Residenze sanitarie maggio 2015 boscariol

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4 RESIDENZE SANITARIE aprile 2015 Nevio Boscariol traccia per noi il quadro di una realtà, quella delle strutture di accoglienza socio-assistenziali, ricordandoci quanto sia fondamentale non perdere di vista il concetto del “prendersi cura”. La fotografia che ne emerge ci riporta ad un universo complesso ed affascinante che mette al centro la persona PRIMO PIANO Dare voce ad una comunità In diritto, la residenza si definisce come “il luogo nel quale la perso- na ha la sua abituale dimora ed è una situazione di fatto, alla quale si collegano una serie di effetti che regolamentano la relazione che ogni persona intrattiene con il proprio territorio.” Sebbene nella suddetta defini- zione si usino i vocaboli “persona, relazione, proprio territorio”, resi- denza è un termine che tutti noi usiamo probabilmente solo ne- gli adempimenti amministrativi e burocratici. Altrimenti usiamo termini che sentiamo “più nostri” come “abitare” che già connota una vera presenza, partecipazio- ne e relazione sociale con il ter- ritorio, oppure “casa”, termine al quale emotivamente leghiamo il nostro sentire del luogo fami- gliare, degli affetti, quello più intimo e se vogliamo anche della stabilità, della sicurezza, di un traguardo raggiunto. E quando questo “abitare” e la “casa” non hanno le caratteristiche sopra descritte, diventano per noi qualcosa di profondamente, anche se non sempre consapevolmente, cercato e desiderato, al quale tendiamo per uscire dal disagio della situazione che percepiamo. Così come “cambiare residenza” è per noi una questione burocratica alla quale dobbiamo adempiere dopo aver trasferito in altro am- biente, altra casa la nostra persona con tutto quanto essa è, rappresenta, in relazione con gli altri, il territorio, il passato-presente e futu- ro. E questo non si trasferisce con un adempi- mento amministrativo. Per alcuni è più facile, per tipo di vita vissuta, per cultura, per carat- tere, per altri invece è sempre traumatico: per nessuno è indifferente, semplice, e molto, se non tutto, dipende dal nuovo contesto in cui andiamo “a vivere”. Non è questione che si riduce all’arredamento piuttosto che alle dimensioni della camera, poichè la camera Nevio Boscariol Responsabile Economico Servizi e Gestionale UESG - ARIS

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4 RESIDENZE SANITARIE aprile 2015

Nevio Boscariol traccia per noi il quadro di una realtà, quella delle strutture di accoglienza socio-assistenziali, ricordandoci quanto sia fondamentale non perdere di vista il concetto del “prendersi cura”. La fotografia che ne emerge ci riporta ad un universo complessoed affascinante che mette al centro la persona

PRIMO PIANO

Dare voce ad una comunità

In diritto, la residenza si definisce come “il luogo nel quale la perso-na ha la sua abituale dimora ed è una situazione di fatto, alla quale si collegano una serie di effetti che regolamentano la relazione che ogni persona intrattiene con il proprio territorio.”Sebbene nella suddetta defini-zione si usino i vocaboli “persona, relazione, proprio territorio”, resi-denza è un termine che tutti noi usiamo probabilmente solo ne-gli adempimenti amministrativi e burocratici. Altrimenti usiamo termini che sentiamo “più nostri” come “abitare” che già connota una vera presenza, partecipazio-ne e relazione sociale con il ter-ritorio, oppure “casa”, termine al quale emotivamente leghiamo il nostro sentire del luogo fami-gliare, degli affetti, quello più

intimo e se vogliamo anche della stabilità, della sicurezza, di un traguardo raggiunto. E quando questo “abitare” e la “casa” non hanno le caratteristiche sopra descritte, diventano per noi qualcosa di profondamente, anche se non sempre consapevolmente, cercato e desiderato, al quale tendiamo per uscire dal disagio della situazione che percepiamo.Così come “cambiare residenza” è per noi una questione burocratica alla quale dobbiamo adempiere dopo aver trasferito in altro am-biente, altra casa la nostra persona con tutto quanto essa è, rappresenta, in relazione con gli altri, il territorio, il passato-presente e futu-ro. E questo non si trasferisce con un adempi-mento amministrativo. Per alcuni è più facile, per tipo di vita vissuta, per cultura, per carat-tere, per altri invece è sempre traumatico: per nessuno è indifferente, semplice, e molto, se non tutto, dipende dal nuovo contesto in cui andiamo “a vivere”. Non è questione che si riduce all’arredamento piuttosto che alle dimensioni della camera, poichè la camera

Nevio BoscariolResponsabile Economico Servizi

e Gestionale UESG - ARIS

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PRIMO PIANO

La tensione, l’attenzione e il prendersi cura che si devono percepire da chi viene accolto dalle “residenze sanitarie” e devono essere percepiti anche dai loro familiari

che lasciamo è una camera nostra, vissuta e solo un’altra esperienza che posso farci sen-tire bene la può compensare, nel tempo. È questo l’atteggiamento, la tensione e l’atten-zione, la cura e il prendersi cura che si deve far percepire a chi si accoglie nelle “residenze sanitarie” e ai loro familiari, persone care, ver-rebbe da dire, alla comunità e dalla comunità che vive in quel territorio. È quanto vorremmo per noi. È la “presa in carico globale”, che comprende la persona assistita e la sua famiglia. È questa la qualità della vita dell’utente che è al centro dei pro-cessi del curare e del prendersi cura, che va declinato con professionalità, impegno, de-dizione, comunicazione e relazione, migliora-mento costante. L’evoluzione degli standard di vita e la scien-za medica, hanno visto crescere una forte do-manda – a fronte dell’invecchiamento della popolazione e della sopravvivenza di pazien-ti con patologie croniche e disabilitanti – di servizi orientati al mantenimento della qua-lità della vita. Nel 2013, la spesa pubblica per Long Term Care (LTC) ammontava all‘1,9% del Pil, di cui circa due terzi erogata a soggetti con più di 65 anni. La componente sanitaria rappresentava circa il 46% del totale, mentre il 44% era rappresentato dalla spesa per in-dennità di accompagnamento (di fatto spesa socioassistenziale). Secondo recenti stime del Ministero dell’Economia e delle Finanze, la spesa pubblica per LTC in rapporto al PIL passerà dall‘1,9% del 2013 al 3,3% del 2060, con distribuzione uniforme dell’aumento nell’intero periodo di previsione. Andamen-to teoricamente sostenibile se compensato dalla riduzione di altri costi e da una forte capacità di governo strategico dei livelli di as-sistenza per la non autosufficienza. Con forti differenze regionali.Non solo, vi è una più radicata cultura colletti-va che richiede servizi sanitari e sociosanitari adeguati, per utenti che hanno superato o sono fuori dal percorso di acuzie.Nonostante ciò l’effettivo sviluppo dei servizi socio-sanitari e socio-assistenziali – capaci di rappresentare l’intera filiera del processo di presa in carico dell’utente nel bisogno – é molto disomogeneo sul territorio nazionale e spesso privo di coerenza organizzativa. In-

fatti, il quadro evidenzia ancora la diffusa sepa-razione tra sanitario e sociale, la presenza di piani solo sanitari o solo sociali, con forti diffe-renze regionali. È una cultura da acquisire per l’integrazione strategi-ca di fronte ai bisogni. E molto dipende de-libere specifiche delle singole Regioni, dalle delibere relative ai Pia-ni sanitari o al dimen-sionamento della rete ospedaliera ed extrao-spedaliera.

La L. n. 328 dell’8.11.2000 “Legge quadro per la re-alizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” è un punto di arrivo storico se si tiene conto che modifica e riorganizza tutto un settore che poggia ancora parte della sua azio-ne sulla L. n. 6972 del 17 luglio 1890 nota come “Legge Crispi”. La legge avvia il Piano sociale nazionale, il fondo sociale nazionale, la pro-grammazione locale attraverso piani regionali e piani di zona dei servizi alla persone, rinvia ad una serie di atti derivati la riorganizzazione dell’intero sistema dei servizi sociali.Come sottolinea Sergio Dugone nel suo contributo alla Conferenza Nazionale di Con-senso sui “Bisogni riabilitativi ed assistenziali”, tenutasi a Verona nel 2005, si passa da una cultura di interventi riparativi ad un sistema di protezione sociale attiva, che privilegia le persone nel loro contesto di vita, offrendo prestazioni flessibili e personalizzate. La leg-ge affida alle Regioni ed ai Comuni il compito di creare un sistema integrato di interventi e servizi sociali. Il sistema della sussidarietà verticale prevede che siano i Comuni ad or-ganizzare i piani di zona dei servizi, le Regioni i piani socio sanitari regionali, lo Stato i piani nazionali. Inoltre la legge favorisce l’iniziativa e valorizza il contributo del non profit, rappresentato dal Terzo settore o economia civile (sussidiarietà orizzontale).

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PRIMO PIANO

E dalla legge hanno tratto origine diversi prov-vedimenti significativi, ma dobbiamo ricono-scere che non sono ancora stati sciolti alcuni nodi essenziali che vedremo nei prossimi numeri di Residenze Sanitarie. In particolare, fondamentali sono le professioni. Infatti, come scrive Tiziano Vecchiato, della Fondazione E. Zancan nel numero di marzo 2015 di Vita: “Nel tempo “curare” e “prendersi cura”, nativi nella carità, si sono via via separati, privilegiando modi innaturali di essere al servizio alle per-sone. Molte risposte sanitarie e sociali si sono infatti ridotte a prestazioni e trasferimenti, con professionalità impoverite. Non sarà difficile sostituirle, con tecnologia altrettanto presta-zionale, ma meglio tracciabile.L’allineamento verticale e settoriale delle responsabilità ha contribuito a questa cri-si, dentro organizzazioni incapaci di creare campi di forze necessarie per potenziare l’a-zione professionale. Il deterioramento delle responsabilità sta favorendo il prestazioni-smo, a cui si sono consegnate molte pratiche professionali. Fanno tanto e producono poco. Inseguono l’appropriatezza di processo, ma si allontanano dalla loro ragione di esistere: l’a-iuto che aiuta.”Tra gli altri motivi che ostacolano la tradu-zione regionale della legge, l’incertezza sul Fondo Sociale nazionale oggetto ogni anno di contrattazione tra Regioni e Stato in sede di finanziaria, l’assenza di accordo sui LIVE-AS, i livelli essenziali di assistenza sociale, la difficoltà a poter prevedere come aiutare concretamente le categorie più in difficoltà in primis i non autosufficienti, l’assenza di al-cuni strumenti applicativi che rende difficile individuare come regolare i buoni per l’ac-quisto di servizi, considerare il riordino delle IPAB, avere chiarezza nei rapporti con il terzo settore, misurare la qualità del lavoro sociale. Ci sarebbe bisogno di più welfare generativo.La sua corretta gestione presuppone una continua integrazione delle diverse funzioni e competenze ai vari livelli istituzionali e chia-ma in causa la comunità nelle sue diverse espressioni.Di nuovo Sergio Dugone nel suo Contributo sopra menzionato scrive: “Serve implemen-tare una strategia di valutazione da parte de-gli operatori di tutti i servizi interessati che

serva a:- dare corpo al processo di continuità assi-

stenziale in termini di strutture e di servizio svolto ) adeguate alla presa in carico perso-nalizzata;

- stabilire priorità condivise in rapporto ai problemi ed agli obiettivi possibili;

- considerare la sostenibilità in termini di strumenti e prassi operative in rapporto alle risorse professionali ed ai carichi dei servizi;

- armonizzare culture professionali diverse su modelli in grado di dare risposte.

E concorda con Tiziano Vecchiato nel sugge-rire di “evitare accuratamente l’integrazione sotto forma gestionale, come spesso oggi avviene, con il cittadino/assistito utente “sud-dito” dei servizi e non al centro di essi.

I raccordi funzionali (non gestionali, va sot-tolineato) – in una regìa complessivamente unitaria – richiedono condivisione di stru-menti di valutazione e comunicazione degli stessi agli attori del sistema. Si tratta di gestire in modo dinamico e non statico:• un comune quadro di riferimento con-

cettuale per inquadrare i bisogni;• la scelta degli obiettivi valutativi strate-

gici per la progettualità personalizzata;• l’individuazione di modalità e strumenti

di valutazione.

E qui arriviamo ad uno dei problemi princi-pali: la non abitudine ad essere valutati, nella difficoltà ad accettare la valutazione.Per una strana coincidenza culturale, in Italia la parola valutazione viene recepita come “un dare un giudizio”. Valutare vuol dire in-vece “dare valore”. Come? Mostrando in che modo le azioni intraprese dal soggetto non profit, ma anche da quello profit, che pos-sono avere un impatto duraturo, in qualsia-si ambito. Nella logica precedente, bastava controllare la trasparenza e la rendicontazio-ne finale. Per questo diventa necessario arrivare ad una metrica capace di dar conto in modo atten-dibile del cambiamento prodotto. In questo senso il tavolo tecnico, composto da attori del pubblico e del privato, della Regione Lombardia nel marzo scorso ha concordato

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PRIMO PIANO

un documento in cui sono indicate alcune metriche di valore delle RSA. Al di là delle specifiche metriche che vedremo più avanti in Residenze Sanitarie, è la cultura della valu-tazione del cambiamento prodotto, del be-nessere e delle qualità generate per gli assi-stite che vanno premiate. Si tratti di strutture pubbliche, del privato no-profit o del profit.Ed i sistemi di welfare e le singole strutture at-tuali garantiscono la tutela ed il supporto dei bisogni della persona da assistere e del nu-cleo familiare o l’eterogeneità delle risposte, spesso collegata a culture, esperienze, storie diversificate per ogni Regione, genera poten-ziali contesti di diverse qualità della vita?

Quanto sopra evidenziato fa capire come questo ambito è molto ampio e compren-de quindi il percorso della filiera dei servizi che può non interagire costantemente con il mondo del non profit, del Terzo settore e del Secondo settore (imprese, fondazioni di comunità etc..), con gli attori della sanità in-tegrativa, delle forme mutualistiche e tutti gli altri soggetti che animano il welfare mix.Un quadro composito, con luci ed ombre, che però conferma una stagione di grandi attenzioni al sistema dei servizi alla persona, autosufficiente e non.Si direbbe una missione impossibile per le residenze sanitarie. E forse fino in fondo lo è. Il successo possibile sta nella stretta uni-tà e concatenazione degli interventi, nella lettura globale e condivisa del bisogno della persona e della sua famiglia, nel rico-noscere e riconoscersi nella fragilità della relazione, della comunicazione e della psi-cologia di ciascuno di noi con professiona-lità e umanità, nella diversità di risposte se-condo criteri di appropriatezza delle forme di intervento.

Residenze sanitarie cercherà di dare voce e rappresentazione di tutti gli attori e profes-sioni di questo settore sopra menzionati, a partire dalle stesse persone assistite, darà conoscenza approfondita delle opportuni-tà presenti nel territorio (più numerose di quelle censite) e della loro qualità, stimolerà il momento di confronto e proposizione tra gli attori menzionati sopra di questa com-

plessa realtà che pur nella criticità della so-stenibilità economica potrebbe essere un terreno meraviglioso di sviluppo sinergico e integrato di welfare generativo tra soggetti diversi, cercherà di dare una rappresentazio-ne delle diverse situazioni regionali e della normativa relativa, collaborerà con i diversi attori a cercare di creare un riferimento con-creto delle migliori pratiche, metodologie, approcci, sistemi di valutazione ed espe-rienze vissute che hanno effettivamente contribuito a migliorare la qualità della vita delle persone: avvicinando, per quanto più o meno possibile, l’esperienza delle residen-za sanitaria ad un’esperienza di vita vera, alla propria casa, sebbene nella difficoltà di una condizione spesso cronica o per malattia o per impossibilità nello stare con la propria famiglia. l