsiasi momento azioni da una categoria all’altro, cambiando così il proprio peso in assemblea. Lo statuto può prevedere più comparti d’investimento, per ognuno dei quali è emessa una categoria di azioni, e ciascun comparto costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti da quello degli altri comparti. Nelle Sicav sono soppressi i quorum costitutivi dell’assemblea ordinaria e di quella straordinaria in seconda convocazione.

Costituisce offerta al pubblico di prodotti finanziari ogni comunicazione rivolta a persone, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, che presenti sufficienti informazioni sulle condizioni dell’offerta e i prodotti finanziari offerti così da mettere un investitore in grado di decidere di acquistare o di sottoscrivere tali prodotti finanziari. Coloro che intendono effettuarla devono prima pubblicare un prospetto informativo, dopo che questo sia stato approvato dalla Consob. Il prospetto informativo deve contenere tutte le informazioni necessarie, e la legge riconosce all’investitore il risarcimento del danno per aver fatto ragionevole affidamento sulla veridicità e completezza delle stesse entro due anni da quando ha scoperto la falsità o le omissioni del prospetto. Coloro contro i quali l’azione è proposto possono esonerarsi solo fornendo la non facile prova d’aver adottato ogni diligenza allo scopo di assicurare che le informazioni fossero conformi ai fatti e non presentassero emissioni in tal senso. La Consob definisce le modalità di svolgimento dell’offerta al fine di assicurare la parità di trattamento tra i destinatari. La disciplina dell’offerta al pubblico di prodotti finanziari non trova applicazione quando l’offerta è rivolta ai soli investitori qualificati (banche, Sgr, Sim, Sicav, ecc.), o a un numero di soggetti non superiore a quello indicato dalla Consob (oggi, 100), o l’ammontare complessivo non superi quello fissato dalla Consob (oggi, 2.500.000 euro).

XXXVII – Il mercato mobiliare risponde al duplice scopo di agevolare la conclusione e l’esecuzione dei relativi contratti di compravendita e del formarsi di prezzi ufficiali significativi degli strumenti finanziati scambiati. Il più antico e importante in Italia è la borsa valori.

I contratti di borsa sono contratti standardizzati che (di regola) hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di un determinato quantitativo di valori mobiliari (azioni, obbligazioni, quote di fondi comuni) individuati solo nel genere (es: 1000 azioni Fiat), la cui esecuzione è differita ad una scadenza predeterminata. La negoziazioni in borsa è riservata per legge a determinate categorie di intermediari professionali; chi intende acquistare o vendere titoli quotati in borsa è tenuto perciò a conferire ad uno di questi apposito incarico scritto di acquisto o di vendita (c.d. ordine di borsa). I contratti di borsa di distinguono in contratti a contanti e a termine. Per i contratti a contanti è prevista l’esecuzione entro un termine massimo che decorre dalla conclusione di ciascun contratto: termine attualmente fissati in tre giorni dal regolamento di borsa; la loro liquidazione per compensazione avviene con cadenza giornaliera. Nei contratti a termine la liquidazione era unica per tutti i contratti conclusi in un determinato periodo (mese di borsa) e avveniva con cadenza mensile in un giorno fissato dal calendario di borsa, con la consegna

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dei titoli ed il pagamento del prezzo del giorno in cui il contratto era stato concluso. A partire dal 1996, i tradizionali contratti a termine legati alla liquidazione mensile hanno cessato di esistere. Oggi per le operazioni puramente speculative esiste un nuovo mercato a termine in cui due sono le forme previste: i futures, contratti a termine con i quali le parti si obbligano a scambiarsi alla scadenza un certo quantitativo di determinate attività finanziare a un prezzo prestabilito; e le opzioni, contratti in cui una delle parti, dietro pagamento di un corrispettivo, acquisisce la facoltà di acquistare o di vendere un certo quantitativo di determinate attività finanziare ad un prezzo prestabilito, entro un termine concordato o alla scadenza.

Il riporto è un contratto con il quale una parte (il riportato) trasferisce in proprietà all’altra parte (riportatore) titoli di credito di una data specie per un determinato prezzo; nel contempo il riportatore si obbliga a trasferire, ad una determinata scadenza, la proprietà di altrettanti titoli della stessa specie, verso rimborso di un prezzo che può essere aumentato o diminuito nella misura convenuta. È un contratto reale.

XXXVIII - Col contratto di assicurazione l’assicuratore si obbliga, verso pagamento di un premio, a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro (assicurazione contro i danni), oppure a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana (assicurazione sulla vita umana). Attualmente, l’attività assicurativa può essere esercitato solo da s.p.a., società coop. per azione e società di mutua assicurazione; l’inizio dell’attività è subordinato alla preventiva autorizzazione dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (Isvap). Il contratto di assicurazione stipulato con un’impresa non autorizzata è nullo, ma la nullità può esser fatta valere solo dall’assicurato. Le società che svolgono tale attività non possono esercitarne di diverse (escluso anche l’esercizio cumulativo dell’assicurazione danni e dell’assicurazione vita). Per salvaguardare il rischio di insolvenza è poi prescritta la costituzione di riserve tecniche per far fronte ad eventuali impegni futuri. Il rischio ed il premio sono gli elementi essenziali di. Il contratto è nullo se il rischio non sia mai esistito o abbia cessato di esistere prima della conclusione del contratto. In caso di dichiarazioni inesatte o di reticenze in seguito a dolo o colpa grave dell’assicurato, l’assicuratore può chiedere l’annullamento del contratto; se lo richiede entro tre mesi dalla scoperta non deve nessun indennizzo, se dopo avrà solo una riduzione proporzionale dell’indennizzo. Il premio è il corrispettivo dovuto dall’assicuratore, dev’essere pagato anticipatamente, in unica soluzione o in rate periodiche; se non è pagato alle scadenze convenute l’assicurazione resta sospesa, e il contratto si risolve di diritto se, nel termine di sei mesi, l’assicuratore non agisce per la riscossione. Il contraente può agire in veste di rappresentante dell’assicurato, in questo caso sono previste però due deroghe rispetto alla disciplina generale della rappresentanza quando il contratto è stipulato da un rappresentante senza poteri: l’interessato può ratificare anche dopo il verificarsi del sinistro, così fruendo ugualmente della copertura assicurativa; il rappresentante senza poteri è tenuto personalmente a pagare i premi e ad osservare gli altri obblighi derivanti dal contratto fin quando l’interessato non abbia ratificato e rifiutato la ratifica. Il contratto di assicurazione è un contratto consensuale, ma dev’essere provato per iscritto; l’assicuratore è perciò obbligato a rilasciare al contraente la polizza di assicurazione o altro documento da lui sottoscritto. La polizza di assicurazione può essere nominativa e in tal caso ha solo funzione probatoria, può però essere all’ordine o al portatore, e in tal caso si consente anche il trasferimento del credito verso l’assicuratore, ma con gli effetti propri della cessione; si tratta perciò di titoli impropri. Nell’assicurazione contro i danni l’assicuratore si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro. È dominata dal principio indennitario: l’indennizzo dovuto dall’assicuratore non può superare il danno sofferto dall’assicurato. Ed il danno risarcibile è di regola costituito solo dalla perdita subita (danno emergente), non anche dal mancato guadagno (lucro cessante). Ancora, l’indennizzo non può superare il valore che le cose perite o danneggiate hanno al tempo del sinistro. In caso di assicurazione contratta per somma superiore al valore della cosa, se vi è stato dolo da parte dell’assicurato il contratto è annullabile; se non vi è stato dolo l’assicuratore dovrà

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risarcire il danno del minor valore assicurabile e il contraente avrà diritto di ottenere per il futuro una proporzionale riduzione del premio. L’ipotesi di assicurazione parziale si ha invece nel caso in cui la cosa sia assicurata per somma minore del proprio valore reale (es: VR: 200 VA: 100), l’assicuratore risponde dei danni solo in maniera proporzionale alla parte assicurata (es: Danno 100 Assicurazione: 50). L’assicurato ha l’obbligo di informare l’assicurazione del sinistro entro tre giorni e fare quanto possibile per il salvataggio delle cose assicurate, se non adempie a questi obblighi perde il diritto all’indennità. Anche in caso di pluralità di assicurazioni sullo stesso bene, quanto ricevuto come risarcimento non deve superare il valore reale del bene. L’assicurazione della responsabilità civile è un tipo particolare di assicurazione contro i danni; con essa l’assicuratore si obbliga, nei limiti previsti dal contratto (c.d. massimale) a tenere indenne l’assicurato di quanto questi dovrà pagare a terzi a titolo d risarcimento danni a causa di eventi che comportano una responsabilità civile dell’assicurato stesso, esclusa solo la responsabilità dovuta a fatti dolosi. L’assicuratore ha solo la facoltà di pagare direttamente al danneggiato ed è obbligato al pagamento diretto solo se l’assicurato lo richiede. Il danneggiato non può agire direttamente contro l’assicuratore ne chiamarlo in causa, facoltà che spetta solo all’assicurato. Nell’assicurazione per automobili (che è obbligatoria per legge) però il terzo danneggiato può agire direttamente verso l’assicuratore nei limiti massimali della polizza; tale azione non preclude quella contro l’assicurato. Nell’assicurazione sulla via l’assicuratore si obbliga a pagare al beneficiario un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana. È svincolata dal principio indennitario, e il capitale o la rendita possono essere liberamente determinati dalle parti e sono in ogni caso dovuti dall’assicuratore al verificarsi dell’evento previsto. L’indennità dovuta dall’assicuratore è commisurata solo all’ammontare dei premi pagati e dev’esser corrisposta per l’intero qualora l’eventi si verifichi. L’assicurazione sulla vita può esser stipulata non solo sulla propria, ma anche su quella di un terzo; è esclusa però la possibilità di assicurare la morte di un terzo, senza il consenso scritto di questo.

L’associazione in partecipazione è il contratto con il quale una parte (l’associante) attribuisce all’altra (l’associato) una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari, verso il corrispettivo di un determinato apporto. L’apporto dell’associato entra a far parte del patrimonio dell’associante (non c’è quindi separazione patrimoniale); i terzi acquistano diritti e assumono obblighi soltanto verso l’associante, al quale spetta esclusivamente la gestione dell’impresa. L’associato ha diritto alla partecipazione agli utili (spettante al capitale apportato se non diversamente pattuito) e partecipa alle perdite nella stessa misura, ma nei limiti del valore del suo apporto. L’associato ha inoltre diritto a ricevere il rendiconto dell’affare compiuto o del rendimento annuale se l’affare si protrae per più di un anno. Salvo patto contrario, l’associante non può attribuire partecipazione per la stessa impresa o per lo stesso affare ad altre persone senza il consenso dei precedenti associati.

XL - I titoli di credito sono documenti destinati alla circolazione che attribuiscono diritto a una determinata prestazione. La loro funzione è quella di rendere più semplice, rapida e sicura la circolazione dei diritti di credito, neutralizzando i rischi e gli inconveniente che al riguardo presenta la disciplina della cessione del credito, attraverso una finzione giuridica che consiste nel ritenere che oggetto di circolazione sia il documento (cosa mobile, per le quali vale il principio “possesso di buona fede vale titolo”) anziché il diritto in esso menzionato. Quattro sono i principi cardine della disciplina generale dei titoli di credito: autonomia del diritto, chi acquista in buona fede il possesso del titolo non è soggetto a rivendicazione, anche in caso di acquisto a non domino (ad esempio, da un ladro); letteralità, chi acquista un titolo di credito acquista il diritto il cui contenuto è determinato esclusivamente dal tenore letterale del documento; legittimazione, chi ha conseguito il possesso materiale del titolo di credito, è senz’altro legittimato all’esercizio del diritto cartolare in esso contenuto; i vincoli (pegno, sequestro, pignoramento, ecc.) non hanno effetto se non risultano dal titolo.

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La creazione e il rilascio di un titolo di credito trovano giustificazione in un preesistente rapporto fra emittente e primo prenditore (c.d. rapporto fondamentale o causale) ed in un accordo fra gli stessi con cui si conviene di fissare nel titolo la prestazione dovuta in base a tale rapporto. La dichiarazione risultante dal titolo di credito costituisce il rapporto cartolare ed il diritto dalla stessa riconosciuto al prenditore del titolo il diritto cartolare destinato a circolare. Sono titoli astratti quelli che possono essere emessi in base ad un qualsiasi rapporto fondamentale e che non contengono nessuna menzione del rapporto che in concreto ha dato luogo alla loro emissione (es: la cambiale); il contenuto del diritto cartolare è determinato esclusivamente dalla lettera del titolo (letteralità completa). Sono invece titoli causali quelli che possono essere emessi solo in base ad un determinato tipo di rapporto fondamentale, predeterminato per legge (es: le azioni); il contenuto del diritto cartolare è determinato non solo dalla lettera del titolo, ma anche dalla disciplina legale del rapporto obbligatorio tipico richiamato nel documento. Ulteriore precisazione va fatta per i titoli rappresentativi di merce, che si caratterizzano per il fatto che l’obbligazione cartolare ha per oggetto la riconsegna di cose determinate e analiticamente descritte nel documento; essi attribuiscono al possessore: 1il diritto alla riconsegna delle merci specificate, 2il possesso delle medesime; 3il potere di disporne mediante trasferimento del titolo. Ci si è chiesti in dottrina se il vettore o il depositario potevano opporre al terzo portatore, che chiede la riconsegna, le eccezioni ex recepto (ossia che la merce non gli era stata consegnata e o è difforme da quella indicata nel titolo), e se nel caso di risposta positiva doveva ritenersi che per tali titoli non operasse il principio dell’autonomia del diritto cartolare; nonostante molti ritengono che tali rischi ricadano sull’emittente del titolo, è stato chiarito che in caso di soluzione affermativa l’opponibilità non contrasta con il principio d’autonomia, in quanto conseguenza della natura di cosa determinata della prestazione promessa, che ne rende oggettivamente impossibile l’adempimento se non vi è stata effettuata consegna.

Si ha circolazione regolare quando il titolo viene trasferito dall’attuale proprietario in forza di un valido negozio di trasmissione, irregolare quando non è sorretta da un valido negozio di trasferimento. Chi ha perso il possesso contro la sua volontà può però esercitare azione di rivendicazione nei confronti dell’attuale possessore, e se si tratta di titoli all’ordine o nominativi può avvalersi della procedura di ammortamento; tutto questo finchè il titolo non venga in possesso di un terzo in buona fede, la cui posizione è inattaccabile.

I titoli di credito si distinguono in titoli al portatore, all’ordine e nominativi.

I titoli al portatore circolano mediante la semplice consegna del titolo; il possesso è legittimato all’esercizio del diritto in base alla sola presentazione al debitore.

I titoli all’ordine sono intestati a una persona determinata e circolano mediante consegna del titolo accompagnati dalla girata; il possessore del titolo si legittima in base a una serie continua di girate. La girata è la dichiarazione scritta sul titolo e sottoscritta, con la quale l’attuale possessore (girante) ordina al debitore cartolare di adempiere nei confronti di altro soggetto (giratario). Effetto della girata è quello di mutare la legittimazione all’esercizio del diritto cartolare. Si ha girata piena quando contiene il nome del giratario; al contrario si ha girata in bianco: chi riceve un titolo girato in bianco può riempire la girata col proprio nome o quello di un altro, girare di nuovo il titolo in pieno o in bianco, consegnare manualmente il titolo senza riempire la girata. La girata non può essere sottoposta a condizioni e qualsiasi condizione apposta si considera non scritta. In caso di una serie di girate è necessario che il nome di ogni girante corrisponda a quello del giratario della girata precedente, il debitore è tenuto a controllare solo la regolarità formale della girata. Di regola non ha funzione di garanzia. Il giratario può trasferire ulteriormente il titolo, salvo in due casi: la girata per procura, in cui il giratario assume la veste di

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rappresentante per l’incasso del girante, non acquista quindi alcun diritto autonomo (a lui sono opponibili tutte e soltanto le eccezioni opponibili al girante) e non può girare il titolo se non per procura; e la girata in garanzia (o a titolo di pegno), che attribuisce al giratario un diritto di pegno sul titolo, a garanzia di un credito che egli vanta sul girante, il quale però a differenza della girata per procura acquista un diritto autonomo, ma che, come in quel caso, non può girarlo se non per procura.

I titoli nominativi sono intestati ad una persona determinata e si caratterizzano per il fatto che l’intestazione deve risultare non solo dal titolo, ma anche da un apposito registro tenuto dall’emittente: doppia intestazione; il possessore è legittimato all’esercizio dei relativi diritti per effetto dell’intestazione a suo favore sul titolo e nel registro dell’emittente. La doppia intestazione può avvenire per transfert o per trasferimento mediante girata. Il trasfert prevede il cambiamento contestuale delle due intestazioni a cura e sotto la responsabilità dell’emittente. Può essere richiesto: 1dall’alienante, che deve esibire il titolo e provare la propria identità e la propria capacità di disporre (mediante certificazione di un notaio o un agente di cambio); 2o dall’acquirente, che deve esibire il titolo e dimostrare il suo acquisto (mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o un agente di cambio). Nel trasferimento mediante girata l’annotazione sul titolo (girata) è fatta dall’alienante, quella nel registro dall’emittente (e si rende necessaria solo quando l’acquirente voglia esercitare i relativi diritti). La girata di un titolo nominativo dev’essere datata, non può essere in bianco e dev’essere sottoscritta anche dal giratario se il titolo non è interamente liberato; essa attribuisce al possessore solo la “legittimazione ad ottenere la legittimazione”, cioè l’annotazione del trasferimento nel registro dell’emittente attraverso chi consegue la legittimazione all’esercizio dei diritti inerenti al titolo.

La legge prevede che il debitore cartolare possa opporre al possessore del titolo le eccezioni cartolari, divise in reali e personali. Va innanzitutto detto che “il debitore, che senza dolo o colpa grave adempie la prestazione nei confronti del possessore, è liberato anche se questo non è titolare del diritto”. Le eccezioni reali sono opponibili a qualunque possessore del titolo, e ad esse danno luogo: 1le eccezioni di forma; 2le eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo; 3la falsità della firma; 4il difetto di capacità o di rappresentanza al momento dell’emissione del titolo; 5la mancanza delle condizioni necessarie per l’esercizio dell’azione. Le eccezioni personali sono invece opponibili solo ad un determinato portatore. Sono tutte le eccezioni diverse da quelle reali, ed in particolare: 1le eccezioni derivanti dal rapporto fondamentale, opponibili solo al primo prenditore; 2le eccezioni fondate sul altri rapporti personali, opponibili solo a colui che è stato parte del relativo rapporto; 3l’eccezione di difetto di titolarità del diritto cartolare. L’eccezione del difetto di titolarità è però opponibile nei confronti di tutti i successivi possessori in malafede o colpa grave, che cioè conoscevano il difetto di titolarità di un precedente possessore. Per quanto riguarda le eccezioni fondate su rapporti personali esse possono essere opposto anche ai successivi possessori nel caso l’attuale possessore agisca intenzionalmente a danno del debitore (exceptio doli).

L’ammortamento è il procedimento diretto ad ottenere la dichiarazione giudiziale che il titolo originario non è più strumento di legittimazione; chi l’ottiene può infatti esigere il pagamento su presentazione del relativo decreto e, se il titolo non è scaduto, può ottenere un duplicato del titolo perduto. È previsto per i titoli all’ordine e nominativi. La procedura è ammessa solo in caso di smarrimento, sottrazione o distruzione del titolo, e inizia con la denunzia al debitore e il contestuale ricorso al tribunale del luogo in cui il titolo è pagabile. Il presidente del tribunale, dopo gli opportuni accertamenti, pronuncia con decreto l’ammortamento; il decreto dev’essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e va notificato al debitore, a cura del ricorrente; senza la notifica il debitore è liberato se paga al detentore del titolo. Il debitore non può però pagare neppure all’ammortante prima che siano decorsi trenta giorni dalla pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale, termine entro cui il terzo detentore può proporre opposizione, sulla quale decide il

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tribunale stesso. L’ammortamento non è ammesso per i titoli al portatore, per i quali il possessore però ha diritto a diritto ad un duplicato qualora ne provi la distruzione, e il diritto alla restituzione qualora dimostri lo smarrimento o la sottrazione.

Diversi dai titoli di credito sono i documenti di legittimazione (es: biglietto di viaggio), i quali servono solo ad identificare l’avente diritto alla prestazione; legittimano solo il possessore come titolare originario del diritto e non svolgono alcun ruolo ai fini della circolazione dello stesso. I titoli impropri consentono invece il trasferimento del diritto senza l’osservanza delle forme proprie della cessione (notifica al debitore), ma con gli effetti di quest’ultima; non attribuiscono quindi un diritto letterale ed autonomo.

Oggi, per rendere più sicuro il mercato dei titoli i massa riducendo il movimento materiale dei titoli è stato previsto un sistema di gestione accentrata: l’attività di gestione accentrata di strumenti finanziari rappresentati da titoli di emittenti private è esercitata da apposite s.p.a. a statuto speciale, che operano sotto la vigilanza della Consob. La gestione non dematerializzata si fonda sulla custodia accentrata dei titoli presso le società di gestione: i titoli sono ammessi sulla base di un contratto di deposito in amministrazione stipulato dai titolari con gli intermediari ammessi al sistema (Sim, banche, Sgr) e che attribuisce all’intermediario la facoltà di procedere al subdeposito presso la società di gestione; la circolazione di tali titoli si fonderà quindi sulle scritture contabili posto in essere da tale società, le quali producono gli effetti propri del trasferimento secondo la disciplina della circolazione dei titoli di credito; l’esercizio del diritto cartolare si svincola dall’esibizione dei titoli ed è attribuita al rilascio di apposito certificazioni attestanti la partecipazione al sistema. Con la gestione dematerializzata, invece, il documento cartaceo è eliminato, sostituito da sistemi elettronici di scritturazione; l’emissione e la circolazione degli strumenti finanziari dematerializzati avviene esclusivamente attraverso il sistema di gestione accentrata, con registrazioni contabili elettroniche che producono effetti equivalenti a quelli della disciplina dei titoli di credito.

XLI - La cambiale è un titolo di credito la cui funzione tipica, anche se non esclusiva, è quella di differire il pagamento di una somma di denaro. Esistono due tipi di cambiale: la cambiale tratta, in cui una persona (traente) ordina ad un’altra persona (trattario) di pagare una somma di danaro al portatore del titolo; ed il vaglia cambiario, in cui l’emittente promette il pagamento assumendo la veste di obbligato cambiario principale e il prenditore quella di beneficiario della promessa. La cambiale è un titolo di credito all’ordine, necessita di alcuni requisiti formali senza la quale non vale come cambiale. Sono requisiti essenziali: 1la denominazione di cambiale, 2l’ordine incondizionato (nella tratta) o la promessa incondizionata (nel vaglia) di pagare una somma di denaro; 3l’indicazione nella tratta di chi è destinato a pagare, nonchè luogo e data di nascita; 4il nome del primo prenditore; 5la data di emissione; 6la sottoscrizione del traente o dell’emittente. Sono requisiti naturali: 1l’indicazione della scadenza, se omessa la cambiale è pagabile a vista;2 l’indicazione del luogo di emissione, in mancanza si considera sottoscritta nel luogo indicato accanto al nome del traente o dell’emittente, in mancanza è nulla; 3l’indicazione del luogo pagamento, in mancanza si considera il luogo indicato accanto al nome del trattario (nella tratta) o in quello di emissione del titolo (nel vaglia). Non costituisce requisito di validità il pagamento del bollo. Non è necessario che i requisiti essenziali siano presenti all’atto di emissione, eccezion fatta per la sottoscrizione del traente, dell’emittente, e la denominazione di cambiale; necessario è che sia completa nel momento in cui ne è chiesto il pagamento. La cambiale in bianco è la cambiale che circola sprovvista di uno o più requisiti essenziali. Di regola è accompagnata da un accordo di riempimento fra emittente e primo prenditore, con il quale si fissano le modalità di successivo riempimento; l’eccezione di abusivo adempimento è però eccezione personale, di conseguenza sarà opponibile solo a primo prenditore, mentre non sarà opponibile al terzo possessore a meno che questi non abbia acquistato la cambiale in mala fede, ovvero abbia commesso grave colpa acquistandola; in difetto di tale prova, il debitore dovrà pagarla, salvo poi il

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risarcimento danni all’autore dell’abusivo riempimento. Il portatore decade dal diritto di riempire la cambiale in bianco dopo tre anni dall’emissione, ma il riempimento tardivo non è opponibile al portatore di buona fede al quale il titolo sia pervenuto già completo.

Riguardo alla capacità cambiaria (l’assunzione di obbligazione cambiaria costituisce atto eccedente l’ordinaria amministrazione), il rappresentante del minore o dell’interdetto può assumere obbligazioni cambiarie in loro nome solo previa autorizzazione del giudice, salvo che sia stato autorizzato alla continuazione dell’esercizio dell’impresa commerciale. Per l’inabilitato o il minore emancipato non autorizzato all’impresa commerciale, è previsto che la loro firma sia accompagnata da quella del curatore con la clausola “per assistenza”, in mancanza il curatore è obbligato personalmente.

La rappresentanza cambiaria è possibile facendo risultare dal titolo la qualità di rappresentante utilizzando la formula “per procura”; in deroga al diritto comune, il rappresentante cambiario senza poteri (falsus procurator) o che ha ecceduto i poteri conferitigli è per legge obbligato cambiariamente come se avesse firmato in proprio, ossia è tenuto al pagamento in luogo del preteso rappresentante, il quale può eccepire il difetto di rappresentanza anche al terzo possesso di buona fede trattandosi di eccezione reale. Il falsus procurator che ha pagato ha gli stessi diritti che avrebbe avuto il preteso rappresentato.

Le obbligazioni cambiarie sono rette da alcuni principi peculiari: innanzitutto l’invalidità della singola operazione non incide sulla validità delle altre; inoltre tutti gli obbligati cambiari sono obbligati in solido nei confronti del portatore del titolo alla scadenza. Nei confronti del portatore, però, gli obbligati sono divisi in obbligati diretti (l’emittente, l’accettante e i loro avallanti) e obbligati di regresso (il traente, il girante, i loro avallanti e l’accettante per intervento); uno solo di essi deve sopportare il peso definitivo del debito cambiario, gli altri sono per legge garanti di grado successivo del pagamento (nella tratta accettata obbligato 1°accettante 2° traente 3° primo girante 4° secondo girante, ecc.; nel vaglia 1°emittente 2°primo girante, ecc.); l’avallante assume un grado immediatamente successivo a quello dell’obbligato per cui l’avallo è stato dato. La gradazione delle obbligazioni cambiare comporta che, se paga l’obbligato di primo grado, tutti gli altri sono liberati sia nei confronti del portatore che nei rapporti interni; se il pagamento è effettuato da un obbligato di grado intermedio, nei rapporti interni sono liberati solo gli obbligati successivi, dato che il solvens ha azione cambiaria per il recupero dell’intera somma pagata nei confronti degli obbligati di grado anteriore.

L’accettazione della cambiale è la dichiarazione con la quale il trattario si obbliga a pagare la cambiale alla scadenza. La presentazione per l’accettazione costituisce una facoltà del portatore, salvo nella cambiale a certo tempo vista o quando è prescritta dal traente o da un girante. Con l’accettazione il trattario diventa obbligato principale e diretto. Dev’essere scritta sulla cambiale con le clausole “accetto” o “visto” seguita dalla sottoscrizione del trattario, anche se vale come accettazione la semplice sottoscrizione del trattario sulla faccia anteriore della cambiale. Dev’essere incondizionata; può però essere limitata ad una parte della somma e in tal caso il portatore potrà agire anticipatamente contro gli obbligati di regresso per la parte residua. Il rifiuto dell’accettazione espone gli obbligati di regresso al pagamento prima della scadenza; per evitare questa conseguenza è possibile l’accettazione per intervento, fatta da un terzo, che non diventa obbligato principale ed è obbligato successivamente a colui per il quale interviene (nel silenzio, interviene per il traente).

L’avallo è una dichiarazione cambiaria con la quale il soggetto (avallante) garantisce il pagamento della cambiale per tutta o parte della somma. Deve risultare dal titolo o dal foglio di allungamento; è espresso con le parole “per avallo” seguite dalla sottoscrizione, ma vale come avallo la semplice sottoscrizione sulla faccia anteriore della cambiale, purchè non si tratti della firma del traente, del trattario o dell’emittente. Se

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non è indicato per chi si garantisce, l’avallo si intende dato per il traente nella tratta e per l’emittente nel vaglia. L’avallante è obbligato in solido con gli altri obbligati cambiari nei confronti del portatore, diventa obbligato di grado successivo rispetto all’avallato nei rapporti interni. In caso di coavallo, i coavallanti sono obbligati di pari grado tra loro. L’avallo (a differenza della fideiussione) è un’obbligazione autonoma: è valido ancorchè l’obbligazione garantita sia nulla, a meno che non sia nulla per il vizio di forma.

La circolazione mediante trasferimento della cambiale può essere esclusa apponendo sul titolo la clausola “non all’ordine” (cambiale non all’ordine); in tal caso la cambiale è trasferibile solo con gli effetti della cessione ordinaria: l’acquirente è esposto a tutte le eccezioni opponibili ai precedenti portatori.

Nella cambiale la girata ha funzione di garanzia, distaccandosi così dalla disciplina generale.

Legittimato a chiedere il pagamento della cambiale è chi giustifica il suo diritto con una serie continua di girate, anche se l’ultima è in bianco. Chi paga alla scadenza è tenuto a controllare solo la regolarità formale della cambiale e la continuità delle girate; non invece l’autenticità della firma dei giranti. Nella cambiale <<a giorno fisso>> e <<a certo tempo data o vista>> la presentazione dev’essere effettuata nel giorno della scadenza o in uno dei due giorni feriali successivi, la cambiale <<a vista>> dev’esser presentata entro un anno dalla data di emissione. L’omessa presentazione comporta la perdita dell’azione cambiaria nei confronti degli obbligati di regresso. Il portatore non è tenuto a ricevere il pagamento prima della scadenza, né può rifiutare un pagamento parziale, e in tal modo sono tutelati gli obbligati di regresso che restano responsabili solo per il residuo. Come per l’accettazione, è possibile il pagamento per intervento: colui che paga può essere un terzo o un altro obbligato cambiariamente, escluso l’accettante; il pagamento per intervento non può essere parziale e deve esser effettuato al più tardi nel giorno successivo all’ultimo giorno consentito per elevare il protesto, e ha la funzione di liberare gli obbligati di grado successivo a quello per il quale è stato effettuato, mentre chi ha pagato acquista i diritti cambiari verso costui e gli obbligati di grado anteriore. Il portatore che rifiuta il pagamento per intervento perde il regresso contro coloro che sarebbero stati liberati.

In caso di rifiuto di pagamento, il portatore può dar vita alle azioni cambiarie contro qualunque obbligato cambiario. A seconda che agisca contro obbligati diretti o di regresso proporrà la relativa azione. L’azione diretta non è soggetta a particolari formalità ne a decadenza e si prescrive in tre anni. L’azione di regresso può essere esercitata alla scadenza; è possibile esercitarla prima della scadenza se: 1l’accettazione è stata rifiutata in tutto o in parte; 2in caso di fallimento del trattario (o del traente in una cambiale non accettabile) o dell’emittente, di cessazione di pagamento da parte degli stessi o di esecuzione infruttuosa sui loro beni. È per legge subordinata alla levata del protesto, elevabile nei due giorni feriali successivi alla scadenza; in mancanza, il portatore decade delle azioni di regresso. Se il portatore è dispensato dal protesto (“senza protesto”) deve comunque dare avviso del mancato pagamento al traente, ai giranti e ai loro avallanti entro quattro giorni; in mancanza non decade dal regresso ma dovrà risarcire gli eventuali danni arrecati. L’obbligato cambiario che ha pagato può effettuare l’azione di ulteriore regresso contro ciascuno degli obbligati anteriore chiedendo a ciascuno il rimborso totale. Nei confronti degli obbligati di pari grado non si ha azione cambiaria, si può solo agire in forza della disciplina di diritto comune delle azioni solidali (le parti di ciascun debitore si presumono uguali). L’azione di regresso si prescrive entro un anno dal protesto, quella di ulteriore regresso entro sei mesi dal giorno del pagamento.

Il protesto è l’atto autentico necessario per la conservazione delle azioni di regresso, con esso si constata la mancata accettazione o il mancato pagamento della cambiale da parte del designato a pagare in via principale. Sono abilitati alla levata i notai, gli ufficiali giudiziari e, in mancanza, i segretari comunali; i quali possono avvalersi di <<presentatori>> per incassare l’importo o constatare il mancato pagamento. Il

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protesto può esser annotato sulla cambiale o esser fatto con atto separato, ma in tal caso deve contenere la trascrizione del titolo e se ne deve far menzione sulla cambiale; ha valore di atto pubblico.

Nel processo cambiario, la cambiale originariamente in regola col bollo vale come titolo esecutivo. Oltre alla distinzione tra le eccezioni reali e le eccezioni personali, tipiche della cambiale è l’ulteriore distinzione tra le eccezioni oggettive, che possono essere opposte da tutti gli obbligati cambiari; e le eccezioni soggettive, che possono essere opposte solo da un determinato obbligato.

Oltre alle azioni cambiarie sono previste due azioni extracambiarie: l’azione causale, utilizzabile nei confronti del debitore se l’emissione della cambiale trovava fondamento in un preesiste rapporto di debito fra chi da e chi riceve il titolo (che non si è estinto a meno che non si dimostro che la cambiale ha prodotto novazione del rapporto), per la quale è necessaria la levata del protesto e l’offerta al debitore della restituzione della cambiale; e l’azione di arricchimento, contro accettante, traente o girante “per la somma di cui si siano arricchiti ingiustamente” possibile qualora il portatore abbia perdute tutte le azioni cambiare e non abbia azione causale, la quale si prescrive entro un anno della perdita dell’azione cambiaria.

Le cambiali finanziarie sono titoli di credito all’ordine emessi in serie, con struttura del pagherò cambiario, che contengono una promossa incondizionata di pagamento da parte dell’emittente. La loro funzione è quella di fornire alle imprese uno strumento per raccogliere direttamente fra il pubblico capitale di credito a breve termine. Devono avere un taglio minimo non inferiore a 50.000 euro e la loro scadenza non può essere inferiore a tre mesi e superiore a dodici dalla data di emissione. Possono essere girata esclusivamente con la clausola “senza garanzia”.

XLII - L’assegno bancario è un titolo di credito che contiene l’ordine incondizionato diretto ad una banca di pagare a vista una somma determinata all’ordine di una determinata persona o al portatore. Ha la stessa struttura della cambiale tratta, con la sola differenza che trattario può essere solo una banca, e che il rapporto di provvista tra traente e banca può essere costituito esclusivamente da fondi disponibili esistenti presso la banca. La mancanza di fondi disponibili o dell’esistenza di una convenzione che attribuisce al traente il diritto di disporre di questi mediante assegni bancari (requisiti di regolarità) non comporta l’invalidità del titolo, ma espone solamente a sanzioni amministrative pecuniarie. Espongono invece ad invalidità del titolo la mancanza dei requisiti di validità: 1denominazione di assegno bancario; 2l’ordine incondizionato di pagare una somma determinata; 3l’indicazione della banca trattaria; 4l’indicazione del luogo del pagamento, che in mancanza è quello scritto accanto al trattario; 5la data e il luogo di emissione; la sottoscrizione del traente. L’assegno bancario non può essere accettato; ogni menzione di accettazione si ha per non scritta. Il visto, scritto sull’assegno e firmato dalla banca trattaria, non comporta un obbligo di pagamento, ma ha l’effetto di accertare l’esistenza di fondi ed impedirne il ritiro da parte del traente prima della scadenza del termine di presentazione. Più diffuso è il benefondi, che consiste nella conferma, per lo più telefonica, dell’esistenza attuale dei fondi da parte della banca trattaria, su richiesta della banca cui il titolo è girato per l’incasso; se è informativo non comporta alcuna obbligazione extracartolare di pagamento della banca trattaria, a differenza del benefondi con blocco.

L’assegno bancario è normalmente un titolo all’ordine, ma può essere emesso anche al portatore. Anche il girante risponde del pagamento come obbligato di regresso, sola differenza con la cambiale è che la girata al trattario vale come quietanza ed estingue il titolo. Anche l’assegno può essere garantito mediante avallo. L’assegno bancario è sempre pagabile a vista, e ogni contraria disposizione si ha per non scritta. Dev’essere presentato per il pagamento entro otto giorni dall’emissione se pagabile nello stesso comune in cui è stato emesso, quindici giorni se pagabili in un altro comune. L’omessa presentazione nei termini comporta la perdita dell’azione di regresso contro i giranti e i loro avallanti, non però verso il traente: la banca è perciò

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libera di pagare anche dopo la scadenza, salvo che abbia ricevuto l’ordine dal traente di non pagare. Nell’assegno all’ordine, la banca è tenuta ad accertare la regolarità formale delle firme, e inoltre che la firma del traente corrisponda a quella dallo stesso depositata al momento dell’apertura del conto corrente (c.d. specimen). In caso di mancato pagamento della banca, il portatore può agire in regresso contro il traente, i giranti ed i loro avallanti. Per agire contro i giranti e i loro avallanti sono necessari la presentazione del titolo nei termini previsti e il protesto. Non sono invece necessari per l’azione verso il traente; la presentazione tardiva comporta come unica conseguenza che, se dopo la scadenza la disponibilità è venuta meno per fatto del trattario,, il portatore perde i diritti verso il traente per la somma che è venuta a mancare. L’azione azione di regresso e quella di ulteriore regresso si prescrivono in sei mesi.

L’assegno sbarrato è un assegno cui vengono poste due rette parallele sulla faccia anteriore: può essere generale, e in quel caso può essere pagato solo ad un banchiere o a un cliente del trattario; o speciale, e va pagato solo al banchiere designato fra le sbarre. La banca che non osserva tali disposizioni è tenuta al risarcimento dei danni, nei limiti dell’importo dell’assegno, nei confronti della persona che ha subito lo smarrimento o la sottrazione del titolo. L’assegno non trasferibile può essere pagato solo all’imprenditore prenditore, la girata apposta nonostante il divieto si ha per non scritta; l’unico mezzo per non incassarlo personalmente è girarlo per l’incasso ad una banca, che a sua volta non può ulteriormente girarlo. La banca che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dall’originario prenditore risponde del pagamento. Discostandosi dalla disciplina generale, la procedura di ammortamento è prevista anche per gli assegni al portatore.

XLIII - L’assegno circolare è un titolo di credito all’ordine che contiene la promessa incondizionata della banca emittente di pagare a vista una somma di danaro. La sua emissione viene dietro versamento da parte del richiedente dell’importo corrispondente. Non può masi essere emesso al portatore. Si differenzia dall’assegno bancario in quanto ha la struttura del vaglia cambiario. L’emissione di assegni circolari è consentita solo alle banche specificamente autorizzate dalla Banca d’Italia. Non è requisito di validità l’indicazione del luogo di pagamento, in quanto è pagabile presso tutti i recapiti della banca emittente. Va presentato entro trenta giorni dall’emissione, pena la decadenza dalle azioni di regresso. Nell’ assegno circolare, la girata all’emittente estingue il titolo.

XLIV – La sistemazione del dissesto dell’imprenditore agricolo e dell’imprenditore commerciale non piccolo è affidata agli strumenti di diritto comune. Per il dissesto dell’imprenditore commerciale non piccolo sono state invece previste speciali procedure, diversamente articolate, denominate procedure concorsuali. Le singole procedure concorsuali sono tutte generali, perché coinvolgono tutto il patrimonio dell’imprenditore, e tutte collettive, in quanto coinvolgono tutti i creditori dell’imprenditore alla data in cui il dissesto è accertato, e mirano ad assicurarne la parità trattamento. Con la riforma del diritto fallimentare del 2006 è stata soppressa l’amministrazione controllata. Il fallimento è il prototipo delle procedure concorsuali, a cui sono soggetti gli imprenditori commerciali insolventi a meno che non ricorrano i presupposti per le altre procedure. È una procedure giudiziaria che mire a liquidare il patrimonio dell’imprenditore, opportunamente reintegrato, e a ripartirne il ricavato fra i creditori. Con la riforma è stato inserito il nuovo concordato preventivo, che non presuppone più necessariamente l’insolvenza dell’imprenditore, bensì solo una situazione di crisi dell’impresa; né è più richiesto il possesso dei requisiti di meritevolezza da parte dell’imprenditore che lo propone per evitare il fallimento. L’accordo può inoltre perseguire la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma. In base all’attuale disciplina, il concordato preventivo può quindi perseguire, a seconda delle circostanze, vuoi la liquidazione di tutto il patrimonio, vuoi il ritorno in bonis del debitore e la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dello stesso, così sostituendo la funzione della soppressa amministrazione controllata. Si

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prevede altresì che gli atti compiuti in esecuzione del contratto preventivo non sono soggetti a revocatoria. La liquidazione coatta amministrativa è invece una procedura che trova applicazione nei confronti dei determinate categorie di imprese che svolgono attività di particolare rilievo economico e sociale e perciò sono sottoposte a vigilanza governativa. Si differenzia dal fallimento in quanto è una procedura amministrativa (e non giudiziaria), inoltre può essere disposta dall’autorità di vigilanza anche per cause diverse dall’insolvenza. Dal 1979 è stata inserita una nuova procedura concorsuale: l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, che ha la funzione di conciliare il soddisfacimento dei creditori dell’imprenditore insolventi con la conservazione dei posti di lavoro. Riformata nel 1999, oggi è una procedura mista (giudiziaria e amministrativa), articolata in due fasi: la prima si apre con la dichiarazione di insolvenza da parte dell’autorità giudiziaria, che solo in un secondo momento ammette l’imprenditore alla procedura, dopo aver accertato che ricorrono concrete prospettive di riequilibrio economico; la seconda si svolge sotto l’autorità amministrativa, a cui è devoluta la gestione della procedura, che si caratterizza per l’automatica continuazione dell’esercizio dell’impresa insolvente. Per le imprese di rilevanti dimensioni è poi prevista un’ulteriore disciplina dell’amministrazione straordinaria.

XLV - Il fallimento è il prototipo delle procedura concorsuali. Presupposti per la dichiarazione di fallimento sono: 1la qualità di imprenditore commerciale; 2lo stato di insolvenza dello stesso; 3il superamento di almeno uno dei limiti dimensionali fissati dalla legge fallimentare; 4la presenza di inadempimenti complessivamente superiori all’importo fissato dalla legge. L’imprenditore versa in stato di insolvenza quando non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Lo stato d’insolvenza si differenza dall’inadempimento: si può essere insolventi senza essere inadempienti (es: debitore paga tutti i suoi debiti con mezzi anormali di pagamento), o viceversa (es: debitore ha i mezzi patrimoniali necessari, ma non paga perché non ritiene di doverlo fare). Non è insolvente l’imprenditore che non paga per cause che comportano una temporanea difficoltà di adempimento. Riguardo all’entità degli inadempimenti, non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria fallimentare è inferiore a trentamila euro. Il fallimento non può essere dichiarato se è trascorso più di un anno dalla cancellazione dell’imprenditore dal registro delle imprese, fatta salva la possibilità per i creditori o per il p.m. di dimostrare che l’attività d’impressa è effettivamente cessata in un momento diverso.

La dichiarazione di fallimento può esser fatta: 1su ricorso di uno o più creditori, e non è necessario che il credito vantato riguardi l’attività d’impresa del debitore; 2su richiesta del debitore, facoltà che diventa però obbligo, penalmente sanzionato, quando l’inerzia provochi l’aggravamento del dissesto; 3su ricorso del pubblico ministero, che ha il dovere di chiedere il fallimento sia quando l’insolvenza risulti da fatti che configurino reati fallimentari, sia quando risulti da dichiarazione proveniente da un giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile. Competente per la dichiarazione è il tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa; non è rilevante il trasferimento della sede intervenuto nell’anno precedente la domanda (si evita così la scelta di un tribunale “gradito”). Nel caso il tribunale adito venga dichiarato incompetente, la procedura è trasferita d’ufficio ad un tribunale competente ma tutti gli atti precedentemente compiuti restano validi, salva la necessità di rinominare curatore e giudice delegato.

Il procedimento per dichiarare il fallimento, istruttoria prefallimentare, si svolge in camera di consiglio dove vengono sentiti debitore e creditore, nonché il p.m. se ha assunto lui l’iniziativa. Il tribunale può rigettare la domanda con decreto motivato; contro tale provvedimento debitore, creditore e p.m. posso proporre reclamo alla corte d’appello, che se accoglie il ricorso non può pronunziare direttamente la dichiarazione di fallimento ma deve rimettere d’ufficio gli atti al tribunale. Il fallimento è dichiarato con sentenza, notificata d’ufficio al debitore, nonché comunicata per estratto al p.m., al curatore e al creditore richiedente il

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fallimento; è altresì resa pubblica mediante iscrizione nel registro delle imprese. Contro la dichiarazione di fallimento possono proporre reclamo presso la corte d’appello il fallito e qualsiasi interessato entro trenta giorni, che decorrono per il fallito dalla notifica ricevuta, e per gli altri dall’iscrizione nel registro delle imprese. L’impugnazione non sospende gli effetti della dichiarazione di fallimento. Contro la sentenza che decide il reclamo si può ricorrere entro trenta giorni in Cassazione. Con la sentenza che accoglie il reclamo il fallimento è revocato, ma restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi fallimentari.

Gli organi del fallimento sono quattro. Il tribunale fallimentare è investito dell’intera procedura fallimentare; nomina il giudice delegato e il curatore, ne sorveglia l’operato e può sostituirli; decide le controversie che non sono di competenza del giudice delegato, nonché i reclami contro i provvedimenti del giudice delegato stesso. Ha inoltre la vis actractiva: è competente a decidere su tutte le competenze che derivano dal fallimento. Ogni suo provvedimento è adottato con decreto, e contro gli stessi si può proporre reclamo alla corte d’appello. Il giudice delegato vigila sulle operazioni del fallimento e controlla la regolarità della procedura, in particolare: 1nomina e revoca i componenti del comitato dei creditori e nel caso di inerzia o impossibilità di funzionamento di tale organo li sostituisce; 2forma lo stato passivo e lo rende esecutivo con proprio decreto; 3autorizza il curatore a stare in giudizio; 4decide sui reclami contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori. Anche il giudice delegato emette i provvedimenti con decreto motivato, impugnabili con reclamo al tribunale. Il curatore è l’organo preposto all’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite. Per gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione necessita dell’autorizzazione del comitato dei creditori. Entro sessanta giorni dalla dichiarazione di fallimento deve presentare al giudice delegato una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto e sugli atti che intende impugnare. Conclusa l’adunanza per l’esame dello stato passivo, i creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi possono chiederne la sostituzione, indicando al tribunale motivi e un nuovo nominativo; il tribunale decide se accettare o no tale richiesta (art. 37 bis). Il curatore può essere revocato in ogni tempo dal tribunale anche d’ufficio. Il comitato dei creditori vigila sull’operato del curatore; ne autorizza gli atti, tra cui quelli di straordinaria amministrazione o il subentro nei rapporti contrattuali pendenti; ed esprime pareri. È composto da tre o cinque membri scelti fra i creditori in modo da rappresentare in maniera equilibrata quantità e qualità dei crediti. È nominato dal giudice delegato entro trenta giorni dalla dichiarazione di fallimento. Al termine dell’adunanza per l’esame dello stato passivo i creditori che rappresentano la maggioranza possono effettuare nuove designazioni, su cui decide il tribunale (art. 37 bis). Il comitato dei creditori può presentare istanza al tribunale per la revoca del curatore, nonché esercitare l’azione di responsabilità contro il curatore revocato. Contro gli atti del curatore o del comitato dei creditori, il fallito o chiunque interessato può proporre reclamo solo in caso di <<violazioni di legge>> al giudice delegato entro otto giorni; entro altri otto si può ricorrere al tribunale contro il decreto del giudice delegato.

Gli effetti per il fallito possono essere patrimoniali, personali e penali. Riguardo i patrimoniali, con la dichiarazione il fallito subisce lo spossessamento: perde l’amministrazione e la disponibilità (ma non la proprietà) dei suoi beni, che passano al curatore, eccezion fatta per i beni e i diritti di natura strettamente personale; gli assegni a carattere alimentare, stipendi, pensioni, e ciò che guadagna nei limiti del mantenimento suo e della sua famiglia; le cose che non possono essere pignorate per disposizione legislativa (es: vestiti). Lo spossessamento si estende ai beni che pervengono al fallito durante il fallimento; dai quali vanno dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione degli stessi, da soddisfare in prededuzione. Il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può decidere di non acquistare i beni sopravvenuti qualora il loro valore sia inferiore a quello delle passività da sostenere per acquisto e conservazione. Del pari, previa autorizzazione del comitato dei creditori può decidere di non acquisire o rinunciare a liquidare un bene del fallito, qualora tale attività risulti manifestamente antieconomica

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(derelizione). Gli atti posti in essere dal fallito sono inefficaci rispetto alla massa dei creditori se hanno per oggetto beni ricompresi nello spossessamento, e potranno essere fatti valere solo dopo la chiusura del fallimento. Riguardo gli effetti personali, sono limitati il segreto epistolare, ossia il fallito persona fisica ha l’obbligo di consegnare al curatore la posta riguardante i rapporti del fallimento, mentre la posta del fallito persona fisica questa viene consegnata direttamente al curatore; e la liberta di movimento, dato che il fallito deve comunicare al curatore ogni cambiamento di residenza o domicilio e presentarsi ogni quale volta è chiamato per fornire informazioni o chiarimenti. Infine sono prodotti effetti penali, e tra i reati principali vanno menzionate: la bancarotta fraudolenta (fatti caratterizzati dal dolo dell’imprenditore), la bancarotta semplice (fatti commessi solo con colpa) e il ricorso abusivo al credito. La condanna per tali reati comporta, come pena accessoria, il divieto di esercitare un’impresa commerciale per dieci, due e tre anni.

Il fallimento produce poi effetti per i creditori: innanzitutto dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva può essere può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento; è fatta eccezione: 1per i creditori garantiti da pegno o assistiti da privilegio speciale su mobili con diritto di ritenzione, i quali possono essere autorizzati dal giudice delegato alla vendita del bene, una volta ammessi al passivo; 2per le banche su immobili ipotecati a garanzia di operazioni di credito fondiario, alle opere pubbliche o agrarie. Il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito, ma per partecipare alla ripartizione dell’attivo ogni creditore deve far accertare il suo credito, diventando così creditore concorrente. Tra i concorrenti, i creditori si dividono in chirografari, soddisfatti tutti nella stessa misura percentuale, e privilegiati (cioè garantiti da pegno, ipoteca o privilegio), che hanno diritto di prelazione sul ricavato dei beni oggetto della garanzia e, se in tal modo non sono soddisfatti integralmente, concorrono alla pari con i chirografari per il residuo. Vanno poi distinti i creditori della massa, da soddisfare in prededuzione (prima dei concorrenti, per l’intero), i quali sono così qualificati da una specifica disposizione di legge, o da obbligazioni sorte in occasione delle procedure fallimentari. L’apertura del concorso fissa l’intera situazione patrimoniale del fallito al momento della dichiarazione di fallimento: tutti i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti e il corso degli interessi è sospeso fino alla chiusura del fallimento, ad eccezione però dei crediti privilegiati e di quelli prededucibili. Infine, i creditori hanno diritto di compensare con i loro debiti verso il fallito i crediti che vantano verso lo stesso, anche se non scaduti prima della dichiarazione di fallimento; la compensazione non ha però luogo se tale credito è stato acquistato per atto fra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore.

In caso di fallimento, con l’azione revocatoria ordinaria, comunque esercitabile dal curatore nell’interesse di tutti, concorre la specifica disciplina della revocatoria fallimentare**, il cui principio è che tutti gli atti posti in essere dall’imprenditore in stato di insolvenza si presumono pregiudizievoli per i creditori perché idonei quanto meno ad alterare la par condicio creditorum. Il curatore è quindi dispensato dall’onere di provare l’eventus damni e il consilium fraudis. Presupposti sono: 1lo stato di insolvenza dell’imprenditore; 2la conoscenza dell’insolvenza da parte del terzo. Qualora un atto venga revocato resta valido, ma è inefficace nei confronti della massa dei creditori: il terzo che ha subito la revocatoria dovrà restituire al fallimento quanto in precedenza ricevuto dal fallito o l’equivalente in danaro se la restituzione in natura è impossibile, nel contempo sarà ammesso al passivo per il suo credito. È previsto dalla disciplina che le revocatorie esercitate dal curatore debbano essere promosso a pena di decadenza entro tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque non oltre cinque anni dal compimento dell’atto. Vi è una categoria di atti che sono senz’altro privi di effetti nei confronti dei creditori per il solo fatto della sopravvenuta dichiarazione di fallimento e per i quali il curatore non ha bisogno di agire in giudizio (revocatoria di diritto): 1gli atti a titolo gratuito compiuti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento; 2i pagamenti di debiti che scadono nel giorno della dichiarazione o successivamente, anch’essi se compiuti nei due anni anteriori. Tutti gli altri atti sono revocabili in seguito ad azione giudiziaria promossa dal curatore

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fallimentare (revocatoria giudiziale)e si distinguono in due categorie: atti anormali per i quali la conoscenza dello stato di insolvenza si presume e spetterà al terzo provare la sua ignoranza, che sono: 1gli atti a titolo oneroso, compiuti nell’anno anteriore, caratterizzati da una notevole sproporzione fra la prestazione a carico del fallito e quella a carico della controparte; 2i pagamenti dei debiti pecuniari, scaduti ed esigibili, effettuati con mezzi anormali di pagamento, sempre se compiuti nell’anno anteriore; 3i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituite, sempre nell’anno anteriore, per debiti preesistenti non scaduti; 4le garanzie indicate al punto precedente più le ipoteche giudiziarie per debiti preesistenti ma scaduti, posti in essere nei sei mesi anteriori alla dichiarazione; e gli atti normali per i quali è il curatore a dover provare che il terzo conosceva lo stato di insolvenza, che sono, purchè compiuti nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento: 1i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati con mezzi normali; 2gli atti costitutivi di diritti di prelazione per debito sorti contestualmente; 3ogni altri titolo oneroso. Sono infine atti non revocabili i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso; i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro a dipendenti e a collaboratori anche non subordinati del fallito; le vendite a giusto prezzo d’immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini. Non sono infine revocabili i pagamenti e le garanzie poste in essere in esecuzione di un piano di risanamento finanziario dell’impresa, del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Quando i relativi atti di disposizione sono posti in essere fra coniugi, il limite temporale è eliminato e sono sempre revocabili tutti gli atti di disposizione fra coniugi a partire dal momento in cui il fallito aveva iniziato l’esercizio di un’impresa commerciale; inoltre la conoscenza dello stato di insolvenza del coniuge si presume anche per gli atti normali.

Gli effetti del fallimento sui contratti in corso di esecuzione variano a seconda del tipo di contratto. Si sciolgono di diritto: 1i contratti di borsa a termine su merci o titoli; 2l’associazione in partecipazione, in caso di fallimento dell’associante; 3i contratti di conto corrente ordinario e bancario, commissione, e mandato in caso di fallimento del mandatario; rimangono in vita (e quindi il curatore subentra nel contratto): 1il contratto di locazione de immobili; 2l’affitto di azienda; 3l’assicurazione danni, in caso di fallimento dell’assicurato; 4il contratto di edizione; 5il contratto di factoring, in caso di fallimento del cedente; restano sospesi: 1la vendita a termine o a rate o con riserva di proprietà, nel caso fallisca il compratore; 2i contratti ad esecuzione continuata o periodica; 3il preliminare di vendita di immobili (compromesso); 4il leasing finanziario, in caso di fallimento del’utilizzatore; 5il mandato in caso di fallimento del mandante; e sarà il creditore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, a decidere se sciogliere il contratto o continuarlo, e in questo secondo caso le relative obbligazioni vanno adempiuti in prededuzione; il contraente in bonis potrà far stabilire dal giudice un termine, non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si scioglie se il curatore non ne ha disposto la continuazione.

Con la sentenza dichiarativa del fallimento, il tribunale può disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa, anche limitatamente ad alcuni rami di essa, se dall’interruzione può derivare un danno grave, purchè non arrechi pregiudizio ai creditori. Successivamente il comitato dei creditori, una volta formatosi, deve pronunziarsi sull’opportunità di continuare o di riprendere, in tutto o in parte, l’esercizio dell’impresa, fissandone anche la durata; e in caso di parere favore sarà il giudice delegato, su proposta del curatore, a disporre la continuazione o la ripresa dell’attività. Durante l’esercizio provvisorio, tutti i contratti pendenti proseguono a meno che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli; inoltre le obbligazioni assunte dal curatore costituiscono debiti della massa da soddisfare in prededuzione. La conservazione del complesso aziendale può essere realizzata anche attraverso il non facile affitto dell’azienda: in tal caso l’attività d’impresa è imputabile all’affittuario, che la gestisce personalmente ed assume in proprio le relative obbligazioni, mentre dovrà corrispondere al fallimento il canone pattuito. L’affitto dell’azienda è autorizzato dal giudice delegato, su proposta del curatore previa parere favorevole

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del comitato dei creditori, quando appaia utile al fine della proficua vendita dell’azienda o di parte di essa; il contratto deve prevedere il diritto del curatore di recedere, corrispondendo all’affittuario un giusto indennizzo. Alla fine dell’affitto il complesso aziendale viene retrocesso al fallimento (che non assume nessuna responsabilità per i debiti sorti durante l’affitto).

La procedura di accertamento del passivo si apre con la domanda di ammissione dei creditori, a tal fine sollecitati dal curatore con apposito avviso (anche i titolari di crediti prededucibili hanno l’onere di presentare la domanda di insinuazione al passivo, salvo che la loro pretesa non sia contestata); tale domanda si presenta con ricorso da depositare presso la cancelleria del tribunale almeno trenta giorni prima della data dell’ udienza per l’esame dello stato passivo fissata dalla sentenza di fallimento. Analoga domanda va presentata per la restituzione o rivendicazione di beni di proprietà di terzi che sono stati appresi alla massa fallimentare. Sulla base delle domande di ammissione, il curatore predispone un progetto di stato passivo, nel quale deve indicare i crediti ammessi, i crediti non ammessi e i crediti ammessi con riserva. Il progetto di stato passivo va depositato in cancelleria almeno quindi giorni prima dell’udienza di esame; creditori e fallito possono presentare osservazioni scritti o documenti integrativi. Si apre poi la fase dell’esame dello stato passivo, che coinvolge il curatore e tutti i creditori che desiderano parteciparvi: il giudice delegato, cui spetta ogni decisione, esamina le posizioni dei singoli creditori e forma lo stato passivo definitivo, lo dichiara esecutivo con proprio decreto e lo deposita in cancelleria. Il decreto di esecutività non preclude la possibilità di presentare nuove domande di ammissione (domande tardive): si considerano tardive le domande presentate oltre il termine di trenta giorni prima dell’udienza di verificazione, queste però possono essere presentate solamente entro dodici mesi dal deposito del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, dopodiché il creditore tardivo è ammesso solo se prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile, e sempre che l’attivo non sia stato integralmente ripartito. Rispetto ai crediti ammessi tardivamente, se il ritardo della domanda è imputabile al creditore, questi ha diritto di partecipare solo alle ripartizioni dell’attivo successive all’ammissione, salvi i diritti di prelazione; in caso contrario il creditore è ammesso a prelevare sull’attivo ancora non ripartito anche la parte che gli sarebbe spettata nelle ripartizioni precedenti. Contro il decreto che rende esecutivo lo stato passivo può essere proposta opposizione, impugnazione o revocazione: con l’opposizione il creditore contesta che la propria domanda sia stata accolta in parte o respinta (è posta nei confronti del curatore); con l’impugnazione il creditore o il curatore contestano che la domanda di un creditore o di altro concorrente sia accolta (è posta nei confronti del creditore concorrente); con la revocazione il curatore o il creditore, decorsi i termini per l’opposizione o l’impugnazione, possono chiedere che l’accoglimento o il rigetto di una domanda vengano revocati se si scopre che essi sono stati determinati da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile (è posta nei confronti del creditore concorrente nel caso di domanda accolta, del curato nel caso di respinta). Opposizioni, impugnazioni e revocazioni devono essere proposte con ricorso al tribunale fallimentare entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito dello stato passivo, ovvero dalla scoperta del fatto su cui si fonda la domanda di revocazione; il tribunale decide in camera di consiglio, e contro il decreto le parti possono ricorrere direttamente in Cassazione (non più in appello) entro trenta giorni.

La liquidazione dell’attivo è rivolta a convertire i beni del fallito per soddisfare i creditori; il curatore entro sessanta giorni dalla redazione dell’inventario predispone un programma di liquidazione, ove si pianifica la realizzazione dell’attivo, e lo sottopone all’approvazione dei creditori. Il programma di liquidazione approvato è comunicato al giudice delegato che autorizza l’esecuzione degli atti ad esso conformi. Conseguita l’approvazione il curatore può pertanto procedere senz’altro alla liquidazione dei beni; prima invece può compiere atti di liquidazione solo quando dal ritardo può derivare un pregiudizio all’interesse del creditori, e previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori. Per evitare la

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disgregazione del complesso aziendale, una specifica disciplina è prevista per la vendita dell’azienda: la vendita dei singoli beni è infatti disposta solo quando risulta prevedibile che la vendita dell’intera azienda, dei suoi rami, ovvero di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco, non consenta un maggiore soddisfacimento dei creditori. Per favorire la vendita dell’azienda si prevede inoltre che: in deroga all’art. 2560, l’acquirente non risponde delle obbligazioni pregresse; in deroga all’art 2112, solo una parte dei lavoratori si trasferisca alle dipendenze dell’acquirente; i crediti ceduti insieme all’azienda conservano tutti i privilegi e le garanzie, con il relativo grado. Le somme che si rendono via via disponibili sono ripartite fra i creditori: innanzitutto si deve provvedere al pagamento dei creditori prededucibili (sono escluse le somme ricavate dalla liquidazione di beni oggetti di pegno o ipoteca per la parte destinata ai crediti garantiti), poi dei creditori privilegiati e infine dei creditori chirografari. Quando le somme non sono sufficienti, il pagamento avviene proporzionalmente (sempre rispettando l’ordine della soddisfazione dei creditori). Le somme che spettano ai creditori sono assegnate loro con periodiche ripartizioni parziali (che non possono superare l’ottanta per cento delle somme disponibili), cui segue una ripartizione finale.

La cessazione del fallimento avviene per: 1mancata presentazione di domande di ammissione allo stato passivo; 2pagamento integrale dei creditori ammessi al passivo e di tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione; 3ripartizione integrale dell’attivo; 4impossibilità di continuare utilmente la procedura per insufficienza dell’attivo. La chiusura del fallimento è dichiarata con decreto motivato del tribunale, su istanza del curatore, del fallito o di ufficio; il decreto è impugnabile sia dinanzi alla corte d’appello che alla Cassazione. Con la chiusura del fallimento decadono gli organi fallimentari, ma, di regola, il debitore rimane obbligato verso i creditori concorsuali non interamente soddisfatti, i quali possono proporre azioni esecutive individuali verso l’ex fallito. In caso di fallimento chiuso per ripartizione integrale o insufficiente è possibile la riapertura del fallimento quando non sono trascorsi cinque anni dal decreto di chiusura e nel patrimonio del fallito si rinvengono nuove attività; può essere richiesta dal debitore o da qualsiasi creditore e al fallimento non concorrono solo i vecchi creditori, ma anche quelli nuovi.

In due casi il fallito è liberato: quando il fallimento si chiude per concordato, o quando il debitore ottiene l’esdebitazione. L’esdebitazione è un beneficio concesso al fallito persona fisica (non dunque alle società) con cui sono dichiarati inesigibili nei confronti del debitore i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente. Presupposti per il debitore per l’esdebitazione sono: 1il soddisfacimento almeno parziale dei creditori concorsuali; 2l’aver cooperato con gli organi della procedura; 3non aver beneficiato nei dieci anni precedenti di altra esdebitazione; 4non aver distratto l’attivo, o esposto debiti inesistenti, o comunque aver reso difficoltosa la ricostruzione del patrimonio; 5non esser stato condannato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria ed il commercio, ed altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa. Se non è disposta col decreto di chiusura, il debitore può presentare domanda con ricorso al tribunale entro l’anno successivo; contro il decreto che la nega è possibile presentare reclamo alla corte d’appello. L’esdebitazione opera di regola su tutti i debiti anteriori all’apertura del fallimento, anche per quelli per cui non era stata presentata domanda; rispetto ai creditori che non hanno partecipato al fallimento, però, l’effetto liberatorio si produce solo per l’eccedenza rispetto alla percentuale attribuita al fallimento ai creditori concorrenti. Infine non opera su determinati categoria di debiti come gli obblighi mantenimento, alimentari, derivanti da responsabilità extracontrattuale.

Il concordato fallimentare è un istituto che consente all’imprenditore fallito di chiudere definitivamente i rapporti pregressi attraverso il pagamento parziale dei creditori o altra forma di ristrutturazione dei debiti. La proposta di concordato può essere presentata: 1da uno o più creditori o da un terzo, in qualsiasi momento; 2dal fallito, ma non prima che sia trascorso un anno dalla dichiarazione di fallimento e non dopo due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo. Il contenuto della proposta può essere

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variamente articolato, ed è possibile proporre la suddivisione dei creditori in classi, purchè non si alteri l’ordine delle cause legittime di prelazione. Rispetto al passato, non è più obbligatorio che i creditori privilegiati siano soddisfatti per l’intero, ma è prevista la possibilità di una loro soddisfazione parziale, purchè in misura non inferiore a quanto gli stessi potrebbero conseguire, in ragione della loro collocazione preferenziale, sul ricavato di liquidazione. La proposta di concordato è soggetta al preventivo esame del giudice delegato, tenuto a richiedere il parere vincolante del comitato dei creditori e quello non vincolante del curatore; espletati tali adempimento, il giudice delegato ordina la comunicazione della proposta ai creditori e fissa il termine (non inferiore a venti giorni e non superiore a trenta) entro il quale gli stessi devono far pervenire nella cancelleria del tribunale la loro dichiarazione di dissenso (non si ha quindi un’adunanza); i creditori che tacciono si ritengono consenzienti. Hanno diritto di voto i creditori chirografari ammessi al passivo, anche se con riserva; se la votazione ha avuto luogo prima che sia stato reso esecutivo lo stato passivo, hanno diritto al voto i chirografari che risultano dall’elenco provvisorio approvato dal giudice delegato. Non possono invece votare i creditori privilegiati, se ad essi si offre l’intero pagamento, a meno che non rinuncino al privilegio. I creditori privilegiati per cui è prevista la soddisfazione parziale, invece, sono equiparati ai creditori chirografari per la parte residua del debito. Per l’approvazione è richiesta il consenso dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Se il concordato è approvato, su istanza del proponente si apre il giudizio di omologazione del quale è investito il tribunale fallimentare, che procede ad un controllo solo di legalità, non di merito. Il concordato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al fallimento, compresi quelli che non hanno presentato domanda di ammissione al passivo (ai quali è dovuta la percentuale concordataria, ma non si estendono a loro favore le garanzie date nel concordato da terzi). Il concordato è eseguito dal fallito, sotto la sorveglianza del giudice delegato, del curatore e del comitato dei creditori. Gli effetti del concordato possono cessare per risoluzione o per annullamento. La risoluzione si fonda sull’inadempimento del concordato; è pronunciata dal tribunale quando non vengono costituite le garanzie promesse o quando il proponente non adempie regolarmente agli obblighi derivanti dal concordato. L’annullamento è disposto dal tribunale quando si scopre che il passivo era stato dolosamente esagerato o che una parte rilevante dell’attivo era stata sottratta o dissimulata. Annullato o risolto il concordato, si riapre automaticamente il fallimento.

Al fallimento delle società in via di principio è applicabile la disciplina fin qui esposta, seppure con alcuni adattamenti. È opinione pacifica che, per la richiesta di fallimento ad opera del debitore sono legittimati gli amministratori. Inoltre è espressamente stabilito che la proposta e le condizioni di concordato fallimentare devono essere approvate nelle società di persone dai soci che rappresentano la maggioranza del capitale, nelle società di capitali e nelle coop. dagli amministratori con decisione verbalizzata da notaio e dallo stesso iscritta nel registro delle imprese dopo averne notificato la legittimità. Poi, per i soci a responsabilità limitata, il fallimento della società comporta come unica conseguenza che il giudice può ingiungere loro di eseguire i conferimenti ancora dovuti; i soci a responsabilità illimitata, invece, falliscono insieme alla società (non falliscono l’unico socio di s.r.l. e l’unico azionista, anche quando ricorre una responsabilità illimitata degli stessi per le obbligazioni sociali). I soci illimitatamente responsabili falliscono anche se hanno cessato di far parte della società; ma il fallimento può essere dichiarato solo se non è trascorso più di un anno da quando sono state realizzate le formalità per rendere noti i fatti ai terzi; necessario è inoltre che lo stato di insolvenza della società attenga, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata. Nel caso di contestuale fallimento di società e soci, le procedure, seppur distinte e autonome sono comunque coordinate: viene nominato un solo giudice delegato e un solo curatore per i diversi fallimenti, ma possono essere nominati distinti comitati dei creditori; vengono formate distinte masse passive, ma la domanda di ammissione allo stato passivo della società vale anche come domanda di ammissione al passivo del fallimento personale dei soci. il concordato fallimentare della società ha, salvo

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patto contrario, efficacia anche per i soci e fa chiudere anche i loro fallimenti; nel caso in cui sia il singolo socio a concludere un concordato fallimentare,questo fa cessare solo il suo fallimento. Qualora un patrimonio destinato non consenta di soddisfare integralmente le relative obbligazioni, non è prevista alcuna procedura concorsuale a tutela dei creditori separatisti; la legge prevede infatti solamente che i creditori insoddisfatti possano chiedere la liquidazione del patrimonio destinato. Nell’ipotesi inversa viene invece dichiarato il fallimento, e la gestione del patrimonio destinato compete al curatore; i creditori del patrimonio destinato non possono perciò insinuarsi al passivo del fallimento se non nei limiti in cui la società ha prestato garanzia.

XLVI - Con il concordato preventivo, l’imprenditore che si trovi in stato di difficoltà economica e che supera uno dei limiti dimensionali della legge fallimentare può evitare che la crisi sfoci in fallimento. Presupposto oggettivo è lo stato di crisi economica dell’imprenditore. Per lo stato di crisi si intende sia una difficoltà temporanea e reversibile che non consente all’imprenditore di soddisfare regolarmente i creditori, sia lo stato di insolvenza che giustificherebbe la dichiarazione di fallimento. Il concordato preventivo, al pari di quello fallimentare, libera definitivamente l’imprenditore per la parte eccedente la percentuale concordataria; offre però all’imprenditore insolvente l’ulteriore vantaggio di evitare le gravi conseguenza patrimoniali, personali e penali del fallimento. Altro presupposto è il superamento di almeno uno dei limiti dimensionali della legge fallimentare. Non è necessario soddisfare per intero i creditori privilegiati, sufficiente è che siano soddisfatti in misura non inferiore a quanto gli stessi potrebbero conseguire, in ragione della loro collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione; a tal fine il valore di mercato sul bene o diritto su cui hanno la prelazione dev’essere stimato da un esperto, designato dal tribunale, iscritto nel registro dei revisori. In merito al contenuto della proposta, il concordato può perseguire le ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma. La procedura di concordato preventivo inizia con la domanda di ammissione del debitore, presentata con ricorso al tribunale competente per la dichiarazione di fallimento. Ricevuta la domanda il tribunale svolge un controllo preliminare volto ad accertare se ricorrono i presupposti richiesti dalla legge per l’ammissione alla procedura; se l’accertamento ha esito negativo, il tribunale dichiara inammissibile il concordato, inoltre, su istanza dei creditori o del p.m., verifica l’esistenza dei presupposti per dichiarare il fallimento. Se invece ritiene ammissibile la proposta, il tribunale, con decreto non soggetto ad appello, dichiara aperta la procedura di concordato preventivo; e con lo stesso provvedimento designa gli organi della procedura: il giudice delegato, cui è devoluta la direzione della procedura, e un commissario giudiziale, che svolge essenzialmente funzioni di vigilanza e di controllo. A differenza che nel fallimento, il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e continua l’esercizio dell’impresa, sia pure sotto la vigilanza del commissaria giudiziale. È però necessaria l’autorizzazione scritta del giudice delegato per gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione, i quali, se compiuti senza autorizzazione, sono inefficaci nei confronti dei creditori anteriori al concordato ed espongono alla revoca dell’ammissione al concordato. Riguardo agli effetti per i creditori, questi non possono, a pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato diventa definitivo. Non trova invece applicazione la disciplina della revocatoria fallimentare e, inoltre, il concordato preventivo non incide sui rapporti contrattuali in corso. Nel concordato preventivo manca il preventivo accertamento giudiziale dello stato passivo: il commissario giudiziale provvede a convocare i creditori sulla base dell’elenco nominativo presentato dal debitore apportando di sua iniziativa, con la scorta delle scorta delle scritture contabili, le necessarie rettifiche; nel contempo redige l’inventario del patrimonio ed una relazione particolareggiata sulla cause del dissesto, sulla condotta del debitore e sulla proposta di concordato. Diversamente dal concordato fallimentare, l’approvazione del concordato preventivo avviene in apposita adunanza dei creditori, presieduta dal giudice delegato, alla quale possono

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intervenire anche i creditori non convocati ed ottenere l’ammissione al voto provando il loro crediti. È richiesta la maggioranza dei crediti; se la proposta è respinta, il tribunale dichiara d’ufficio inammissibile la proposta di concordato e inoltre, su istanza dei creditori, del p.m., o accertando i relativi presupposti, dichiara il fallimento con sentendo separata. Se la le maggioranze sono invece raggiunte, si apre il giudizio di omologazione: il tribunale controlla la regolarità della procedura e l’esito della votazione. Qualora i giudizi del controllo siano positivi, il tribunale omologa con decreto il concordato; altrimenti lo respinge. Contro il decreto che omologa o respinge il concordato è possibile il reclamo alla corte d’appello. Al parti del concordato fallimentare, il concordato preventivo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori all’apertura della procedura. Il concordato viene eseguito sotto la sorveglianza del commissario giudiziale, secondo le modalità stabilite nel decreto di omologazione; può essere risolto o annullato negli stessi casi previsti per il concordato fallimentare, su ricorso di ciascun creditore. Gli atti legalmente compiuti in esecuzione del concordato non sono soggetti a revocatoria. È inoltre prevalente in dottrina l’opinione che coloro che siano diventati creditori dell’imprenditore durante la procedura di concordato, per atti inerenti l’esercizio dell’impresa, nel caso di successivo fallimento devono essere considerati creditori della massa.

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono un ulteriore strumento alternativo al fallimento per la soluzione delle crisi d’impresa: sono accordi stipulati fra l’imprenditore ed una maggioranza qualificata di creditori i quali, una volta pubblicati nel registro delle imprese e ottenuta l’omologazione del tribunale, consentono di porre gli atti compiuti in esecuzione degli stessi al riparo dall’azione revocatoria fallimentare, qualora la crisi non sia superata e sopraggiunga il fallimento. Il loro contenuto è liberamente stabilito, purchè sia idoneo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori che non vi aderiscono. All’accordo devono aderire i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti. L’accordo è pubblicato nel registro delle imprese e diventa efficace (seppur precariamente in attesa di omologazione); entro trenta giorni entro i quali i creditori o qualunque interessato possono proporre opposizione. Trascorso questo termine, il tribunale procede all’omologazione, reclamabile in appello. Si distinguono dal concordato preventivo perché non vengono stipulati nell’ambito di una procedura giudiziale (il tribunale interviene dopo la stipulazione) e perché vincolano solo i creditori che vi aderiscono. Si differenziano dai piani di risanamento (che pure esentano da revocatoria) in quanto questi si perfezionano semplicemente attraverso la loro redazione prima degli atti che si vogliono esentare da revocatoria e con l’attestazione di un esperto riguardo la loro ragionevolezza, e di conseguenza presentano una grave incertezza e il giudice può convincersi sulla loro malafede e non riconosca l’esenzione dalla revocatoria; gli accordi di ristrutturazione, invece, proprio perché soggetti al controllo giudiziale preventivo, conferiscono certezza riguardo ai loro effetti.

XLVII - La liquidazione coatta amministrativa è una procedura concorsuale a carattere amministrativo cui sono assoggettate determinate categorie di imprese: imprese bancarie, imprese di assicurazione, società cooperative, Sim, Sgr, Sicav. Può essere disposta non solo quando vi è lo stato di insolvenza, ma anche per gravi irregolarità di gestione o per violazione di norme di legge o regolamentari. Di regola, le imprese soggette a liquidazione coatta sono sottratte al fallimento; in alcuni casi, come per le società coop., la legge ammette invece entrambe le procedure e risolve il possibile conflitto fra le stesse secondo il criterio della prevenzione: la dichiarazione di una procedura preclude l’altra. La liquidazione coatta amministrativa è disposta con decreto dell’autorità governativa che ha la vigilanza sull’impresa, che nomina anche gli organi della procedura: il commissario liquidatore, che svolge l’attività di liquidazione secondo le direttive impartite dall’autorità di vigilanza; e il comitato di sorveglianza, composto da tre o cinque membri, con funzioni consultive e di controllo. Se l’impresa si trovi in stato di insolvenza è però il tribunale del luogo dove ha sede l’impresa,su richiesta di uno o più creditori o dell’autorità di vigilanza, a dichiarare (preventivamente o successivamente) tale stato. Col provvedimento di liquidazione coatta amministrativa

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trovano applicazione le norme sul patrimonio in tema di fallimento (lo spossessamento) e se l’impresa è una società restano sospese le funzioni degli organi sociali. Solo se è stato accertato lo stato di insolvenza trovano applicazione le norme relative agli atti pregiudizievoli ai creditori (quindi la revocatoria) e le sanzioni penali disposte per il fallimento. La liquidazione coatta non si estende in nessun caso ai soci illimitatamente responsabile della stessa. Per la formazione dello stato passivo non è necessaria una domanda dei creditori, è infatti formato d’ufficio dal commissario liquidatore sulle base delle scritture contabili e delle eventuali osservazioni dei creditori; manca inoltre una fase di verificazione dello stato passivo, è sempre il commissario liquidatore che entro novanta giorni dal provvedimento di liquidazione lo forma e lo deposita nella cancelleria del tribunale, dandone notizia a coloro la cui pretesa non sia stata in tutto o in parte riconosciuta. Col deposito lo stato passivo diventa esecutivo, ma i creditori possono proporre opposizioni o impugnazioni, regolate come per il fallimento. Alla liquidazione dell’attivo vi provvede il commissario, che può procedere in piena libertà, tranne per le vendite di immobili o la vendita in blocco di mobili per cui sono necessari l’autorizzazione dell’autorità di vigilanza e il parere del comitato di sorveglianza. Nelle ripartizioni dell’attivo sono invece facoltative le ripartizioni parziali; prima dell’ultimo riparto il commissario liquidatore deve sottoporre all’autorità amministrativa di vigilanza il bilancio finale di liquidazione con il conto della gestione ed il piano di riparto fra i creditori; l’autorità ne autorizza il deposito presso la cancelleria del tribunale, ed entro venti giorni i creditori possono contestarlo; sulle contestazioni decide il tribunale in camera di consiglio. In mancanza di contestazione, bilancio finale e piano di riparto s’intendono approvati; il commissario deve provvedere alla ripartizione finale e alla cancellazione della società. La liquidazione coatta può esser chiusa anche mediante concordato, che si differenzia da quello fallimentare per il particolare fatto che non è richiesta l’approvazione dei creditori, venendo infatti approvato direttamente dal tribunale.

XLVIII - L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi è la procedura concorsuale con finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione dell’attività imprenditoriali. Si caratterizza per essere una procedura nel contempo giudiziaria e amministrativa, articolata in due fasi: la dichiarazione dello stato di insolvenza da parte dell’autorità giudiziaria; la successiva ed eventuale apertura della procedura di amministrazione vera e propria devoluta all’autorità amministrativa (Ministero dello sviluppo economico). L’amministrazione straordinaria è riservata alle imprese commerciali, anche individuali, soggette a fallimento che: 1hanno un numero di dipendenti non inferiore a duecento; 2hanno debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi tanto del totale dell’attivo dello stato patrimoniale che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell’ultimo esercizio; 3sono in stato di insolvenza; 4presentano concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico. Nella prima fase il tribunale del luogo dove l’impresa ha sede principale (su iniziativa del debitore, dei creditori, del p.m., o d’ufficio) si limita ad accertare lo stato di insolvenza e, nel caso corrispondano i primi due requisiti sopra indicati, deve astenersi dal dichiarare fallimento ed invece emettere una sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza; questa entro tre giorni va dichiarata al Ministro dello sviluppo economico. Con la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza il tribunale nomina un giudice delegato, nonché uno o tre commissari giudiziali; dà inoltre avvio al procedimento per la formazione dello stato passivo (con regole proprie del fallimento). Gli effetti dell’insolvenza coincidono con quelli dell’ammissione al concordato preventivo: l’imprenditore insolvente conserva l’amministrazione dei suo beni e l’esercizio dell’impresa, seppur sotto la vigilanza del commissario giudiziale; il tribunale può tuttavia affidare la gestione dell’impresa al commissario giudiziale e in quel caso l’imprenditore perde anche l’amministrazione e la disponibilità dei suoi beni. Nel contempo i creditori non possono iniziare o proseguire azioni individuali. È infine espressamente pattuito che i crediti sorti per la continuazione dell’impresa vanno soddisfatti in prededuzione. Se è dichiarata insolvente una società con soci a

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responsabilità illimitata, gli effetti della dichiarazione di insolvenza si estendono anche ai soci illimitatamente irresponsabili, compresi quelli receduti, esclusi o defunti. Nella seconda fase il tribunale deve accertarsi che ricorrano concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali. Se ritiene che tali prospettive di recupero non sussistano, dichiara il fallimento, altrimenti è aperta l’amministrazione. La gestione della procedura si svolge ad opera di uno o tre commissari straordinari nominati dal Ministero dello sviluppo economico e sottoposti alla vigilanza dello stesso, che gestiscono l’impresa e amministrano i beni dell’imprenditore insolvente. Il Ministero nomina anche un comitato di sorveglianza composto da tre o cinque membri, che esprime pareri sugli atti del commissario nei casi previsti dalla legge o quando il Ministero lo ritenga opportuno. Con l’attuale disciplina, la continuazione dell’esercizio dell’impresa è automatica; inoltre, entro sessanta giorni dall’apertura della procedura il commissario straordinario deve predisporre e presentare al Ministero dello sviluppo economico un programma per il recupero dell’equilibrio economico optando per uno dei seguenti indirizzi: cessione dei complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa di durata non superiore a un anno (programma di cessione di complessi aziendali); ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa, sulla base si un programma di risanamento non superiore a due anni (programma di ristrutturazione). L’esecuzione del programma è autorizzato dal Ministero dello sviluppo economico, sentito il comitato di sorveglianza, entro trenta giorni dalla presentazione. Gli effetti dell’ammissione all’amministrazione straordinaria sono gli stessi di quelli che conseguono alla liquidazione coatta, sia pure con qualche differenza: la più importante delle quali è che le azioni revocatorie possono essere promosse dal commissario straordinario solo se è stata autorizzata l’esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali; non invece quando è stato autorizzato un programma di ristrutturazione. Riguardo ai contratti, tutti continuano ad avere esecuzione fino a quando il commissario straordinario non decide se subentrarvi o scioglierli; i crediti derivanti dalla prosecuzione dei contratti in corso vanno soddisfatti in prededuzione. L’amministrazione straordinaria termina per conversione in fallimento o con la chiusura della procedura. La conversione in fallimento può esser disposta nel corse della procedura quando risulta che la stessa non può essere utilmente proseguita. È inoltre disposta alla scadenza del programma di cessione o ristrutturazione quando, rispettivamente, la cessione non è avvenuta in tutto o in parte, oppure l’imprenditore non abbia recuperato la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. La chiusura della procedura avviene per: 1la mancata presentazione di domande di ammissione al passivo; 2il recupero da parte dell’imprenditore della capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni; 3cessione dei complessi aziendali quando tutti i crediti ammessi sono soddisfatti o quando è compiuta la ripartizione finale dell’attivo. In quest’ultimo caso il tribunale può ordinare la riapertura (se sussistono condizioni analoghe a quelle per la riapertura del fallimento); la sentenza di riapertura non comporta la ripresa dell’amministrazione straordinaria, bensì la sua conversione in fallimento. La cessione dell’amministrazione straordinaria può infine aversi per concordato, con disciplina analoga a quella del concordato della liquidazione amministrativa. È infine previsto che qualora sia sottoposta ad amministrazione controllata un’impresa facente parte di un gruppo, alla stessa sono sottoposte le altre imprese che si trovano in stato di insolvenza quand’anche non ricorrano i requisiti dell’amministrazione straordinaria, purchè presentino prospettive di recupero. Si avrà uniformità delle procedure ed identità degli organi, ma per ciascuna impresa fa predisposto un programma, rispettando l’autonomia patrimoniale. Per gli atti posti in essere con le altre imprese del gruppo è però prevista una revocatoria aggravata, col termine fissato dalla legge fallimentare in un anno portato a cinque, e quello di sei mesi portato a tre anni.

L’amministrazione straordinaria speciale delle imprese di rilevanti dimensioni ha introdotte regole speciali volte a consentire spedito avvio dell’amministrazione straordinaria, finalizzate a privilegiare l’attuazione di un programma di ristrutturazione, invece della cessione di complessi aziendali. Presupposti, oltre allo stato

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di insolvenza, sono per l’impresa l’impiego da almeno un anno non meno di cinquecento dipendenti; e debiti per non meno di trecento milioni di euro. Inoltre le regole sono applicabili solo se si intende perseguire un programma di ristrutturazione. In presenza di tali requisiti, l’amministrazione viene disposta direttamente dal Ministro dello sviluppo economico sulla base della semplice richiesta dell’impresa in crisi. Col decreto di apertura, il debitore viene immediatamente spossessato e la gestione dell’impresa viene assunta dal commissario straordinario. Contestualmente alla domanda d’ammissione l’impresa deve presentare ricorso al tribunale per l’accertamento dello stato di insolvenza, che pertanto avviene ad amministrazione straordinaria già aperta; qualora questa non venga dichiarata cessano gli effetti del decreto ministeriale di ammissione, sia pure senza travolgere gli atti legalmente compiuti fino a quel momento. Con la sentenza che dichiara l’insolvenza si producono gli effetti proprio dell’amministrazione straordinaria, con una vistosa eccezione tuttavia: il commissario straordinario può infatti proporre le azioni revocatorie anche nel caso di autorizzazione all’esecuzione del programma di ristrutturazione, purchè tali azioni si traducano in un vantaggio per i creditori. Entro centottanta giorni dalla nomina il commissario deve presentare al Ministro il programma di ristrutturazione; qualora non venga autorizzato entro altri sessanta giorni può presentarne uno di cessione dei complessi aziendali; altrimenti la procedura si converte in fallimento. Solo il commissario straordinario è legittimato a proporre il concordato; la presentazione della proposta impone un’accelerazione alla fase di accertamento del passivo: si interrompe la normale procedura di accertamento dei singoli credito, gli elenchi dei creditori ammessi, non ammessi o ammessi con riserva vengono dunque disposti dal giudice delegato con la collaborazione del commissario straordinario, sono depositati nella cancelleria del tribunale e dichiarati esecutivi con decreto del giudice delegato stesso. Contro lo stato passivo reso esecutivo possono essere proposte opposizioni e impugnazioni. Il concordato deve ottenere l’approvazione dei creditori che rappresentano almeno la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ottenuta l’approvazione, il concordato viene infine approvato anche dal tribunale con sentenza.

*Invenzioni di dipendenti: quando l’invenzione industriale è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di un impiego, in cui l’invettiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall’invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante al lavoratore di esserne riconosciuto autore. Se non è prevista e stabilita una retribuzione in compenso dell’attività invettiva e l’invenzione è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all’inventore, salvo sempre il diritto di esserne riconosciuto autore, spetta, qualora il datore di lavoro consegua il brevetto, un equo premio.

**Revocatoria della cambiale: in deroga a quanto disposto dall’art. 67 della legge fallimentare riguardante la revocatoria fallimentare (prevede la revoca del pagamento dei debiti liquidi ed esigibili, compiuto nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento, effettuato con mezzi normali, qualora l’altra parte conosceva lo stato di insolvenza del debitore), non può essere revocato il pagamento di una cambiale se il possessore di questa doveva accettarlo per non perdere l’azione cambiaria di regresso. In tal caso, l’ultimo obbligato in via di regresso, in confronto del quale il curatore provi che conosceva lo stato di insolvenza del principale obbligato quando ha tratto o girato la cambiale, deve versare la somma riscossa al curatore.

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