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Responsabilità penale dei Pubblici ufficiali
( e qualifica di polizia giudiziaria)
di Avv. Rosa Bertuzzi
In base alla lettera dell’art. 97 Cost., i pubblici ufficiali sono tenuti ad assicurare il buon andamento e
l’imparzialità della Pubblica Amministrazione, e rispondono personalmente.
Il pubblico ufficiale è persona incaricata di pubbliche funzioni, la sua mansione genera effetti giuridici dotati
di peculiare tutela, ma un anche far sorgere tipologie aggravate di responsabilità.
L’incaricato di pubblico servizio è un impiegato dello Stato, di un ente pubblico, o una persona che svolge,
permanentemente o temporaneamente, un pubblico servizio.
Il Codice penale agli artt. 357 e 358 c.p., determina precisamente cosa si intende per pubblico ufficiale o
incaricato di un pubblico servizio.
Art. 357 c.p. Nozione del pubblico ufficiale
1. Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione
legislativa, giudiziaria o amministrativa.
2. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti
autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica
amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.
Art. 358 c.p. Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio
1. Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo,
prestano un pubblico servizio..
Per pubblico servizio si deve intendere un’attività regolata attraverso le stesse modalità della pubblica
funzione, ma contraddistinta dalla carenza dei poteri specifici di quest’ultima.
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Corte di Cassazione penale, sez. VI, sentenza n. 11417 del 21 febbraio 2003
“Al fine di individuare se l'attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi e
per gli effetti di cui agli art. 357 e 358 c.p., ha rilievo esclusivo la natura delle funzioni esercitate, che devono
essere inquadrabili tra quelle della p.a. Non rilevano invece la forma giuridica dell'ente e la sua costituzione
secondo le norme del diritto pubblico, nè lo svolgimento della sua attività in regime di monopolio, nè tanto
meno il rapporto di lavoro subordinato dell'agente con l'organismo datore di lavoro. Nell'ambito dei
soggetti che svolgono pubbliche funzioni, la qualifica di pubblico ufficiale è poi riservata a coloro che
formano o concorrano a formare la volontà della p.a. o che svolgono tale attività per mezzo di poteri
autoritativi o certificativi, mentre quella di incaricato di pubblico è assegnata dalla legge in via residuale a
coloro che non svolgono pubbliche funzioni ma che non curino neppure mansioni di ordine o non prestino
opera semplicemente materiale. Integra pertanto il reato di peculato l'appropriazione dei compensi dovuti
all'Enel per la fornitura di energia elettrica ad opera dell'incaricato dell'Ente alla riscossione dei suddetti
pagamenti con poteri di transazione e di concessione di dilazioni nei confronti di utenti morosi e di disporre i
distacchi della fornitura”.
Corte di Cassazione penale del 7 giugno 2001
“La qualifica di pubblico ufficiale, ai sensi dell'art. 357 c.p. (come modificato dalle leggi 86/1990 e 181/92),
deve esser riconosciuta a quei soggetti che, pubblici dipendenti o semplici privati, possono e debbono -
quale che sia la loro posizione soggettiva - formare e manifestare, nell'ambito di una potestà regolata dal
diritto pubblico, la volontà della p.a., ovvero esercitare, indipendentemente da formali investiture, poteri
autoritativi, deliberativi o certificativi, disgiuntamente e non cumulativamente considerati”.
Il potere non deve solo essere assegnato al soggetto, ma questi deve effettivamente e concretamente
essere esercitato.
Corte di Cassazione penale, sentenza n. 21730 del 17 aprile 2001
“Per la configurazione del reato di cui all'art. 651 c.p., è necessario che il soggetto il quale richieda ad altri i
fornire le sue generalità, oltre che essere in servizio permanente, eserciti in concreto le pubbliche funzioni,
giacché la nozione di "servizio permanente" è diversa da quella di "esercizio delle funzioni", implicando essa
che il dipendente pubblico può in ogni momento intervenire per esercitare i propri compiti, ma non che egli
in concreto al momento li eserciti.”
Nella maggioranza delle fattispecie il pubblico ufficiale è anche un pubblico dipendente, ma a volte le due
qualifiche non concorrono.
Il pubblico ufficiale può essere:
- un dipendente pubblico.
- un privato professionista incaricato dello svolgimento di compiti di un pubblico potere.
- un lavoratore dipendente che nell’ambito del proprio rapporto di lavoro svolge funzioni pubbliche.
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Il pubblico ufficiale in materia di responsabilità è connotato da:
a) determinate fattispecie di responsabilità penale.
b) responsabilità disciplinare (quando il pubblico ufficiale è un dipendente).
c) responsabilità patrimoniale.
Per quanto riguarda la responsabilità penale, il Codice penale la dispone al Capo I “Dei delitti dei pubblici
ufficiali contro la pubblica amministrazione”. Tali reati sono contraddistinti dalla qualifica del soggetto
attivo di pubblico ufficiale. Gli interessi lesi sono il corretto funzionamento della Pubblica amministrazione
e il suo prestigio. Si ricorda, come per ogni altro reato, che deve sussistere il nesso di causalità tra la
condotta illecita realizzata e la funzione esercitata dal pubblico ufficiale. Inoltre si sottolinea che un
pubblico ufficiale, nello svolgimento delle propria attività, se perfezione altri reati (comuni, es: omicidio,
lesioni, furto….), la pena sarà aggravata dalla funzione che svolge. Vi è solo una deroga, il c.d. principio di
specialità, per il quale, se il reato posto in essere po’ rientrare nella fattispecie di un determinato reato
classificato tra i delitti dei pubblici ufficiali, quello non concorrerà con gli altri reati. Infatti in tal caso verrà
applicato il reato previsto specificatamente per il pubblico ufficiale.
Iniziamo la disamina dei diversi reati dei pubblici ufficiali:
1) Peculato
Articolo 314c.p.:
“Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il
possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la
reclusione da tre a dieci anni. Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni, quando il colpevole
ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata
immediatamente restituita”.
La condotta sanzionata dal reato è l’appropriazione di denaro o di altra cosa mobile altrui. Per
appropriazione si deve intendere che il pubblico ufficiale utilizza i beni come se fossero personali.
Il soggetto attivo deve essere cosciente dell’attività posta in essere, infatti è richiesti il dolo, come elemento
soggettivo. Non si perfezione l’appropriazione se il pubblico ufficiale non ha la totale coscienza che il bene
appartiene ad altri.
Il reato non sussiste in caso di errore di fatto sull’appartenenza ad altrui o alla pubblica amministrazione
della cosa, errore su legge extra penale cagionato da fraintendimento di leggi o provvedimenti che
assegnano ad altri la cosa o ne impediscono l’uso.
Si verifica il peculato d’uso, ipotesi minore, quando il pubblico ufficiale utilizza la cosa, provvedendo
successivamente alla restituzione.
Ipotesi pratiche :
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Corte di Cassazione penale, Sez. fer., sentenza n. 34086 del 8 settembre 2011
Deve essere confermata la condanna di peculato per il geometra comunale che intascava soldi versati dai
cittadini per la definizione di pratiche edilizie onerose. Non è rilevante che l'appropriazione derivi da un
corretto e legittimo esercizio delle funzioni o da un esercizio di fatto.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n.36718 del 06 luglio 2011
In tema di peculato, l'utilizzo da parte del sindaco di un carta di credito dell'ente locale non integra la
fattispecie delittuosa quando lo stesso provvede a fornire una rendicontazione delle spese che dimostri la
realizzazione di uno scopo pubblico e non la canalizzazione verso uno scopo privato.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n 26812 del 15 giugno 2011
La fattispecie di impossessamento, consumata dal custode che non sia proprietario del mezzo o che non
agisca in concorso col proprietario o nel suo interesse e che si realizzi con la condotta di abusiva circolazione
di mezzo sottoposto a sequestro, configura il delitto di peculato.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI,sentenza n. 27981 del 12 maggio 2011
Commette il delitto di peculato il portalettere che si impossessi di un vaglia postale di cui abbia la
disponibilità per ragioni del suo servizio, riscuotendone successivamente l'importo, atteso che lo stesso
assume nel caso di specie la qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio in ragione dei compiti di
certificazione della consegna e della ricezione della specifica tipologia di corrispondenza in oggetto.
Corte di Cassazione penale, sentenza n. 42817 del 8 novembre 2002.
“La guardia particolare giurata che conduce un furgone portavalori, quando svolge attività di vigilanza e
custodia di beni mobili di proprietà dell'Ente Poste, che ancorché trasformato in società per azioni esplica
servizi pubblici, ha la qualifica di incaricato di un pubblico servizio ai sensi dell'art. 358 c.p. e pertanto,
qualora si appropri di tali beni a lui affidati e dei quali ha il possesso, ricorrono tutti gli elementi per
configurare il delitto di cui all'art. 314 c.p.”.
Il pubblico ufficiale non può essere ritenuto responsabile quando l’oggetto del peculato sono beni di
modesto valore.
Corte di Cassazione penale, sentenza n. 37018 del 15 ottobre 2002.
“Ai fini dell'integrazione del delitto di peculato (art. 314 c.p.) la cosa mobile altrui, di cui l'agente si
appropria, deve avere valore apprezzabile, posto che le cose prive di valore non rivestono alcun interesse
per il diritto, e tale valore sussiste nell'ipotesi di banconote false, che rivestono valore economico sia per la
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p.a., che ha interesse ad eliminare il bene dalla circolazione monetaria, sia per il soggetto attivo del reato
avendo esse un indubbio valore commerciale”.
Come prima accennato è escluso il peculato, in mancanza di dolo, cioè quando la condotta del pubblico
ufficiale non è diretta a trasgredire le normative, infatti nel caso di inattività è stentatamente riconducibile
il reato.
Ufficio Indagini Preliminari Milano, 12 luglio 2002.
“Nel reato previsto dall'art. 314 c.p. la prova del dolo, in aderenza all'insegnamento della giurisprudenza di
legittimità, non può ritenersi sussistente se fondata esclusivamente su mere presunzioni o astratte
congetture, piuttosto che su concreti dati fattuali. In particolare il dolo non può essere presunto
semplicemente dalla mera inattività dello stesso imputato, ossia dalla prova che egli abbia tenuto un
comportamento divergente da quello ideale impostogli normativamente. Altrimenti, lungi dal ricostruire
sulla base di dati di fatto sintomatici la realtà psicologica che ha informato il comportamento del prevenuto,
l'indagine sconfinerebbe dal campo del dolo in quello della colpa, la cui sussistenza presuppone proprio il
mero accertamento di una condotta antidoverosa.”
Corte di Cassazione penale, sentenza n. 30751 del 24 giugno 2002
“La condotta del dipendente pubblico consistita nella ripetuta utilizzazione, per effettuare chiamate
personali, dell'utenza telefonica di cui è titolare una p.A., concretizza la fattispecie del peculato prevista
dall'art. 314 c.p., effettuandosi con tale utilizzo l'appropriazione delle energie entrate a far parte delle
disponibilità della p.a. e indispensabili per le conversazioni telefoniche.”
Corte di Cassazione penale, sentenza n. 3883 del 14 novembre 2001
“Integra il reato di peculato comune, di cui all'art. 314, comma 1 c.p., e non quello di peculato d'uso,
previsto dal successivo comma 2, l'utilizzazione, da parte del dipendente, del telefono d'ufficio per lunghe e
ripetute conversazioni personali. Il fatto lesivo, infatti, si sostanzia non nell'uso dell'apparecchio telefonico
quale oggetto fisico, bensì nell'appropriazione, che attraverso tale uso si consegue, delle energie formate da
impulsi elettronici occorrenti per le conversazioni telefoniche anche in considerazione del fatto che tali
energie non sono immediatamente restituibili, dopo l'uso (e lo stesso eventuale rimborso delle somme
corrispondenti all'entità dell'utilizzo non potrebbe che valere come ristoro del danno arrecato).”
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2) Peculato mediante profitto dell’errore altrui
Art. 316 c.p.
“Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, il quale, nell'esercizio delle funzioni o del servizio,
giovandosi dell'errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sè o per un terzo, denaro od altra utilità, è
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.
Tale reato è molto simile al peculato generico, in quanto il reato perfezionale è il medesimo ma il grado
l’intenzionalità è minore. Infatti il pubblico ufficiale è spronato dell’errore di un'altra persona.
3) Concussione
Art. 317 c.p.:
“Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri,
costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è
punito con la reclusione da quattro a dodici anni”.
La condotta richiesta è integrata quando il pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio abusando,
svolge un’attività contraria ai sui doveri di ufficio. Si determina una strumentalizzazione illegale dei poteri
attribuiti all’agente attivo del reato, influendo sulla determinazione individuale del cittadino. Infatti il
pubblico ufficiale incaricato di un pubblico servizio induce il soggetto passivo a dare o promettere beni non
dovuti.
Casi pratici:
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 38165 del 27 settembre 2011
Se l'infermiera dell'Inail chiede soldi per portare avanti una pratica di infortunio, non commette il reato di
truffa, ma di concussione. Infatti, le vittime, nel caso di specie, non hanno deciso di pagare perché
ingannate da inesistenti poteri dell'imputata, ma perché timorose di un «blocco», minacciato
dall'infermiera, della pratica di liquidazione dell'indennizzo.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 34106 del 06 giugno 2011
Integra il tentativo di concussione per induzione la condotta dell'ufficiale giudiziario il quale, dopo essersi
introdotto nell'abitazione della vittima per eseguire un pignoramento mobiliare, solleciti la stessa a dargli o
promettergli delle prestazioni sessuali prospettandole la possibilità di una più favorevole valutazione dei
beni da sottoporre all'esecuzione.
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Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 17303 del 20 aprile 2011
Integra il delitto di concussione la promessa di denaro fatta dal privato al pubblico ufficiale, anche se la
stessa sia sorretta dalla speranza che un efficace intervento delle forze dell'ordine ne impedisca
l'adempimento, non potendosi ritenere sufficiente ad escludere il "metus publicae potestatis" la sola
circostanza che il soggetto passivo si sia rivolto alla forze di polizia, per sottrarsi alle pretese dell'autore del
reato. (Fattispecie in cui la denuncia del privato era stata presentata prima della consegna del denaro).
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 16335 del 12 aprile 2011
In tema di distinzione tra i reati di corruzione e concussione , non è ravvisabile l'ipotesi della concussione
cosiddetta "ambientale" qualora il privato si inserisca in un sistema nel quale il mercanteggiamento dei
pubblici poteri e la pratica della "tangente" sia costante, atteso che in tale situazione viene a mancare
completamente lo stato di soggezione del privato, che tende ad assicurarsi vantaggi illeciti, approfittando
dei meccanismi criminosi e divenendo anch'egli protagonista del sistema. (In applicazione di tale principio la
S.C. ha ritenuto corretta la configurazione del reato di corruzione nella condotta di un privato che aveva
promesso all'impiegato di un ufficio anagrafe una somma di denaro per agevolare il rilascio di un certificato
di residenza).
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 31341 del 16 marzo 2011
Sussiste il tentativo di concussione nell'ipotesi in cui l'atto di prevaricazione del pubblico ufficiale sia
finalizzato al soddisfacimento di un proprio credito o del credito di terze persone.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10792 del 15 febbraio 2011
Non integra il reato di concussione la condotta di chi, nel corso di una comunicazione telefonica, richiede ad
un soggetto terzo un comportamento più garbato, non sussistendo nella specie l'elemento dell'utilità, intesa
quale vantaggio per la persona, materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, oggettivamente
apprezzabile, consistente tanto in un dare quanto in un "facere" e ritenuto rilevante dalla consuetudine o
dal convincimento comune (in applicazione del suesposto principio, la Corte ha escluso la responsabilità
penale nei confronti di un pubblico ufficiale che aveva invitato il Presidente di un associazione a comportarsi
"in una maniera più garbata" con la direttrice, sua amica, pena interventi ispettivi presso l'ente).
Corte di Cassazione penale, sentenza n. 52 dell’8 novembre 2002
“La costrizione o induzione che caratterizza l'ipotesi di concussione (art. 317 c.p.) non si identifica nella
superiorità, nell'influenza o nell'autorità che il pubblico ufficiale può vantare rispetto al privato e,
correlativamente, nella soggezione connaturata al rapporto privato-pubblica amministrazione, occorrendo,
ai fini dell'integrazione del reato, una costrizione o induzione qualificata, ossia prodotta dal pubblico
ufficiale con l'abuso della sua qualità o dei suoi poteri, sicché la successiva promessa o azione indebita è
l'effetto di siffatta costrizione o induzione e cioè, conseguenza della coazione psicologica esercitata dal
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pubblico ufficiale sul privato mediante l'abuso della sua qualità o dei suoi poteri. Ne consegue che
un'indebita richiesta di denaro non è sufficiente ad integrare l'abuso di cui all'art. 317 c.p. ma integra, ove
sia rifiutata, il reato di istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.)”.
Si deve prendere in considerazione l’ipotesi di “concussione ambientale”, in tale caso è l’ambiente sociale
che è attraversato e uniformato a condotte illegali del pubblico ufficiale.
Corte di Cassazione penale, sentenza n. 1170 del 19 ottobre 2001
“Ai fini dell'individuazione del requisito della volontà prevaricatrice e condizionante da parte dell'agente
pubblico, in relazione a quella forma particolare di concussione per induzione che va sotto il nome di
concussione ambientale, rilevano sia la cornice storico-fattuale idonea a rendere meno formale il
comportamento condizionante del funzionario pubblico, che deve comunque sussistere ai fini della
configurabilità del delitto di concussione, sia l'esistenza di un sistema di mercanteggiamento dei pubblici
poteri in cui il privato liberamente si inserisce per trarne, mediante corruzione, illecito vantaggio”.
Appare interessante il caso del pubblico ufficiale che, indossando una divisa, esercita in modo improprio la
sua autorità.
Corte di Cassazione penale, sez. VI, 24 gennaio 2001
“Integra gli estremi del delitto di concussione il fatto di presentarsi in divisa e farsi presentare come
comandante di una tenenza della guardia di finanza, sottolineando con ciò i propri poteri discrezionali in
ordine al controllo fiscale, e cosi inducendo alcuni commercianti alla consegna gratuita di più mazzi di fiori,
di uova pasquali e di una torta, nonché di più sacchetti di pesce”.
Tribunale di Piacenza, sentenza del 11 dicembre 2000
L’ipotesi può comporsi anche nell’indiretta rappresentazione di eventuali pregiudizi causati dal mancato
intervento del pubblico ufficiale. “In tema di concussione, la condotta di "induzione per persuasione" è
ravvisabile qualora il pubblico ufficiale operi in modo da ingenerare nel soggetto privato il convincimento di
dover sottostare alle sue decisioni per evitare il pericolo di subire un pregiudizio”.
4) Corruzione
Art. 318 c.p. Corruzione per un atto d'ufficio
1. Il pubblico ufficiale, che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per sé o per un terzo, in denaro od
altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da
sei mesi a tre anni.
2. Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d'ufficio da lui già compiuto, la pena è della
reclusione fino ad un anno.
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Art. 319 c.p. Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio
1. Il pubblico ufficiale (357), che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo
ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un
terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da due a cinque anni (32-
quater).
Art. 319-bis c.p. Circostanze aggravanti
1. La pena è aumentata se il fatto di cui all'art. 319 ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o
stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l'amministrazione alla quale il
pubblico ufficiale appartiene (32- quater).
Art. 319-ter c.p. Corruzione in atti giudiziari
1. Se i fatti indicati negli artt. 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo
civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.
2. Se dal fatto deriva l'ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è
della reclusione da quattro a dodici anni; se deriva l'ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque
anni o all'ergastolo, la pena è della reclusione da sei a venti anni.
Art. 320 c.p. Corruzione di persona incaricata di un pubblico sevizio
1. Le disposizioni dell'art. 319 si applicano anche all'incaricato di un pubblico servizio; quelle di cui all'art.
318 si applicano anche alla persona incaricata di un pubblico servizio, qualora rivesta la qualità di pubblico
impiegato (32- quater).
Art. 322 c.p. Istigazione alla corruzione
1. Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale (357) o ad un
incaricato di un pubblico servizio (358) che riveste la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a compiere
un atto del suo ufficio, soggiace, qualora I'offerta o la promessa non sia accettata alla pena stabilita nel
primo comma dell'art. 318, ridotta di un terzo (32 quater).
2. Se l'offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio
ad omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole
soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nell'art. 319, ridotta di un
terzo.
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3. La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che
riveste la qualità di pubblico impiegato che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da
parte di un privato per le finalità indicate dall'art. 318.
3. La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che
sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate
dall'art. 319.
Il reato si perfezione anche quando il pubblico ufficiale non è in servizio, infatti la condotta deve essere
attinente alla sua condizione.
Tribunale di Perugia, 9 gennaio 2002
“Non riveste la qualifica di pubblico ufficiale un colonnello della Guardia di Finanza sospeso
precauzionalmente dall'impiego che, come tale, non può dirsi titolare di alcuna pubblica funzione.
Conseguentemente non è ravvisabile nel suoi confronti il delitto di corruzione per atti contrari al doveri
d'ufficio, non potendo questi, all'epoca dei fatti, esercitare alcun tipo di potere autoritativo o certificativo”.
Anche per tale reato è richiesto il dolo, cioè il soggetto attivo deve essere consapevole di compiere un atto
del proprio ufficio e ricevere un compenso non dovuto. La condotta è sia attiva o omissiva.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, del 9 maggio 2001
“In tutte le forme del delitto di corruzione, la somma percepita dal pubblico ufficiale costituisce prezzo del
reato ogni qual volta sia stata data e ricevuta come controprestazione per lo svolgimento dell'azione illecita
o per l'adozione di illecite modalità di esecuzione delle attività di per se stesse conformi ai doveri di ufficio”.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 22638 del 28 marzo 2001
“Per l'accertamento del reato di corruzione propria commesso dagli appartenenti alla Guardia di Finanza,
non occorre individuare quale sia esattamente l'atto contrario ai doveri d'ufficio, oggetto dell'accordo
illecito negoziato per far sfuggire una società commerciale ai controlli contabili, ma basta che sia stata
accertata una grave violazione a tali doveri nella conduzione delle attività istituzionali loro demandate”.
Il reato si perfeziona mediante l’accordo, anche se il pubblico ufficiale non esegue l’attività. Il privato non
patisce l’azione del pubblico ufficiale, ma la stabilisce.
Tribunale di Roma con sentenza del 20 luglio 2000.
“Posto che, al fine di individuare l'esatto discrimine tra la corruzione e la concussione, non è di per sè
decisivo l'eventuale vantaggio che derivi al privato dall'accettazione della proposta illecita del pubblico
ufficiale, purché si valuti nella singola fattispecie che il "lucrum captandum" ha costituito la necessaria
conseguenza dell'eliminazione del danno ingiusto e non, piuttosto, la finalità esclusiva o prevalente del
valore offerto dal pubblico ufficiale o a lui richiesto, deve invece attribuirsi rilievo all'esistenza o meno di una
situazione idonea a determinare uno stato di soggezione del cittadino nei confronti del funzionario, nella
quale possono anche indistintamente comporsi aspettative di eventuali benevolenze nella gestione della
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cosa pubblica o timori di possibili danni, il tutto comunque affidato ad un'autonoma discrezionalità
dell'agente pubblico che vale ad escludere il rapporto paritario con il privato”.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1170 del 19 ottobre 2001
“Il criterio per distinguere la concussione dalla corruzione propria è quello del rapporto tra le volontà dei
soggetti. In particolare nella corruzione esso è paritario e implica la libera convergenza delle medesime
verso un comune obbiettivo illecito ai danni della p.a.; mentre nella concussione il pubblico agente esprime
una volontà costrittiva o induttiva che condiziona il libero esplicarsi di quella del privato, il quale, per evitare
maggiori pregiudizi, deve sottostare alle ingiuste pretese del primo. Elemento necessariamente comune alle
due figure è l'esistenza di una indebita erogazione del privato al pubblico agente. Elemento eventualmente
comune (e necessario solo nella corruzione propria) è un esercizio antigiuridico dei propri compiti da parte
del pubblico agente. Elemento, infine, discriminante tra le due figure è la presenza, nella concussione (e
l'assenza, nella corruzione), di una volontà prevaricatrice e condizionante da parte del pubblico agente. Ne
consegue che, in presenza dei primi due elementi - il mancato accertamento del terzo conduce
necessariamente, ad escludere che il fatto oggetto di valutazione possa essere considerato come
concussione”.
Come prima osservato, esistono diversi tipi di corruzione:
1) Corruzione passiva:
- impropria: il pubblico ufficiale riceve compensi per compiere un atto del suo ufficio.
- impropria successiva: se il pubblico ufficiale ha da tempo completo l’atto del suo ufficio e per questo
riscuote il compenso.
- propria: il pubblico ufficiale che per omettere un atto del suo ufficio riceve dal privato un compenso
2) Corruzione propria: il corruttore può anche non essere un pubblico ufficiale. Consistente nel ricevere
vantaggi per compiere un atto comunque dovuto dall’ufficio.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 45147 del 14 novembre 2001.
“La configurabilità del reato di corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio (art. 319 c.p.), pur quando
questi siano formalmente legittimi, presuppone che trattisi di atti la cui emanazione avrebbe comunque
richiesto una corretta valutazione discrezionale, la cui omissione viene quindi a costituire la vera ragione
della contrarietà ai doveri d'ufficio. Mancando il suddetto presupposto il reato configurabile è quello di
corruzione per atti d'ufficio (art. 318 c.p.). Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto
che costituisce corruzione per atto d'ufficio e non per atto contrario ai doveri d'ufficio quella costituita dalla
retribuzione di pubblici ufficiali addetti ad una conservatoria di registri immobiliari per il sollecito rilascio dei
certificati richiesti, atteso che tale attività non implicava alcuna valutazione discrezionale)”.
3) Corruzione impropria: il pubblico ufficiale riceve compensi per svolgere atti rientranti nel suo potere
discrezionale o comunque tenuto al compimento dell’atto.
Corte di Cassazione penale, sentenza n. 1905 del 14 novembre 2001
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“La c.d. "corruzione propria" prevista dall'art. 319 c.p. non è ravvisabile in relazione al compimento di atti
nei quali non esiste alcuno spazio di discrezionalità suscettibile di essere usato per favorire il corruttore, in
quanto gli atti compiuti dal pubblico ufficiale in cambio di una illecita retribuzione mantengono la loro
natura di atti conformi ai doveri di ufficio, nè tale natura viene meno in dipendenza del numero degli atti per
i quali è stata accettata la retribuzione poiché il commercio di una pluralità di pratiche amministrative, per
numerose che esse siano, non comporta il complessivo asservimento delle funzioni pubbliche agli interessi
privati e non trasforma i singoli atti compiuti in atti contrari ai doveri d'ufficio (in applicazione di tale
principio la Corte ha ravvisato il reato di "corruzione impropria", di cui all'art. 318 c.p., nella condotta
consistente nell'abituale accettazione di compensi da parte di impiegati di una Conservatoria immobiliare
per il rilascio in tempi più celeri di certificati catastali attestanti il vero)”.
Corte di Cassazione penale, sentenza n. 1905 del 14 novembre 2001 n.1905:
“La c.d. "corruzione propria" prevista dall'art. 319 c.p. non è ravvisabile in relazione al compimento di atti
nei quali non esiste alcuno spazio di discrezionalità suscettibile di essere usato per favorire il corruttore, in
quanto gli atti compiuti dal pubblico ufficiale in cambio di una illecita retribuzione mantengono la loro
natura di atti conformi ai doveri di ufficio, nè tale natura viene meno in dipendenza del numero degli atti per
i quali è stata accettata la retribuzione poiché il commercio di una pluralità di pratiche amministrative, per
numerose che esse siano, non comporta il complessivo asservimento delle funzioni pubbliche agli interessi
privati e non trasforma i singoli atti compiuti in atti contrari ai doveri d'ufficio (in applicazione di tale
principio la Corte ha ravvisato il reato di "corruzione impropria", di cui all'art. 318 c.p., nella condotta
consistente nell'abituale accettazione di compensi da parte di impiegati di una Conservatoria immobiliare
per il rilascio in tempi più celeri di certificati catastali attestanti il vero).”
Per chiarire meglio il concetto corruzione impropria si ritiene opportuna prendere in considerazione la
sentenza:
Corte di Cassazione penale, sentenza n. 32938 del giugno 2001 n.32938:
Ai fini della configurabilità del reato di corruzione propria, non è indispensabile l'illegittimità dell'atto in
quanto è sufficiente che la funzione del pubblico ufficiale sia assoggettata, per denaro, ad interessi estranei
alla p.a.
Si configura il reato di corruzione propria quanto sono richiesti atti contrari di doveri di ufficio.
I regali di modesto valore non realizzato il reato di corruzione se assegnati per atti attinenti ai doveri di
uffici, mentre se effettuati con lo scopo di ottenere atti contrari ai doveri di ufficio, si configura la
corruzione.
Corte di Cassazione penale, sentenza n. 30268 del 9 luglio 2002.
“Per la configurabilità del delitto di istigazione alla corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio non
rileva la tenuità della somma di denaro o del valore della cosa offerta al pubblico ufficiale. Le piccole regalie
d'uso possono escludere la configurabilità soltanto del reato di corruzione per il compimento di un atto di
ufficio, previsto dall'art. 318 c.p., giammai quello di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio previsto
dall'art. 319 c.p., perché solo nel primo caso è possibile ritenere che il piccolo donativo di cortesia non abbia
avuto influenza nella formazione dell'atto stesso.”
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Il pubblico ufficiale agente o ufficiale di polizia giudiziaria, in forza della particolare qualifica, può costituire
un aggravante.
Corte di Cassazione, sentenza n. 11402 del 6 febbraio 2002
“In relazione al reato di corruzione, commesso dal comandante di una sezione "verifiche fiscali" della
guardia di finanza, in occasione di controlli fiscali effettuati su alcune società, il diniego delle attenuanti
generiche da parte del giudice di merito è congruamente motivato se riferito alla posizione del capo
pattuglia e al conseguente ruolo di garanzia da questi tradito”.
In tali casi si riferiscono alla si di corruzione attiva, matura dal cittadino nei confronti del pubblico ufficiale.
La Cassazione determina i limiti e l’estensione del concorso nella corruzione.
Corte di Cassazione penale, sentenza 7240
“Non è ravvisabile il concorso nel reato di corruzione propria da parte dell'imprenditore che, nell'ambito di
un rapporto privatistico con altro imprenditore, aggiudicatario di un appalto pubblico in forza di un accordo
corruttivo da lui raggiunto con i pubblici ufficiali responsabili della stazione appaltante, stipuli con il detto
aggiudicatario un contratto di subappalto per l'esecuzione di parte delle opere e s'impegni a versare al
subappaltante una percentuale sull'importo dei lavori; ciò perché la regolamentazione concordata del
subappalto non supera la soglia interna del rapporto privatistico e non va ad integrarsi con la posizione del
corrotto, a meno che non si provi, mediante concreti elementi fattuali, che essa abbia inciso o sia andata
concretamente ad inserirsi, rafforzandola o integrandola, nell'attività corruttiva alla quale si è esposto in
prima persona il subappaltante”.
L’istigazione alla corruzione è rubricato autonomamente e si configura quando si tenta di corrompere il
pubblico ufficiale destinandogli denaro o altra utilità. Anche chi tenta di corrompere il pubblico ufficiale e
non riesce è già colpevole.
Se la promessa è finalizzata ad un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione si configura l’istigazione
alla corruzione propria.
La proposta deve realizzarsi in atti idoneamente a generare la corruzione.
Tribunale Perugia, del 24 gennaio 2002
“Il delitto di istigazione alla corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio si configura con la semplice
offerta o promessa di denaro o altra utilità, purché seria, potenzialmente e funzionalmente idonea ad
indurre il destinatario a compiere un atto contrario al doveri d'ufficio, tale da determinare una rilevante
probabilità di causare nel pubblico ufficiale o nell'incaricato di un pubblico servizio un turbamento psichico,
sì che sorga il pericolo che lo stesso accetti l'offerta o la promessa di denaro o altra utilità, la cui tenuità non
soltanto non esclude il reato, ma addirittura lo può rendere maggiormente lesivo del prestigio del pubblico
ufficiale, ritenuta persona suscettibile di venir meno al doveri accettando un'offerta anche minima”.
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Corte di Cassazione penale, Sez. VI, del 30 ottobre 1997
“La sollecitazione del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio di cui all'art. 322 comma 4 c.p.,
collegata ad un comportamento contrario ai doveri d'ufficio, deve presentare un minimo di serietà e
concretezza”.
Il comportamento dell’istigatore può essere vario ma deve essere desumibile la finalità corruttrice, anche
attraverso allusioni o illazioni.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 37402 del 13 ottobre 2011
Integra il delitto di istigazione alla corruzione la condotta di colui che formuli un'offerta in cui la
determinazione dell'oggetto sia rimessa allo stesso pubblico ufficiale che si intende corrompere. (Fattispecie
di promessa di dazione formulata dal soggetto agente nei seguenti termini : "vi dò quello che volete").
Corte di Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 37042 del 05 ottobre 2011
Pur in assenza di un'offerta determinata, la frase "vi do quello che volete, se mi lasciate andare", se rivolta a
due pubblici ufficiali, integra il reato di istigazione alla corruzione (nella specie, l'imputato aver offerto
denaro a degli agenti della Polizia Stradale, i quali, nel corso di un controllo avevano verificato la falsità
dell'attestazione dell'avvenuta revisione dell'autovettura condotta dall'imputato stesso).
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 26266 del 01 aprile 2011
In tema di reati contro la P.A., nel caso di una indebita richiesta di denaro da parte del pubblico ufficiale, che
venga rifiutata dal privato, non ricorre il delitto di concussione, ma è configurabile quello di istigazione alla
corruzione , previsto dall'art. 322 comma terzo, cod. pen., in quanto difettano gli elementi della costrizione
o della induzione nei confronti del privato, prodotta dal pubblico ufficiale con l'abuso della sua qualità o dei
suoi poteri.
Corte di Cassazione penale, sentenza n. 2678 del 29 gennaio 1998
“In tema di istigazione alla corruzione, per l'integrazione del reato è sufficiente la semplice offerta o
promessa, purché sia caratterizzata da adeguata serietà e sia in grado di turbare psicologicamente il
pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio sì che sorga il pericolo che lo stesso accetti l'offerta o la
promessa. Non è necessario perciò che l'offerta abbia una giustificazione, nè che sia specificata l'utilità
promessa, nè quantificata la somma di denaro, essendo sufficiente la prospettazione, da parte dell'agente,
dello scambio illecito.
Corte di Cassazione penale 30 ottobre 1997
“Secondo la disciplina vigente, la istigazione alla corruzione è una fattispecie autonoma di delitto
consumato e si sostanzia in una ipotesi allargata di tentativo di corruzione antecedente, che perciò non è
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astrattamente configurabile anche in applicazione del principio di specialità, con conseguente irrilevanza
della desistenza”.
Successivamente l’offerta, la condotta si tramuta in reato.
Corte di Cassazione penale del 30 ottobre 1997
“Poiché l'istigazione alla corruzione si consuma con l'offerta del privato o con la sollecitazione del soggetto
pubblico, non è ipotizzabile la desistenza che postula l'interruzione dell'azione tipica prima del suo
realizzarsi”.
“L'istigazione alla corruzione di cui all'art. 322 c.p. - come riformulato dalla l. n. 86 del 1990 -
sostanziandosi in un'ipotesi allargata di tentativo, normativamente configurato come fattispecie autonoma,
per effetto del principio di specialità, esclude la configurabilità del tentativo di corruzione”.
La banale offerta implica la consumazione del reato di istigazione alla corruzione, non si può configurare il
tentativo di reato.
Anche nelle recenti sentenze la Suprema Corte non ha modificato il suo indirizzo
Corte di Cassazione penale sez. I, sentenza n. 25242 del 16 maggio 2011
Il dipendente ospedaliero che avverta sollecitamente gli impresari di pompe funebri del decesso imminente
o già avvenuto dei ricoverati, pone in essere un atto contrario ai doveri d'ufficio, suscettibile di assumere
rilievo come elemento di una condotta corruttiva, poiché attraverso la rivelazione di notizie d'ufficio
riservate o segrete per i terzi, e delle quali non ha, comunque, disponibilità, viola i doveri di correttezza ed
imparzialità posti a carico dei pubblici dipendenti.
Corte di Cassazione penale sez. I, sentenza n. 22938 del 10 maggio 2011
Integra il delitto di corruzione propria, e non quello di corruzione impropria, l'agente di polizia giudiziaria
che si presti, dietro corrispettivo, a recapitare clandestinamente ad un detenuto corrispondenza, cibarie ed
altri generi di consumo, perchè tali fatti si qualificano come contrari ai doveri d'ufficio.
Corte di Cassazione penale sez. VI, sentenza n. 1635 del 12 aprile 2011
In tema di distinzione tra i reati di corruzione e concussione, non è ravvisabile l'ipotesi della concussione
cosiddetta "ambientale" qualora il privato si inserisca in un sistema nel quale il mercanteggiamento dei
pubblici poteri e la pratica della "tangente" sia costante, atteso che in tale situazione viene a mancare
completamente lo stato di soggezione del privato, che tende ad assicurarsi vantaggi illeciti, approfittando
dei meccanismi criminosi e divenendo anch'egli protagonista del sistema.
Corte di Cassazione penale sez. VI, sentenza n. 25694 del 11 gennaio 2011
Non integra la fattispecie di concussione la condotta di semplice richiesta di denaro o altre utilità da parte
del pubblico ufficiale in presenza di situazioni di mera pressione ambientale, senza però che questi abbia
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posto in essere atti di costrizione o d induzione, non potendosi fare applicazione analogica della norma
incriminatrice, imperniata inequivocabilmente sullo stato di soggezione della vittima provocato dalla
condotta del pubblico ufficiale.
Corte di Cassazione penale sez. VI, sentenza n. 38650 del 05 ottobre 2010
Ai fini della individuazione degli elementi differenziali tra i reati di corruzione e di concussione, occorre avere
riguardo al rapporto tra le volontà dei soggetti, che nella corruzione è paritario ed implica la libera
convergenza delle medesime verso la realizzazione di un comune obiettivo illecito, mentre nella concussione
è caratterizzato dalla presenza di una volontà costrittiva o induttiva del pubblico ufficiale, condizionante la
libera formazione di quella del privato, il quale si determina alla dazione, ovvero alla promessa,
soggiacendo all'ingiusta pretesa del primo solo per evitare un pregiudizio maggiore.
5) Abuso d’ufficio
Art. 323 c.p.
“Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio
che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero
omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi
prescritti intenzionalmente procura a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri
un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità”.
La condotta deve essere inerente le funzioni svolte dal pubblico ufficiale. Il dolo, quindi la volontà deve
essere rivolta alla violazione di norme di legge (e di regolamento) e procurare ad altri un vantaggio o un
danno ingiusti.
Non sussiste un vantaggio per il pubblico ufficiale.
La condotta costituente il reato può risultare anche in un conflitto di interessi, in qui il pubblico ufficiale,
non si astiene e opera a danno o vantaggio proprio di parente.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 42577 del 22 settembre 2009
Il carattere sussidiario e residuale del reato di abuso d’ufficio comporta che, qualora la condotta addebitata
si esaurisca nella commissione di un fatto qualificabile come falso ideologico, l’agente debba rispondere
solo di tale reato e non anche dell’abuso d’ufficio, da considerare assorbito nell’altro, a nulla rilevando, in
contrario, la diversità dei beni giuridici protetti dalle due norme incriminatrici (Fattispecie di falso ideologico
in certificati).
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Tribunale Bari, Sez. riesame, del 25 giugno 2009
In assenza di danno patrimoniale per la p.a., lluso per fini personali dei beni pubblici da parte di un
dipendente pubblico integra il delitto di abuso ddufficio e non il peculato, proprio per llassenza di un danno
economicamente apprezzabile.
Tribunale Milano, Sez. IV, sentenza n. 3139 del 12 marzo 2009
In relazione al reato di abuso ddufficio , deve risponderne il medico che, nella sua qualifica di p.u. e nello
svolgimento delle sue funzioni, viola sistematicamente e consapevolmente il sistema della legge relativa alle
prestazioni sanitarie in regime di S.s.n., ed in particolare la normativa relativa ai ricoveri per operazioni
chirurgiche di cui al d.lg. 30 dicembre 1992 n. 502 e successive modificazioni. Ai sensi di tale normativa, e
dei decreti attuativi di riferimento del Ministero della sanità e del Presidente del Consiglio dei ministri (d.m.
Sanità 28 dicembre 1992 e n. 332 del 1999; d.P.C.M. 29 novembre 2001) llerogazione di protesi è una
prestazione propria del S.s.n.; tale previsione ha l’obbiettivo di offrire il "recupero funzionale e sociale dei
soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, dipendenti da qualunque causa", (premessa al
d.m. del 1999 citato).
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 5026 del 25 settembre 2008
L’inosservanza o la mancata o l’erronea applicazione di una norma collettiva contrattuale, relativa alla
disciplina applicabile ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, non implica una
violazione di legge o di regolamento idonea ad integrare la fattispecie di reato di abuso d’ufficio. Tale
principio è la conseguenza della privatizzazione del pubblico impiego; l’art. 2 d.lg. n.29/93, poi trasfuso nel
d.lg. n. 165/01, infatti, ha privatizzato tale rapporto sottoponendolo pertanto alla disciplina privatistica del
lavoro subordinato.
Corte di Cassazione penale, sentenza n. 34264 del 20 settembre 2002
“In tema di abuso di ufficio, la volontà colpevole può assumere solo la forma del dolo intenzionale e non
anche quella del dolo eventuale, giacché l'illecito si configura come reato di evento e l'elemento soggettivo
consiste nella coscienza e volontà del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio di abusare dei
poteri inerenti alle sue funzioni ed il danno altrui o l'ingiusto vantaggio devono essere, alternativamente o
congiuntamente, presi di mira dall'agente e non semplicemente cagionati come risultato accessorio della
sua condotta”.
Non si perfezione l’abuso d’ufficio quando il pubblico ufficiale agisca contro la legge o il regolamento per
arrecare vantaggio all’amministrazione.
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Corte di Cassazione penale, sentenza n. 42839, del 22 novembre 2002 n.42839
“In tema di abuso di ufficio, nella formulazione dell'art. 323 c.p. introdotta dalla l. 16 luglio 1997 n. 234,
l'uso dell'avverbio "intenzionalmente" per qualificare il dolo ha voluto limitare il sindacato del giudice
penale a quelle condotte del pubblico ufficiale dirette, come conseguenza immediatamente perseguita, a
procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad arrecare un ingiusto danno. Ne deriva che, qualora nello
svolgimento della funzione amministrativa il pubblico ufficiale si prefigga di realizzare un interesse pubblico
legittimamente affidato all'agente dall'ordinamento (non un fine privato per quanto lecito, non un fine
collettivo, nè un fine privato di un ente pubblico e nemmeno un fine politico), pur giungendo alla violazione
di legge e realizzando un vantaggio al privato, deve escludersi la sussistenza del reato.
Vi è di più tra il pubblico ufficiale ed il terzo deve sussistere una collusione (naturalmente deve
mancare il vantaggio per il pubblico ufficiale – perché altrimenti abbiamo la truffa. Non basta
pertanto una semplice azione illegittima.
Ufficio indagini preliminari Trento 18 settembre 2002
“Poiché l'azione del reo nel reato di abuso d'ufficio deve essere condotta intenzionalmente, non basta che
l'agente si rappresenti il vantaggio che ne deriva al privato, ma vi deve essere la prova concreta di una
collusione fra il privato stesso ed il pubblico ufficiale”
Tribunale di Messina 11 ottobre 2002
“Ritenuto che l'illegittimità dell'atto amministrativo costituisce semplicemente uno degli elementi del reato
di abuso di ufficio, per la configurazione del reato è altresì necessario che sussista il nesso di causalità tra
l'atto illegittimo e il vantaggio o il danno, che, oltre all'atto, l'ingiustizia riguardi anche l'evento, che la
violazione di legge sia stata consapevolmente posta in essere dal pubblico ufficiale e che quest'ultimo abbia
agito al fine precipuo di procurare a soggetti individuati un vantaggio patrimoniale ovvero un danno
patrimoniale o non patrimoniale”.
Deve sussistere la violazione di specifiche norme di legge o regolamento.
Corte di Cassazione penale, sentenza n. 6600 del 3 aprile 2002
“La condotta del sindaco di un comune che, a seguito di una discussione privata, fa assoluto divieto ad un
arbitro di calcio di accedere a qualsiasi titolo e per qualsiasi motivo ed a tempo indeterminato nello stadio
comunale, pur se affetta da grave sviamento di potere, essendo solo genericamente illegale, non può
qualificarsi come attività viziata da violazione di legge idonea ad integrare il reato di abuso di ufficio ai sensi
dell'art. 323 c.p.”
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6) Rifiuto d’atti d’ufficio o omissione
Art. 328 codice penale
“Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio
che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere
compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Fuori dei casi previsti dal primo
comma il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi
vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito
con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 1.032 euro. Tale richiesta deve essere redatta in
forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa.”
Tale reato si configura quando il pubblico ufficiale si rifiuta di compiere un atto
L’atto in questione è l’atto amministrativo in generale. L’atto che il pubblico ufficiale deve compiere senza
ritardo o la richiesta scritta dal privato questa non viene eseguita entro trenta giorni.
Il rifiuto deve essere illegittimo. Se ci sono ordini che prevedono l’omissione o siano presenti situazioni di
necessità o forza maggiore, il reato non si configura.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 34402 del 20 luglio 2011
In tema di rifiuto di atti di ufficio, il medico di guardia sull'autoambulanza del servizio 118 è tenuto ad
effettuare tutti gli interventi richiesti qualora sia posto al corrente, da parte di personale sanitario, di una
grave sintomatologia del paziente, avendo l'obbligo di attivarsi con urgenza (nella specie, la Corte ha
confermato la condanna nei confronti di un medico di turno sull'autoambulanza del servizio 118 che si era
rifiutato di trasportare un paziente presso la struttura ospedaliera, così come richiesto in via urgente dal
medico della comunità terapeutica presso cui il paziente era ricoverato, a nulla rilevando l'eccezione
formale sollevata dall'imputato in merito alla irregolarità della richiesta di intervento, non filtrata dalla
centrale operativa del servizio 118, presso cui svolgeva servizio, ma formulata direttamente da un altro
sanitario).
Uff. Indagini preliminari Pescara, del 02 marzo 2011
Affinché possa configurarsi il reato di rifiuto di atti di ufficio previsto dall'art. 328 comma 2 c.p.p., occorre
che l'atto domandato sia dovuto, ovvero che si tratti di un atto vincolato, con esclusione di qualsiasi scelta
discrezionale sui tempi e sui modi della sua emanazione. Solo in tale ipotesi il pubblico ufficiale è tenuto,
ricorrendo tutte le condizioni di fatto e di diritto necessarie, a compiere l'atto richiesto, ovvero, in mancanza
delle condizioni stesse o in presenza di altre cause impeditive, a darne ragione, prima del decorso del
termine di giorni trenta. Ai fini della configurabilità del reato "de quo" le richieste dei privati devono essere
formalizzate almeno nei termini della diffida ad adempiere
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Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 36249 del 07 giugno 2011
La diffida ad adempiere avanzata nell'ambito di un rapporto con la P.A. oggetto di giudizio amministrativo
pendente non impone al responsabile del corrispondente ufficio, destinatario della diffida, il dovere di
attivarsi, per ribadire quanto già devoluto alla cognizione della giurisdizione amministrativa (esclusa, nella
specie, la configurabilità del reato di omissione di atti d'ufficio per il responsabile tecnico di un Comune che,
a fronte della diffida ad adempiere avanzata da una società, a cui il Tar aveva dato parere positivo - con una
decisione provvisoriamente esecutiva - per il rilascio dell'attestazione di agibilità da parte del Comune per
alcune costruzioni, non aveva dato seguito alla richiesta della società, in quanto pendente il giudizio innanzi
al Consiglio di stato).
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 28005 del 21 aprile 2011
Non integra il reato di omissione di atti d'ufficio la condotta della guardia medica che omette di intervenire
(nella specie, disinfestazione e saturazione di una ferita lacera in sede frontale a seguito di esito di caduta)
se, in accordo con il paziente, provvede a chiamare il 118 e far ricoverare lo stesso paziente in ospedale.
Tribunale Firenze, Sez. II, sentenza n. 3217 del 23 novembre 2010
Ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 328 c.p., non è sufficiente il generico rimprovero al
pubblico ufficiale di avere omesso o rifiutato atti «ulteriori» rispetto a quelli in precedenza adottati, non
potendo il Giudice penale entrare nel merito dell'esercizio della discrezionalità amministrativa ed essendo in
ogni caso onere dell'accusa la precisa individuazione dell'atto (ulteriore) omesso. (In conseguenza, il
Tribunale ha dichiarato l'insussistenza del reato di cui all'art. 328 c.p. contestato agli amministratori locali
per avere omesso di adottare ulteriori misure volte all'abbattimento delle polveri sottili e della
concentrazione di inquinanti nell'aria).
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 14599 del 25 gennaio 2010
Risponde di abuso d'ufficio, ma non di omissione di atti, il sindaco che archivia le multe durante la
campagna elettorale che lo vede in corsa per la conferma dell'incarico. L'ingiusto vantaggio ai trasgressori e
il danno all'ente locale configurano il reato ex art. 323 c.p., mentre risulta escluso il reato di omissione
perché il provvedimento omesso dall'amministratore non rientra tra quelli da adottare per "ragioni di
giustizia", vale a dire quei provvedimenti da adottare subito per dare pronta attuazione a un diritto
obiettivo o agevolare magistrati e polizia giudiziaria.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n.46512 15 ottobre 2009
Non rientra nella fattispecie penale delineata dall'art. 328, comma 1, c.p. un diniego di ricovero ospedaliero
caratterizzato da modalità inurbane e volgari. In tema di sanità, infatti, non tutte le omissioni di ricovero
ospedaliero da parte del medico di turno integrano la fattispecie penale in oggetto, ma soltanto quelle
indifferibili, ossia quelle in cui l'urgenza del ricovero sia effettiva e reale, per l'esistente pericolo di
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conseguenze dannose alla salute della persona, pericolo da valutare in base alle indicazioni fornite
dall'esperienza medica, tenendo ovviamente conto delle specificità di ogni singolo caso.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n.32837 del 23 aprile 2009
Integra il reato di omissione d'atti di ufficio la mancata comunicazione, da parte della p.a., entro trenta
giorni dalla richiesta dell'interessato, a norma dell'art. 5 l. n. 241 del 1990, dell'unità organizzativa
competente e del nominativo del responsabile del procedimento. (In motivazione la Corte ha precisato che
siffatta intervenuta nomina del responsabile non esime il superiore gerarchico dall'obbligo di comunicazione
di cui sopra).
Tribunale Pescara, del maggio 2008
Ai fini dell'integrazione della fattispecie di cui al comma 1 dell'art. 328 c.p. (rifiuto di atti d'ufficio da parte
del pubblico ufficiale) non è sufficiente la generica negligenza o la scarsa sensibilità istituzionale del
pubblico ufficiale, essendo necessario che l'agente rifiuti consapevolmente il compimento di atti da
adottarsi senza ritardo per la tutela dei beni pubblici rispetto ai quali gli è stata conferita la specifica
funzione pubblica.
Corte di Cassazione, sentenza n. 5376 del 12 novembre 2002
“Il reato di omissione di atti di ufficio, punito dall'art. 328 comma 2 c.p. integra un delitto plurioffensivo, nel
senso che lede, oltre all'interesse pubblico al buon andamento ed alla trasparenza della p.a., anche il
concorrente interesse del privato leso dall'omissione o dal ritardo dell'atto amministrativo dovuto. Tale
norma, infatti, da un lato presuppone una richiesta presentata da un soggetto che vi abbia interesse, in
quanto titolare di una situazione giuridica qualificata come diritto soggettivo o interesse legittimo e,
dall'altro, tutela l'aspettativa dell'istante ad ottenere il provvedimento richiesto o in alternativa, la
comunicazione dei motivi del ritardo o della mancata adozione del provvedimento. Ne consegue che il
richiedente interessato riveste la posizione di persona offesa dal reato, tutelata dalle garanzie
procedimentali previste dagli art. 408-410 c.p.p”. La richiesta deve essere in ogni caso connessa ad un
diritto soggettivo o ad un interesse legittimo, in poche parole non basta un semplice interesse generico o
addirittura una curiosità anche legittima.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, del 13 marzo 2001
“Ai fini della configurabilità del reato di omissione di atti d'ufficio, la richiesta presa in considerazione
dall'art. 328, comma 2, c.p., è solo quella proveniente da un soggetto privato (non appartenente alla p.a.) e
connessa ad una situazione giuridica di diritto soggettivo od interesse legittimo con esclusione di situazioni
che attengono ad interessi di mero fatto. Ciò tanto più vale nel caso in cui la richiesta abbia ad oggetto
l'accesso ai documenti amministrativi in quanto la disciplina dettata in materia dalla l. 241 del 1990 (art. 22)
e dal D.P.R. di attuazione n. 352 del 1992 (art. 2) riconosce espressamente il diritto di accesso solo ai
portatori di situazioni giuridicamente rilevanti, tali dovendosi intendere solo quelle di diritto soggettivo od
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interesse legittimo. (Nel caso di specie la S.C. ritenendo come di mero fatto l'interesse sotteso alla richiesta,
ha assolto l'imputato il quale non aveva risposto ad una domanda di accesso ai documenti amministrativi
avanzata da un consigliere comunale della minoranza allo scopo di ottenere documentazione utile per
contestare una deliberazione assunta dal comune)”.
La fattispecie reato si configura solamente quando il soggetto abbia un interesse qualificato al compimento
dell’atto.
Tribunale Fermo 22 luglio 2002
“La facoltà di interpello, cui corrisponde un dovere di attivarsi del pubblico ufficiale, è riconosciuto
esclusivamente al soggetto che abbia un interesse qualificato al compimento dell'atto. Tale interesse non
può identificarsi con quello generale al buon andamento della p.a., neanche nel caso in cui la richiesta
provenga da un consigliere comunale e sia finalizzata ad ottenere documentazione utile ai fini dell'attività
politica”.
La richiesta deve essere qualificata nella forma e nella sostanza.
Tribunale di Pescara 22 aprile 2002
“Affinché possa configurarsi il reato di rifiuto di omissione di atti di ufficio, nella formulazione di cui al
comma 2 art. 328 c.p., è necessario che "la richiesta di chi vi abbia interesse" abbia la forma di una espressa
diffida ad adempiere e sia formalmente notificata al pubblico ufficiale tenuto a provvedere sulla stessa”
Tribunale La Spezia 9 ottobre 2001
“Ai fini della configurazione di un rifiuto di atti d'ufficio penalmente rilevante, è necessario che la richiesta
del privato, alla quale si assuma non essere stata data risposta nei termini di legge, contenga una espressa
messa in mora dell'Amministrazione”.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 10038 del 24 ottobre 1996.
Ai fini dell'interpretazione dell'art. 328 c.p., va rilevato che le relative categorie di attività qualificate non
possono rientrare interamente nella previsione del nuovo reato, perché la norma richiede - per la punibilità -
che si tratti, altresì, di atti che debbano essere compiuti senza ritardo, deve escludersi che con quest'ultima
espressione il legislatore abbia voluto riferirsi a un generico dovere di diligenza del p.u., perché sotto tale
profilo tutta l'attività amministrativa potrebbe essere definita urgente, deve invece ritenersi che abbia
inserito un'ulteriore connotazione oggettiva dell'atto, che dovrà essere riscontrata in funzione dell'interesse
che la p.a. era tenuta a soddisfare, e non del ruolo o della qualifica del soggetto agente.
Di conseguenza non sono soddisfacente le richieste generiche e reiterate.
Corte di Cassazione penale, sentenza n. 41645 del 4 ottobre 2001
“In tema di rifiuto di atti d'ufficio, ai sensi dell'art. 328 comma 2 c.p., il dovere di risposta da parte del
pubblico ufficiale, la cui omissione comporta la consumazione del reato, presuppone che sia iniziato un
procedimento amministrativo con conseguente necessità della sua istruttoria e tempestiva definizione. (Nel
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caso di specie la Corte ha escluso la sussistenza del reato, in quanto la mancata risposta degli
amministratori comunali a numerose richieste di un cittadino in ordine alla sua prospettata assunzione
presso il comune non si riferiva ad alcun procedimento amministrativo a ciò finalizzato, ma soltanto ad una
convocazione per l'espletamento di una prova pratica di idoneità, alla quale non era stato dato più
seguito)”.
Per la pubblica amministrazione la cui risposta può anche essere orale, è sufficiente anche una
comunicazione verbale.
Il reato di omissione di atti d'ufficio si perfeziona solamente quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di
pubblico servizio, successivamente alla richiesta di provvedere a compiere un atto del suo ufficio, non
risponda nei termini di legge.
Tribunale La Spezia 9 ottobre 2001
“Sulla scorta dei principi di tassatività e determinatezza che informano il sistema penale, si deve ritenere che
mentre per la richiesta (messa in mora) del privato è specificamente prevista la forma scritta dall'art. 328
comma 2 c.p., nulla prescrive la norma con riguardo alla forma che deve assumere la risposta del pubblico
funzionario. Ne deriva che la risposta di quest'ultimo ben può essere formulata con forme diverse da quella
scritta, quindi anche verbalmente, o per via telematica”.
Se il pubblico ufficiale non sa che l’atto è doveroso, non sussiste il dolo e neanche il reato.
Corte D’Appello di Cagliari 3 maggio 2001
Nel caso di rifiuto indebito di un atto d'ufficio, l'errore, anche se colpevole, sulla legge extrapenale da
cui deriva il dovere violato individua un errore sul fatto che esclude il dolo.
Sempre per quanto riguarda la responsabilità penale del pubblico ufficiale si deve prendere in
considerazione il concorso di persone
Si configura il concorso di persone nel reato quando la commissione è addebitabile a più soggetti.
Il concorso è disciplinato dall’art. 110 c.p.
Art. 110 c.p.
Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo
stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti.
I requisiti costitutivi del concorso di persone sono:
pluralità di soggetti agenti (sono sufficienti due persone),
realizzazione di un fatto illecito,
partecipazione di ciascun concorrente alla determinazione dell’evento,
elemento soggettivo (coscienza, volontà del fatto criminoso e la consapevolezza che il reato è
consumato con altre persone).
La fattispecie del concorso ci costituisce quando sussiste la partecipazione di tutti i correi al
perfezionamento del fatto illecito e il contributo causale di tutti.
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Esistono quattro tipi di concorso:
materiale: il complice agisce personalmente nel reato,
morale: il correo offre un contributi psicologico alla realizzazione del reato, il quale però viene
realizzato da altri,
eventuale: il reato può ugualmente essere realizzato da una sola o da una pluralità di persone;
necessario: l’attuazione del reato esige obbligatoriamente una numerosità di persone es.
corruzione, rissa ecc.).
A tutti i concorrenti sarà applicata la pena prevista per il reato commesso, a prescindere dal singolo
apporto contributivo di ciascuno nella determinazione dell’illecito.
Per i pubblici ufficiali è indispensabile conoscere l’ art. 117 del c.p. rubricato “Mutamento del titolo del
reato”
Art. 117 c.p.
Se, per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o per i rapporti tra il colpevole e l'offeso, muta il
titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche gli altri rispondono dello stesso reato.
Nondimeno, se questo è più grave, il giudice può, rispetto a coloro per i quali non sussistono le condizioni, le
qualità o i rapporti predetti, diminuire la pena.
Conseguentemente se il reato viene commesso in concorso da un pubblico ufficiale (o persona qualificata)
con altre persone non qualificate, in presenza di un reato proprio (es. appropriazione indebita) si applica a
tutti i concorrenti la pena prevista per il reato proprio del pubblico ufficiale. Se il concorso viene commesso
in concorso da un pubblico ufficiale e da un soggetto normale, quest’ultimo conseguirà l’applicazione della
sanzione per il pubblico ufficiale (es peculato-appropriazione indebita posta in essere da un pubblico
ufficiale).
Corte di Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 39292 del 23 settembre 2008
Ai fini dell'applicabilità dell'art. 117 cod. pen., che disciplina il mutamento del titolo del reato per taluno dei
concorrenti, è necessario che il fatto commesso dall'estraneo costituisca comunque reato anche in
mancanza della qualifica rivestita dall'autore principale. Ne consegue che, quando l'azione del concorrente
è di per sé lecita e la sua illiceità dipende dalla qualità personale di altro concorrente, trova applicazione la
norma generale sul concorso di persone , di cui all'art. 110 cod. pen. (Fattispecie relativa a falsità materiale
in atto pubblico consistita nella sostituzione, in un verbale, degli estremi identificativi di una autovettura,
operata da un ufficiale dei carabinieri in concorso con un privato cittadino).
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, del 22 aprile 1989
L'ipotesi prevista dall'art. 117 c.p. è solo quella in cui il fatto commesso dall'estraneo costituirebbe
comunque reato anche in mancanza della qualifica di pubblico ufficiale , rivestita dall'autore principale.
Quando, invece, l'azione del concorrente è di per sè lecita e l'illiceità dipende dalla qualità personale di altro
concorrente trova applicazione la norma generale di cui all'art 110 c.p..
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Sempre in materia di concorso, si deve prendere in considerazione quello di reati, in relazione alla qualifica
di pubblico ufficiale. Tale concorso si configura quando attraverso una condotta criminosa si violano diverse
norme incriminatrici.
Art. 81 c.p. Concorso formale. Reato continuato
E` punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo chi con
una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della
medesima disposizione di legge .
Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso,
commette anche un tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge.
Nei casi preveduti da quest`articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a
norma degli articoli precedenti (c.p.p.533 2, 671 .; disp. att. c.p.p.).186-188 .).
l concorso di reati può essere:
materiale: i diversi reati sono commessi dal correo con più azioni o omissioni. A sua volta può
essere suddiviso in omogeneo, con più violazioni di una medesima norma, o eterogeneo,
caratterizzato da violazioni di norme differenti.
formale: la molteplicità di reati sono perfezionati dal reo con una sola azione o omissione. Anche in
questo caso esistono due sottotipologie, eterogeneo, attraverso una sola azione o omissione la
persona infrange diverse norme, e omogeneo, con una sola azione o omissione, il soggetto attivo
trasgredisce solamente una disposizione di legge.
Nel concorso materiale si infliggono tante pene quanto sono i reati commessi (cumulo materiale ) mentre in
quello formale, si esegue la pena prevista per il reato più grave aumentato fino al triplo (cumulo giuridico)
(art. 81 c.p.).
Si definisce il concorso apparente di norme quando lo stesso avvenimento illegale è, in apparenza,
ascrivibile a diverse fattispecie di reato ma in realtà rientra in un solo reato.
Se è il pubblico ufficiale a commettere uno o più reati, incorrendo nel concorso degli stessi, soggiacerà alla
pena stabilità attraverso i criteri dell’art. 81 c.p.
Uff. Indagini preliminari Salerno del 26 maggio 2010
Nel concorso formale di reati , in cui, come nella specie, con un'unica azione (rilascio del permesso in
sanatoria) si cagionino più eventi giuridici, il giudicato formatosi con riguardo ad uno di tali eventi non
impedisce l'esercizio dell'azione penale in relazione ad un altro, purché non si crei tra essi un conflitto
teorico di giudicati. Ne consegue che, pur potendosi astrattamente configurare a carico del pubblico
ufficiale il concorso tra i reati di abuso di ufficio e il reato di ( concorso in) costruzione abusiva correlato al
rilascio di un provvedimento edilizio illegittimo, con teorica compatibilità di due giudizi successivi sul
medesimo fatto per l'uno e per l'altro reato, tale compatibilità viene meno a fronte di un giudicato,
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estensibile anche ai coimputati che non abbiano partecipato al primo giudizio, che abbia escluso, con ampio
proscioglimento di merito, i presupposti fattuali essenziali del reato edilizio.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 11780 del 07 gennaio 2010
Nel caso di commissione del reato di lesioni personali commesse in danno di un pubblico ufficiale , in
concorso con il reato di resistenza a pubblico ufficiale , non è configurabile, rispetto al reato di lesioni,
l'aggravante dell'art. 61, n. 10, c.p., giacché il fatto in cui si sostanzia l'aggravante è elemento costitutivo
del reato di cui all'art. 337 c.p. e non è consentito, pertanto, porre la medesima condotta due volte a carico
dell'imputato: la prima volta come integrativa della fattispecie prevista dall'art. 337 c.p., la seconda come
circostanza aggravante del reato previsto dall'art. 582 c.p.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 35852 del 06 maggio 2008
L'elemento distintivo tra il peculato e la truffa aggravata ai sensi dell'art. 61, n. 9, c.p. va individuato con
riferimento alle modalità del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione. È
ravvisabile, quindi, il peculato quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio si appropri del
denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo
ufficio o servizio; è ravvisabile, invece, la truffa aggravata qualora l'agente, non avendo tale possesso, se lo
procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri, in funzione della condotta appropriativa del
bene. Alla condotta di peculato può affiancarsi anche una condotta fraudolenta, finalizzata, però, non a
conseguire il possesso del denaro o della cosa mobile, ma a occultare la commissione dell'illecito ovvero ad
assicurarsi l'impunità; in tale ipotesi, deve ravvisarsi il peculato, nel quale - di norma - rimane assorbita la
truffa aggravata, salva la possibilità, in relazione a specifici casi concreti, del concorso di reati , stante la
diversa obiettività giuridica, la diversità dei soggetti passivi, il diverso profitto, il diverso momento
consumativo. (Nella specie, secondo la Corte, correttamente era stato ravvisato il peculato nella condotta di
un'impiegata di un ufficio postale che si era appropriata di somme di denaro di cui aveva la disponibilità per
ragioni di ufficio e che avrebbe dovuto consegnare a vari utenti, interessati a operazioni di reinvestimento di
buoni postali scaduti; ciò sul rilievo che il possesso o comunque la detenzione del denaro era già in capo
all'amministrazione delle Poste e, pertanto, all'imputata, quale addetta allo specifico settore, mentre la
condotta dell'imputata, che aveva fatto firmare in bianco agli utenti una documentazione cartacea
dimostrativa dell'avvenuto pagamento dei buoni postali scaduti, era strumentale, non all'ottenimento del
possesso, bensì solo a garantire la regolarità formale degli atti di ufficio e, quindi, a mascherare l'illecita
condotta appropriativa).
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n.1252 del 21 ottobre 2003
Nel caso in cui il pubblico ufficiale ponga in essere una condotta contraria ai doveri del suo ufficio, dietro
consegna o promessa di denaro od altra utilità, e con tale condotta aiuti taluno, dopo che fu commesso un
delitto punito con sanzione detentiva, ad eludere le investigazioni o le ricerche dell'autorità, si determina un
concorso tra il reato di corruzione propria e quello di favoreggiamento personale, posto che le rispettive
fattispecie incriminatrici tutelano beni diversi, quali sono l'imparzialità ed il buon andamento della p.a. per
un verso, e il buon funzionamento dell'attività giudiziaria per l'altro.
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Corte di Cassazione penale, Sez. I del 10 marzo 1992
Il delitto di rifiuto di atto di ufficio, anche nella nuova formulazione dell' art . 328 c.p. introdotta dall' art . 16
l. 26 aprile 1990, n. 86, è reato istantaneo in quanto, verificatasi la violazione del dovere di ufficio o del
servizio, il reato è consumato. Ne consegue che, ove la violazione del dovere si protragga in relazione a più
obblighi giuridici svolgentisi nel tempo, si concretizzeranno più ipotesi dello stesso reato, eventualmente
riunite ex art . 81 c.p. (Nella fattispecie l'imputato era stato rinviato a giudizio dinanzi al pretore per il reato
di cui all' art . 328 c.p. commesso sino al 25 maggio 1990. In dibattimento il p.m. aveva rettificato
l'imputazione, precisandola nel senso che il reato era stato commesso fino al 16 marzo 1990, mentre il 23
marzo 1990 era avvenuto l'accertamento. Il pretore, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, ritenendo il
reato commesso fino al 25 maggio 1990, dichiarava la propria incompetenza, stante la competenza del
tribunale a seguito della l. 26 aprile 1990, n. 86. A seguito di conflitto sollevato dal tribunale, la Corte di
cassazione ha riconosciuto la competenza del pretore, attesa l'autonomia di eventuali ulteriori atti di
indebito rifiuto di atto di ufficio da parte dello stesso pubblico ufficiale , per il quale non risultava peraltro
assunta alcuna iniziativa da parte del titolare dell'azione penale).
Gli illeciti sopra esposti, configurano anche una responsabilità disciplinare del pubblico ufficiale.
Il pubblico impiego è sottoposto al diritto privato, nonché al D.L.VO 165/2001 :
Art. 55 DLGS 165/2001:
1. Per i dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, resta ferma la disciplina attualmente vigente in materia di
responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
2. Ai dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, si applicano l'articolo 2106 del codice civile e l'articolo 7,
commi primo, quinto e ottavo, della legge 20 maggio 1970, n. 300. 3. Salvo quanto previsto dagli articoli 21
e 53, comma 1, e ferma restando la definizione dei doveri del dipendente ad opera dei codici di
comportamento di cui all'articolo 54, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai
contratti collettivi.
4. Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l'ufficio competente per i
procedimenti disciplinari. Tale ufficio, su segnalazione del capo della struttura in cui il dipendente lavora,
contesta l'addebito al dipendente medesimo, istruisce il procedimento disciplinare e applica la sanzione.
Quando le sanzioni da applicare siano rimprovero verbale e censura, il capo della struttura in cui il
dipendente lavora provvede direttamente.
5. Ogni provvedimento disciplinare, ad eccezione del rimprovero verbale, deve essere adottato previa
tempestiva contestazione scritta dell'addebito al dipendente, che viene sentito a sua difesa con l'eventuale
assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o
conferisce mandato. Trascorsi inutilmente quindici giorni dalla convocazione per la difesa del dipendente, la
sanzione viene applicata nei successivi quindici giorni.
6. Con il consenso del dipendente la sanzione applicabile può essere ridotta, ma in tal caso non è più
suscettibile di impugnazione.
7. Ove i contratti collettivi non prevedano procedure di conciliazione, entro venti giorni dall'applicazione
della sanzione, il dipendente, anche per mezzo di un procuratore o dell'associazione sindacale cui aderisce o
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conferisce mandato, può impugnarla dinanzi al collegio arbitrale di disciplina dell'amministrazione in cui
lavora. Il collegio emette la sua decisione entro novanta giorni dall'impugnazione e l'amministrazione vi si
conforma. Durante tale periodo la sanzione resta sospesa.
8. Il collegio arbitrale si compone di due rappresentanti dell'amministrazione e di due rappresentanti dei
dipendenti ed è presieduto da un esterno all'amministrazione, di provata esperienza e indipendenza.
Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, stabilisce, sentite le organizzazioni sindacali, le
modalità per la periodica designazione di dieci rappresentanti dell'amministrazione e dieci rappresentanti
dei dipendenti, che, di comune accordo, indicano cinque presidenti. In mancanza di accordo,
l'amministrazione richiede la nomina dei presidenti al presidente del tribunale del luogo in cui siede il
collegio. Il collegio opera con criteri oggettivi di rotazione dei membri e di assegnazione dei procedimenti
disciplinari che ne garantiscono l'imparzialità.
9. Più amministrazioni omogenee o affini possono istituire un unico collegio arbitrale mediante convenzione
che ne regoli le modalità di costituzione e di funzionamento nel rispetto dei principi di cui ai precedenti
commi.
10. Fino al riordinamento degli organi collegiali della scuola nei confronti del personale ispettivo tecnico,
direttivo, docente ed educativo delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative statali si
applicano le norme di cui agli articoli da 502 a 507 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297.
I principi cardine della procedura disciplinare nel pubblico impiego sono:
- proporzionalità e gradualità della sanzione;
- esigenza della preordinazione e della pubblicità preventiva di illeciti e sanzioni
-necessità della preventiva contestazione e dei termini per l’esercizio del diritto di difesa.
- presenza di apposito ufficio delegato all’irrogazione delle sanzioni
- possibilità di riduzione concordata della sanzione.
- occasione di impugnazione davanti a collegio arbitrale.
Corte di Cassazione, Sezione lavoro, sentenza n. 7704 del 16 maggio 2003
“A seguito della contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico, l'esercizio del potere disciplinare da
parte della p.a. datrice di lavoro è governato dal diritto privato, non più dalle norme previste in tema di
pubblico impiego, nè dalle regole che presidiano il procedimento amministrativo.”
Il rapporto tra sentenza penale di condanna e giudizio disciplinare è chiarito dall’art. 653 c.p.
Art. 653 c.p.
Efficacia della sentenza penale [di assoluzione] nel giudizio disciplinare.
1. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità
disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non
costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso.
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1-bis. La sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità
disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua
illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso.
Interessante è notare come L’Agenzia per Ambiente Toscana si è dotata di una circolare interna in materia
di sanzioni e procedimenti disciplinari nel marzo 2010 (si veda l’allegato al testo).
Sempre per quanto riguarda l’Arpa (Agenzia per l’ambiente) è interessante capire come possono agire
durante un controllo ambientale presso le aziende se accertano un reato ambientale.
In materia è molto interessante la sentenza 1° febbraio 2011, n. 3634, la III sezione penale della
Corte di Cassazione. Tale sentenza affronta il tema dei doveri e poteri impeditivi che gravano sui
funzionari dell’Agenzia regionale per l’ambiente conseguentemente reati in tema di rifiuti
realizzati da altri soggetti.
La Suprema Corte riconosce in capo ai funzionari una “posizione di garanzia”, ex art. 196, D.Lgs.
n. 52/2006. Più precisamente sottolinea un’astratta responsabilità penale per mancato
impedimento dell’evento in base all’art. 40, comma 2, c.p. «non impedire un evento, che si
l’obbligo giuridico di impedire», e il «cagionarlo».
Il pubblico ministero ha chiesto per i due funzionari la sospensione temporanea dal pubblico ufficio perché
«consapevoli della esistenza di rifiuti ospedalieri sul sito da bonificare, sia perché portati a conoscenza della
loro esistenza telefonicamente e tramite comunicazione scritta da parte dell’azienda ospedaliera, sia per
averne constatata la presenza in sito e sulla base della documenta zione fotografica, non procedevano ad
alcun controllo sostanziale sulle operazioni di rimozione e smaltimento dei rifiuti, e, quindi, non impedivano
che gli stessi fossero gestiti da semplici terre, consentendone il conferimento con il codice errato in discarica
non autorizzata».
La fonte giuridica dell’obbligo più appropriata è l’art. 197, D.Lgs. n. 152/2006, che conferisce la competenza
alle province di «controllo periodico su tutte le attività di gestione, intermediazione e di commercio dei
rifiuti, ivi compreso l’accertamento delle violazioni di cui alla parte quarta del decreto» e per tale attività
posso ricorrere delle Agenzie regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA).
I dipendenti dell’ARPA , quando espletano tali funzioni, ai sensi del comma 3 del succitato art. 197, «sono
autorizzati ad effettuare ispezioni, verifiche e prelievi di campioni all’interno di stabilimenti, impianti ed
imprese che producono o che svolgono attività di gestione dei rifiuti».
Per far nascere in capo ad un soggetto una posizione di garanzia, è necessario che:
- un bene giuridico che necessiti di tutela e il titolare non è in grado di difenderlo;
-una fonte giuridica,
- tale obbligo gravi su una o più determinate persone,
- queste persone siano dotate di poteri impeditivi.
Conseguentemente i titolari della posizione di garanzia devono essere dotati dei indispensabili poteri
impeditivi degli eventi dannosi.
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Nella sentenza in commento i Supremi giudici hanno riconosciuto che i due funzionari dell’ARPA avevano a
disposizione i poteri impeditivi dell’evento. Non hanno svolto durante le operazioni di rimozione dei rifiuti o
non hanno fatto eseguire, il controllo che avevano l’obbligo giuridico di operare (ai sensi dell’art. 197,
comma 3, D.Lgs. n. 152/2006), a seguito di telefonate, comunicazioni scritte e fotografie dell’attività di
gestione illecita dei rifiuti. La Corte ricava che l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente durante
«l’esercizio delle funzioni e delle attività tecniche per la vigilanza e il controllo ambientale» e, in base all’art.
16, che determina i poteri anche in relazione alla potenziale qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria.
La Suprema Corte non affronta un’ importante questione. La relazione alla eventuale qualifica di ufficiale di
polizia giudiziaria dei funzionari ARPA che, se investiti di questa funzione, avrebbero i poteri e i doveri
previsti dall’art. 55 c.p.p..
Art. 55 Funzioni della polizia giudiziaria
1. La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati (347), impedire che
vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le
fonti di prova (348) e raccogliere quant`altro possa servire per l`applicazione della legge penale (326).
2. Svolge ogni indagine e attivià disposta o delegata dall`autorià giudiziaria (58, 131, 348-3, 370, 378).
3. Le funzioni indicate nei commi 1 e 2 sono svolte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria (57, 383).
Specificatamente:
- l’impedimento delle conseguenze ulteriori dei reati di cui siano venuti a conoscenza;
- la ricerca dei relativi autori;
- il compimento degli atti necessari per assicurare le fonti di prova.
Si sottolinea che caso di specie, viene citata una norma extrapenale, l’art. 196 o, meglio, l’art. 197 del D.Lgs.
n. 152/2006 che, non contiene la «finalizzazione impeditiva penalmente rilevante»
La Suprema Corte, di fronte ha considerato reato commissivo, consumato mediante omissione, c.d. reato
omissivo improprio. Che si perfezione quando l’agente ha una posizione di garanzia derivante da un ruolo
istituzionale di controllo. Infatti nella motivazione non si trova alcun riferimento ad eventuali funzioni di
polizia giudiziaria esercitate dai tecnici dell’Agenzia, conseguentemente si deve riferire ai generici doveri
propri dei pubblici ufficiali.
I funzionari, dipendenti dell’ARPA, se dotati della qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria, dovranno
sottoscrivere i relativi atti in caso di accertamento di un illecito ambientale (elezione di domicilio, nomina di
difensore, sequestro…).
Nota per la Provincia di Sassari : i dipendenti ARPA FVG hanno la qualifica di Polizia Giudiziaria.
Art. 57 Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria
1. Salve le disposizioni delle leggi speciali, sono ufficiali di polizia giudiziaria:
a) i dirigenti, i commissari, gli ispettori, i sovrintendenti e gli altri appartenenti alla polizia di Stato ai quali
l`ordinamento dell`amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità;
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b) gli ufficiali superiori e inferiori e i sottufficiali dei carabinieri, della guardia di finanza, degli agenti di
custodia e del corpo forestale dello Stato nonchè gli altri appartenenti alle predette forze di polizia ai quali
l`ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosce tale qualità;
c) il sindaco dei comuni ove non abbia sede un ufficio della polizia di Stato ovvero un comando dell`arma dei
carabinieri o della guardia di finanza.
2. Sono agenti di polizia giudiziaria (55-3):
a) il personale della polizia di Stato al quale l`ordinamento dell`amministrazione della pubblica sicurezza
riconosce tale qualità;
b) i carabinieri, le guardie di finanza, gli agenti di custodia , le guardie forestali e, nell`ambito territoriale
dell`ente di appartenenza, le guardie delle province e dei comuni quando sono in servizio.
3. Sono altresì ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le
rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste
dall`art. 55.
In tutti i casi, a prescindere dalla qualifica di polizia giudiziaria, i dipendenti ARPA o ISPRA sono
pubblici ufficiali e come tali possono essere responsabili di reati ascrivibili ai doveri d’ufficio,
sopra esposti.
Se i dipendenti non hanno la qualifica di polizia giudiziaria, possono in tutti i casi precedere ai sensi della
Legge 689 del 1981 e demandare gli atti amministrativi agli organi competenti.
Legge 689 del 1981
Art. 13 - Atti di accertamento
1. Gli organi addetti al controllo sull’osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione
amministrativa del pagamento di una somma di denaro possono, per l’accertamento delle violazioni di
ispettiva competenza, assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata
dimora, a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica.
2. Possono altresì procedere al sequestro cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca
amministrativa, nei modi e con i limiti con cui il codice di procedura penale consente il sequestro alla P.G.
3. È sempre disposto il sequestro del veicolo a motore o del natante posto in circolazione senza essere
operto dall’assicurazione obbligatoria e del veicolo posto in circolazione senza che per lo stesso sia stato
rilasciato il documento di circolazione.
4. All’accertamento delle violazioni punite con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di
denaro possono procedere anche gli ufficiali e gli agenti di P.G., i quali, oltre che esercitare i poteri indicati
nei precedenti commi, possono procedere, quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di
prova, a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora, previa autorizzazione motivata del pretore del
luogo ove le perquisizioni stesse dovranno essere effettuate. Si applicano le disposizioni del Codice di
procedura penale all’art. 333/1° ed all’art. 334/1°-2°.
5. E’ fatto salvo l’esercizio degli specifici poteri di accertamento previsti dalle leggi vigenti.
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Art. 14 - Contestazione e notificazione
1. La violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto
alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa.
2. Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma
precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio
della Repubblica entro il termine di 90 giorni e, a quelli residenti all’estero, entro il termine di 360 giorni
dall’accertamento.
3. Quando gli atti relativi alla violazione sono trasmessi all’autorità competente con provvedimento
dell’autorità giudiziaria, i termini di cui al comma precedente decorrono dalla data della ricezione.
4. Per la forma della contestazione immediata o della notificazione si applicano le disposizioni previste
dalle leggi vigenti.
In ogni caso la notificazione può essere effettuata, con le modalità previste dal codice di procedura civile,
anche da un funzionario dell’amministrazione che ha accertato la violazione.
5. Per i residenti all’estero, qualora la residenza, la dimora o il domicilio non siano noti, la notifica non è
obbligatoria e resta salva la facoltà del pagamento in misura ridotta sino alla scadenza del termine previsto
all’art. 22/2° per il giudizio di opposizione.
6. L’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue per la persona nei cui confronti è
stata omessa la notificazione nel termine prescritto.
Altra sentenza di massima importanza per i dipendenti ARPA e ISPRA risulta essere la n. 43669 del 2011 in
materia di abuso d’ufficio realizzato dal responsabile dell’ufficio tecnico del comune.
Corte di Cassazione, Sez. III, sentenza n. 43669 del 25 novembre 2011
L'art. 323 c.p. non prevede, ai fini della configurabilità della fattispecie criminosa, la commissione di specifici
atti ovvero l'emissione di provvedimenti da parte del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, ma
solo che la condotta di questi sia posta in essere nello svolgimento delle funzioni o servizio di cui è investito e
procuri intenzionalmente a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrechi ad altri un
ingiusto danno, in violazione di norme di legge o di regolamento.
Corte di Cassazione Sez. Terza Pen - Sent. del 25.11.2011, n. 43669
Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la dichiarazione di colpevolezza
di M. G. in ordine al reato di cui agli art. 81 cpv. e 323 c.p., a lui ascritto perché, con più azioni esecutive del
medesimo disegno criminoso, abusando intenzionalmente della qualità di responsabile dell’Ufficio Tecnico
del Comune di R. al fine di procurare un ingiusto vantaggio a B. N., rilasciava al predetto, in violazione delle
norme del P.R.G. attuato dal Comune di R. un permesso di costruire in zona agricola e sottoposta a vincolo
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paesaggistico/ambientale, nonché per le stesse finalità, in violazione dell’art. 146 del D. Lgs. 42/2004,
rilasciava il nulla osta paesaggistico/ambientale senza che tale documento fosse stato sottoposto al parere
della Sovrintendenza BBAA di Cosenza.
La contestazione si riferisce al rilascio di un permesso di costruire in favore del B. per la realizzazione di un
impianto di trasformazione di inerti; fatto per il quale lo stesso B. e tale R. G. erano stili condannati in primo
grado, mentre i reati loro ascritti sono stati dichiarati estinti per prescrizione dalla sentenza di appello.
La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali la difesa del M. aveva
dedotto che l’affermazione di colpevolezza era stata erroneamente fondata sul presupposto che il permesso
di costruire fosse stato rilasciato lo stesso giorno del sopralluogo, in data 17.2.2005, mentre in effetti la
data del rilascio era quella del 4.2.2005; dedotto inoltre che l’imputato non era il responsabile dell’Ufficio
Tecnico del Comune, ma solo il responsabile del procedimento; che, pertanto, allo stesso non poteva essere
attribuita alcuna condotta omissiva idonea ad integrare il reato di abuso di ufficio.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, che la denuncia per vizi di motivazione.
Motivi della decisione
Con un unico, articolato, mezzo di annullamento il ricorrente denuncia manifesta illogicità della motivazione
della sentenza.
In primo luogo viene reiterata la censura per travisamento del fatto con riferimento alla diversa data di
rilascio del permesso di costruire, antecedente a quella del sopraluogo, deducendosi che su tale errore i
giudici di merito hanno fondato la valutazione in ordine all’esistenza del dolo specifico richiesto per la
configurabilità del reato.
Si osserva, poi, che responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di R. era il geom. F. S., il quale aveva
rilasciato sia il permesso di costruire che l’autorizzazione paesistica, mentre il M. era solo responsabile del
procedimento.
Da tale rilievo si inferisce che l’imputato è stato chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 323 c.p. a
titolo di condotta omissiva ai sensi dell’art. 40, comma 2. c.p.
S contesta, quindi, la configurabilità del reato a titolo di omissione, osservando che l’operatività dell’art. 40,
comma 2, c.p. impone che la condotta non sia tipizzata nelle modalità del suo svolgimento, che si manifesti,
cioè, come fattispecie causalmente orientata, verificandosi altrimenti un’estensione analogica della norma.
Si osserva che l’art. 40, comma 2, c.p. è applicabile ai soli reati causali puri per la tutela penale dei beni
giuridici di più elevato rango, quali la vita e l’incolumità fisica, individuale e pubblica. Si aggiunge che la
responsabilità per condotta omissiva è esclusivamente configurabile in relazione ad una posizione di
garanzia facente capo al soggetto che omette di impedire la verificazione dell’evento; posizione di garanzia
che non sembra sussistere nel caso di specie, in quanto la stessa presuppone l’esistenza di un rapporto di
immediata rispondenza tra l’evento lesivo, che la violazione dell’obbligo impeditivo mirava a prevenire, e
detto obbligo. Nel caso dell’art. 323 c.p. la violazione riguarda un obbligo di natura squisitamente
procedurale avente ad oggetto la tutela dell’ambiente, obbligo che non ha come diretta conseguenza la
produzione di alcun evento. Nel prosieguo sulla base di analoghe argomentazioni si contesta che la
responsabilità del M. con riferimento all’ imputazione di abuso di ufficio possa essere ricondotta ad
un’ipotesi di reato omissivo improprio.
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Il ricorso non è fondato.
L’art. 323 c.p. non prevede, ai fini della configurabilità della fattispecie criminosa, la commissione di specifici
atti ovvero l’emissione di provvedimenti da parte del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, ma
solo che la condotta di questi sia posta in essere nello svolgimento delle funzioni o servizio di cui è investito e
procuri intenzionalmente a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrechi ad altri un
ingiusto danno, in violazione di norme di legge o di regolamento.
E’ del tutto irrilevante, pertanto, che la condotta abbia riguardato solo atti interni al procedimento che si sia
concluso con il provvedimento definitivo emesso da altri.
E’ stato, infatti, precisato da questa Corte in ordine a tale reato che “In tema di delitti contro Ia PA., la
nozione di “atto di ufficio” comprende una vasta gamma di comportamenti umani, effettivamente o
potenzialmente riconducibili all’incarico del pubblico ufficiale, e quindi non solo il compimento di atti di
amministrazione attiva, la formulazione di richieste o di proposte, l’emissione di pareri, ma anche la tenuta
di una condotta meramente materiale o il compimento di atti di diritto privato” (sez. VI, 26.9.2006 n. 38698,
M. e altro, RV 234991).
La condotta ascritta all’imputato, pertanto, è esclusivamente di natura commissiva all’interno del
procedimento che si è concluso con il rilascio del permesso di costruire e del nulla osta paesaggistico
illegittimi, con la conseguenza che le deduzioni del ricorrente in punto di responsabilità ex art. 40, comma
secondo, c.p. sono del tutto inconferenti.
Nessuna incidenza, inoltre, ai fini della affermazione di colpevolezza dell’imputato, risulta avere avuto il
denunciato errore materiale in ordine alla data di rilascio del permesso di costruire, in quanto la sentenza di
appello ha fondato l’accertamento della consapevolezza dell’imputato circa la illiceità della propria
condotta su un diverso elemento di valutazione (consapevolezza del vincolo ambientale esistente e della
necessità di acquisire il parere della Soprintendenza ai BB.AA. della Calabria, che, in violazione di legge, non
è stato chiesto).
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata in Cancelleria il 25.11.2011
Si deve sottolineare che il pubblico ufficiale deve provvedere alla denuncia della notizia di reato,altrimenti
incorre nel reato di “Omessa denuncia”, sancito dall’art. 361 c.p.
Art. 361.
Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale.
Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all'autorità giudiziaria, o ad un'altra autorità che
a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni,
e` punito con la multa da euro 30 a euro 516.
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La pena e` della reclusione fino ad un anno, se il colpevole e` un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria,
che ha avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto.
Le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa.
Il reato di omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale è un reato di pericolo ed a consumazione
istantanea. E’un reato di pericolo in quanto non esige la concreta realizzazione dell’evento dannoso.
Il delitto in commento è un reato proprio, in quanto può essere commesso solo da determinate tipologie di
persone, a causa delle qualifiche a loro attribuite. Tutti i pubblici ufficiali hanno l’obbligo di trasmettere le
notitiae criminis al pubblico ministero competente o all’autorità competente.
Corte di Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 14465 del 09 febbraio 2011
Il delitto di omessa denuncia si realizza quando il ritardo della comunicazione della notizia di reato, fondata
o meno che essa appaia, non consenta al p.m. qualsiasi iniziativa a lui spettante. (In motivazione la Corte ha
escluso che la intervenuta modifica del termine ex art. 347 c.p., da quarantotto ore a "senza ritardo",
previsto per riferire al p.m. la notizia di reato, autorizzi il pubblico ufficiale ad una valutazione di
fondatezza).
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMATO Alfonso - Presidente -
Dott. ROTELLA Mario - rel. Consigliere -
Dott. SCALERA Vito - Consigliere -
Dott. FUMO Maurizio - Consigliere -
Dott. ZAZA Carlo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) L.S. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 137/2009 CORTE APPELLO di TRENTO, del
09/12/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/02/2011 la relazione fatta dal
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Consigliere Dott. MARIO ROTELLA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IZZO Gioacchino
che ha concluso per a. c. r. relativamente al delitto di cui alllart.
361 c.p.; rigetto nel resto.
(Torna su ) FATTO
RITENUTO IN FATTO E DIRITTO
1 - L.S. ricorre contro sentenza della Corte di Trento che, a seguito di appello proprio e del P.M., in parziale
riforma di sentenza del Tribunale che lo aveva assolto dalle imputazioni di cui all’art. 361 c.p., commi 1 e 2
(A) e all’art. 479 c.p. (C) perché e il fatto non costituisce reato e condannato per i delitti di cui all’art. 378
c.p.(B) e all’art. 610 c.p. all’art. 81 cpv. c.p., - all’art. 61 c.p., nn. 2 e 9 c.p. (D), lo ha assolto bensi dal reato di
cui all’art. 378 c.p. (ai sensi dell’art. 384 c.p.), ma condannato per gli altri, con la continuazione alla pena
complessiva di m. 9 reclusione con benefici.
La Corte ha ricostruito che L., T. Colonnello, comandante dei Carabinieri della Provincia, aveva ricevuto
ll(OMISSIS), dal Lgt.
S.E., un memoriale non firmato che S. ed il T. col.
F. dicevano provenire dal Carabiniere C. della Stazione di Andalo. Esso attribuiva al Comandante della
Stazione, Lgt. N., llindebito utilizzo della vettura di servizio, la mancata ripetuta trasmissione di denunce a
carico di ignoti alllA.G., il falso ideologico volto al favoreggiamento di indagabile autore di omicidio colposo,
la falsificazione ideologica di ordini di servizio, la sottrazione di denaro rinvenuto da privati e da restituire
agli aventi diritto. Di tanto L. non aveva dato notizia alllA. G. competente (A, (OMISSIS)).
Ha ritenuto altresii che lo stesso L., per evitare che la notizia di reato fosse riferita al Generale Fi.,
Comandante regionale, convocato C. il 23.3.07, negando di aver mai ricevuto il suo memoriale, lo
minacciava di non fargli avere la rafferma, se avesse insistito nel suo intento di incontrare il Generale.
Minacciava altresii il Carabiniere D.V., che pure gli aveva richiesto di conferire con il Generale, dicendogli
che era in corso indagine e che lui stesso poteva essere ritenuto compartecipe delle violazioni di N. ed
inoltre che, dipendendo dal Comandante provinciale le proposte di trasferimento, gli era possibile
proporne trasferimento, con allontanamento dalla famiglia (D, (OMISSIS)).
Infine ha ritenuto che L. avesse predisposto ed inviato al Generale Fi. annotazione del 16.4.07,
ideologicamente falsa nella data, facendo apparire il documento sollecitamente predisposto alllepoca della
revoca delle indagini comunicatagli il 4.4.07 e del suo successivo rientro da congedo, anche per celare che
taluni accertamenti erano stati compiuti dopo, cioee il 18.4, dal Capitano R.; quindi nelllaffermare che
llindagine a carico di N. traeva origine da circostanze confidenzialmente apprese (non dallo scritto di C. a lui
pervenuto sin dalll11.12.06) e che si era orientato nel rispetto del divieto procedurale di far uso di
segnalazioni anonime, utilizzandole per individuare la notitia criminis (C).
Il ricorso (Avv. F. Casano) deduce:
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1 - inosservanza di norme processuali circa llappello proposto dal P.M., per rigetto dellleccezione formulata
a stregua delllattestazione "segret. del P.M." della Cancelleria, che non indica la persona della Segretaria
del P.M., come ritenuto, bensii persona fisica indeterminata delllUfficio di segreteria;
2 - violazione delllart. 361 c.p., perchee ee erroneo llasserto in sentenza di obbligo incondizionato di
immediata trasmissione alla Procura di quanto riferito nel memoriale C., in contrasto con la sentenza di 1
grado, giaa alla luce della modifica normativa delllart. 347 c.p.p., che ha sostituito il termine di quarantotto
ore entro cui la p.g. deve comunicare al p.m. la notizia di reato con la locuzione "senza ritardo", anche per
giurisprudenza che riconosce la "ponderazione" (per llapprofondimento dei c.d. elementi positivi del fatto
reato - cfr. Cass., Sez. 6^, 11.04.08, n. 15400: il motivo argomenta lo svolgimento delllaccaduto e la
necessitaa di verifica di attendibilitaa del contenuto delle dichiarazioni, v. dichiarazioni del Cap. R. del
3.2.09, alla luce di quanto richiesto dal Generale Fi.);
3 - vizio di motivazione circa la sussistenza delllelemento psicologico dello stesso reato, posto che il Col. L.
ha agito in buona fede;
4 - violazione delllart. 479 c.p. - vizio di motivazione, perchee, ribadisce il ricorso, il Col. L. definendo
"confidenziale" la fonte costituita dal memoriale C., "non dichiarava essere vero un atto falso, ma ribadiva
una sua valutazione..." (il ricorso si rifaa ancora alllinterrogatorio reso dalllimputato il 3.2.09, che ribadisce
llassenza di paternitaa ufficiale delle acquisizioni e delle sue necessitaa di verifica, anche a fronte del
diniego di disponibilitaa di C. o di D.V. di recarsi a formalizzare la denuncia, benchee sollecitati dal M.llo
M.);
5 - violazione art. 610 c.p. - vizio di motivazione, per assenza degli estremi, in particolare quello oggettivo,
nella specie indeterminato e comunque assente llefficacia della sostenuta minaccia (il ricorso spiega che i
Carabinieri C., D.V. e Ma. si erano precedentemente incontrati per cercare colloquio con il Col. L. al fine di
verificare llesito delle indagini, non per incontrare realmente il Gen. Fi.; tanto si evince dalle stesse
dichiarazioni in giudizio di C., che decise di revocare la sua richiesta di essere messo a rapporto con il
Comandante regionale, dopo aver dato tempo qualche settimana per i risultati, in effetti per vedere cosa
sarebbe successo nei due giorni consecutivi nei quali da L. si sarebbero presentati gli altri due; inoltre non
risulta che D.V. abbia rinunciato alllincontro con il Generale e con llappello si era richiesto di acquisire la
richiesta di trasferimento dello stesso D.V., presentata nel periodo 10 novembre - 10 dicembre 06, poi
accolta nelllottobre 07).
2 Il primo motivo di ricorso, di carattere procedurale, ee infondato.
In materia, certa la sottoscrizione delllatto ddimpugnazione da parte del soggetto legittimato, non ee
prescritta alcuna particolare formalitaa per il conferimento delllincarico a terzi per la sua presentazione.
LLidentificazione della persona del mandatario, nel caso del privato, serve a dar conto del suo rapporto con
il mandante in caso di contestazione. Nel caso del pubblico ministero, fermo il rapporto, puoo essere
operata da qualsiasi ausiliario del suo ufficio (cfr., per tutte, Cass., Sez. 5^, n. 8096/ 06 e Sez. 6^ n.
21866/07).
Il principio ee in effetti incontrovertito dal ricorso, che percioo travisa che se il cancelliere attesta di aver
identificato la persona che presenta llatto ddimpugnazione firmato dal p.m., quale appartenente al suo
ufficio di segreteria, non ee possibile revocare in dubbio la provenienza delllatto dal titolare del diritto
ddimpugnazione, quale che sia la sua qualificazione, cioee di ausiliario o esecutore, salvo contestazione di
falsitaa delllaccertamento attestato.
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I motivi di censura della sentenza risultano anchhessi del tutto infondati.
Lo ee anzitutto il motivo 2 che, ponendo questione di "ponderazione", giunge a travisare llacquisizione
della notizia da riferire alllA.G. per la sua valutazione.
La novella delllart. 347 c.p.p. (D.L. n. 306 del 1992, art. 4, comma 1, lett. a) ha sostituito il termine
perentorio di quarantotto ore, in origine prescritto per lladempimento delllobbligo di riferire al pubblico
ministero la notizia di reato, con la locuzione "senza ritardo", per consentire alla polizia giudiziaria di averne
compiuta acquisizione. LLabolizione del termine perentorio non autorizza difatti il pubblico ufficiale, che ha
avuto la notizia nelllesercizio o a causa delle sue funzioni, ad una propria valutazione di fondatezza, che
resta riservata al pubblico ministero, viepiuu che la norma non prescrive alcuna forma vincolata per la
comunicazione tempestiva della notizia alllorgano di iniziativa penale. Il reato di cui alllart. 361 c.p.
pertanto sussiste dal momento in cui, fondata o non che appaia, il ritardo della comunicazione non
consente al pubblico ministero qualsiasi iniziativa a lui spettante. Pertanto puoo essere escluso in caso
ddincerta provenienza della notizia, solo se tale incertezza renda impossibile determinare lloggetto della
stessa notizia per see rapportabile a norma incriminatrice.
Nella specie la sentenza risulta aver rispettato il principio. Ed ha minutamente analizzato il fatto (oggetto
delllesposto, provenienza, attribuzione a soggetto determinato, etc.), operando un sillogismo incensurabile.
Cioo posto, qualsiasi mozione soggettiva del pubblico ufficiale nella specie condannato, men che la sua
incertezza offerta a sostegno di buona fede nel ricorso, non serve in sede di legittimitaa a giustificarne il
ritardo obiettivamente ritenuto (anzi a quanto ssintende llomissione) o ad escluderne il dolo generico
(motivo 3).
Sotto questo profilo il ricorso chiede verifica alternativa di merito, con riferimento a talune acquisizioni,
prospettate in termini giustificativi dei rapporti delllimputato con il Generale Fi.
(investiti anche dagli altri fatti costitutivi di reato), del tutto irrilevanti per quanto interessa la motivazione
di prova offerta dal Giudice circa il reato in discorso.
Il due ultimi motivi sono solo di fatto, come tali del tutto non consentiti.
Il 4 difatti rioffre giustificazioni, qui inapprezzabili, quanddanche rilevanti per gli aspetti interni alllArma, sol
che si osservi che quanto attestato ee dimostrato non rispondente al vero in sentenza.
Analogamente, non serve a ritenere erronea la condanna ripetuta il 5^ motivo, viepiuu che le mozioni dei
subordinati non avrebbero qui rilevanza, a fronte delllobiettiva sussistenza di ciascuna coartazione, con
minacce incontroverse.
EE questo che dicono entrambe le sentenze. E quella ddappello risulta incensurabile.
(Torna su ) P.Q.M.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2011.
Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2011
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Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 27508 del 07 maggio 2009
Ai fini della configurabilità del reato di cui all' art. 361 c.p., occorre considerare che il pubblico ufficiale è
vincolato alla denuncia appena è in grado di individuare gli elementi di reato e di acquisire ogni altro
elemento utile per la formazione dell'informativa: a tal riguardo, si tratta di reato istantaneo, nel senso che
il termine di adempimento dell'obbligo è unico, finale e non iniziale, decorso il quale l'agente non è più in
grado di tenere utilmente la condotta imposta; tanto che alla desistenza la legge non riconnette alcuna
conseguenza giuridica, essendosi ormai verificati gli effetti (omissione o ritardo) necessari e sufficienti per la
consumazione.
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 15400 del 11 febbraio 2008
È da escludere la confìgurabilità del reato di cui all'art. 361 c.p. quando l'apparente ritardo nella denuncia
all'autorità giudiziaria del fatto-reato di cui il pubblico ufficiale sia venuto a conoscenza trovi giustificazione
nell'avvenuto espletamento, da parte dello stesso pubblico ufficiale , di una ragionevole attività di
accertamento, anche valutativo, di quel medesimo fatto, originariamente prospettatosi soltanto come
"sospetto". (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte, accogliendo il ricorso proposto avverso la
sentenza di merito con la quale era stata affermata la penale responsabilità di un ufficiale dei carabinieri
per ritardata denuncia all'autorità giudiziaria di un collega che, secondo quanto informalmente appreso da
un istituto bancario, aveva da quest'ultimo indebitamente ottenuto dei prestiti per asserite e non
riscontrate indagini urgenti di polizia giudiziaria, ha annullato senza rinvio con la formula "il fatto non
sussiste" la suddetta sentenza, osservando che l'imputato, oltre ad aver tempestivamente informato i suoi
superiori, si era attivato per poter conoscere, con la "intuibile ed opportuna discrezione operativa, le vere
ragioni ed i veri fini" della condotta del collega, onde poter valutare se la stessa fosse effettivamente
inquadrabile in una ipotesi di reato e non soltanto di eventuale illecito disciplinare).
Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 18457 del 19 marzo 2007
Ai fini della valutazione di tempestivo adempimento dell'obbligo della polizia giudiziaria di riferire la notizia
di reato al p.m., le espressioni adoperate dalla legge - che ci si riferisce alla locuzione "senza ritardo" o
all'avverbio "immediatamente", usati, rispettivamente, nei commi primo e terzo dell'art. 347 c.p.p. - pur se
non impongono termini precisi e determinati, indicano attività da compiere in un margine ristretto di tempo,
e cioè non appena possibile, tenuto conto delle normali esigenze di un ufficio pubblico onerato di un medio
carico di lavoro. (Nella specie, relativa a denuncia per ipotesi di tentato omicidio, che andava comunicata
immediatamente, la Corte ha ritenuto sussistere il reato di omessa denuncia di reato da parte del pubblico
ufficiale , per avere gli addetti al competente commissariato di polizia, informati oralmente dei fatti dal
posto di polizia presso un ospedale, trattenuto la denuncia per oltre un mese, quantunque più volte
sollecitati, inoltrandola al p.m. solo dopo che la vittima aveva provveduto a presentarne altra direttamente
agli uffici di Procura).