Reti Solidali 1 – GennFebb 2012

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etisolidali Reti Solidali - Bimestrale anno IX numero 1/12Aut. del Trib di Roma del 02/09/02 n.508/2Poste Italiane S.p.A. Sped. in abb. D.L.353/03 (conv. in L.27/02/04 n.46) art.1, comma 2-3, Roma Aut. N.133/07 Terzo settore: Linee Guida per la partecipazione Attivi in rete CSV: parte il Trovavolontariato A.I. Invecchiamento attivo PERIODICO DEI CENTRI DI SERVIZIO PER IL VOLONTARIATO DEL LAZIO Gennaio - Febbraio 2012 /1

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PERIODICO DEI CENTRI DI SERVIZIO PER IL VOLONTARIATO DEL LAZIO

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PERIODICO DEI CENTRI DI SERVIZIO PER IL VOLONTARIATO DEL LAZIO

Gennaio - Febbraio2012 /1

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lo stai facendo male!

Parcheggio

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etisolidaliEEDDIITTOORRIIAALLEE

IILL VVOOLLOONNTTAARRIIAATTOO VVAAServe tempo, per la solidarietà tra generazioniA scuola di integrazionePartecipazione del Terzo settore alla determinazione delle politiche. Le “Linee Guida” Riforma dei servizi sociali: il dialogo è aperto

FFOOCCUUSSCome sono reali le comunità virtuali

IILL DDIIRREE EE IILL FFAARREEAstratti furori: un volontariato di lotta e di culturaIl tfr? È andato via in ambulanza Aiuto take away: una sera alla stazione Termini Con i verbi italiani non ci capisco niente

AALL SSEERRVVIIZZIIOOIl Trovavolontariato. Una buona idea

PPRROOSSPPEETTTTIIVVEEL’arte che ha un cuoreIl carcere tra volontariato, leggi e propostePerché la partecipazione fa bene ai giovaniLa gioventù che non ha fretta

LLEEGGGGEERREE,, GGUUAARRDDAARREE,, NNAAVVIIGGAARREECresima showRecensioni

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6661216

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Direttore responsabilePaola Springhetti

RedazioneLoretta Barile, Chiara Castri, Federica Frioni, Ksenija Fonovic

Grafica ed impaginazioneSergio Trenna

EdizioniCesv e Spes, Via Liberiana 17 – 00185 Roma

Registrazione del Tribunale di Roma: Reti Solidali - Bimestrale anno IX numero 1/12 Aut. delTrib. di Roma del 02/09/02 n.508/02 Poste Italiane S.p.A. Sped. in abb. D.L.353/03 (conv. inL.27/02/04 n.46) art.1, comma 2 e 3, Roma Aut. N.133/07

Finito di stampare nel mese di Febbraio 2012tipografia Spedalgraf Stampa SrlVia Cupra 23 – 00157 Romawww.spedalgrafstampa.it

L’immagine in copertina è di Sergio Trenna.

Questa rivista è stata stampata su carta ecologica

RETI SOLIDALIN. 1/2012

Via Liberiana 17 – 00185 RomaTel. 06/491340

E mail: [email protected]@spes.lazio.it

Errata corrige: nel numero di Dicembre 2011 di Reti Solidali la foto a pagina 32 è di tusciamedia.com

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Una mattina ho aperto il giornale e ho trovato un titolo: “Ter-remoto nel Lazio. Nessuna strada è stata risparmiata”. “Sot-totitolo: a seguito dello sciopero del volontariato, ogni

equilibrio è saltato. La protezione civile scava tra le macerie, ma senzavolontari può fare poco”.

Era solo un sogno, ma il pensiero di che cosa succederebbe se il vo-lontariato si fermasse, evoca immagini di questo tipo. Per fortuna, nonsi ferma mai: non perché sia rassegnato, ma perché per sua natura è abi-tuato a pensare positivo, e a cercare sempre e comunque una risposta aiproblemi.

È in preparazione la Conferenza nazionale del volontariato, che si svol-gerà all’Aquila in settembre. È un’occasione importante, anzi unica, perlanciare un sfida nuova: quella della cultura della democrazia.

Noi siamo un Paese che ha nel proprio Dna storico l’Umanesimo e ilRinascimento, l’esperienza dei Comuni e delle 100 città, la democraziagreca e la capacità dell’impero romano di agglomerare culture e popoli.Per questo non possiamo diventare, oggi, il Paese della delega e della ras-segnazione, anche se le Borse e l’alta finanza sembrano essere diventatela nuova oligarchia che governa il mondo e detta le regole ai Governidelle proprie periferie, cioè dei Paesi come il nostro.

Ritrovare la democrazia vuol dire tante cose. Per cominciare, vuol diretrovare luoghi di espressione, confronto e dialogo, tra l’altro non con-fondendo i centri commerciali con le agorà.

Editoriale

di FFrraanncceessccaa DDaanneessee

LLAA PPAARRTTEECCIIPPAAZZIIOONNEESSOOTTTTOO LLEE MMAACCEERRIIEE

Foto di Luca Di Ciaccio (Flickr)

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Per proseguire, vuol dire trovare cittadini e organizzazioni che abbianovoglia di partecipare, mettendo in gioco idee, esperienze, tempo, energie.I volontari sono cittadini di questo tipo? Io credo di sì, e le loro orga-nizzazioni sono strumenti di partecipazione per un numero di personemolto più ampio di quello dei volontari stessi.

Va di moda monetizzare il valore economico del volontariato (si diceche per ogni euro che viene investito nel volontariato, se ne ottengono13,5 di servizi), ma il valore vero che esso produce non è quantificabile,perché è altro: è il capitale sociale, il tessuto sociale, il contributo al benecomune, il tesoro relazionale che costruisce. E, se riesce a fare tutto que-sto, è perché il volontariato è partecipazione.

Ma adesso non basta essere, occorre contagiare. Occorre diventaremotori di partecipazione, coinvolgendo la cittadinanza tutta. Allora siscopre che la rete delle piccole organizzazioni è, in questo senso, una ri-sorsa finora sottovalutata e invece da valorizzare.

Il Registro regionale che rende più complicata l’iscrizione alle associa-zioni che hanno pochi volontari, le amministrazioni che non affrontanoadeguate risposte alla necessità di avere sedi (gli affitti si portano via il70% delle risorse), i politici che tessono le loro reti clientelari soffocandol’autonomia delle organizzazioni… non si rendono conto che queste re-altà sono la migliore prevenzione antisismica.

Le organizzazioni di volontariato sono ovunque e, se assumono in pie-nezza il proprio ruolo culturale, hanno la capacità di portare sul territo-rio i grandi temi di cui si dibatte ad alto livello e di cui spesso non sivedono ricadute territoriali (mentre i contributi “dal basso” potrebberoarricchire anche le grandi reti). Hanno la capacità di valorizzare risorse einiziative, dando loro forma ed efficacia (basti pensare a quanto si sta svi-luppando l’associazionismo degli stranieri o il volontariato di welfare).Hanno la capacità di abbattere steccati ancora rigidi – ad esempio quelloche divide laici e cattolici sul fronte della cittadinanza attiva – creandodialogo e collaborazione.

La Conferenza nazionale del volontariato di settembre è un’occasione unica

per lanciare la sfida nuovadella cultura della democrazia

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Certo, non sempre il volontariato è pienamente consapevole delruolo che può e deve giocare in una democrazia pienamente parteci-pativa, e su questo deve aprire una riflessione al proprio interno, per ri-scoprire alcune dimensioni che rischiano perennemente di esseresoffocate dalla pressante richiesta di servizi. Ad esempio, ritrovando ladimensione di advocacy.

Ma, contemporaneamente, è necessario richiamare anche tutti gli in-terlocutori a riconoscere questa importanza del volontariato come fat-tore di partecipazione e come diffusore della cultura della democrazia.Se butto un sasso nello stagno, la superficie si increspa per i cerchi che siallargano. Se ne butto due, i cerchi che si allargano sono due. Se ne lan-cio una gragnola sopra tutta la superficie, tutta la superficie sarà in mo-vimento. Il volontariato è in ogni angolo del territorio, facciamo in modoche non finisca sotto le macerie. ■

Non basta essere, occorre contagiare,diventare motori di partecipazione.

Allora si scopre che la rete delle piccole organizzazioniè una risorsa da valorizzare

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di KKsseenniijjaa FFoonnoovviićć

Il 2012 è l’Anno europeo dell’invec-chiamento attivo e della solidarietàtra generazioni. Per il volontariato

italiano è importante per diverse ragioni.Per il tema – che nei suoi valori di base

della solidarietà, delle pari opportunità, deldialogo e accrescimento reciproco e del-l’esercizio attivo della cittadinanza rispecchiai valori fondanti delle organizzazioni di vo-lontariato, a prescindere dal campo di atti-vità.

Per gli obiettivi individuati dall’UnioneEuropea – occupazione, volontariato e par-tecipazione, vita autonoma e salute – che inmaniera diretta riguardano numerose asso-ciazioni impegnate nel sostegno agli anzianifragili, per la prevenzione, la socializzazionee le reti di comunità, nella cura dei beni pub-blici e per la promozione dei diritti e dellepolitiche pubbliche inclusive.

Per i protagonisti dell’Anno – persone inetà matura, spesso volontari più presenti epiù propositivi.

L’anno è importante anche perché con-ferma che le istituzioni europee mettono alcentro della casa comune europea la neces-sità che cresca la consapevolezza e l’impe-gno per un’Europa sociale. Dopo gli annidedicati alla Lotta alla povertà e all’esclu-sione sociale (2010) e al volontariato e allacittadinanza attiva (2011), si prevede che ilciclo continui con l’Anno europeo dei citta-dini (2013) e contro lo spreco del cibo(2014): temi sociali, che si intersecano traloro e che offrono al volontariato l’oppor-tunità di valorizzare il proprio operato, dimettere al servizio dello sviluppo di nuove emigliori politiche pubbliche il proprio baga-glio di esperienze, soluzioni, proposte. Apartire forse dall’interrogarci su quale sia la

SSEERRVVEE TTEEMMPPOO,, PPEERR LLAA SSOOLLIIDDAARRIIEETTÀÀ TTRRAA GGEENNEERRAAZZIIOONNIIÈÈ iinniizziiaattoo ll’’AAnnnnoo ddeellll’’iinnvveecccchhiiaammeennttoo aattttiivvoo iinn uunn’’EEuurrooppaa cchhee vveeddrràà rraaddddooppppiiaarree llaa ppeerrcceennttuuaallee ddii oovveerr 6655 eennttrroo iill 22006600

Il volontariato va 66

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nostra consapevolezza e il nostro impegno,di fronte alle debolezze, alle barriere e ai ri-schi propri dell’invecchiamento.

L’invecchiamento e il PilI dati possono aiutarci a prendere consa-

pevolezza di quanto la nostra percezionedell’invecchiamento sia vicina o lontana dalpunto di vista istituzionale e quanto, in que-sto, siamo simili o diversi dai nostri vicinieuropei. Spunti utili a questo fine arrivanodall’indagine dell’Eurobarometro sull’invec-chiamento attivo, pubblicata il 13 gennaio,in occasione dell’avvio dell’Anno europeo.E sono proprio i numeri alla radice della de-cisione della Commissione a focalizzare l’in-vecchiamento della popolazione comefenomeno di portata notevole, sia per i ri-

schi che per le potenzialità. Il tema si impone con prepotenza con i

risultati del secondo Report demograficodel 2009, dove emerge con chiarezza unatendenza demografica senza precedenti: lapopolazione dell’Europa sta invecchiandorapidamente a causa dei bassi tassi di nascitae della crescente aspettativa di vita. Le pro-iezioni demografiche sui prossimi decennici mostrano una grande conquista, figlia delbenessere economico, dei progressi dellascienza, della pace. Grazie a questa gli ita-liani di sesso maschile potranno aspettarsidi superare gli 80 anni e le donne di avvici-narsi, in media, ai 90. Abbiamo aggiuntoanni alla vita, quindi.

Ma non è affatto scontato che stiamo riu-scendo in maniera altrettanto soddisfacente

Il volontariato va 77

Volontarie senior del progetto “Pensiamo al futuro, facciamo volontariato insieme”

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a rispondere alla sfida lanciata dal vecchioslogan associativo di garantire anche “vitaagli anni”. Soprattutto se adottiamo il puntodi vista lungo della programmazione dellepolitiche pubbliche, e quindi della sosteni-bilità delle risorse finanziarie. Entro il 2060,si prevede in Europa un raddoppio del nu-mero di persone di 65 anni o più rispettoalle persone in età lavorativa.

Sappiamo anche che una buona parte diquel quarto del Pil, che gli stati dell’Ue de-stinano alle politiche sociali, viene investitonegli anziani, per le pensioni, la sanità e lecure di lungo periodo. Nasce da qui la pa-rola bandiera della Strategia europea 2020,l’ “occupabilità”. Che altro non significa chelavorare tutti: anziani più a lungo, giovani dipiù e con lavori migliori, perché per assicu-

rare una vecchiaia serena e dignitosa, ancheper gli anziani del prossimo futuro, è indi-spensabile il contributo di tutti. Non soloper mezzo del lavoro che produce contri-buti, fonte della protezione sociale, maanche attraverso la partecipazione attiva allacomunità e quindi il volontariato, e mante-nendosi in buona salute e compresi nelle retisociali.

Questo è il caposaldo della visione istitu-zionale europea della solidarietà tra genera-zioni e una delle fonti principali di un altroobiettivo della Strategia 2020: ridurre di al-meno 20 milioni il numero delle persone arischio di povertà e di esclusione sociale.Numeri da capogiro, e in questi c’è un cre-scente numero di anziani.

Il progetto “Pensiamo al futuro” prevedeva scambi europei tra volontari senior

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Il volontariato va 99

Le preoccupazioni e le discriminazioniI cittadini europei non sembrano invece

condividere questa preoccupazione cosìacuta delle istituzioni. L’Eurobarometro ri-leva, che poco più di 40% dei cittadini sia«molto o abbastanza preoccupato» dell’au-mento della popolazione anziana. In Italiainvece, uno dei paesi più longevi dell’Ue, lapreoccupazione è più marcata, di ben 10punti percentuali.

Ma questo non è certamente dovuto a unpregiudizio contro la vecchiaia. Rispetto allamedia europea, dove il 28%pensa che gli anziani - nell’in-dagine, persone a partire da 55anni (davvero? Ma in qualemondo vivono gli statistici?) -siano considerati in manieratotalmente “negativa”, in Ita-lia questo vale per solo il 18%del campione. In aggiunta, il67% degli italiani pensa che lapercezione sia totalmente “positiva”, in con-fronto al 61% della media europea.

Anche rispetto alla permanenza sul mer-cato del lavoro, gli italiani si sentono più inforze rispetto alla media europea. Andandoad individuare l’età fino alla quale uno sisente in grado di poter svolgere il lavoro at-tuale, la media europea quasi magicamentesi allinea all’età media alla quale nel 2009 sientrava in pensione: 61,7 anni. Per l’Italiaquesta soglia è parecchio più alta, 64 anni,con un picco di 67,5 per i lavoratori auto-nomi. Ma mentre un terzo esatto degli eu-ropei vorrebbe continuare a lavorare anchedopo aver raggiunto l’età pensionabile, solouno quinto degli italiani mostra lo stesso in-teresse. E anche in questo caso, la discre-

panza non nasce da un pregiudizio sfavore-vole agli anziani sui luoghi di lavoro, dove lapercezione di essere stati discriminati per-ché vecchi è in linea con la media europea.

In tutti gli altri ambiti invece – tempo li-bero, sanità, accesso a prodotti e servizi fi-nanziari e accesso all’istruzione e allaformazione – sono molto più numerosi gliitaliani, che non i loro concittadini di altripaesi dell’UE, ad essere stati vittime o testi-moni diretti delle discriminazioni in base al-l’età. Nel settore sanitario, uno su cinque. Un

dato non indifferente, segnaledi fragilità non solo fisica, maanche economica e culturale,che il volontariato non puòignorare. Come è giusto che in-daghi anche sugli altri ambiticon barriere all’accesso, in par-ticolare il tempo libero - quindiil turismo, lo sport, la cultura –dove ha sperimentato una

forma di discriminazione il 14% dei cittadiniitaliani, rispetto all’8% della media europea.

Il contributo degli anzianiL’Eurobarometro registra anche quali

sono i modi in cui gli anziani contribuisconoalla società. Il sostegno economico alla fa-miglia è al primo posto e registra una note-vole distanza tra l’Italia (83% del campione)e la media europea (74%). Segue a ruota lacura dei nipoti, ma giungerà come una sor-presa il fatto che in questo caso l’Italia ri-specchia la media europea. Non è così per illavoro: 77% degli italiani contro il 65% dellamedia europea riconosce in questo un con-tributo molto importante. Seguono, allineatinell’importanza e nella media, i consumi e

Circa il 40%dei cittadini europei

è preoccupatodall’aumento della

popolazione anziana.In Italia si

raggiunge il 50%

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la cura dei familiari anziani o disabili. In ultimo, il volontariato: il 61% degli ita-

liani e il 58% degli europei riconoscono inquesto un ambito di contri-buto alla società. In questocaso il dire è separato dal fareda un autentico mare: l’Euro-barometro dice che il 22%degli italiani contro il 26%della media europea “fa volon-tariato”. Cifre che rispecchianole precedenti indagini di que-sto tipo e che pongono il volontariato ita-liano di fronte alle sfide della promozione,dell’aggregazione, del coinvolgimento.

L’adeguamento degli spaziUn altro spunto concreto fornito dall’in-

dagine dell’Eurobarometro riguarda le mi-gliorie ritenute necessarie per rendere unazona “idonea agli anziani”, tra cui i trasporti

pubblici e la sicurezza stradale.L’esigenza più forte, indivi-duata da più della metà delcampione italiano, superiore di10 punti percentuali rispettoalla media europea, è il biso-gno di strutture in cui gli an-ziani possano mantenersi informa e in salute. L’altro punto

dolente sono le aree pubbliche come i par-chi, ambite da 40% degli italiani, contro ilsolo 25% della media europea.

Gli edifici pubblici e i locali commercialinon emergono come problematici, il che ri-specchia la valutazione generale dei due terzi

Uno dei momenti all’interno del progetto “Pensiamo al futuro”

L’età media in cui si comincia ad essere

considerati vecchiin Europa si attesta

a 64 anni e in Italia sale a 68

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Il volontariato va 1111

del campione, che ritiene la propria zona diresidenza sostanzialmente “idonea agli an-ziani”.

È interessante notare, che gli intervistatisopra i 55 anni sono più generosi in questogiudizio, di quanto non lo siano i giovani.

Le richieste della generazione san-dwich

Giovani, anziani… È davvero ancoraadeguata questa consuetudine sociologica diconsiderare anziane le persone sopra i 55anni? I cittadini europei non la pensano così,e gli italiani men che meno. Secondo l’inda-gine, l’età media in cui si comincia ad essereconsiderati vecchi in Europa si attesta a 64anni e in Italia sale a 68. Allo stesso tempo,non si è più considerati giovania 42 anni in Europa e a 47 inItalia.

Tra l’uno e l’altro dato cisono i 20 anni dell’età di mezzo,della generazione cosiddettasandwich. È davvero così sot-tile la fascia dell’età adulta, cheinvece si fa carico della buonaparte della produttività sia al la-voro che in famiglia? Pesi easpettative che si scaricano so-prattutto sulle donne, sulle mamme-figlie-lavoratrici tre per uno, che tra le altre cosemaggiormente sostengono anche il lavoro dicura per i familiari più anziani.

Su questo aspetto le necessità che emer-

gono dall’Italia differiscono parecchio dallamedia europea. Le misure più utili che il Go-verno potrebbe adottare, per aiutare coloroche si occupano dei familiari più anzianisono, in ordine di importanza:

• essere autorizzati ad avere un orario dilavoro flessibile;

• avere il diritto a lavorare a tempo par-ziale;

• essere in grado di lasciare temporanea-mente il lavoro e avere il diritto di ripren-derlo al rientro;

• avere un congedo annuale finanziatocon fondi pubblici, per prendersi cura diqueste persone quando necessario.

Richieste che, solo ad elencarle, raccon-tano tanto del mercato del lavoro e dei ser-

vizi sociali pubblici in Italia.Richieste che, a differenzadella media europea, che in mi-sura molto maggiore registra lanecessità di ricevere una retri-buzione economica per l’assi-stenza fornita e la formazionegratuita su come fornire assi-stenza, gridano: tempo!

Tempo, riconoscimento edignità per la cura a domiciliodegli anziani. Potrebbe diven-

tare una priorità importante del volontariatonell’Anno europeo dell’invecchiamen-to attivo e della solidarietà tra generazioni. ■

Il 61%degli italiani

e il 58%degli europeipensano chegli anziani

possano dareun contributo

nel volontariato

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di PPaaoollaa SSpprriinngghheettttii

La cultura come strumento diemancipazione e integrazione deisingoli nella società, ma anche per

far crescere il bene comune, allargando lapartecipazione e la cittadinanza attiva. È inquesta cornice che si inserisce il discorsosulle scuole popolari: un’esperienza interes-sante che merita di essere riletta e rilanciata.

Le scuole popolari hanno nel nostro Paeseuna tradizione antica, che si può far risalire aMazzini, e che si è evoluta, col cambiare deibisogni formativi e degli utenti. Oggi si ri-volgono soprattutto agli immigrati, ai qualipropongono corsi di italiano, ma non solo.Ed è in questo “non solo” che sta il loro verosenso. Il volume “Le scuole popolari. Per l’ac-compagnameto e l’inclusione sociale di sog-getti a rischio di esclusione” (Ed. Focus-Casadei Diritti Sociali, 2011), racconta alcuneesperienze, ma soprattutto imposta una ri-

flessione, che indica anche alcune prospettivedi crescita.

Il linguaggio per le relazioniPrendiamo ad esempio la zona di Fiumi-

cino, dove la scuola di italiano è gestita dal-l’associazione “Io, noi”, che ha attivato corsianche a Ladispoli e Passoscuro. Si tratta di unterritorio con caratteristiche particolari, bastipensare che a Fiumicino la popolazione cre-sce di 2-3mila unità l’anno, a Ladispoli di oltremille, e si tratta per lo più di immigrati.

Sono tre gli obiettivi che la scuola si pro-pone. Attraverso i laboratori, che si affiancanoalle lezioni, si punta ad «aiutare le personestraniere a prendere contatto con i propri vis-suti soggettivi», attraverso la metodologia deldiario, come spiega Vincenzo Taurino nel vo-lume citato. Il secondo obiettivo è l’apprendi-mento della lingua italiana, per «creare le

AA SSCCUUOOLLAA DDII IINNTTEEGGRRAAZZIIOONNEECCoossaa ssoonnoo ee aa ccoossaa sseerrvvoonnoo llee ssccuuoollee ppooppoollaarrii iinn IIttaalliiaa

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condizioni per una reale convivenza tra citta-dini di nazionalità diverse». Il terzo obiettivoè di «creare un forte legame di solidarietà edamicizia tra gli studenti del gruppo classe».

Più o meno, questi elementi sembrano tor-nare in tutte le esperienze, anche se ogniscuola è profondamente radicata al contestoterritoriale e ha storie e numeri molto diversi:la scuola che Focus-Casa dei Diritti sociali haa Tivoli è attiva da tre anni e ha una media disessanta partecipanti, dai 12 anni in su. Sonoinvece trenta, in media, i partecipanti a La-tina Scalo, dove la scuola è di recente aper-tura (febbraio 2010), grazie ad un accordocon l’associazione Nova Urbs. A Frosinonei corsi di italiano sono stati istituiti solo nel2010/2011, ma l’associazione che li organizza«Oltre l’Occidente è da anni attiva sulle te-matiche dei rapporti Nord-Sud. A Roma, lascuola di V. Giolitti gestisce un sistema di 61gruppi classe a settimana, con quasi 1.800iscritti ai corsi.

Eppure, un background comune c’è: lacentralità della persona, dei suoi diritti, deisuoi bisogni e delle sue aspettative».

L’italiano per l’integrazioneL’insegnamento della lingua è infatti fon-

damentale, ma la sua importanza sarebbedrasticamente ridimensionata, se non si ve-desse la formazione linguistica come «lapunta di un iceberg che si chiama processodi inclusione sociale e che vede la domandadi formazione linguistica, come un dirittoessenziale di cittadinanza e come garanziaminima di accesso alle opportunità», comesintetizza Alessandro Scassellati.

La domanda formativa che arriva dagliimmigrati è infatti complessa, ma è in ge-nere riferibile all’obiettivo dell’inserimentolavorativo e sociale. C’è, ad esempio, una do-manda di formazione professionale, ma c’èanche una domanda di socialità: Fabio Fior-letta, dell’associazione “Oltre l’Occidente”di Frosinone, racconta che le donne spessofrequentavano i corsi anche per fuggire auna quotidianità familiare chiusa.

È innegabile, poi, che le scuole popolarisiano anche strumenti per prevenire l’illega-lità, come dimostrano le esperienze napole-tane in territori ad alta densità camorristica.

Il Libro“Le scuole popolari. Per l’accompagnamento e l’in-clusione sociale di soggetti a rischio di esclusione”è il frutto di un progetto grazie al quale Focus-casadei Diritti Sociali ha coordinato, tra 2010 e 2011 leattività di tredici scuole popolari, per sostenerle emetterle in rete. Nel Lazio, hanno partecipatoscuole di Fiumicino, Ladispoli, Tivoli, Gaeta, Ga-tina, frosinone, Roma. Rieti e Viterbo hanno avviatoi corsi durante il progetto.

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Il volontariato va 1144

E questo perché sono strumenti di integra-zione e soprattutto di “stabilizzazione”. Levite dei migranti sono precarie e vulnerabilie spesso è proprio la possibilità di appro-priarsi della lingua italiana, accompagnatodall’orientamento ai servizi sul territorio edalla mediazione interculturale, che possonofare la differenza tra un percorso migrato-rio positivo ed uno che si frantuma nel-l’esclusione. Non è un caso che “Oltrel’oceano”, porti i suoi studenti fuori dal-l’aula, negli uffici, nei bar, nei supermercati,nella consapevolezza che la lingua è ancheuno strumento per accedere ai servizi e percogliere le opportunità.

L’attenzione alle personeSe si pongono obiettivi così ampi, è

chiaro che le scuole popolari devono dotarsidi metodologie, didattiche e non, adeguate.Il problema è infatti superare la tradizionaleimpostazione scolastica, privilegiando il par-tire «da esperienze pratiche e dal cosiddetto“saper fare”, come formazione on the job»(Scassellati).

Coniugare la qualità didattica con l’acco-glienza, la socializzazione, l’orientamento eaccompagnamento: non è impossibile, ma ècerto impegnativo. Il fatto che già avvenga èprobabilmente uno dei motivi per cui i corsidi italiano organizzati dal terzo settorehanno più successo di quelli organizzati daiCtp: secondo i dati citati da Augusto Ve-nanzetti, tra giugno 2010 e giugno 2011 gliimmigrati iscritti ai corsi nei Ctp sono statipoco più di 6.300, quelli che si sono rivolti

Roma: prove di danze folk a Villa Carpegna

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Il volontariato va 1155

al privato sociale sono stati 8.800 circa. Mag-giore capacità di intercettare la domanda,orari più flessibili, proposte più articolate,ma soprattutto attenzione allasocializzazione e all’inclusionefanno la differenza.

Ciò non toglie che, comescrive Venanzetti, anche questescuole «sono al limite della sa-turazione; peraltro ―pur di-sponendo dell’energia deivolontari― scontano da sem-pre la cronica penuria di mezzie di aule, e sono perennementein cerca di sedi». Anche perquesto è nata la rete Scuole migranti, che hatra i suoi obiettivi quello di sostenere l’atti-vità e la crescita delle scuole.

La necessità di fare sistemaMa occorre riuscire a fare un ulteriore

passo avanti, e cioè a portare a sistema le ini-ziative messe in campo da diversi attori:pubblici, di terzo settore e anche privati.

In genere le scuole già lavorano in rete conle amministrazioni pubbliche, con gli istitutiscolastici, con le parrocchie o le associazioni.Maria Grossi nel libro racconta che l’associa-zione “Insieme-Immigrati in Italia”, attiva nelSud Pontino, per la scuola di italiano, opera

«in collaborazione con il Comune, con la Asl,con le parrocchie. È importante non solo perrisolvere i nostri concreti problemi logistici, o

di finanziamento, o di sostegnosociale, ma perché è impor-tante che le istituzioni sianocoinvolte, perché devono pren-dere atto di quelle che sono leesigenze del territorio e di que-sti nuovi cittadini, e allora coin-volgerle significa anchesensibilizzarle, avviare una cul-tura comune».

L’obiettivo di una collabo-razione più continuativa e

strutturata, infatti, non è solo di risolvereproblemi pratici, ma anche di costruire unanuova cultura della conoscenza, che per-mette di valorizzare i saperi diffusi tra le per-sone e i gruppi sociali, e di fare in modo chediventino ricchezza per tutta la società. Infondo le buone prassi che si sviluppanonelle scuole popolari sono una risposta permolte altre persone, oltre ai migranti: disa-bili, giovani in situazioni di disagio e così via.Chissà se queste esperienze e riflessioniavranno mai la possibilità di contribuire al-l’innovazione della scuola tout court, come giàsuccesse a Don Milano e alla scuola di Bar-biana. ■

La reteNel 2009 le Scuole del volontariato di Roma si sono collegate nella Rete Scuolemigranti,per intraprendere azioni comuni e dialogare con Amministrazioni, Università, mondodell’istruzione, enti di certificazione. Attualmente i soggetti che compongono la rete sono 58, 12 dei quali sono di altre pro-vince del Lazio.Per info: www.scuolemigranti.it.

Queste scuole sono al limite

della saturazione,pur disponendo

dell’energia dei volontari,scontano da sempre la cronica penuria di mezzi e di aule,

e sono perennemente in cerca di sedi

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di NNeerriinnaa TTrreetttteell

LAgenzia del terzo settore, pubbli-cando, verso la metà del dicembrescorso, le “Linee guida sulla

definizione di criteri e di modelli per la partecipazione del terzo settore alla deter-minazione delle politiche pubbliche a livellolocale”, ha compiuto il lodevoletentativo, di offrire alle Ammi-nistrazioni locali uno strumentoche le aiuti a sviluppare le prati-che partecipative del terzo set-tore. O a farle nascere, dovenon ci sono.

Dichiaratamente, le “Linee”vogliono «dettare principi», main alcuni passaggi entrano inquestioni organizzative o minutamente me-todologiche che forse sarebbe stato meglioevitare. Rappresentano comunque un pas-saggio importante per l’affermazione del

ruolo politico del terzo Settore, e con essodel volontariato, tanto più in un momentodi riforme strutturali.

Le “Linee guida” partono da un’analisi,secondo la quale «l’assenza di una responsa-bilità politica in capo al terzo settore può de-

terminare atteggiamenti dichiusura da parte dei policymaker nei confronti del coin-volgimento di soggetti che inogni caso non sono chiamatia rispondere davanti al corpoelettorale». Insomma, dalpunto di vista del decisore po-litico, la posizione del nonprofit è comoda: pretende di

contare, ma non si sottopone al test eletto-rale. Dall’altra parte, molti soggetti del terzosettore non hanno poi tutta questa voglia dipartecipazione, un po’ per le delusioni accu-

Le “Linee Guida”sono un passaggio

importante perl’affermazione

del ruolo politicodel terzo settoree del volontariato

PPAARRTTEECCIIPPAAZZIIOONNEE DDEELL TTEERRZZOO SSEETTTTOORREE AALLLLAA DDEETTEERRMMIINNAAZZIIOONNEEDDEELLLLEE PPOOLLIITTIICCHHEE.. LLEE ““LLIINNEEEE GGUUIIDDAA””UUffffiicciioo UUnniiccoo ppeerr ii rraappppoorrttii ccooll SSeettttoorree,, rraapppprreesseennttaannzzaa uunniittaarriiaa,, ccooiinnvvoollggiimmeennttoorreeaallee ee ccoonnttiinnuuaattiivvoo,, ppootteerree ddeecciissiioonnaallee ee nnoonn ssoolloo ccoonnssuullttiivvoo.. LL’’AAggeennzziiaa llaanncciiaa pprrooppoossttee,, llee AAmmmmiinniissttrraazziioonnii llooccaallii llee rraaccccoogglliieerraannnnoo??

Il volontariato va 1166

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Il volontariato va 1177

mulate negli anni, un po’ perché si rendonoconto di avere un ruolo solo consultivo, unpo’ perché insoddisfatti dei loro rappresen-tanti.

Insomma, bisogna trovare una nuovaqualità di questa partecipazione, che porti ilsettore ad avere anche un ruolo deliberativo.

L’Ufficio unico per i rapporti con ilTerzo settore

In base all’art. 118, comma 4 della Costi-tuzione (quello sulla sussidiarietà) il terzosettore si affianca ai soggetti pubblici, su unpiano di pari dignità, nel perseguimento delbene comune. Di conseguenza, non c’è untema specifico per il quale è richiesta la suapartecipazione: questa deve riguardare la de-finizione di tutte le politiche pubbliche, ri-

guardanti il sistema di welfare. Partendo daquesto presupposto, le “Linee guida” avan-zano due proposte sul piano organizzativo:

A) l’istituzione di un «ufficio unico per irapporti con il terzo settore», una «sede cen-trale di coordinamento a competenza tra-sversale», «che deve far capo a chi ha lafunzione di coordinamento dell’ammini-strazione» (ad esempio l’ufficio del Sindacoo la Presidenza della Giunta regionale).

B) il coinvolgimento del terzo settore «intutte le scelte strategiche a forte impatto sulterritorio».

Inoltre, ogni ente territoriale «è chiamatoad adottare un proprio regolamento sullapartecipazione, che definisca gli obblighi diinformazione alla cittadinanza circa i prov-vedimenti di prossima adozione e definisca

Ragazze a una manifestazione di donne. La partecipazione va valorizzata in tutte le sue forme

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Il volontariato va 1188

le regole della partecipazione. Tali proce-dure partecipative devono poter essere atti-vate anche su iniziativa dei cittadini stessi, informa singola o associata».

Infine, il terzo settore deve essere chia-mato «ad intervenire in tutto il procedimento,o comunque in una fase in cui sia ancora pos-sibile incidere sul contenuto dell’atto. In ognicaso non lo si deve relegare a mero ratifica-tore di decisioni già prese in altre sedi».

La rappresentanza unitaria e il ForumLa forma più strutturata di partecipazione

è quella “organica”. Per favorirla, è necessa-rio creare «organismi collegiali/sedi di par-tecipazione istituiti ad hoc», ad esempiocomitati, conferenze, consulte e osservatori,che assicurino un dialogo continuo tra gli or-ganismi del terzo settore e quelli istituzionali.

Chi siede in que-sti organismi? Ov-viamente dei rappre-sentanti.

Si pongono quindidue domande: qualisoggetti del terzosettore sono coin-volti in tale sedecome vengono indi-viduati. Le “Lineeguida” raccoman-dano che tutti i seg-menti del terzosettore venganorappresentati, maquesto implica af-frontare il problemadella «forte fram-mentazione delle

sedi di partecipazione, che incide sull’effica-cia della partecipazione stessa». La sceltadell’Agenzia è a favore di «una rappresen-tanza unitaria», che «riunisca tutti gli entioperanti in un determinato territorio», ridu-cendo il numero delle sedi di partecipazioneattualmente esistenti. Duplice il vantaggio:viene rafforzata la voce del terzo settore eviene snellito il procedimento partecipativo.Scelta utile, ma certo non di facile attua-zione.

Per valorizzare le competenze, le “Lineeguida” ipotizzano che questa sede di rappre-sentanza unica sia a «composizione variabile»,il che significa che di volta in volta vengonoconvocati quegli enti che sono attivi nell’am-bito tematico su cui si sta lavorando.

Dovrebbe essere ovvio (ma evidente-mente non lo è, visto che il documento lo

Roma: l’onorevole Ileana Argentin ad una assemblea pubblica dell’Auriga onlus

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Il volontariato va 1199

puntualizza), il fatto che chi partecipa nelnome del terzo settore deve essere real-mente rappresentativo, e che quindi non do-vrebbero esserci interferenze politiche etantomeno tentativi di designazione da partedi organi politici.

D’altra parte, sempre secondo le “Lineeguida”, c’è già chi può indicare i rappresen-tanti, con la possibilità di sceglierli, bontàsua, anche al di fuori di se stesso, ed è ilForum del terzo Settore. Laddove il Forumnon c’è, si auspica «un’azione sinergica traamministrazioni locali e Forum regionalenel promuovere i Forum terri-toriali». Farà parte di questasede unica di partecipazione erappresentanza almeno un rap-presentante per ogni segmento.

La partecipazione proce-dimentale e quella diffusa

Oltre alla partecipazione“organica”, esiste un secondomodello di partecipazione,chiamato «procedimentale». È meno strut-turata e funziona grazie al «dialogo direttoed immediato tra società civile e istituzionipubbliche», anche se mantiene un certogrado di formalizzazione: ricorre infatti a«tecniche chiaramente individuate e tipizzatea livello normativo». Pensiamo agli albi, alleistruttorie o ai dibattiti pubblici. È un pro-cesso partecipativo accessibile direttamenteanche al singolo cittadino e alla singola or-ganizzazione, in quanto si fonda sul ricono-scimento del diritto di far sentire la propriavoce a chiunque sia portatore di interessi ri-guardo il tema in discussione.

Per rendere effettiva la partecipazione

procedimentale, le linee guida chiedono«che sia realizzato un contraddittorio nonsoltanto in forma cartacea/documentale,ma anche in forma orale/dialogica»; che siaprevista anche laddove si elaborano «atti dipianificazione a livello regionale e locale edin generale tutte le scelte strategiche a forteimpatto sul territorio»; e che avvenga inmodo precoce e continuativo.

La terza forma di partecipazione è quella“senza rappresentanza” o diffusa: è aperta atutta la cittadinanza, senza che siano richie-ste forme di rappresentanza o impiegate me-

todologie rigide e formalizzate;apre «ulteriori possibilità, ancheper gli enti del privato sociale,per concorrere alla gestione ealla costruzione di politichepubbliche», limitando in alcunicasi «gli effetti distorsivi che avolte si riscontrano quando siprivilegia la rappresentanzadegli interessi organizzati».Inoltre consente «la valorizza-

zione delle organizzazioni del terzo settore didimensioni minori». Ne sono esempi i forumtematici o i percorsi strutturati di discussionepubblica.

Secondo le “Linee guida”, occorre valo-rizzare modalità innovative di discussionepubblica, «che favoriscano il dialogo e loscambio argomentativo e che si svolgano se-condo modalità e tempi inclusivi, compren-dendo peraltro in questo processo anche lac.d. valutazione, da intendersi in termini di“restituzione” degli esiti dei processi parte-cipativi». ■

Servonomodalità

innovative didiscussione

pubblicache favoriscano

il dialogoe coinvolgano

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Il volontariato va2200

di FFeeddeerriiccaa FFrriioonnii

Lultima Conferenza regionale delvolontariato del Lazio si è svoltalo scorso dicembre e ha visto la

presenza dell’Assessore alle Politiche Socialie della Famiglia Aldo Forte, chiamato a di-scutere con l’assemblea le modifiche da ap-portare ad alcuni articoli della Proposta diLegge sul “Sistema integrato degli interventidei servizi e delle prestazioni sociali per lapersona e la famiglia nella Regione Lazio”.«La riforma della Legge sui servizi sociali èstata il mio primo obiettivo, da quando misono insediato, perché mi sono accorto dasubito che la macchina che mi trovavo a gui-dare era vecchia e, oltre che mettere le toppeper cercare di continuare a camminare, hoiniziato a progettare insieme a tante altrepersone un modello innovativo», ha detto,comunicando la sua disponibilità a tenerconto delle proposte della Conferenza.

Lo stato attuale dei fattiLa fotografia dell’attualità di una Regione,

che è la sesta in Italia per investimenti nelcampo sociale, ci mette di fronte a due datiimportanti: 2846 è il numero delle strutturelegate ai servizi sociali del Lazio e circal’80% della spesa in questo ambito è desti-nata solo ad anziani e minori. «Già questielementi ci dicono che si tratta di un sistemasbilanciato. Inoltre, negli investimenti, non sitiene conto dei cambiamenti, che ci sonostati in questi anni nella nostra società. Se adesempio il fenomeno migratorio 15 anni fainteressava solo Roma, oggi riguarda tutte leprovince del Lazio, con dei dati che supe-rano il 100%, per non parlare dei problemilegati all’invecchiamento o alle nuove di-pendenze».

L’errore è quello di non avere un sistemache consideri prioritaria l’analisi dei bisogni.

SSEERRVVIIZZII SSOOCCIIAALLII::

««IILL VVOOLLOONNTTAARRIIAATTOO ÈÈ IIMMPPOORRTTAANNTTEE»»LLee ccoonnssiiddeerraazziioonnii ddeellll’’AAsssseessssoorree rreeggiioonnaallee AAllddoo FFoorrttee aallllaa CCoonnffeerreennzzaa rreeggiioonnaallee ddeell vvoolloonnttaarriiaattoo ddii ddiicceemmbbrree

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Il volontariato va 2211

«A questo possiamo sommare una distribu-zione dei servizi sociali a macchia di leo-pardo, una gestione non ottimale dellerisorse, uno scarso coordinamento con i ser-vizi sanitari». Inoltre il governo, già nel 2010,ha cancellato il fondo per la non autosuffi-cienza e drasticamente ridotto il fondo perle politiche sociali, che nel 2008 era per ilLazio di 80 milioni, nel 2012 sarà di 4,3 mi-lioni, «ma noi siamo riusciti a tamponare,sostituendo i 100 milioni di euro in menoche ci sono arrivati con altre risorse regio-nali».

Un nuovo modello di governanceSul tema delle Oasi, l’assessore ha rico-

nosciuto la necessità di integrare quanto piùpossibile i servizi sociali e sanitari, attraversouna programmazione omogenea su tutto ilterritorio, partendo dalle famiglie e dalle

persone che hanno più bisogno. «Il nuovomodello di governance proposto dalla RegioneLazio, parte da un principio fondamentale:dividere chi gestisce da chi pianifica e con-trolla. Nello specifico, l’Oasi gestisce e unorganismo chiamato Conferenza dei Sindaciprogramma gli interventi e ne controlla l’at-tuazione». Oggi invece tutte queste funzionivengono svolte dalle stesse persone che ap-partengono al distretto socio-sanitario.

«L’Oasi, in quanto azienda consortile, conuna propria autonomia patrimoniale e giuri-dica, verrebbe a coincide con il territorio diuna Asl», ha specificato Forte. L’autonomiapatrimoniale permetterebbe di dare una ri-sposta ad un fenomeno strutturale impor-tante, che è quello dei ritardi nei mandati dipagamento. «Quando vado in giro per i Co-muni», continua l’Assessore «nessuno michiede soldi, tutti mi chiedono di coprire il

L’assessore regionale Aldo Forte è intervenuto all’ultima Conferenza Regionale del Volontariato

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Il volontariato va 2222

debito che ha lasciato in giro l’ente regionalee questo, sicuramente, non è un problemache si risolve dall’oggi al domani». Invecel’Oasi potrebbe essere una risposta, perchéavrebbe la capacità di fare accordi di factoringe, attraverso anticipazioni da parte degli isti-tuti di credito, tamponare situazioni di emer-genza.

Rete sociale regionale e localeGli strumenti operativi che si affiancano

a questo modello sono due: la Rete socialeregionale e la Rete sociale locale. La primaavrà una programmazione triennale dei ser-vizi predisposta dalla Giunta regionale che,ascoltati i sindacati, il terzo settore e ilmondo della cooperazione, redigerà il pianosottoposto poi all’approvazione del Consi-glio regionale. «Il motivo di questo cambia-mento è che non è possibile che siapprovino i piani regionali con una semplicedelibera, si tratta invece di un atto politicoimportante, che necessita di concertazionee condivisione e dell’approvazione del Con-siglio regionale. Credo che non siano mate-rie da trattare attraverso una semplicedelibera».

La Rete sociale regionale deve contenerei Leps (Livelli essenziali delle prestazioni so-ciali). «Si tratta di livelli minimi di servizi, ga-rantiti in ambiti fondamentali come ladisabilità, l’immigrazione, gli anziani e suquei numeri l’Oasi si dovrà impegnare. Sead esempio, la provincia di Latina ha l’obiet-tivo di avere 100 asili, deve fare un pro-gramma che preveda 100 asili». Sonoprevisti criteri di ripartizione delle risorse,secondo parametri demografici, socio-eco-nomici e, soprattutto, saranno stabilite ap-

posite modalità per il coordinamento deiservizi sociali con quelli sanitari e scolastici«e non più come avviene oggi tramite unrapporto personale tra assessori».

La risposta alle richieste della Confe-renza

Parallelamente la Rete sociale locale «e( suquesto punto», ammette Forte, «si sonoconcentrate molte richieste da parte dellaConferenza sulle quali noi abbiamo dato lamassima disponibilità di analisi delle propo-ste») sarà lo strumento di programmazionedei servizi a livello locale. «Il piano dellaRete sociale locale, previa analisi della do-manda e dell’offerta dei servizi dell’ambitoterritoriale di riferimento, stabilisce i criteridi ripartizione della spesa fra i Comuni, laAsl e gli altri soggetti compresi nel sistema,le modalità per realizzare il coordinamentocon gli enti che gestiscono i servizi territo-riali e la valutazione dell’impatto della pro-grammazione, effettuata con lapartecipazione dei cittadini e degli utenti alcontrollo della qualità dei servizi».

L’Assessore ha aggiunto di voler far par-tire al più presto la costituzione di un tavolotecnico per una legge ad hoc sul volontariatoe sul terzo settore. «Premetto che nella leggedi riordino dei servizi sociali c’è un articolosul volontariato; si tratta di un articolo diprincipio, proprio perché si inserisce all’in-terno di una legge quadro. L’abbiamo vo-luto inserire lo stesso, per dare il segno diuna presenza importante del volontariatonel sistema dei servizi sociali della nostra re-gione». ■

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Focus2244

di PPaaoollaa SSpprriinngghheettttii

Una fuga dal mondo. Un’affer-mazione di narcisismo indivi-dualista. Una perdita di tempo

che falsa la percezione dei rapporti. Sonoqueste le accuse di chi vede i social networkcome strumenti di alienazione dalla vitareale, dalla propria identità, dalla comunità.Eppure, proprio da quando i social networkhanno cominciato a diventare di massa, si èricominciato a parlare di “comunità”.

Chi accusa Facebook di mistificazione, inquanto illude di avere rapporti con le per-sone, facendo dimenticare che non sono rapporti “veri”, mette in campo una con-trapposizione, identificando il vero con ciòche è “reale”, e il falso con ciò che è “vir-tuale”. Ma questa contrapposizione nonregge alla prova dell’esperienza: quello vir-tuale è uno spazio diverso, che non ha le ca-ratteristiche dello spazio fisico, ma non per

questo è falso. Semplicemente, è diverso.Ugualmente, anche le forme di aggregazionenello spazio virtuale hanno caratteristiche chenon sono quelle face to face, ma non per que-sto sono false. Semplicemente sono diverse.

Diceva Norbert Elias che il passaggio dallesocietà pre-moderne a quelle moderne si puòdefinire come un passaggio dalla dimensionedel coinvolgimento a quella del distacco: dallacomunità, dalla famiglia, dalla natura. Ciò cheInternet sembra fare, oggi, è proprio di ridarespazio, in forme nuove, al coinvolgimento.

Senza voler sminuire il valore dei legamicomunitari e dei territori, bisogna riconoscereche le nuove tecnologie permettono di co-struire reti elettive: ognuno può individuareed entrare in contatto con persone che vi-vono in altri contesti territoriali, ma condivi-dono interessi, passioni, battaglie, analisi. Ci sipuò quindi confrontare, ci si possono scam-

CCOOMMEE SSOONNOO RREEAALLII LLEE CCOOMMUUNNIITTÀÀ VVIIRRTTUUAALLIILLaa ssffiiddaa èè vviivveerree nneeggllii ssppaazzii ssiinntteettiiccii ee ccoollttiivvaarree qquuaannttoo ddii ppaarrtteecciippaazziioonnee ee ssoolliiddaarriieettàà vvii ppuuòò nnaasscceerree.. PPeerr ppooii ccaammbbiiaarree ggllii ssppaazzii ffiissiiccii

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Focus 2255

biare informazioni e suggerimenti. Possiamochiamare “comunità” queste reti?

Secondo Luciano Gallino, «una colletti-vità può essere definita comunità quando isuoi membri agiscono reciprocamente e neiconfronti di altri, non appartenenti alla col-lettività stessa, anteponendo più o menoconsapevolmente i valori, le norme, i con-sumi, gli interessi della collettività. (“Dizio-nario di sociologia”, Tea 2000). Secondo lui,questa forma di solidarietà si verificava so-prattutto in gruppi del territorio piuttostopiccoli, cioè nelle comunità locali. Ma anchein Rete si agisce: già il fatto di far girare in-formazioni altrimenti oscurate è una formadi azione. E poi si elaborano dichiarazioni edocumenti, si raccolgono firme, ci si mobi-lita. E tutto questo in base ai valori, allenorme, ai consumi e gli interessi della col-lettività, cioè di coloro che hanno deciso dientrare nella rete.

Dunque, possiamo dire che quelle virtuali

sono vere e proprie comunità. Non è uncaso che alcune di queste reti siano caratte-rizzate da un forte senso di appartenenza.

Proprio per evitare l’equivoco virtuale =falso, alcuni ricercatori, come Selene Caldieri,preferiscono parlare di “spazi sintetici”, nelsenso di creati dall’uomo, per indicare «unanuova frontiera…che non ha più un corri-spettivo nel mondo tradizionale, ma con cuiintrattiene un fitto rapporto di scambio e direciproche influenze, dimostrando quanto dauna parte la virtualità sia ben lontana dall’es-sere irreale e dall’altra come gli schermi nonsiano delle barriere, che segnano una divi-sione tra piani diversi di realtà, ma dei filtriche lasciano passare elementi dall’uno all’al-tro» (“Spazi sintetici”, Liguori 2011).

Oggi la sfida è vivere negli spazi sintetici ecoltivare quanto di comunità, partecipazione,solidarietà, cambiamento vi può nascere, perfar sì che tutto questo passi lo schermo evada a fecondare la realtà “reale”. ■

Quelle in Rete sono vere comunità, al cui interno si agisce, ci si scambia informazioni, ci si mobilità

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Focus2266

AGennaio era stato bloccato ilServizio civile nazionale con or-dinanza del Tribunale di Milano

che aveva accolto il ricorso di un giovanePakistano contro la norma della Legge64/2001 che esclude gli stra-nieri dallo svolgimento delServizio Civile. Una situa-zione che coinvolgeva tutti icirca 18mila giovani previstidal bando 2011. Sulla rete èpartita la mobilitazione. Suwww.petizionepubblica.it erapossibile firmare la petizionepubblica “Servizio civile2012”, che in tre giorni avevaraccolto oltre 1.600 adesionie su Facebook si stava orga-nizzando una manifestazionea Roma per il primo di feb-braio. Dal Servizio civile aimovimenti per l’acqua benecomune o il nucleare, dalledonne di “Se non oraquando” agli indignados spagnoli e poi aquelli italiani, fino alle rivolte di Tunisia, Ma-rocco, Algeria, Libia, Siria, Egitto la Rete e isocial network divengono sempre più stru-menti di mobilitazione. Ma sono davvero ef-

ficaci? Cosa distingue, ad esempio, i movi-menti italiani dalle rivoluzioni della Prima-vera araba? Facciamo fatica a trasformare lapartecipazione virtuale in una attivazioneconcreta e di lungo periodo? Naturalmente

se non c’è una mobilitazionereale non si può avere un ri-sultato concreto, Internetnon crea la mobilitazione, neè strumento, spiega Raffa-ella Cosentino, autrice di“Facebook revolutions” (Terreli-bere.org Edizioni). Nel casodelle mobilitazioni in Tunisiao in Egitto la rete è stata unmezzo di diffusione e molti-plicazione delle informazionisulla repressione della rivolta.Ma «bisogna considerare le differenze tra l’Europa,quello che sta accadendonelle società occidentali o inAmerica rispetto a ciò che èsuccesso in Nord Africa: per

noi è più difficile passare dalla Rete a qual-cosa di reale, di concreto, ma le nostre sonosocietà libere – forse parzialmente libere,forse non abbastanza informate o non ab-bastanza partecipate - ma che non speri-

di CChhiiaarraa CCaassttrrii

DDaallll’’aallttrraa ppaarrttee ddeell MMeeddiitteerrrraanneeoo iinn ffeerrmmeennttoo llaa RReettee ee ii ssoocciiaall nneettwwoorrkk ssoonnoo ssttrruummeennttoo ddii iinnffoorrmmaazziioonnee ee mmoobbiilliittaazziioonnee.. EE iinn IIttaalliiaa?? AAbbbbiiaammoo ccaappiittoo llaa ppootteennzzaa ddeeii ssoocciiaall nneettwwoorrkkppeerr ffaarree ppaarrtteecciippaazziioonnee rreeaallee??

MMOOVVIIMMEENNTTII EE RRIIVVOOLLUUZZIIOONNII..VVIIRRTTUUAALLII?? NNOO,, RREEAALLII

L’e-book di Raffaella Cosentino(Terrelibere.org, 2011)

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Focus 2277

mentano quella mancanza di libertà da re-gime dittatoriale che, in Tunisia o in Egitto,ha portato la Rete ad essere strumento fon-damentale per creare una mobilitazione dilungo periodo, per dire ciò che non potevaessere detto pubblicamente». Si tratta di unadimensione, secondo la Cosentino, che noifatichiamo ad afferrare realmente: «ciò che èsuccesso nel mondo arabo ci ha aiutato a ca-pire l’importanza rivoluzionaria di tuttaquella parte di Internet che produce conte-nuti generati direttamente dagli utenti, cheabbiamo sempre esaltato, ma non compresa

e analizzata. La prova concreta ce l’hannodata i giovani del Maghreb, che hanno spe-rimentato la dittatura e con essa le poten-zialità della Rete per mobilitarsi. Questagenerazione di giovani ventenni e trentenniche stanno dall’altra parte del Mediterraneoe sognano di arrivare in Europa sono piùavanti di noi». Sono diversi gli elementi, se-condo Cosentino, che contribuiscono acreare questa distanza. «Negli anni il regime,soprattutto in Tunisia, ha trovato moltimodi per creare una censura ferrea controInternet, contro la quale si sono allenatiblogger e dissidenti, in una sfida continua.All’inizio il controllo era più su blog e indi-rizzi e-mail, tanto che Facebook è stato uncanale molto importante per diffondere leinformazioni sulla rivolta in corso, in uncontesto in cui la Tv di stato nega o non in-forma sulla rivolta in corso». Senza contare

il fattore economico equello demografico: «Que-ste rivolte, così vicine, hannoportato un’ondata rivitaliz-zante per tutta l’Europa. InItalia la crisi ci tocca»,spiega, «ma la famiglia cisupporta, è il nostro welfarestate, abbiamo una situa-zione che ci rende meno vi-vaci come società civile. Epoi, ad esempio, la Spagnaha un movimento giovanilepiù vivo, ma anche più nu-meroso. Ricordiamoci chel’Italia, a livello generazio-nale, non è un paese per gio-vani». ■Internet non crea la mobilitazione, ne è strumento

Foto di Gavin Llewellyn (Flickr)

In Italia la crisi ci tocca,ma la famiglia ci supporta,abbiamo una situazioneche ci rende mendo vivacicome società civile

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«Nei prossimi giorni pioverà. Ab-biamo 62mila tombini. Molti sonoripuliti ma basta la plastica o qualche

foglia per intasarli. Vi chiediamo una mano.Segnalateci subito i tombini bloccati vicinoa casa (email o anche qui su FB). InvieremoPubliacqua. Se poi siete nelle condizioni diprovvedere direttamente voi, grazie in anti-cipo. Sembra banale. Lo so. Ma la vita dellacittà passa anche da piccole attenzioni…»Questo messaggio pubblicato si Facebookdal sindaco di Firenze, Matteo Renzi, nelgiro di un’ora aveva raccolto 421 “mi piace”,era stato condiviso da 45 utenti, aveva su-scitato 105 commenti.

Sono ormai moltissimi gli amministratorie i politici che hanno aperto uno spazio suFacebook. C’è chi la usa come una vetrinapuramente propagandistica, chi per infor-mare sulla propria attività, chi ne ha fattouno spazio di ascolto dei cittadini e di inter-locuzione su problemi concreti.

A proposito di Open GovernmentQuesto è solo uno dei modi in cui i social

network stanno influenzando il modo di farepolitica e di amministrare, proprio grazie alcontatto diretto che creano, amplificandoulteriormente la capacità di Internet di cam-biare il rapporto tra cittadini e pubblica am-ministrazione. Tanto che è ormai entratonell’uso comune il termine “Open Gover-

nment”, che sta a significare qualcosa come“democrazia aumentata”, “ampliata”. E giàc’è chi usa il più modaiolo “Wikicrazia”, perindicare, appunto, una democrazia poten-ziata dagli strumenti collaborativi della rete(i wiki). Recentemente, è stato anche intro-dotto il termine “We-gov”, per indicare ilfatto che le politiche pubbliche sono createcon l’apporto dei cittadini.

Comunque, il clou dell’attenzione su que-sto tema si è avuto nel settembre scorso,quando il presidente degli Stati Uniti, BarakObama, e la presidente del Brasile, DilmaRoussef, hanno lanciato la Open GovernmentPartnership, cui hanno aderito nel giro dipoco tempo 46 Paesi, Italia compresa. Tre itemi sul tappeto: trasparenza delle ammini-strazioni pubbliche, disponibilità dei dati,partecipazione dei cittadini. In Italia, sulpiano legislativo, siamo fermi al Codice del-l’Amministrazione digitale (Cad): è un de-creto legislativo del 7 marzo 2005, poi piùvolte modificato. A dire il vero, il codice nonè amato da tutti: c’è chi teme che, invece diincentivare, burocratizzi e irrigidisca leprassi innovative, ma è pur sempre un segnodi attenzione al problema.

Qualcuno ha iniziatoInternet permettere di condividere cul-

tura, ma anche memoria, ed è quindi unostrumento prezioso per la costruzione del-

Focus2288

di PPaaoollaa SSpprriinngghheettttii

II ssoocciiaall nneettwwoorrkk ppoossssoonnoo ddaarree uunn ggrraannddee ccoonnttrriibbuuttoo ppeerr uunnaa mmaaggggiioorree ppaarrtteecciippaazziioonnee ddii cciittttaaddiinnii aallllee sscceellttee ppoolliittiicchhee,, aallllaarrggaannddoo llaa ddeemmooccrraazziiaa.. PPuurrcchhéé ii cciittttaaddiinnii lloo vvoogglliiaannoo

YYEESS,, WWEE GGOOVV.. EE TTUU??

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Focus 2299

l’identità della comunità. Dà la possibilità direndere accessibili a tutti, gratuitamente e intempi veloci, dati che possono essere utili aicittadini per le loro scelte, personali e non.Permette di sbrigare on line pratiche buro-cratiche, con liberatorio beneficio, oltre chedei cittadini, delle aziende. Apre a forme dipartecipazione concrete, che vanno dal se-gnalare problemi specifici al discutere pub-blicamente su temi inerenti il bene comune.

Certo, per attuare queste possibilità e farsì che diano frutto c’è ancora molta stradada fare, soprattutto perché all’interno delleistituzioni si crei la necessaria mentalità in-novativa. Ma ci sono esperienze e segnali in-teressanti.

A livello “centrale” possiamo ricordare ilsito www.dati.gov.it (sottotitolo: “i dati apertidella Pubblica amministrazione”), voluto dalMinistro Brunetta. A livello locale potremmoricordale la provincia di Carbonia, che hadato vita ad un portale semantico, che con-sente di mappare tutti gli atti amministrativiemanati dall’ente, permettendo l’accesso informato aperto alle delibere.

Si www.epart.it/udine, dove i cittadini pos-sono segnalare buche stradali che li infastidi-scono, mentre www.decorourbano.org è unsocial network che permette agli iscritti di se-gnalare gli esempi di degrado nella propria

città. Fino ad ora i Comuni che hanno aderitosono 20, ma si spera che il numero aumenti.I segnalatori, invece, sono oltre 450mila.

Tra le iniziative dei cittadini, è da citarel’associazione Openpolis, che dal 2008 ag-giorna l’omonimo sito, che monitora le atti-vità del Parlamento. Ora sta creandoOpenmunicipio, per svolgere lo stesso ser-vizio con i Comuni.

I cittadini peraltro hanno voglia non solodi denunciare, ma anche di proporre. Lo di-mostra l’esperienza che ha visto come pro-tagonista Marcello Verona, un giovaneinformatico che ha deciso di dare una manoa Massimo Zedda, altrettanto giovane sin-daco appena eletto a Cagliari. Verona ha in-ventato un Ideario per Cagliari, doveognuno può pubblicare le proprie idee, chevengono lette non solo dagli amministratori,ma anche dagli altri cittadini, che le discu-tono e si esprimono su di esse e, tramite Fa-cebook, le votano.

Siamo ancora lontani da esperienze comequelle dell’Islanda, che discute on-line lemodifiche costituzionali, o dell’Inghilterrache ha aperto una discussione su dove ecome tagliare per far quadrare i conti, coin-volgendo centinaia di migliaia di cittadini.Ma c’è un movimento dal basso che spinge,e che può portare lontano. ■

Decorourbano.orgraccoglie esempi didegrado nelle città

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Le aziende il potenziale di Internete dei social network l’hanno capito.E la comunicazione di prodotto

da tempo è sbarcata sulla rete. Si creanoblog, si lavora su Facebook e Twitter, sicoinvolgono blogger selezionati, si usa l’In-ternet PR, una branca della comunicazioneonline che consente di seguire le discussionisui prodotti, le aziende, le marche. E il terzosettore? Per il volontariato spesso il pro-blema è quello di avere buoni progetti, ma dinon saperli comunicare. E, certo, per le as-sociazioni più piccole non è semplice. Ma lebuone prassi non mancano, come nel casodi Greenpeace Italia.

Qualche tempo fa è stato lanciato unospot di Volkswagen Passat ispirato a StarWars con un piccolo Darth Vader che si eser-citava nell’uso della Forza. Dal successo diquello spot è nata la campagna “Volkswagen

darkside”, come ci racconta Maria CarlaGiugliano, responsabile Nuovi media diGreenpeace Italia. «Abbiamo lanciato deicontro-spot su youtube e un sito web dedi-cato (www.vwdarkside.com) per svelare comeil colosso automobilistico tedesco non sial’azienda “produttrice d’auto più eco-friendlydel mondo”, come recitano le sue pubblicità».Sul sito gli utenti possono unirsi all’AlleanzaRibelle: «ad oggi si sono iscritti quasi 500milaJedi che hanno chiesto a Volkswagen di do-tare la sua produzione delle migliori tecnolo-gie per l’efficienza di cui dispone e dismettere di remare contro le leggi a favore delclima. Per alcuni mesi ogni Jedi ha avuto a di-sposizione una pagina di addestramento,dove accumulare punti per diventare MaestroJedi e vincere una t-shirt. I punti si totalizza-vano portando i propri amici a cliccare sullapagina e a diffondere la campagna in rete».Greenpeace è riuscita a portare avanti consuccesso una campagna che è ancora incorso: «Puntando sul gioco e su un premio,i nostri utenti hanno fatto pressione su unadelle multinazionali più grosse al mondo.

Tradizione e nuovi media: un intrec-cio vincente

La nostra strategia di comunicazionepunta a integrare media tradizionali e nuovimedia. Sul web diamo agli utenti gli stru-menti per partecipare alle nostre campagne.Allo stesso tempo attraverso le azioni clas-

Focus3300

di CChhiiaarraa CCaassttrrii

DDaa DDaarrtthh VVaaddeerr aa BBaarrbbiiee,, GGrreeeennppeeaaccee IIttaalliiaa ppuunnttaa ssuullllaa rreettee

CCOOMMUUNNIICCAARREE VVIIRRAALLEE

Un’immagine dalla campagna“Barbie ti mollo” di Greenpeace

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siche, i rapporti scientifici e le attività dei vo-lontari continuiamo a tenere alta l’attenzionesui temi ambientali nei media tradizionali enelle strade». Greenpeace punta molto sullarete, se ne occupano due webmaster, un di-gital fundraiser, una responsabile Nuovimedia: «La pagina Facebook di GreenpeaceItalia ha più di 200mila “mi piace”, mentresu Twitter abbiamo superato i 130mila follo-wer. Puntiamo molto sulla community che cisegue online per convincere governi eaziende a seguire la strada della sostenibilità.Chiediamo agli utenti di partecipare inprima persona, l’obiettivo non è solo infor-mare, ma mobilitare».

Certo, per sperimentarne le potenzialità,bisogna conoscere l’universo dei social mediastandoci dentro, «è indispensabile essere ap-passionati, aggiornarsi quotidianamente perscoprire le novità e sfruttarle al massimo. Dacasa, con un computer connesso, i cyberatti-visti possono partecipare attivamente allecampagne e ci aiutano a vincerle. Vengonoinformati costantemente, partecipano a peti-zioni online, condividono le denunce sui socialnetwork e fanno passa parola in famiglia e tragli amici. Fanno campagna con noi».

Un altro esempio? È la campagna “Barbieti mollo!”. «Un brand attack efficace», spiegaGiugliano, «deve puntare su strumenti chepossono potenzialmente diventare virali, es-sere cliccati e commentati in rete. Soloquando riusciamo a insidiare la reputazionedel loro brand, le grandi aziende prendonoin considerazione le questioni ambientali.Per denunciare Mattel, che per il packagingdei suoi giocattoli utilizzava carta acquistatada uno dei peggiori deforestatori, abbiamo“attaccato” la bambola più famosa delmondo: Barbie. Nel nostro video vira-le Ken, suo compagno storico, scoprel’identità nascosta della sua “fidanza-ta serial killer” e decide di mollarla.

Dopo 5 mesi e centinaia di migliaia dimail inviate dai nostri cyberattivisti, Mattelha annunciato di interrompere i propri rap-porti commerciali con aziende che distrug-gono la foresta indonesiana».

Forse si potrebbe obiettare che le associa-zioni piccole non hanno risorse, che serve professionalità, ma a volte quello che fa la dif-ferenza sono le idee. Internet è il luogo dellacomunicazione aperta e della viralità per eccel-lenza. Siamo sicuri di utilizzarlo al meglio? ■

Focus 3311

Il video contro Volkswagen, nella versione inglese,è stato tra i più condivisi al mondo, con quasi 2 milioni di visualizzazioni

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Focus3322

Per gli italiani Internet è il mezzodi informazione più credibile. È ildato registrato dal nono Rap-

porto Censis e Ucsi sulla comunicazione: inun range da 1 a 10 la rete supera la suffi-cienza in termini di credibilità delle infor-mazioni, come non avviene per cartastampata (5,95) e televisione (5,74). Inter-net, quindi, è percepito come «un mezzopiù libero e “disinteressato”».

Secondo il rapporto, gli utenti di Inter-net, nel 2011, aggirano la boa del 50% degliitaliani. L’87,4% sono giovani dai 14 ai 29anni, il 15,1% sono anziani tra i 65 e gli 80anni. Il 72,2% dell’utenza è composta daisoggetti più istruiti, mentre i meno scola-rizzati sono il 37,7%.

Sebbene nel 2011 la televisione resti ilmezzo più diffuso e la radio mantenga unaposizione stabile con un’utenza di otto ita-liani su dieci, Internet registra una crescitadel 6,1% rispetto al 2009.

Quasi il 70% degli italiani - il 91,8% deipiù giovani e il 31,8% degli ultrasessanta-cinquenni - conosce almeno un social networktra quelli più noti. Parliamo di oltre 33 mi-lioni di persone. Quanto a popolarità Face-book è il più conosciuto, con un 65,3%,accanto a YouTube (53%). Seguono Mes-senger, con un 41%, Skype, con il 37,4% e

Twitter, al 21,3%. Facebook è utilizzato dal49% degli italiani che accedono a Internet,insieme a YouTube. In soldoni, tra tutti co-loro che conoscono i social network, il 93% liutilizzano.

di CChhiiaarraa CCaassttrrii

LLaa ccaarrttaa ssttaammppaattaa ccoonnttiinnuuaa aadd eesssseerree iinn ccrriissii ee ii ggiioorrnnaalliissttii ssoonnoo ccoonnssiiddeerraattii ppooccoo iinnddiippeennddeennttii.. PPeerr iill nnoossttrroo PPaaeessee èè mmeegglliioo ffiiddaarrssii ddii IInntteerrnneett.. SSaarràà vveerroo??

IINNFFOORRMMAAZZIIOONNEE:: VVIIRRTTUUAALLEE ÈÈ CCRREEDDIIBBIILLEE??

Per l’83,3% del campione del Rapporto Censis/Ucsi,nel web circola troppa “spazzatura” Foto di Daniel Iversen (Flickr)

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In questo panorama, il Rapporto con-ferma la crisi della carta stampata. Rispettoal 2009, i quotidiani a pagamento perdono il7% di lettori, la free press cresce di meno del2%, mentre i periodici sembrano resistere:più di una donna su tre, ma meno di unuomo su cinque, legge i settimanali.

Tra le fonti di informazione indicate dalpubblico emergono i motori di ricerca comeGoogle, che registra una percentuale del41,4% - molto vicina al 47,7% di preferenzeper i giornali acquistati in edicola - i siti webdi informazione (29,5%), Facebook(26,8%), i quotidiani online (21,8%).

Senza dubbio la rete permette un mag-gior accesso alle informazioni, ma i datipongono alcune riflessioni. Qual è l’obiet-tivo su internet? Dare una notizia in modocorretto o darla prima degli altri? L’utente sichiede cosa sta leggendo, se una notizia è ri-portata in modo corretto, se chi l’ha pubbli-cata ha fatto prima le verifiche del caso?

Per il Rapporto gli italiani provano sfidu-cia nei confronti dei grandi media: l’80,9%considera i giornalisti “molto” o “abba-stanza” informati, il 76,8% competenti e il71,7% chiari nell’esposizione dei fatti, maper il 67,2% del campione sono poco indi-pendenti e per il 67,8% “molto” o “abba-stanza” spregiudicati.

Allora ben venga l’accesso, sulla Rete, adun’informazione alternativa e plurale checonsente di accedere a più punti di vista, aletture diverse di un evento o di un feno-meno. Ma questo è vero finchè esistono cri-teri per valutare la credibilità di ciò che silegge e la consapevolezza che questa valu-tazione è necessaria.

Lo affermano i risultati dello stesso rap-porto: per l’83,3% del campione Internet hail merito di permettere a chiunque di espri-mersi liberamente, ma la stessa percentualelamenta il fatto che «nel web circola troppa“spazzatura”, riferendosi a blog e video fattiin casa. Quello che viene riconosciuto comeil merito principale della rete si trasformanel suo più grande limite: permettere a tuttidi esprimersi liberamente fa sì che sulla retecircoli anche materiale di dubbia qualità».Allora libera espressione sì, ma concetticome professionalità, autorevolezza dellefonti e qualità dei contenuti non si possonoaccantonare. ■

Focus 3333

Per l’83,3% del campione del Rapporto Censis/Ucsi,nel web circola troppa “spazzatura” Foto di Daniel Iversen (Flickr)

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Lesempio più recente riguardaVKontakte, il social network similea Facebook diffuso in Russia. È

diventato uno degli strumenti di comunica-zione e coordinamento dell’opposizione aPutin, ma negli ultimi mesi è stato bersagliopreferito degli hacker, i cui danni hanno sco-raggiato gli inserzionisti. Intanto i gestorisono sottoposti a continue richieste, daparte delle forze dell’ordine, difornire i dati per identificare leidentità segrete degli iscritti. Eil fondatore (Pavel Durov, 27anni) si è stancato delle “stranevisite” che avvengono conti-nuamente nei suoi uffici di S.Pietroburgo. Tanto che neiprimi giorni di Gennaio ha annunciato cheil social network il 15 marzo chiuderà, e ha in-vitato i partecipanti a scaricare i materialipubblicati, per metterli in salvo.

Sono proprio i numerosi tentativi dei go-verni liberticidi di censurare o di riportaresotto il controllo governativo i social network,che confermano quanto essi, come Internetin generale, siano luoghi di libertà, come talida difendere. Ma bisogna ammettere che iproblemi non mancano. E non sono legati

solo ai regimi politici.Come ha scritto Hans Magnus Enzen-

sberger, «i pionieri del web avevano inmente, nel loro idealismo elettronico, unmedium libero dal potere e senza costi», ma«il capitale, nella sua divina indifferenza, videben presto le possibilità di utilizzazione chela rete informatica gli offriva. Da una partesi trattava del controllo economico della cir-

colazione dei dati, dall’altradella commercializzazione deicontenuti. Da allora l’inquina-mento della rete è aumentatocostantemente grazie alla pub-blicità». Di conseguenza, «sumigliaia di homepage trionfanoindividualismo eccessivo e dis-

sidenza. Non c’è nicchia, microambiente,minoranza che non trovi rifugio nella rete…Al tempo stesso Internet è un eldorado percriminali, intriganti, impostori, terroristi,maniaci sessuali, neonazi e folli…» (“La Re-pubblica” 13 marzo 2002).

Un megafono della cultura mercantileInsomma, un problema è culturale: anche

la Rete rischia, né più né meno della televi-sione o degli altri grandi media, di essere un

Focus3344

In Internet hannotrovato casa anchepersone e ideeche sconfinanonel reato

di PPaaoollaa SSpprriinngghheettttii

CChhii ddiiffeennddee llaa lliibbeerrttàà aassssoolluuttaa ddii IInntteerrnneett rriisscchhiiaa ddii llaasscciiaarrllaa aall ccoonnttrroolllloo ddeell mmeerrccaattoo,, cchhii vvoorrrreebbbbee rreeggoollaammeennttaarrllaa rriisscchhiiaa ddii aapprriirree llaa ssttrraaddaa aallllaa cceennssuurraa eeaall ccoonnttrroolllloo ppoolliittiiccoo.. EE cc’’èè cchhii vvuuoollee ttuutteellaarree nneellllaa CCoossttiittuuzziioonnee iill ddiirriittttoo aallll’’aacccceessssoo

LLAA LLIIBBEERRTTÀÀ EE LLEE RREEGGOOLLEE NNEELLLLAA GGRRAANNDDEE RREETTEE

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Focus 3355

megafono della cultura consumistica e mer-cantile, con l’aggravante che facilmente siappropria di dati privati degli utenti e li riu-tilizza. L’altro è un problema di legalità, dalmomento che in essa hanno “trovato casa”anche persone, idee e possibilità di azioneche sconfinano nel reato. Basti pensare allecentinaia di pagine Facebook o di blog di ta-glio razzista, intollerante, o grondanti vio-lenza, sportiva e non. Tra i casi più recentic’è quello di Renato Pallavidini, il professoreche dalle pagine di Facebook diffondeva lesue teorie negazioniste e il suo credo neo-nazista, dispensando “consigli di lotta” e mi-nacciando di fare una strage, pistola allamano, nella Sinagoga di Torino. O c’è quellodi Gianluca Iannone, che su Facebook haespresso la propria soddisfazione per lamorte improvvisa del procuratore Pietro Sa-viotti, che aveva condotto indagini sul ter-rorismo, all’interno della quali si era

occupato anche di alcuni militanti di Casa-Pound, di cui Iannone era il leader.

A parte questo, è innegabile che oggi inInternet è possibile truffare la gente, giocared’azzardo, comperare medicine e droghe,imparare a costruire una bomba, e così via.Per questi e altri problemi, come quello dellapirateria, che sta mettendo in crisi molti set-tori dell’industria culturale, anche nei Paesipiù liberal ci si è posti e ci si pone il problemadella regolamentazione di Internet, ma ogniproposta risulta poi avere una componentedi limitazione della libertà della Rete.

Dall’altra parte, si avverte necessità di po-tenziare lo sviluppo del Rete e il suo uso perfacilitare il rapporto tra cittadini e istituzioni,la trasparenza dei soggetti pubblici, privati edi Terzo settore, lo scambio di informazioni,la partecipazione e così via. Insomma, si av-verte la necessità di una governance, e cioè «losviluppo e l’applicazione da parte dei gov-

Internet è un luogo di libertà, ma ha bisogno di una governanceFoto di Cristina Corti (Flickr)

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erni, del settore privato e della società civile,nei loro rispettivi ruoli, di principi, norme,regole, procedure decisionali e programmicondivisi che determinano l’evoluzione el’uso di Internet” (secondo la definizioneadottata dall’Internet Governance Forum).

Tutelare il diritto d’accessoProbabilmente, i due problemi sono di-

versi ma complementari: da una parte quellodi definire meglio che cosa è reato in Inter-net; dall’altra quello di riconoscere e tutelarela libertà della rete stessa e, con essa, il di-ritto di accesso ai cittadini.

Su questo fronte è interessante la propo-sta di Stefano Rodotà, che vorrebbe unemendamento costituzionale da aggiungereal primo comma dell’attuale articolo 21. Iltesto, nella sua proposta, dovrebbe esserequesto: «Tutti hanno diritto di accedere allarete Internet in condizioni di parità, con

modalità tecnologicamente adeguate e cherimuovano ogni ostacolo di ordine econo-mico sociale».

Secondo il giurista, l’accesso ad Internetva riconosciuto come un diritto fondamen-tale della persona. Un emendamento di que-sto genere «rafforza il principio di neutralitàdella rete, violando il quale verrebbe anchenegata l’eguaglianza delle persone». Inoltre ilprincipio costituzionale della rimozionedegli ostacoli economici all’eguaglianza èfondamentale, dal momento in cui l’accessoa Internet può essere considerato una «pre-condizione della cittadinanza, dunque dellastessa democrazia». Infine, «si presentacome una indicazione per impedire, adesempio, che la banda larga venga messa adisposizione degli utenti con modalità selet-tive, introducendo un ben più drammaticodigital divide» (“Repubblica”, 7 novembre2011). ■

Focus3366

Secondo Stefano Rodotà l’accesso a Internet dovrebbe essere un diritto fondamentale della persona. Foto di Piermario (Flickr)

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di CCllaauuddiiaa CCaattaallllii

C era una volta un paese in cui lacultura aveva il suo rilievo, untempo in cui artisti del calibro di

Ettore Petrolini e Romolo Balzani si esibi-vano in un luogo caro agli abitanti del quar-tiere: il romano cinema teatro Palazzo di SanLorenzo. Passato meno di unsecolo tutto è cambiato, è rima-sto intatto solo l’amore sincerodei residenti verso una struttura(oggi “ex” cinema Palazzo, ribattezzata “Sala Vittorio Arrigoni”), da difendere stre-nuamente contro un progettoche vorrebbe snaturarla in uncasinò. Così, nel Bel Paese incui sempre più sale cinemato-grafiche e teatrali chiudono, afavore di insediamenti di grosse catene com-merciali o bingo e sale giochi, un folto

gruppo di cittadini, artisti, studenti decidedi ribellarsi e riappropriarsi di un luogo dicultura e condivisione che sente come pro-prio. Tutto questo succede dal 15 aprilescorso, giorno in cui l’ex cinema Palazzo èstato occupato.

La petizione popolare par-tita il pomeriggio stesso di quel15 aprile, e arrivata a 400 firmein un giorno solo, ha ormairaggiunto la vetta delle 13mila.«In questi otto faticosissimimesi, è successo qualcosa diinaspettato e meraviglioso»,spiega Simona Panzino, 40anni, operatrice sociale preca-ria e occupante ‘fissa’ dell’excinema Palazzo, «abbiamo

scoperto una rete di solidarietà di cittadini eartisti immediata, tutti contro il casinò».

C’era una volta un paesein cui la cultura aveva

il suo rilievo, un tempo incui artisti si esibivano

in un luogo caro agli abitanti del quartiere:

il cinema teatro Palazzodi San Lorenzo

AASSTTRRAATTTTII FFUURROORRII:: UUNN VVOOLLOONNTTAARRIIAATTOO DDII LLOOTTTTAAEE DDII CCUULLTTUURRAA

Il dire e il fare 3388

LL’’eessppeerriieennzzaa ddeeggllii ooccccuuppaannttii ddeellll’’EExx CCiinneemmaa PPaallaazzzzoo aa RRoommaa,, cchhee hhaannnnoo aanncchhee ffoonnddaattoo uunn’’aassssoocciiaazziioonnee.. PPeerr aammoorree ddeell qquuaarrttiieerree ee ddeellllaa ccuullttuurraa

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Il dire e il fare 3399

No al casinòLa questione del casinò è la seguente:

«Una società privata aveva dato il via a unaristrutturazione per trasformare il cinema –già snaturato nel corso degli anni, prima inuna sala da biliardo e poi in una sede delbingo – in un casinò», con tanto di slot ma-chine e giochi virtuali. Peccato che «nonc’erano i permessi adeguati: non solo man-cava l’autorizzazione dei monopoli di Stato,ma essendo stato definito palazzo storicovengono inibite di conseguenza una serie diattività tra cui proprio il casinò». Si tratta, in-somma, di un «progetto illegale, su cui nona caso si stanno facendo indagini». Tutti co-loro che da otto mesi occupano, program-mano, discutono, organizzano, e si battonocome Simona, si aspettano che «ci sia final-mente una legittimazionedi ciò che stiamo por-tando avanti e si dicachiaramente che questasocietà privata non puòfare di un luogo di cul-tura un casinò: l’ex ci-nema Palazzo deveessere un luogo di inclu-sione sociale, non di di-sgregazione».

Continua Simona:«Abito nel quartiere diSan Lorenzo da diversianni e con altri residentici siamo sempre preoc-cupati delle diverseproblematiche, dall’in-cremento esagerato diuna movida notturnasenza senso, un diverti-

mentificio sfrenato, alla microcriminalità eai rumori molesti notturni. Il tutto restituivaun’immagine del quartiere degradante, trapolitiche scellerate della casa e presenza dilocali senza un’offerta culturale vera e pro-pria. Siamo giunti alla conclusione che lacultura sia l’unica “arma” per poter risolvereproblemi di movida e fracasso notturno:quando hai una proposta culturale forte,puoi indirizzare chi viene nel quartiere e altempo stesso allontanare certi fenomeni.

Un giorno veniamo a sapere da un consi-gliere municipale che nell’ex cinema Palazzoa piazza dei Sanniti si stava allestendo un ca-sinò, a quel punto siamo scoppiati, era dav-vero troppo. Così, una volta verificato dipersona che i lavori di ristrutturazione eranoin corso, ci è arrivata la notizia che il casinò

sarebbe stato aperto abreve, allora abbiamo de-ciso la mattina stessa dipresidiare, per comuni-care al quartiere lo scan-dalo che stava peraccadere. E il presidio dal15 aprile continua, graziealla partecipazione di cit-tadini di tutte le età e diartisti che ogni giornovengono a proporre ini-ziative e corsi gratuiti purdi sostenerci».

Dal presidio al vo-lontariato

Da un atto di occupa-zione spontaneo, alla de-cisione di costituirsi inorganizzazione di volon-

Sabina Guzzanti. Ogni domenica all’ex cinema Palazzo il suo corso di satira

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Il dire e il fare 4400

tariato, con tanto di statuto e una struttura-zione decisa tutti insieme: il passo è statobreve, ma tutt’altro che facile. Simona ce neparla con grande riserbo ed esitazione, pervia delle numerosissime denunce ricevute,sul fronte sia civile che penale. «Abbiamocostituito un’associazione, chiamandola

Astratti Furori, ma con un’altra sede, per-ché appena ci muoviamo riceviamo subitoo una diffida o una denuncia. L’associazioneè stata fondata proprio per l’esigenza con-divisa di darci anche una forma legale, ma, adirla tutta, raccoglie solo una piccola parte ditutti gli effettivi occupanti dell’ex cinema».

Cinema sottoposto a continui controlli emulte: «Siamo stati multati fino a 8mila euro.Ci accusano di tutto, in primis di occupazione

di suolo pubblico, e praticamente tutte leforze dell’ordine ci hanno fatto visita: vigilidel fuoco, vigili urbani, Nas. Ogni giornotroviamo un ostacolo. Del resto ce l’aspet-tavamo: abbiamo toccato interessi fortis-simi, boicottare un casinò non è poco».

Alla domanda schietta e diretta su cosa

propongano concretamente gli occupantidell’ex cinema Palazzo è facile dare una ri-sposta: «Tra un distacco della luce e l’altro,proponiamo la restituzione del cinema alquartiere, realizzando corsi gratuiti di for-mazione per bambini, adolescenti e adulti,corsi di danza. Ogni domenica c’è il corsodi satira di Sabina Guzzanti, per non par-lare della vasta offerta di spettacoli, con-certi, presentazioni dei libri. Il tutto

Roma. L’occupazione dell’ex cinema Palazzo prosegue dal 15 Aprile scorso

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gratuito e per tutti».Nessun autofinanziamento, quindi, puro

volontariato. Di più: «Questa per noi è unalotta, gli artisti che vengono a proporrespettacoli e corsi dimostrano così la lorovoglia di dire NO al casinò». Parliamo diartisti non di poco conto: da Franca Valeria Dario Fo, da Ettore Scola a Marco Bel-locchio, passando per Ascanio Celestini,Elio Germano, Valerio Mastandrea, i can-tanti Niccolò Fabi, Alessandro Mannarinoe Daniele Silvestri, i registi Mario Martonee Paolo Virzì, e ancora autori come Gian-carlo De Cataldo e l’Associazione 100au-tori. La lista di singoli e associazioni prontia dare la loro solidarietà e firmare l’appellodella Sala Vittorio Arrigoni è sterminata (econsultabile per intero su internet, all’indi-rizzo http://salavittorioarrigoni.word-press.com/appello/), a testimonianza delfatto che «la cultura per molti è ancora lapriorità, malgrado non lo sia per il governoBerlusconi prima e per quello tecnicoadesso». Anche il Dipartimento di Arte eSpettacolo dell’Università degli Studi diRoma «La Sapienza” ha espresso solida-rietà, anche perché «non ha un teatro di ri-ferimento: quindi ci hanno dimostrato illoro assoluto interesse sin da subito».

Gli appassionati di cinema, teatro, mu-sica, arte e spettacolo nella Sala Vittorio Ar-rigoni trovano degne risposte culturaligrazie al lavoro, instancabile e battagliero, diquanti da mesi fanno «turni su turni, e as-semblee ampie e faticose, perchè i veri per-corsi di democrazia si costruisconoattraverso lunghi dibattiti e confronti diidee». Prima regola, esserci: «La nostra di-sponibilità e adesione alla causa è assoluta:

per essere un vero presidio, dev’essere con-tinuo e sicuro, e noi da mesi ci trascorriamotutte le nostre giornate».

Il futuro«Non è un’occupazione, ma una difesa di

uno spazio culturale attivissimo», insiste l’at-trice e regista Sabina Guzzanti, fervida oc-cupante. Noi crediamo in questa battagliacivile». Non è solo una rivendicazione delquartiere, dunque, come ben specificato nelloro appello (di pubblico accesso anche suInternet, nel sito sopraccitato, e nel gruppoFacebook “Sala Vittorio Arrigoni”): «È ne-cessario ottenere garanzia dalle amministra-zioni, affinché lo spazio torni ad essere uncinema-teatro per artisti e cittadinanza, conuna programmazione partecipata e di qua-lità, destinata alla ricerca e alla contempora-neità. Uno spazio di produzione e offertaculturale, come ce ne sono tanti in Europa.Uno spazio che non serve solo al quartierema alla città tutta, provando a metterci alpasso con le sperimentazioni delle metro-poli europee». Un cantiere “aperto e tem-poraneo” per realizzare un «modellopartecipato di atelier artistico e culturale suinuovi linguaggi, capace di reinventare unnuovo patto con la società».

Patto che deve essere fondato, ça va sansdire, sulla consapevolezza collettiva del-l’importanza della cultura come bene pri-mario per tutti, e come tale mai (più)espropriabile.■

Il dire e il fare 4411

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di MMiimmmmoo GGuuaarraaggnnaa

«L’associazione aveva bisogno diun’ambulanza, nessuno ce la rega-lava ed io ho deciso di mettere 14

mila euro della mia buonuscita. Anche glialtri soci hanno versato un po’ di soldoni edabbiamo comprato la nostra prima ambu-lanza, ovviamente di seconda mano”. Conquesto precedente Teresa Rattino, presi-dente dell’Associazione Volontari del Lito-rale di Ostia, di sicuro non entrerà mai nelnovero dei consulenti finanziari, ma anchequesto è uno dei tanti paradossi di quel vo-lontariato che non chiede, ma dà.

I no del pubblico, i sì del privatoL’associazione di Teresa fa altri tipi di ri-

chieste: vuole essere utile, dare una mano làdove c’è bisogno; ed è per questo che la in-contri mentre presta assistenza nelle mani-festazioni sportive, nelle emergenze, nel

trasporto infermi e nell’aiuto ai disabili e aglianziani. Un cruccio di Teresa, ma è in buonacompagnia, è che gli amministratori pubblicisono riluttanti. anche quando viene offertoun servizio a costo zero, gli elogi caso mai sisprecano, ma generalmente la risposta è «ve-dremo, vi faremo sapere», e più che un im-pegno è un modo per chiudere laconversazione.

Se i pubblici amministratori declinano leofferte di collaborazione, qualche privatomostra almeno più intelligenza se non pro-prio sensibilità. Se vi dovesse capitare discendere alla fermata del treno a Parco Leo-nardo, sulla vostra destra ad una cinquantinadi metri vedrete l’ambulanza dell’Avl; infattiil proprietario di Parco Leonardo ha dato incomodato d’uso un piccolo locale e così ivolontari possono presidiare un luogo rile-vante per l’affluenza di persone. Nella ba-

IILL TTFFRR?? ÈÈ AANNDDAATTOO VVIIAA IINN AAMMBBUULLAANNZZAACCoommee èè nnaattaa ee ccoommee llaavvoorraa ll’’AAssssoocciiaazziioonnee VVoolloonnttaarrii ddeell LLiittoorraallee ddii OOssttiiaa,, cchhee cchhiieeddee ppooccoo ee ddàà mmoollttoo

Il dire e il fare 4422

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Il dire e il fare 4433

checa dell’ambulatorio è esposta la notizia,riportata da un giornale on line di Fiumi-cino, che parla di una signora infartuata, sal-vata in extremis grazie alle competenzeprofessionali dei volontari.

Le valigie lasciate a MalindiCome abbiamo visto, Teresa non po-

trebbe lavorare in una società di consulenzafinanziaria, ma neanche in una agenzia turi-stica. Qualche tempo fa è andata con unasua amica in Kenya per una vacanza; appenaatterrata a Malindifu colpita dalle con-dizioni di povertàche la circondavanoe allora noleggiòuna macchina, in-gaggiò una guida epassò tutto il tempoandando nei quar-tieri più poveri e neivillaggi, acquistandogeneri alimentari emateriale di cancelle-ria da distribuire; «lasciammo lì le nostre va-ligie perché avevamo dato tutto e tornammoa casa soltanto con le borsette».

Ma questa del Kenya non è stata una im-provvisata; tra una distribuzione e l’altra Te-resa ha preso contatti e così dall’Italia sonostati inviati periodicamente medicinali ad unorfanotrofio. Uno dei progetti dell’associa-zione è dare continuità ad una pratica di vo-lontariato che coniughi lo stare nel proprioPaese ed in Africa; «questo ci rende più forti,più convinti, più consapevoli». Tra i soci asostenere questa posizione è soprattutto ildottor De Bartolomeo, medico specialista

presso l’ospedale Grassi di Ostia, il quale,quando può, va in Africa per brevi periodi afare il volontario e recentemente è stato neicampi profughi della Somalia.

Gli strumenti e le competenzeLa maggior parte dei soci sono medici ed

infermieri professionali. Patrizia ha lavoratocome infermiera per una ventina di anni, adun certo punto della sua vita ha deciso di farela casalinga, se casalinga si può chiamare unache presta servizio volontario quasi a tempo

pieno; «fare la vo-lontaria stanca comequando lavoravo,però qui mi ritrovo in un am-biente che mi dà lavoglia di impe-gnarmi, quando sta-vo in ospedale la fa-tica maggiore eracombattere con ledisfunzioni e con il

lassismo che mi tra-smettevano un senso di impotenza».

Teresa ha potuto arruolare tanti medici eparamedici, perché fino alla pensione ha la-vorato in ospedale come infermiera profes-sionale e si è fatta apprezzare per le suecapacità e per la sua umanità. Ha sempre fattola volontaria, iniziando da ragazza alla CroceRossa, dove ha conquistato stima e gradi.Prima di fondare l’associazione operava inuna protezione civile, ma, non condividendole scelte del presidente, insieme a Gianlucasono andati via ed hanno dato vita all’Avl.Gianluca guida l’ambulanza, ma per lavoroguida gli autobus della Cotral: «fare il volon-

Fiumicino. Una veduta di Parco Leonardo

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Il dire e il fare 4444

tario mi fa bene, non ne potrei fare a meno».E così, appena parcheggia al deposito l’auto-bus, eccolo alle prese con l’ambulanza.La seconda ambu-lanza l’hanno rile-vata da un’associa-zione ad un prezzodi occasione, sem-pre pagandola ditasca propria, eadesso stanno dan-dosi da fare per ot-tenere due ambu-lanze dimesse dal-l’esercito. Quandonon bastano i proprimezzi, e capita spessoperché di attività ne fanno davvero tante,prendono in prestito un’ambulanza da unaprotezione civile ed in cambio gli paganol’assicurazione.

L’Avl non poteva mancare nei soccorsi peril terremoto dell’Abruzzo; quando ne parlocon Teresa lei, piuttosto che enfatizzare qual-che gloriosa impresa, mi racconta dei rapportiumani con la gente della frazioncina dovehanno operato: «con alcune di queste per-sone continuiamo a sentirci per telefono».

L’importante è ripartireRecentemente sono andato a Parco Leo-

nardo per incontrarli e mi è capitato di im-battermi in un volontario arruolato frescofresco. Giorgio è un ragazzo romeno, che la-vora in uno stabilimento balneare di Macca-rese; in questo periodo di lavoro ce n’è poco,ma per fortuna lavora anche la sua compa-gna. In Romania Giorgio si è diplomato dainfermiere, ma dopo è venuto in Italia ed ha

fatto altri lavori. Passando davanti all’ambu-lanza di Parco Leonardo si è incuriosito e,visto che per il momento ha del tempo libero,

ha chiesto di entrarea far parte dell’asso-ciazione. È inutileaggiungere che èstato accolto moltobene e messo subitoalla prova. Teresa,Patrizia e Gianlucasi augurano cheGiorgio regga, masono molto cautisulla tenuta delle re-

clute: «su dieci che nevengono, se ne ri-

mane uno è andata bene». Se Giorgio nonmolla, non soltanto ha trovato un ambientesolidale, ma sarà anche aiutato a riprendere iferri del mestiere e potrà in seguito inserirsi inun percorso lavorativo come infermiere.

Incontro a Parco Leonardo anche Vitto-rio, il quale mi dice che conosceva Teresa giàda molto tempo, e da quando è stato costrettoa lasciare il lavoro per un infortunio si è im-pegnato nell’associazione. «Fare il volontariomi fa sentire ancora attivo e mi fa stare tantobene». Parlando del più e del meno gli hochiesto di raccontarmi un episodio recente, siè fatto una risata: «ci siamo fermati con l’am-bulanza con una gomma a terra, per fortunache non eravamo in emergenza».

Può capitare di rimanere con una gommaa terra, l’importante è essere in grado di ri-partire e soprattutto sapere dove si vuole an-dare. E in quanto a questo Teresa e i suoicompagni hanno le idee molto chiare, tantoda scommettere sulla buonuscita. ■

L’ambulanza AVLche fa servizio a Parco Leonardo

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Quello appena trascorso è statol’anno del volontariato, e moltepersone, che non lo avevano

mai fatto, hanno provato a impegnarsi inuna o più attività al servizio di chi ha più bi-sogno. Assistenza agli anziani, aiuto in par-

rocchia, atti concreti di supporto per l’avviodi attività, in molti in Italia hanno sentitouna spinta verso “l’altro”, verso chi è “di-verso”, è emarginato, costretto dalle più di-sparate difficoltà a non vivere la vita chedesiderava, ad avere bisogno di un pastocaldo e di procurarsi un posto per dormire.

Tra le numerose realtà di supporto ai po-veri che si possono trovare nella capitale,l’intervento che viene svolto quotidiana-mente dalla San Vincenzo de Paoli, con ilservizio di mensa e di distribuzione pasti alla

LLaa ddiissttrriibbuuzziioonnee ddii ppaassttii ccaallddii èè uunnaaffoorrmmaa ddii vvoolloonnttaarriiaattoo iimmppeeggnnaattiivvaa,, mmaa aanncchhee ggrraattiiffiiccaannttee ppeerr cchhii vvuuoollee iinniizziiaarree iill ssuuoo iimmppeeggnnoo iinn qquueessttoo ccaammppoo

Il dire e il fare

di AAlleessssaannddrraa EEmmaannuueellaa CCaasscciinnoo

AAIIUUTTOO TTAAKKEE AAWWAAYY:: UUNNAA SSEERRAA AALLLLAA SSTTAAZZIIOONNEE TTEERRMMIINNII

Foto di Duegnazio (Flickr)

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stazione Termini, è senz’altro una di quelleazioni più difficili da compiere, ma per certiversi anche più abbordabili per chi non hamai fatto esperienza di volontariato e, allostesso tempo, più liberatorie e concrete, per

un semplice motivo: «non si sa veramentechi stia aiutando, se chi consegna i pasti ocoloro che con un sorriso ricambiano conriconoscenza queste azioni». Dice cosìSalvo, uno dei volontari che due volte a set-timana si ritrova a Termini, assieme ad altri,per la consegna dei pasti ai bisognosi. Tra i170 e i 200 a sera, preparati con cura, insca-tolati in contenitori termici usa e getta econsegnati alle 20.00.

Le file sempre più numerose«Nonostante sia inverno le temperature

sono ancora miti», dice Roberto Fattorini,presidente del Consiglio Centrale di Romadella San Vincenzo de Paoli, non appena ciincontriamo davanti alla statua di Giovanni

Paolo II. Con lui ci sono la figlia Elena e lasua amica Stella, che da quasi un anno ognimartedì sera, all’uscita dal lavoro, si ritro-vano qui per la distribuzione dei pasti.«Parlo del tempo perché queste persone, vi-vendo per strada, soffrono maggiormentein questo periodo e purtroppo quelli chevengono a fare la fila per cenare sono sem-pre di più», continua.

Ci teniamo lontani dal luogo di distribu-zione, ma ecco che inizia a formarsi unapiccola fila. Nonostante nessuno abbia an-cora indossato la pettorina, i veterani ci ri-conoscono. La fila cresce, si passa da unaventina di persone ad una quarantina, bastadistogliere lo sguardo appena un attimo cheil numero si è raddoppiato. Sono le 20.00in punto ed ecco che arriva il pulmino del-l’associazione con a bordo il resto dellaciurma, uomini di mezza età, donne, madridi famiglia, ragazzi e soprattutto i pasti: sta-sera 180. In qualche secondo con dei movi-menti precisi e veloci vengono allestiti tretavolinetti da campeggio. In uno la distribu-zione della pasta, nell’altro un panino e deibiscotti, nel terzo tè caldo. Si iniziano a di-stribuire le buste.

La tipologia degli avventori è assai varie-gata. Ci sono giovani immigrati, probabil-mente gli stessi che di giorno all’uscita dellametro vendono gli oggetti più disparati; gio-vani ragazzi e ragazze dell’Est, donne anziane ben vestite e truccate; donne e uomini che vivono per strada. Quest’ultima categoria è quella che desta più sconcerto, più preoccupazione, perché capace di rap-presentare, meglio di qualsiasi analisi eco-nomica, la situazione del Paese edell’emarginazione.

Il dire e il fare 4466

Roma, i binari della stazione TerminiFoto di Federico Robertazzi (Flickr)

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Il dire e il fare 4477

Il terzo banchetto, con il solo tè (a voltevi si trovano cioccolata calda e caffè) è unesperimento nuovo, ma sembra funzionare.Una volontaria si occupa di fare in modoche le file siano rispettate e so-prattutto che nessuno tenti discavalcare gli altri, cosa che ac-cade molto spesso. Di normale donne hanno la precedenzasugli uomini, ma non tuttisono d’accordo.

La maggior parte delle per-sone, dopo aver ritirato la propria porzionedi pasta, va via, altri tentano di fare le filedue volte, ma non è possibile: c’è moltagente che ancora deve ricevere la sua parte.«Devi fare così altrimenti se ne approfit-tano», spiega Elena.

Le storie sono le più diverse, chi fre-quenta il posto da tempo ha preso confi-denza con i volontari, raccontando in certicasi quali sono i motivi che lo hanno por-

tato a vivere così. Capitaspesso che l’uomo vestito distracci, con barba e capelli lun-ghi, non sia altro che un ex im-piegato costretto a perderetutto a causa di un divorziodifficile. «I padri divorziati quisono tanti», dice Roberto. Op-

pure ci sono dei pensionati che con quelloche ricevono dallo Stato non riescono nep-pure a mangiare e per questo motivo si ri-trovano qui.

A poco a poco la fila si riduce e con essaanche le provviste su ogni tavolo. Il tè è agli

Un homeless nei pressi della stazione Termini

Tra coloro chechiedono un pasto

caldo ci sonomolti uominidivorziati

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Il dire e il fare 4488

sgoccioli, restano poche porzioni di pasta,idem per i sacchetti con panini e biscotti. Ivolontari cercano, ogni sera, di salvare qual-cosa per proseguire con il pulmino in ViaMarsala, cercando di accontentare i nume-rosi barboni che vi si ritrovano «che per nonfare la fila qui, non mangiano!», raccontaCiro, che da anni si occupa della prepara-zione dei pasti e che, più che un volontario,è un’istituzione.

C’è sempre qualcuno che arriva in ritardo,magari si trovava in tutt’altra zona.

La gioia e l’amarezzaPrima di andare via bisogna mettere in

ordine. Alcuni per cenare hanno usato legrandi aiuole degli alberi a mo’ di tavolinetti,altri hanno gettato delle cose a terra, a voltaanche porzioni intere di pasta. «Questo famale. Almeno, se mangiano, sai che quelloche hai fatto ha avuto un senso, se invece lobuttano è solo uno spreco», osserva Ro-berto.

Descrivere gli occhi dei volontari e l’ener-gia con cui si apprestano a tornare alle lorocase e alla loro vita è impossibile. Sono felicidi essersi resi utili. Sotto certi punti di vista

comprendere la loro gioia può essere difficile.Chi si appresta per la prima volta adun’azione del genere, dapprima è molto tur-

bato, c’è bisogno di metabolizzare, soprat-tutto quando a destare più tristezza è lapresenza nella fila di italiani, gente che a volteha anche una casa, ma non da mangiare.

«Sono quasi sette anni che lo faccio duevolte a settimana e sento che la mia vita èletteralmente cambiata. Quando mi sono av-vicinato alla San Vincenzo ero sull’orlo diuna forte depressione, avevo perso da pocoun parente, sentivo di dover fare qualcosaper uscirne ed è così che ho iniziato», diceSalvo raccontandomi la sua storia con gliocchi pieni di luce. Impossibile non creder-gli, l’impatto è forte, ma dopo un po’ ci sisente meglio. ■

LA SAN VINCENZO DE PAOLILa Società San Vincenzo de Paoli è un’organizzazione di laici fondata nel 1833 dal Beato Fe-derico Ozanam e messa sotto la protezione di San Vincenzo de Paoli. L’obiettivo principaledi quest’organizzazione è la promozione della persona umana, attraverso il rapporto perso-nale attuato con la visita a domicilio e nell’aiuto a persone in condizione di sofferenza mo-rale e materiale, con rispetto ed amicizia. Opera in 143 paesi con 51.000 gruppi chiamati “Conferenze di San Vincenzo”, che com-prendono oltre 700mila membri. La sede generale è a Parigi. In Italia l’associazione è rap-presentata dalla Federazione Nazionale e opera attraverso 84 Associazioni autonome (perlo più provinciali) che animano oltre 1.400 Conferenze e comprendono circa 14.000 persone.

Si mettono via un pò dipasti per i barboni che, per non

fare la fila, non mangiano

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Il dire e il fare 4499

Lasciare il proprio paese non è maifacile, specialmente se si tratta diuna scelta obbligata da condizioni

politiche ostili, guerre e instabilità sociale.Da tempo l’Italia, così come la Francia, laGermania e la Svizzera è diventata meta diimmigrati che provengono dai più diversipaesi del mondo e che, la maggior partedelle volte, sono stati costretti a scappare ri-schiando la propria vita.

Molto spesso a scappare sono adole-scenti, che superate le ostilità iniziali verso ilpaese di arrivo, cercano di farsi strada comepossono, trovando lavori manuali e ripeti-tivi, in cui parlare serve a poco. Ma l’inclu-sione sociale passa soprattutto attraverso lacomprensione e l’aiuto, cosa che è alquantodifficile se non si riesce ad esprimersi. Perquesto motivo da anni, con l’aumento degliimmigrati, in numerose città italiane delle as-

sociazioni di volontariato, con il supportodei comuni e delle istituzioni, o spessoanche senza, organizzano dei corsi di ita-liano agli stranieri, che riscuotono di voltain volta molto successo.

E questa è un po’ la storia dell’associa-zione Welcome, nata nel 2000 a Cisterna diLatina, dall’idea di alcuni immigrati di di-verse nazionalità e professioni, allo scopo dimigliorare le condizioni di vita e l’inseri-mento sociale degli immigrati nel paeseospitante. Come si legge dalla sua presenta-zione: «L’obiettivo principale dell’associa-zione è l’integrazione sociale degli immigratiattraverso consulenza, corsi di formazionee riqualificazione. La sua equipe è formatada mediatori culturali e familiari, educatoriprofessionali, avvocati, tecnici, operatori delsindacato, altre professionalità e volontari».

Ogni sabato pomeriggio, dalle 16.00 alle

di AAlleessssaannddrraa EEmmaannuueellaa CCaasscciinnoo

CCOONN II VVEERRBBII IITTAALLIIAANNII NNOONN CCII CCAAPPIISSCCOO NNIIEENNTTEEUUnn ppoommeerriiggggiioo aallllaa ssccuuoollaa ddii iittaalliiaannoo ppeerr ssttrraanniieerrii aa CCiisstteerrnnaa ddii LLaattiinnaa

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Il dire e il fare 5500

19.00, una folta classe si ritrova nella sededell’associazione per assistere alle lezioni ditre volontarie, che con pazienza e dedizioneportano avanti il loro compito tutte le setti-mane, a partire da ogni settembre. Il melting pot che vi si ritrova è variegato, cisono adolescenti, uomini maturi, bambinidelle più diverse nazionalità: afgani, curdi,turchi, indiani, filippini, cinesi, russi e tantialtri. Le lezioni seguono tutte un iter preciso,prima la teoria e dopo lapratica alla lavagna.

L’impatto con le storieLe storie sono le più

diverse. C’è Nur che ha17 anni ed è scappato dal-l’Afghanistan a 14, parlamolto bene, «ma quelliche sono i verbi italianinon ci capisco niente,non mi entrano in testa»,dice. Vive in una casa fa-miglia insieme ad altricoetanei, frequenta unistituto professionale e la-vora come magazzinierein una ditta vicino a La-tina. In Italia si trovabene, qui ha tutto quelloche gli serve, meno unacosa: la famiglia. «Io vivoda sempre da solo, anchein Afghanistan non avevonessuno. Sono arrivatoqui e tutti subito mihanno trattato bene. Stobene qui», continua. Asentire il distacco e la na-

turalezza con cui racconta di essere scap-pato da un paese in guerra, sembra quasi chestia raccontando la storia di qualcun altro.

Ma non è il solo, anche gli altri quandoparlano di sé stessi hanno una disinvolturadisarmante. Nella classe ci sono anche delledonne che lavorano come badanti o fannole pulizie. Fanno fatica ad essere puntuali,perché spesso hanno le loro famiglie da ac-cudire, ma cercano comunque di non man-

La scuola dell’associazione Welcome a Cisterna di Latina,oltre a insegnare l’italiano, sostiene i precorsi di integrazione

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Il dire e il fare 5511

care alle lezioni, che per loro sono impor-tantissime.

Ma la classe non è fatta solo di queste sto-rie. C’è anche chi in Italia non c’è arrivatoper caso, perché c’è nato, come le due so-relline cinesi Flavia e Giulia di 8 e 9 anni. Illoro italiano è perfetto e sono le prime dellaclasse sia a scuola che al corso, che frequen-tano lo stesso per continuare a migliorare.La loro è una delle storie più positive, si può

dire che siano loro ad aiutare i genitori a par-lare in italiano, pare perfino che sia meritodella più grande delle due, se la madre è riu-scita a superare l’esame teorico di scuolaguida.

Per i volontari l’impegno è grosso, ma gra-tificante. Stare con persone che hanno storiecome queste impegna sul piano umano. «Erada tempo che desideravo fare qualcosa per ilmio prossimo e quando una mia amica mi ha

parlato della Welcome hopensato subito di iscri-vermi. Pensavo che fossepiù facile, ma non è statocosì. L’impatto con tantestorie differenti, difficili dacomprendere e perfino daimmaginare, mi ha segnataparecchio. Bisogna primametabolizzare. Poi il fattodi sentirsi utile ripaga ditutto ed è un appunta-mento al quale ormai nonrinuncerei più», dice Ales-sandra, che ha iniziato afare lezione da circa tremesi unendosi alle altre trevolontarie, che da alcunianni svolgono quest’im-pegno. ■

Le lezioni di Welcome sono un melting potdi nazionalità e generazioni

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Al servizio Csv 5533

Quando da bambino leggevo ifumetti e vedevo che ad Archi-mede Pitagorico, celebre per-

sonaggio della Disney, si accendeva unalampadina in testa, significava che avevaavuto una buona idea. La stessa cosa è suc-cessa negli uffici dei Csv del Lazio: si è ac-

cesa una lampadina edabbiamo dato seguito ad

una buona idea facendonascere un nuovo servi-zio, “Il TrovaVolonta-riato”.

Non a caso è propriouna lampadina il logo del

TrovaVolontariato, perché èuna buona idea, ma soprat-tutto è una buona idea farevolontariato, infatti molte ri-cerche dimostrano che l’atti-

varsi per gli altri aiuta gli altri, ma soprat-tutto se stessi. In un periodo di forte crisi,non solo economica, l’attivarsi per gli altriaiuta a «generare capitale umano e sociale: ilvolontariato è uno strumento di integra-zione ed occupazione ed un fattore chiaveper migliorare la coesione sociale», per usarela definizione contenuta nella Relazione2010 sulla cittadinanza dell’Unione europea.Quindi perché non attivarsi per aiutare glialtri? Ma capiamo meglio. Che cos’è il Tro-vaVolontariato?

È un servizio molto particolare perchénon è rivolto esclusivamente alle organizza-zioni di volontariato, come la maggior partedei servizi offerti dai Csv, ma vuole sensibi-lizzare e coinvolgere l’intera cittadinanza.Nasce a chiusura del 2011, Anno europeodel volontariato, per consentire una mag-giore vicinanza tra i bisogni delle associa-

di FFiilliippppoo PPrriimmoollaa

IILL TTRROOVVAAVVOOLLOONNTTAARRIIAATTOO..UUNNAA BBUUOONNAA IIDDEEAAUUnn nnuuoovvoo sseerrvviizziioo ppeerr ffaarr iinnccoonnttrraarree llee aabbiilliittàà ddeeggllii aassppiirraannttii vvoolloonnttaarrii ccoonn llee eessiiggeennzzee ddeellllee aassssoocciiaazziioonnii

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zioni e la disponibilità presente nella citta-dinanza ad impegnarsi nel volontariato.

La metodologia utilizzata è quella del mat-ching, parola inglese che significa “incontro”,“abbinamento”. L’obbiettivo infatti è pro-prio quello di abbinare il tipo di disponibi-lità dell’aspirante volontario con lespecifiche esigenze delle associazioni. Perfare questo sono stati previsti due binari diaccesso al servizio, uno per le organizza-zioni di volontariato iscritte al Registro re-gionale e l’altro per chiunque voglia offrireil proprio tempo.

Studenti, casalinghe, liberi professionisti,ma anche impiegati o baristi, lavoratori aprogetto o a tempo indeterminato, pensio-nati o operai fatevi avanti! Nella vita diognuno c’è tanto spazio da poter dedicareall’altro. Avete mai pensato ad esempio alletante cose che già sapete fare? Piccoli lavori

domestici, riparazione e manutenzione, maanche cucinare un piatto speciale o raccon-tare una favola ai bambini, accompagnareun malato in ospedale mettendoci l’allegriache vi contraddistingue, insegnare a farefoto, che è proprio la vostra passione, suo-nare insieme uno strumento musicale, dedi-carsi ai nostri amici a quattro zampe, pulireun parco… Tutto questo e molto di più,ogni cosa in cui vi sentite capaci o che avetevoglia di mettere a disposizione, troverà chiè proprio lì ad aspettarla!

Con il Trovavolontariato vogliamo infattisensibilizzare i cittadini, attraverso una cam-pagna promozionale mirata, ad impegnarsigratuitamente all’interno delle organizzazionidi volontariato già esistenti e per fare questonon occorrono particolari competenze, masolo la maggiore età e tanta voglia di fare.

Le persone interessate potranno manife-

Al servizio Csv5544

DAL CENTRO DI DOCUMENTAZIONE DI CESV E SPES UN NUOVO SERVIZIO PER LE ASSOCIAZIONIAlle associazioni di volontariato che possiedono una biblioteca, anche piccola, sull’attività svolta o sui temidella solidarietà e della cittadinanza responsabile e vogliono rendere i materiali visibili e maggiormentefruibili, il Centro di documentazione sul volontariato e il Terzo settore di Cesv e Spes offre unservizio di assistenza diretta nel riordino e nella catalogazione dei materiali.Per avere informazioni è possibile rivolgersi ai numeri 06.44702178 – 06.491340 o all’indirizzo [email protected] portale dei Centri di servizio www.volontariato.lazio.it è disponibile l’elenco delle associazioni che, ad oggi, hanno i loro patrimoni, del tutto o parzialmente presenti, all'interno del catalogo unico del Centro di documentazione.

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stare la propria disponibilità, compilando lascheda di adesione sul portale dei Csvwww.volontariato.lazio.it. Successivamentesaranno ricontattate dagli operatori dei cen-tri per un colloquio di orientamento, per ca-pire assieme quale sia l’associazione piùadeguata in base alla richiesta fatta e alla pro-pria disponibilità.

Ovviamente, per fare tutto questo, nonpossiamo non coinvolgere le oltre 900 as-sociazioni di volontariato del Comune diRoma. Che cosa chiediamo a queste orga-nizzazioni?

La prima cosa è la disponibilità, certo fasorridere pensare di chiedere altra disponi-bilità a persone che quotidianamente si im-pegnano, ma stavolta la disponibilità chechiediamo è quella di creare dei percorsi diaccoglienza per i nuovi aspiranti volontari.E’ dimostrato infatti che le persone che tro-vano luoghi accoglienti, con un supportocostante, riescono più facilmente ad inserirsinei contesti associativi.

Una volta valutata la possibilità dell’asso-ciazione di garantire la propria accoglienza el’accompagnamento per i nuovi volontari,

basterà, come già hanno fatto oltre cento or-ganizzazioni del territorio romano, fissareun appuntamento con i referenti del serviziopresso la sede dei Csv. Sarà predisposta perogni associazione una scheda da compilare,in cui inserire tutte le notizie relative alleproprie attività e contemporaneamentel’identikit del volontario di cui si ha bisogno,il tempo richiesto, le competenze, eccetera.L’associazione sarà quindi inserita nel data-base delle disponibilità.

I Centri di servizio rafforzeranno inoltrel’impatto del servizio “TrovaVolontariato”sul territorio, mettendo in atto azioni pro-mozionali diversificate che possano rag-giungere gli aspiranti volontari. Gli operatoriseguiranno, inoltre, costantemente sia le associazioni che gli aspiranti volontari, mettendo a disposizione tutte le propriecompetenze per facilitare questo incontro esostenerlo nel tempo. Per ulteriori informa-zioni potete contattare i Csv del Lazio, in viaLiberiana 17 (tel. 06.44702178, 06.491340)o in via Livio Agresti 4 (tel. 06.87463211),oppure all’indirizzo: [email protected]. ■

“I LABORATORI DELLA CITTADINANZA: CONDIVISA E PARTECIPATA”Cesv e Spes sono partner della Provincia di Roma nel progetto “I laboratori della citta-dinanza: condivisa e partecipata”, che intende promuovere nei giovani la solidarietà ela coscienza critica. L’obiettivo è rafforzare il ruolo della scuola come luogo privile-giato, insieme alla società civile, per la sensibilizzazione, la formazione e l’educazionedelle giovani generazioni. Il progetto coinvolge le Province di Ancona, Reggio Calabria e Trieste, oltre a quella diRoma, che, in questa terza annualità, è capofila. Si rivolge a 15 scuole - 7 solo nella Provinciadi Roma – con una serie di interventi, dalla formazione in aula ai seminari e alla presenta-zione di testimonianze, fino ai laboratori didattici e all’insegnamento interattivo dedicati, inparticolare, a valorizzare il ruolo della legalità come strumento di cittadinanza.

Al servizio Csv 5555

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Achi fa del volontariato la suamissione di vita, nella sobrietà enella riservatezza quotidiane,

può capitare di storcere il naso di fronte alleostentazioni dei così detti “vip”, pronti abattersi in prima linea per cause sulla cartanobilissime. Provando però, per un attimo,a mettere da parte eventuali pregiudizi sulla

LL’’AARRTTEE CCHHEE HHAA UUNN CCUUOORREE

finzione del mondo dello spettacolo, si fini-sce per scoprire una realtà altra, fatta di do-nazioni anonime, di popolarità, tempo edenergie donate per aiutare chi ne ha bisogno.Senza secondi fini. Volontari-Impegnati-Perdavvero, si potrebbe riformulare così l’acro-nimo “vip”, alla luce degli sforzi effettivi diquanti, malgrado il proprio mestiere oppureproprio grazie ad esso, si attivano per dareuna mano.

Può testimoniarlo bene Daniela Alle-ruzzo, presidente dell’Associazione l’Artenel cuore, nata «a seguito di un’esperienza

LL’’iimmppeeggnnoo ddii uuoommiinnii ee ddoonnnnee ddii ssppeettttaa--ccoolloo vveerrssoo iill ssoocciiaallee èè ssppeessssoo ssiinncceerroo eeddiissiinntteerreessssaattoo.. OOllttrree cchhee ffrruuttttuuoossoo

Prospettive

di CCllaauuddiiaa CCaattaallllii

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Prospettive5588

personale nella disabilità e,visto il fascino che ha sem-pre esercitato in me l’arte elo spettacolo in generale, misono chiesta: perché non in-tegrare disabilità e arte? Edè nata così la nostra Accad-emia». Accademia che offreai propri allievi, disabili, lachance di formarsi artistica-mente ed esibirsi poi in spet-tacoli curati con amore (esenza alcun tipo di com-penso) da professionisticome Francesca Draghetti,Lorella Cuccarini, Leo Gul-lotta, Tony Esposito, Fabri-zio Gifuni, Kledi Kladiu,oppure Alessio Boni, che «ha girato con noiil cortometraggio “Il riscatto”: portare inbarca a vela in mare aperto ragazzi disabiliè stata una grande sfida, ma anche ungrande successo per noi. Ci piacerebbefarne un film, siamo alla ricerca di un pro-duttore». Continua Daniela:«Tutti parlano di disabilità, so-prattutto le istituzioni, maquando ti rivolgi a loro per es-sere aiutati, convinto che que-sto progetto dovrebbe essereportato avanti soprattutto a li-vello istituzionale, sono pochiquelli che nei fatti dimostranoveramente sensibilità e disponibilità. Invecenel mondo dello spettacolo abbiamo tro-vato amici veri, che hanno subito aderito alprogetto, facendosi coinvolgere senza al-cuna esitazione, e ci continuano a sosteneresempre».

Chi raggiunge la famadeve diventare la voce ditutti

Tra le attrici italiane piùattive nel sociale c’è MariaGrazia Cucinotta (ma-drina, tra le altre cose, di“Un mondo di solidarietà”),che insiste spesso sull’im-portanza, soprattutto perchi fa il suo mestiere, dipensare concretamente aglialtri, «più che al rossetto e almascara: chi raggiunge lafama deve diventare la vocedi chi non ha la stessa for-tuna, c’è tanta gente invisi-bile che urla ma nessuno la

ascolta. E chi urla ha disagi seri, ci sonotante realtà che ignoriamo, perché siamotutti presi dai nostri affari e privilegi. In re-altà i problemi della vita sono altri, è ora dilottare per le cose che veramente contano».

Le fa eco Michelle Hunziker, Presi-dente della Fondazione Dop-pia Difesa, che aiutaconcretamente le donne vit-time di stalking: «Un impegnoa cui io e l’avvocato GiuliaBongiorno teniamo moltis-simo, attraverso il Centro Apeintendiamo sensibilizzare levittime di violenza e accompa-

gnarle nel percorso di denuncia dei loro car-nefici. Non bisogna mai sottovalutare lostalking – che oggi è un reato perseguibilepenalmente –, gli abusi, le violenze. Io stessasono stata diverse volte vittima di persecu-tori e li ho sempre denunciati. Troppe

Un saggio diArte nel cuore

Ci sonorealtà cheingoriamo,perchè siamopresi dai nostri

affarie privilegi

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donne subiscono in silenzio questo tor-mento. Per liberarsi dei persecutori è indi-spensabile fin dall’inizio la doccia freddadella denuncia. Ma non è facile, e per questobisogna sostenere le vittime tramite medici,psicologi e assistenti sociali; a volte, poi,sono necessarie anche la consulenza e l’as-sistenza legale. Attraverso l’attività che partedal Pronto Soccorso e arriva al Centro Apecercheremo di dare il nostro contributo». Le loro campagne vantano l’appoggio di diversi testimonial, da Daniele Bossari aMalika Ayane, da Nicoletta Mantovani aNancy Brilli, passandoper Raoul Bova, cheha curato la regia delcorto di sensibilizza-zione “L’amore nero”.

Bova stesso, con lamoglie Chiara Gior-dano, ha ideato laFondazione Colo-riamo i sogni, che tra irisultati più recentivanta l’attivazione diuna panetteria mobilead Haiti. Un altro at-tore, passato alla regiaper motivi di solidarietà, è PierfrancescoFavino, per sostenere Parent Project Onluse sensibilizzare sul problema della distrofiamuscolare Duchenne e Becker. «Mi è sem-brato giusto mettere a disposizione quantoavevo da dare oltre all’affetto – ha dichia-rato l’attore –. Adesso che sono padre capi-sco cosa significa per i tanti genitori di ParentProject lottare quotidianamente per riuscire asalvare la vita di un figlio: il mio impegnooggi è ancora più forte, forse perché in que-

sti casi ti rendi conto di esser stato solo piùfortunato».

Professione testimonialC’è chi, accanto alla parola “attore”, ag-

giunge con orgoglio la vocazione “testimo-nial no profit”. È il caso dei moltissimiinterpreti di fama mondiale che da annisono, ad esempio, ambasciatori Unicef. InItalia dal 2000 in prima linea c’è Lino Banfi,con Alberto Angela testimonial della cam-pagna “Vogliamo Zero”, contro la mortalitàinfantile nel mondo: «Io sono abituato a far

sorridere la gente. Re-candomi in missionecon l’Unicef in Africaho capito quanto ibambini, che vivononelle situazioni più dif-ficili, siano quelli chepiù hanno bisogno diun sorriso». Altri testi-monial attivi sono Roberto Bolle, Elisa, ma anche celebritiescome Orlando Bloom,Whoopi Goldberg,Ewan McGregor.

Ed è proprio l’Africa, in particolare, aconvogliare maggiormente interessi, impe-gno, donazioni e adozioni da parte degli ar-tisti. Si va da Giobbe Covatta, storicotestimonial di Amref, così come CaterinaMurino e Enzo Iachetti, a Vittoria Puccini eancora Pierfrancesco Favino, convinti so-stenitori di Oxfam. «Il mal d’Africa, in re-altà, non è quello che ti viene tornando acasa, ma quello che provi stando là», rac-conta quest’ultimo. «Stare in Africa è dura, si

Arte nel cuore. Foto di gruppocon Helen Kessler eLorella Cuccarini

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tratta di un mondo completamente diversodal nostro, a cui non è facile adattarsi.Quello che si può fare, andando là, cosìcome fa Oxfam Italia, è cercare di renderliconsapevoli delle energie e delle risorse chehanno a disposizione, aiutarli a credere piùin se stessi».

Altri, come Luca Calvani, hanno pro-vato a fare un passo in più: «Un conto è fareil testimonial dell’anno, un altro mantenereun impegno nel tempo e a me interessavapuntare su questa seconda opzione». L’idea,di fondare l’Associazione Il tesoro nelcampo Onlus, gli è venuta a seguito di «unviaggio in Kenya, per piacere. All’internodella struttura che ci ospitava c’era un si-gnore che adottava un bambino a distanza,ci ha convinto a seguirlo a Timboni e siamorimasti coinvolti al primo impatto, abbiamo

subito pensato a come poter fare per aiutarequei bambini e siamo arrivati al progetto diuna scuola. Lì hanno bisogno di tutto: alcunidi medicine, perché sieropositivi, tutti quantidi volontari e assistenti sociali, perché ma-gari sono sottratti al racket, o abusati. Senzacontare che scuola vuol dire anche garantireloro sempre un pasto caldo».

Per questo è importante agire ed esporsiin prima persona: «In una società così liquidae priva di ancoraggi come la nostra, dovetutto ci passa addosso e non rimane nulla, èessenziale interessarsi a qualcosa che ci dia unsenso d’appartenenza: è un privilegio poteressere accolto ogni sei mesi da quei bambiniquasi fossi uno zio. È un’esperienza di vita.E se, come comunicatore, sei capace di rac-contarlo, ben venga, basta aiutarli». ■

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Un momento delle riprese del film “L’agnellino con le trecce” dedicato alle malattie rare

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di CCllaauuddiiaa FFaarraalllloo

Luniverso carcere potrebbe essererivoluzionato così significativa-mente da non poterne più ri-

conoscere alcuni tratti drammatici. Non solo sono in discussione i testi del

“Pacchetto Severino” approvati nel Con-siglio dei Ministri del 16 dicembre 2011, mail Senato ha anche recente-mente approvato l’emenda-mento che fissa per marzo 2013la definitiva chiusura degli Os-pedali Psichiatrici giudiziari.

Sul finire di un anno critico(solo nel 2011 ci sono stati 186morti e 66 suicidi in un sistemacarcere con circa 68mila de-tenuti a fronte di 45mila postiregolamentari), il Seac (Coordinamento entie associazioni di volontariato penitenziario)ha tenuto a Roma il suo 44mo convegno

nazionale. Oggetto di questa edizione sonostate le misure alternative e la dignità deisoggetti in esecuzione penale.

Napolitano, Severino e proposte SeacGiorgio Napolitano, Presidente della

Repubblica, ha per l’occasione espresso«vivo apprezzamento per lameritoria e proficua operadelle associazioni di volon-tariato penitenziario nell’alle-viare il disagio della condizio-ne carceraria».

Il Presidente ha inoltre aus-picato che proprio da questilavori potessero giungere«utili indicazioni per dare

risposte concrete a quanti vogliono pagare illoro debito con la società per tornare ad in-serirvisi con dignità e coraggio».

Carceri 2011: 186 morti e 66 suicidi in un sistema carcerecon circa 68mila detenuti a fronte di 45mila posti regolamentari

IILL CCAARRCCEERREE TTRRAA VVOOLLOONNTTAARRIIAATTOO,,

LLEEGGGGII EE PPRROOPPOOSSTTEEAAll ccoonnvveeggnnoo ddeell SSeeaacc ll’’iinnccoonnttrroo ddeellllee ddiivveerrssee pprroossppeettttiivvee ee ggllii aauugguurrii ddii NNaappoolliittaannoo

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Prospettive6622

Un auspicio, questo, che sembra esserestato seguito dai fatti. Molte delle proposteformulate a conclusione del convegno hannoinfatti trovato accoglimento nelle misure pro-poste dal Ministro della Giustizia Paola Se-verino, a partire dalla revisione del codice pe-nale. Ma non solo. Tra i possibili provvedi-menti individuati da Luisa Prodi, presidentedel coordinamento di associazioni peniten-ziarie, e inclusi nel pacchetto del Ministro cisono quelli di potenziare l’esecuzione penaleesterna e di prevedere forme di messa allaprova, preferibilmente accompagnate da la-vori socialmente utili o da azioni riparativeper le vittime del reato o per la collettività.

Misure alternative, piano carceri edignità

A favore delle misure alternative sonostati presentati alcuni dati da Maria Clau-dia Di Paolo, provveditore regionale del-l’Amministrazione penitenziaria del Lazio.Da quanto è emerso, al 15 novembre nelLazio i condannati che scontavano la penacon misure alternative erano quasi 1.700,ovvero il 10% rispetto al dato nazionale. Diquesti, in riferimento al primo semestre del2011, il 99,69% non ha commesso reati.Questo dato è poi in linea con la medianazionale, positiva anch’essa con 99,46%.

Alcune perplessità sono invece stateespresse rispetto al “Piano carceri”. L’opin-ione di Luisa Prodi, infatti, è che «primadi spendere soldi in faraoniche opere dicostruzione, bisogna mettere mano alcodice penale, senza contare che lacostruzione di nuovi padiglioni in moltipenitenziari ha sacrificato spazi di socialità eper le attività ricreative, né è aumentata la

dotazione di operatori». Cifre alla mano, lapresidente ha poi aggiunto che «il Pianocarceri ha stanziato 650 milioni di euro enon è partito, e ciò va a sfavore della riabil-itazione. Cento milioni di euro sono statipresi dalla cassa delle ammende». «Queisoldi», ha dichiarato Luisa Prodi, «dovevano

essere usati per la riabilitazione, non perl’edilizia carceraria».

A difesa del “Piano carceri” è invece in-tervenuto Franco Ionta, Capo del Diparti-mento dell’Amministrazione penitenziaria,che in ragione del sovraffollamento, definito

Il Piano carceri ha stanziato 650 milioni di euroe non è partito

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“strutturale”, ha dichiarato che è «impens-abile mantenere strutture che non garantis-cono vita, salute e dignità delle personedetenute». Ancora, il capo del Dap ha an-nunciato una “fase 2 per il Piano carceri”,relativa all’arresto in flagranza di reato, per-ché «quelle persone che stanno tre giorni in

carcere non possono essere nemmeno defi-nite detenuti», dunque «per l’arresto in fla-granza, espungendo i reati di pericolosità so-ciale, si potrebbe lavorare per un arrestodomiciliare, che sostituisca la misura caute-lare in carcere». Il capo dell’amministrazione

penitenziaria ha poi ricordato che «l’ese-cuzione penale esterna è fondamentale nellagestione complessiva del sistema: 17-18 milapersone sono gestite dal sistema peniten-ziario fuori dal carcere».

Ma i detenuti non sono i soli cherichiedono maggiore dignità. Sottolineandola precaria situazione in cui opera il perso-nale impiegato in carcere, Ionta ha dichiaratocome urgente obiettivo quello di «intercettareil disagio della polizia penitenziaria da un latoe dei detenuti dall’altro, attraverso uno stru-mento di sostegno e di accompagnamento,facendo in modo che in forma riservata pos-sano essere avvicinati da soggetti profes-sionali che possano migliorare le lorocondizioni psicologiche». Un progetto sicu-ramente “ambizioso”, come lo ha definito ilcapo del Dap, ma che potrebbe «essere nonsolo uno studio, ma anche e soprattutto unmodello operativo».

OPG: oltre i diritti umani e la giustiziaUn’altra questione di primaria urgenza

sottolineata dal Seac è stata quella di una rap-ida e definitiva chiusura degli Ospedalipsichiatrici giudiziari, così come previsto dal-l’emendamento recentemente approvato inSenato. La questione è stata testimoniata alconvegno dal filmato shock proposto dalsenatore Ignazio Marino, presidente dellaCommissione parlamentare di inchiesta sul-l’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitarionazionale. L’impegno della commissione èstato infatti quello di chiudere queste strut-ture. Dall’inchiesta è infatti emersa una situ-azione ai limiti della sostenibilità: igienepressoché assente, strutture logore e disfun-zionali, individui posti svestiti sui lettini di

Il Piano carceri ha stanziato 650 milioni di euroe non è partito

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contenimento (fatti solo di una rete e un mat-erassino con l’apposito foro centrale per ladefecazione) e, cosa che il senatore ha tenutoa precisare, la detenzione di persone oltre iltermine o a prescindere dalla gravità del reato.

L’attenzione del Seac si è rivolta poi allalegge Cirielli, di cui il coordinamento hachiesto senza mezzi termini l’abolizione.Meglio definita “Ex Cirielli” (infatti il suoprimo firmatario, il senatore EdmondoCirielli, dopo le modifiche apportate dal Par-lamento la sconfessò e votò controchiedendo successivamente che non venissepiù chiamata col suo nome), la legge n. 251del 5 dicembre 2005 ha avuto l’effetto didiminuire i termini di prescrizione ed au-mentare le pene per i recidivi e per i delitti diassociazione mafiosa ed usura. Il che,quindi, va a incrementare il possibile affol-lamento nelle strutture penitenziarie.

Dopo la penaDa valutare, però, non è solo il periodo in

cui si sconta la pena, ma anche quello suc-cessivo ovvero il reinserimento. Com’è pos-sibile favorire questo processo? La propostadel Seac è quella di finanziare nuovamente econ urgenza la legge 193/2000, che media-nte il sistema degli sgravi fiscali ha creatopercorsi di inserimento lavorativo e riabili-tazione dei detenuti. Inoltre, le associazionichiedono che i provveditorati regionali del-l’Amministrazione penitenziaria, le regioni,gli enti locali e il Terzo settore si impegninoa elaborare progetti di ampio respiro per ilreinserimento sociale dei detenuti. Un dise-gno sicuramente complesso, ma quanto maifondamentale, e che riguarda l’intera società.Proprio a questo proposito, Luisa Prodi hasottolineato più recentemente, in occasionedella visita di Papa Benedetto XVI al carcereromano di Rebibbia, come non si possa «di-menticare quelle persone che, se anche tem-poraneamente allontanate dalla societàlibera, sono in attesa di rientrare pienamentee definitivamente in essa». ■

Secondo Seac, per il reinserimento, occorrono progetti condivisi tra Amministrazione penitenziaria, Enti locali e Terzo settore

Prospettive

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di FFeeddeerriiccaa FFrriioonnii

Hanno più speranza nel futuro,sono impegnati politicamente,preferiscono il

merito alle raccomandazioni,guardano meno ai modelli te-levisivi negativi: sono i gio-vani che, secondo lo studio“FTP. Forme in trasforma-zione della partecipazionegiovanile”, hanno sperimen-tato forme di partecipazionee associazionismo. L’inda-gine, realizzata da Arciragazzie Cevas nell’ambito del pro-getto “Giovani Cittadini perCostituzione” del Diparti-mento Gioventù della Presi-denza del Consiglio, haindagato i processi di partecipazione e cit-tadinanza dei ragazzi tra i 14 e i 30 anni di

tutto il territorio nazionale e studiato le re-lazioni tra i processi partecipativi in famiglia

e a scuola, le pratiche di asso-ciazionismo, la propensionead assumere forme di re-sponsabilità e impegno civicoe lo sviluppo di atteggiamentipropositivi nei confronti delfuturo.

«Lo stesso titolo FTP», hasottolineato Liliana Leone,direttore del Cevas, «significaFile Transfer Protocol, si-stema di regole condivise allabase del trasferimento di in-formazioni tra i diversi com-puter, o nodi di rete, suinternet. Per noi rappresenta

una metafora dell’evoluzione dei nuovi “co-dici” e delle nuove forme di partecipazione,

PPEERRCCHHÉÉ LLAA PPAARRTTEECCIIPPAAZZIIOONNEE FFAA BBEENNEE AAII GGIIOOVVAANNIISSeeccoonnddoo uunn’’iinnddaaggiinnee ddii AArrcciirraaggaazzzzii ee CCeevvaass,, ii pprroocceessssii ppaarrtteecciippaattiivvii ppoorrttaannoo eeffffeettttii bbeenneeffiiccii ssuuii ssiinnggoollii iinnddiivviidduuii,, oollttrree cchhee ssuullllaa ccoommuunniittàà

La partecipazione condivisa crea sempre fiducia

Prospettive

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nell’era del web e dei social network».Infatti anche la rilevazione è stata realiz-

zata on-line su 2.070 giovani (1.410 rispostevalide) di un’età media di 21 anni. I risultativolevano rispondere a diverse domande,quali: è vero che le pratiche di partecipazionedei giovani, oltre a rappresentare un dirittosancito a livello costituzionale e da conven-zioni internazionali, fanno bene a sé stessi eagli altri e possono avere effetti protettivi ri-spetto allo sviluppo del ragazzo? E quali ivantaggi per la comunità? Tali effetti valgonoanche per la fasce più disagiate e nelle areecon debole presenza del Terzo settore?

La conquista della speranzaIl 25% del campione fa parte di associa-

zioni ricreative o culturali, il 18% di organiz-zazioni di volontariato e il 14% è scout. Dallato opposto due giovani su dieci (18,4%) hadetto di non aver mai fatto parte di alcuna as-sociazione, né di gruppi parrocchiali, scout ocomitati studenteschi. E proprio in questafetta del campione si registrano alcune diffe-renze importanti: tra coloro che non hannoavuto alcuna esperienza di questo tipo, il59,4% risulta avere un basso livello di “spe-ranza verso il futuro e nella possibilità di cam-biamento”. Una situazione che si inverte, tracoloro che hanno sperimentato oltre tre ap-partenenze al mondo associativo: tra di essiquella percentuale si riduce al 35%.

Questo rapporto si mantiene anche te-nendo sotto controllo l’istruzione dei gio-vani e dei loro genitori. «Praticamente»spiega la ricercatrice «dà più speranza per ilproprio futuro l’aver fatto parte di un’espe-rienza associativa che non avere un genitoreben posizionato socialmente. La partecipa-

zione si traduce in investimento materiale edemotivo, su obiettivi che implicano ancheuna trasformazione della realtà, che produceuna riduzione degli atteggiamenti depressivi,particolarmente rilevante in una fase storicacome quella che stiamo vivendo, dove è for-tissima la percezione di essere vittime di unblocco sociale e decisionale».

La fiducia nel meritoSi legge ancora, nel rapporto, che «esiste

una relazione inversamente proporzionaletra la propensione ad accettare favoritismi erichiedere raccomandazioni e il numero diesperienze di associazionismo». In sostanza,più si è impegnati, più si crede nella merito-crazia. Allo stesso tempo, la partecipazionesembra annullare l’effetto negativo dei mo-delli valoriali proposti dai media. Di riflesso,si registra una relazione positiva tra parteci-pazione e impegno politico, con un dato re-lativo all’astensionismo, che si ferma al7,8%. Inoltre i giovani più impegnati sonoquelli che rischiano meno di essere attiratida derive xenofobe e populistiche.

Secondo Anna Giulia Ingellis, docentedi Metodi e tecniche di ricerca all’Universitàdi Valencia, «è stata superata ormai datempo la coincidenza tra adesione valorialee voto ai partiti storici della destra e della si-nistra; riscontriamo in questo gruppo di gio-vani molto poco astensionista, una forteadesione a modelli centrati su diritti e libertàindividuali, piuttosto che alla presenza diun’autorità regolatrice superiore, e contem-poraneamente un’adesione a modelli di eco-nomia regolata piuttosto che a posizioniliberali». La centralità dell’individuo non è ilfrutto dell’adesione ad un determinato mo-

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dello economico, ma è “struttura sociale”.«Questo risultato conferma che è in corsoquel processo di individualizzazione dei per-corsi di vita: l’individuo diviene il centro de-cisionale e la sua libertà va tutelata a dispettodi qualunque bene comune sovradetermi-nato, la libertà individuale diviene in sé unbene riconosciuto dalla maggioranza».

L’autoefficaciaUn altro tema affrontato nella ricerca è

quello dell’autoefficacia. L’Oms, Organiz-zazione Mondiale della Sanità, consideral’autoefficacia una competenza di vita dicentrale importanza nei programmi di pre-venzione delle devianze, dell’abuso di so-stanze stupefacenti legali e illegali, deltabacco e per la promozione della salute.Esiste un legame tra partecipazione in con-testi associativi e autoefficacia: al cresceredel numero delle associazioni di cui il gio-vane ha fatto parte, cresce in modo statisti-

camente significativo la media riportata altest sull’autoefficacia. Spiega sempre LilianaLeone: «I processi partecipativi rappresen-tano libertà sostanziali e possiedono unforte valore educativo, in quanto con-tribuiscono allo sviluppo di un sistema dicompetenze per la vita, di norme sociali edi credenze riguardanti i diritti delle persone,le questioni etiche e le priorità da perseguire,che incidono negli anni sugli atteggiamenti esui concreti comportamenti dei giovani».Lino D’Andrea, presidente di Arciragazzi

nazionale, intervenuto alla presentazione dellaricerca, ha sottolineato che «i giovani nonsono bamboccioni e vanno ascoltati di più,perché hanno voglia di partecipazione, hannomaggiori prospettive per il futuro e voglionocambiare il mondo a partire dai diritti».

E allora aveva ragione Gaber quandocantava “La libertà non è star sopra un al-bero, non è neanche il volo di un moscone.Libertà è partecipazione”. ■

La partecipazione è un investimento anche emotivo, che riduce gli atteggiamenti aggressivi

Prospettive

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di LLuucciiaa AAvveerrssaannoo

Come crescono i giovani adole-scenti nella società del terzo mil-lennio? Come si adeguano a

quella che ormai è una società che da liquidaè diventata gassosa? Qualche tempo fa Par-sec e Theores, in collaborazione con CncaLazio, hanno promosso unworkshop dal titolo “Giovani eadolescenti nella società del ri-schio”, durante il quale si è cer-cato di rispondere a questedomande.

Il rischio è una opportu-nitàMauro Carta, psicotera-

peuta della cooperativa Parsec,che all’incontro ha preso parte,tiene a sottolineare che il rischio, di cui si èdiscusso in quella giornata, non è stato in-

teso solo nella sua accezione negativa ma èstato, e deve essere, inteso «anche come op-portunità.

Oggi vediamo il rischio nell’adolescenzacome qualcosa di provocatorio o di tra-sgressivo, non pensando, invece, che ci sono

sempre state delle attività ri-schiose di per sé che se nonfossero state portate avantinon avrebbero contribuitoallo sviluppo dell’umanità: sipensi alle scoperte geografi-che o a quelle scientifiche».

Non solo, lo psicoterapeutaribadisce la distinzione tra ri-schio e trasgressione, ripor-tando un esempio che rendeappieno l’idea: «si pensi al ra-

gazzo afghano che si fa migliaia di chilome-tri attaccato sotto a un camion, anche quella

Bisogna distingueretra rischio

e trasgressione: alcune attivitàrischiose

hanno contribuito allo sviluppodell’ umanità

LLAA GGIIOOVVEENNTTÙÙ CCHHEE NNOONN HHAA FFRREETTTTAA““GGiioovvaannii ee aaddoolleesscceennttii nneellllaa ssoocciieettàà ddeell rriisscchhiioo””.. ÈÈ ll’’iinnccoonnttrroo oorrggaanniizzzzaattoo aa ddiicceemmbbrree ddaa PPaarrsseecc ccooooppeerraattiivvaa ssoocciiaallee ee TThheeoorreess,, ssccuuoollaa ssuuppeerriioorree ddii llaavvoorroo ssoocciiaallee.. EEccccoo cciiòò cchhee eemmeerrssoo

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è un’attività rischiosa, ma la trasgressione nonc’entra nulla». Un caso estremo, così comequelli di ragazzi che per noia si stendono suibinari di un treno o adottano comportamentiincomprensibili cercando di sperimentaresensazioni fini a se stesse.

Questi, in realtà, sono alcuni comporta-menti non molto frequenti, ma che appaionotali visto il loro rilievo sui media, che provanoa dare una risposta a «una società nella qualesono cadute le vecchie ideologie, le religionie tutte quelle linee guida che in un certo sensoorientavano posizioni e scelte; una societàdove si deve far fronte a un’estrema variabi-lità di stimoli e opportunità, che però esi-stono solo in apparenza, perché poi, di fatto,sussiste un deserto di opportunità. Avere in-ternet e quindi avere il mondo a portata dimano fa pensare di poter fare molte cose peril nostro futuro, ma questo non sempre cor-risponde a realtà. E questo è un altro aspettodella società del rischio».

I veri rischi sono la precarietà e lamancanza di linee guida…

D’altra parte la nostra èuna società sempre piùprecaria «viviamo», prose-gue Carta, «nel crescenteterrore di non farcela: i giornali, la tv e i media ingenere forniscono notizieansiogene sulla situazioneeconomica mondiale; unragazzo di 15-20 anni cheascolta notizie del tipo:aumento della disoccupa-zione giovanile, tagli allepensioni e giovani lavora-

tori precari che una pensione forse nem-meno l’avranno, più che porsi domande sulproprio futuro si chiede se mai un futuro cisarà tra vent’anni.

Se un tempo il disagio e l’ansia, legate allaprecarietà, venivano espresse attraverso leideologie che rappresentavano un grandecontenitore, in cui potevano agire rivendi-cazioni e proteste anche violente, ma che inqualche modo avevano un’identità, ora tuttoquesto non c’è più. Ora la violenza giova-nile trova espressioni incongrue e anche unpo’ bizzarre: emblematica è stata l’irruzionedei black block durante la manifestazionedegli indignati a San Giovanni, nella parroc-chia di San Marcellino e Pietro a Roma. Daun gesto così uno ci si aspetta la sottrazionedelle offerte e invece hanno divelto la Ma-donna di Lourdes, un atto altamente sim-bolico, ma che non veicola o che,comunque, fa fatica a trovare un messag-gio».

Emerge inoltre che i giovani «a livello digruppo e di categoria sociale temono per illoro futuro mentre a livello individuale sono

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Senza linee guida il disagio giovanile ha espressioni incongrue Foto di Zaccaria Orlando (Flickr)

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più fiduciosi, sentono che singolarmente ce lapossono fare. Questo dipende anche dal fattoche, mancando quei grossi contenitori che liidentificavano a livello sociale, come catego-ria, come pensiero e come ideologia, si è tor-nati all’individualismo».

Prigionieri dello stato di sospensioneLetta così, l’ansia dei giovani non riesce a

prendere una forma ben definita poichéloro nascono «con questa preoccupazioneper il futuro e ciò è dovuto anche al fattoche sono saltati i riti di passaggio che carat-

terizzavano le generazioni precedenti: fami-glia, lavoro, partner, casa, figli e così via. Orai riti di passaggio si sono trasformati, hannopreso un altro ordine e non si sa bene cosaci si debba aspettare.

Di conseguenza i giovani si sono adeguatisviluppando una maggiore capacità di tolle-rare lo stato di sospensione in cui si trovano.In altre parole, se domani non c’è futuro al-lora si cerca di rimanere nello stato di so-spensione il più a lungo possibile, senza farsitravolgere dalle preoccupazioni e prendendole distanze da una società legata alla presta-

Prospettive

IO COME TUIndagine sulla percezione del razzismo

tra gli adolescenti italiani e di origine straniera

Rifiuto o emarginazione verso persone di altra razza cultura o ideologia. È questo il raz-zismo secondo i giovani italiani e stranieri che vivono in Italia. Ciò emerge dall’indaginecondotta da Lorien per Unicef sulla percezione del razzismo tra gli adolescenti italiani edi origine straniera, effettuata intervistando circa 600 adolescenti tra i 15 e i 19 anni. Peril 46% degli adolescenti di origine straniera, il razzismo non è, o meglio non è solo ma-nifestazioni violente contro persone di altra razza e cultura e lo stesso vale per il 47% degliadolescenti italiani, dato questo che sottolinea la presa di coscienza dei giovani a identi-ficare il razzismo in maniera più consapevole. Dall’indagine è emerso che circa la metà dei giovani stranieri intervistati (44%) non havissuto episodi di razzismo né direttamente nè indirettamente. Resta però alto il numerodi ragazzi che ha subito manifestazioni di razzismo direttamente (22,2%) e indiretta-mente (38%). Gli episodi sono accaduti per lo più a scuola, dove il 65% dei ragazzi stra-nieri e il 38% di quelli italiani dichiara di aver assistito e vissuto episodi di razzismo.Interessante è anche la risposta che hanno dato gli adolescenti alla domanda “chi com-batte il razzismo”. Qui la percezione tra italiani e stranieri è molto diversa. Al primoposto i giovani italiani mettono le associazioni di volontariato (48%), le organizzazioniinternazionali (32%) e le persone singole (26%). Il 20,8% dei giovani stranieri, invece, ri-tiene che in prima linea a combattere il razzismo in Italia ci siano le istituzioni nazionali,seguite dalla chiesa (18,1%) e dalle organizzazioni internazionali (16,7%).

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zione e alla competenza. Una metafora potrebbe spiegare meglio:

lo stato di sospensione di cui siparla può essere paragonato al-l’attesa di un figlio. Una madrein attesa, anche se in apparenzasembra fermarsi in questo pe-riodo, sta lavorando e anchemolto. Questo lavoro peròdarà i suoi frutti al terminedella gravidanza, che è sempreun rischio».

Se fuori è tutto in forse, lafamiglia resta un luogo doveconfrontarsi e sentirsi accolti,più per forza (di cause economiche) che perscelta. E i genitori di oggi sono molto di-versi rispetto a quelli di quarant’anni fa,«sono molto più attenti ai bisogni dei figli e

pronti a rispondere alle esigenze anchequando sono inespresse», ma ciò è bene fino

a un certo punto, per Carta:«questa tendenza rende i figlimeno pronti a lottare e menopredisposti alla conquista.

I genitori dovrebbero farcapire ai figli che tutto ha uncosto, è impegno e responsa-bilità. Se prima c’era troppaprivazione da parte dei geni-tori e ciò era la molla che fa-ceva attivare i giovani, ora iragazzi si trovano, da un lato,famiglie sempre pronte a so-

stenerli, senza dare la possibilità di attivarsie quindi di ottenere le cose con un certogrado di soddisfazione, e dall’altro unmondo dove tutto è da conquistare». ■

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i giovani a livello digruppo e di categoriasociale temono per illoro futuro mentre a livello individualesono più fiduciosi,

sentono chesingolarmente

ce la possono fare

Prospettive

Nella precarietà la famiglia è il luogo dove confrontarsi e sentirsi accoltiFoto di Daviniodus (Flickr)

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di MMaauurriizziioo EErrmmiissiinnoo

«Mi sintonizzo con Dio, è la fre-quenza giusta. Mi sintonizzo pro-prio io, e lo faccio apposta». Sono le

parole di una canzoncina che i catechistifanno cantare a Marta, tredicenne appenarientrata a Reggio Calabriadopo dieci anni in Svizzera, cheinizia a prepararsi per il sacra-mento della Cresima. Per farsinuovi amici. Perché senza lacresima non ti puoi sposare,come le dicono tutti.

È la storia di “Corpo cele-ste”, opera prima di Alice Ro-hrwacher, presentato alloscorso Festival di Cannes e dapoco uscito in dvd. «Passavoparecchio tempo a Reggio Ca-labria per motivi personali,quando mi hanno proposto di

scrivere un film», ci ha raccontato la regista.«Volevo raccontare il mutamento della co-munità, dei luoghi, capire se le persone rie-scano ancora a stare insieme e come. Iluoghi comuni associano al Sud l’immagine

della famiglia, del calore, dellacomunità ancora reale e nonvirtuale. Così ho cominciato adindagare il luogo per eccellenzain cui le persone si ritrovano, laparrocchia: ho frequentato deicatechismi e gli eventi principalidella parrocchia, come osserva-trice. Volevo anche parlare del-l’educazione e dell’età dellacresima, perché è quella in cuiuno sceglie a chi appartenere,è la conferma delle scelte cat-toliche fatte dai genitori. Daqui è nata la storia di Marta».

CCRREESSIIMMAA SSHHOOWW““CCoorrppoo cceelleessttee””,, rriifflleettttee ssuull ccoonncceettttoo ddii ccoommuunniittàà,, ee ssuullllaa rriivvoolluuzziioonnee ccuullttuurraallee aavvvveennuuttaa iinn IIttaalliiaa,, ddoovvee ii lliinngguuaaggggii ddoommiinnaannttii ddeellllaa ttvv iinnvvaaddoonnoo aanncchhee llaa ssppiirriittuuaalliittàà..CCoollllooqquuiioo ccoonn AAlliiccee RRoohhrrwwaacchheerr

Il manifesto dell’operaprima di A. Rohrwacher

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I danni del linguaggio televisivoMarta, in un’età in cui è profondamente in

cerca di se stessa, e del proprio piccolo postonel mondo, si trova a viaggiare in un universocompletamente nuovo, e spesso allucinante,dove la spiritualità è ridotta a formule vuoteda imparare a memoria, dove le immaginisacre sono ormai svuotate del loro significatoper diventare storielle e figurine, e il raccontodel Vangelo finisce per appiattirsi sui modellidi comunicazione oggi più in voga, cioè quellidella televisione. Il manuale di studio sichiama “Saranno testimoni”, si impara il ca-techismo con il gioco “Chi vuol esser cresi-mato”, le ragazze imparano balletti simili aquelli delle veline. A parte la canzoncina “Misintonizzo con Dio”, scritta appositamenteper il film, perché quella usata al catechismo,molto simile, non era utilizzabile, è tutto ac-caduto veramente e viene riportato efficace-

mente nel film da Alice Rohrwacher, cheviene dal documentario e ha il dono di leg-gere bene la realtà. «Quello che mi ha colpitoè questo sforzo organizzativo costante, che lepersone della parrocchia, unica istituzione so-ciale degli incontri, devono fare per organiz-zare la vita dei fedeli: questo fa sì che ci siadavvero poco tempo per riflettere sul conte-nuto del proprio lavoro», ci ha spiegato la Ro-hrwacher. «Ma la cosa che mi ha colpito insenso più negativo e tragico non riguarda laparrocchia, è trasversale: erano questi ballettiche facevano le bambine, piene anche dibuone intenzioni, che cercavano di imitaremalamente quello che vediamo in televisione».

Non è un film anticlericale, né un film sullaChiesa, o almeno non solo. “Corpo celeste”racconta piuttosto il mutamento culturaleprofondo che è avvenuto nel nostro Paese,nel quale sono rimaste travolte tutte le istitu-

Un’immagine da “Corpo Celeste”. Anche il racconto del Vangelo rischia di appiattirsi sui modelli televisivi

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zioni. «È qualcosa che non riguarda solo laparrocchia, ma prima di tutto la scuola», pre-cisa la regista. «Nel catechismo si lavora sullaverità rivelata, e il fatto che si scelga comemezzo per insegnarla un codice che sicura-mente è falso, quello della comunicazione te-levisiva, è drammatico, forse più che altrove».

La comunità ridotta ad audienceÈ la comunità che ha cambiato il modo

di stare insieme. Ora lo fa attorno a una te-levisione, invece che attorno a un focolare.Ascolta frasi preconfezionate invece di par-lare e tramandare. E anche le immagini sacrerischiano di restare un guscio vuoto, senzasignificato. «C’è una mancanza tale di fidu-cia nell’autonomia dell’essere umano, inquesto momento», riflette Alice Rohrwa-cher. «Così tutto viene fornito con una spie-gazione, con un libretto di istruzioni.

La protagonista alla fine troverà qualcuno con cui ricominciare.È possibile un nuovo inizio nella vita culturale del nostro paese?

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Mentre intorno a certe cose ci vorrebbeanche un silenzio, un mistero. Nel catechi-smo non si legge il Vangelo, ma un’inter-pretazione: si spiega il Vangelo, invece dileggere la parole e capire cosa vuol dire, siparte dall’interpretazione. Anche nei filmoggi viene fornita la spiegazione, viene sot-tolineato dove piangere e dove ridere, men-tre andrebbe lasciata più autonomia».

Tra modelli consumistici e televisivi da

rincorrere e il vuoto culturale di cui è vit-tima l’Italia di oggi, il risultato è che anche laspiritualità possa finire in mano a personevolenterose ma ignoranti, poco preparate,poco profonde. «Non penso che siano pocoprofonde, ma semplicemente inadeguate alloro ruolo», suggerisce la regista. «Durantele riunioni dei catechisti c’è chi dice “biso-gna dare le botte”, e chi risponde “in nomedi cosa devo parlare a questi ragazzi? Innome della giustizia? In nome di Dio?”. Ècome se in questo momento non si possaparlare in nome di niente. Può essere ancheun bene, ma bisognerebbe dirselo».

La possibilità di un nuovo inizioI compagni di viaggio di Marta sono un

parroco poco presente nella vita delle cresi-mande, perché più concentrato sulla propriacarriera e a raccogliere voti per un politico,una catechista un po’ ignorante e superfi-ciale e il vecchio prete di un paesino, che leparla veramente di Cristo e della sua vita. «Èla prima volta che qualcuno le parla di Gesùin modo che lei possa mettersi in relazionecon lui: racconta che era uno spesso arrab-biato, con dei sentimenti molto umani»,spiega la regista. «Volevo che nel film cifosse almeno una persona che leggesse ilVangelo, visto che è questo grande assente.È qualcosa che può lasciare un segno nelsuo bisogno di prendere una scelta».

È una piccola luce nella vita di Marta.Come quella del finale, in cui incontra deiragazzi che raccolgono qualcosa che nonviene usato più, per creare un nuovo spazio.Per Marta è un nuovo inizio. Ma è possibileoggi un nuovo inizio nella vita culturale delnostro Paese? ■

La protagonista alla fine troverà qualcuno con cui ricominciare.È possibile un nuovo inizio nella vita culturale del nostro paese?

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PPrriimmuullee.. AAnnttoollooggiiaa ppooeettiiccaa ddii bbaammbbiinniippeerr bbaammbbiinnii ee aadduullttiiA cura di Antonella ZagaroliLaubea Onluspp. 88

SSttoorriiee ccoommuunnii ddii mmaallaattttiiee rraarree.. CCoommee oorriieennttaarrssii nneell mmoonnddoo ddeeii nnoommii ssttrraanniiEDUP 2011 pp. 245, 15.00 €

a cura di FFeeddeerriiccaa FFrriioonniiRR ee cc ee nn ss ii oo nn ii

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«Non insegnate ai bambini vie conosciute, ma seproprio volete… la magia della vita», cantavaGaber. Giocare con l’arte diventa in questo per-corso di poetry therapy sviluppato dall’associa-zione Laubea con i bambini di una scuolaelementare di Roma un strumento di benesseredall’alto valore psicoeducativo.In rima o sciolti, questi versi e piccoli componi-menti contribuiscono a rendere evidente quellainnata e continua capacità di stupirsi che hannoi più piccoli. Il prodotto artistico non è più inac-cessibile e irraggiungibile, ma arricchisce il quo-tidiano e si fa portavoce di un’idea di benessereche è «un modo di essere al di là del vero o nonvero della cosiddetta salute». Raccontano tutto questo le parole raccolte inpoesie dai bambini che, in questo viaggio nellascrittura in versi imparano ad entrare in contattocon il proprio sé, a trovare la loro personalestrada di conoscenza empatica dell’altro e pro-vano anche a parlarne agli adulti.

(Eleonora Gargiulo)

Una malattia è considerata “rara” quando col-pisce non più di 5 persone ogni 10mila abitanti.La bassa prevalenza nella popolazione non si-gnifica però che le persone con malattia rarasiano poche. Si parla infatti di un fenomeno checolpisce milioni di persone in Italia e addirit-tura decine di milioni in tutta Europa. Del resto,il numero di malattie rare conosciute e diagno-sticate oscilla tra le 7mila e le 8mila. Questo èun piccolo, ma articolato universo del disagio edella sofferenza: proprio perché rare, poco co-nosciute, talvolta difficili da identificare e dadiagnosticare sono spesso confinate in un an-golo della medicina e della ricerca. Questo libroracconta delle storie: storie di malati, delle lorofamiglie, dell’incontro con i medici, della con-vivenza della malattia; storie che hanno peròuna caratteristica comune: il bisogno di infor-mazione e l’esigenza di condividere con altril’esperienza di sofferenza.

(Valentina Maragnani)

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Affrontare seriamente il problema del carcereimplica mettere in campo una rivoluzione cul-turale. Nel suo lavoro di magistrato, GherardoColombo si è convinto dell’inutilità del carcere,anzi, di quanto sia controproducente. Non re-cupera il reo. Non risarcisce le vittime. Non ri-cuce il tessuto sociale lacerato. Non fa calare ilnumero dei reati e quindi non garantisce sicu-rezza ai cittadini. Non rispetta la dignità dellapersona, cioè il diritto fondamentale, il dirittodei diritti. Che giustizia è, dunque, quella che sibasa sul carcere?È di una non-giustizia, che risponde al male colmale. È una concezione riparatoria della giusti-zia, che sa di vendetta. Colombo propone di su-perarla con un’altra idea, che ruota attorno alconcetto di perdono responsabile. Un concettoche, però, implica un profondo cambiamentonella cultura della società e nella sua organizza-zione. Le alternative al carcere ci sono, e Co-lombo ne racconta alcune. Il problema è lavoglia di rimettersi in discussione per affrontareseriamente il problema della giustizia.

(P.S.)

IIll ppeerrddoonnoo rreessppoonnssaabbiilleeGherardo Colombo Ponte alle Grazie 2011pp. 232, 12.50 €

In questo libro, oltre a una riflessione sugli an-ziani come risorsa di cittadinanza attiva, si trovaanche la commedia, scritta in dialetto tiburtino,dal titolo “Garibardi a Tivuli e… non solu”.Il tema sono i 150 anni dell’unità d’Italia e l’oc-casione per ricordare questo evento storico è lospettacolo teatrale, proposto dal Laboratorio in-tergenerazionale, nell’ambito del progetto “Glianziani cittadinanza attiva per lo sviluppo socio-culturale di Tivoli”, promosso dall’associazioneFocus-Casa dei diritti sociali.Questo spettacolo in tre atti è interpretato dastudenti delle scuole elementari e da adulti over60. L’autore, Domenico Petrucci, per raccon-tare il passaggio di Garibaldi a Tivoli e il rientrodei volontari tiburtini dopo la proclamazione delregno d’Italia, ricostruisce il vissuto attraverso ipensieri e le parole di una famiglia del luogo.Una piacevole occasione, quindi, per riscoprirela propria identità nazionale e per mantenere laconoscenza del dialetto locale.

(Laura Bariggi)

AAnnzziiaannii cciittttaaddiinnaannzzaa aattttiivvaa ppeerr lloo ssvviilluuppppoo ssoocciioo--ccuullttuurraallee ddii TTiivvoollii.. GGaarriibbaarrddii aa TTiivvuullii ee……nnoonn ssoolluuAutori variFocus-Casa dei diritti sociali 2011 pp. 80

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SSii ppuuòò ffaarree.. CCoommee ccoommbbaatttteerree lloo ssffrruuttttaammeennttooFrancesca Coleti, Giuseppe CavaliereL’Ancora del Mediterraneo 2011pp. 114, 13.50 €

La condizione delle donne e degli uomini co-stretti a prostituirsi è raccontata con chiarezzaed efficacia, e allo stesso modo sono tracciate lestrade lungo le quali queste persone viaggiano,scoprono il loro destino e si ritrovano schiave.Gli autori conoscono bene i problemi, perchéentrambi impegnati nelle attività contro la trattadell’Arci di Salerno. Nel libro, donne e uomini raccontano la lorostoria in prima persona, e gli autori offronoanche il quadro d’insieme in cui queste storie sicollocano. Il messaggio è che spezzare le catene è possi-bile, per quanto difficile. È più facile entrare incomunicazione con le persone giovani, che noncon le trentenni, e alcuni gruppi sono più apertidi altri. Ma in tanti anni di esperienza il lavoro dilotta alla tratta ha dato e dà frutti, soprattutto seil terzo settore non viene lasciato solo, ma trovala collaborazione delle forza dell’ordine e deisoggetti pubblici interessati. E soprattutto unclima sociale sereno schierato dalla parte dellalegalità.

(P.S.)

L’informazione è la base di tutto, è l’unica cosache può appagare la nostra sete di sapere. Ro-berto Lessio, presidente di Legambiente di La-tina, ce lo ripete continuamente in questo libro,cercando di rispondere a delle domande sco-mode che riguardano la nostra vita e la nostrasalute.“All’ombra dell’acqua” è un libro-inchiesta cheraccoglie le storie e testimonianze che girano in-torno ad un tema scottante ed attuale, come puòessere quello della privatizzazione dell’acqua.Partendo da Latina, con lo scandalo della ge-stione della rete idrica ad opera di Acqua Latina,il libro ci porta in un mondo popolato da per-sonaggi, che intrecciano le loro vicende nellapolitica tra privatizzazioni e speculazioni, dan-neggiando milioni di persone ed i loro diritti. Lessio ci racconta come, lottando con fatica edimpegnandosi duramente, si riesce a sconfiggerechi ha solo un obiettivo: la sete di potere.

(Laura Bariggi)

AAllll’’oommbbrraa ddeellll’’aaccqquuaa.. IInncchhiieessttaa ssuuiipprreeddoonnii ddeellll’’uullttiimmaa mmeerrcceeRoberto LessioInfo: Legambiente Latinapp. 350, 12.00 €

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Accountability: processo di rendicontazione tra-sparente volto a garantire efficacia informativae responsabilizzazione diffusa di fronte agli sta-keholders. Un altro concetto, o meglio un nuovostrumento, che ha guadagnato in pochi anni unagrande fama. Eppure, poiché non sempre la no-torietà è accompagnata da una reale ed estesaconoscenza, il libro ha il merito di illustrare inmodo poco tecnico, ma molto pratico, il perchée il come le organizzazioni senza scopo di lucrodovrebbero dar conto del proprio lavoro a fi-nanziatori e portatori di interesse. Il volume lofa assumendo le caratteristiche ora del manualed’uso ora della ricerca, svolta, in particolare, at-traverso lo studio di una decina di casi di Ong;sette con sede in Italia e tre in Spagna, per ag-giungere un confronto tra i due paesi.Un libro consigliato per chi voglia approfondireil tema, con un segnale di avvertimento, però,rivolto a tutti gli allergici ai concetti espressi intermini anglosassoni. .

(Francesca Amadori)

NNoonn pprrooffiitt.. DDaallllaa bbuuoonnaa vvoolloonnttàà aallllaa rreessppoonnssaabbiilliittàà eeccoonnoommiiccaaA cura di Marco ElefantiEDB, Bologna, 2011pp. 267, 18.00 €

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CCoollllaabboorraarree..MMeettooddii ppaarrtteecciippaattiivvii ppeerr iill ssoocciiaalleeEnnio RipamontiCarocci Faber, 2011pp. 269, 25.00 €

Un libro che offre spunti e punti di vista nuovisu una tematica, in fondo, non più originale.L’autore, che evidentemente si avvale di un ap-proccio intrinsecamente multidisciplinare, scan-daglia in tutte le direzioni il tema dellapartecipazione civica, non trascurando l’ele-mento che ne è alla base: la collaborazione so-ciale. Il testo compie, dunque, un lungopercorso attraverso l’analisi della complessità eframmentazione dei contesti, in termini socio-logici, passando per gli orientamenti tanto egoi-stici quanto altruistici dei singoli individui, intermini psico-antropologici, per arrivare, infine,a misurarsi con i sistemi di welfare moderni.Le conclusioni non sono a sorpresa: i sistemi digovernance delle attuali politiche pubbliche ri-chiedono un rafforzamento del potenziale col-laborativo in vista di un arricchimento delleforme di partecipazione, ovvero di democrazia. Ripamonti, naturalmente, ci incoraggia su que-sta strada, attrezzandoci di suggerimenti e qual-che strumento.

(Francesca Amadori)

Segnalati dal Centro di documentazionesul volontariato e il terzo settorevia Liberiana 17, Roma - tel. 06.44702178

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Cyril è stato abbandonato dal padre e lo ri-cerca ostinatamente, attaccato alla biciclettache gli aveva regalato, e di cui è l’unico ricordo.Fino a che si imbatte in Samantha, una par-rucchiera gentile che si prende cura di lui.Cyril cerca il padre, ma finirà per trovare unamamma. I Fratelli Dardenne girano un filmimpeccabile, scarno, di impianto neorealista.Cyril potrebbe essere il bebè de “L’enfant”,messo al mondo da genitori immaturi e irre-sponsabili, una volta cresciuto: il padre è in-terpretato da Jérémie Renier, che in“L’enfant” era proprio il giovane genitore percaso. E “Il ragazzo con la bicicletta” potrebbeessere considerato un ideale sequel de “L’en-fant”, la conseguenza dei comportamenti im-maturi di quei genitori. Anche qui c’è unoggetto a ruote a fare da filo conduttore: lì erala carrozzina, qui è la bicicletta. Accanto a Re-nier e al bravissimo Thomas Doret, non at-tore di 13 anni che interpreta Cyril, a brillareè Cècile De France, vista in “Hereafter”. È lafata di un film che, pur di stile fondamental-mente neorealista, è anche un po’ una fiaba.

(Maurizio Ermisino)

Poche righe non bastano a descrivere il nuovocapolavoro di Paolo Sorrentino, le due ore in-collati allo schermo. Due ore di immagini,(poche) parole ed espressioni capaci di raccon-tare un’evoluzione, l’esternazione di sentimenti“congelati” per anni.“This must be the place”, dal titolo di un’indi-menticabile canzone dei Talking Heads, degnaprotagonista dell’omonimo film, è la storia diCheyenne, interpretato da un commoventeSean Penn, ex rockstar che abbandona la scenaall’apice del successo dopo la morte di due gio-vanissimi fans e vive di rimorsi e rimpianti, iso-lato dal resto del mondo.Fino a quando un’altra perdita lo costringe aguardare al di là della sua maschera e ad affron-tare per la prima volta l’ossessione di qualcunaltro; quella di un padre che non conosceva af-fatto e che aveva trascorso tutta la vita con ilsolo scopo di scovare il suo carnefice ai tempidell’olocausto. Cheyenne decide di farlo al suoposto credendo di onorare la sua memoria e ciriesce; inaspettatamente però quello che trovaalla fine del viaggio non è la vendetta, ma la paceinteriore e una nuova vita.

(Govinda Vecchi)

IIll rraaggaazzzzoo ccoonn llaa bbiicciicclleettttaaRegia: Jean-Pierre e Luc Dardenne DrammaticoBelgio, Francia, Italia 201187’ Lucky Red

TThhiiss mmuusstt bbee tthhee ppllaacceeRegia: Paolo Sorrentino DrammaticoItalia, Francia, Irlanda 2011118’ Medusa

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Pausa caffe

Alessandro D'Avenia(“Bianca come il latte, rossa come il sangue”,

Mondadori 2010)

SPIDERMAN

Mica posso salvare il mondo.Per quello basta Spiderman

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