Report 1997-1998

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Rai.it - Report TROPPO BELLO PER ESSERE VERO Milena Gabanelli GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano "La nostra società, della verità, non si interessa più." "La fusione fredda è una realtà, al di là di ogni ragionevole dubbio." "Noi siamo stati boicottati, in un modo tenace e insensato, dalla scienza ufficiale, dalla finanza internazionale e da tutti i poteri forti." AUTRICE La fusione fredda, ovvero quella balla dell'89, dirà qualcuno. Forse non è una balla e sicuramente l'argomento ci riguarda molto da vicino. Il filmato che vi mostreremo tra poco cercherà di spiegarvi che cos'è e come sta andando a finire. Non è detto che sia la verità. Potrebbe….. VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Marzo 1989. Dagli Stati Uniti un annuncio: è finito l'incubo del nucleare, del petrolio, delle scorie radioattive. Si può avere energia con un procedimento semplice, poco costoso, con una materia prima inesauribile che è l'acqua. Salta fuori che anche in Italia, da alcuni anni, i fisici sperimentano la fusione fredda e sostengono di avere avuto casi in cui si è prodotto l'eccesso di calore. Gli esperimenti costano pochi milioni: l'entusiasmo dilaga e si tenta ovunque di riprodurre procedimento, ma non riesce. Dopo alcuni mesi il mondo scientifico copre di ridicolo i due scienziati, Fleischmann e Pons, e la stampa che prima li aveva esageratamente onorati, li scarica come truffatori. Da allora sono passati 8 anni e non se ne è più parlato. Sono circa 100 i fisici che in tutto il mondo non hanno mai smesso di credere che la fusione fredda fosse la scoperta scientifica del secolo. Qui a Milano, in Via Ampere, c'è un piccolo laboratorio dove Martin Fleishmann continua a lavorare insieme a due fisici italiani. E saranno loro i protagonisti della nostra puntata, gli eretici della fusione fredda. TITOLI DI TESTA VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE In questo laboratorio di Milano, un laboratorio privato, Giuliano Preparata, cattedra di Fisica alla Statale e Emilio Del Giudice, ricercatore, stanno mettendo a punto, insieme a Fleishmann, un procedimento a fusione fredda per scaldare l'acqua. Ma prima di entrare nel vespaio proviamo a capire come avviene il processo di fusione. GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano file:///C|/Libri%20e%20Riviste/Articoli%20Vari/Repor...nelli%20-%20Troppo%20bello%20per%20essere%20vero.htm (1 di 11)29/02/2008 20.27.07

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Le inchieste di Report - Anno 1997-1998

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TROPPO BELLO PER ESSERE VERO

Milena Gabanelli

GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano "La nostra società, della verità, non si interessa più." "La fusione fredda è una realtà, al di là di ogni ragionevole dubbio." "Noi siamo stati boicottati, in un modo tenace e insensato, dalla scienza ufficiale, dalla finanza internazionale e da tutti i poteri forti."

AUTRICE La fusione fredda, ovvero quella balla dell'89, dirà qualcuno. Forse non è una balla e sicuramente l'argomento ci riguarda molto da vicino. Il filmato che vi mostreremo tra poco cercherà di spiegarvi che cos'è e come sta andando a finire. Non è detto che sia la verità. Potrebbe…..

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Marzo 1989. Dagli Stati Uniti un annuncio: è finito l'incubo del nucleare, del petrolio, delle scorie radioattive. Si può avere energia con un procedimento semplice, poco costoso, con una materia prima inesauribile che è l'acqua. Salta fuori che anche in Italia, da alcuni anni, i fisici sperimentano la fusione fredda e sostengono di avere avuto casi in cui si è prodotto l'eccesso di calore. Gli esperimenti costano pochi milioni: l'entusiasmo dilaga e si tenta ovunque di riprodurre procedimento, ma non riesce. Dopo alcuni mesi il mondo scientifico copre di ridicolo i due scienziati, Fleischmann e Pons, e la stampa che prima li aveva esageratamente onorati, li scarica come truffatori. Da allora sono passati 8 anni e non se ne è più parlato. Sono circa 100 i fisici che in tutto il mondo non hanno mai smesso di credere che la fusione fredda fosse la scoperta scientifica del secolo. Qui a Milano, in Via Ampere, c'è un piccolo laboratorio dove Martin Fleishmann continua a lavorare insieme a due fisici italiani. E saranno loro i protagonisti della nostra puntata, gli eretici della fusione fredda.

TITOLI DI TESTA

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE In questo laboratorio di Milano, un laboratorio privato, Giuliano Preparata, cattedra di Fisica alla Statale e Emilio Del Giudice, ricercatore, stanno mettendo a punto, insieme a Fleishmann, un procedimento a fusione fredda per scaldare l'acqua. Ma prima di entrare nel vespaio proviamo a capire come avviene il processo di fusione.

GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano

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Il problema fondamentale della fusione è che, per arrivare a distanze così vicine, i nuclei devono superare una grossa barriera fra loro dovuta al fatto che tutti i nuclei hanno la stessa carica, positiva. Noi sappiamo dalla fisica della scuola secondaria che due cariche dello stesso tipo si respingono, quindi dobbiamo vincere questa repulsione. Nelle stelle si crede che si vinca tale repulsione attraverso le alte temperature esistenti nel centro delle stelle stesse. Quindi, vincendo la repulsione, si verifica l'energia. Naturalmente questa è la fusione calda, detta così perché utilizza l'agitazione termica ad altissime temperature per vincere questa barriera e per accedere all'energia. La fusione fredda, invece, questa è la scoperta di Fleishmann e Pons, vince questa barriera mettendo i nuclei in un metallo come il palladio. Quando sono in questo metallo i nuclei sono in grado di avvicinarsi tanto da cominciare a fondersi senza alcun bisogno di arrivare a queste enormi temperature a cui devono arrivare le macchine di cui parlavamo prima utilizzate per la fusione calda.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE (su immagini di attrezzature) Questo è l'equivalente del reattore. In questa cella è inserito un filo di palladio avvolto a spirale (quello color argento) e acqua pesante, un'acqua nella quale al posto dell'idrogeno c'è il deuterio. Mediante l'elettrolisi si determina un eccesso di calore. La cella a questo punto viene messa dentro questo calorimetro.

GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano Noi la mettiamo qui dentro per misurare la quantità di calore che si produce in questo processo. Da questo tubo entra dell'acqua che passando si scalda, poiché questo oggetto produce calore, e quindi energia, e scaldandosi emette dell'acqua ad una temperatura maggiore di quella in cui entra. Puoi toccarla, è calda.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE (su immagini di attrezzature) Naturalmente non è la sensazione di un dito che misura l'eccesso di calore: i rilevamenti sono fatti con computer collegati al calorimetro ma quello che stupisce è che abbiamo sempre visto uscire energia da centrali enormi e questa possibilità ha dell'incredibile. La prima domanda che viene da fare è: ma quanto costa?

GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano (indicando le attrezzature necessarie) Prendiamo un'attrezzatura di questo genere che potrà arrivare a 10 kilowatt. Per questa mi servirà: un grammo di palladio, che sul mercato costa 15-20 mila lire e ho bisogno di un litro di acqua pesante, che oggi costa circa 450.000 lire al litro. Questo oggetto potrà darmi 10 kilowatt che è l'energia necessaria a far funzionare un appartamento grande, per 500 anni. La cosa formidabile è che questa è un'energia praticamente inesauribile perché una parte su 6000 dell'acqua è acqua pesante.

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MARTIN FLEISHMANN - Fisico La sola domanda che ci si può porre è: chi potrebbe volere il successo di questa ricerca? E' una domanda per niente semplice ed è comprensibilissimo che alcune persone non vogliono che questi esperimenti abbiano successo.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Quello di cui stiamo parlando è la luce, l'acqua calda, la lavatrice, il frigorifero e tutto ciò che nel mondo funziona con l'elettricità e che oggi viene prodotta dalle centrali idroelettriche, quelle nucleari a fissione, con il carbone e con il petrolio.

MARTIN FLEISHMANN - Fisico Sono uno scienziato quindi mi interessa studiare l'aspetto scientifico, senza chiedermi se potrà diventare utile o no. Tuttavia, nel nostro caso, credo che uno dei problemi di questa ricerca sia dovuto al fatto che è abbastanza chiaro che potrebbe avere un forte impatto economico, ma non è detto che l'avrà.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Già, il famoso due più due che verrebbe da fare anche ad un profano. Ma perché anche la scienza ufficiale, ovvero quella che ruota attorno ai comitati scientifici, o ai Rubbia, non tiene in minima considerazione esperimenti che costano due lire così promettenti? Ho provato a chiederlo a Rubbia che mi ha risposto con un fax dal CERN di Ginevra: "sono spiacente di comunicarle che il Prof. Rubbia non è interessato a commentare le dichiarazioni di Giuliano Preparata".

EMILIO DEL GIUDICE - Ricercatore Quando la scienza aveva pochi mesi, in fondo, abbandonare una teoria che si rivelava sbagliata non era un gran danno. I danni erano legati solo al narcisismo di chi l'aveva eventualmente proposta. Ma quando ci sono grandi capitali in gioco, scoprire all'improvviso che una certa prospettiva è tutta sbagliata, significa un enorme disinvestimento di capitali, significa migliaia di persone che perdono il posto di lavoro… Intorno alla fusione calda ci sono interessi economici colossali e migliaia di persone che ci lavorano. Cosa ancora più grave, esiste un progetto del governo italiano di ospitare in Italia una enorme macchina mondiale, che sarà realizzata da tutti i paesi del mondo e che si chiama Iter, International Termonuclear Experimental Reactor, che dovrebbe costare qualcosa come 30.000 miliardi in 10 anni.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Perché è una cosa grave questa?

EMILIO DEL GIUDICE - Ricercatore Perché queste macchine, a parte il fatto che difficilmente funzioneranno, non sono affatto pulite.

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VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Cosa dovrebbero dare queste macchine? EMILIO DEL GIUDICE - Ricercatore Secondo i progetti dei loro autori dovrebbero dare energia.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Ma se è un gravissimo errore perché l'Italia sta investendo tutti questi soldi?

GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano Perché, come spiegava Emilio (Del Giudice), gli interessi sono grossi. Sia delle comunità di scienziati che ci stanno lavorando, sia delle grandi industrie che devono fornire i pezzi. Non è un caso che in questa commissione il presidente sia un direttore centrale della Finmeccanica che, attraverso l'Ansaldo, spera di avere grossissime commesse nella realizzazione di magneti superconduttori che sono necessari per queste cose. Questo business drogato, quindi, fa l'interesse di un certo ceto industriale e scientifico ma sicuramente, secondo me, non fa l'interesse dei cittadini.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE L'attenzione del mondo quindi è rivolta alla fusione calda, a ITER, che si studia a Monaco in questo centro di ricerca che si chiama Net, diretto da un fisico italiano, il prof. Toschi.

ROMANO TOSCHI - Direttore NET L'Italia ha dimostrato interesse a ospitare questo grande progetto nell'Italia meridionale.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Come mai nell'Italia meridionale, ci sono delle sovvenzioni in ballo?

ROMANO TOSCHI - Direttore NET Esattamente. Ci sono le sovvenzioni dei fondi strutturali della Comunità Europea.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE (su disegno del reattore ITER) Che sarebbe questo qui, il reattore che dovrebbero costruire in Italia?

ROMANO TOSCHI - Direttore NET Per avere accesso ai fondi strutturali bisogna soddisfare certe condizioni sulle qualità del progetto che si presenta. I fondi strutturali della Comunità Europea, che sono una cifra gigantesca, servono a dare sviluppo a certe zone depresse dell'Europa.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE

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Su questo siamo d'accordo.

ROMANO TOSCHI - Direttore NET Allora una piccola ricerca non può essere suscettibile di finanziamenti tramite i fondi strutturali. Questa invece potrebbe esserlo in parte perché intorno ad un'impresa di questo genere, oltre alla creazione di migliaia di posti di lavoro ruoterebbe un certo indotto per le industrie che potrebbero lavorarvi. Bisogna capire che se venisse creata questa cosa durerebbe moltissimo, diventerebbe un laboratorio come il CERN, quindi avrebbe un impatto sull'economia locale non trascurabile.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Sicuramente, ma la riflessione che mi veniva da fare è che dietro questi grandi progetti ci sono degli investimenti enormi che coinvolgono l'economia locale ma questo al di là di come finirà il progetto, se produrrà o meno energia. Vero o no?

ROMANO TOSCHI - Direttore NET Si. Questo è il primo requisito per poterlo considerare in quella classe di attività che vengono finanziate in questo modo.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE E nell'attesa di costruire da noi il grande reattore, gli esperimenti di fusione calda si fanno un po' ovunque. Qui siamo all'ENEA di Frascati e qui dentro lavorano decine di fisici. E' possibile entrare nell'impianto?

UOMO PRESSO L'ENEA Non si può entrare.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Perché?

UOMO PRESSO L'ENEA Perché oggi si spara e quando si spara non si può entrare.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Cosa vuol dire "si spara"?

UOMO PRESSO L'ENEA Si fanno gli esperimenti.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE E non si può assistere neanche da una finestra di vetro?

UOMO PRESSO L'ENEA

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Non ci sono finestre di vetro. C'è cemento armato di due metri di spessore.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Quindi la pericolosità è dovuta alle radiazioni. L'esperimento si può vedere solo dal monitor e dura 1 secondo. Ricordiamo che sulla fusione calda si sta studiando da trenta anni con risultati scarsi poiché, secondo gli esperti, occorrerebbe lavorare su quel grande reattore che è il progetto ITER.

Per il momento voi non sapete ancora se quel motore lì produrrà energia, giusto?

ROMANO TOSCHI - Direttore NET Non abbiamo quella certezza di cui si ha bisogno quando si chiede un finanziamento di 10 miliardi di dollari.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE In sostanza, per accedere ai grandi finanziamenti abbiamo capito che occorre un progetto imponente. La fusione fredda invece non possiede questi requisiti perché gli esperimenti costano poco.

GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano Costa pochissimo, non servono questi grandi investimenti e noi abbiamo portato un pezzetto di sole qui a Via Ampere in questo oggetto qua (mostrando l'attrezzatura per la fusione fredda).

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Ma per avere anche quel poco occorre l'avallo della scienza ufficiale che invece ha preso le distanze. E così la cosa va avanti semiclandestina, sulla volontà e la convinzione di singoli.

GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano Perché la scienza è ritornata a giocare quel ruolo che giocava l'accademia all'epoca di Galileo.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE E cioè?

GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano E' ridiventata una stretta ancella degli interessi economici e di potere.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE E ritorniamo all'ENEA, il nostro Ente per l'Energia Alternativa. A mezzo chilometro di distanza dagli edifici dove si studia la fusione calda c'è un ripostiglio che è un piccolo laboratorio dove due fisici, guidati dal prof. Scaramuzzi, lavorano alla fusione fredda. Solo il luogo in cui è ubicato la dice

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lunga sulla considerazione di cui gode questa ricerca. Non è un laboratorio come quelli del CERN di Ginevra?

FRANCESCO SCARAMUZZI - Fisico (ENEA) No, assolutamente.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Serve poco per fare energia qui dentro, vero?

FRANCESCO SCARAMUZZI - Fisico (ENEA) Serve poco per fare questi esperimenti. VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Quello che vediamo dentro la cella è un esperimento in corso, sempre con il palladio e l'acqua pesante. Qui ci sono stati casi di presenza di elio4, una scoria con una radioattività pari al fondo naturale che confermerebbe quindi che si tratta di fusione nucleare. Queste apparecchiature servono invece a misurare la quantità di energia che si produce. Quanti watt riuscite a produrre?

FRANCESCO SCARAMUZZI - Fisico (ENEA) Per citare il migliore dei risultati degli anni scorsi (in genere si cita sempre il migliore), noi abbiamo avuto un esempio in cui abbiamo prodotto una potenza che è variata da 1 a 11 watt nel giro di 3 giorni, ininterrottamente. E quando producevamo 11 watt nel sistema ne entravano solo 8. Quindi stavamo producendo più energia di quanta ne entrasse e questo è un fatto abbastanza rilevante.

RICERCATORE (su immagini di barretta di metallo) Quando noi sottoponiamo questo oggetto al procedimento sperimentale di cui parliamo, questo oggetto produce un eccesso di energia.

FRANCESCO SCARAMUZZI - Fisico - ENEA Adesso puntiamo più alla riproducibilità che alla quantità di calore prodotto, perché vogliamo capire quali sono le condizioni del materiale che rendono possibile questo fenomeno.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Quindi i punti deboli sono che non sempre si riesce a riprodurre l'esperimento e non sempre ci sono le scorie. E per gli scettici è più che sufficiente per liquidare in tronco tutta la fusione fredda.

FISICO - Progetto NET Non si può parlare di fusione nucleare perché non ci sono le indicazioni necessarie, come l'emissione di neutroni o di particelle alfa. Oppure

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trasmutazioni di elementi. Nessuna di queste cose è stata osservata, nulla. Non siamo nel campo della fisica, a parte il fatto che questo andrebbe a stravolgere gran parte della fisica del XX secolo.

MARTIN FLEISCHMANN - teorico fusione fredda Non si può dimostrare che una cosa è vera, si può solo dimostrare che una cosa è falsa. Ma finché non si è riusciti a dimostrare che è falsa quel qualcosa rimane vero.

ROMANO TOSCHI - Direttore NET Credo che quelli che se ne occupano oggi possono confermarle che non c'è una spiegazione soddisfacente, dal punto di vista teorico, dei fenomeni fisici che starebbero alla base di quello che loro sostengono. Il secondo grossissimo guaio della fusione fredda è la non riproducibilità.

GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano Il fatto di richiedere ad uno stadio molto poco avanzato la riproducibilità è un modo per chiudere il sistema. Questo non è riproducibile ma adesso tu mi spieghi come mai questa cosa era tranquilla poi, a un certo punto, c'è un picco, la temperatura sale. Cosa è successo dentro la cella? Vuol dire che c'è una sorgente di calore. E questa sorgente di calore da dove è nata? C'è stato qualcuno che dentro si è messo a pedalare, ad accendere una fiamma? Il problema fondamentale di questi stupidi di scienziati, perché non posso chiamarli altrimenti, è che loro chiedono di vedere i neutroni, ma i neutroni non ci sono perché il processo è diverso, chiedono di vedere la riproducibilità, e la riproducibilità non si può ancora richiedere a questo livello se non si è ancora capito bene. L'importante è che ci siano degli eventi che non possono essere spiegati, la cui unica spiegazione è che ci sia una sorgente di calore. Bisogna mettersi a studiare, a fare un'analisi a tappeto. Questa è una cosa importantissima. Non costa tanto, come diceva lei. E invece no: questo è stato un modo vizioso per distruggere la grande speranza della fusione fredda.

EMILIO DEL GIUDICE - Ricercatore Nei primi tempi della radio Guglielmo Marconi percepiva i segnali radio solo di notte, non di giorno. I primi tempi non sempre gli esperimenti riescono perché uno non ha ancora imparato tutte le condizioni che lo rendono possibile.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Secondo lei oggi si poteva essere più avanti con la ricerca?

GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano Moltissimo. Noi siamo stati boicottati in un modo tenace, insensato, dalla scienza ufficiale, dalla finanza internazionale e da tutti i poteri forti.

ROMANO TOSCHI - Direttore NET

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La storia delle multinazionali lasciamola perdere. Allora le multinazionali vorrebbero prima di tutto uccidere la fusione calda che consuma tutti questi soldi, loro potrebbero dire, senza avere in 30, 40 anni prodotto un reattore. E questo potrebbe veramente essere un campo nel quale impegnarsi.

FRANCESCO SCARAMUZZI - Fisico (ENEA) La struttura ufficiale americana, gli enti che finanziano le ricerche, non finanzia più da molto tempo.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Perché?

FRANCESCO SCARAMUZZI - Fisico (ENEA) Perché hanno deciso che è una palla.

EMILIO DEL GIUDICE - Ricercatore La General Electric, il principale produttore mondiale di centrali, credo, non vede di buon occhio la nascita di una civiltà tecnologica in cui tutto funziona a pile.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Però potrebbero vendere le pile!

EMILIO DEL GIUDICE - Ricercatore Probabilmente loro valutano che il valore aggiunto che si genera con la produzione di pile non compensi il mancato valore aggiunto che si ha con le centrali. Alla fine ci guadagnano di meno. Anche tenendo conto che le centrali sono abbastanza complesse da richiedere pochi produttori centralizzati in tutto il mondo mentre le pile sono abbastanza facili da fabbricare, per cui qualsiasi artigiano della Malesia è in grado di farle.

GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano Da quando sono a Milano avrò fatto una sessantina di laureati e non sono riuscito a reclutarne neanche uno..

FRANCESCO SCARAMUZZI - Fisico (ENEA) C'è un certo tipo di discriminazione: per esempio, pubblicare un articolo che parli esplicitamente di fusione fredda su una rivista di quelle tradizionali è praticamente impossibile.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Secondo lei non c'è alcuna discriminazione?

ROMANO TOSCHI - Direttore NET Assolutamente no. Anche perché, come lei ha visto, questi esperimenti sono di

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dimensioni talmente modeste in confronto alle spese che noi abbiamo, come può vedere, per la fusione calda (ci lavorano in Europa 3000 persone). Abbiamo dei bilanci di mezzo miliardo di Ecu all'anno, non c'è nessuna volontà di tenere fuori quelli della fusione fredda, che invece hanno dei gruppetti di ricerca molto piccoli e delle spese modeste…

GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano Oggi in Italia si sta considerando la possibilità di spendere 30.000 miliardi per fare la macchina della fusione calda, ITER. E' assurdo che non ci sia nello stesso ministero un programma che costerebbe un migliaio di volte di meno per fare queste cose qui. Un laboratorio di ricerca della fusione fredda io penso che con un paio di miliardi l'anno possa fare un lavoro a tappeto. Quindi 4, 5 di questi laboratori potrebbero veramente, nel giro di pochi anni, arrivare ad una situazione assolutamente definitiva sulla natura del fenomeno, sui parametri che lo controllano, sulle possibilità di miglioramento e così via.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Ora è legittimo chiedersi: e se avessero ragione loro? Se fossimo ad un passo dal risolvere almeno in parte il problema del pianeta?

EMILIO DEL GIUDICE - Ricercatore La cosa è ben raccontata in una storiella zen che vorrei riproporre. La storiella zen, scritta in modo autobiografico, recita così: "Per tutta la mia vita ho cercato Dio: sui monti, nelle valli, sui mari. Finché un giorno mi sono trovato a passare per un villaggio e su una casa a due piani ho visto un cartello. Mi sono avvicinato ed ho letto "Dio vive qui". Allora ho bussato alla porta e con il cuore in gola pensavo "ancora pochi secondi e vedrò davanti a me lo scopo della mia vita". Ma sono stato preso dal terrore e sono scappato con tutta la forza delle mie gambe. Da allora lo scopo della mia vita è stato unicamente quello di cercare Dio e l'ho cercato ovunque: sui monti, nei mari, nelle valli, negli oceani, ho condotto infiniti pellegrinaggi. Lo cerco dappertutto tranne che in quel maledetto posto dove so con sicurezza di poterlo trovare".

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE E' evidente che noi non sappiamo cosa sia vero e cosa no. Sappiamo invece che molto spesso le grandi scoperte sono venute da singoli che sono andati contro tutto e tutti. Quindi, considerando quello che c'è in ballo, forse un po' più di attenzione i signori che abbiamo appena visto la meriterebbero? Buonasera.

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Ma secondo lei perché fanno così?

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GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano Perché vogliono fermare la fusione fredda. Emilio (Del Giudice) fa questa congettura. La finanza mondiale dice: "noi non siamo pronti a gestire la fusione fredda. Abbiamo bisogno di un po' di anni per ammortizzare le spese della guerra del golfo dove abbiamo inviato 500.000 uomini a presidiare le nostre posizioni. Se arriva la fusione fredda siamo fregati. Ma chi la può fare la fusione fredda? Fleishmann e Preparata. A Fleishmann ci pensano i giapponesi a Preparata ci pensano gli italiani."

VOCE FUORI CAMPO DELL'AUTRICE Ma è un bene che ci pensiamo noi. Poi vendiamo il brevetto.

EMILIO DEL GIUDICE - Ricercatore No, lo teniamo nel cassetto. Anzi ci facciamo pagare per non usarlo.

GIULIANO PREPARATA - Università statale di Milano Così se abbiamo un po' di debiti, questi ce li abbonano tutti perché il servizio che gli facciamo è notevole!

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L'AFFARE AIDS

Paolo Barnard

AZT, DDI, 3TC, inibitori della proteasi: questi sono i nomi dei farmaci più noti per la lotta all’AIDS. Sono tutti nati qui, negli Stati Uniti d’America, e ad essi è aggrappata la speranza di centinaia di migliaia di ammalati.

Ma da tempo un gruppo di autorevoli ricercatori sostiene che l’approvazione di questi farmaci è passata attraverso test incompleti e pressioni di ogni tipo. Il tutto per nascondere al pubblico che gli effetti a lungo termine degli inibitori della proteasi sono sconosciuti e che l’AZT sarebbe inefficace o, addirittura, che avrebbe accelerato la morte di migliaia di ammalati. Quest’ultima accusa è particolarmente scioccante e viene estesa anche alla classe medica ma, soprattutto, alla casa farmaceutica produttrice dell’AZT che, secondo alcuni ricercatori, sarebbe sempre stata a conoscenza della presunta pericolosità di questo medicinale.

MILENA GABANELLI in studio

Questo è l’argomento della puntata di stasera. Paolo Barnard ha realizzato per noi un’inchiesta non facile, perché quando si parla di farmaci, e si assume un atteggiamento critico, si rischia spesso di innescare dei meccanismi che sfuggono al controllo. Noi vorremmo che non accadesse perché non è questo il nostro scopo. Però da anni, attorno alle cure contro l’AIDS, gravano sospetti da parte di ricercatori di calibro mondiale che ci pare doveroso non ignorare. Come non abbiamo ignorato i sostenitori di questi farmaci.

Procederemo per tappe, partendo dalla prima cura, dall’AZT. Poi arriveremo ai nuovi farmaci che sembrano aver portato un po’ di speranza, che sembrano meno tossici, e infine parleremo di come i grandi affari possano influenzare una ricerca che, in assoluto, dovrebbe essere libera da condizionamenti.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Inizi anni ’80. Qui a Castro, quartiere gay di San Francisco, si diffonde una malattia incurabile, terribile. Colpisce soprattutto gli omosessuali, verrà chiamata AIDS, ma sarà subito chiaro che il pericolo di contagio riguarda tutti e non solo le cosiddette categorie a rischio.

1984. Da questo Palazzo, qui a Washington, il dott. Robert Gallo e l’allora ministro della sanità americano Margareth Eckler, annunciano al mondo la scoperta della causa dell’AIDS: è un retrovirus, si chiama HIV, ed è stato isolato per la prima volta in Francia dal dott. Luc Montagnier. Parte la gara per la

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ricerca di una cura.

Tre anni dopo, nel 1987, la multinazionale Wellcome, divenuta poi Glaxo Wellcome, lancia il primo farmaco speranza contro l’AIDS, l’ AZT.

Ed è da qui che comincia la nostra inchiesta.

TITOLI DI TESTA

Elinor Burkett è oggi scrittrice ed editorialista del New York Times, in passato fu candidata al Pulitzer per le sue inchieste su AIDS, scienza e grandi affari.

ELINOR BURKETT – Scrittrice ed editorialista del New York Times

Dobbiamo considerare il clima socio-politico negli Stati Uniti alla metà degli anni ’80. L’AIDS stava terrorizzando la nazione, non c’erano farmaci né cure e l’amministrazione Reagan sembrava incapace di reagire.

Improvvisamente venne annunciata la scoperta di un farmaco promettente e il governo ci si buttò a capofitto senza andare tanto per il sottile.

AUTORE

Siamo dunque alla fine degli anni ’80 e l’AIDS sta mietendo vittime in tutto il mondo. L’unica speranza farmacologica è ancora l’AZT ma proprio da questa università, qui a Berkely, in California, una voce colpisce il mondo scientifico con un’affermazione che ha dell’incredibile: l’AZT non solo non sta aiutando nessuno ma addirittura sta accelerando la morte di migliaia di pazienti.

Chi parla è il Prof. Peter Duesberg, un grande virologo, membro dell’Accademia Americana delle Scienze.

PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely

Alla scoperta dell’AZT fu detto che nel suo studio sperimentale la mortalità dei pazienti che l’avevano preso era calata drammaticamente. Ciò ne aveva permesso l’approvazione da parte della Food and Drug Administration.

Bene: ad una lettura attenta di quello studio scoprimmo che non era mai stato completato e i pazienti studiati sapevano benissimo chi prendeva AZT e chi invece le pillole placebo e che quelli in AZT erano sopravvissuti di più solo grazie a massicce trasfusioni di sangue. Infine la Wellcome ci aveva messo abbondantemente lo zampino.

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ELINOR BURKETT – Scrittrice ed editorialista del New York Times

Quello studio rimane per me un mistero. Margaret Fischi, l’autrice principale, era una scienziata sconosciuta, senza alcuna esperienza in virologia. La domanda che allora mi posi fu: "perché per uno studio di quel calibro non furono scelti ricercatori di comprovata esperienza?" Non ebbi risposta.

AUTORE

A questo punto il Prof. Duesberg è in serie difficoltà. Infatti molte riviste lo definiscono come un brillante scienziato che ha perso la ragione. Ma a soccorrere le tesi di Duesberg, inaspettatamente, arriva il Dott. Kary Mullis, premio nobel per la chimica del 1993. Esplode il caso.

DOTT. KARY MULLIS – Premio Nobel per la chimica

L’AZT è un chemioterapico che già nel 1967 era stato cestinato per la sua eccessiva tossicità. Sappiamo che con il cancro si danno chemioterapici per un tempo limitato nella speranza di uccidere il tumore prima del paziente. Ma quale oncologo prescriverebbe un chemioterapico ogni giorno per due anni?. Con l’AZT fu fatto.

PROF. PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely (su immagini di DNA)

Cercherò di spiegarvi come agisce l’AZT. Il DNA umano è formato sostanzialmente da 4 elementi di base che io ho qui rappresentato immaginandoli come 4 ragazzini. Un nero, una bianca, una nera e un bianco. Nel linguaggio chimico il primo ragazzino di colore si chiama timina (e infatti scrivo qui sotto la lettera "T"). Il farmaco AZT è stato disegnato come una sua copia esatta ma invece di avere due braccia, come la vera timina, è stato costruito con un braccio solo. E quello è il trucco che gli permette di uccidere il DNA, perché quando l’AZT si attacca agli altri elementi del DNA in formazione, la catena non può continuare perché nessun altro elemento si può attaccare a questo ragazzino senza un braccio.

In tale modo, però, l’AZT uccide anche il DNA di molte altre cellule sane e non solo il DNA della trascrittasi del virus HIV. Anzi l’AZT colpisce molte più cellule sane di quanto possa fare col virus. E perciò, usando un esempio comprensibile, l’AZT funziona come un cacciatore che, per uccidere 10 conigli, brucia tutto il bosco bombardandolo con il napalm.

23/9/97: Report contatta la Glaxo. Chiediamo un’intervista.

AUTORE

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Fra l’ortodossia scientifica e i grandi eretici ci sono voci che vanno ascoltate. Una è proprio qui al Greenwich Village di New York ed è quella del Prof. Sonnabend, uno scienziato preparatissimo che ha lavorato per la Columbia University e per il celeberrimo Mount Sinai. La sua esperienza clinica con gli ammalati di AIDS è una delle più vaste in America.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Dott. Sonnabend, si può dire che l’AZT abbia accelerato la morte di certi pazienti invece che ritardarla?

PROF. JOSEPH SONNABEND – Royal College of Physicians - Edimburgh

Penso che l’AZT abbia fatto un po’ entrambe le cose. Magari ha ritardato la morte in alcuni ammalati per un tempo limitato ma non c’è dubbio che, alla fine, possa aver compromesso in maniera fatale la condizione di altri. Ciò accadeva soprattutto alla dose di 1200 mg di AZT al giorno ed è stato provato da studi pubblicati sulle riviste scientifiche come il New England Journal Medicine.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Tu hai avuto un’esperienza piuttosto traumatizzante con una persona che conoscevi. Ne vuoi parlare?

VOCE FUORI CAMPO DI DONNA

Si è morto il mio compagno. Anche lui ha assunto l’AZT per un anno e dopo un anno è entrato nella malattia. L’AZT forse lo ha distrutto. Era una persona più fragile di me, sicuramente….

AUTORE

Qui al National Institute of Health di Washington lavora Anthony Fauci, un membro dell’elite della ricerca sull’AIDS in America. A lui la parola.

DOTT. ANTHONY FAUCI – National Institute of Health Washington

Non ci sono prove schiaccianti a favore della tesi che l’AZT abbia ucciso dei pazienti. E’ vero che la dose prescritta inizialmente era troppo alta, troppo tossica. Oggi lo sappiamo. Ma il rapporto beneficio/danno è stato certamente a favore di questo farmaco. Su questo c’è ampio consenso fra gli studiosi.

PROF. FERDINANDO AIUTI

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Quando degli studi internazionali dimostrano che in una parte dei soggetti un farmaco allunga la vita, rispetto al soggetto di controllo che non lo prende, ci potrà essere pure qualche soggetto nel quale la vita è accorciata, per imperizia o perché viene dato nonostante, per esempio, l’anemia. Ma per la massa quello è un farmaco che allora doveva essere usato.

PROF. PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely

Gli effetti collaterali dell’AZT sono pesantissimi. Causa atrofia muscolare e una grave anemia e in più uccide alcune cellule del sistema immunitario, generando un crollo delle difese perché colpisce il midollo osseo. Ma danneggia anche l’intestino e il cervello, causando demenza. Infatti l’AZT uccide i mitocondri che nelle cellule cerebrali sono fonti di energia. Ma, a chi non mi crede, suggerisco di leggere quello che la stessa Wellcome scriveva sui foglietti illustrativi dell’AZT. E sapete cosa scriveva? Che spesso non riuscivano a distinguere i sintomi causati dall’AIDS da quelli causati dalla somministrazione del loro farmaco AZT.

AUTORE (su immagini di foglietto illustrativo del farmaco)

Questo è il foglietto illustrativo del farmaco AZT così come verrebbe consegnato ad un qualunque paziente qui in America e questo è l’ingrandimento della frase contenuta in questo foglietto che il Prof. Duesberg mette sotto accusa. Era "spesso difficile distinguere gli effetti collaterali, derivanti dalla somministrazione dell’AZT, dalle manifestazioni patologiche tipiche dell’AIDS". Miopatie e miositi con mutamenti patologici simili a quelli causati dall’AIDS sono stati associati alla lunga somministrazione dell’AZT.

PROF. FERDINANDO AIUTI

Se lei vede i foglietti illustrativi dei farmaci anticancerosi trova scritto che abbassano le difese immunitarie, che fanno venire l’anemia, che fanno venire addirittura il rischio di altri tumori. Ogni farmaco ha effetti collaterali e tossici. Bisogna saperlo usare e modulare.

24/9/96: Secondo contatto con la Glaxo: ci chiedono chiarimenti

PROF. PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely

Alla Glaxo Wellcome non sono molto popolare e allora ho ordinato dell’AZT presso la ditta americana Sigma. Quando l’ho ricevuto ho trovato questo avvertimento: "tossico per inalazione, al tatto e se ingerito. Vestire tute protettive". Questa roba viene prescritta ogni giorno a migliaia di persone nel mondo, inclusi i bambini, e tutto per sconfiggere un virus, l’HIV, che ancora

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nessuno sa con certezza se è o non è la causa dell’AIDS.

RAGAZZA

Io so di essere sieropositiva dal 1989 ma non ho cominciato subito a prendere farmaci. Anzi, per l’esattezza, ho rifiutato l’AZT dal 1989 fino a settembre del 1993. I medici mi hanno sempre fatto pressione, io sono sempre riuscita a dire di no fino al 1993 anche perché non c’era molto motivo di assumere farmaci, dal momento che la mia situazione immunitaria era stabile. Poi alla fine ho ceduto e ho cominciato a prendere l’AZT nel 1993 e da allora sono iniziati i guai.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Conosci, a onor del vero, persone che hanno preso per anni l’AZT e che non hanno avuto risultati disastrosi?

RAGAZZA

Si, ne conosco tanti, ma conosco anche tanti altri che hanno avuto dei risultati negativi come me.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Quando hai preso l’AZT hai avuto effetti collaterali spiacevoli?

RAGAZZO

Assolutamente no.

PROF. PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely

Ci sono persone il cui organismo tollera meglio l’AZT eliminandolo con l’urina, senza permettergli di espletare in pieno la sua azione nociva. Questo è il motivo per cui, grazie al cielo, non tutti i pazienti che assumono l’AZT vengono colpiti da sintomi avversi.

MILENA GABANELLI in studio

E adesso apriamo un altro capitolo: quello che riguarda l’informazione. I giornalisti non sono medici e capita che riportino quello che dicono gli esperti. Tutto questo, in genere, avviene in buona fede. Ma come vedremo, a volte le cose vanno diversamente. E poi c’è il rapporto medico/paziente. Da un lato il malato, che in questo caso specifico è disposto ad aggrapparsi a tutto, dall’altra i medici che seguono i protocolli e le direttive. Ma non sempre, magari anche

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per ragioni comprensibili, informano in modo completo.

DOTT. VITTORIO AGNOLETTO – Presidente LILA Nazionale – Milano

Non dimenticherò mai un episodio, proprio dopo la Conferenza Mondiale sull’AIDS di Berlino del 1993. Diventava pubblico lo studio Concorde che parlava dei limiti delle terapie con AZT in monoterapia. Su un’importante rivista medico-sanitaria italiana uscì articolo, firmato da due componenti della commissione nazionale AIDS, che esaltava il ruolo della monoterapia in AZT. Noi telefonammo per informarci e scoprimmo che quell’articolo, che sembrava un redazionale, era un articolo pubblicato a pagamento.

AUTORE

Ed è proprio qui, al Medical Research Council di Londra, che gli scienziati anglo-francesi del gruppo Concorde pubblicarono i risultati del più grande studio mai effettuato sull’AZT: 1700 pazienti, 4 anni di lavoro. Uno studio che fece perdere il sonno a molta gente.

DOTT.SSA JANET DARBYSHIRE – Medical Research Council – Londra

Si per noi, autori di quello studio, fu un momento abbastanza difficile perché qualcuno non gradì la nostra scoperta, una scoperta che dimostrava i seri limiti dell’AZT. Si mosse un gran polverone e non sempre riuscimmo a spiegare ciò che avevamo da dire.

ELINOR BURKETT – Scrittrice e editorialista del New York Times

A quei tempi la Wellcome aveva già investito migliaia di miliardi sulle terapie anti AIDS. Ricordo bene la conferenza stampa che i dirigenti di questa casa farmaceutica indissero all’indomani dell’uscita dello studio Concorde. La loro reazione non fu di informare i pazienti e di tranquillizzarli. Si premurarono, invece, di riempire la sala di giornalisti finanziari e di operatori di Wall Street per assicurare i loro azionisti nel mondo.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Dottor Agnoletto, il diritto alla salute passa anche e soprattutto attraverso una corretta informazione data al paziente. Nel caso delle terapie anti HIV questa informazione c’è stata?

DOTT. VITTORIO AGNOLETTO – Presidente LILA Nazionale – Milano

No, non possiamo ammettere che ci sia sempre stata questa informazione. Molti non sono stati informati sugli effetti collaterali che questi farmaci potevano

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produrre oppure sul fatto che esisteva un’ampia letteratura medico-clinica critica rispetto al loro utilizzo.

DOTT. DAVID RASNICK – Università della California – San Francisco.

Una delle cose che non viene detta ai pazienti riguarda l’esame della carica virale. Gli ammalati credono che questo esame misuri la quantità di virus HIV nel sangue. Se la carica virale è alta al paziente viene detto che è un brutto segno ma proprio il famoso David Oh ha dimostrato che nel sangue di un paziente, per ogni 100.000 copie di RNA virale, in realtà c’è in media un solo virus infettivo, uno solo. Tutte quelle copie che si trovano, sono pezzi di virus morto o difettoso.

PROF. FERDINANDO AIUTI

Oggi si sa che l’obiettivo è ridurre a zero la replicazione virale perché anche una sola particella virale è in grado di danneggiare il sistema immunitario.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Dott. Sonnabend, da medico, ci chiarisca una cosa: migliaia di medici in tutto il mondo hanno prescritto l’AZT. E’ credibile che fossero proprio tutti degli incoscienti, o peggio, degli imbroglioni?

DOTT. DAVID RASNICK – Università della California – San Francisco.

La maggior parte dei medici è abituata a seguire le indicazioni dei leader scientifici e non conduce ricerche indipendenti. In sostanza prende le nozioni per buone e non fa troppe domande. Chi invece ha grandi responsabilità sono proprio i leader accademici di cui parlavo, e questi sono spesso nelle mani delle grandi case farmaceutiche. Ma non ci scordiamo che furono anche gli ammalati a spingere affinché questi farmaci fossero provati senza studi più approfonditi.

RAGAZZA

Conosco persone, e so per certo che è così perché le conosco bene, che sono state trattate malissimo perché si sono rifiutate di prendere l’AZT perché stavano ancora bene. Queste persone si sono trovate davanti medici che le hanno quasi sbattute fuori dall’ambulatorio dicendo "ma lei, se non vuole fare la terapia cosa viene a fare qui? Non venga più neanche a fare gli esami!".

PROF. PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely

Proprio ieri ho ricevuto questa lettera scritta da una donna sieropositiva che ha

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appena partorito un bimbo. Mi scrive che i suoi medici la terrorizzarono a tal punto, da assumere l’AZT durante la gravidanza. Soffrì di febbri violente, tremori, perdita dell’appetito e di peso finché si ribellò e gettò il farmaco nella spazzatura. Oggi si preoccupa per gli effetti nocivi che l’AZT potrebbe aver avuto sul feto e si dice indignata per il trattamento ricevuto.

RAGAZZA

Dato positivo è che io, dopo 6 anni di frequentazione di questa divisione di malattie infettive in cui mi sono trovata così male, 2 anni fa, grazie al consiglio degli amici della LILO, ho deciso di cambiare ospedale e mi sono imbattuta in una persona squisita. Un medico bravo e soprattutto molto umano al quale mi sono sempre rivolta e che mi ha sempre trattato con rispetto, anche nei momenti in cui ho rifiutato quello che mi veniva proposto.

MILENA GABANELLI in studio

L’AZT era l’unica cura ufficialmente praticata fino a due anni fa. Poi sono usciti nuovi tipi di inibitori della trascrittasi inversa, cugini dell’AZT, e dal novembre del 1995 negli Stati Uniti, e da circa 1 anno in Italia, viene somministrata una cura che dovrebbe essere più efficace e meno tossica: i famosi cocktail anti AIDS. Ma anche su questo c’è polemica. E poi c’è la questione che riguarda le donne incinte che continuano ad essere trattate in monoterapia con AZT. E su questo punto, da più parti e da molto tempo, c’è polemica.

PROF. FERDINANDO AIUTI

Ma lo sa lei che l’AZT in gravidanza ha ridotto in studi controllati la trasmissione dalla madre al bambino dal 20% al 7%?

PROF. PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely

Uno studio anglo-indiano pubblicato sull’autorevole rivista scientifica "The Journal of AIDS" ha mostrato quali danni l’AZT possa procurare al feto. Su 104 donne studiate, 16 persero il bambino e 8 ebbero figli malformati. Attenzione: ricordate sempre che non è ancora dimostrato che l’HIV sia la causa dell’AIDS. Lo stesso Anthony Fauci firmò uno studio che denunciò gravissimi danni ai bambini sieropositivi in monoterapia con l’AZT. Vorrei far notare che qui a Berkely abbiamo documentato il caso di un piccolo sieropositivo che a due anni, sotto AZT, stava morendo. I genitori interruppero la cura e oggi il bambino ha sei anni, è sempre sieropositivo, ma è sano come un pesce.

DOTT. ANTHONY FAUCI – National Institute of Health – Washington

L’unica terapia oggi conosciuta per ridurre la trasmissione dell’HIV dalla madre

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incinta al feto è quella con l’AZT. Tuttavia, se i medici, in seguito al test della viremia, scoprono che la donna sieropositiva in stato di gravidanza ha un livello di carica virale molto alta, allora le va somministrata una terapia formata dalla giusta combinazione di farmaci.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Su questo punto critico, come su altri, abbiamo sentito l’opinione del Prof. Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano, un’autorità di calibro mondiale in campo farmacologico.

PROF. SILVIO GARATTINI – Direttore Istituto Mario Negri – Milano

Ritengo che dietro questi tipi di terapia ci sia anche una grande carica emotiva, il desiderio di fare qualcosa di utile, però dobbiamo essere molto attenti e distinguere tra le speranze che abbiamo e i dati di fatto. Quindi, prima di fare in modo che una terapia divenga generalizzata, bisogna essere sicuri che i vantaggi siano superiori ai rischi e mi sembra che questo ancora non esista nel campo di cui stiamo parlando.

A Londra l’autore contatta personalmente la Glaxo. Non viene ricevuto.

DOTT. VITTORIO AGNOLETTO – Presidente LILA Nazionale – Milano

Abbiamo appena concluso una ricerca finanziata dall’Istituto Superiore di Sanità. Dobbiamo ancora rendere pubblici tutti i risultati però posso anticipare una cosa che veramente ci ha preoccupati moltissimo: ancora nella primavera del ’97, tra le persone sieropositive alle quali abbiamo rivolto un questionario e sulle quali abbiamo svolto un’indagine, emerge che l’8% è ancora trattato in monoterapia con AZT.

PROF. FERDINANDO AIUTI

Secondo me questa cifra dell’8% è pure sottostimata. Fino a poche settimane fa stavamo almeno al 25%.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Ma è gravissimo!

PROF. FERDINANDO AIUTI

E’ grave perché significa un ritardo da parte dei medici nel recepire le nuove linee guida.

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I cocktail di farmaci

AUTORE

Oggi la speranza di sconfiggere il virus HIV è riposta negli inibitori della proteasi, quei farmaci che formano i cosiddetti cocktail anti AIDS. Ma anche questi sono al centro di un dibattito serrato.

In questo laboratorio dell’università della California, a San Francisco, lavora il dott. David Rasnick che ha passato 15 anni della sua vita proprio ad inventare gli inibitori della proteasi. A lui la parola.

DOTT. DAVID RASNICK – Università della California – San Francisco.

Il grande pubblico ha sentito parlare di questi farmaci solo di recente per via del loro uso nei cocktail anti AIDS. Per molti anni le case farmaceutiche li produssero per altre applicazioni come, per esempio, per il controllo della pressione sanguigna. Quando lavoravo per la casa farmaceutica Abbott ne preparai diversi. Accadde però che non si trovò l’utilizzo per tutti questi inibitori che così finirono negli scaffali a prendere polvere, per così dire.

Poi arrivò l’impiego contro il virus HIV e improvvisamente la Abbott si trovò in prima fila. Purtroppo, come nel caso dell’AZT, gli studi controllati sugli inibitori della proteasi usati nell’AIDS non sono mai stati completati per cui gli effetti che questi farmaci avranno a lungo termine si scopriranno direttamente nei pazienti che li prendono. Questo non è proprio il massimo della sicurezza. Sulla loro efficacia posso dire che sicuramente fermano la replicazione del virus dell’HIV ma molti di noi si chiedono "è ancora credibile che l’HIV sia la causa dell’AIDS"?

DOTT. ANTHONY FAUCI – National Institute of Health – Washington

Gli inibitori della proteasi, dati assieme ad altri farmaci nei cosiddetti cocktail anti HIV, hanno generato risultati di tutto rispetto, specialmente se si considera la difficoltà che si aveva prima nel controllare la replicazione del virus. Negli Stati Uniti, per esempio, fra il 1995 e il 1996 la mortalità da AIDS è calata del 23% e anche il numero dei ricoveri sì è ridotto in una certa misura.

Con gli inibitori della proteasi si sono visti effetti collaterali meno severi di quelli associati ai farmaci precedenti.

DOTT. DAVID RASNICK – Università della California – San Francisco.

Credo che oggi la posizione più giusta sia quella di non pronunciarsi sull’efficacia e la sicurezza degli inibitori della proteasi. Infatti non ci sono

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ancora studi controllati che lo dimostrino. Il New York Times ha recentemente pubblicato in prima pagina un articolo/avvertimento sulla crescente inefficacia delle triplici terapie con questi inibitori.

DOTT. ANTHONY FAUCI – National Institute of Health – Washington

Se analizziamo tutti i dati disponibili, bisogna ammettere che rispetto alle previsioni di laboratorio la realtà clinica è meno brillante. In effetti questi inibitori in triplice terapia danno risultati positivi che vanno dal 65% al 55% dei casi. Rispetto al passato è comunque un salto in avanti.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Parte della sua rinascita passa anche attraverso l’assunzione degli inibitori della proteasi in combinazione con altri farmaci.

DONNA

Si, è vero. Circa sei mesi fa ho cominciato a rendermi aperta anche a questa possibilità perché avevo visto delle persone che da spacciate stavano notevolmente meglio e mi sono detta "perché non provare?".

Quello che voglio dare oggi come oggi è un messaggio di speranza, almeno nel mio caso. Anche se credo che ogni caso sia a sé, gli effetti sono stati buoni, sto molto meglio fisicamente, sento una forza fisica e una potenza che negli anni, io da molti anni sono sieropositiva, stava scemando.

PROF. JOSEPH SONNABEND – Royal College of Physicians – Edimburgh

Ho visto persone che oggi sarebbero morte ritornare in vita con gli inibitori della proteasi. Non c’è dubbio che siano un gran balzo in avanti ma alcuni punti vanno sottolineati con forza. Primo: il declino della mortalità e dei ricoveri degli ammalati è iniziato prima dell’arrivo degli inibitori. Secondo: ho visto pazienti che assumono questi farmaci guarire dal sarcoma di Kaposi ma ho visto lo stesso tumore apparire in altri che prendevano i medesimi medicinali. Terzo: ritengo assolutamente poco scientifica, e persino pericolosa, la decisione di certi colleghi di somministrare gli inibitori della proteasi a pazienti sieropositivi ma senza sintomi particolari. Inoltre l’uso della carica virale, come guida per la prescrizione di queste terapie, non ha alcun valore scientifico.

PROF. SILVIO GARATTINI – Direttore Istituto Mario Negri – Milano

Noi dobbiamo avere delle prove inconfutabili sul fatto che questi trattamenti aumentano la sopravvivenza. Se abbiamo questi dati possiamo poi anche giustificare il tipo di effetti collaterali e di tossicità che, eventualmente,

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accompagnano l’azione di questi farmaci.

DOTT. DAVID RASNICK – Università della California – San Francisco.

Per ciò che riguarda gli effetti collaterali finora conosciuti degli inibitori della proteasi, essi colpiscono in genere l’apparato digestivo, i reni e il fegato. Il crixivan è quello che maggiormente danneggia i reni, talvolta con la formazione di calcoli, ma sembra dare anche problemi, talvolta, all’apparato digerente. Il ritonavir inibisce degli enzimi del fegato essenziali per disintossicare questo organo. Il paziente potrebbe così accumulare alti livelli di tossicità nel fegato senza eliminarli e questo è un pericolo.

PROF. FERDINANDO AIUTI

Quando si dice che questi farmaci sono in grado di bloccare la replicazione virale e che nel siero dei pazienti non si trova più il virus, non significa che il virus sia scomparso significa solo che oggi, con le tecniche disponibili, nel sangue il virus è così poco presente tanto da non riuscire a trovarlo.

DOTT. ANTHONY FAUCI – National Institute of Health – Washington

Per il futuro e per coloro che nel futuro, per vari motivi, già oggi non possono prendere gli inibitori della proteasi, abbiamo in cantiere farmaci sempre più mirati. In questo paese ci sono già molti medicinali in via di sperimentazione che attendono di essere approvati dalla Food and Drug Administration. Dovremmo partorire i primi risultati entro breve e la strategia che stiamo seguendo è sempre quella di individuare diversi bersagli nel virus HIV e di colpirli contemporaneamente.

ELINOR BURKETT – Scrittrice ed editorialista del New York Times

Mi preoccupa il fatto che oggi i giovani pensino che l’AIDS è divenuta una malattia cronicizzabile, come il diabete, per merito degli inibitori della proteasi stupidamente esaltati dai media. Alcuni qui in America hanno persino smesso di prendere precauzioni e di usare i preservativi. Tanto, dicono, i medici hanno ormai in mano la cura. Insomma il loro ragionamento è "chi se ne frega se mi infetto". Ma non c’è niente di più sbagliato.

MILENA GABANELLI in studio

La parte più dolente: il business. Sarebbe ipocrita ignorarlo ma, come vedremo, è difficile pensare che questa malattia non sia stata trattata da parte delle case farmaceutiche come un qualunque altro prodotto commerciale, con le stesse regole di mercato e concorrenza.

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DOTT. KARY MULLIS – Premio Nobel per la chimica

Negli Stati Uniti gli enti di tutela per la salute pubblica non fanno i test per l’approvazione dei nuovi farmaci ma aspettano che altri li conducano per loro. Nel caso dell’AZT la Wellcome, che oggi si chiama Glaxo Wellcome, finanziò centinaia di medici ricercatori in diversi ospedali americani, persino dentro le università, al punto che costoro si ritrovarono nell’impossibilità di esprimere qualunque giudizio obiettivo sul farmaco. E come potevano? La Wellcome voleva che il farmaco funzionasse.

AUTORE

Questo è un lavoro scientifico del dott. David Ho, uno dei nomi più altisonanti nella ricerca sull’AIDS. La data è marzo 1996. In questo lavoro il dott. Ho, tra le altre cose, doveva testare l’efficacia del ritonavir, un inibitore della proteasi prodotto dalla casa farmaceutica Abbott. Questo lavoro si scopre essere sponsorizzato, in parte dalla casa farmaceutica Abbott, ma soprattutto si scopre che un coautore del lavoro, il dott. Leonard, è un dipendente di punta della Abbott. Report ha chiesto un chiarimento all’ufficio del dott. Ho, a New York, ma non c’è stata data risposta.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Che indipendenza e serenità possono avere questi ricercatori con interferenze di questo tipo?

PROF. SILVIO GARATTINI – Direttore Istituto Mario Negri – Milano

Questo non è, purtroppo, il solo caso di invadenza dell’industria farmaceutica negli studi clinici. In questo campo la maggior parte degli studi clinici controllati è più o meno di fonte industriale.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Dott. Agnoletto, da questa inchiesta emerge che probabilmente esiste davvero una seria commistione tra case farmaceutiche e ricercatori, anche ricercatori governativi, come per esempio è successo negli Stati Uniti. In Italia questa situazione esiste o è un fantasma senza sostanza?

DOTT. VITTORIO AGNOLETTO – Presidente LILA Nazionale – Milano

No direi che purtroppo questa commistione è ancora estremamente forte. Io mi sono impegnato e devo dire che ho trovato da parte del ministro Bindi un’attenzione su questo e affinché in commissione nazionale AIDS, la commissione che decide i protocolli terapeutici da utilizzare, non fossero

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presenti quei ricercatori che hanno delle commesse private o comunque svolgono o hanno svolto consulenze per le stesse case farmaceutiche che producono i farmaci contro l’AIDS.

VOCE FUORI CAMP DELL’AUTORE

Lei personalmente, che faceva parte della commissione AIDS, ha mai avuto consulenze con grosse case farmaceutiche come l’Abbott o la Glaxo, per esempio?

PROF. FERDINANDO AIUTI

Il ministro Rosi Bindi ha cambiato la commissione, così ha dichiarato, per un problema di rotazione e di fiducia nei confronti in altri membri. Io ho già risposto pubblicamente che, insieme ad altri colleghi, non avevo nessun rapporto di consulenza con le industrie farmaceutiche.

DOTT. VITTORIO AGNOLETTO – Presidente LILA Nazionale – Milano

Anche nella ricerca italiana gestita dall’Istituto Superiore della Sanità nel passato ci sono state sovrapposizioni di ruolo che forse non erano proprio trasparenti. Abbiamo avuto una commissione che giudicava i progetti d ricerca attribuendo 28 miliardi che, in gran parte, era composta dalle stesse persone che presentavano quei progetti.

PROF. FERDINANDO AIUTI

In maniera provocatoria potrei dire: visto che il ministro Rosi Bindi forse pensa questo, o qualcuno glielo ha messo nell’orecchio, io finora non ho mai fatto il consulente (purtroppo le case farmaceutiche non me lo hanno mai offerto) ma se adesso me lo offrissero, la Glaxo, la Abbott, la Wellcome, la Roche, essendo libero da impegni di commissione, ovviamente con una normale fatturazione, mi farebbe piacere guadagnare centinaia di milioni dalle industrie farmaceutiche. Purtroppo, fino ad adesso, non ho mai ricevuto queste offerte. Spero di averle.

PROF. SILVIO GARATTINI – Direttore Istituto Mario Negri – Milano

Purtroppo la maggior parte dei congressi che riguardano l’AIDS, i corsi, le conferenze, i seminari, sono sostenuti dall’industria farmaceutica che è direttamente interessata nella vendita di questi prodotti. E’ scandaloso perché tutto questo meccanismo tende a diminuire la libertà, l’indipendenza di giudizio.

MILENA GABANELLI in studio

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Il buonsenso suggerirebbe che gli apporti di tutti i ricercatori dovrebbero essere considerati con attenzione poiché si tratta di un argomento sul quale non c’è certezza. Ma non sempre le cose vanno così.

E se qualcuno si oppone?

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Dott. Mullis lei ha pubblicamente dichiarato che non ci sono prove certe che l’HIV causi l’AIDS ed è un critico severo della condotta delle case farmaceutiche. Ha sofferto di ripercussioni?

DOTT. KARY MULLIS – Premio Nobel per la chimica

Se per ripercussioni si intende l’essere tenuto lontano dai convegni internazionali sull’AIDS, si, mi è successo. Ci sono personaggi che, nonostante il peso della mia autorevolezza scientifica, sperano sempre che io venga messo a tacere e sarete sorpresi nell’apprendere che qualche anno fa arrivarono al punto di spedirmi un assegno di 6000 dollari affinché non mi presentassi ad un convegno al quale essi stessi mi avevano invitato. Anzi, ricordo che tempo prima la Wellcome mi aveva addirittura pregato di accettare l’invito a quel convegno. Quasi mi supplicarono di andarci. Poi la Glaxo si comprò la Wellcome ed ecco che per me, di colpo, non c’era più posto.

PROF. PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely

Da quando mi sono opposto all’incompetenza con cui certi miei colleghi hanno venduto al mondo la teoria dell’origine virale dell’AIDS e da quando ho criticato il farmaco AZT, non vengo più pubblicato sulle riviste scientifiche che prima mi accoglievano senza riserve. Ho inoltrato 22 richieste di finanziamento per la ricerca e non ne è stata approvata neppure una. Neanche quelle per la ricerca sul cancro, dove io sono famoso per essere stato il primo scienziato al mondo a scoprire un gene oncogeno. Vedete, in questo paese sono gli scienziati stessi che decidono se un ricercatore possa o no fare carriera, perché la distribuzione dei fondi di ricerca passa per le loro mani. Qualunque dissenso che metta in pericolo le loro carriere miliardarie viene stroncato.

PROF. JOSEPH SONNABEND – Royal College of Physicians – Edimburgh

La reazione al mio dissenso, anche se non mi sono mai alleato a Duesberg e Mullis, è stata severa. Una volta sedevo con Robert Gallo ai maggiori convegni sull’AIDS oggi non mi invitano più. Il mondo della ricerca sull’AIDS è più malato dei pazienti che dovrebbe aiutare, perché è tutta una corsa al marketing sotto il giogo dell’arroganza delle case farmaceutiche che nella furia del profitto vendono farmaci a volte letali.

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DONNA

Fiducia, che dire? Penso ci siano in gioco interessi veramente grossi. Di potere, di denaro che hanno poco a che vedere con la volontà da parte di queste persone di salvarci la vita. Non penso gliene possa fregare niente di me.

ELINOR BURKETT – Scrittrice ed editorialista del New York Times

Alla fine rimango sempre con un sentimento di tristezza e di preoccupazione per il fatto che spesso la gente che guarda programmi come questo o che legge il mio libro pensa "per fortuna a me non tocca, io non ho l’AIDS". Ma non c’è nulla di più miope, di più sbagliato, perché se questo è ciò che sta capitando con la ricerca sull’AIDS, se i profitti multimiliardari della Glaxo Wellcome impediscono al mondo di trattare l’AIDS come una malattia invece che come un gigantesco business, allora state pur certi che la stessa cosa sta succedendo con il cancro, con l’infarto e con ogni altra malattia che minaccia la nostra vita.

MILENA GABANELLI in studio

Abbiamo fatto più tentativi, abbiamo sperato fino all’ultimo di avere dalla casa farmaceutica in questione una spiegazione che sconfessasse le accuse di condizionamento della ricerca. Purtroppo non ci è stata data nessuna risposta. E’ una triste conclusione ma va ricordato che negli ultimi due anni sono stati fatti progressi che hanno reso, e che stanno rendendo, migliore l’aspettativa di vita delle persone colpite dal virus. Questo è successo nonostante le porcherie. Significa che ci sono medici, specialisti e ricercatori che dedicano con onestà tutto il loro sapere a rendere migliore la qualità della nostra vita. Sono tanti e lo sappiamo tutti.

Grazie per chi è riuscito a seguirci fin qui. Arrivederci.

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TV E AUDITEL

Paolo Barnard, Sabrina Giannini

INTERVISTATORE: Mi spieghi come funziona?

FAMIGLIA AUDITEL: Allora, accendo il televisore, dopo qualche secondo compare la scritta sul meter che chiede chi è presente. Il telecomando ha, dei numeri: 1-2-3-4. Il numero 1 corrisponde generalmente al capofamiglia, che è il padre, 2 la madre, 3 uno dei figli, 4 l'altro figlio e arriva fino a 9 componenti che comprendono genitori e figli. In questo caso io posso digitare 1 che è quindi il capofamiglia, e vuol dire che il numero 1 sta guardando questo programma.

MILENA GABANELLI IN STUDIO: Questa era una famiglia auditel che spiegava cosa deve fare ogni volta che accende il televisore. Come tutti sapete queste famiglie sono segrete perché le loro scelte che finiscono tutte dentro le scatoline nere sono determinanti per la programmazione televisiva. Però, prima di continuare con questa famiglia, facciamo un salto indietro e vediamo un confronto tra Italia e Inghilterra, sulla tv pubblica e privata. Sabrina Giannini e Paolo Barnard

SABRINA GIANNINI: No, non è la BBC, questa è la RAI, la RAI-TV. La televisione pubblica che con altre 700 in Italia si contende il pubblico.

PAOLO BARNARD: Anche in Inghilterra due giganti dell'etere si contendono milioni di telespettatori: sono la BBC1 e la BBC2, il servizio pubblico per cui gli inglesi pagano il canone, e ITV, la più nota televisione commerciale d'Europa. In tutto però i canali disponibili via etere sono 5, perché ai tre canali già menzionati si uniscono Channel 4 e Channel 5. Il nostro punto di partenza può essere solo uno perché.. questa è la BBC

MATTEO MAGGIORE - Direttore Affari Europei BBC: Il direttore generale della BBC è nominato dai governatori che sono l'organo di controllo della BBC. I governatori sono nominati per un periodo di 4 anni dalla Regina su proposta del Governo. Ci sono 12 governatori, un presidente e un vice presidente. La BBC ha dovuto combattere duramente nella sua storia per ottenere gradi crescenti di indipendenza. Ci sono stati tentativi ripetuti, nel corso anche di anni recenti, di esercitare influenza politica sulla programmazione e sulla linea editoriale della BBC.

MILENA GABANELLI IN STUDIO: Questa era la BBC. In RAI l'equivalente dei governatori è il Consiglio di Amministrazione che sono 4 più il presidente, ed è eletto dai Presidenti delle Camere. Poi c'è il direttore generale che è eletto dal

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Consiglio di Amministrazione e dall'IRI. Ma quanto tempo rimangono in carica?

RUBENS ESPOSITO - Direttore affari legali RAI: I presidenti delle Camere così come nominano possono revocare.

SABRINA GIANNINI: Quanto tempo deve stare in nomina il Consiglio di Amministrazione?

RUBENS ESPOSITO - Direttore affari legali RAI: Stando alla legge del '93 due anni. Finora si è verificato così, una vita più breve del previsto, legata probabilmente a cambi di maggioranza governativa.

SABRINA GIANNINI: Questo dimostra il legame tra Parlamento e Rai!

RUBENS ESPOSITO - Direttore affari legali RAI: Il legame è fisiologico, non è anomalo. Diventa anomalo quando crescono le interferenze.

MILENA GABANELLI IN STUDIO: Come si finanzia la Tv pubblica e quella privata? Quante sono le interruzioni pubblicitarie? Qual è il tetto massimo per una tv commerciale italiana ed una inglese? Il canone RAI è di 167 mila lire l'anno. Qual è quello della BBC?

RUBENS ESPOSITO - Direttore affari legali RAI: I proventi del canone arrivano a 2.400 2.500 miliardi l'anno, quelli da pubblicità a 1.200 - 1.300.

FERDINANDO DI CHIO - Responsabile ufficio marketing Mediaset: Mediamente sono 12 minuti di pubblicità all'ora.

SABRINA GIANNINI: Noi sappiamo che l'affollamento pubblicitario di Mediaset è pari al 18% orario, il 15% giornaliero, mi dice qual è quello della RAI?

PIERO ZUCCHELLI - Vice Direttore coordinamento palinsesti RAI: il tetto RAI è del 12%, fissato per legge

FERDINANDO DI CHIO - Responsabile ufficio marketing Mediaset: I film in prima serata vengono interrotto 3 volte. PIERO ZUCCHELLI - Vice Direttore coordinamento palinsesti RAI: Il film in prima serata viene interrotto solo tra il primo e il secondo tempo e in quel momento può essere inserita la pubblicità.

FERDINANDO DI CHIO - Responsabile ufficio marketing Mediaset: Il prodotto che non ha avuto distribuzione nelle sale, ed è quindi un prodotto

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concepito esclusivamente per la tv, per esempio il tv movie può essere interrotto 3 o 4 volte all'ora.

SABRINA GIANNINI: Mediaset ha ottenuto di poter aumentare il suo tetto giornaliero fino al 20% aggiungendo i messaggi promozionali e le televendite che non vengono calcolate come pubblicità.

PIERO ZUCCHELLI - Vice Direttore coordinamento palinsesti RAI: Per la RAI le telepromozioni fanno parte del tetto quindi è tutto compreso.

PAOLO BARNARD: Questa è ITV, la più grande televisione privata inglese e una delle più grandi d'Europa. Dott. Cox qual è il vostro tetto pubblicitario? Durante un film in prima serata quante interruzioni mettete?

BARRY COX - direttore ITV Association: Il nostro tetto pubblicitario è del 10% e cioè 6 minuti di spot per ogni ora. Un film in prima serata viene interrotto al massimo 6 volte lungo una durata di circa due ore. Ogni interruzione è di 3 minuti.

PAOLO BARNARD: Come si finanzia la BBC, visto che non fa pubblicità?

MATTEO MAGGIORE - Direttore affari europei BBC: La BBC si finanzia al 95% grazie al canone, il canone è di 97 sterline l'anno. Porta alla BBC un reddito di circa 2 miliardi di sterline l'anno. Il finanziamento attraverso il canone è quello che rende ai programmisti della BBC la libertà di sperimentare, di innovare, di prendere dei rischi. Di cercare di offrire allo spettatore quello che lo spettatore non sa ancora di volere.

MILENA GABANELLI IN STUDIO: Allora riassumendo: il tetto pubblicitario per una tv commerciale inglese è del 10%, per una italiana è del 20%. Per quel che riguarda la RAI è il 12%, la BBC ha il 5%. Però c'è da dire che loro pagano un canone annuo di 100 mila lire più elevato. E adesso vediamo se gli inserzionisti pubblicitari possono condizionare i programmi.

SABRINA GIANNINI: In questo elettrodomestico vengono tritati qualcosa come 5 mila miliardi di pubblicità all'anno. Questo può influenzare la programmazione della tv?

FERDINANDO DI CHIO - Responsabile ufficio marketing Mediaset: Avviene questo… la concessionaria di pubblicità ci dice: " Guardate che il mercato pubblicitario ha bisogno di questo tipo di prodotto, ha bisogno di questo tipo di pubblico. Noi cerchiamo, laddove è possibile, di indirizzarci in quella direzione.

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SABRINA GIANNINI: Quindi le è mai successo che è stato spostato o chiuso il programma perché non faceva sufficiente audience e per esempio l'inserzionista si è lamentato?

PIERO ZUCCHELLI - Vice Direttore coordinamento palinsesti RAI: No, non è questo il motivo. Se è avvenuta una chiusura anticipata di programmi è stata perché l'offerta televisiva non rispondeva alla domanda del pubblico.

PAOLO BARNARD: Vi sentite mai sotto il tiro degli inserzionisti, sempre a caccia di una vasta audience? Vi hanno fatto mai pressione diretta perché certi programmi di basso ascolto venissero spostati in seconda o in terza serata?

BARRY COX - direttore ITV Association: Be' non posso dire che non sia mai accaduto come non posso negare che la politica a volte si faccia sentire, ma si tratta di tentativi andati a vuoto. Gli inserzionisti sanno in partenza che la struttura dei nostri palinsesti prevede da sempre approfondimenti e programmi per le minoranze in prima serata, e non possono immaginare di avere il potere di cambiare ciò. L'audience qui non è una dittatura.

SABRINA GIANNINI: Il potere ai telespettatori. Sono loro che decidono le sorti fortunate o meno di un programma. Volevo sapere se lei sa come si misura l'audience?

INTERVISTATO: No..

MILENA GABANELLI IN STUDIO: Tutto quello che abbiamo visto ci riconduce ai numeri che misurano il consenso: la famosa scatolina nera. Questo sistema di conteggio universalmente adottato in Italia si chiama Auditel, e in Inghilterra si chiama B.A.R.B, ma quante sono le famiglie che detengono un potere quasi assoluto, e di chi è l'Auditel e chi lo paga.

SABRINA GIANNINI: Qui siamo nella sede dell'azienda milanese che si occupa di istallare in 5000 case di italiani il marchingegno che decide poi i dati di ascolto Auditel.

WALTER PONCINI - Direttore Auditel: L'Auditel è per un terzo della RAI, della televisione pubblica, un terzo di quella privata, nazionale e locale, e per il restante terzo dei pubblicitari.

SABRINA GIANNINI: Chi paga l'Auditel?

PIERO ZUCCHELLI - Vice Direttore coordinamento palinsesti RAI: L'Auditel è una società pagata al 50% dalla RAI e al 50% dalle emittenti private.

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SABRINA GIANNINI: Quante sono le famiglie Auditel?

WALTER PONCINI - Direttore Auditel: Be', intanto le famiglie Auditel sono 5 mila pari a 15 mila individui e 8 mila rilevatori meter, questo perché in una famiglia possono esserci più televisori. Il campione rappresentativo che viene desunto da questa grande indagine di base è un campione che segue certe regole statistiche, cioè deve essere rappresentativo in modo stratificato casuale di tutta la popolazione italiana al di sopra dei 4 anni. Intanto ci dicono: "Si va bene ..ma è attendibile? Siamo di fronte ad una stima, nessuno conta le singole teste degli italiani.

SABRINA GIANNINI: Come si misura l'audience?

INTERVISTATO: Non so!

PAOLO BARNARD: E dunque anche qui esiste un sistema di rilevamento dell'audience assai diffuso. Si chiama B.A.R.B.

J.A.FOX - B.A.R.B.: Abbiamo scelto 4500 famiglie sorteggiate a caso, ma rappresentative delle caratteristiche socio-demografiche del paese. I loro nomi vengono custoditi gelosamente da noi su un database segreto, ed è nostro compito aggiornare la composizione del gruppo col mutare dei tempi. Se per caso una famiglia usasse dei trucchi come quello di accendere il televisore su un canale e poi uscire tutta la sera, noi li contatteremmo il giorno seguente per spiegazioni. Se vanno in ferie senza dirlo, noi siamo tenuti a contattarli dopo 3 settimane. Se una famiglia venisse scoperta dai media, verrebbe immediatamente sostituita, ne va di tutta la nostra organizzazione.

SABRINA GIANNINI: Senta, nel '97 quante sono state le trasmissioni RAI uccise dall'Auditel?

PIERO ZUCCHELLI - Vice Direttore coordinamento palinsesti RAI: No, non si può dire uccise dall'Auditel. Ci sono trasmissioni nuove che partono con delle ipotesi che possono non essere rispettate, ma per le quali si presuppone già un periodo di sperimentazione.

SABRINA GIANNINI: Lei ha mai conosciuto una famiglia Auditel.

INTERVISTATO: No

SABRINA GIANNINI: Lei è una famiglia Auditel? Vorrebbe esserlo?

INTERVISTATO: No

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MILENA GABANELLI IN STUDIO: E adesso torniamo laddove siamo partiti. E cioè dalla famiglia con in casa il meter. Ma la scatolina nera è affidabile?

FAMIGLIA AUDITEL: Se dovessi cambiare canale, mi compare la scritta sul meter che mi chiede se le persone che guardano la televisione sono sempre le stesse, quindi la scritta è: "Stesse persone?" Se ci sono ospiti che guardano il televisore allora si digita il pulsante ospite. "Ospite?" mi chiede il meter. Digito sì. "Femmina?" mi chiede il meter. Mi chiede l'età. Io digito per esempio 31.Il meter dice "sei l'ospite 2",2 perché magari ne è stato memorizzato già qualcun altro. In questo momento, quindi, stanno guardando la televisione 1, il capofamiglia, ed un ospite 2. Adesso c'è quest'altro televisore acceso, il componente della famiglia è un altro, rispetto a quello dell'altro meter in cucina, è il numero3. Allora nell'altro meter erano registrati il numero 1, il capofamiglia, ed un ospite numero 2 che era stato registrato sull'altro meter. Automaticamente l'ospite registrato sull'altro meter è contenuto anche nella memoria di tutti i meter presenti in casa.

INTERVISTATORE: E quindi cosa vuol dire… che lo stesso ospite sta girando per i televisori della vostra casa..?

FAMIGLIA AUDITEL: Se io lo visualizzo sul monitor del meter, come adesso, 02, come ospite 02 è presente sia davanti questo televisore, sia anche davanti a quello che è in cucina, in questo sicuramente c'è un contraddizione.

INTERVISTATORE: Puoi segnalare che stai guardando un canale e lo lasci acceso tutto il giorno?

FAMIGLIA AUDITEL: Sì.

INTERVISTATORE: Anche se non sei presente?

FAMIGLIA AUDITEL: Sì

INTERVISTATORE: Quali sono i piaceri di questa… che poi è un scocciatura?

FAMIGLIA AUDITEL: Più che altro il sapere di rappresentare il gusto di una fetta della popolazione. Dato che i meter sono rappresentativi della popolazione nazionale intera. Quindi far parte di questo campione, significa comunque essere particolarmente rappresentativi. Questo catalogo viene dato a tutte le famiglie campione, che annualmente hanno la possibilità di scegliere un regalo tra questi. Come puoi vedere non ci sono regali di grande entità economica. Sono spese relativamente basse.

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INTERVISTATORE: Uno all'anno?

FAMIGLIA AUDITEL: Uno all'anno!

INTERVISTATORE: Per quale motivo avete accettato di essere una famiglia Auditel? FAMIGLIA AUDITEL: perché dà la possibilità di scegliere, visto che c'è, per la pubblicità, tanto movimento di soldi…possiamo dire…,dà soddisfazione sapere che noi scegliamo per conto di tante altre persone, influenziamo le scelte di tante altre famiglie, una piccola soddisfazione ecco, poi c'è il regalino che tutto sommato fa comodo.

MILENA GABANELLI IN STUDIO: Ogni volta che questa famiglia accende il televisore decide per 10000 persone, e di famiglia come queste ce ne sono 5000. E sulla loro segretezza vorremmo aprire un piccolo dubbio. Per noi non è stato particolarmente complicato entrare in contatto con loro, noi che non abbiamo nessuna pressione per fare una alta audience perché facciamo un servizio pubblico, ma se non fosse cosi? Ed in futuro, invece, di TV digitale di TV tematica e di Pay TV, l'Auditel avrà ancora un senso? Chi lo sa! Sicuramente il senso l'avrà il controllo sulla qualità della produzione televisiva, perché aumenta l'offerta. In Italia, per quel che riguarda la TV commerciale, esiste una autority che però non è ancora operativa. In Inghilterra, invece, si regolano in un altro modo già da anni e adesso vediamo quali.

PAOLO BARNARD: In Gran Bretagna c'è chi vigila severo sulla qualità dei programmi prodotti dalle TV commerciali. Questo compito è affidato alla Indipendence Television Commission.

PAUL SMEE ITC: Noi siamo i guardiani del mercato delle TV commerciali qui in Gran Bretagna e quindi controlliamo ITV, CHANNEL 4, CHANNEL 5. Svolgiamo questo ruolo per garantire un livello di qualità uniforme a tutta la programmazione televisiva, evitando quello scadimento che altrove ha travolto il mezzo televisivo. Le nostre armi sono l'ammonizione pubblica, di per se estremamente imbarazzante per chi ne è colpito, e poi in casi gravi la revoca delle licenze stesse. I protocolli di queste licenze stabiliscono a chiare lettere che ogni operatore televisivo è tenuto a creare palinsesti bilanciati e attenti alla composizione sociale del paese. Inoltre essi stabiliscono i tetti pubblicitari e le regole di

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imparzialità politica ed Etnica.

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