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lab 2_03 laboratorio di progettazione architettonica 2_postiglione corso di scienza dell’architettura facoltà di architettura e società politecnico di milano

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lab 2_03 laboratorio di progettazione architettonica 2_postiglione corso di scienza dell’architettura facoltà di architettura e società politecnico di milano editors: gennaro postiglione paolo vimercati

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lab 2_03laboratorio di progettazione architettonica 2_postiglione

corso di scienza dell’architetturafacoltà di architettura e società

politecnico di milano

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1_introduction1.1_to act upon the exsting: heritage and architectureby gennaro postigline 1.2_per una composizione criticaby adriano cornoldi1.3_simplicity: recognizing architecture as a landscapeby paolo vimercati

2_context2.1_from satellite to site plan 2.2_ what is a tonnara • dictionary • evolution • fi shing 2.3_vendicari 3_setup 3.1_programme 3.2_[do]decalogue 3.3_drawings

4_project4.1_exercises 4.2_models 4.3_3Ds4.4_plans4.5_sections

5_honorable mentions5.1_xxx-by-kgfdjagfj5.2_fdjisofjad5.3_jdfassdj5.4_dsads

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“Tutte le pratiche signifi canti possono generare testo: la pratica pitto-rica, quella musicale, fi lmica, ecc. […] Se la teoria del testo tende ad abolire la separazione dei generi e delle arti è perché non considera più le opere come semplici ‘messaggi’ […] ma come produzioni per-petue, enunciazioni, attraverso le quali il soggetto continua dibattersi: questo soggetto è certo quello dell’autore, ma anche quello del letto-re. La teoria del testo provoca dunque la valorizzazione di un nuovo oggetto epistemologico: la lettura […]. Non soltanto la teoria allarga all’infi nito le libertà della lettura, ma ancora insiste molto sull’equi-valenza (produttiva) tra la scrittura e la lettura […], - dove - la piena lettura è quella in cui il lettore non è nient’altro che colui che vuole scrivere.”

Avendo accettato, come suggestione metaforica e come ipotesi di una prassi operativa, a una sorta di trasposizione della teoria enun-ciata da Roland Barthes dal campo letterale a quello architettonico, c’è la necessità di stabilire come e in che modo ciò avvenga o possa avvenire. Se l’adozione della identità tra lettura del testo e sua “riscrittura” appare chiara quando si è in campo letterario, risulta più complesso trasferire tale procedimento di decodifi cazione/creazione al mondo dell’architettura che porta con sé tutta la pesantezza dell’essere una manifestazione tridimensionale dotata di una propria identità fi sica autonoma e cava. Un testo, per quanto dotato anch’esso di una sua dimensione fi sica, quella delle pagine di cui si costituisce, entra in

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una relazione diversa con il suo fruitore: - con una visione al limite – è il libro che entra/abita nel lettore, nel senso che con la lettura il testo si trasferisce temporaneamente e per frammenti “dentro” chi legge. Al contrario, ogni operazione di comprensione, di “lettura”, di un manufatto architettonico o urbano o semplicemente di un luogo comporta un entrare dentro/abitare lo spazio. Ciononostante, con le dovute differenze e, soprattutto, con l’indispensabile bagaglio di conoscenza delle specifi cità attraverso cui si compone il discorso architettonico, anche per l’architettura la comprensione di un’opera passa per una sua lettura che diviene produzione attraverso la scom-posizione/ricomposizione che essa mette in campo. Leggere, infatti, implica una “decostruzione” tesa all’individuazione degli elementi caratterizzanti e delle loro logiche compositive che ne consente alla fi ne una comprensione nuova. Come nel caso della pratica testua-le applicata al linguaggio, non si tratta di “scoprire” il senso di cui il testo/opera dovrebbe essere depositario, un senso oggettivo e cri-stallizzato nell’opera-prodotto, quanto piuttosto la produzione di una

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nuova “signifi canza” che “emancipa lo sta-tuto fonologico legale della signifi cazione e la pluralizza” . Non esiste un riscontro oggettivo sull’identità tra il pensiero del-l’autore e quello del fruitore, anche perché è proprio questa necessità che cessa di esistere nella pratica testuale, negando una “metafi sica del soggetto classico” così come invece sostenuto dalla critica tradizionale e dalla fi lologia.Questo modo di conoscere manufatti e luoghi, che non implica l’abbandono o il rifi uto delle scienze canoniche dell’analisi critica che vengono considerate solo il punto di partenza per la produzione di si-gnifi canza, nel caso del progetto di archi-tettura produce un benefi cio indiretto che supera, per dimensione e ricadute, di gran lunga quello della semplice compren-sione. Ogni lavoro, infatti, si misura con l’esistente, artifi ciale o naturale che sia, con il quale deve entrare in rapporto per le necessità che ne hanno determinato l’intervento. Sottoporre lo stato di fatto ad una attento lavoro di analisi-lettura offre al progettista l’opportunità di individuare e mettere in evidenza gli elementi portanti la forma dello spazio con i quali le nuove strutture dovranno dialogare, tenendo presente però che il lavoro di acquisizione e di conoscenza non punta alla “scoperta” o al “disvelamento” di signifi cati nascosti nell’opera o nel luogo poiché esso stesso si costituisce come pratica semantica e in quanto tale come “produzione”.Rompere “lo statuto monologico” del-l’opera amplia la rifl essione e introduce lo “smantellamento” dell’autentico come originario/originale. E’ una rifl essione che muove i passi da una profonda revisione critica dell’estetica kantiana di cui la cul-tura contemporanea è intrisa e che vede

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contrapposti ed estranei l’uno all’altro l’opera e il fruitore. In questo modo si introduce l’idea di una signifi canza in movimento, immersa in processi, e al tempo stesso se ne vuole mettere in crisi l’idea di monoliticità e di autenticità ad essa tradizionalmente associate. “A questo punto – il signifi cato (ndr) – diventa un continuum di interse-zioni, incontri e dialogo, un palinsesto che accentua i poteri dell’im-purità. - L’opera/il luogo(ndr) - diventa scena di tracce, di autenticità locali, per cui non esiste parola fi nale né stato metafi sico” .Ciò responsabilizza in maniera profonda il “lettore” – colui che ap-proccia il testo/opera – che perse le certezze fornite dal mito dell’au-tentico si trova a dovere costituire un nuovo sistema di relazione con l’opera fondato sulla sua diretta e attiva partecipazione al processo produttivo della signifi cazione da cui fi no ad ora era stato escluso. Da “scopritore”, quando non solo “spettatore”, il progettista attraverso la frantumazione dell’autentico diviene “artefi ce” alla stregua dell’au-tore, misurandosi e confrontandosi continuamente con l’opera che da prodotto è divenuta, come è già stato affermato più volte, produ-zione.Spostando la rifl essione più specifi camente su di un campo architet-tonico, bisogna sottolineare come si lavori sempre e in ogni caso su “spazialità” già date, non esistendo alcuna tabula rasa o Ground zero su cui intervenire, e ciò implica e obbliga a una rifl essione sulle ca-pacità di ospitalità proprie del luogo. Ogni progetto che “trova casa” dentro una realtà esistente, misura e mette alla prova le capacità che lo spazio possiede di saper accogliere il gesto e le strutture di

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cui necessita per essere nuovamente utilizzato. Indagare il grado di accoglienza di cui è capace un luogo, rappresenta senza dubbio un aspetto determinante per una pratica del progetto che non intenda essere ‘colonizzatrice’ di spazi, ma ospite. Senza ospitalità non si dà l’abitare che rappre-senta – come afferma Norberg-Schulz - un fenomeno esistenziale ancor prima che una necessità fi sica. Non c’è gesto senza un luogo – o un “nonluogo” - disposto e disponibile ad accoglierlo e così come conferma la storia, il luogo è sempre stato ospitale, ha sempre accolto il gesto, la vita. Ci sono luoghi – artifi ciali o naturali - distrutti dall’incuria, dallo sfruttamento incondizionato, dal-l’egoismo di pochi, dall’incapacità di saper abitare; ci sono luoghi “colonizzati” dalla violenza pre-varicatrice del gesto, in cui chi ha costruito non ne ha tanto indagato i caratteri, interpretandone le specifi cità, o analizzato gli elementi portanti la sua forma, quanto piuttosto sovrapposto la propria soluzione confezionata altrove . Ciò è stato spesso fatto ricorrendo/rincorrendo il mito dell’auten-tico come legittimazione ontologica del progetto attraverso una continua ricerca delle origini, dello stato primigenio senza rendersi conto che nessun “ritorno a casa” è più possibile poiché soggetti a reti sempre più complesse di negoziazione e di interazione culturale che ibridano e dissolvono lo statuto originario dell’opera/del luogo che sussiste esclusivamente nel movimento, nel transito, nell’impossibilità di restare fermo.Senza l’ossessione dell’autentico, o di un ancor più utopico ritorno allo stato originale” ma animati da un sano spirito di ricerca e di analisi dell’opera in quanto tale, con la sua incompletezza e la sua storia fatta di trasformazioni e transiti, come architetti abbiamo l’obbligo di riuscire a coniugare rispetto per il contesto senza rinunciare a metterne in azione la “produttività” attraverso la prassi del progetto.L’opera come testo, lo spazio come luogo del gesto, il progetto come “ri-scrittura” e come ricerca di ospitalità costituiscono dunque in sintesi gli elementi determinanti di una prassi che si esprime attraverso la manipolazione cosciente dell’esistente che continuamente trasforma, frantumandone l’autenticità

note: R. Barthes, Teoria del testo, in Scritti, Einaudi, Torino 1998, pp. 240-241. R. Barthes, op. cit., p. 240. Ibidem, p. 82. C. Norberg-Schulz, L’abitare, Milano 1986. M. Augé, Nonluoghi, Milano 1996. E. Jabés, Il libro dell’ospitalità, Milano 1991.

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Architettura della responsabilità

Chi ha interesse a una reale sopravvivenza dei nostri siti antichi non può negarvi la necessità di modifi cazioni adeguate al deteriorarsi della materia e al rinnovarsi della vita, e può trovare al riguardo soluzioni emblematiche in alcune realizzazioni recenti. Fra queste, in netta minoranza rispetto ai contrapposti tipi di intervento attualmente più diffusi nelle città europee – frutto, appunto, secondo i casi, di una cultura della conservazione affetta da rigidità e contraddizioni o di una cultura dell’innovazione preda di incomunicanti linguaggi auto-referenziali – opere come la ricostruzione a San Michele in Borgo di Carmassi si distinguono per la capacità di comunicare un intenso rapporto fra comprensione dell’esistente e invenzione del nuovo. È un rapporto, questo, che a dispetto della forte presenza di storia nei nostri contesti, non è dato in genere di poter esprimere. Insof-ferente per le pseudopolemiche fra le forme eterogenee di speri-mentazione oggi di maggior successo – accomunate solo dall’indif-ferenza a temi e luoghi, in modo da potersi applicare ovunque e in fretta – l’architetto interessato a restituire identità e radicamento alle proprie costruzioni non trova infatti d’altra parte un fertile confronto con i tutori dell’esistente, più impegnati in disquisizioni al loro interno che disponibili all’ascolto di quello che dovrebbe essere invece il loro ideale interlocutore.Di fatto, a chi sostiene l’identità fra restauro e conservazione, secon-do l’antico motto Restaurare est servare, si oppone chi ne denuncia l’antinomia, richiamando la parola d’ordine di Dehio Konservieren, nicht Restaurieren; chi proclama la priorità del ripristino si accapiglia con chi gli muove accuse di falsità, a favore di inserimenti contrap-posti al contesto; chi auspica una integrazione da parte della nostra epoca alle stratifi cazioni depositate dalle precedenti si scontra con i difensori irriducibili dell’intoccabilità di qualunque passato1.In genere i difensori del patrimonio storico stentano a riconoscere fra tanta produzione odierna la presenza di qualità: esaurita la loro atti-vità critica nelle diatribe fra le diverse posizioni sul ‘restauro’, in varia forma essi esigono di norma la relegazione del nuovo in periferia2.La questione secondo noi non è tanto quella di dare al nuovo la licenza di affi ancarsi all’antico, quanto di pretendere ch’esso si gua-dagni la legittimazione a farlo; non è di concedere un facile diritto, ma di esigere un diffi cile dovere, quello di assumersi la responsabi-lità di progettare sull’esistente per farlo riappartenere alla storia, alla nostra vita.

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Il progetto critico e i suoi confi ni

L’osservazione del lavoro di Massimo e Gabriella Carmassi induce collegamenti con una tradizione di espe-rienze sviluppatesi in modo particolare nell’ultimo mezzo secolo: una tradizione che suggerisce l’idea di uno ‘spazio’ privilegiato per il progetto di architettura in una sua prospettiva per il futuro dal signifi cato durevole. È l’idea di una ‘pratica compositiva critica’, che assume dal contesto caratteri decisivi per la sua costruzione. In questa ricerca di relazioni, essa richiama innumerevoli diversi precedenti: per le presenze storiche si ricollega al ‘restauro critico’ di Roberto Pane e Renato Bonelli, per la dimensione urbana rimette a fuoco le ‘architetture della città’ care a Saverio Muratori e Aldo Rossi, per quella territoriale sviluppa ipotesi di ‘regionalismo critico’ teorizzate fra gli altri da Kenneth Frampton e già prima messe in pratica in Italia da molti autori come Ridolfi o Gabetti e Isola3.Oggi la nozione di contesto si è fatta assai più precisa rispetto a venti o anche solo dieci anni fa. È cresciuta la consapevolezza del rispetto per l’antico, nel suo duplice risvolto della manutenzione e della ricostruzione, mentre sono tramontate le illusioni dei grandi salvifi ci progetti moderni (o ‘razionali’), come pure delle storicisti-che scorciatoie postmoderne, a favore di una disponibilità ad interrogare i luoghi con maggiore empatia e ad intervenirvi con più discrezione.E a dispetto di perduranti ostracismi e veti incrociati fra le diverse posizioni nei confronti dell’antico e del nuovo, si fa strada la coscienza del particolare interesse rivestito dalle pratiche che, in varia misura, tengono salde le relazioni con i tre versanti del progetto di architettura, riconoscendoli comunque quali necessarie prospettive di riferimento: la conservazione, il ripristino, l’innovazione. Essi defi niscono i limiti dello spazio operativo dove il progettista è chiamato alle più signifi cative responsabilità per una dimensione civile, davvero progressiva, del proprio lavoro. È lo spazio della progettazione critica, che secondo i casi si muove variamente fra queste tre polarità, ponendo a continuo confronto giudizi di valore sull’esistente, sul pre-esistente e sul nuovo possibile, mettendo in atto tecniche che coinvolgono i tre termini: salvaguardia, risanamento, selezione, demolizione, integrazione, com-pletamento, ricomposizione, ricreazione, rievocazione… (Si tratta di categorie morfologiche, che spesso anche nelle pubblicazioni più autorevoli vengono confuse con quelle funzionali – riuso, rifunzionalizzazione, rivitaliz-

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zazione, adeguamento… – probabilmente per mancanza di fi ducia nella disciplina progettuale. Sarebbe bene invece tener presente che le categorie morfologiche sono quelle che offrono gli strumenti di un intervento, mentre quelle funzionali ne costituiscono la necessaria motivazione). Come muoversi dunque fra quelle tre modalità di intervento?Quanto più si ha a che fare con una realtà caratterizzata da pienezza di forma e densità di memoria collettiva (un monumento, un sito ricco di storia o di storie), tanto più ci si accosterà alla conservazione; quanto più l’esistente paleserà la perdita di quegli stessi caratteri (scomparsi per effetto di incuria, calamità naturali, vandalismi, scem-pi edilizi), e ne sono note le vecchie forme, tanto più si tenderà alla ricostruzione; quanto più un contesto si presenta povero di quelle qualità, tanto più se ne dovrà ricavare lo spunto per nuove invenzio-ni, le quali avranno proprio il compito di rievocare (‘conservare’ o ‘ri-pristinare’) memorie. Ma in ogni caso privilegiare un termine non può signifi care l’ignoranza degli altri, perché passato e presente sono resi inscindibili dal fl uire dell’esistenza e degli eventi, dalla compresenza dell’attaccamento alla tradizione e dell’aspirazione al nuovo, dagli stessi effetti del tempo sulle costruzioni. La modalità prevalente dovrà comunque mostrare i suoi saldi legami con le altre due. Una cosa è certa: quanto più si assommano le qualità dell’esisten-te e le impellenze di un cambiamento, tanto più è necessaria la compresenza di diverse professionalità sia nella scelta del tipo di intervento, che varierà ogni volta in qualche misura, sia poi nella sua conduzione. Non solo: quanto meno il progettista è dotato di cultura, talento ed esperienza, tanto meno dovrà essere autorizzato a intro-durre il nuovo.Le poche circostanze cui riconosciamo la singolarità di una condizio-ne ‘pura’, estrema (un’opera di eccezionali qualità: integra da conser-vare, o distrutta da ricostruire, o nuova da realizzare in un contesto privo di caratteri), stanno ai limiti di questo spazio operativo.All’esterno di esso ritroviamo tutti gli atteggiamenti rigidamente acritici e difensivi – tanto quelli conservativi o nostalgici quanto quelli innovativi – incapaci di uscire da ossessioni e slogan per cogliere la complessità della pratica progettuale.Superati quei limiti, l’architettura tende infatti a perdere pezzi della sua natura complessa e perciò a degenerare. La conservazione indiscriminata, basata sulla programmatica assenza di un giudizio (negando ad esempio i guasti trascorsi, come le cosidette ‘super-fetazioni’), diventa feticismo, sterile imbalsamazione; il ripristino ad oltranza, senza contatti con la nostra realtà, sconfi na con la falsifi ca-zione, il kitsch, legittimando immotivate ricostruzioni in stile; il nuovo come esclusiva sperimentazione fi ne a sé è provocazione, nel senso di pura violenza, non ha diritto di cittadinanza nei nostri contesti, che per quanto degradati non sono mai privi di identità e di proprie relazioni.Se la pratica del nuovo deve saper rendere il giusto omaggio all’an-tico, altrettanto la difesa di questo non può prescindere dal dovuto riconoscimento per il presente. Né è suffi ciente una compresenza dei due termini, se questi non interagiscono; non condividiamo, ad esempio, quegli interventi di resturo dove nuovi inserti (più o meno formalistici piuttosto che high-tech) vengono contrapposti alla più rigida manutenzione dell’esistente: qui la provocazione combinata all’imbalsamazione appare francamente grottesca. Il progetto di architettura nel pieno senso della parola non può dun-que essere mai una ‘creazione’ del tutto ex novo, bensì comunque una questione di ri-composizione. Qualsiasi luogo è nello stesso tempo sede di preesistenze signifi cative, teatro di memorie perdute, soggetto meritevole di aspettative: ecco perché intervenirvi signifi ca porsi contemporaneamente problemi di conservazione, ripristino, rinnovamento. Il lavoro dell’architetto, nel centro storico più prezioso come nel suburbio più anonimo, è innanzitutto un lavoro di riordino, ristrutturazione, miglioramento dell’esistente. In tal senso già molti anni fa lo stesso Gregotti parlava del progetto come ‘modifi cazione’4.

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Architettura dell’interiorità

Rivestono dunque per noi particolare interesse quelle esperienze dove più intenso è l’intreccio fra l’ascolto dell’esistenza passata e l’aspirazione per un’esistenza nuova. In proposito, nel passato più recente, vi sono in ambito europeo alcune realizzazioni esemplari che intendiamo richiamare. In esse le questioni di stile, così dominanti nella produzione dell’odierno ‘star system’, sono secondarie rispetto alla ricerca di forme capaci di evocare signifi cati, di assumere una dimensione simbolica.Così ci appare di stringente attualità, per il comune intento di legare la tradizione al nuovo, l’opera di autori nordici, pur diversi fra loro, quali Asplund, Korsmo, Lewerentz5. Costruzioni come il centro comunitario di San Marco, edifi cato da quest’ultimo presso Stoccolma nel 1960, suscitano la profonda emozione propria di quelle opere uscite da un paziente processo progettuale in grado di incorporare, elaborare e sovrapporre pro-gressivamente in un impianto apparentemente semplice motivi spaziali plurimi, appro-priate fi gure archetipe, scale dimensionali amiche, tenere presenze naturali, defi nizioni costruttive familiari eppure originali6.Ancor più fi sicamente immerso in una riprogettazione nuova di materiali antichi – attra-verso procedimenti misti di selezione, diradamento, ricostruzione, restauro, rievocazio-ne – è il lavoro di Plečnik a Praga e Lubiana, di Böhm, Döllgast, Schwarz, Steffann in Germania, di Pikionis ad Atene, di Scarpa e Albini in Italia (dove peraltro l’‘altro Moder-no’ di Muzio, Ponti, Muratori, Ridolfi , Michelucci, BBPR, Gardella, e tanti ancora, mostra una continua capacità di ascolto della città)7.Realizzazioni così attente ai contesti, frutto di una pratica complessa quanto lucida e coerente, ci appaiono ora ancor più coraggiosamente emblematiche in quanto realizza-te in un periodo – quello a cavallo della seconda guerra mondiale – dominato prima da autoritarie massicce ristrutturazioni e poi da frettolose modernistiche ricostruzioni. Quegli architetti interrogano le preesistenze ricavandone le ragioni e le regole com-

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positive per le loro invenzioni: esplicitano le potenzialità di manufatti antichi imperfetti, compiendone le forme; ricuciscono pietosamente quelli distrutti, lasciando il segno dei non dimenticabili eventi trascorsi; raccolgono reperti, cocci, rovine di tanti passati, per ricomporli in opere nuove che tuttavia li rievochino; reinventano forme senza tempo che riconcilino il presente con l’antico; riconoscono principi formativi in un contesto e li reinterpre-tano.Schwarz sottrae le macerie alle ruspe della ‘rinascita’ urbana tedesca, e con esse edifi ca le sue chiese, dove “ciascuna pietra conserverà la memoria di una persona che ha abitato in quel luogo”. Come lui, Steffann e la sua scuola – Hülsmann, Bienefeld, Pfeifer, Rosiny – affi dano alle forme ‘senza stile’ degli edifi ci sacri il compito di rappresentare in sradicati contesti la continuità della vicenda umana, secondo la duplice attitudine a “dare espressione all’insuffi cienza” e “lasciare che le cose parlino”8. La lezione di quei protagonisti di un ‘progetto critico’, a lungo e ancora oggi in buona parte misconosciuta o ignorata, è stata (forse anche inconsapevolmente) raccolta negli ultimi anni in Europa da autori sensibili quali Linazasoro, Tesar, Zumthor, Siza nelle sue ultime opere, per certi versi Moneo9. In Italia non ha mai cessato di essere praticata, grazie a un comune intento insito nei contributi pur diversifi cati fra loro di molti architetti: per citarne alcuni, oltre a quelli già richiamati, Gabetti e Isola, Valle, Culotta, Grassi, Riva, Canali, Venezia, Burelli, Carmassi10.Il lavoro di questi si distingue per la volontà di interrogare il contesto, di cogliervi delle forme ed intervenirvi per portarle a compimento; e ciò attraverso la defi nizione di luoghi a piccola scala, di costruzioni dense di materia, preziose di luce, incrostate di arredi. All’architettura della esteriorità che accomuna le primedonne dell’attuale ribalta internazionale, essi ne contrap-pongono una dell’interiorità. È signifi cativo il fatto che, proprio nell’epoca dell’‘eclissi del sacro’, i vari Asplund, Lewerentz, Plečnik, Schwarz… abbiano mostrato particolare predilezione per i temi dello spazio sacro, il più interiore (perlomeno in una visione religiosa ‘originaria’, non trionfalistica, qual era la loro). È pure signifi cativo che buona parte di essi – fra questi, Döllgast, Korsmo, Ponti, Albini, Pikionis, Scarpa – furono insegnanti di una stessa materia, oggi non a caso esposta al rischio di estinzione: architettura degli Interni.

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Dialettica dei distinti

Per sua natura la ‘progettazione critica’, in quanto pratica del confronto, non può proporre percorsi univoci, ideologici assiomi, né tanto meno imporre regole facilmente applicabili; forse per questo all’opera di un Carlo Scarpa i più negano principi e pratiche riproponibili, ignorando il suo lento percorso per successive rifl essioni e approssimazio-ni verso la maturazione di un esito formale. Di fronte alla ‘scientifi cità’ talvolta arida dei conservatori questo approccio insinua il dub-bio che si possa migliorare la qualità di qualunque contesto attraverso l’appassionata ricerca di un nuovo che lo renda più compiuto. Esso chiede semplicemente di mettere a confronto i propri risultati con quelli di altri ap-procci, più o meno conservativi o innovativi. Le sue stesse proposte sono interlocutorie. In tal senso la decisione su ogni delicato intervento in un contesto di valore dovrebbe essere anticipata da una comparazione critica fra soluzioni alternative; appaiono allo scopo di grande utilità le sofi sticate simulazioni oggi rese possibili dal computer.L’approccio ‘critico’ chiede ai giovani di rifl ettere sui limiti di validità del ‘nuovo a tutti i costi’ proprio degli internazionalismi dominanti in paesi con scarsa presenza e co-scienza storica e urbana (ma anche in molte nostre riviste): mode che essi inseguono nell’illusione di non sentirsi provinciali. Forse invece la via d’uscita dall’attuale stallo della cultura architettonica nel nostro paese è proprio quella di riprendere e rinvigorire la tradizione italiana di un progetto legato alla storia e ai luoghi – via che del resto molti architetti dell’ultima generazione hanno intrapreso con successo.Non si tratta di proclamare nuove verità, ma di chiedere, da un lato ai tutori dell’antico assoluto, e dall’altro agli innovatori a oltranza, la messa in discussione delle loro troppo spesso inappellabili verità, riconoscendo la legittimità, la necessità anzi, di una dialetti-ca fra risposte di tipo diverso e di pari dignità. Per quanto riguarda in particolare il grado di modifi cabilità dei contesti antichi, esso non può dipendere da principi assoluti, traducibili in rigide normative, ma, di volta in volta, da un giudizio sull’esistente (e sulle sue parti) e sulla capacità di integrazione del progetto di intervento. La consapevolezza che il confronto fra presente e passato vada affrontato con modalità di intervento non generalizzabili ‘ideologicamente’ impone dunque una duplice disponi-bilità: da parte dei conservatori, a comparare volta per volta il valore dell’esistente con il valore delle modifi cazioni proposte, e da parte dei progettisti, a provare la sintonia di queste con quello. Esiste questo interesse? E in che misura?

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L’arte della misura

L’intervento nell’isolato di San Michele in Borgo colpisce proprio in quanto esemplare applicazione di ‘composizione critica’, frutto di un paziente avvicinamento alle soluzioni defi nitive attraverso progressivi aggiustamenti e mutevoli combinazioni delle tecniche più diverse: conservazione, ricostruzione, reinterpretazione, rievocazione.È un’opera particolarmente convincente, non solo in quanto integrata pienamente nel tessuto antico di Pisa, ma anche perché portatrice di invenzioni architettoniche in grado di ampliarne la complessiva qualità.Quella che, a risultato raggiunto, sembra la naturale esplicitazione delle potenzialità del luogo, è in realtà l’esito di un iter sofferto, di cui l’autore non esita e rendere conto: signifi cativamente, nella pubbli-cazione, egli fa precedere l’illustrazione dell’opera realizzata da una serie di tentativi stimolanti quanto contraddittori. Non si deve dimen-ticare che le premesse per un approccio deciso, non puramente con-servativo, erano insite già nella precedente decisione del soprinten-dente Sanpaolesi di eliminare ciò che restava dopo i bombardamenti del vecchio chiostro addossato all’abside di San Michele, per poterla rendere visibile11.L’osservazione di quel lungo processo induce molteplici insegna-menti. Per un verso Carmassi mostra acuta sensibilità nel raccogliere ed elaborare le diverse sollecitazioni che nel corso di un ventennio provengono dagli architetti contemporanei più capaci e più impegnati nel confronto fra luogo e progetto: dalle ironiche manipolazioni con-testuali di Stirling alle elementari citazioni ‘analoghe’ di Rossi, dalle massiccie strutture archetipe di Kahn alle astratte partiture di Grassi; per un altro verso egli rivela la capacità di trarre gradualmente da quelle elaborazioni una composizione originale e unitaria, senza tuttavia sacrifi care nulla alla complessità dell’insieme.L’impianto, dopo essere passato da una fase all’altra subendo contraccolpi e affi namenti per effetto di sollecitazioni sempre più misurate sulla natura e sulla scala delle singole questioni progettuali, matura nelle sue varie parti attraverso invenzioni in sintonia con il giusto rapporto fra nuovo e antico.Così, mentre il disegno della corte risulta da un’operazione rein-terpretativa, ricordo di distruzioni belliche, gli allineamenti stradali originari vengono fedelmente recuperati, introducendo tuttavia l’ecce-zione di uno slargo aperto all’angolo sudorientale, per dare nuovo respiro all’angusto incrocio delle compresse viuzze. Mentre il lato

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verso l’abside monumentale è oggetto di una azione combinata di diradamento e parziale ripristino, sul lato settentrionale il restauro conservativo del minuto fronte interno fa da contrappunto al dirompente nuovo muro ad archi arretrato, memoria di una più monumentale Pisa circostante, e alla discreta cortina esterna calibrata sulla prospiciente edilizia minore. Mentre su via degli Orafi viene disposto un ingegnoso corpo di nuova ideazione, che risponde ai caratteri della morfologia urbana ma anche ne infi ttisce le interazioni, sul lato meridionale la parziale ricostruzione delle case torri ne innesta un completamento fortemente evocativo. Il visitatore anche frettoloso che, lascian-do Borgo Stretto, infi la il vicolo sulla destra di San Michele, non può sottrarsi allo stupore prodotto dallo scorcio delle nuove ‘antiche’ case torri e dalla succes-siva emozionante sequenza di spazialità originali e pure congeniali alla città.L’operazione progettuale non si ferma alla scelta delle più opportune modalità operative: all’interno di esse si sviluppa, producendo suggestive ideazioni di volu-mi e giunti, defi nendo sapienti decisioni su materiali e tecniche, calibrando inediti rapporti fra pieni e vuoti, inventando accu-rati dettagli costruttivi coerenti con il tutto, introducendo attraverso sezioni ingegno-samente sagomate intensi effetti di luce naturale negli interni arredati con elegante essenzialità.Se le singole soluzioni osservano ed interpretano felicemente una appropriata proporzione fra rispetto e libertà, secon-do il variare delle situazioni affrontate, ciò è reso possibile dalla cultura e dalla sensibilità storica dell’architetto, dalla sua consapevolezza di poter dare diffe-renziati giudizi di valore all’esistente, dal suo talento nel farne scaturire energiche, sintoniche creazioni.In tal modo la costruzione, laboratorio di ogni possibile confronto fra antico e nuovo, si confi gura quale continuum di assetti tanto diversifi cati quanto serrati, esattamente come le parti più preziose della città, che va ad arricchire grazie a una integrazione densa di suggestioni e richiami, non mimetica né provocatoria.

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1. v. contributi di A.R. Burelli, P. Marconi, A. Cornoldi, M. Rapposelli, P. Thoma et al., in Augusto Romano Burelli, Il Castello di Heidelberg, a cura di A. Cornoldi e M. Rapposelli, Il Poligra-fo, Padova 2004.2. Sulle diverse posizioni riguardo il progetto di restauro e l’architettura del nuovo, v. A. Cornoldi, Restauri non conservativi, in Antico, nuovo, Atti del convegno internazionale Iuav III-IV 2004, a cura di A. Ferlenga e E. Vassallo, Venezia 2005. Sintomatica del permanere di uno stato di confusione nei difensori dell’antico è ad esempio la recente sponsorizzazione da parte di Vittorio Sgarbi, in genere nemico giurato del nuovo nei centri storici, dell’ampliamento della Scala di Mila-no da parte di Botta, opera priva di relazioni con un contesto invece ricco di rimandi del passato lontano e vicino.3. Sulla necessità delle interazioni fra antico e nuovo, v. in part. gli scritti di R. Bonelli e R. Pane, da un lato, e di A. Rossi e R. Gabetti, dall’altro (richiamati anche in P. Marconi, Il restauro e l’architetto, Marsilio, Venezia 2002, e A. Cornoldi, Restauri non conservativi cit.); riguardo il contri-buto di K. Frampton, v. i suoi scritti a partire da Luogo, produzione e architettura, verso una teoria critica del costruire, in Storia dell’architettura moderna, Zanichelli, Bologna 1982, pp. 330 sgg. 4. v. B. Pedretti (a cura di), Il progetto del passato, Bruno Mondadori, Milano1997.5. In realtà le relazioni fra progetto del nuovo e tradizioni sono esemplarmente presenti in un ben più ampio numero di architetti nordici moderni, da Fisker a Utzon in Danimarca, da Celsing al transfuga Erskine in Svezia, da Knutsen a Fehn in Norvegia, da Aalto a Pietilä in Finlandia.6. v. J. Ahlin, Sigurd Lewerentz, architect, Byggförlaget, Stockholm 1987, pp. 149-161.7. A. Hoff, H. Muck, R. Thoma, Dominikus Böhm, Leben und Werk, Schnell & Schnell, München & Zürich 1977; P. Krečič, Plečnik, Jaca Book, Milano 1992, pp. 53-71, 127 sgg; aavv, Hans Döllgast 1891-1974, Callwey, München 1987; M. Sundermann, Emil Steffann, “Archives d’Architecture Moderne”, 1981, n.21; W. Pehnt, H. Strohl, Rudolf Schwarz, Architekt einer anderen Moderne, Hatje, Stuttgart 1997; aavv, Dimitris Pikionis, Architect (1887-1968), A Sentimental Topo-graphy, Architectural Association, London 1989. 8. Emil Steffann, Akademie der Architektenkammer Nordrhein Westfalen, Bonn 1981; W. Pehnt, a cura di, Rudolf Schwarz, Electa, Milano 2000; M. Sunderman, Emil Steffann (1899-1969) e la sua scuola, in Architettura e spazio sacro nella modernità, a cura di P. Gennaro, Abitare Segesta, Milano 1992, pp.155-160, passim; Gisberth Hülsmann architect, “Zodiaque” 1991, n. 169; Heinz Bienefeld, Walter König, Köln 1991, in part. pp.64-73.9. Per Linazasoro, v.: E. García Grinda, J.I. Linazasoro, Argentaria, Madrid 1998; J.I. Linazasoro, Evocando la ruina, Argentaria, Madrid 2004. Per Tesar, v. Heinz Tesar, Springer, Wien New York 1995. Per Zumthor, v. Museo diocesano di Colonia, in “Casabella” dic.2004-genn.2005.10. A titolo di sintetica esemplifi cazione si ricordano le soluzioni di Rossi per le residenze berlinesi e i teatri di Genova e Venezia, i monasteri a Chieti e a Quart di Gabetti e Isola, le abita-zioni pubbliche alla Giudecca di Valle, i progetti per i teatri romani e i castelli medievali di Grassi, le case a Stintino di Riva, le sistemazione museali di Canali, i luoghi pubblici in Sicilia di Culotta e Venezia, i progetti per Heidelberg di Burelli. La capacità di interpretare i luoghi è presente, nella cultura architettonica italiana, anche in autori caratterizzati da approcci diversi, come in varia misu-ra Purini, Cellini, Piano.

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Landscape is often confused with natu-re. The natural environment is the one closest to the god’s creation therefore the closest to the most perfect thing we can conceive on earth. This conception might seem odd in the internet age of the se-cond millennium but, although well hidden and almost forgotten, it is still at the very base of our western culture.As people the landscape is a place where to retire, to feel at peace, to do activities which are almost forbidden or certainly limited in an urban environment which is typical of everyone’s modern living.As architects the landscape becomes a space with which to interact, onto which to impose, something to enhance, to modify, to change.Landscape can also be a neutral ground, or a more profound source whose ener-gies might be tapped by the architect.Before the eighteenth century it would not have been a subject, or at least not a positive one. Brief mentions from Shake-speare’s time show that landscapes which seem magnifi cent to us, like the lake district, were to them horrid wastes to be endured, which conjured up visions of bandits and violence.More recently the land(scape) has beco-me an issue through overpopulation, use and the increase in the scale of archi-tecture, which presents us with again a different idea of landscape. Closer to the modernistic way of thinking the landscape almost become a part of the machine for living. Through this process the landscape becomes part of the new urban-scape, part of the manmade environment, almost un-natural.

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In such a mood, one looks for a landscape free of human presence. If there is always something paradoxical about a search _one has to imagine oneself out of the picture to really fi nd what he is looking for_ in England, for example, the hope is always semi-imaginary. Even the wildest lake in the Lake District must be edited to seem truly wild. Almost any vintage point includes sheep tracks as well as forbidding screes, and one must turn his back on the road running just a few hundred metres of the shore. Besides, it is hard to suppress the thought as one contemplates the unscalable screes that they are the waste from an unknown industrial process. Dingy grey and regular in form, they are a kind of natural waste, thrown down by a more inscrutable activity than mining.Being physically confronted with the grandeur of nature is not normal to most people anymore. The need of reassurance of still being in the normal modern world grows quickly in these situations. A mars bar wrapper or a hunting cabin, a mile stone or the dotted signs of human intellect _which go to make up a Robert Smithson work of art_ provide this security; a feeling of knowledge of being in an existing place and not in some weird fi ctional virtual reality. The feeling of control, of being able to reach the rest of the world with a mobile phone, the knowledge of the possibility of a car reaching this spot soothe the observer. Soothe his unconscious fear for isolation, for what nature was and no longer is, for the possibility of something different to happen. Order need only be intimated by a slender focal feature for the wanderer to understand and extrapolate from it half consciously, until the whole visual fi eld is altered by human intention.Vernacular buildings are considered like part of the landscape. Try to imagine the English countryside without bale roofed cottages, little dry stone walls or derelict and beautiful gothic churches, no castles or bridges; just pure natural landscape. Vernacular architecture and landscape are one thing; they belong to each other like mother and child. Vernacular buildings, like landscape, do not come in truly individual forms. But they are always very recognisable. A traditional house in the Alps does not share much with a welsh farmhouse but they both belong to the specifi c vernacular landscape, they

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both would be recognised by everyone as traditional. They both cannot be moved from their location. They both are indivisible from their natural environment. And is the meaning of natural environ-ment that has changed; it can now be understood in two ways: natural as in nature, therefore landscape; or natural as proper to the subject, normal, therefore architectural, manmade.Historic example of this can be the artifi cial hamlet that Marie Antoinette got built on the outskirts of Versailles. She commissio-ned a painter and a stage designer to make her something like the villages she had passed through. The Queen’s house in her hamlet has the typical outside gallery for reaching the human quarters over the beasts ones. Underneath is the dairy where the court ladies milked cows into silver pails and made butter on marble counters, while above at the gallery level is the ballroom, which provided relief from these made-up chores.

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city

«Much of the best architecture has resulted from the adoption of a simple and limiting format. Many architects make things much more diffi cult for themselves than it is neces-sary. There is no virtue in virtuosity deployed in the solution of problems which need never have arisen. (Bruce Allsopp_1977)»

«If modern architecture tended toward a distilled simplicity where many requirements were purifi ed towards simple, regular shapes, then Late-Modernism, keeping this overall simplicity, allows it to become irregular and complex. The mixture of ‘complex simplicity’ is itself a form of oxymoron. Complex sim-plicity is a series of “yes, but” statements. (Charles Jencks_1985)»

Simplicity has been pursued by architects at least since Vitruvius prompted that the Doric Order was male-based and that ‘male simplicity’ and severity were aligned with ‘republican simplicity’ and exterior modesty, to be combined in the Greek revival from the eighteenth century, especially in the United States.Simplicity received another boost by the Modern Movement from the early twentieth century. It was an attempt to purify architec-ture, to remove the accretions of style, to get back to simple and direct building so as to form a fresh starting point for the architec-tural expression of the spiritual, social and economic life of the time.Simpiclity does not imply a simple process.In our post Post-Modernist time, the results of all this theoretical efforts are very presents in everyone’s life, both in positive and in ne-gative. The difference on perception between architects and everyone else, in this case, is

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even greater than in the landscape. What an architect can call qualities everyone else can call problems and impractical issues.An example very familiar to me is the urban space between the Casa del Fascio, the gothic/renaissance Cathedral, the medieval wall and the neo-classical theatre in Como, Italy. Architecturally the place is a great example of cohabitation of most historic styles in an organised urban environment. La Casa del Fascio is a major rationalist achievement, with its proportion based on the perfect balance of the golden section. The Duomo is a good example of North Italian gothic for the façade and the naves, and a superlative example of renaissance dome and absids designed by one of Brunelleschi’s pupils. The buildings of the city centre that side the duomo are good examples of architectural stratifi cation. Building that have been renovated during the centuries without changing signifi cantly their positions, structure and major attributes like the porticoes, which are typical of these rainy regions.The theatre is the least exciting of the presence on the space. Its common neo-classical architecture just symbolises the uniform and boring manneristic style that put asleep architecture in the eighteenth century before the birth of the Modern Movement.The rest of the medieval wall sitting on the original limits of the roman camp onto which the city was funded is a very important historic presence underlined by the railway _one of the fi rst in Italy_ which runs parallel to it.Observed on a plan or analysed through an aerial picture this site is amazingly rich, or-dinate and simple yet casual in his conception and development. Naturally grown throu-gh history and “life”, it has never been planned, using the modernistic understanding of planning; the space owns all the characteristics to be a beautiful place. Yet moving from the realm of architecture to the reality of a wanderer or a tourist, the very same place

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becomes an un-organised, chaotic, polluted and unfriendly spot, from which to walk away in a rush paying attention not to get run over rather than “wowing” to the amazing architectural experience. So La Casa del Fascio becomes a white Police offi ce building with its white square full police cars. The back of the cathedral becomes secondary and almost irrelevant compared to the front, which sits in a spacey pedestrian piazza. The porticoes are good for the many rainy days. The theatre rightly goes by completely unnoticed and the medieval wall becomes a back drop for an un-attractive garden and a visual and sound barrier for the train. The railroad itself is only a contingent problem when the bar crossing is closed causing annoying traffi c jams.This example wants to express how the different perception of a place actually changes the place itself radically.The essence of the place and its beauty do survive different perceptions, though. Its simplicity can be recognised beyond the traffi c jams or the deep admiration of a buil-ding. Amongst the confusion and the complexity of a perception it is possible to reco-gnise a simple scheme behind the things that we see. This can be geometrical, propor-tional or based on colours, or almost anything else, but the result is that each individual creates a simple order for the things that he’s presented with.Michel Foucault in «The Order of Things» has explored the cultural codes that we impo-se upon experiences to order them, and the limits or borders of that ordering. Architecturally interesting on this matter are Porphydio’s critical analyses of last centu-ry’s architecture. He defi nes homotopia and heterotopia as two ways of understanding architecture.Homotopia is the necessity of homogeneity, both ethically and aestethically which beca-me the obsession of late Modernism. Modernism became according to Porphydio: «the kingdom of sameness; the region where the landscape is similar; the site where diffe-

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rences are put aside and expansive unities are established». Simplicity and homoge-neity were concomitants of a rationalism that sought the architectural purity through the clarity of analytical methods, transparency of production and the consistent application of analytical methods.Heterotopia is the opposite: «a sensibility that distributes the multiplicity of existing things into categories that the orthodox glance of Modernism would be incapable of naming, speaking or thinking…that peculiar sense of order in which fragments of a number of possible coherence glitter separately without a unifying common law. That order, which western rationalism mistrusted and has derogatorily labelled disorder…the state of things laid, placed, assigned sites so very different from one another that it is impossible to defi ne a common locus beneath them all».So a juxtaposition of simplicity and complexity would achieve what neither of those alo-ne would. Rather then seeking a theoretical approach that clears an instrumental path of all or most obstacles, an architecture of complex simplicity would demand a ‘complex and open format’, to counter Allsopp quote. Complex simplicity will have to involve a variety of critical, evaluative and purposive mechanisms that take more rather than less complexity into account. The results will have to be less prone to the simplistics of dog-ma, be richer in their potential for interpretation and be more adaptable to change, both during and after their creation.Even though most of this theories have being studied and published years ago, contem-porary architecture is still struggling with the innate predisposition to mannerism, both on the simple-simplistic side and to the complex-confused side. What is required from my generation of architects and designers is a more attentive response to all problems. A strive towards simplicity and complexity at the same time. A search for the balance between things of life and things of mind.

.the theory of architecture.Paul-Alan Johnson, Van Nostrand Reinold, USA, 1994.thirteen waysRobert Harbison, MIT Press Series, USA, 1997.quindici anniLuigi Zuccoli, Tipografi a Como, Italia, 1981.question of perceptionSteven Holl, Juhani Pallasmaa, Alberto Gomez-Pereira, Phaidon Press, UK, 1994.learning from Las VegasRobert Venturi, MIT Press, USA, 1972.architecture and modernityHilde Heyden, MIT Press, USA, 1999.complexity and contradictionRobert Venturi, Architectural Press, UK, 1977.A+U_New Yorkspecial issue, 199.programs and manifestos of the 20th centuryUlrich Conrads, Academy Editions, UK, 1980 (?).theories and manifestos of contemporary architectureCharles Jenks, Academy Editions, UK, 1997.minimumJohn Pawson, Phaidon Press, UK, 1996

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eans

“to

kill”

, whi

ch in

turn

com

es fr

om th

e La

tin te

rm m

acta

re, m

eani

ng

“to s

laug

hter

or h

onor

.” O

ver t

he c

entu

ries,

the

mat

tanz

a ha

s be

en p

asse

d fro

m th

e A

rabs

, to

the

Nor

man

kin

gs, t

o no

bles

, bill

iona

ire m

erch

ants

, and

late

ly, o

win

g to

the

dram

atic

dec

line

in th

e bl

uefi n

tuna

pop

ulat

ion,

to s

mal

l-tim

e S

icili

an e

ntre

pren

eurs

.E

ach

year

’s m

atta

nza

unfo

lds

over

thre

e m

onth

s. In

Apr

il, th

e ra

is d

irect

s th

e ci

urm

a to

dep

loy

the

tonn

ara

in th

e w

ater

s ap

prox

imat

ely

thre

e ki

lom

eter

s fro

m th

e w

este

rn

end

of th

e is

land

. The

tonn

ara

is a

trap

com

pris

ed o

f mile

s of

ste

el c

able

, mor

e th

an

400

iron

anch

ors

wei

ghin

g fro

m 6

00 to

4,0

00 p

ound

s, m

ore

than

3,5

00 s

tone

wei

ghts

, an

d en

orm

ous

nets

, tod

ay m

ade

of n

ylon

or I

ndia

n co

conu

t fi b

er. T

he to

nnar

a’s

Page 43: re_use of the Vendicari tonnara

two

kilo

met

ers-

long

win

gs g

uide

the

tuna

to a

n en

tranc

e to

the

fi rst

cha

mbe

r, ca

lled

leva

nte,

app

roxi

mat

ely

50 m

eter

s sq

uare

. A s

erie

s of

six

suc

cess

ive

cham

bers

, ea

ch d

ivid

ed b

y a

net g

ate,

lead

s to

the

trap’

s fi n

al c

ham

ber,

la c

amer

a de

lla m

orte

, “th

e ch

ambe

r of d

eath

,” w

hich

unl

ike

the

othe

r cha

mbe

rs, h

as a

net

fl oo

r tha

t can

be

rais

ed, b

ringi

ng a

ll th

e tu

na w

ithin

to th

e w

ater

’s s

urfa

ce. A

fter c

onst

ruct

ion

of

the

tonn

ara

is c

ompl

ete,

the

rais

set

s in

to th

e w

ater

s ne

ar th

e en

tranc

e of

the

trap

a te

n-fo

ot w

oode

n cr

oss

bear

ing

pict

ures

of t

he p

atro

n sa

ints

of F

avig

nana

, a b

ronz

e st

atue

of S

aint

Pet

er, a

plu

me

of fr

esh

palm

fron

ds, b

less

ed o

n P

alm

Thu

rsda

y, a

nd a

bo

uque

t of w

hite

lilie

s. A

t eac

h st

age

of w

ork,

the

tonn

arot

ti si

ng a

ser

ies

of s

cial

ome,

su

pers

titio

us s

ongs

, pas

sed

dow

n ov

er s

o m

any

gene

ratio

ns th

at th

e m

en n

o lo

nger

un

ders

tand

the

mea

ning

of m

any

of th

e w

ords

they

are

sin

ging

.A

fter t

he tr

ap h

as b

een

set,

the

tonn

arot

ti sp

end

thei

r day

s m

aint

aini

ng th

e ne

ts,

coun

ting

the

tuna

as

they

ent

er, a

nd c

orra

lling

them

from

one

cha

mbe

r to

the

next

. W

hen

the

rais

dec

ides

the

tonn

ara

is fu

ll en

ough

with

tuna

, he

calls

for a

mat

tanz

a.O

n th

e m

orni

ng o

f the

mat

tanz

a, th

e m

en o

f the

ciu

rma

surr

ound

the

fi nal

cha

mbe

r of

the

tonn

ara

with

thei

r boa

ts, s

ingi

ng in

uni

son

as th

ey p

ull u

p th

e ne

t tha

t brin

gs th

e bl

uefi n

to th

e su

rface

of t

he w

ater

. Soo

n th

e w

ater

is ro

iling

with

the

gian

t silv

ery-

blue

fi s

h. T

eam

s of

four

to e

ight

men

sla

m te

n-fo

ot lo

ng s

harp

ened

gaf

fes

into

the

back

s of

the

tuna

and

dra

g th

e fi s

h in

to th

e ho

lds

of th

eir b

oats

. Whe

n th

ey a

re fi

nish

ed, t

he

cam

era

della

mor

te h

as b

een

empt

ied

of tu

na a

nd tr

ansf

orm

ed in

to a

squ

are

of b

lood

y pi

nk fo

am, s

oon

to b

e w

ashe

d aw

ay b

y th

e st

rong

cur

rent

s. O

ver t

he re

mai

nder

of t

he

seas

on, t

he m

atta

nza

is re

peat

ed, a

s m

any

times

as

the

rais

det

erm

ines

is n

eces

sary

, de

pend

ing

on th

e qu

antit

y of

tuna

ent

erin

g th

e tra

p. T

he s

easo

n en

ds b

y th

e en

d of

Ju

ne, i

f pos

sibl

e by

the

feas

t day

of S

t. A

ntho

ny o

n Ju

ne 1

3.

Page 44: re_use of the Vendicari tonnara

Bru

talit

y or

Sus

tain

abili

ty?

Is th

e m

atta

nza

an a

ntiq

uate

d, b

arba

ric a

ct th

at

cele

brat

es th

e vi

olen

t sla

ught

er o

f maj

estic

ani

mal

s? O

r is

it a

dig

nifi e

d tra

ditio

n, d

eser

ving

pre

serv

atio

n, w

hich

te

ache

s us

abo

ut o

ur h

isto

ry, o

ur re

latio

nshi

p to

our

fo

od, t

o th

e se

a an

d ab

out t

he h

uman

nee

d to

ritu

aliz

e im

porta

nt a

cts?

The

ans

wer

, of c

ours

e, is

“yes

” to

all o

f th

e ab

ove.

Unl

ess

you

are

a co

mpl

ete

vege

taria

n fo

r mor

al

reas

ons,

it is

hyp

ocrit

ical

to v

ilify

the

mat

tanz

a w

hile

tu

rnin

g a

blin

d ey

e to

the

rapa

ciou

s pr

actic

es o

f mod

ern

com

mer

cial

fi sh

ing.

Sim

ilarly

, it i

s a

mis

take

to g

lorif

y th

e m

atta

nza

with

out u

nder

stan

ding

the

big

pict

ure.

Th

e be

st a

ppro

ach

to m

akin

g se

nse

of th

e m

atta

nza

is

to a

ppre

ciat

e its

his

toric

, eco

nom

ic, a

nd m

ost o

f all

its

cultu

ral d

imen

sion

s. T

he im

porta

nt q

uest

ions

, how

ever

, ha

ve n

othi

ng to

do

with

whe

ther

the

mat

tanz

a is

goo

d or

bad

. The

trul

y pr

essi

ng is

sues

con

cern

the

fate

of

the

Nor

ther

n bl

uefi n

tuna

and

, clo

sely

rela

ted,

why

the

mat

tanz

a its

elf i

s te

eter

ing

on th

e br

ink

of e

xtin

ctio

n.Th

ere

wer

e on

ce h

undr

eds

of tu

na tr

aps

set a

nnua

lly

thro

ugho

ut th

e M

edite

rran

ean

in A

lger

ia, C

orsi

ca,

Fran

ce, I

taly,

Tun

isia

, Mal

ta, P

ortu

gal,

Spa

in, a

nd

Turk

ey. I

n S

icily

alo

ne th

ere

wer

e m

ore

than

50

coas

tal

tuna

trap

s. T

oday

they

are

alm

ost a

ll go

ne, h

avin

g be

en

repl

aced

ove

r the

last

40

year

s by

com

mer

cial

fi sh

ing

ship

s an

d m

ost n

otab

ly th

e in

trodu

ctio

n of

long

-line

fi s

hing

in 1

961,

as

wel

l as

by d

estru

ctiv

e, n

on-s

elec

tive

fi shi

ng m

etho

ds s

uch

as d

rift n

ets,

gill

net

s an

d pu

rse

sein

es. N

ow, i

nste

ad o

f wai

ting

for t

he tu

na to

pas

s ne

arby

onl

y on

ce e

ach

year

, fac

tory

fi sh

ing

boat

s se

ek

out t

he tu

na in

the

open

sea

, usi

ng s

onar

, spo

tter p

lane

s an

d he

licop

ters

to lo

cate

thei

r cat

ch. M

oder

n te

chno

logy

ha

s en

able

d us

to a

ccom

plis

h in

40

year

s w

hat t

he

mat

tanz

a di

d no

t d0

over

900

yea

rs –

ove

rfi sh

the

blue

fi n.

Sin

ce 1

969,

the

22 m

embe

r cou

ntrie

s of

the

Inte

rnat

iona

l C

omm

issi

on fo

r the

Con

serv

atio

n of

Atla

ntic

Tun

as

(ICC

AT) h

ave

kept

reco

rds

of tu

na c

atch

and

po

pula

tion

in th

e A

tlant

ic fo

r the

pur

pose

of e

stab

lishi

ng

inte

rnat

iona

l sta

ndar

ds to

kee

p th

e st

ock

of tu

na a

t a

leve

l tha

t pro

duce

s th

e m

axim

um s

usta

inab

le y

ield

ea

ch y

ear.

Whi

le th

e da

ta c

olle

ctio

n ef

forts

hav

e be

en

succ

essf

ul, I

CC

AT’s

con

serv

atio

n ef

forts

hav

e be

en

alm

ost c

ompl

etel

y in

effe

ctiv

e. T

he A

tlant

ic b

luefi

n tu

na

popu

latio

n ha

s de

clin

ed b

y m

ore

than

90%

of i

ts p

re-

long

line

leve

ls. A

s a

resu

lt, b

luefi

n a

re n

ow e

stim

ated

to

be

at le

ss th

an 1

2% o

f the

leve

l nee

ded

to p

rodu

ce

a m

axim

um s

usta

inab

le y

ield

. S

impl

y pu

t, th

e fi s

hing

pr

actic

es th

at h

ave

repl

aced

the

mat

tanz

a ha

ve a

lso

put

us o

n th

e ve

rge

of fi

shin

g th

is a

nim

al in

to e

xtin

ctio

n.

Page 45: re_use of the Vendicari tonnara

Loss

of R

itual

The

mos

t obv

ious

diff

eren

ces

betw

een

the

mat

tanz

a an

d m

oder

n co

mm

erci

al fi

shin

g ha

ve to

do

with

tech

-no

logy

and

sca

le. T

he o

ther

sig

nifi c

ant,

and

perh

aps

mor

e im

porta

nt, d

iffer

ence

is th

e co

mpl

ete

abse

nce

of

ritua

l fro

m m

oder

n co

mm

erci

al fi

shin

g. W

heth

er o

r not

yo

u th

ink

we

are

bette

r off

as a

civ

iliza

tion

with

out t

he

mat

tanz

a’s

brut

al s

laug

hter

, it i

s un

deni

ably

true

that

to

day’

s m

oder

n fi s

herm

en n

eith

er fe

ar n

or w

orsh

ip th

e bl

uefi n

in th

e m

anne

r of t

he to

nnar

otti.

As

soci

etie

s, w

e no

long

er s

tam

p th

em o

n ou

r coi

ns, p

resc

ribe

them

as

med

icin

e, s

ing

song

s ab

out t

hem

, or r

aise

alta

rs to

them

. Th

e bl

uefi n

has

bec

ome

mer

e fo

od, t

o be

sup

plan

ted

by

othe

r foo

d w

hen

its s

uppl

y is

ext

ingu

ishe

d.W

ithou

t ritu

al, w

ithou

t rev

eren

ce, t

he b

luefi

n tu

na n

ow

serv

es a

s an

exa

mpl

e of

how

mod

ern

life

prot

ects

us

from

the

real

ities

of o

ur fo

od s

ourc

es, w

ith p

oten

tially

di

sast

rous

effe

ct. W

e do

n’t c

laim

to h

ave

an a

nsw

er

to th

ese

prob

lem

s. B

ut w

e do

bel

ieve

we

can

star

t by

beco

min

g in

form

ed d

iner

s, b

y ex

plor

ing

the

orig

ins

of

our f

ood

sour

ces,

and

und

erst

andi

ng th

e pr

actic

es u

sed

to p

rodu

ce o

ur fo

od.

Wei

ghty

mat

ters

asi

de, w

e ar

e bo

th p

leas

ed a

nd h

ono-

red

that

you

hav

e ch

osen

to d

ine

with

us

this

eve

ning

. W

e lo

ok fo

rwar

d to

pro

vidi

ng y

ou w

ith a

mem

orab

le d

i-ni

ng e

xper

ienc

e, fu

ll of

live

ly d

iscu

ssio

n, c

ompa

nion

ship

, an

d an

aut

hent

ic ta

ste

of S

icily

.

Page 46: re_use of the Vendicari tonnara

. fi n

shin

g

Page 47: re_use of the Vendicari tonnara

In th

e la

st S

icili

an to

nnar

e, th

e an

cien

t mat

tanz

a rit

e, a

trad

ition

al tu

na-fi

shin

g te

ch-

niqu

e, s

till e

xist

s. E

very

yea

r at t

he e

nd o

f spr

ingt

ime

huge

tuna

mig

rate

from

the

Atla

ntic

oce

an to

the

war

mer

Med

iterr

anea

n w

ater

s. T

hese

fi sh

can

reac

h th

e w

eigh

t of

400

kilo

s an

d th

ey a

re c

aptu

red

and

load

ed o

n bo

ard

of th

e bo

ats

(alw

ays

one

with

no

eng

ine)

usi

ng o

nly

the

fi she

rmen

’s a

rm s

treng

th. C

olos

sal n

ets

are

hois

ted

by h

and

unde

r the

sup

ervi

sion

of t

he R

ais

, the

sup

rem

e ch

ief,

and

the

fi she

rmen

tune

up

an-

cien

t son

gs w

hile

the

sea

turn

s re

d w

ith tu

na’s

blo

od a

nd is

toss

ed b

y th

eir l

ast p

angs

of

life

. It i

s a

rem

aini

ng o

f an

arch

aic

wor

ld th

at is

now

diffi

cul

t to

unde

rsta

nd; a

wor

ld

whe

re tr

aditi

on a

nd re

ligio

n, s

trugg

le fo

r life

and

sea

rch

of w

ealth

, lov

e an

d de

ath

wer

e m

ixed

up.

This

is u

ndou

btel

y a

crue

l fi s

hing

tech

ique

, but

an

extre

mel

y se

lect

ive

one,

and

pro

ba-

bly

for t

his

reas

on it

is a

lso

muc

h le

ss d

etrim

enta

l to

the

envi

ronm

ent t

han

traw

ling

or

than

spa

dare

.M

atta

nza

is th

e bl

oody

fi na

l act

of a

pre

para

tion

proc

ess

whi

ch la

sts

for m

onth

s an

d ha

s re

mai

ned

unch

ange

d fo

r cen

turie

s: it

s or

igin

goe

s so

far b

ack

in ti

me

that

it is

lost

. E

ven

the

tradi

tiona

l son

gs th

at a

re s

ung

durin

g fi s

hing

are

so

old

that

hav

e be

com

e pa

rtial

ly in

copr

ehen

sibl

e to

the

very

fi sh

erm

en.

Tonn

are

are

com

plex

fi xe

d-ne

t sys

tem

s a

few

kilo

met

ers

long

(and

thei

r pla

nts

for t

he

fi sh

proc

essi

ng).

Ther

e w

ere

hund

reds

of t

hem

in th

e M

edite

rran

ean

sea

until

the

fi rst

ha

lf of

the

XX

cen

tury

, but

now

, due

bot

h to

the

dim

inis

hing

num

ber o

f tun

a ca

used

by

pol

lutio

n an

d in

tens

ive

fi shi

ng, a

nd th

e m

arke

t law

s th

at h

ave

mad

e th

is fi

shin

g te

chni

que

less

and

less

che

ap, t

here

are

onl

y ab

out t

en to

nnar

e le

ft in

the

who

le M

e-di

terr

anea

n se

a. T

wo

of th

em s

till s

trugg

le to

sur

vive

in S

icily

: Bon

agia

’s (n

ot fa

r fro

m

Trap

ani)

and

Favi

gnan

a’s.

Alth

ough

alm

ost e

very

thin

g re

gard

ing

this

fi sh

ing

tech

niqu

e an

d its

inst

rum

ents

has

re

mai

ned

unch

ange

d fro

m th

e M

iddl

e A

ges

up to

toda

y, o

ne c

an’t

say

the

sam

e ab

out

now

aday

s to

nnar

e ‘s

inne

r sen

se a

nd im

porta

nce

and

abou

t the

ir pr

otag

onis

ts. W

hat

once

was

a m

eans

of e

xplo

itatio

n of

a ri

ch fi

sh p

atrim

ony,

wha

t was

a te

chni

que

hand

ed d

own

with

prid

e an

d re

spec

t, an

d th

e su

rviv

ing

sour

ce o

f ent

ire c

omun

ities

- t

hat s

eem

ed e

ndle

ss -

has

now

turn

ed in

to s

omet

hing

diff

eren

t. It

now

mix

es v

ario

us

aspe

cts

in c

ontra

st: t

ouris

tic in

tere

st, o

bstin

ate

will

of k

eepi

ng a

trad

ition

aliv

e, m

ake-

shift

jobs

for u

nem

ploy

ed a

nd fi

rst t

empo

rary

jobs

for y

oung

peo

ple

in a

soc

ial c

onte

xt

so p

oor o

f pro

spec

ts.

Page 48: re_use of the Vendicari tonnara

2.3_

vend

icar

i

Page 49: re_use of the Vendicari tonnara

La s

toria

di V

endi

cari

ha ra

dici

lo

ntan

e ne

l tem

po: i

l nom

e è

di d

eriv

azio

ne a

raba

, ma

inse

diam

enti

uman

i vi f

uron

o si

n da

lla p

reis

toria

, com

e di

mos

trano

, più

a s

ud le

gro

tte

Cal

afar

ina

e C

arru

ggi.

Page 50: re_use of the Vendicari tonnara

App

rodo

già

con

osci

uto

in e

poca

feni

cia,

Ven

dica

ri di

venn

e il

porto

del

l’ant

ica

“Net

um”,

dal q

uale

, per

sec

oli,

salp

aron

o im

barc

azio

ni c

aric

he d

i var

ie m

erca

nzie

tra

cui

gran

o (la

citt

à di

Not

o ac

quis

ì, co

n di

plom

a de

l 139

6, il

di

ritto

ad

espo

rtarlo

) e to

nno,

la c

ui p

esca

e la

vora

zion

e co

stitu

ì un’

impo

rtant

e fo

nte

di o

ccup

azio

ne fi

no a

l 19

43, a

nno

di c

hius

ura

della

tonn

ara;

atti

va d

a M

aggi

o a

Giu

gno,

que

lla d

i Ven

dica

ri er

a un

a to

nnar

a de

tta “d

i rip

asso

”, po

iché

si p

esca

vano

i to

nni c

he ri

pren

deva

no il

la

rgo

dopo

ave

r dep

osto

le u

ova.

Page 51: re_use of the Vendicari tonnara
Page 52: re_use of the Vendicari tonnara

La te

stim

onia

nza

più

antic

a de

lla m

illen

aria

tra

dizi

one

della

pes

ca e

lavo

razi

one

del p

esce

a

Vend

icar

i è d

ata

dallo

sta

bilim

ento

, di e

poca

el

leni

stic

a, n

el q

uale

ven

iva

sala

to il

pes

ce in

ec

cede

nza,

e p

repa

rato

il “g

arum

”, al

imen

to

all’e

poca

app

rezz

atis

sim

o, re

aliz

zato

met

tend

o a

mac

erar

e in

vas

che

cont

enen

ti ac

qua

di m

are

gli s

carti

dei

tonn

i, so

prat

tutto

inte

riora

, ins

iem

e a

pesc

ato

di p

icco

la ta

glia

.Il

sale

nec

essa

rio a

que

ste

attiv

ità v

eniv

a ric

avat

o in

loco

, sfru

ttand

o i “

pant

ani”

in p

ross

imità

del

mar

e:

riman

gono

test

imon

ianz

e de

ll’at

tività

del

le S

alin

e ne

gli i

mpi

anti

di P

anta

no G

rand

e ch

e fu

rono

atti

vi

sino

al 1

951.

Di e

tà c

lass

ica

è la

“Via

Elo

rina”

, di c

ui re

stan

o al

cune

trac

ce, m

entre

biz

antin

a (V

– V

I sec

. d.C

.) è

la c

osid

detta

“Trig

ona”

, ch

iesa

sup

erst

ite d

elle

qu

attro

indi

vidu

ate

da P

aolo

Ors

i, e

la n

ecro

poli,

co

stitu

ita d

a ca

taco

mbe

, tom

be a

foss

a ed

edi

cole

fu

nera

rie.

Qua

ttroc

ente

sca

è la

torr

e ch

e s

i erg

e a

fi anc

o de

lla

tonn

ara,

det

ta “S

veva

” per

la ti

polo

gia

della

stru

ttura

de

l bas

amen

to: f

u co

stru

ita p

er v

oler

e di

Pie

tro

D’A

rago

na (1

416

– 14

58 )

e fo

rtifi c

ata

nel ‘

500

da

Page 53: re_use of the Vendicari tonnara
Page 54: re_use of the Vendicari tonnara
Page 55: re_use of the Vendicari tonnara

Gio

vann

i De

Vega

, man

tene

ndo

la s

ua fu

nzio

ne fi

no a

lla fi

ne d

el 1

700.

Vend

icar

i è u

n lu

ogo

di in

tens

a e

selv

aggi

a be

llezz

a: p

erco

rren

done

a p

iedi

i se

ntie

ri,

pref

erib

ilmen

te in

bas

sa s

tagi

one,

qua

ndo

le s

ue s

piag

ge s

i spo

pola

no d

ei b

agna

nti,

chia

ssos

i ed

indi

ffere

nti a

lla n

atur

a de

l luo

go (l

a ba

lnea

zion

e sa

rebb

e vi

etat

a m

a, in

al

cune

zon

e, i

n re

altà

vie

ne to

llera

ta),

si ri

vela

no a

l vis

itato

re s

piag

ge d

i fi n

issi

ma

sa

bbia

rosa

ta (c

ome

gli a

reni

li di

Elo

ro o

la s

plen

dida

Cal

a M

osch

e), c

oste

rocc

iose

or

a st

rapi

omba

nti,

dov

e le

ond

e si

infra

ngon

o ru

mor

osam

ente

, ora

deg

rada

nti

dolc

emen

te v

erso

il m

are.

In u

n ec

osis

tem

a pa

rtico

lare

com

e qu

ello

di V

endi

cari

poss

ono

vive

re e

sclu

siva

men

te

orga

nism

i veg

etal

i ( m

a an

che

anim

ali )

in g

rado

di a

datta

rsi a

lle p

artic

olar

i con

dizi

oni

che

lo c

arat

teriz

zano

, ovv

ero

quel

le d

i una

zon

a um

ida

a di

retto

con

tatto

con

il m

are

e qu

indi

con

un

elev

ato

teno

re d

i sal

inità

nel

le s

ue a

cque

.S

i ind

ivid

uano

cos

ì due

fam

iglie

di s

peci

e ve

geta

li in

dige

ne:le

alo

fi te,

in g

rado

di

asso

rbire

acq

ua c

on e

leva

to g

rado

di s

alin

ità, e

le s

uccu

lent

e, in

gra

do d

i acc

umul

are

Page 56: re_use of the Vendicari tonnara

nei p

ropr

i tes

suti

elev

ate

quan

tità

di a

cqua

dol

ce.

Nel

la fa

scia

pro

ssim

a al

mar

e si

al

tern

ano

pian

te p

sam

mofi

le, i

n gr

ado

cioè

di a

datta

rsi a

i ter

reni

sa

bbio

si, a

pia

nte

rupi

cole

, che

pr

edili

gono

il s

ubst

rato

rocc

ioso

. A

lle lo

ro s

palle

si s

usse

guon

o du

ne s

abbi

ose

ricop

erte

da

una

vege

tazi

one

cesp

uglio

sa, l

e co

sidd

ette

“ga

righe

” 04,

pop

olat

e da

pia

nte

di T

imo,

Spi

napo

rci,

Pal

ma

Nan

a, M

andr

agor

a e

num

eros

e or

chid

ee. A

lle s

palle

di

que

sta

fasc

ia, i

n po

sizi

one

più

ripar

ata

rispe

tto a

l mar

e, s

i in

sedi

a la

mac

chia

dom

inat

a da

l Gin

epro

coc

colo

ne, c

he

ragg

iung

e il

mas

sim

o sv

ilupp

o ne

lla z

ona

di c

ittad

ella

dei

M

acca

ri.

Page 57: re_use of the Vendicari tonnara

Le ri

ve d

ei p

anta

ni s

ono

cara

tteriz

zate

da

ampi

e pr

ater

ie

di S

alic

orni

a, m

entre

nel

le a

ree

limitr

ofe

si in

sedi

ano

Giu

nchi

, S

cirp

i, C

aric

i e C

anna

Dom

estic

a,

anch

e se

il v

ero

inte

ress

e de

i pa

ntan

i è d

ato

dallo

spe

ttaco

lo

delle

cen

tinai

a di

spe

cie

di u

ccel

li ch

e li

popo

lano

, avv

icen

dand

osi

seco

ndo

le s

tagi

oni.

E’ p

ossi

bile

am

mira

rli, d

otan

dosi

di u

n bu

on

cann

occh

iale

, dag

li ap

posi

ti ca

pann

i di o

sser

vazi

one

(ai

foto

grafi

si c

onsi

glia

un’

ottic

a m

inim

a da

qua

ttroc

ento

). I

perio

di m

iglio

ri pe

r una

vis

ita

sono

que

llo a

utun

nale

, dal

la fi

ne

di A

gost

o, d

uran

te il

qua

le s

i po

sson

o os

serv

are

i tra

mpo

lieri

(Airo

ni c

ener

ini,

Gar

zette

, S

pato

le, F

enic

otte

ri), m

entre

da

nove

mbr

e a

mar

zo, p

erio

do in

cui

i p

anta

ni s

ono

più

ricch

i di a

cqua

, si

oss

erva

no a

natre

e fo

lagh

e in

siem

e a

gabb

iani

e q

ualc

he

esem

plar

e di

cor

mor

ano.

Page 58: re_use of the Vendicari tonnara
Page 59: re_use of the Vendicari tonnara

3_se

tup

Page 60: re_use of the Vendicari tonnara

3.1_

prog

ram

me

Page 61: re_use of the Vendicari tonnara
Page 62: re_use of the Vendicari tonnara
Page 63: re_use of the Vendicari tonnara
Page 64: re_use of the Vendicari tonnara

1. fa

te u

na b

ase

geom

etric

a su

cui

po

i pog

giat

e i f

ogli

da s

chiz

zo p

er

lavo

rare

2. il

dis

egno

, sia

di b

ase

sia

quel

lo

a m

ano,

dev

e es

sere

rigo

roso

: mai

fre

ttolo

so o

impr

ecis

o3.

ogn

i ide

a di

pro

getto

va

svilu

ppat

a in

pia

nta,

in s

ezio

ne

e co

n m

odel

li di

stu

dio

(anc

he

parz

iali)

4. g

iunt

i ad

una

solu

zion

e ac

cetta

bile

, red

iget

e un

mod

ello

di

stud

io (d

i ins

iem

e)5.

i m

odel

li di

stu

dio

sono

dei

m

ater

iali

di la

voro

, com

e gl

i sch

izzi

e

le p

ropo

ste

in it

iner

e: n

on s

ono

delle

mer

e ra

ppre

sent

azio

ni, m

a se

rvon

o a

prog

etta

re

3.2_

[do]

deca

logu

e

Page 65: re_use of the Vendicari tonnara

6. o

gni o

rgan

izza

zion

e de

lla fo

rma

(pro

getto

) dev

e av

ere

una

stor

ia:

il pr

oget

to è

lo s

vilu

ppo

logi

co in

fo

rma

arch

itetto

nica

del

tem

a/id

ea

(que

lla c

he a

bbia

mo

chia

mat

o id

ea)

7. re

aliz

zare

sug

gest

ioni

(con

fo

tom

onta

ggi)

o se

mnp

licem

ente

in

divi

duar

e il

patte

rn g

eom

etric

o se

rve

a da

re c

hiar

ezza

all’

idea

, ad

app

ropr

iars

ene

con

mag

gior

e co

nsap

evol

ezza

8. n

on s

i può

lavo

rare

sen

za

aver

e ac

cant

o - s

empr

e - l

e fo

to

del l

uogo

: fra

mm

enti

o m

onta

ggi

pano

ram

ici

9. n

on d

imen

ticat

e ch

e in

terv

enite

su

di u

n es

iste

nte:

il c

onte

sto

deve

ris

ulta

re c

ome

elem

ento

nec

essa

rio

e in

disp

ensa

bile

del

pro

getto

10. n

on ri

nunc

iate

a ri

cono

scer

e ed

iden

tifi c

are

gli e

lem

enti

forti

e

cara

tteris

tici c

he c

ostit

uios

cono

il

cont

esto

; non

sol

o in

term

ini d

i ass

i e

visu

ali,

ma

sopr

attu

tto in

term

ini

di fo

rma

(mur

i, pi

last

ri, o

rogr

afi a

, pi

ani,

ecc.

), m

ater

ie (p

ietra

, acq

ua,

vent

o, e

cc.),

sto

rie (f

auna

, fl o

ra,

even

ti, u

si, e

cc.)

11. p

er in

izia

re, n

on a

bbia

te p

aura

di

“cop

iare

”: no

n i p

roge

tti a

nalo

ghi,

ma

fram

men

ti di

spa

zio

(che

si

real

izza

attr

aver

so l’

idiv

idua

zion

e sa

pien

te d

i stru

tture

)12

. non

abb

iate

pau

ra d

i ess

ere

sem

plic

i, ev

itand

o di

ess

ere

sem

plic

isti

Page 66: re_use of the Vendicari tonnara

3.3_

draw

ings

Page 67: re_use of the Vendicari tonnara
Page 68: re_use of the Vendicari tonnara
Page 69: re_use of the Vendicari tonnara
Page 70: re_use of the Vendicari tonnara
Page 71: re_use of the Vendicari tonnara

4_ex

erci

ses

Page 72: re_use of the Vendicari tonnara

maq

uett

e

la s

cala

a c

ui la

vora

re è

1:1

000

per q

uant

o co

ncer

ne

l’are

a ge

nera

le d

el p

roge

tto, 1

:500

per

il c

ompl

esso

deg

li ed

ifi ci

pre

sent

i e 1

:200

per

l’ed

ifi ci

o de

lla to

nnar

ape

r lo

stat

o di

fatto

, il m

ater

iale

da

utili

zzar

e pe

r il

paes

aggi

o e

per g

li ed

ifi ci

- un

ico

- è il

car

tonc

ino

grig

io

spes

sore

1; 2

e 3

mm

. Il m

ater

iale

per

rapp

rese

ntar

e l’a

cqua

è in

vece

a s

celta

di c

iasc

un s

tude

nte.

La re

aliz

zazi

one

delle

maq

uette

com

inci

a su

bito

e

pros

egue

lung

o tu

tta la

prim

a pa

rte d

el c

orso

, pa

ralle

lam

ente

alle

ese

rcita

zion

i pro

pede

utic

he

(con

segn

a m

arte

dì 2

9 ap

rile:

I° s

emin

ario

di

pres

enta

zion

e de

i lav

ori)

per l

e m

aque

tte d

i stu

dio

- de

l pro

getto

- ut

ilizz

are

mat

eria

li a

piac

ere,

ma

per l

a pr

esen

tazi

one

fi nal

e va

nno

adop

erat

i la

bals

a, p

er l’

impi

anto

gen

aral

e 1/

1000

e

legn

o a

bloc

chi,

per l

a si

stem

azio

ne g

ener

ale

1/50

0.

Per

la m

aque

tte d

i pro

getto

1/2

00 s

i con

sigl

ia l’

uso

di

carto

ncin

o ve

geta

le, p

lexi

glas

s pr

ofi la

ti e

fogl

i in

met

allo

.

4.1_

exer

cise

s

Page 73: re_use of the Vendicari tonnara

sist

emi c

ontin

ui

si d

efi n

isco

no “c

ontin

ue”

quel

le s

truttu

re c

ostru

ttive

che

tra

smet

tono

i ca

richi

al s

uolo

in

man

iera

uni

form

e e

non

conc

entra

ta, f

acen

do u

so d

i el

emen

ti tri

dim

ensi

onal

i (es

.: la

ster

e e

pian

i) o

di s

truttu

re

omog

enee

e c

ompa

tte (e

s.:

cavi

tà s

cava

te).

nei s

iste

mi “

cont

inui

” le

stru

tture

po

rtant

i coi

ncid

ono

con

quel

le

porta

te (e

s.: m

uartu

re p

orta

nti,

alcu

ni ti

pi d

i vol

te, e

cc.).

N

B: i

mat

eria

li di

cui

son

o di

so

lito

cost

iuiti

last

re e

pia

ni

sono

dis

cont

inui

- i c

onci

- a

cui

la p

rese

nza

della

mal

te

cons

ente

una

coe

sion

e ch

e da

vi

ta a

d un

ele

men

to c

ontin

uo.

anch

e ne

l cas

o de

i sis

tem

i di

scon

tinui

, si p

osso

no o

ttene

re

supe

rfi ci

pia

ne c

ostit

uite

- p

er c

ontra

ppos

izio

ne -

da

mat

eria

li co

ntin

ui (e

s.: m

etal

li o

calc

estru

zzo)

sist

emi d

isco

ntin

ui

si d

efi n

isco

no “d

isco

ntin

ue”

quel

le s

truttu

re c

ostru

ttive

che

tra

smet

tono

i ca

richi

al s

uolo

in

man

iera

con

cent

rata

face

ndo

uso

di e

lem

enti

bidi

men

sion

ali

(es.

: tra

vi e

pila

stri)

. ne

i sis

tem

i “di

scon

tinui

” le

stru

tture

por

tant

i pr

evel

ente

men

te n

on

coin

cido

no c

on q

uelle

por

tate

(tr

avi,

pila

stri,

arc

hi, e

cc. n

on

svol

gono

alc

una

funz

ione

di

viso

ria).

NB

: i m

ater

iali

che

cost

ituis

cono

trav

i e p

ilast

ri so

no p

rela

ntem

ente

con

tinui

- l

egno

, fer

ro, c

alce

stru

zzo

ecc.

- m

a po

sson

o an

che

esse

re

disc

ontin

ui -

ad e

s. i

mat

toni

o

i con

ci in

pie

tra -

che

però

gr

azie

alla

pre

senz

a de

lla m

alta

da

nno

vita

ad

un e

lem

ento

ch

e pu

ò es

sere

ass

imila

to a

d un

ele

men

to re

aliz

zato

con

m

ater

iale

con

tinuo

.

prim

a es

erci

tazi

one

stru

ttur

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Page 74: re_use of the Vendicari tonnara

seconda esercitazione

interpretazione della forma architettonicaogni studente dovrà portare quanto necessario a disegnare in aula (su fogli piani A3 di carta da schizzo).l’esercizio consiste nel approntare una lettura/analisi della struttura formale e della spazialità del complesso edilizio della tonnara di vendicari e dell’ambiente (naturale, storico, ecc.) circostante

format di consegna

per tutte le consegne del laboratorio, si devono produrre dei plichi che raggruppano materiali omogenei (per tema e dimensione) tenuti insieme da pinze removibili. come cartiglio deve essere adoperato un foglio di carta lucida o da schizzo della stessa dimensione del formato adoperato per redigere gli elaborati, posto come copertina del plico che viene consegnato.il plico avrà anche un cartoncino rigido (grigio di 3 mm) come supporto (ultimo foglio).le informazioni vanno impaginate - va cioè trovata una logica chiara e coerente nella distribuzione e collocazione del testo suk foglio (equivalmente ad un progetto) utilizzando esclusivamente: carattere arial, helvetica o futura con corpo 12 e in stile grassetto

si suggerisce di predisporre delle copie “mastro” in formato A4; A3; A2 e una del formato risultante dalla stampa dei provini a strisce (3 fotogrammi alla volta)

Page 75: re_use of the Vendicari tonnara

fotografi e modelli prima esercitazione

le fotografi e dei modelli vanno sempre stampate in striscia dimensione provini da tre fotogrammila fotografi a permette una lettura dello spazio più complessa e introduce il tema della luce; per tanto gli studenti devono stabilire una sorgente luminosa disposta in tre posizioni a scelta oltre quella zenitaleeseguono quindi vari scatti e selezioneranno tre fotografi e - da punti di vista diversi - per ogni posizione della fonte luminosa.in questo modo gli studenti presenteranno all’incontro sucessivo un carnet rilegato di 12 immagini per ciascun modelloil procedimento mentale potrà essere allegorico, simbolico, letterale, evocativo, sintetico...si tratta di scegliere ed affi ancare in un unico elaborato un immagine e un testo che riescano a comunicare, in modo appunto programmatico, il tema principale che si è deciso di evidenziareil collage va elaboarato su fogli di f.to A3 e la superfi cie complessiva dell’immagine non deve occupare più del 20% della superfi cie totale disponibile, il testo va ediatto adoperando come font arial, helvetica o futura in stile grassetto, ma con la libertà di scegliere la grandezza del corpo

manifesto

in questo esercizio, gli studenti dveono cercare di allontanarsi dalla mera descrizione delle caratteristiche fi siche e geometriche delle strutture su cui si è lavoratoi temi di questa esercitazione sono infatti la messa a fuocola discussione e la rappresentazione dell’aspetto più distintivo ed espressivo del proprio pensiero critico, attraverso un elaborato non più strettamente descrittivo ma essenzialmente suggestivo, simbolico, metaforicoparadossalmente in questa esercitazione che è quella maggiormente astratta, lo studente è invitato a defi nire per la prima volta, programmaticamente, il carattere del proprio lavoro compiendo un passo deciso dentro al progettoil prodotto di queste rifl essioni e delle scelte che ne conseguono è un collage (elaborato con tecnica tradizionale o digitalmente)il collage diventa l’immagine manifesto dle progetto di lettura e di interpretazione, la sua copertina, il suo titoloil procedimento mentale

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massimo curzilibero professionista, svolge il proprio lavoro soprattutto nel campo degli interni e dell’architettura domestica.Docente al contratto presso il politecnico di milano, nel 2001 e 2002 ha svolto attività di tutoraggio ai corsi di peter zumthor presso l’accademia di mendrisio.

gennaro postiglionedottore di ricerca (1994) ericercatore (1998) in architettura degli interni presso il politecnico di milano, è docente di progettazione architettonica.Visiting scholar e guest professornei paesi scandinavi, svolge attività di ricerca e professionale nell’area degli interni indagando i rapporti esistenti tra culture localidell’abitare, architettura domestica e modernità.Parallelamente, coltiva interessi di ricerca su temi che legano la museografi a alle questioni relative alle identità culturali e ai nazionalismi. Scrive su riviste di settore; tra le sue pubblicazioni principali:Sigurd Lewerentz. Completeworks, Electa, Milano 2001/New York 2002, con Flora N.,Giardiello P.; C. Norberg-Schulz. Terre notturne, Unicopli, Milano 2001; Scandinavia anni Trenta,“Rassegna” n. 77/2000.Attualmente sta curando unvolume sulle case degli architetti europei del novecento per i tipi della Taschen.

bruno vaeriniprogettista di interni, ha realizzato numerosi lavori pubblicati in diverse occasioni sulle riviste di settore. Dopo aver abbandonato gli studi presso l’accademia d’arte a roma, ha iniziato a svolgeresenza sosta la propria attività professionale.Docente a contratto presso ilpolitecnico di milano, ha insegnato in molte scuole di architettura all’estero. Al suo lavoro è dedicata la monografi a curata da manolo de giorgi, “la scatola interna”.

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lorenzo bini98/99

studio tim power, milano99/00

studio&partners, milano00/02

west 8 urban design &landscape

architecture, rotterdam02

apre uno studio indipendente a milano

alessia mosci99/00

studio LDP, london00/01

studio Adcock Clayton Associates, london

02apre uno studio

indipendente a milano insieme a paolo

vimercati

paolo vimercati99/00

studio LDP, london00/01

studio Adcock ClaytonAssociates, london

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indipendente a milano insieme ad alessia

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Page 126: re_use of the Vendicari tonnara

sara albanifrancesca alberti

anna airolivittorio attili

niccolò p. baldialessandra bari

lucia bazzolianita bergomiluara bussolipaola calveri

giuseppe campisiviola cannatalara capelletti

francesco castellanzamaria b. castelli

maria c. cazzanigaolimpia cermasi

alessandra chiapparinimaria coccia

valentina coccoerika cormio

francesco coronabenedetta cremaschi

monica crepaldicarmine de chirico

alessandra de leonardisfederico delfi no

giorgio dell’acquachiara dellanoce

rossella destefanimicelle erazo

domenica fi orinimauro fracsa

elisabetta gabriellielia gadeschitiziana gaianipaolo garzillo

luisa giovenzanafranscesa grassi

luara grassifederica grisetti

sara guittisilvia invernizzi

shon kiviti chiara longoni

lisa luzziemanuela malafronte

giusi pecorarostefano pellorini

tommaso previdiantonella previtali

beatrix rossichiara scaliajonas stokkelucia tenconi

alessandra tondinimartina valcamonica

irene zaroli

gennaro postiglionemassimo curzi

bruno vaerini

lorenzo binialessia mosci

paolo vimercatiluciano lanzone