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il carciofo e il cardo Collana ideata e coordinata da Renzo Angelini coltivazione ricerca utilizzazione mondo e mercato botanica storia e arte alimentazione paesaggio

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il ca

rcio

fo

e il

car

do

Ideata

e coordinata da

Renzo Angelini

Script

€ 56,00

il carciofo e i l cardo

Collana ideata e coordinata daRenzo Angelini

coltivazione

ricerca

utilizzazione

mondo e mercato

botanica

storia e arte

alimentazione

paesaggio

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il carciofo e i l cardo

Collana ideata e coordinata da Renzo Angelini

botanica

storia e arte

alimentazione

paesaggio

coltivazione

ricerca

utilizzazione

mondo e mercato

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COORDINAMENTO GENERALE

Renzo Angelini

COORDINAMENTO SCIENTIFICO

Nicola Calabrese

COORDINAMENTO REDAZIONALE

Ivan Ponti

© Copyright 2009 Bayer CropScience S.r.l. - Milano

Script è un marchio editoriale di ART S.p.A. - Bologna

L’Editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato

possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o

inesattezze nella citazione delle fonti dei brani e delle illustrazioni riprodotti

nel seguente volume.

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere

riprodotta, memorizzata o trasmessa in nessun modo o forma, sia essa

elettronica, elettrostatica, fotocopie, ciclostile ecc., senza il permesso

scritto di Bayer CropScience S.r.l.

REDAZIONE

Elisa Marmiroli

PROGETTO GRAFICO E COPERTINA

Studio Martinetti - Milano

REALIZZAZIONE EDITORIALE

ART Servizi Editoriali S.p.A. Bologna

www.art.bo.it

Sito Internet: www.colturaecultura.it

Finito di stampare in Italia nel mese di Dicembre 2009 da Petruzzi - Città di Castello (PG)

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s o m m a r i oautori V

prefazione VII

presentazione IX

ringraziamenti XI

botanica 1origine ed evoluzione 2

morfologia e fisiologia 12

coltivazione del cardo 18

storia e arte 31letteratura, pittura, cultura 32

alimentazione 45aspetti nutrizionali 46

fitoterapia e medicina 50

composti bioattivi 60

tradizione alimentare 70

carciofo in cucina 74

ricette 84

paesaggio 93carciofo in Puglia 94

carciofo in Sicilia 110

carciofo in Sardegna 124

carciofo in Campania 136

carciofo nel Lazio 144

coltivazione 159ibridi commerciali 160

impianto 168

concimazione 172

irrigazione e salinità 190

parassiti animali 200

roditori 214

malattie 218

virosi 232

flora spontanea 246

gestione delle malerbe 266

ricerca 285miglioramento genetico 286

nuove selezioni in Toscana 298

biotecnologie 304

propagazione e innovazione 314

spinoso sardo 324

tecnica vivaistica 332

risanamento da virus 342

utilizzazione 347trasformazione industriale 348

mondo e mercato 357carciofo nel mondo 358

carciofo in Spagna 370

carciofo in Francia 378

carciofo in Tunisia 386

carciofo in Egitto 392

carciofo in Marocco 396

carciofo in Turchia 400

carciofo negli Stati Uniti 406

carciofo in Argentina 412

carciofo in Perú 420

carciofo in Cile 426

aspetti commerciali 432

per saperne di più 441

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a u t o r iGiorgio ÁncoraENEA CR Casaccia

Dipartimento Biotecnologie, Agroindustria

e Protezione della Salute, Roma

Sergio ArgentoDOFATA - Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura

e Tecnologie Agroalimentari

Università degli Studi di Catania

Marina BarbaCRA - Consiglio per la Ricerca

e la Sperimentazione in Agricoltura - Centro

di Ricerca per la Patologia Vegetale, Roma

Mohammad Abdul BariArtichoke Research Association,

Salinas (California)

Cristophe BazinetBBV - Bretagne Biotechnologie Végétale,

Saint Pol de Léon (Francia)

Vito Vincenzo BiancoDipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali

Università degli Studi di Bari

Francesca BoariCNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari

Bari

Gianfranco BolognesiRistorante La Frasca - Milano Marittima (RA)

Duccio CaccioniCAAB scpa - Centro Agroalimentare di Bologna

Maria CadinuAgris Sardegna - Agenzia Regionale per la Ricerca

in Agricoltura - Dipartimento per la Ricerca

nelle Produzioni Vegetali, Cagliari

Nicola CalabreseCNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari

Bari

Carlo CannellaDipartimento di Fisiopatologia Medica

Sezione di Scienza dell’Alimentazione

Università “Sapienza” di Roma

Vito CantoreCNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari

Bari

Andres Casas DiazUniversidad Nacional Agraria La Molina,

Lima (Perú)

Matteo CirulliDipartimento di Biologia e Patologia vegetale

Università degli Studi di Bari

Giancarlo ColelliPRIME - Dipartimento di Scienza delle Produzioni

e dell’Innovazione nei Sistemi Agro-alimentari

Mediterranei

Università degli Studi di Foggia

Paola CrinòENEA CR Casaccia

Dipartimento Biotecnologie, Agroindustria

e Protezione della Salute, Roma

Enrico de LilloDipartimento di Biologia e Chimica Agro-forestale

e Ambientale

Università degli Studi di Bari

Gavino DelrioDipartimento di Protezione delle Piante

Università degli Studi di Sassari

Donato Di VenereCNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari

Bari

Benìan EserFaculty of Agriculture, University of Izmir (Turchia)

Santiago Fumagalli GalliADEX - Asociación de Exportadores,

Lima (Perú)

Donato GallitelliDipartimento di Biologia e Patologia vegetale

Università degli Studi di Bari

Stella Maris Garcia Facultad de Ciencias Agrarias

Universidad National de Rosario (Argentina)

Ismail Ghezal GIL - Groupement Interprofessionnel des Légumes,

Tunisi (Tunisia)

Alberto GraifenbergDipartimento di Biologia delle Piante Agrarie

Università degli Studi di Pisa

Costanza Jana AyalaINIA - Instituto Nacionales de Investigaciones

Agropecuarias, Intihuasi (Cile)

Chrystelle JouyGEVES - Groupe d’Etude et de contrôle des

Variétés et des Semences, Cavaillon (Francia)

Giuseppe La MalfaDOFATA - Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura

e Tecnologie Agroalimentari

Università degli Studi di Catania

Inmaculada LahozITGA, Instituto Técnico y de Gestión Agrícola,

Pamplona (Spagna)

Luigi LeddaDipartimento di Scienze Agronomiche e Genetica

Vegetale Agraria

Università degli Studi di Sassari

Daniel LeskovarTexas AgriLife Research, Texas A&M System (Texas)

Ignacio MacuaITGA, Instituto Técnico y de Gestión Agrícola,

Pamplona (Spagna)

Vitangelo MagnificoCRA - Consiglio per la Ricerca

e la Sperimentazione in Agricoltura

Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali

degli Ambienti caldo-aridi, Bari

Giuseppe MaianiINRAN - Istituto Nazionale di Ricerca

per gli Alimenti e la Nutrizione, Roma

Francesco Salvatore MarrasDipartimento di Protezione delle Piante

Università degli Studi di Sassari

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Vittorio MarziAccademia dei Georgofili, Sezione Sud-Est, Bari

Tiziana MasciaCNR - Istituto di Virologia Vegetale, Bari

Giovanni MauromicaleDAPCA - Dipartimento di Scienze Agronomiche,

Agrochimiche e delle Produzioni Animali

Università degli Studi di Catania

Maria Grazia MelilliCNR - ISAFOM - Istituto per i Sistemi Agricoli

e Forestali del Mediterraneo, Catania

Stefania MiccadeiCRS - Istituto Regina Elena, Roma

Fabio MicozziGEMINI - Dipartimento di Geologia e Ingegneria

Meccanica, Naturalistica e Idraulica per il territorio

Università degli Studi della Tuscia, Viterbo

Francesca MonteferraioDipartimento di Scienze Sanitarie Applicate

e Psicocomportamentali, Sezione di Scienza

dell’alimentazione e nutrizione umana,

Azienda di Servizi alla Persona di Pavia,

Università degli Studi di Pavia

Pasquale MontemurroDipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali

Università degli Studi di Bari

Irene Morone FortunatoDipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali

Università degli Studi di Bari

Martino MuntoniAgris Sardegna - Agenzia Regionale per la Ricerca

in Agricoltura - Dipartimento per la Ricerca

nelle Produzioni Vegetali, Cagliari

Annalisa OpizziDipartimento di Scienze Sanitarie Applicate

e Psicocomportamentali, Sezione di Scienza

dell’alimentazione e nutrizione umana,

Azienda di Servizi alla Persona di Pavia,

Università degli Studi di Pavia

Toufik OuselatiGIL - Groupement Interprofessionnel des Légumes,

Tunisi (Tunisia)

Bernardo PaceCNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari

Bari

Mario Augusto PagnottaDABAC Dipartimento di Agrobiologia e Agrochimica

Università degli Studi della Tuscia, Viterbo

Marc Eric PavillardMarketing Prince de Bretagne, Bretagne (Francia)

Roberto PiazzaFedagroMercati - ACMO - Associazione Commercianti

Mercato Ortofrutticolo Bologna

Domenico PignoneCNR - Istituto di Genetica Vegetale, Bari

Anna Barbara PisanuAgris Sardegna - Agenzia Regionale per la Ricerca

in Agricoltura - Dipartimento per la Ricerca

nelle Produzioni Vegetali, Cagliari

Salvatore Antonino RaccuiaCNR - ISAFOM Istituto per i Sistemi Agricoli

e Forestali del Mediterraneo, Catania

Mohamed RazineIngénieur Agronome, Rabat (Marocco)

Annamaria RepettoAgris Sardegna - Agenzia Regionale per la Ricerca

in Agricoltura - Dipartimento per la Ricerca

nelle Produzioni Vegetali, Cagliari

Mariangela RondanelliDipartimento di Scienze Sanitarie Applicate

e Psicocomportamentali, Sezione di Scienza

dell’alimentazione e nutrizione umana,

Azienda di Servizi alla Persona di Pavia,

Università degli Studi di Pavia

Claudia RutaDipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali

Università degli Studi di Bari

Francesco SaccardoGEMINI - Dipartimento di Geologia e Ingegneria

Meccanica, Naturalistica e Idraulica per il territorio

Università degli Studi della Tuscia, Viterbo

Mahmoud Sharaf-EldinNRC - National Research Centre

Medicinal and Aromatic Plants Department,

Cairo (Egitto)

Gabriella SonnanteCNR - Istituto di Genetica Vegetale, Bari

Raffaela TavazzaENEA CR Casaccia

Dipartimento Biotecnologie, Agroindustria

e Protezione della Salute, Roma

Olindo TemperiniGEMINI - Dipartimento di Geologia e Ingegneria

Meccanica, Naturalistica e Idraulica per il territorio

Università degli Studi della Tuscia, Viterbo

Romano TesiDipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali,

del Suolo e dell’Ambiente Agroforestale

Università degli Studi di Firenze

Atnan UgurFaculty of Agriculture, University of Ordu (Turchia)

Sebastiano VanadiaCNR - Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari

Bari

Pasquale ViggianiAgronomo, specialista in flora spontanea,

Bologna

Margherita Zalum CardonEsperta in storia dell’arte, Firenze

Rodolfo ZaniboniNunhems Italy, Sant’Agata Bolognese (BO)

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p r e f a z i o n eIl gruppo Bayer ha orientato il proprio impegno verso la ricerca di un preciso e chiaro obiettivo:

lavorare per creare, attraverso l’innovazione e lo sviluppo, una condizione ottimale per una vita

sociale migliore.

Con il sostegno a importanti iniziative in ambito culturale, sportivo e sociale, Bayer in Italia ha

saputo modellare, inoltre, i propri obiettivi di crescita sempre con il consenso delle comunità

in cui si trova a operare. Impiegare le proprie risorse nella creazione di un equilibrio stabile nel

tempo tra uomo e ambiente significa considerare “il rispetto” e la coerenza come massime

espressioni dell’agire umano.

In linea con questi principi, Bayer CropScience ha reso possibile la realizzazione della collana

“Coltura & Cultura”, che ha come primo scopo quello di far conoscere i valori della produzione

agroalimentare italiana, della sua storia e degli stretti legami con il territorio.

La collana prevede la realizzazione dei volumi il grano, il pero, la vite e il vino, il mais, il pesco,

il melo, il riso e l’ulivo e l’olio (già pubblicati), il carciofo e il cardo, il pomodoro, l’uva da tavola,

la patata e la fragola e i piccoli frutti. Per ciascuna coltura saranno trattati i diversi aspetti, da

quelli strettamente agronomici, quali botanica, tecnica colturale e avversità, a quelli legati al

paesaggio e alle varie forme di utilizzazione artigianale e industriale, fino al mercato nazionale

e mondiale.

Un ampio spazio è riservato agli aspetti legati alla storia di ciascuna coltura in relazione ai biso-

gni dell’uomo e a tutte le sue forme di espressione artistica e culturale.

Nella sezione dedicata alla ricerca si sono voluti evidenziare, in particolare, i risultati raggiunti

nei settori del miglioramento genetico.

Di particolare interesse e attualità è la parte riservata all’alimentazione, che sottolinea l’im-

portanza di ciascun prodotto nella dieta e i suoi valori nutrizionali e salutistici. Questi elementi

vengono completati con la presentazione di ricette che si collocano nella migliore tradizione

culinaria italiana.

L’auspicio di Bayer CropScience è che questa opera possa contribuire a far conoscere i valori

di qualità e sicurezza quali elementi distintivi e caratterizzanti la produzione agroalimentare

italiana.

Renzo AngeliniBayer CropScience

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p r e s e n t a z i o n eCarciofo: “il re dell’orto”. Questa definizione rappresenta, in modo sintetico ma completo, l’im-

portanza di questa coltura nel panorama orticolo nazionale. L’Italia è storicamente e di gran lun-

ga il maggior produttore mondiale di carciofo, con il 35% circa della superficie e della produzione

totale. La coltivazione sul territorio nazionale, anche se concentrata prevalentemente in Puglia,

Sicilia e Sardegna, è diffusa e radicata in molte altre regioni, come Lazio, Campania, Toscana,

Emilia-Romagna, Veneto, Marche e Liguria, dove sono presenti numerosi ecotipi. Inoltre il car-

ciofo ha dato origine a diverse sagre e manifestazioni e fa parte della tradizione gastronomica

nazionale con un gran numero di ricette e piatti tipici regionali. Gli italiani sono anche i maggiori

consumatori al mondo con 8 kg/pro capite per anno.

Originario del bacino del Mediterraneo, il carciofo ha dimostrato nel corso del tempo di essere

una coltura versatile, capace di espandersi dalle zone di origine e di adattarsi a un’ampia va-

rietà di condizioni pedo-climatiche, dalla Bretagna, nel nord della Francia, alla Cina, dalla costa

sull’oceano Pacifico alle aree pre-desertiche della California, dalle zone costiere alla Cordigliera

andina in Perú.

La cinaricoltura italiana è considerata un modello di riferimento per gli altri Paesi: l’importante

ruolo svolto dalla ricerca negli ultimi cinquant’anni — non a caso sono stati organizzati a Bari i

primi quattro convegni internazionali — e lo stretto rapporto con il mondo della produzione han-

no favorito l’introduzione di numerose innovazioni nella tecnica colturale. Non solo, notevole im-

pulso hanno avuto le conoscenze sul carciofo come pianta medicinale, sugli aspetti biochimici e

sulle diverse proprietà nutrizionali che tanto interesse suscitano oggi sia alle aziende del settore

sia presso il consumatore moderno.

Le considerazioni accennate brevemente in precedenza sono state illustrate e approfondite in

quest’opera che ho avuto l’onore di coordinare.

Il volume il carciofo e il cardo, come i precedenti della collana Coltura & Cultura promossa da

Bayer CropScience, è suddiviso in otto sezioni e ha lo scopo di offrire al lettore una trattazione

completa e interdisciplinare, ma vivace e sintetica. I singoli argomenti sono trattati con rigorosità

scientifica e con linguaggio accessibile anche al lettore semplicemente curioso di approfondire

un aspetto particolare dell’opera. La chiarezza dell’esposizione si deve all’impegno degli Autori,

di riconosciuta competenza ed esperienza, e all’originalità dell’articolazione dei capitoli, arricchiti

da numerose illustrazioni, schemi, riquadri, tabelle e grafici, in modo da rendere agevole la com-

prensione degli argomenti trattati.

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Sono state illustrate le tematiche relative all’origine ed evoluzione della coltura, le caratteristiche

morfologiche e la fisiologia della pianta; un capitolo è stato riservato anche al cardo, spesso

erroneamente tralasciato o poco considerato. Ampio spazio è stato dedicato al carciofo nella

storia e nell’arte, non trascurando aneddoti e curiosità. Notevole attenzione è stata riservata agli

aspetti legati all’alimentazione, con una disamina completa delle caratteristiche nutrizionali e

delle proprietà fitoterapiche e medicinali; completano il capitolo le ricette e numerose curiosità

sulle preparazioni gastronomiche.

La descrizione del carciofo nelle cinque principali regioni italiane, delle tecniche di coltivazione,

dei parassiti animali e delle malattie offrono al lettore una visione chiara e completa relativa

all’aspetto tecnico-agronomico della coltura. Nel capitolo della ricerca sono riportate le tema-

tiche più recenti e i risultati della sperimentazione condotta in vari istituti e università, in Italia e

all’estero. I prodotti trasformati, gli aspetti economici, di marketing e i rapporti commerciali tra i

vari Paesi sono ampiamente descritti e commentati.

Completano e arricchiscono il volume una serie di capitoli sul carciofo nel mondo, che aprono

una finestra sui principali Paesi produttori e forniscono, attraverso la testimonianza diretta degli

Autori, una descrizione sintetica ed esaustiva di questa coltura nel contesto internazionale.

Spero che questo volume sul carciofo e sul cardo, unico nel suo genere, soddisfi l’interesse e la

curiosità dei lettori.

Nicola Calabrese

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r i n g r a z i a m e n t iIl volume è stato realizzato grazie al prezioso contributo di tutti coloro che hanno creduto in

questa iniziativa editoriale, fornendo un supporto progettuale e redazionale decisivo.

Si segnala il prezioso contributo di Michele Curci, Danilo Salmistraro, Vanni Bellettato, Pao-

lo Bacchiocchi, Cesare Cangero e Roberto Balestrazzi per il materiale iconografico, che ha

permesso di arricchire i vari capitoli, ed Elisabetta Fabbi per l’importante attività di supporto

redazionale.

I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri

casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite dalla Image Bank

di Bayer CropScience.

Per il contributo alla realizzazione di alcuni capitoli si ringraziano infine Maria Antonietta Pa-

panice, Giovanna Bottalico, Antonietta Campanale, Alessandra Di Franco, Crisostomo Vovlas

(Virosi); Edmundo Catacora Pinazo, Edwin Pariona Meza (Carciofo in Perú). Un ringraziamento

particolare va a Lucia Tomasi Tongiorgi del Dipartimento di Storia delle Arti dell’Università degli

Studi di Pisa per la revisione del capitolo Letteratura, pittura, cultura.

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botanica

Origine ed evoluzione

Domenico Pignone Gabriella Sonnante

Morfologia e fisiologia

Vito Vincenzo Bianco Nicola Calabrese

Coltivazione del cardo

Salvatore Antonino Raccuia Maria Grazia Melilli

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botanica

2

Origine ed evoluzione

Genere CynaraPer comprendere l’origine del carciofo e del cardo bisogna innan-

zitutto conoscere le specie selvatiche affini dello stesso genere. Il

genere Cynara appartiene alla famiglia delle Asteraceae o Compo-

sitae, la stessa famiglia di specie ortensi e ornamentali economi-

camente importanti quali la lattuga, la cicoria, il girasole, nonché

le gerbere, i crisantemi e le margherite. Le specie che costituisco-

no il genere Cynara sono diploidi (2n = 2x = 34), suddivisibili in

due gruppi, di cui il primo costituisce il complesso C. cardunculus

comprendente le forme coltivate del carciofo (C. cardunculus sub-

sp. scolymusi, oppure var. scolymus) e del cardo (C. cardunculus

var. altilis) più una forma selvatica (C. cardunculus var. sylvestris),

che chiameremo carciofo selvatico. In realtà, il carciofo coltivato

era inizialmente considerato come una specie separata, C. sco-

lymus, ma recenti studi lo hanno incluso nella specie C. cardun-

culus. Il secondo gruppo eterogeneo del genere include, secondo

Wiklund, sette specie selvatiche: C. syriaca, C. auranitica (da alcu-

ni autori ricompresa nella variabilità di C. syriaca), C. cornigera, C.

algarbiensis, C. baetica, C. cyrenaica e C. humilis.

Le specie di Cynara sono generalmente piante erbacee robuste,

erette e perenni. Le dimensioni delle piante vanno da meno di

0,5 m fino a circa 2 m, in alcuni esemplari di C. auranitica e C.

cardunculus. Le foglie hanno un colore verde di intensità varia-

Vavilov e i centri di origine

• Nikolaj Ivanovic Vavilov (1887-1943)

fu un agronomo e genetista russo che

dedicò molti dei suoi studi all’origine

delle piante coltivate, all’analisi della

loro diversità e delle piante selvatiche

da cui derivano. Dopo una lunga

serie di spedizioni dal 1916 al 1936

in Africa, Asia e America, giunse a

formulare la teoria dei Centri di origine

delle piante coltivate, oggi noti anche

come Centri di Vavilov, ossia le aree

dove alcune specie o gruppi di specie

furono per la prima volta domesticati

dall’uomo. Oppositore delle teorie

neolamarckiane di Lysenko, appoggiato

dal regime, fu accusato di difendere

la “pseudoscienza borghese” della

genetica classica e cadde in disgrazia,

morendo in prigione

Centro Messicano-Americanocentrale

CentroSudamericano

CentroSudamericano

CentroSudamericano

CentroMediterraneo

MedioOriente

Etiopia

Centrocentro-asiatico

CentroIndiano

CentroCinese

CentroIndiano

Centri di origine delle piante coltivate secondo Vavilov

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botanica

16

diversissime (allungata, ovale, rotonda e forme di passaggio tra

queste); la lunghezza può superare i 10 cm, mentre la larghezza

può essere di oltre 6 cm. Il margine superiore può essere intero,

inciso con varia profondità e anche introflesso; l’apice può mo-

strarsi appuntito, arrotondato, smussato, inerme o con presenza

di spine di dimensioni diverse (che possono superare i 5 mm di

lunghezza). Il colore della parte dorsale va dal verde chiaro al ver-

de scuro, con sfumature violette, al violetto scuro uniforme; in al-

cuni casi le brattee sono anche lucenti. La parte ventrale è sempre

più chiara di quella esterna, normalmente tendente al giallo chiaro

nelle vicinanze dell’attacco sul ricettacolo, dove si nota un rigon-

Singolo fiore di carciofo (flosculo)

Peduncolo Ricettacolo

Pappo

Spine

Bratteeinterne

Bratteeesterne

Sezione del capolino di carciofo

Capolini a differente stadio di maturazione: quello a destra mostra brattee violette interne con presenza di spine agli apici

Sezione di un capolino di carciofo in cui si nota la forma convessa del ricettacolo e l’insieme dei flosculi

Foto R. Angelini

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coltivazione del cardo

19

Caratteristiche botanicheIl cardo è una specie erbacea nitrofila perenne in natura, spesso

annuale quando coltivata come ortaggio. L’altezza può variare da

un minimo di 40 cm, in alcuni biotipi di Cynara cardunculus var.

sylvestris, a oltre 300 cm in alcune varietà di cardo domestico.

La pianta è costituita da un grosso fusto rizomatoso (ceppaia)

da cui si dipartono le radici laterali che, pur non numerose, sono

notevolmente robuste (fino a oltre 2 cm di diametro). L’apparto

radicale si può approfondire nel terreno ben oltre il metro.

Le foglie sono portate su internodi molto ravvicinati in partico-

lare nella parte basale del fusto e fanno assumere alla pianta un

aspetto cespuglioso. Sono pennatosette, di dimensioni, peso e

numero variabili in rapporto al genotipo, e presentano colore ver-

de cenerino o talvolta grigiastro nella pagina superiore, verde più

chiaro o grigio nella pagina inferiore per la presenza di peluria. Le

lamine (o lembi) delle foglie possono risultare più o meno frasta-

gliate a seconda del genotipo e possono o meno presentare delle

spine di colore chiaro (giallo-biancastro), sempre in rapporto al

genotipo di appartenenza. La spinosità delle foglie è un carattere

sempre presente nel Cynara cardunculus var. sylvestris. Le foglie

adulte possono raggiungere una lunghezza superiore al metro. I

larghi e carnosi piccioli (coste o costolature), in cui si notano delle

solcature più o meno profonde, hanno colore grigio-verdastro alla

base e si presentano larghi fino a 10 cm.

Il fusto (asse fiorale) è eretto, ramificato, robusto, striato in senso

longitudinale e fornito di foglie alterne. L’asse principale e le sue

ramificazioni (di primo, secondo e terzo ordine) presentano le in-

fiorescenze in posizione terminale.

Foto R. Angelini

Infiorescenze di cardo di colore bianco

Infiorescenze di cardo di colore viola

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coltivazione del cardo

23

Le coste, inoltre, contengono un abbondante quantitativo di po-

lifenoli e di flavonoidi, quali quercetina ed epicatechine, che ini-

biscono l’azione di diversi radicali liberi e svolgono funzione an-

tibatterica. Questo importante ortaggio della dieta mediterranea

può quindi essere considerato un alimento funzionale, in quanto

esplica una serie di effetti benefici sull’uomo.

Cardo da industria L’utilizzazione del cardo come coltura da biomassa per energia

nasce dalla considerazione che la specie ben si adatta alle pe-

culiari caratteristiche dell’ambiente mediterraneo, contraddistinto

da apporti idrici limitati e irregolarmente distribuiti durante l’arco

dell’anno. La specie infatti, grazie al suo ciclo biologico, che va

dall’autunno alla primavera, periodo in cui si registrano i maggiori

eventi piovosi, è in grado di intercettare tutti gli apporti idrici naturali

disponibili. Inoltre l’apparato radicale funge anche da organo di ac-

cumulo di sostanze di riserva, capace di sostenere la riattivazione

vegetativa dopo la quiescenza estiva. Grazie alla spiccata adattabi-

lità del cardo all’ambiente mediterraneo è possibile ottenere buone

rese in biomassa e acheni in condizioni di bassi input energetici.

Tecnica colturaleSono da preferire terreni fertili, freschi e profondi, di medio impasto

e senza ristagni, anche se il cardo tollera molto bene suoli poveri

e pesanti a reazione sia acida sia basica. Può tollerare venti forti.

La temperatura media ottimale per la crescita oscilla tra i 10 °C e

i 15 °C.

La semina diretta viene effettuata tra settembre e novembre in

funzione dell’andamento termoudometrico, in modo tale che le

Alimentazioneumana e cosmesi

Biodiesel

Proteine

Alimentazionezootecnica

Granella Epigea

Biomassa

Energia

Radici

InulinaOlio

Principali impieghi delle differenti componenti della biomassa di cardo

Infiorescenze di cardo

Foto R. Angelini

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storia e arte

Letteratura, pittura, cultura

Vito Vincenzo BiancoNicola CalabreseMargherita Zalum Cardon

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storia e arte

32

Letteratura, pittura, cultura

AntichitàIl carciofo è un ortaggio tipico dell’area mediterranea e l’Italia ne

è il principale produttore mondiale. Esso è stato coltivato ampia-

mente nel passato, sin dagli albori delle civiltà occidentali, anche

grazie alle molte virtù che gli erano attribuite, e alle sue apprezza-

tissime qualità organolettiche; eppure, dal punto di vista storico,

esso sembra non aver riscosso un uguale successo, e per molti

aspetti la documentazione su questa preziosa pianta è lacunosa

e incompleta. La situazione è resa ancora più complessa a causa

del fatto che, per quanto riguarda le epoche più antiche, non è

facile distinguere le notizie che si riferiscono al carciofo vero e

proprio da quelle che invece sono relative al cardo selvatico.

L’origine del carciofo non è del tutto chiara; anche se la zona non

è stata individuata con certezza, si ipotizza che la domesticazione

sia stata avviata in Sicilia.

In tutte le civiltà che si sono sviluppate intorno al bacino del Me-

diterraneo si trova comunque traccia della conoscenza e dell’uso

di questa pianta. Già nel IV secolo a.C. gli Arabi la coltivavano,

sotto il nome di al-karshuf o ardi-shoki. Dai nomi arabi, che si-

gnificano “spina di terra” e “pianta che punge”, con allusione alla

Mosaico del III secolo d.C. proveniente da El Jem (Tunisia) rappresentante, tra le altre figure, due capolini di carciofo di diversa forma. Museo del Bardo, Tunisi

Particolare della figura precedente Carciofi, particolare del mosaico di Arione e Orfeo, III secolo d.C., proveniente da La Chebba (Tunisia). Museo del Bardo, Tunisi

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letteratura, pittura, cultura

35

Medioevo ed Età ModernaIn epoca medievale le notizie sul carciofo si fanno molto scarse,

ma certamente esso non scompare dagli orti e dai giardini, né

tantomeno dalle tavole degli europei. La sua conoscenza è at-

testata dal fatto che esso riaffiora, insieme a un’ampia varietà di

motivi decorativi fitomorfi, scolpito in alcuni capitelli che sorreg-

gono le statue della cattedrale di Chartres (inizio XIII sec.). Intorno

al Trecento, inoltre, esso era coltivato nella zona del Maghreb, a

quel tempo sottoposto alla dominazione araba e musulmana.

Ma il periodo di maggiore fortuna del carciofo ha inizio con l’età

moderna. Da Napoli, esso è importato a Firenze nel 1466 da Filippo

Strozzi; pochi anni dopo, è notato a Venezia come una curiosità. E

dalla Toscana ben presto di diffonde in tutto il resto d’Europa.

Già prima del 1530 esso è coltivato in Francia, come attesta

l’opera di de l’Aigne, Singulier traicté contenant les propriétés des

tortues, escargots, grenouilles et artichauts, stampata a Parigi.

Nel 1532 aiuole di carciofi sono ricordate in Avignone, mentre nei

decenni successivi la sua presenza è registrata anche in altre città

della Francia. Assai rapidamente la sua coltivazione si estende

dalla Linguadoca, alla Valle della Loira, all’Ile del France. Nello

stesso periodo, il carciofo è introdotto in Inghilterra, probabilmen-

te a opera degli Olandesi: si sa che esso era coltivato nel giardino

di Enrico VIII a Newhall.

Jacques Le Moyne (de Morgues) (1533-1588), Carciofo: Cynara scolymus, c.1568, Victoria & Albert Museum, Londra (© The Bridgeman Art Library/Archivi Alinari, Firenze)

Christian Berentz (1658-1726), Ortaggi e frutta, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Roma (© 2009. Foto Scala, Firenze, per concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali)

Blas de Ledesma (1590-1614), Natura morta con asparagi, carciofi, limoni e ciliege, Museo Bowes, Barnard Castle, County Durham, UK (© The Bridgeman Art Library/Archivi Alinari, Firenze)

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letteratura, pittura, cultura

39

per più di due secoli: i Discorsi sul De materia medica di Diosco-

ride Pedanio, pubblicati per la prima volta in italiano nel 1544 e

poi tradotti in latino dieci anni dopo. Questa seconda edizione

del testo, corredata da un ricchissimo apparato iconografico di

straordinaria qualità determinerà la fortuna dell’opera e imprimerà

una svolta decisiva alla storia della botanica nel Cinquecento.

Nella stessa linea anche il medico personale di Luigi XIII, La

Framboisière, che scrive: “I carciofi scaldano il sangue e spro-

nano in modo naturale al gioco amoroso di Venere, sono buoni

per lo stomaco e fanno venire appetito, sono tanto apprezzati per

la loro bontà che non si combina un sontuoso banchetto senza

carciofi”.

Benché la sua diffusione rispetto al passato si sia ampliata no-

tevolmente, nel corso del Cinquecento il carciofo è ancora una

pianta piuttosto rara, e considerata un bene di lusso, destinato

alle tavole dei ricchi: non a caso in questo periodo esso merita

gli appellativi di “principe delle verdure d’inverno” e “diavoleria

mangereccia”. Le stesse modalità di coltivazione messe a punto

in Italia e in Francia, cui si è accennato sopra, erano in realtà as-

sai complesse e dispendiose; erano perciò attuate solo negli orti

gravitanti attorno alle città, in rapporto di stretta dipendenza da un

mercato privilegiato di acquirenti benestanti se non decisamente

agiati. Nei contesti periferici e rurali il carciofo continua a essere

coltivato secondo metodi più tradizionali, che però ne limitano la

disponibilità a un breve periodo dell’anno.

Vincenzo Campi (1536-1591), Fruttivendola, Pinacoteca di Brera, Milano (© Archivi Alinari, Firenze, per concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali)

Giuseppe Arcimboldo (1530-1593) (seguace), L’allegoria della terra, collezione privata (© The Bridgeman Art Library/Archivi Alinari, Firenze)

Carciofo alla corte di Francia

• Anche se la documentazione storica

la contraddice, la leggenda vuole che

a far conoscere in Francia il carciofo

sia stata la fiorentina Caterina de’

Medici, andata in sposa ad Enrico II.

In ogni caso, la regina sembra essere

stata particolarmente ghiotta di

quest’ortaggio, al punto che a corte non

poteva darsi un banchetto senza che

fosse imbandita una piccola montagnola

di carciofi. Evidentemente la sovrana

ne apprezzava le proprietà digestive e

l’azione benefica sul fegato, traendone

giovamento nonostante le memorabili

abbuffate: “si credeva di vederla

scoppiare”, come tramanda un cronista

dell’epoca. Anche il re Luigi XIV era un

grande consumatore di carciofi

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alimentazione

Aspetti nutrizionali

Carlo Cannella

Fitoterapia e medicina

Mariangela RondanelliAnnalisa OpizziFrancesca Monteferraio

Composti bioattivi

Donato Di VenereGiuseppe Maiani Stefania Miccadei

Tradizione alimentare

Vittorio MarziSebastiano Vanadia

Carciofo in cucina

Vito Vincenzo BiancoBernardo Pace

Ricette

Gianfranco Bolognesi

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alimentazione

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Aspetti nutrizionali

Il carciofo è un ortaggio dal caratteristico sapore dolce-amaro

costituito dai capolini con brattee carnose prodotti da una pianta

perenne della famiglia delle Asteraceae con foglie basali molto

grandi. La parte edule dei capolini è costituita dalla base carnosa

dell’infiorescenza (ricettacolo o “fondo”) e dalle brattee interne

più tenere che l’avvolgono (comunemente dette “foglie” o “squa-

me”). Abbastanza comune è il consumo della parte superiore del

gambo.

Gli antichi romani apprezzavano il carciofo per il suo gusto “raffi-

nato” che lo distingue dagli altri ortaggi; ci sono giunte testimo-

nianze scritte sull’uso alimentare del carciofo da Plinio (Naturalis

historia) e da Columella (De re rustica), che Piero Camporesi ri-

porta nel suo commento alla Scienza in Cucina ovvero l’arte di

mangiar bene di Pellegrino Artusi.

Il carciofo fornisce un basso apporto calorico, è ricco di minerali

(potassio, calcio, fosforo e ferro), mentre ha scarso contenuto in

vitamine; assieme agli altri prodotti ortofrutticoli freschi, occupa

un ruolo importante nella dieta mediterranea e nella piramide ali-

mentare che ben rappresenta lo stile italiano dell’alimentazione. Il

carciofo è un ortaggio prodotto in pieno campo in diverse regioni

italiane e ha un periodo di raccolta molto ampio; per questo moti-

vo è presente ininterrottamente sul mercato da ottobre a maggio

(otto mesi), pertanto, a differenza di tanti altri ortaggi, è un “pro-

dotto di stagione” reperibile per un lungo periodo dell’anno.

Composizione di ortaggi coltivati (per 100 g di parte edibile)

CarciofoCardo

coltivatoCavolfi ore

Parte edibile (g)

34 70 66

Acqua (g) 91,3 94,3 90,5

Proteine (g) 2,7 0,6 3,2

Lipidi (g) 0,2 0,1 0,2

Carboidrati dispon. (g)

2,5 1,7 2,7

Amido (g) 0,5 0,2 0,3

Zuccheri solubili (g)

1,9 1,5 2,4

Fibra (g) 5,5 1,5 2,4

Energia (Kcal)

22 10 25

Sodio (mg) 133 23 8

Potassio (mg)

376 293 350

Ferro (mg) 1,0 0,2 0,8

Calcio (mg) 86 96 44

Magnesio (mg)

45 = 28

Fosforo (mg)

67 11 69

Tiamina (mg)

0,06 0,02 0,10

Ribofl avina (mg)

0,10 0,04 0,10

Niacina (mg)

0,50 0,20 1,20

Vit. C (mg) 12 4 59

Vit. A (μg ret. eq.)

18 tracce 50

Fonte: Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, Aggiornamento 2000

Attività fisica

Piramide alimentare italiana

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alimentazione

48

tre limitano l’ossidazione delle lipoproteine a bassa densità. Per

trarre beneficio dalle sostanze protettive contenute nel carciofo

bisognerebbe consumarne 200-250 g (una porzione), dando pre-

ferenza al prodotto fresco crudo. Dopo la cottura, 100 g di pro-

dotto fresco si riducono a 74 g.

Il carciofo è ricco di fibra alimentare, utile a mantenere la funziona-

lità intestinale e probabilmente anche a controllare i livelli ematici

di glucosio e colesterolo. La fibra contribuisce inoltre al raggiun-

gimento del senso di sazietà, quindi aiuta a limitare il consumo di

alimenti a elevata densità energetica. L’inulina è un polisaccaride

(polimero del fruttosio) idrosolubile, non digerito dai nostri suc-

chi intestinali (fibra solubile), ma metabolizzato dai bifidobatteri

e quindi con proprietà prebiotiche perché utile a far proliferare

alcuni microrganismi (detti probiotici), che costituiscono la flora

batterica utile al nostro organismo in quanto inibiscono l’insediar-

si di batteri dannosi. Altri ortaggi, nei quali l’inulina è contenuta

soprattutto nelle radici, sono il topinambur e le cicorie. Alcuni oli-

gosaccaridi contenenti fruttosio (quelli della serie del raffinosio =

galattosio-glucosio-fruttosio) sono presenti nella buccia dei legu-

mi e, similmente all’inulina, quando vengono ingeriti sono fermen-

tati nel colon dai bifidobatteri, stimolando così non solo l’effetto

benefico dei probiotici, ma anche emissioni di gas che possono

arrecare disturbo nella vita di relazione.

I fitosteroli sono composti di natura steroidea che inibiscono

l’assorbimento intestinale del colesterolo e pertanto esercitano

un effetto ipocolesterolemizzante; un’alimentazione ricca di or-

taggi e che utilizza l’olio extravergine d’oliva come condimen-

to consente di introdurre una quantità di fitosteroli pari a circa

600-800 mg/giorno. È questa una buona quantità di fitosteroli

che caratterizza le abitudini alimentari mediterranee ed è saluta-

re perché permette di modulare l’assorbimento del colesterolo,

Contenuto in fibra alimentare (g/100 g di parte edibile)

di prodotto bollito

Ortaggio Insolubile Solubile

Carciofi freschi, bolliti 3,17 4,68

Cardi bolliti 1,25 0,28

Asparagi di campo, bolliti

1,57 0,49

Cavolfi ore bollito 1,68 0,71

Finocchi bolliti 1,38 0,49

Fonte: Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, Aggiornamento 2000

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fitoterapia e medicina

51

del carciofo come sostanza coleretica, diuretica, epatoprotettiva

ed epatostimolante.

Chimica delle molecole biologicamente attive presenti nel carciofoDal punto di vista chimico le foglie del carciofo contengono di-

verse molecole con importanti attività farmacologiche. Di seguito

sono descritte le caratteristiche delle principali sostanze attive.

Derivati dell’acido caffeico. Molte delle attività farmacologiche

degli estratti della foglia di carciofo sono state attribuite, almeno

inizialmente, alla presenza di acidi caffeilchinici (CQS). In lettera-

tura questi composti sono anche chiamati, più genericamente,

derivati dell’acido caffeico, oppure orto-diidrofenoli; sintetica-

mente sono ottenuti dalla condensazione di una molecola di aci-

do chinico con una o due molecole di acido caffeico.

Storicamente le indagini chimiche su tali componenti iniziarono

nel 1840, quando un certo Guitteau isolò una sostanza, conosciu-

ta oggi con il nome di cinarina.

La vera natura di questa sostanza fu scoperta da Chabrol e coll.

nel 1931. Questi ricercatori riuscirono a separare, da un estratto

acquoso di foglie di carciofo, una frazione che precipitava con

l’aggiunta di piombo e un residuo che non precipitava.

La frazione precipitata fu poi analizzata risultando di natura acida

per la presenza di gruppi fenolici e con un notevole effetto colere-

tico nei cani, mentre la frazione che non precipitava con il piombo

risultò priva di qualsiasi attività.

Principali molecole attive presenti nella pianta di carciofo

• Le foglie del carciofo contengono

diverse molecole con rilevanti attività

farmacologiche; le più importanti sono:

– derivati dell’acido caffeico

– flavonoidi

– lattoni sesquiterpenici

Egitto: il carciofoveniva scolpito

su altari sacrificali

Il carciofo negli anni

Rinascimento:

alimento nobileconsumato solo

nelle corti e dai reali

Prima metà ’900:

alcuni ricercatori francesi lo indicaronocome farmaco per il fegato

Anni ’70, ’80, ’90:

studi clinici controllati

Greci e Romani:

ne conoscevano le proprietàdigestive, diuretiche

e coleretiche

18°-19° secolo:

veniva portato negli Stati Unitidagli immigrati

1965:

identificazione della cinarinae utilizzo come epatoprotettore

Storia del carciofo come alimento e come rimedio farmacologico

Derivati dell’acido caffeico

• Storicamente le indagini chimiche

su questi componenti iniziarono nel

1840, quando venne isolata la cinarina

• Oltre alla cinarina, altri acidi

monocaffeilchinici sono: l’acido

clorogenico, l’acido criptoclorogenico

e l’acido caffeico

• Farmacologicamente hanno effetti

coleretici e, in parte, di riduzione

del colesterolo

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alimentazione

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l’energia necessaria alla crescita; ha un ruolo protettivo per la pian-

ta nei confronti delle basse temperature e della siccità. Per la sua

presenza nel capolino è stata ipotizzata una funzione osmorego-

latrice: essa viene accumulata nel corso dell’accrescimento del

capolino e rapidamente depolimerizzata nella fase di espansione

dell’infiorescenza.

Il contenuto di inulina del capolino di carciofo varia in funzione

del genotipo, dello stadio fisiologico e dell’epoca di raccolta; è no-

to infatti che esso è influenzato da fattori genetici, fisiologici e

ambientali (soprattutto la temperatura). Nel confrontare quindi il

contenuto di inulina delle diverse cultivar, alla luce di queste con-

siderazioni, è necessario tenere presente criteri di omogeneità in

relazione ai suddetti fattori.

Ricerche effettuate su numerose cultivar hanno messo in eviden-

za una notevole variabilità nel contenuto di inulina della parte edu-

le del capolino, in un intervallo compreso tra 1% e 6% del peso

fresco (tra circa 7% e 40% del peso secco). Nel corso dell’ac-

crescimento del capolino sulla pianta il contenuto di inulina au-

menta notevolmente, raggiungendo, nel capolino a maturazione

commerciale, valori più che doppi rispetto a quelli del capolino

nei primi stadi di sviluppo. Per il Violetto di Provenza, la cui produ-

zione va da novembre a maggio, è stato osservato un contenuto

di inulina dell’8% del peso fresco (43% del peso secco) in epoca

invernale e del 5,5% (35% del peso secco) in epoca primaveri-

le. Oltre all’inulina, le proprietà nutraceutiche del carciofo sono

attribuite anche alla presenza di polifenoli, in particolare esteri

dell’acido caffeico e flavonoidi derivati di apigenina e luteolina, la

Acido 5-O-caffeilchinico(ac. clorogenico)

Acido 1,3-O-dicaffeichinico(cinarina)

Apigenina 7-O-glucoside Luteolina 7-O-glucoside (cinaroside)

OH

OH

OH

OHOH

OH

OH

HO

HO

O

O COOH

O

O

HO

HO

HO

O

OO

OHOH

OH O

OGluO

OH

OH O

OGluO

Polifenoli

Cosa sono e cosa fanno i prebiotici

• Il termine prebiotico indica un gran

numero di sostanze organiche,

in particolare gli oligosaccaridi

fermentescibili (FOS e inulina), che sono

in grado di favorire la crescita

della flora microbica intestinale,

in quanto fungono da substrato nutritivo

per i microrganismi endogeni

• Il loro meccanismo d’azione è quello

di favorire la crescita di microrganismi

probiotici, quali per es. i bifidobatteri,

che normalmente costituiscono

la microflora intestinale, contribuendo

a inibire la crescita di batteri dannosi

• Ai prebiotici inulino-simili vengono

attribuite proprietà salutistiche, quali

l’aumento della capacità di assorbimento

di ioni calcio e magnesio e la riduzione

dei livelli ematici di glucosio e trigliceridi

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alimentazione

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na tradizionale nei disturbi epatici e hanno dimostrato di svolgere

un’azione benefica contro le malattie epatobiliari.

Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza degli

estratti di carciofo nel trattamento di disfunzioni epato-biliari e

patologie digestive in animali e nell’uomo, nonché la capacità di

ridurre i livelli di colesterolo nel sangue. L’azione benefica degli

estratti non può essere ascritta a un solo componente, ma piutto-

sto all’azione sinergica di diversi componenti: acido clorogenico,

acidi dicaffeilchinici, derivati della luteolina.

Numerose ricerche hanno riguardato l’attività protettiva di estratti

acquosi di foglie nonché di singoli componenti fenolici (acidi clo-

rogenico e dicaffeilchinici, acido caffeico, cinaroside) su epatociti

di ratto sottoposti a stress ossidativo esogeno causato da agenti

chimici e conseguente perossidazione dei lipidi di membrana.

L’azione coleretica di estratti di foglie e di composti fenolici in essi

contenuti è stata in molti studi confrontata con quella dell’aci-

do deidrocolico, principio attivo di farmaci ad azione coleretica

Azioneantiossidante

Azioneanticolestatica

Azionecoleretica

Riduzione del colesterolo

Azioneantiemetica

Prevenzionedell’aterosclerosi

Inibizionedella sintesi

del colesterolo

Riduzione della concentrazionedi colesterolo intraepaticadovuta a una più efficace

eliminazione della bile

Riduzione della colestasiindotta dalla deformazione

dei canalicoli biliariRiduzione del dannoalle cellule epatiche

indotto dai radicali liberi

Protezione del fegatocontro agenti tossici esterni

Inibizione della formazionedelle placche aterosclerotiche

Inibizione della ossidazionedelle LDL

Funzione antidispepticaed epatocurativa

Prevenzione di nauseadi diversa origine

Azioni protettive e curative di estratti di foglie di carciofo contro differenti patologie

Fonte: Kraft K., 1997

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alimentazione

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Ricette

IntroduzioneDiversamente da numerose altre verdure commestibili, il carciofo

che viene utilizzato in cucina non è un frutto, né tanto meno un

tubero o una radice, bensì un capolino che, a seconda delle va-

rietà, può avere un diametro variabile dai 5 ai 15 cm. Dell’intero

capolino se ne mangia, però, soltanto il 20%, ossia il cuore e

le brattee più interne e polpose. Il gusto leggermente aspro dei

carciofi è dovuto alla presenza, nelle radici e nelle foglie, di una

sostanza amara chiamata cinarina, impiegata per la produzione

del Cynar®, noto amaro a base di estratto di carciofo ed erbe aro-

matiche. La preparazione dei carciofi varia a seconda del grado

di maturazione: i carciofi più giovani, dal capolino piccolo e te-

nero, si mangiano interi, con il gambo, senza eliminarne la barba

e le brattee più esterne. I carciofi di taglia media e grossa, inve-

ce, che non vengono raccolti giovani, vanno privati delle grandi

brattee esterne, le quali formano un involucro duro che potrebbe

alterarne il sapore. Per evitare l’imbrunimento della base e del

cuore a contatto con l’aria, i carciofi vanno strofinati con aceto

o limone nel punto in cui lo stelo è stato tagliato. Per cuocerli,

vanno immersi nell’acqua a cui si aggiunge limone o aceto per

mantenerli chiari e appetitosi.

Preparazione delle basi di carciofo

• Lavare il carciofo, tagliare lo stelo

e strofinarne la base per non farlo

annerire

• Tagliare il carciofo circa ai 2/3

nel senso della lunghezza

• Con l’aiuto di un coltello da cucina,

eliminare le foglie rimanenti e le parti

più dure alla base del carciofo

• Togliere la barba interna con l’ausilio

di un cucchiaino da caffè dal bordo

affilato o di un coltellino

• Cuocere alcuni minuti in acqua

addizionata di limone o aceto

Cottura dei giovani carciofi interi

• Eliminare le foglie spinose del gambo,

accorciare quest’ultimo e spuntare,

con un coltello affilato, le estremità

delle brattee

• Con le dita, eliminare le brattee

più esterne

• Con l’ausilio di un coltello, eliminare

lo strato superficiale della parte

di gambo rimanente

• Cuocere 10-15 minuti in acqua

addizionata di limone o aceto

• Passare i carciofi sotto l’acqua fredda

e, dopo che si sono raffreddati, tagliarli

a metà ed eliminare la barba interna

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ricette

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Noci di pescatrice arrostite con ragù di animelle, carciofi e fegato d’anitra

Pulire e lessare le animelle. Riscaldare una padella con un poco

d’olio e cuocere a fuoco vivo i carciofi tagliati a julienne, aggiun-

gere le animelle, un ciuffetto di maggiorana tritata e il parmi-giano tagliato a lamelle, aggiustare di sale e pepe e mantenere

al caldo. Tagliare a fettine il fegato grasso e cuocerlo in una

padella di ferro ben calda senza aggiunta di grassi, asciugarlo con

carta assorbente e tenerlo al caldo. Ridurre la panna della metà,

togliere dal fuoco, aggiungere metà del fegato e frullare il tutto.

Passare la salsa al setaccio e manenerla calda, senza farla bollire.

Rosolare i filetti di pescatrice con poco olio e un ciuffetto di

maggiorana e terminare la cottura in forno. Saltare velocemente i finferli con un filo d’olio e l’aglio. Sistemare al centro del piatto

il ragù di animelle, adagiarvi sopra una fettina di fegato e la pe-scatrice scaloppata, condire con la salsa di fegato e decorare con i finferli e un poco di maggiorana tritata.

Ingredienti

• 300 g di filetto di pescatrice

• 200 g di animelle di vitello

• 4 carciofi

• 150 g di fegato grasso d’anitra

• 100 g di finferli

• 1 dl di panna fresca

• 20 g di parmigiano

• 2 ciuffetti di maggiorana

• 1 spicchio di aglio

• olio extravergine di oliva

• sale e pepe

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paesaggio

Carciofo in Puglia

Vito Vincenzo BiancoNicola Calabrese

Carciofo in Sicilia

Giuseppe La MalfaSergio Argento

Carciofo in Sardegna

Anna Barbara Pisanu Martino MuntoniLuigi Ledda

Carciofo in Campania

Vitangelo Magnifico

Carciofo nel Lazio

Olindo Temperini

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paesaggio

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Carciofo in Puglia

IntroduzioneLe prime informazioni certe sulla presenza del carciofo in Puglia

risalgono al 1736, quando nel seminario di Otranto (LE), durante

il mese di aprile furono servite pietanze a base di carciofo; inol-

tre nel 1751 e nel 1763 viene segnalato il consumo di carciofo in

un monastero di Trani (BA) e nel seminario di Gravina (BA). Testi-

monianze successive riportano il consumo di carciofo dal 1763

al 1860. Nel viaggio attraverso il Regno di Napoli nel 1789 De

Salis Marschlins riporta la presenza di piante di carciofo presso

Canneto, in provincia di Bari. Nel 1811 Serafino Gatti annovera

il carciofo tra gli ortaggi coltivati in Capitanata. Fino agli inizi del

1900 il carciofo era coltivato su piccolissimi appezzamenti o lun-

go i muri a secco e intorno alle abitazioni rurali o in consociazione

con diverse specie di frutti. Nei primi anni del 1900, tra le province

importanti per la produzione del carciofo erano annoverate anche

Bari e Lecce. Dopo la seconda guerra mondiale alcuni intrapren-

denti coltivatori di Mola di Bari contribuirono all’espansione del

carciofo nell’area brindisina e foggiana. Nel 1923, 1929, 1939,

1949, il carciofo era presente in Puglia rispettivamente su 210,

437, 869 e 958 ha.

Dalla sua introduzione ad oggi la superficie destinata a carciofo è

aumentata in maniera considerevole: la diffusione più ampia nei

comprensori orticoli è progressivamente avvenuta a partire dagli

anni ’50 ed è proseguita fino agli inizi degli anni ’90, raggiungendo

il massimo assoluto nel 1991 con 19.280 ha. Negli ultimi quindici

anni, pur mostrando una lieve diminuzione, la superficie si è man-Carciofaia in piena produzione a Polignano a Mare, Bari

Puglia in sintesi

• Con 17.085 ha e 173.448 t, la Puglia è

al primo posto in Italia per la superficie

coltivata e per la produzione totale

di capolini

• La coltivazione è maggiormente diffusa

nella provincia di Foggia (8600 ha;

100.800 t di capolini), seguita da Brindisi

(6820 ha; 57.000 t) e Bari (1180 ha;

6878 t); mentre è limitata in provincia

di Taranto (440 ha) e Lecce (140 ha)

• Le cultivar più diffuse sono il Violetto

di Provenza, affermatosi negli ultimi

vent’anni soprattutto in provincia di

Foggia, sostituendo progressivamente

le popolazioni locali e assumendo il

nome di Francesino, mentre il Violetto di

Sicilia o Catanese è coltivato soprattutto

in provincia di Brindisi e di Bari, dove

viene indicato rispettivamente come

Brindisino e Locale di Mola

• È in corso di assegnazione la IGP

per il Carciofo brindisino

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carciofo in Puglia

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Violetto di Provenza

• Pianta con elevata attitudine

pollonifera, foglie inermi, steli

di altezza media di 70 cm

• Capolino di forma ovoidale, mediamente

compatto o compatto, dimensioni medie

• Brattee esterne di colore violetto con

sfumature verdi, raramente con piccola

spina apicale

• Epoca di produzione: ottobre-maggio,

ciclo produttivo lungo (in coltura forzata

e con trattamenti di GA3, la raccolta può

iniziare in settembre)

• Produttività: 18-20 capolini per pianta,

di cui 8-10 per il mercato fresco,

i rimanenti per l’industria

CultivarLe prime carciofaie da reddito furono impiantate in Puglia nell’im-

mediato dopoguerra con materiale di propagazione proveniente

dalla Sicilia della cultivar Catanese o Violetto di Sicilia. Nel tempo,

questa cultivar ha assunto diverse denominazioni in relazione alla

località di coltivazione. Pertanto il panorama odierno comprende

numerose popolazioni che hanno a volte una diffusione territo-

riale limitata; spesso lo stesso tipo è denominato in modo diver-

so in aree differenti, generando confusione non solo per i nomi

e gli eventuali sinonimi ma anche per quanto riguarda gli aspetti

tecnici e commerciali. È quanto accade ancora oggi, soprattutto

nella provincia di Brindisi e in misura minore in quella di Bari, in

cui l’originario Catanese viene indicato come: Locale di Brindisi,

Brindisino, Locale di Ostuni, Locale di Mola, Molese, Violetto di

Mola, Baresano, Violetto di San Ferdinando, Violetto di Brindisi,

Nostrano di Brindisi, Violetto del Salento, Nostrano di Orta Nova,

ecc. Le cultivar maggiormente presenti in Puglia sono in definitiva:

Violetto di Provenza, introdotto nel secondo dopoguerra nel Sa-

lento, si è diffuso invece con molto successo negli ultimi vent’anni

nella provincia di Foggia, sostituendo progressivamente le popo-

lazioni locali e assumendo comunemente il nome di Francesino.

Questa cultivar è molto produttiva e con la tecnica della forzatura

gli agricoltori riescono ad anticipare la produzione dei capolini già

in settembre, con notevoli benefici economici vista la scarsa pre-

senza in quel periodo di produzioni provenienti da altre regioni. Il

Violetto di Provenza risulta, rispetto al Catanese, più precoce e

più produttivo; i capolini presentano una colorazione violetta più

intensa, maggior peso specifico, forma conica durante la produ-

zione autunnale e tendente all’ovoidale in primavera.

Brindisino e Locale di Mola sono maggiormente coltivati rispetti-

vamente i n provincia di Brindisi e di Bari e hanno la prerogativa di

produrre, oltre a un buon numero di capolini per il mercato fresco

Carciofaia di Violetto di Provenza in ottimo stato

Violetto di Provenza

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paesaggio

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Carciofo in Sicilia

IntroduzioneNella coltivazione del carciofo le scelte e gli interventi riguardanti

i cicli colturali e/o le cultivar, oltre a interagire in maniera significa-

tiva, restano vincolati alla natura e alle caratteristiche dei materiali

di propagazione nonché all’epoca in cui questi presentano requi-

siti di idoneità all’impiego, e cioè per l’impianto di nuove carciofa-

ie. I vincoli sono particolarmente manifesti in Sicilia per la notevole

intensità con la quale si esprimono i fattori più caratterizzanti del

clima mediterraneo – in particolare l’aridità e le elevate temperatu-

re della stagione estiva – che più direttamente interferiscono sulla

modulazione del ciclo biologico e di quelli colturali.

Le implicazioni agronomiche di tali vincoli risultano notevoli, anche

in relazione al particolare profilo biologico della pianta, espressio-

ne di un percorso evolutivo che ha avuto luogo nell’ambiente me-

diterraneo dove si rinvengono ancora, come nel caso della Sicilia,

le forme ancestrali dalle quali ha preso origine la coltura.

La trattazione dei cicli colturali e delle cultivar rende pertanto ne-

cessari brevi richiami sui principali aspetti dell’origine e della dif-

fusione della coltura nell’isola, per i riferimenti che questi hanno

avuto e continuano ad avere ai fini della configurazione degli inter-

venti tecnici in grado di dare riscontro alle esigenze della pianta.

Cenni storici e diffusione La specie più direttamente implicata nell’origine del carciofo (e

del cardo) è Cynara cardunculus, la quale è articolata in due sot-

tospecie: cardunculus e flavescens. Quest’ultima sarebbe unica

progenitrice delle due colture con le quali condivide alcuni tratti

Piante da “seme” pronte per la raccolta dei capolini

Sicilia in sintesi

• La Sicilia occupa la seconda posizione in

Italia per la coltivazione e la produzione

di carciofo con 14.270 ha e 159.064 t

• Le province di Caltanissetta, con 5800 ha

e 66.000 t, e di Agrigento, con 3710 ha

e 39.000 t, sono ai primi posti; seguono

Catania, Palermo, Siracusa e Ragusa.

La coltura si concentra nella Piana di

Catania (comuni di Ramacca, Castel

di Judica e di Lentini), nei territori di

Niscemi e di Gela (CL), nell’area di Menfi

(AG), nella Piana di Buonfornello (PA), nel

Vittoriese (RG) e nella Piana di Siracusa

• Le cultivar che dominano nettamente

la scena sono rispettivamente, nella

Sicilia orientale, il Violetto di Sicilia (ora

sostituito in larga parte dal Violetto di

Provenza) e, nella Sicilia occidentale,

il Violetto spinoso di Palermo. Se si

escludono i pochi ettari destinati ad

altri tipi introdotti o a quelli locali, i due

Violetti monopolizzano le aree destinate

alla cinaricoltura precoce

Capolino di varietà primaverile con colorazione intensa delle brattee

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Cultivar Se si esclude l’utilizzazione di C. cardunculus allo stato sponta-

neo o nell’ambito di infrequenti coltivazioni, la diversità genetica

utilizzata in Sicilia per finalità produttive è riconducibile ad almeno

quattro fattispecie.

La prima è rappresentata da piccoli gruppi di piante coltivate

negli orti familiari, soprattutto nelle aree lontane da quelle della

cinaricoltura intensiva, utilizzate in riscontro a particolari esigen-

ze o tradizioni. La configurazione prevalente è quella tipica delle

piante provenienti da “seme” estremamente disformi, con capo-

lini di diversa forma e colore, con ciclo colturale e produttivo che

interessa soprattutto il periodo dalla primavera sino all’autunno.

Dopo il primo ciclo da “seme” le piante sono propagate in situ per

via vegetativa e mantenute in coltura per più anni. Sotto il profilo

morfobiologico le piante e i capolini presentano caratteristiche in-

termedie tra le forme coltivate e quelle spontanee. Relativamente

a queste ultime è da ricordare almeno in Sicilia l’antica pratica di

raccolta in situ dei piccoli capolini spinescenti, i quali nella tarda

primavera vengono offerti su alcuni mercati locali previa bollitura.

Le brattee sono piluccate, cioè staccate singolarmente dal capo-

lino e raschiate tra i denti.

La seconda fattispecie anch’essa poco frequente è rappresentata

da tipi utilizzati per produzioni da destinare soprattutto ai mercati

locali. Le coltivazioni si rinvengono nelle province meno interessa-

te alla cinaricoltura intensiva. I tipi più conosciuti sono domestica

di Castelvetrano, verde spinoso di Palermo, Messina, a calice. Il

Coltivazione di piante propagate per “seme”

Capolini da germoglio primaverile anticipato

Capolino di varietà primaverile dopo la maturazione commerciale

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Carciofo in Sardegna

IntroduzioneLa coltivazione del carciofo in Sardegna ha una tradizione antica,

anche se la prima testimonianza scritta, il trattato Agricoltura di

Sardegna, pubblicato dal nobile sassarese don Andrea Manca,

risale al 1780. La coltura assume una certa rilevanza economica

già nella prima metà dell’800, come attesta lo studioso Vittorio

Angius nel suo Dizionario geografico che, descrivendo l’economia

serramannese, cita il carciofo come “fonte di lucro per i coloni de-

gli orti”. La coltivazione specializzata dell’ecotipo locale Spinoso

iniziò negli anni ’20, principalmente nelle zone costiere della pro-

vincia di Sassari e di Cagliari, in prossimità delle città capoluogo

e dei porti, che garantivano più facili collegamenti e commerci

oltremare. Nel 1929 una rilevazione del catasto agrario attesta

che la coltura era diffusa su 1231 ettari, un decimo della superfi-

cie coltivata in Italia. Tradizionalmente la coltura veniva condotta

seguendo il ciclo naturale della pianta; una svolta importante fu

l’individuazione, nelle campagne di Bosa, di un ecotipo Spino-

so che consentiva di ottenere produzioni anticipate in autunno

risvegliando in estate la carciofaia con l’intervento dell’irrigazio-

ne. Questo ecotipo, in un primo tempo diffuso nel Sassarese e

commercializzato anche nel mercato di Genova, fu introdotto nel

Campidano di Cagliari negli anni 1942-43. Successivamente gli

agricoltori, attraverso la selezione massale indirizzata ad anticipa-

re e incrementare la produzione, hanno migliorato questo ecotipo

originario da cui è derivato l’attuale Spinoso sardo.

Oltre all’ecotipo Spinoso era diffuso in Sardegna il Masedu ca-

ratterizzato dall’assenza di spine, come attesta il nome che in

lingua sarda significa mansueto e inerme. Questa varietà, più pre-SassariHa 2680

OristanoHa 1300

SulcisHa 1015

Spinososardo

Violettodi Provenza

RomanescoC3

Tema2000

Terom

MedioCampidano

Ha 1900

CagliariHa 1964

NuoroHa 40

GalluraHa 100

OgliastraHa 40

Principali aree di coltivazione del carciofo in Sardegna, varietà diffuse ed entità delle superfici destinate a coltivazione specializzata (Fonte: Agenzia Laore, stagione 2006-2007)

Sardegna in sintesi

• Con 12.952 ha e 106.860 t, la Sardegna

è al terzo posto in Italia per la superficie

coltivata e per la produzione totale

di capolini

• Dopo la recente costituzione delle nuove

province, quella di Oristano occupa

il primo posto, con 4771 ha e 39.000 t.

Seguono Cagliari (3165 ha, 26.000 t)

e Sassari, (2627 ha, 23.000 t). Superfici

minori si registrano nelle province di

Ogliastra, Nuoro, Medio campidano,

Olbia-Tempio

• La cultivar maggiormente diffusa è

Spinoso Sardo. Altra varietà è Masedu.

Nei primi anni ’80 è stata introdotta

Terom dalla Toscana e agli inizi

degli anni ’90 Tema 2000. Dal 2001,

soprattutto nel comune di Samassi, è

stato introdotto il clone C3, selezione

più precoce del Romanesco ottenuta per

micropropagazione

Carciofaia di Spinoso sardo in piena produzione

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Cagliari, e successivamente in quasi tutti gli areali di coltivazione

dove ha trovato ampia diffusione.

Dal 2001, soprattutto nel comune di Samassi, è stato introdotto

il C3, selezione più precoce del Romanesco ottenuto per micro-

propagazione.

Cultivar principali

Spinoso sardo. Ha portamento assurgente, elevata attitudine

pollonifera e taglia media, compresa fra 80 e 140 cm. Le foglie

mostrano una caratteristica eterofillia, per la presenza di foglie a

lamina intera, soprattutto nei primi stadi vegetativi. Nelle fasi fe-

nologiche più avanzate, le foglie di dimensioni medie sono lobate

o frequentemente pennatosette, spinescenti e dalla colorazione

verde intenso. Il capolino è conico, mediamente compatto, di dia-

metro variabile fra 10 e 13 cm e peso medio di 130-200 grammi. Il

peduncolo è lungo e di spessore medio. Le brattee esterne sono

di colore verde con sfumature violette, hanno forma allungata e

apice appuntito terminante con una grossa spina gialla. Le brat-

tee interne sono di colore giallo paglierino e mostrano frequente-

mente sfumature violette. È una cultivar molto sensibile al freddo

e mediamente al marciume dei capolini. Manifesta il problema

dell’atrofia, soprattutto laddove venga attuata la tecnica della

forzatura e in presenza di alte temperature durante il periodo di

differenziazione del capolino. Il ciclo produttivo è lungo, con inizio

raccolta generalmente da metà ottobre (precocissimi) a novem-

bre-dicembre (precoci) per concludersi a gennaio-febbraio (tardi-

vi) con una produzione media per pianta, in condizioni ottimali, di

6-8 capolini. Verso marzo-aprile si pratica la raccolta del carcio-

fino. È un’ottima cultivar sia per il consumo a crudo dei capolini

e dei peduncoli di primo e secondo ordine, sia per il consumo in

cucina, per il gusto marcato e inconfondibile. Ha scarsa attitudine

Forzatura

• Tale tecnica prevede la ripresa

dell’attività vegetativa già a partire

dalla fine di giugno-inizio luglio,

attraverso un’abbondante irrigazione

in grado di riportare alla capacità idrica

di campo lo strato di terreno interessato

dalle radici. Le esigenze di mercato, che

premiano commercialmente produzioni

sempre più anticipate, hanno stimolato

la generalizzata adozione di questa

tecnica nella coltivazione delle varietà

rifiorenti. L’elevata incidenza dei capolini

atrofici rappresenta un severo limite

all’adozione di epoche di impianto o di

risveglio troppo anticipate. All’irrigazione

è abbinata la concimazione che,

nelle primissime fasi di vegetazione,

si avvantaggia dei fertilizzanti distribuiti

nel pre-impianto o pre-risveglio (colture

poliennali)

Capolino principale di Masedu

Pecore al pascolo in una carciofaia a fine ciclo

Foto P. Viggiani

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Tempio di Nettuno nell’area archeologica di Paestum

Carciofo in Campania

IntroduzioneIn Campania la coltivazione del carciofo ha origini antiche tanto

da farla risalire all’epoca romana, anche se le prime informazioni

risalgono al XV secolo. Esse fanno riferimento ai Carciofi di Schi-

to, cioè a quelli prodotti nella zona nota come Orti di Schito, po-

sta alla periferia nord di Castellammare di Stabia e non lontano

da Pompei (prov. di Napoli), formata dai depositi di lava e lapilli

emessi con l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che coprì l’antico

lido, il porto e le storiche saline. L’eccezionale valore di questi orti

li farà definire “il miglior dono fatto dal Vesuvio con l’eruzione” che

seppellì Stabia e Pompei. L’importanza di questo ortaggio creb-

be anche grazie alla grande considerazione che acquisì presso

la corte napoletana, tanto che si fa risalire a Carlo di Borbone, re

di Napoli dal 1734 al 1739, la definizione del carciofo come “re

dell’orto”.

Carciofo di Castellammare o di PaestumLa coltivazione del carciofo nell’area di Castellammare di Sta-

bia iniziò a specializzarsi a partire dal 1920, quando le piante

abbandonarono le aree marginali del giardino o dell’orto per

essere coltivate su superfici sempre più ampie, su filari e con

sesti d’impianto regolari così come sono giunti fino a noi. Fu

così che il Carciofo di Schito divenne sinonimo di Carciofo di

Castellammare che, per le sue indubbie qualità, colonizzò altre

importanti aree orticole campane come quelle dell’Agro Sarne-

se-Nocerino, dei Monti Lattari e della Piana del Sele, seguendo

le vicende legate alla bonifica di queste aree. Nel 1929, stando

ai dati riportati dal Catasto Italiano, in Campania, la superficie

Campania in sintesi

• È al quarto posto con una superficie di

2019 ha e una produzione di 34.663 t

• Con quasi 2000 ha la Piana del Sele (SA)

è leader regionale. Qui viene coltivato

l’ecotipo Tondo di Paestum, che altro

non è che il Carciofo di Castellammare,

rinominato Carciofo di Paestum

• Le lievi differenze morfologiche e

dell’epoca di produzione tra il Carciofo

di Castellammare, il Campagnano,

il Romanesco e il Tondo di Paestum

fanno entrare questi ecotipi in un unico

gruppo detto dei carciofi Romaneschi,

al quale fa riferimento il Disciplinare di

Produzione del Carciofo di Paestum IGP

• Limitata diffusione ha il carciofo Bianco

di Pertosa, inserito fra i Presidi di Slow

Food, coltivato su pochissimi ettari in

provincia di Salerno. Altro prodotto

di nicchia è la varietà Capuanella,

coltivata su ridotte superfici in

provincia di Caserta e nel comune di

Capua, da cui prende il nome

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carciofo in Campania

investita a carciofo era di 818 ha e rappresentava il 6,5% del

totale nazionale che era pari a 12.600 ha. All’epoca la Sicilia era

leader indiscussa con quasi il 40% della superficie nazionale,

seguita da Lazio, Toscana e Sardegna. Con l’espansione della

coltivazione del carciofo nella Piana del Sele, a partire dagli anni

Cinquanta del secolo scorso e dalle aree vicine ai famosi templi,

si raggiunse la massima superficie di 3200 ha e una produzione

totale di circa 35.000 t alla fine anni Settanta, per stabilizzarsi

intorno ai 2500 ha degli anni Novanta, giunti fino ai nostri giorni

a rappresentare quasi il 5% della superficie e l’8% della produ-

zione nazionale.

Con quasi 2000 ha la Piana del Sele, in provincia di Salerno,

e in particolare la zona di produzione di Capaccio-Paestum, è

assurta al ruolo di leader regionale. Qui viene coltivato l’eco-

tipo denominato Tondo di Paestum, il quale altro non è che il

Carciofo di Castellammare (ex C. di Schito), che in seguito sarà

rinominato Carciofo di Paestum e con questo appellativo viene

coltivato prevalentemente anche nei Comuni di Agropoli, Batti-

paglia, Eboli, Bellizzi, Pontecagnano Faiano e Serre.

TipologiaPur essendo in condizioni di ambiente meridionale, la coltivazio-

ne del carciofo in Campania è rappresentata esclusivamente da

varietà, o meglio da ecotipi, a produzione tardiva o primaverile;

cioè da piante che hanno bisogno del colpo di freddo per diffe-

renziare l’apice caulinare da vegetativo a riproduttivo ed emette-

re, quindi, il capolino principale e, a seguire, quelli secondari. Il

tentativo di introdurre i tipi di carciofo precoci, detti anche rifio-

renti, coltivati in Puglia, Sicilia e Sardegna, non ha mai avuto esi-

to felice per i violenti danni da freddo che subiscono le piante in

produzione durante i mesi invernali. Quindi, la classica tipologia

di carciofo campano fa riferimento a quella denominata Roma-

nesco, caratterizzata da piante a taglia grande, con grandi foglie

basali a formare la rosetta, che può raggiungere il mezzo metro

di altezza e quasi un metro con il capolino principale sostenuto

da un robusto peduncolo o stelo. Il peso dei capolini principali

(comunemente chiamati mamme o mammolelle o mammarelle)

varia da 300 a 450 g, mentre i capolini secondari (figli) pesano

150-250 g.

I capolini principali hanno forma sferica o leggermente sub-sferi-

ca (diametro e altezza intorno a 11 cm) e brattee serrate, mentre

i secondari sono tendenzialmente più lunghi con brattee più las-

se. I capolini principali presentano il classico foro formato dalle

brattee più esterne. Queste sono inermi con apice arrotondato,

largamente inciso, di colore verde con sfumature viola e acquisi-

scono una colorazione rossastra quando vengono coperte con

la tipica coppetta di terracotta (pignatta o pignattello) per impe-

dire l’accumulo dell’acqua nel capolino. Le brattee interne han-

Capolino del carciofo di Paestum

Carciofo della tipologia Romanesco coltivato in Campania

Carciofo di Castellammare con coppetta di terracotta

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paesaggio

144

Carciofo nel Lazio

IntroduzioneLa coltivazione del carciofo nel Lazio riveste un ruolo importan-

te non solo sotto l’aspetto economico ma anche socio-culturale;

infatti, secondo il botanico Montellucci, è da attribuire agli Etru-

schi l’opera di addomesticamento di questa specie a partire dalle

popolazioni selvatiche di Cynara cardunculus var. sylvestris (car-

do selvatico). Le estese popolazioni selvatiche di questa specie,

nella zona collinare tra Civitavecchia e Tolfa fino alle vicinanze di

Cerveteri e Tarquinia, e le raffigurazioni di foglie di carciofo in al-

cune tombe della necropoli etrusca di Tarquinia, confermerebbero

queste affermazioni.

Anche se questo ortaggio è stato coltivato fin dall’antichità e ha

una lunga tradizione nella cucina laziale, le superfici investite a

carciofo Romanesco sono rimaste per secoli a livello di semplici

orti familiari. I capolini di carciofo Romanesco coltivato nel Lazio

sono confluiti sul mercato di Roma soltanto dopo la Prima guerra

mondiale, e in particolare quelli prodotti nei dintorni di Ladispoli,

Cerveteri e Campagnano. Le cultivar affermate furono il Castel-

lammare, per la sua precocità, e il Campagnano che, pur ma-

turando tardivamente, presentava caratteristiche organolettiche

eccellenti.

Con l’avvento della riforma agraria la coltivazione del carciofo di-

venne intensiva, tanto che nel 1950 nel comune di Ladispoli eb-

be luogo la prima edizione della Sagra del Carciofo Romanesco.

L’eco del successo di questa manifestazione, che si ripete ogni

anno all’inizio della primavera, varcò i confini del Lazio e per gli

agricoltori si aprirono le porte dei mercati nazionali. A tale manife-

stazione ne seguirono di analoghe negli altri comuni produttori di

Scultura di carciofi effettuata dai cinaricoltori in occasione della Sagra del Carciofo Romanesco di Ladispoli

Cardo selvatico in località Sasso, sita nel comune di Cerveteri (Roma)

Lazio in sintesi

• Con 1043 ha e 20.650 t, il Lazio occupa

il quinto posto nella graduatoria

nazionale. La coltivazione è diffusa

prevalemente in provincia di Viterbo

(comuni di Montalto di Castro, Canino,

Tarquinia), Roma (Civitavecchia, Santa

Marinella, Campagnano, Cerveteri,

Ladispoli, Fiumicino), Latina (Sezze,

Priverno, Sermoneta)

• È coltivata quasi esclusivamente

la tipologia denominata carciofo

Romanesco. I cloni più rappresentativi

sono tradizionalmente il Castellammare

e il Campagnano. Negli ultimi anni si è

largamente diffusa la coltivazione di cloni

precoci della tipologia Romanesco (cloni

C3 e C4) ottenuti per micropropagazione.

Limitata diffusione si riscontra per la

cultivar Grato 1, incrocio derivato da

libera impollinazione tra Castellammare

e Terom

• Nel 2002 è stata istituita la IGP Carciofo

Romanesco del Lazio

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paesaggio

156

La produzione del carciofo rifiorente si estende per un periodo

che va da ottobre ad aprile, mentre quella del carciofo Roma-

nesco è limitata al periodo febbraio-aprile. Pertanto, la presenza

sul mercato del carciofo autunnale in anticipo, e per così lungo

tempo, induce un minor interesse da parte del consumatore nei

punti di forza (stagionalità e precocità) delle produzioni del carcio-

fo Romanesco coltivato nel Lazio. La diffusione del carciofo Ro-

manesco in altre regioni con condizioni climatiche più favorevoli

per esaltare la precocità della cultivar C3 ha accentuato la crisi

del carciofo coltivato nel Lazio. Va infine sottolineato che recente-

mente è iniziata la concorrenza anche dai Paesi esteri quali Spa-

gna, Francia, Egitto e Tunisia, che quindi contribuiscono all’acuirsi

della crisi della cinaricoltura laziale. Tale situazione si ripercuote

negativamente sul prezzo del carciofo Romanesco e di conse-

guenza sulla possibilità di espansione di questa coltura nella re-

gione. Dalle considerazioni sin qui esposte risulta evidente che la

coltivazione del carciofo Romanesco nelle regioni centrali italiane

sarà sempre più destinata a ricoprire un ruolo marginale a livello

nazionale. Per innescare un’inversione di tendenza occorrerebbe

quindi agire su alcuni aspetti della filiera: a) incrementare le rese

unitarie e ridurre i costi di produzione; b) ampliare il calendario di

commercializzazione e migliorare la qualità dei capolini; c) attuare

nuove strategie di mercato in termini di promozione e commercia-

lizzazione del prodotto.

Per quanto riguarda il punto a), occorre sottolineare che per con-

seguire maggiori rese unitarie associate a un minor costo di pro-

duzione non si può prescindere dall’impiego di materiale di pro-

pagazione qualificato per l’ottenimento di carciofaie omogenee

sia sotto il profilo dello sviluppo delle piante sia sotto quello della Capolini provvisti di foglie e disposti in cassette alla rinfusa

Confezionamento del Carciofo Romanesco nel Lazio effettuato da cinaricoltori non ricadenti nella zona IGP: capolini privi di foglie e con gambo lungo 10 cm

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coltivazione

160

Madrigal F1

Ibridi commerciali

IntroduzioneAttualmente il carciofo è coltivato in tutti i Paesi del Mediterraneo,

in California, in alcuni Paesi del Sudamerica, come pure in Cina;

ma tradizionalmente l’Italia, la Spagna e la Francia sono sempre

state i maggiori produttori e consumatori di carciofi.

La moltiplicazione è effettuata solitamente per via vegetativa ed è

basata sulla propagazione di cloni selezionati, con discreti risultati

produttivi e scarsa omogeneità della produzione. Inoltre, numero-

si sono gli svantaggi della moltiplicazione vegetativa:

– bassa flessibilità nella data di trapianto;

– eterogeneità del materiale utilizzato;

– alta percentuale di piante non attecchite;

– costi elevati di manodopera;

– diffusione delle malattie trasmesse dalla pianta madre.

La propagazione per “seme” del carciofo costituisce invece una

valida alternativa, contribuendo alla razionalizzazione della tecni-

ca colturale, al miglioramento dello stato fitosanitario delle piante

e all’incremento delle produzioni unitarie.

I vantaggi ottenuti dall’impiego del “seme”, possono favorire l’espan-

sione della coltura sia negli areali in cui sono evidenti i problemi di

natura agronomica e patologica sia in quelli di nuova introduzione.

La moltiplicazione per “seme” del carciofo può essere attuata at-

traverso l’uso di:

– cultivar impollinate liberamente (OP, Open Pollinated). Sono

popolazioni da seme solitamente selezionate e mantenute at-

Opal F1

Foto N. Calabrese

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coltivazione

172

Conoscere il fabbisogno nutritivo della coltura

• Per conoscere il fabbisogno nutritivo

o eventuali carenze della coltura in un

determinato momento, indicazioni utili

possono essere dedotte dall’esame del

lembo fogliare escludendo la nervatura

centrale. In linea di massima una

carciofaia di Violetto di Sicilia o Violetto

di Provenza, nel corso di un ciclo

annuale, asporta da 250 a 300 kg/ha

di N, da 40 a 50 kg/ha di P2O

5, da 350

a 400 kg/ha di K2O e 140-160 kg/ha

di Ca, 50 kg/ha di S e 25-30 kg/ha

di Mg. Queste significative asportazioni

sono, ovviamente, sostenute da un

apparato radicale robusto e sviluppato,

in grado di esplorare con efficacia

la massa di terreno a disposizione

Concimazione

Concimazione, epoca di somministrazione, dosi, produzione, qualità dei capoliniLa pianta di carciofo presenta ritmi di accrescimento intensi

nell’arco del ciclo colturale, eccezione fatta per una più o meno

breve stasi vegetativa durante il periodo gennaio-febbraio. Nelle

aree dove le temperature invernali diurne non scendono al di

sotto della soglia termica cardinale del carciofo, che è 8-9°C, i

ritmi di accrescimento sono, invece, pressoché costanti, regi-

strando punte di particolare intensità nei mesi autunnali (varietà

autunnali) e tra febbraio e aprile (varietà primaverili). Per poter

sostenere questi ritmi di accrescimento e raggiungere un buon

livello produttivo, sia sotto l’aspetto quantitativo sia qualitativo,

è necessaria, pertanto, un’idonea concimazione, opportuna-

mente integrata dall’irrigazione. Un’insufficiente disponibilità di

elementi nutritivi può causare, infatti, una riduzione dell’accre-

scimento e una produzione di capolini piccoli, con brattee diver-

genti e stelo fiorale corto ed esile.

Un corretto programma di concimazione deve, ovviamente, asse-

condare i ritmi di asportazione degli elementi nutritivi della coltura

e tenere conto delle caratteristiche del terreno, della sua dotazio-

ne in elementi fertilizzanti e sostanza organica, nonché delle con-

dizioni meteoriche. Inoltre, è necessario tenere presente la pre-

cessione colturale e l’eventuale interramento dei residui colturali.

Concimazione organicaL’impiego di concimi organici, quando sono disponibili, è sempre

consigliabile, in dosi variabili a seconda della natura del terreno e

1200

1000

800

600

400

200

0

1400

Ott Nov Dic Gen Feb Mar AprVioletto di Provenza Romanesco

Biom

assa

sec

ca (g

/pia

nta)

Andamento del peso secco della biomassa epigea nelle cultivar Violetto di Provenza e Romanesco coltivate in Sicilia

Bella colorazione violacea delle brattee esterne dei capolini in Violetto di Sicilia, conseguenza di una concimazione ben equilibrata

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coltivazione

184

Dotazioni ottimali si aggirano su 0,8-1,2 ppm, con i valori mag-

giori nei terreni argillosi e ricchi di humus. Il boro nelle piante

svolge il ruolo importante di attivatore e disattivatore degli or-

moni della crescita. Stimola anche il trasporto degli zuccheri.

Nella sostanza secca delle piante è presente con valori da 15

a 100 ppm.

Molibdeno (Mo). È presente nel terreno in forma libera e assor-

bibile dalle piante come MoO4

-- e nelle analisi del terreno viene

riferito come molibdeno disponibile; giuste dotazioni si aggirano

tra 0,2 e 0,4 ppm. Il molibdeno è componente sia degli enzimi,

che trasformano i nitrati nelle cellule (in particolare la nitratori-

duttasi ), quindi alla base della formazione degli amminoacidi,

sia di quelli che favoriscono nelle leguminose l’azotofissazione.

Nella sostanza secca delle piante è presente da 0,2 a 10 ppm. I

sintomi di carenza compaiono sulle foglie più vecchie che risul-

tano ispessite con macchie gialle ai margini. Talvolta si ha anche

malformazioni delle foglie che assumono un aspetto ovoidale a

cucchiaio.

Manganese (Mn). È presente in generale nei terreni in quantità

notevolmente superiori al fabbisogno delle piante; può, comun-

que, non essere disponibile per l’assorbimento nella forma libera

e assorbibile dalle piante come Mn2+ a causa del pH troppo ele-

vato del terreno o per l’eccessiva presenza di calcio, elemento

antagonista per l’assorbimento. Dotazioni normali si situano tra

Molibdeno

• La carenza si manifesta attraverso

un ridotto sviluppo delle piante

caratterizzate da un colore verde pallido

e con stelo molto assurgente rispetto

al vigore delle piante che appaiono

filate, con internodi più allungati, come

se fossero allevate in carenza di luce.

Il capolino principale appare nettamente

dominante rispetto ai secondari

Boro

• Nella carenza di questo elemento

si osserva una pianta compatta,

con stelo raccorciato e con foglie

molto increspate. I capolini presentano

gli apici delle brattee aperti e di colore

verdastro e risultano più piccoli

e anche teratologici

Carenza di mobildeno. Da notare soprattutto l’eccessiva assurgenza dello stelo

Carenza di boro. Da notare in particolar modo il raccorciamento dello stelo della pianta e il colore verdastro degli apici delle brattee del capolino

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coltivazione

194

Piantina in fase di attecchimento con irrigazione a goccia

Foto N. Calabrese

Particolare dell’impianto di irrigazione a goccia

Panoramica di una carciofaia irrigata con il metodo della irrigazione localizzata

con le precipitazioni di fine estate, ottenendo una considerevole

riduzione del fabbisogno idrico e irriguo; in questo caso la stagio-

ne irrigua inizia in settembre-ottobre.

Il volume stagionale di irrigazione o fabbisogno irriguo varia in

relazione al fabbisogno idrico e all’andamento pluviometrico e

può essere calcolato per mezzo del bilancio idrico. Pertanto,

nella stessa località e con le medesime condizioni colturali può

variare sensibilmente in relazione alle precipitazioni totali e alla

loro distribuzione durante il ciclo colturale. Generalmente sono

necessari volumi stagionali di irrigazione compresi tra 2000 e

4000 m3/ha.

Metodi irriguiPer il carciofo è molto diffuso il metodo irriguo per aspersione a

bassa intensità di pioggia con impianti mobili o stanziali. Questi

ultimi trovano utilità anche per l’irrigazione climatizzante (antige-

lo e per ridurre la temperatura e il deficit di pressione di vapore

dell’aria responsabili dell’atrofia dei capolini). Per quest’ultimo

scopo trova utile applicazione anche il metodo irriguo localizzato

a bassa pressione a spruzzo.

Tuttavia negli ultimi anni si è sempre più diffuso il metodo irriguo

localizzato a goccia con ali disperdenti adagiate sul terreno lungo

i filari, disponendo i gocciolatori a distanze variabili in funzione

della tessitura dei terreni.

Per evitare ostacoli alla meccanizzazione delle operazioni colturali

si ricorre spesso alla sospensione, al di sopra della coltura, del-

le ali gocciolanti che vengono sostenute da apposite intelaiature,

19_17_Irrigazione.indd 19419_17_Irrigazione.indd 194 30-11-2009 11:48:3830-11-2009 11:48:38

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coltivazione

200

Parassiti animali

IntroduzioneIl carciofo è attaccato in Italia da un centinaio di specie di parassiti

animali appartenenti a Nematodi, Gasteropodi, Insetti e Roditori.

Sulla coltura è però presente un notevole complesso di nemici

naturali che contribuiscono a limitare i danni dei fitofagi. L’im-

portanza dei singoli fitofagi dipende dall’area di coltivazione del

carciofo e dalle tecniche colturali adottate. L’anticipazione degli

impianti, con messa a dimora degli ovoli a fine giugno e raccolta

dei capolini a partire da fine ottobre, espone infatti la carciofaia

agli attacchi più intensi di alcuni fitofagi (afidi, nottue) rispetto alle

colture tradizionali con raccolta più tardiva.

Gli insetti più dannosi, che richiedono abitualmente interventi

fitoiatrici, sono gli afidi e alcuni lepidotteri come la nottua del

carciofo e la depressaria dei capolini, ma sulle colture anticipa-

te possono risultare importanti gli attacchi di Nottuidi polifagi.

In alcune aree carcioficole possono essere riscontrati danni da

fitofagi secondari (lepidotteri, coleotteri e ditteri) e da parte di

molluschi Gasteropodi e arvicole.

Larva e danno di depressaria

Foto R. Angelini

Adulto di punteruolo su stelo di carciofo

Foto R. Angelini

Afidi e formiche su capolino di carciofo

Foto R. Angelini

Capolino attaccato da Gortyna xanthenes

Foto R. Angelini

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parassiti animali

213

sale longitudinale e di una conchiglia interna a forma di scudo

ovale allungato. La maturità sessuale viene raggiunta in circa

20 mesi; le uova sono deposte nel terreno e schiudono dopo

30-40 giorni. La limaccia è attiva di notte e nelle giornate nuvo-

lose con alta umidità relativa, mentre di giorno si rintana sotto le

pietre o altri rifugi. Si nutre con avidità delle foglie e dei capolini,

su cui determina perforazioni ampie e profonde. Anche un’altra

limaccia molto simile, di colore nero, Milax nigricans, può essere

dannosa per il carciofo in alcune regioni italiane.

Difesa da insetti e molluschiLa protezione integrata del carciofo si basa su mezzi colturali,

su alcuni interventi meccanici e su trattamenti insetticidi. Le ro-

tazioni e lo spianto annuale della coltura riducono le popolazioni

di fitofagi legati all’apparato radicale (per es. nematodi, larve di

Pentodon punctatus, Cleonis pigra, Gortyna xanthenes, Cossus

cossus). La distruzione dei capolini attaccati dalla depressaria

durante la fase di raccolta manuale e l’eliminazione della parte

epigea delle piante a ciclo pluriennale prima che le larve della

nottua del carciofo raggiungano la base del rachide possono

dare un notevole contributo al controllo di questi due parassiti

“chiave”. Il rischio di danno da parassiti animali, che dipende dal-

la forzatura delle piante e dall’epoca di produzione, rende tuttavia

generalmente necessario il ricorso alla lotta chimica. I principali

parassiti si riscontrano soprattutto in autunno ed è in questo pe-

riodo che vanno effettuati gli interventi insetticidi e molluschici-

di, tenendo conto della scalarità della raccolta e orientandosi su

prodotti specifici e a breve intervallo di sicurezza. L’impiego di

mezzi di rilevamento degli adulti può dare un aiuto decisivo per

stabilire la necessità e il periodo di intervento contro i lepidotteri

dannosi.

Adulto della limaccia Milax gagates

Danni su un capolino causati da Milax gagates

Erosioni sulle brattee di un capolino causate da giovani chiocciole

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coltivazione

214

Roditori

IntroduzioneLe caratteristiche organolettiche del carciofo rendono la pianta

molto gradita ai roditori. Le innovazioni colturali adottate negli

ultimi anni in carciofaia, pur migliorando alcune fasi produttive,

hanno purtroppo favorito l’azione dannosa delle arvicole.

Nel primo anno di impianto i danni causati dalle arvicole sono

in genere molto contenuti, non prevalenti rispetto ad altre cau-

se e abbastanza localizzati in aree limitate e sparse del campo.

Già nel secondo anno di produzione, il danno da arvicole tende

a essere quello prevalente (esperienze di campo, nel Foggiano,

hanno evidenziato una mortalità delle piante coltivate inferiore

all’1% nel primo anno di produzione, fino anche al 6-7% nel

secondo anno di produzione). Le arvicole rodono le radici del

carciofo e, più frequentemente, scavano una galleria nel mezzo

del fusto, a cominciare dal terreno e per tutta la sua lunghezza

raggiungendo, spesso, la base del capolino. In seguito a questa

attività, la pianta subisce un rapido disseccamento. Tipicamente,

il disseccamento interessa più piante di carciofo vicine lungo la

fila. Raramente si possono osservare sintomi di erosione diretta-

mente sul capolino.

Arvicola del Savi (Microtus savi) Questo roditore è incluso nel gruppo dei topi campagnoli definiti a

coda corta. Tale specie è distribuita su tutto il territorio italiano, dal

mare fino a quote montane, con l’eccezione della Sardegna. Que-

sta arvicola è adattata alla vita sotto terra e compie rapidi e brevi

spostamenti sul terreno soprattutto quando è protetta dalla vege-

tazione (erbe infestanti e piante di carciofo), dall’oscurità e da altre

coperture; è incapace di arrampicarsi sugli alberi o compiere salti

Arvicola del Savi

• Le caratteristiche morfologiche distintive

della specie sono: corpo lungo poco

meno di 10 cm a cui si aggiungono

circa 3 cm di coda; peso, al massimo,

di 20 g; muso arrotondato; occhi piccoli;

orecchie ridotte e poco visibili in quanto

nascoste dal pelo delle guance; mantello

di colorazione grigiastra tendente

al rossiccio, più scuro nella parte dorsale

posteriore; zampe relativamente corte;

coda provvista di peli corti e sottili

Apertura utilizzata dall’arvicola

L’individuo appare tanto tozzo e massiccio a riposo quanto allungato e snello durante corsa e vari spostamenti

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coltivazione

218

Malattie

IntroduzioneLe malattie crittogamiche del carciofo sono state oggetto di

un’ampia ed esauriente relazione di Antonio Ciccarone in occa-

sione del 1° Congresso Internazionale di Studi sul Carciofo, a Bari,

nel 1967.

Nonostante da allora siano trascorsi ben oltre quarant’anni si

può senz’altro affermare che nel frattempo la ricerca in questo

settore non ha fatto registrare sostanziali progressi, se non per

quanto riguarda la lotta contro alcune delle principali fitopatie

della composita.

Pertanto, qui viene oggi proposta una disamina delle malattie eco-

nomicamente più rilevanti con particolare riferimento agli aspetti

epidemiologici salienti e alle possibili strategie di lotta.

Oidio o mal bianco o nebbia (Leveillula taurica f.sp. cynarae –

forma conidica Ovulariopsis cynarae)

Il fungo responsabile di questa patologia è comunissimo in tutti

i Paesi carcioficoli del bacino del Mediterraneo ove può causare

danni ingenti. In Italia la malattia appare particolarmente grave

nelle colture primaticce, che sono oggigiorno le più diffuse per

l’alto reddito ricavabile dalla raccolta precoce dei capolini.

Le prime infezioni si manifestano di norma verso la prima deca-

de di settembre, raggiungendo la massima intensità nel mese di

ottobre e nella prima decade di novembre. Col sopraggiungere

Esito di un grave attacco di mal bianco

Foto I. Ponti

Malattie del carciofo

• Il carciofo costituisce una delle

produzioni orticole di maggiore rilievo

per l’Italia meridionale. L’esame della

situazione fitopatologica mette

in evidenza che alcuni problemi sono

tuttora irrisolti anche perché sono pochi

i fungicidi registrati su tale coltura.

Le malattie del carciofo più pericolose

sono quelle causate da patogeni

del terreno, in particolare i marciumi

del colletto e la verticilliosi, a causa,

soprattutto, della propagazione,

essenzialmente di tipo agamico (ovoli

e carducci), di questa composita

Conidio di Ovulariopsis cynarae

Foto I. Ponti

50

Sezione di un cleistotecio di L. taurica f.sp. cynarae

22_21_Malattie.indd 21822_21_Malattie.indd 218 14-12-2009 12:52:2514-12-2009 12:52:25

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coltivazione

222

Pianta di carciofo i cui capolini mostrano sintomi di marciume da Botrytis cinerea

Marciume dei capolini (Botrytis cinerea)

Il marciume dei capolini era concordemente ritenuto, sia in Ita-

lia sia in diversi altri Paesi carcioficoli, di scarsa importanza in

pieno campo ma assai temibile dopo il raccolto. In quest’ultimo

decennio, però, esso è andato estendendosi nelle carciofaie in

forma sempre più grave fino ad assumere oggigiorno proporzio-

ni allarmanti.

I sintomi della malattia consistono in marciume e imbrunimen-

to dei capolini che, in seguito, si ricoprono di una muffa grigio-

brunastra.

Non v’è dubbio che l’insorgenza degli attacchi botritici sia corre-

lata col verificarsi di lesioni sui capolini per le cause più disparate,

quali attacchi di Bremia lactucae, insetti, molluschi; a nostro av-

viso, però, la causa principale di tali lesioni è rappresentata dagli

improvvisi abbassamenti termici. In conseguenza di questi sbalzi,

infatti, sulle brattee si formano areole necrotiche, localizzate di so-

lito intorno alla base della spina, e spesso lacerazioni dell’epider-

mide cui segue talvolta il distacco della stessa. Attraverso dette

lesioni il patogeno si instaura con facilità nei tessuti del capolino

provocandone il marciume in tempi anche relativamente brevi, in

concomitanza di periodi con umidità elevata e specialmente con

temperatura mite.

Un altro fattore, non meno importante, che ha contribuito a far

aumentare l’incidenza del marciume dei capolini in pieno cam-

po è rappresentato dalla mutata tecnica colturale del carciofo.

Marciume dei capolini

• L’esposizione dei capolini alle gelate

del periodo autunno-vernino provoca

aree necrotiche e lacerazioni

dell’epidermide sulle brattee, favorendo

la penetrazione del patogeno nei tessuti

del capolino che, in tempi relativamente

brevi, marcisce. Attacchi anche lievi

in pieno campo possono trasformarsi

in ingenti perdite di prodotto quando,

alla raccolta, i capolini vengono posti

nelle cassette per essere spediti verso

le località di smercio

Capolino di carciofo con evidenti fruttificazioni di Botrytis cinerea

22_21_Malattie.indd 22222_21_Malattie.indd 222 14-12-2009 12:52:3114-12-2009 12:52:31

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coltivazione

232

Virosi

IntroduzioneIn una recente rassegna curata da Martelli e Gallitelli, sono state

elencate 24 specie virali isolate da carciofo, appartenenti a dieci

generi e una alla famiglia Rhabdoviridae. Gran parte di esse è

stata rinvenuta in Europa o in Paesi che si affacciano sul bacino

del Mediterraneo, mentre una minoranza di reperti ha riguardato

il Brasile (Artichoke latent virus, Tobacco streak virus, Tobacco

rattle virus), gli USA (California) (Artichoke curly dwarf virus, Ar-

tichoke latent S virus, Tomato infectious chlorosis virus, Tomato

spotted wilt virus), l’Argentina e l’Australia (Tomato spotted wilt

virus). Solo in alcuni casi si tratta di virus che infettano in modo

specifico il carciofo, mentre la maggioranza è patogena di un nu-

mero più o meno elevato di altre specie, coltivate e spontanee.

Caratteristica comune a più agenti infettivi è, invece, la frequen-

te asintomaticità delle infezioni o, nei casi in cui è visibile una

risposta sintomatologica, questa è spesso condizionata dalla

presenza di più virus nella medesima pianta, da fattori ambien-

tali, dalle tecniche colturali e dalla varietà di carciofo. In questa

sede sono fornite indicazioni sugli aspetti eco-epidemiologici

delle principali virosi che infettano il carciofo e sulle possibilità

di intervento.

Artichoke latent virus (ArLV)

Tra i virus che infettano in modo specifico il carciofo, ArLV è

di gran lunga il più diffuso in tutte le aree di coltivazione della

Carciofaia in ottimo stato fitosanitario

Foto N. Calabrese

Caratteristiche dei fitovirus

• I fitovirus o virus delle piante sono entità

infettive la cui forma matura consiste

di particelle di forma sferica o più

o meno allungata e flessuosa, costituite

da acido nucleico racchiuso e protetto

da un involucro proteico. L’acido nucleico

costituisce il genoma e la parte infettiva

del virus e può essere DNA o RNA,

a singolo o doppio filamento. La gran

parte dei fitovirus possiede un genoma

costituito da RNA a singolo filamento:

una molecola fortemente soggetta

a mutazioni, il che giustifica la grande

variabilità esistente tra questo gruppo

di patogeni delle piante. L’involucro

proteico o capside virale racchiude

e protegge l’acido nucleico dall’attacco

di enzimi ed è fondamentale sia per il

movimento del virus all’interno della

pianta, sia per la sua trasmissibilità

da un ospite all’altro

• Per svolgere il proprio ciclo vitale,

i fitovirus hanno bisogno di una cellula

ospite viva e, pertanto, sono

da considerarsi patogeni obbligati.

Tuttavia, le particelle virali sono

sufficientemente stabili per restare

a lungo infettive in varie matrici,

anche morte, come i residui vegetali

o il terreno

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coltivazione

236

positivi con altre specie virali dello stesso genere con le quali

AMCV è imparentato.

Tomato spotted wilt virus (TSWV) TSWV è una specie del genere Tospovirus, famiglia Bunyaviridae

ed è tra i virus di più recente segnalazione su carciofo. È un virus

ubiquitario e polifago, tanto che la gamma di ospiti suscettibili

comprende un migliaio di specie in diverse famiglie botaniche

e include colture di rilevante importanza economica come pe-

perone, lattuga, pomodoro, melanzana, patata, tabacco, cico-

ria, endivia e carciofo. TSWV è trasmesso in modo persistente

propagativo dal tripide Frankliniella occidentalis che, comunque,

non è il suo unico vettore. Il virus è acquisito solo dalle neanidi

di prima e seconda età ma non dagli adulti, che possono solo

trasmettere il virus acquisito in precedenza dalle neanidi e suc-

cessivamente moltiplicatosi nell’insetto. Gli adulti non possono

acquisire nuovo virus, anche se si alimentano su piante infette,

per una particolare conformazione del canale alimentare. In que-

sto caso, il virus è semplicemente ingerito ma non sembrerebbe

rilevante ai fini della trasmissione, anche se è stata paventata

la possibilità che le particelle virali presenti nelle deiezioni degli

insetti possano stabilire nuove infezioni, penetrando nell’ospite

attraverso ferite o aperture naturali. Gli individui adulti possono

continuare a trasmettere il virus per tutta la durata della loro vita;

in media 35-40 giorni. Non sono riportati casi di trasmissione

transovarica alle successive generazioni di individui viruliferi,

ma la loro permanenza in campo, anche dopo l’espianto del-

la coltura, espone al rischio di infezioni anche le colture suc-

cessive. Numerosi sono stati gli isolamenti italiani, a partire dal

1992. Come in altre essenze, anche nel carciofo il fenotipo della

Difesa da Artichoke mottled crinckle virus (AMCV)

• Per la lotta, si può solo ricorrere a

lunghe rotazioni perché la persistenza

dell’inoculo nel terreno rende poco

utile il ricorso a germoplasma sano

di cui, tuttavia, è consigliabile

l’impiego per il nuovo impianto

al termine della rotazione

Eco-epidemiologia di TSWV

• Nelle condizioni dell’Italia meridionale,

il virus è trasmesso da Frankliniella

occidentalis nel periodo primaverile-

estivo e da Thrips tabaci in quello

autunno-invernale. Le uova deposte

nelle foglie e nelle brattee schiudono

in 2-14 giorni, in dipendenza

della temperatura, e le neanidi

di prima età iniziano immediatamente

l’alimentazione sulla stessa pianta, dalla

quale, se infetta, possono già acquisire

il virus. Anche le neanidi di seconda età

possono acquisire il virus che continua

a replicarsi e può essere trasmesso

per tutta la vita dall’adulto dell’insetto

Necrosi delle nervature osservabile in una foglia di carciofo infetta da TSWV. La necrosi delle nervature provoca arresto della distensione del lembo fogliare con conseguente curvatura dell’asse fogliare

Evidenti malformazioni fogliari e ridotto accrescimento di una pianta infetta da TSWV

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coltivazione

240

Interazioni virus-piantaA seguito dei progressi nella comprensione di come sono dispo-

sti ed espressi i geni della maggior parte dei virus che infettano

le piante, l’interesse dei ricercatori si è ora spostato sugli aspet-

ti dell’interazione fra virus e ospite, con particolare riferimento ai

meccanismi attraverso i quali si sviluppano sintomi e malattia.

Gran parte di tali studi è condotta su piante modello come Ara-

bidopsis thaliana, una crucifera dotata di un genoma di piccole

dimensioni e completamente noto. Sono diffusamente utilizza-

te anche varie specie di Nicotiana, tra cui il tabacco, che sono

piante infettate da un gran numero di virus, molto diversi. Su

tali piante-modello è anche possibile effettuare trasformazioni

genetiche così da poter studiare, nel dettaglio, la funzione di

singoli geni del patogeno, avendoli isolati dal contesto della

pianta infetta nella quale, a vari livelli, agiscono anche tutti gli

altri geni virali. A tale proposito va però specificato che il com-

portamento del singolo gene può variare se messo in condizione

di esprimersi da solo rispetto al più ampio e armonico contesto

di un complesso processo infettivo. Si va infatti chiarendo che

soprattutto i fattori definiti “di patogenicità”, coinvolti, cioè, nella

induzione della malattia, assolvono a più di una funzione, e che

tali funzioni possono essere rivelate solo in presenza del virus

in replicazione attiva nella pianta ospite e non già attraverso un

gene singolarmente espresso. Un’alternativa alla transgenesi è

quella basata sull’uso di vettori virali, cioè virus il cui corredo

genetico è stato modificato per portare all’interno della cellula

ospite geni di un altro virus in modo da poterne studiare la fun-

zione. Questo tipo di approccio, definito “transiente” presenta il

vantaggio, rispetto a quello transgenico, di essere più flessibile

perché uno stesso vettore virale può essere usato per veicola-

re geni differenti ma, comunque, non risolve il problema della

Trasformazione genetica

• Per trasformazione genetica

o transgenesi si intende l’integrazione

stabile di una sequenza di DNA

nel genoma di una pianta. Da questa

operazione si ottengono piante note

come transgeniche o OGM. In agricoltura,

la transgenesi è generalmente proposta

per conferire vantaggi alle piante come

un incremento della produttività o del

livello di resistenza ai patogeni, ma può

anche essere un valido sistema di studio

genico oggi utilizzato da molti laboratori

di ricerca

Piantine di carciofo Brindisino risanato esitate dall’attività di premoltiplicazione e pronte per la distribuzione ai vivaisti

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virosi

241

mancanza di un contesto di infezione. Anche se il vettore virale

genera un processo infettivo, spesso asintomatico, esso è però

diverso da quello del virus da cui è stato prelevato il gene che si

vuole studiare attraverso l’espressione transiente.

Altre indagini sono invece condotte direttamente sulle piante di

interesse agrario nella prospettiva che da tali studi possano an-

che derivare informazioni utili per combattere la malattia. Queste

piante, di cui non è noto, o è noto solo in parte, il genoma, ren-

dono più complicati gli approcci sperimentali ma spesso porta-

no, per puro caso, alla scoperta di aspetti di un certo interesse,

soprattutto applicativo.

Nel caso del carciofo, è stata appunto casuale la scoperta che pian-

te infette da due virus differenti come Artichoke latent virus (ArLV) e

Artichoke Italian latent virus (AILV), sottoposte a risanamento me-

diante coltura in vitro di apici meristematici, risultassero risanate

da ArLV ma non da AILV. Per risanare le piante anche da AILV si è

dovuto fare ricorso a un doppio trattamento consistente nella col-

tura di apici meristematici preceduta o seguita da un trattamento di

termoterapia, cioè di esposizione delle piante ad alta temperatura.

La coltura in vitro di apici meristematici è stata proposta come

tecnica utile al risanamento del carciofo ma, se buoni risultati

Insediamento (30 giorni)

Insediamento (30 giorni)

Radicazione (45 giorni)

Acclimatazione (30-40 giorni)

Tempo totale necessario

circa 280 giorni

Moltiplicazione (30 giorni)

Moltiplicazione mediantetre subcolture (90 giorni)

Esposizione degli espiantidella prima subcoltura a 38 °C

(15 giorni)

Prelievo dell’apice meristematico

Termoterapia in vitro

Acclimatazione dei carduccia 30 °C (30 giorni)

Esposizione dei carduccia 38 °C (150 giorni)

Insediamento (30 giorni)

Radicazione (45 giorni)

Acclimatazione (30-40 giorni)

Tempo totale necessario

circa 358 giorni

Moltiplicazione mediantetre subcolture (90 giorni)

Prelievo dell’apice meristematico

Termoterapia in vivo

Pianta infetta

Prelievo dell’apice meristematico

Protocollo per il risanamento da infezioni virali di varietà rifiorenti di carciofo mediante coltura di apici meristematici

e termoterapia in vivo e in vitro

Espressione “transiente”

• A differenza dell’espressione genica

costitutiva realizzata con la transgenesi,

quella transiente è un tipo di espressione

che non produce una pianta transgenica,

ma che consente di effettuare studi sulla

funzione di specifici geni trasportati

momentaneamente da un vettore

all’interno della pianta. Per queste

finalità, sono spesso usati vettori

virali per la loro capacità di invadere

sistemicamente l’ospite e consentire

la valutazione del gene in tessuti diversi

della pianta

Problema della perdita di precocità

• Si è visto che la coltura di apice

meristematico, ancorché non sempre

efficiente nel risanare il carciofo

dalle infezioni virali, produce, come

effetto collaterale, la perdita delle

caratteristiche di precocità delle cultivar

rifiorenti. Questo effetto indesiderato

sembra essere il risultato dell’eccessivo

numero di subcolture in terreni agarizzati

ricchi di ormoni a cui sono sottoposti

gli espianti per incrementarne

il numero. Il problema sembra risolvibile

se si contiene in due o tre il numero

di subcolture

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coltivazione

246

Flora spontanea

IntroduzioneLa particolare epoca di impianto della carciofaia, nel pieno della

stagione estiva, rende questa coltura diversa dalle altre ortive da

pieno campo, anche dal punto di vista della diffusione delle erbe

infestanti. Generalmente le lavorazioni di preparazione del letto

di semina consentono di rinettare il terreno all’atto dell’impian-

to, così come il diserbo di pre-trapianto, nel caso si utilizzino

carducci, o di pre-emergenza, nel caso si utilizzino ovoli. In as-

senza di diserbo la prima tipologia di infestazione che apparirà

nella coltura comprende le specie annuali che nascono, grazie

soprattutto all’irrigazione, durante la stagione estiva. A questo

tipo di flora seguirà quella della stagione autunno-invernale

che invaderà la carciofaia all’inizio della produzione e che verrà

sostituita dalle specie che nasceranno durante la primavera e

l’estate nell’anno successivo all’impianto. Intanto anche le spe-

cie poliennali e quelle perenni avranno l’opportunità di insediarsi

nella carciofaia, specialmente nelle zone del Centro-Nord nelle

quali la durata della coltura si protrae più a lungo di quella delle

altre zone d’Italia.

In definitiva nel corso della vita della carciofaia si possono pre-

vedere le tre seguenti tipologie di flora selvatica:

a) flora estiva dell’anno di impianto e di quelli successivi;

b) flora autunno-primaverile dell’anno di impianto e successivi;

c) flora annuale o poliennale che si sviluppa prevalentemente negli

anni successivi a quello di impianto, durante tutte le stagioni.

Carciofaia infestata da senape selvatica nel Brindisino

Foto M. Curci

Tappeto di acetosella gialla in una carciofaia del Brindisino

Carciofaia fortemente infestata

Foto R. Angelini

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flora spontanea

251

Avena selvatica (Avena sterilis). Le avene sono conosciute sin

dall’antichità; il nome pare derivi dal sanscrito avasa e sottolinea

l’uso come foraggio che ne facevano i popoli antichi. Queste piante

sono state accostate spesso, da poeti e scrittori, alle vicissitudini

umane, come nel Colloquio sentimentale del poeta Paul Verlaine,

che così recita: “Nel vecchio parco gelido e deserto sono appena

passate due forme… Andavano così tra l’avena selvatica, e le loro

parole le udì solo la notte”, e gli fa eco il nostro D’Annunzio, nell’Al-

cyone (La spica). “... Ma la vena selvaggia, ma il ciano cilestro, ma il

papavero ardente, con lei cadranno, ahi, vani su le secce...”.

Becco di gru (Erodium spp.). Il frutto è composto da un’appendice

appuntita, come il becco di una gru o di un airone (dal greco ero-

dium = airone), formata dall’insieme di molti “becchi” allungati e sot-

tili che portano alla base un seme. A maturità l’appendice del frutto

si sfilaccia, i becchi si staccano, indipendenti, attorcigliandosi a ca-

vaturacciolo, cadono sul terreno e, in base alle variazioni di umidità

dell’aria, si allungano (srotolandosi) e si accorciano (riarrotolandosi),

in un movimento lento ma progressivo, mediante il quale si confic-

cano nel terreno e trasportano così i semi alla profondità adatta per

la loro germinazione. Le specie più diffuse sono b. d. g. comune (E.

cicutarium) e b. d. g. malvaceo (E. malacoides).

assente o sporadicadiscreta presenzaelevata presenza

Diffusione

Diffusione di avena selvatica nelle principali regioni produttrici

di carciofo

assente o sporadicadiscreta presenzaelevata presenza

Diffusione

Diffusione di becco di gru nelle principali regioni produttrici

di carciofo

Becco di gru comune Becco di gru malvaceo

Foto R. Angelini

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gestione delle malerbe

269

DiserboAl pari di tutte le altre colture agrarie, anche per quella del car-

ciofo è sempre stata molto sentita dagli orticoltori l’esigenza di

attuare il diserbo, cioè l’eliminazione o almeno il contenimento

delle malerbe, al fine di diminuirne il più possibile gli effetti dan-

nosi. Solo difendendo opportunamente la coltura, infatti, diviene

possibile salvaguardarne il potenziale produttivo sotto l’aspetto

sia quantitativo sia qualitativo e, nel caso della coltura poliennale,

ottenere una durata della carciofaia che sia più economicamente

conveniente.

Le problematiche di diserbo richiedono soluzioni che non sono

sempre facili da attuare, specialmente per i cinaricoltori delle aree

irrigue meridionali che praticano la coltivazione forzata; in tal ca-

so, infatti, data la lunghezza del ciclo colturale, che può arrivare

fino a 270-300 giorni, è conseguentemente più esteso il periodo

di tempo durante il quale la coltura può risultare suscettibile alla

competizione delle malerbe che iniziano appunto a emergere già

nel periodo estivo.

Metodi di diserboNei confronti delle erbe infestanti che inerbiscono le coltivazioni

di carciofo sono attualmente praticabili metodologie di diserbo di

tipo sia indiretto sia diretto, la cui gestione può avvenire anche in

maniera integrata.

Metodi indiretti. I metodi di diserbo indiretti, definiti anche pre-

ventivi, sono tutti quelli che tendono in generale a prevenire le

infestazioni di malerbe, in modo che sia evitato l’arrivo nei campi

di semi di nuove infestanti o comunque di altri organi di riprodu-

zione di tipo vegetativo (bulbi, rizomi, stoloni ecc.) delle stesse e/o

non avvenga la proliferazione delle specie di malerbe già presenti,

specialmente se di tipo perenne. In altri termini, i metodi preven-

Gestione delle malerbe nell’antichità

• Troviamo nella Bibbia la necessità

di difendere le coltivazioni dalle

malerbe; nel Vecchio Testamento

(Genesi, 3, 18), infatti, si legge che

Dio disse ad Adamo: “… Maledetta

sia la terra per causa tua. Spine

e cardi ti produrrà”, mentre nel Nuovo

Testamento (Matteo, 13, 17) è scritto:

“Parte del seme (di grano) cadde

tra le spine, le spine crebbero

e lo soffocarono” e in una parabola:

“Il Regno dei cieli si può paragonare

a un uomo che ha seminato del buon

seme nel suo campo. Ma mentre

tutti dormivano venne il suo nemico,

seminò zizzania in mezzo al grano

e se ne andò” (Matteo 13, 24-25).

Anche nel mondo latino, nelle

Georgiche, Virgilio riporta che

“… inutile domina il loglio (zizzania)

e la sterile avena”; “… alta si sporge

la felce nemica dell’aratro”, e ancora

come “… ogni anno bisogna per

tre-quattro volte sarchiare il terreno”,

in altre parole togliere le malerbe nate

nella coltura. Columella, nel De re

rustica, afferma: “... ma a me sembra

l’indicazione di un’agricoltura povera

il permettere alle erbacce di crescere

fra le colture, poiché i raccolti

diminuiscono fortemente...”Erbicidi

Normative comunitariee nazionali

Mezzi di distribuzione

Tecnica colturale

RotazioneCaratteristichedel terreno

Flora infestante

Principali componenti che influenzano l’ottimizzazione del diserbo

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ricerca

Miglioramento genetico

Francesco Saccardo

Nuove selezioni in Toscana

Romano Tesi

Biotecnologie

Raffaela Tavazza, Paola Crinò, Giorgio Àncora, Mario Augusto Pagnotta

Propagazione e innovazione

Irene Morone Fortunato, Claudia Ruta

Spinoso sardo

Maria Cadinu, Anna Maria Repetto

Tecnica vivaistica

Fabio Micozzi, Bernardo Pace, Nicola Calabrese

Risanamento da virus

Marina Barba

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ricerca

286

Miglioramento genetico

IntroduzioneIl carciofo (Cynara cardunculus var. scolymus) è una delle più impor-

tanti colture ortive prodotte sul territorio nazionale, con 50.120 ha

coltivati e una produzione lorda vendibile che supera i 500 milioni

di euro. Negli ultimi anni, il settore cinaricolo presenta tuttavia al-

cune problematiche legate principalmente:

– alla comparsa sul mercato di prodotti provenienti dall’estero, in

particolare dalla Francia e dall’Egitto;

– alla mancanza di varietà iscritte al Registro Nazionale MiPAAF;

– alla difficoltosa gestione agronomica della coltura a causa della

variabilità del germoplasma tradizionale, costituito in genere da

popolazioni eterogenee;

– all’assenza di un’attività vivaistica innovativa;

– all’elevato costo di manodopera richiesta per le cure colturali e

la raccolta. Inoltre, il calo dei prezzi, dovuto al fatto che l’offerta

per ogni tipologia è per lo più limitata a un arco di tempo piutto-

sto breve, la ridotta diversificazione varietale esistente e la com-

mercializzazione di un prodotto non qualificato rappresentano

ulteriori problemi della coltura.

Nuove prospettive possono essere fornite dal miglioramento ge-

netico mediante la costituzione di nuove cultivar che meglio ri-

spondano alle esigenze di produzione (uniformità, attitudine alla

raccolta meccanica) e di mercato (precocità) e mediante l’utilizzo

di sistemi razionali di gestione dei tradizionali materiali di propa-

gazione e l’impiego di nuove tecniche vivaistiche. La resistenza

a stress abiotici e biotici (in particolare a Verticillium dahliae) do-

vrebbe consentire la coltivazione del carciofo anche in aree sotto-

poste a stress diversi.

Principali caratteri del carciofo

• Apparato radicale fittonante con rizoma

(organo di riserva)

• Fiori ermafroditi violacei

in infiorescenza (capolino)

• Brattee larghe inermi o spinescenti

• Gineceo con ovario infero

monoloculare, lungo stilo e stigma

bifido

• Androceo con cinque stami liberi

e antere saldate tra loro

• Polline bianco avorio riunito in piccole

masse compatte

• Impollinazione entomofila

e proterandria del fiore

• Fioritura scalare e centripeta

nel capolino

• Parte edule costituita dal capolino

• Frutti (acheni) duri, globosi

con abbondante pappo

per la disseminazione

Coltivazione per la produzione di “seme” Foto R. Angelini

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miglioramento genetico

287

Risorse genetiche L’Italia presenta il più ricco pool genico coltivato di carciofo per

lo più rappresentato da un elevato numero di ecotipi o cloni, pro-

pagati vegetativamente e il cui nome richiama generalmente le

zone di origine. Tuttavia, la biodiversità presente a livello loca-

le è tuttora poco conosciuta, tanto da determinare confusione

sia nella terminologia sia nella classificazione del germoplasma

disponibile. Esiste, infatti, un ampio numero di popolazioni che

prendono il nome dalla rispettiva zona di coltivazione, pur non

essendo sempre geneticamente differenziate tra loro. Per esem-

pio, è il caso del carciofo Cupello (capolino di colore violaceo,

grande e carnoso) che, pur prendendo il nome dalla località

di coltivazione, sin dalla fine degli anni ’50, è genotipicamente

rappresentato dalla popolazione Campagnano che, assieme a

quella denominata Castellammare, concorre alla produzione del-

la tipologia Romanesco. Anche per il Pian di Rocca, il genotipo

coltivato è rappresentato dal clone Terom e non da uno specifico

ecotipo locale.

Il germoplasma di carciofo può essere oggi raggruppato e clas-

sificato secondo differenti criteri, fondamentalmente basati sulle

caratteristiche morfologiche del capolino quali la forma, il colore

delle brattee, la presenza o assenza di spine, o sull’epoca di pro-

duzione, autunnale e primaverile. In base alle caratteristiche del

capolino, le risorse genetiche coltivate sono state suddivise nelle

seguenti tipologie principali:

– Spinosi, caratterizzati da lunghe spine sulle brattee e sulle foglie;

– Violetti, con capolini viola di medie dimensioni e produzione au-

tunnale;

– Romaneschi, con capolini più o meno globosi e produzione pri-

maverile;

Capolini di carciofo (in alto) e di cardo coltivato (in basso)

Fiore di carciofo

Diverso colore di infiorescenze di carciofo

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miglioramento genetico

293

Capolini di ibridi F1 commerciali (in basso) e in via di sviluppo (in alto)

nali. Recentemente, attraverso programmi mirati di miglioramento

genetico, sono stati ottenuti ibridi F1 italiani derivati dall’incrocio

di linee inbred fertili e cloni maschiosterili utilizzati come piante

portaseme. Le autofecondazioni ripetute in carciofo determinano

però fenomeni di depressione da inbreeding con conseguenze

negative sul vigore della pianta, sulla superficie fogliare, sull’altez-

za dello stelo, su numero e dimensione dei capolini commerciali,

sulla qualità e quantità del polline e sul numero di semi vitali. Tal-

volta la depressione da inbreeding compare già alla seconda au-

tofecondazione mentre, in altri casi, alla III-IV autofecondazione,

gli effetti possono essere talmente severi da dover rinunciare alla

produzione di linee inbred. In contrasto con i fenomeni di inbree-

ding, gli incroci tra cloni di carciofo determinano elevata eterosi,

espressa chiaramente in biomassa e produzione. È stato notato

un impressionante vigore ibrido nelle combinazioni di incrocio tra

carciofo e cardo.

La strategia seguita per l’ottenimento di ibridi F1 presenta le se-

guenti fasi:

1) realizzazione di variabilità genetica ottenuta mediante clonazio-

ne, autofecondazione, incrocio intra/interspecifico e mutagenesi;

Coltivazione di carciofo in serra

Madrigal Madrigal Concerto Opal

Sami Sami

26_29_MiglioramentoGenetico.indd 29326_29_MiglioramentoGenetico.indd 293 14-12-2009 13:28:4914-12-2009 13:28:49

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biotecnologie

305

nata per caratteristiche fisiologiche e produttive di pregio, con un

processo di propagazione vegetativa simile a quello della talea.

Contrariamente alle tecniche tradizionali di propagazione, che

si effettuano in serra o in campo, la micropropagazione viene

condotta in condizioni strettamente asettiche e con l’impiego di

camere di crescita caratterizzate da parametri di luce e tempe-

ratura controllati.

Principali fasi della micropropagazioneA partire dalla coltura in vitro di un meristema, o di un apice ve-

getativo, è possibile ottenere un germoglio che, in opportune

condizioni di coltura, viene indotto a proliferare sviluppando le

gemme ascellari presenti alla base di ogni foglia. I germogli pro-

liferati, dopo diversi cicli di moltiplicazione, possono essere suc-

cessivamente indotti a formare le radici mediante trasferimento

su un terreno di coltura idoneo, originando una piantina completa.

Il passaggio della pianta dalla coltura in vitro alla serra è partico-

Terreno di coltura

• Per la coltura in vitro si utilizzano

substrati agarizzati composti da una

miscela di sali minerali comprendenti

macro- e microelementi, una fonte

di carbonio (generalmente saccarosio

o glucosio) e una serie di composti

organici addizionali quali vitamine,

ormoni ecc.

• Ogni fase del processo (coltura del

meristema, sviluppo, moltiplicazione

e radicazione dei germogli) richiede

specifici terreni di coltura. La coltura

del meristema richiede generalmente un

terreno povero con basse dosi ormonali,

mentre le fasi di moltiplicazione e di

radicazione richiedono substrati più

ricchi con concentrazioni più elevate

di ormoni

Vantaggi della micropropagazione

• Ottenimento di copie identiche

della pianta madre (clonazione)

• Superamento di difficoltà

nella moltiplicazione vegetativa

di alcune specie

• Rapidità di ottenimento di un gran

numero di piante

• Necessità di quantità ridotte di materiale

di partenza

• Assenza di condizionamento ambientale

• Sanità dei materiali ottenuti

2)

1)

3) 4)

6) 5)

7)

9) 8)

Principali fasi della micropropagazione

1) Meristema prima della sterilizzazione. 2) Meristema in coltura. 3) Germoglio. 4) Trasfe-rimento e moltiplicazione in vitro. 5) Allevamento in camere di crescita. 6) Germoglio con gemme ascellari. 7) Fase di radicazione. 8) Adattamento alle condizioni in vivo. 9) Sviluppo di pianta in campo

28_30_Biotecnologie.indd 30528_30_Biotecnologie.indd 305 30-11-2009 13:17:5230-11-2009 13:17:52

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315

propagazione e innovazione

Produzione di micorriza e mantenimento delle piante stock

• Il fungo micorrizico del genere Glomus

produce clamidospore che si trovano

nel suolo o nelle radici, isolate

o riunite in sporocarpi. La biotrofia

obbligata determina la necessità

di avere piante in vaso sulle cui radici

possa vivere in simbiosi il fungo. Circa

20 spore, prelevate con l’aiuto di uno

stereomicroscopio da un terreno infetto,

vengono poste intorno alle radici di una

piantina ospite sterile (fragola, cipolla,

trifoglio) su un substrato sterile (sabbia

di fiume). Dopo 3 o 4 mesi si ottiene

una produzione di migliaia di spore,

con cui continuare le colture stock

ospite. I funghi AM sono abbondantemente distribuiti nell’eco-

sistema naturale e agrario e producono micorrize in quasi tutti i

campi coltivati.

L’alta reattività mostrata dal carciofo lo prefigura come modello

per l’applicazione di queste biotecnologie in agricoltura.

Micropropagazione di tipologie precoci di carciofo Catanese, Brindisino, Locale di MolaLa prima attività vivaistica per il carciofo nasce negli anni Ottanta.

In quegli anni la micropropagazione veniva sempre più applicata

alla propagazione su larga scala delle piante di interesse agrario.

Esempio di interazione fra strutture di ricerca (ENEA) e territorio

(Cerveteri, Ladispoli) è l’utilizzo di piantine micropropagate delle

tipologie di carciofo tardivo, tutt’oggi una realtà che ha consentito

la moltiplicazione e la distribuzione agli agricoltori di cloni di diver-

se cultivar come il C3.

Tale tecnologia ha trovato un’ampia applicazione sulle cultivar

tardive; complesse si sono rivelate le problematiche relative alla

micropropagazione di tipologie precoci di carciofo, sia in relazio-

ne alle fasi di radicazione e ambientamento, sia per le difficoltà

riscontrate nella coltivazione in pien’aria.

Numero subcolture: 4-5

Vitro Serra

Moltiplicazione Radicazione

Micorrizazione

Confronto apparato radicaledopo due mesi

Ambientamento

StabilizzazioneDimensioni apice: 5-6 mm

M– M+

Schema della micropropagazione e della micorrizazione di tipologie precoci di carciofo mediterraneo. M-: apparato radicale non micorrizato; M+: apparato radicale micorrizato

29_27b_Micropropagazione.indd 31529_27b_Micropropagazione.indd 315 30-11-2009 13:25:4830-11-2009 13:25:48

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ricerca

332

Attività vivaistica del carciofo

• Nonostante la notevole importanza

economica del carciofo, per questa

specie manca una consolidata

attività vivaistica in grado di fornire

piantine sane e di buona qualità da

impiegare per l’impianto, che possa

garantire rispondenza alla normativa

vigente, uniformità del materiale

di propagazione, conformità alle

caratteristiche varietali e, in definitiva,

assicurare produttività e sanità

delle coltivazioni

Tecnica vivaistica

IntroduzioneLa propagazione del carciofo è ancora attuata per via agamica,

per mezzo di carducci, ovoli, parti di rizoma o ceppaia, spesso

autoprodotti dagli stessi agricoltori, che utilizzano per l’impianto

materiale prelevato direttamente da carciofaie coltivate per la

produzione dei capolini senza fare ricorso a tecniche particolari.

Il materiale utilizzato per la moltiplicazione è caratterizzato da no-

tevole variabilità in ordine a età, stadio fisiologico, forma, dimen-

sione, posizione sulla pianta madre, numero di gemme presenti

ecc. Ciò ha portato nel tempo alla comparsa di gravi problemi

di carattere agronomico e patologico con ricadute negative per

i produttori, anche di tipo economico. È infatti evidente un lento

e progressivo peggioramento delle potenzialità produttive delle

carciofaie e delle caratteristiche qualitative dei capolini; i pro-

duttori lamentano che la coltura non risponde all’impiego dei più

moderni mezzi tecnici di coltivazione con adeguati incrementi

produttivi. Questa situazione risulta più accentuata nelle realtà

produttive orientate verso produzioni precoci, che sono quelle

maggiormente diffuse su tutto il territorio nazionale. Solitamente

si attribuisce la ridotta produttività della coltura al fenomeno del-

la stanchezza del terreno, ma questa, pur verosimile, non consi-

dera altri aspetti di fondamentale importanza, quali la mancata

applicazione di metodi di selezione del materiale genetico, il ri-

sanamento del materiale stesso e la necessaria razionalizzazio-

ne della tecnica di propagazione.

Carciofaia nel Foggiano Foto R. Angelini

31_25_TecnicaVivaistica.indd 33231_25_TecnicaVivaistica.indd 332 2-12-2009 16:48:262-12-2009 16:48:26

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ricerca

336

Coltivazione di piante madri risanate. Le piante sono state po-

ste in vasi di plastica da 50 l impiegando come substrato una

miscela di torba bruna e di torba bionda nel rapporto 2/3 e 1/3;

questa combinazione ha fornito i migliori risultati in termini di ve-

locità di crescita e peso dell’apparato radicale. L’apporto idrico e

nutrizionale è stato assicurato da fertirrigazione con distribuzione

per singolo vaso con spaghetto.

Capitozzatura delle piante madri. La capitozzatura si effettua

quando le piante madri presentano le seguenti caratteristiche

morfologiche: diametro del fusto al colletto ≥ 35 mm; 13-15 foglie

ben sviluppate con lamina fogliare superiore a 30 cm di lunghezza

e buon apparato radicale. Tale intervento, effettuato in modo da

salvaguardare l’integrità del rizoma, stimola la pianta all’emissio-

ne di un elevato numero di germogli (carducci).

Emissione di germogli (carducci)

Pianta madre capitozzata

Capitozzatura della pianta madre

Piante madri risanate

Pianta con numerosi carducci pronti per il prelievo

31_25_TecnicaVivaistica.indd 33631_25_TecnicaVivaistica.indd 336 2-12-2009 16:48:382-12-2009 16:48:38

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utilizzazione

Trasformazione industriale

Giancarlo Colelli Nicola Calabrese

33_ProdottiTrasformati.indd 34733_ProdottiTrasformati.indd 347 30-11-2009 15:11:4130-11-2009 15:11:41

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utilizzazione

348

Carciofi trasformati

• La trasformazione dei prodotti

ortofrutticoli ha avuto in passato,

come obiettivo principale, quello di

estenderne la conservabilità per lungo

tempo e consentirne l’uso anche in

periodi di assenza del prodotto fresco.

Attualmente, diverse sono le esigenze

del consumatore moderno in termini

di qualità, servizio, valore nutrizionale,

facilità di preparazione e comodità

d’uso. Tutto ciò ha maggiore valenza per

il carciofo, la cui produzione nazionale

copre un ampio periodo, da ottobre a

maggio, e la preparazione per l’impiego

culinario è spesso lunga e laboriosa.

Numerosi sono infatti i prodotti

trasformati del carciofo: le tradizionali

conserve in olio o in salamoia (preparate

in molteplici ricette), le preparazioni per

il catering, i surgelati, i prodotti pronti

all’uso, freschi o cotti

Trasformazione industriale

IntroduzioneL’industria di trasformazione utilizza prevalentemente i capolini

più piccoli, raccolti a mano, senza l’ausilio del coltello, di solito in

aprile e maggio, quando i prezzi sono più bassi.

La trasformazione avviene con l’impiego di processi fisici, chimi-

ci e biotecnologici. Nei prodotti tradizionali i processi fisici sono

prevalentemente basati sulla variazione di temperatura (tratta-

menti termici, surgelazione), mentre quelli chimici utilizzano acidi

organici per abbassare il pH del liquido di governo, o il sale per

abbassare l’attività dell’acqua. I processi biotecnologici consisto-

no nella produzione di acido lattico attraverso la fermentazione,

spontanea o controllata, condotta da batteri.

I prodotti trasformati sono prevalentemente destinati al consumo

diretto o al catering. In alcuni casi invece costituiscono un semila-

vorato da destinare a successive preparazioni. In genere i trasfor-

mati sono prodotti stabilizzati termicamente in diversi liquidi di

governo (olio di oliva o di semi, salamoia, in qualche caso aceto)

e sono di solito caratterizzati da vita commerciale molto lunga

(anche superiore all’anno) e da livelli qualitativi dipendenti dal ti-

po di lavorazione, dalla ricetta utilizzata e dalla sua formulazione.

Il trattamento termico stabilizzante incide spesso pesantemente

sugli aspetti nutrizionali ed organolettici del prodotto trasformato,

con il risultato finale che questo, seppur in varia misura, differisce

notevolmente dal prodotto di partenza.

Con la surgelazione si ottengono prodotti dalle caratteristiche orga-

nolettiche simili a quelli freschi e con elevato contenuto in servizio;

sono però caratterizzati da vita commerciale più breve rispetto al

prodotto appertizzato, e, soprattutto, necessitano della catena del

freddo durante la distribuzione e la commercializzazione in grado

di rispettare i livelli termici ottimali (<–18 °C) di conservazione.

Capolini di ottima qualità prontiper la trasformazione

Foto R. Angelini

33_ProdottiTrasformati.indd 34833_ProdottiTrasformati.indd 348 30-11-2009 15:11:4230-11-2009 15:11:42

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trasformazione industriale

351

Scottatura

• L’operazione di scottatura (blanching)

è un trattamento termico indispensabile

per stabilizzare i prodotti trasformati,

anche surgelati. L’utilizzo delle basse

temperature, infatti, non è sufficiente

a conservare definitivamente tali

alimenti in quanto il freddo rallenta

i processi enzimatici ma non li arresta

totalmente. Spesso l’operazione

di blanching viene effettuata

immergendo il prodotto in acqua

bollente per il tempo necessario

all’inattivazione enzimatica, di solito

alcuni minuti. Nel carciofo si adopera

acqua acidulata con acido citrico a

una concentrazione compresa tra 0,7

e 1,5%. Tali condizioni favoriscono un

colore delle brattee più attraente, ma

possono modificare le caratteristiche

organolettiche del prodotto, che risulta

leggermente acido. La scottatura può

essere effettuata anche utilizzando

direttamente il vapore surriscaldato

pallettizzate e stoccate. Questo prodotto possiede una completa

edibilità, brattee esterne di colore giallo, prive di striature verdi.

Se si desidera un prodotto sottolio dotato di elevate caratteristi-

che organolettiche, occorre impiegare carciofi allo stato fresco.

Alle operazioni di lavaggio e cernita segue la scottatura, chiamata

comunemente blanching, effettuata in acqua bollente per 10-20

minuti, in base alla grandezza del capolino. Successivamente si

procede alla tornitura dei capolini e al riempimento dei contenitori

che, nel caso di vendita al dettaglio, sono vasi di vetro di diver-

se dimensioni. L’olio viene aggiunto al prodotto a temperatura di

circa 90 °C. Alla sigillatura sottovuoto segue la pastorizzazione. Il

prodotto viene successivamente confezionato in cartoni, stocca-

to o immesso direttamente alla vendita.

Carciofo surgelatoLa produzione di cuori surgelati inizia con la fase di tornitura se-

guita dall’immediata immersione in acqua acidulata con lo 0,5-1%

di acido citrico o ascorbico, la cui presenza è necessaria per evi-

tare fenomeni di imbrunimento sulle superfici di taglio. Da questo

momento in poi la lavorazione generalmente si divide in linee pa-

rallele, alimentate con calibri diversi.

I cuori sono prelevati dalla vasca di raccolta attraverso un eleva-

tore a tazze forate e inviati alla scottatrice. Il prodotto viene im-

merso in acqua bollente per un tempo prestabilito grazie a un

trasportatore a coclea; dopo la scottatura il prodotto viene sgron-

dato e preraffreddato. I cuori di carciofo di pezzature medie e

grandi sono poi tagliati a metà o in spicchi; a tal fine, sulla linea,

sono inserite apposite taglierine. Inoltre sono prodotti anche i fon-

di (ricettacoli) che vengono usati specialmente in Francia per la

preparazione di piatti tipici. Al termine del raffreddamento, un ele-

vatore porta i carciofi su di un banco di cernita per l’eliminazione

del prodotto non idoneo, e quindi alla surgelazione. Questa viene

effettuata preferibilmente in impianti continui con circolazione di

Carciofi sottolio

• I carciofi sottolio (generalmente

di girasole o di oliva) sono di solito

commercializzati in vasi di vetro

con coperchio a chiusura ermetica,

contenenti ciascuno, a parità

di capacità, un numero di cuori

che varia a seconda della dimensione

dei capolini, i quali sono indicati

come TPS (piccolissimi), TP (piccoli),

TM (medi), T (normali) e TSN (super

normale). Recentemente sono stati

introdotti sul mercato cuori preparati

alla brace, grigliati, alla giudìa e conditi

con diverse spezie ed erbe aromatiche

Foto R. Angelini

Carciofi sottolio

33_ProdottiTrasformati.indd 35133_ProdottiTrasformati.indd 351 30-11-2009 15:11:4930-11-2009 15:11:49

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utilizzazione

352

aria a –40 °C dal basso verso l’alto. In questo modo si ottiene una

pseudo-fluidizzazione del carico che sfrutta tutta la superficie del

prodotto per lo scambio termico e che, con la continua agitazione

del prodotto, evita che i cuori congelino ammassandosi tra loro.

La durata della surgelazione varia con la dimensione del prodotto

e con il tipo di impianto; in genere è compresa tra 15 e 20 minuti.

Dallo scarico del surgelatore il prodotto viene inviato alle confe-

zionatrici e poi stoccato in cartoni in cella frigorifera a −30 °C.

Di recente sono state poste in commercio altre tipologie di surgela-

ti, come i carciofi in pastella pronti da friggere, le crêpe, i cannelloni

ripieni con fettine e pezzetti di carciofo, i ravioli e carciofi saltati in

padella, per le quali si utilizza la nuova tecnologia stir-fry, in cui an-

che il liquido usato per la cottura contiene piccoli pezzi di cuori.

Prodotti innovativiLe recenti tendenze dell’industria di trasformazione sono rivolte

alla soddisfazione delle esigenze dei consumatori verso prodotti

caratterizzati da aspetti nutrizionali e organolettici il più possibile

simili al prodotto fresco, e al contempo caratterizzati da praticità

d’uso e di risparmio di tempo per la preparazione/cottura, tipiche

del prodotto trasformato.

I prodotti pronti all’uso, denominati anche IV e V gamma, ri-

spondono in maniera esaustiva a tali esigenze. Con il termine IV

gam ma si intendono i prodotti ortofrutticoli freschi, lavati, taglia-

ti, confezionati e pronti all’uso, mentre la V gamma prevede an-

che trattamenti termici; per entrambi la conservazione avviene a

2-4 °C, con la catena del freddo. Il periodo di conservazione della

IV gamma è di solito di 4-7 giorni, mentre la V gamma può essere

conservata anche per alcuni mesi.

Questi prodotti, pur presentando notevoli vantaggi rispetto ai tra-

sformati tradizionali, implicano una maggiore complessità del ciclo

produttivo e la disponibilità di impianti di alto livello tecnologico.

Cuori di carciofi preparati a macchina

Alimentazione delle linee di lavorazione

Cuori dopo la scottatura

Cuori preparati a mano immersi in soluzione antiossidante

Cuori di carciofo pronti per la surgelazione

33_ProdottiTrasformati.indd 35233_ProdottiTrasformati.indd 352 30-11-2009 15:11:5230-11-2009 15:11:52

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mondo e mercato

Carciofo nel mondoVito Vincenzo Bianco, Nicola Calabrese

Carciofo in SpagnaIgnacio Macua, Inmaculada Lahoz

Carciofo in FranciaCristophe Bazinet, Marc Eric Pavillard,

Chrystelle Jouy

Carciofo in TunisiaToufik Ouselati, Ismail Ghezal

Carciofo in EgittoMahmoud Sharaf-Eldin

Carciofo in MaroccoMohamed Razine

Carciofo in TurchiaBenìan Eser, Atnan Ug ur

Carciofo negli Stati UnitiDaniel Leskovar, Mohammad Abdul Bari

Carciofo in ArgentinaStella Maris Garcia

Carciofo in PerúSantiago Fumagalli Galli, Andres Casas Diaz

Carciofo in CileCostanza Jana Ayala

Aspetti commerciali Roberto Piazza, Duccio Caccioni

34_35_Diffusione.indd 35734_35_Diffusione.indd 357 30-11-2009 15:28:4830-11-2009 15:28:48

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carciofo nel mondo

359

si registra un incremento notevole delle superfici, che sono decu-

plicate negli ultimi cinque anni, raggiungendo 4200 ha nel 2007.

Per la produzione totale, dopo Italia e Spagna, seguono nell’ordi-

ne Argentina, Egitto, Perú e Cina. La Francia, a causa della bassa

produzione unitaria (5,3 t/ha in media), è relegata al settimo posto. Carciofaia in Spagna

Produzione di carciofo nel mondo

Produzione (.000 t)

1980 1985 1990 1995 2000 2005 2007

Italia 598 418 487 517 515 470 474

Spagna 288 269 428 251 285 189 215

Argentina 59 77 72 75 85 88 90

Egitto 29 41 74 40 35 70 74

Perú 1 1 0,9 1,9 4 68 72

Cina - - - 14 16 55 65

Francia 103 55 97 63 64 50 55

Marocco 33 18 17 35 41 53 52

USA 43 61 51 37 40 38 41

Algeria 14 3 6 7 40 37 37

Cile 18 15 21 17 24 32 34

Grecia 44 32 34 25 26 35 25

Tunisia 13 11 12 22 17 12 19

Mondo 1254 1017 1323 1146 1330 1323 1317

Capolini di Violetto di Provenza in cassette di cartone

34_35_Diffusione.indd 35934_35_Diffusione.indd 359 30-11-2009 15:28:4930-11-2009 15:28:49

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mondo e mercato

360

Completano la graduatoria dei primi dieci Paesi produttori Maroc-

co, USA e Algeria.

Per quanto riguarda il calendario del periodo di raccolta, è op-

portuno premettere che la tecnica colturale e le caratteristiche

varietali influenzano notevolmente il calendario di raccolta in tutti

gli areali di coltivazione. In genere, nei Paesi che si affacciano sul

bacino del Mediterraneo, la produzione dei capolini comincia in

autunno, prosegue durante l’inverno con modalità che dipendono

dalle condizioni climatiche, in alcune zone può anche interrom-

persi, raggiunge il culmine in primavera e termina di solito a fine

maggio. Differisce notevolmente il calendario di produzione delle

regioni della Francia del Nord; in queste zone, infatti, le condizioni

climatiche particolari consentono la raccolta dei capolini durante

la stagione estiva; pertanto la Francia può produrre carciofi tutto

l’anno. Situazione simile si osserva in California (USA), dove le

favorevoli condizioni climatiche delle diverse aree di coltivazione

e le differenti tecniche colturali permettono l’offerta di capolini sul

mercato interno durante l’intero anno.

Nei Paesi del Sudamerica, l’epoca di produzione va da metà apri-

le a inizio dicembre e corrisponde al periodo autunnale-primave-

rile. In Perú, invece, la produzione si ottiene durante tutto l’anno,

perché le due grandi aree di coltivazione, la zona costiera e la

sierra andina, coprono nel loro insieme tutti i mesi. Questa situa-

Calendario del periodo di raccolta in vari Paesi

Nazione Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic

Italia

Spagna

Francia Nord

Francia Sud

Grecia

Egitto

Tunisia

Algeria

USA

Cina

Turchia

Argentina

Cile

Perú costa

Perú sierra

Carciofi Blanca de Tudela al mercato di Madrid

34_35_Diffusione.indd 36034_35_Diffusione.indd 360 30-11-2009 15:28:5130-11-2009 15:28:51

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carciofo nel mondo

365

damento ricalca quello osservato per la superficie, pur tenendo

conto della notevole influenza sulla produzione delle condizioni

climatiche verificatesi nelle singole annate. La produzione unitaria

del carciofo in Italia è aumentata fino alla metà degli anni ’70, e

leggermente diminuita nei vent’anni successivi. La tendenza al-

la riduzione della produzione areica si è consolidata nell’ultimo

decennio, nonostante siano migliorati notevolmente la tecnica

colturale (soprattutto per quanto riguarda la fertilizzazione e l’ir-

rigazione) e il controllo dei parassiti. Attualmente le regioni in cui

il carciofo è maggiormente diffuso sono la Puglia con 17.085 ha

e 173.448 t di capolini, la Sicilia (14.270 ha e 159.064 t) e la Sar-

degna (12.952 ha e 106.860 t), che insieme rappresentano il 90%

della superficie totale coltivata e l’85% della produzione nazio-

nale. Presenze significative della coltivazione del carciofo si regi-

strano anche in Campania (2019 ha e 34.663 t) e Lazio (1043 ha

e 20.650 t).

t/ha

1,2

0,0

1,0

0,8

6,0

4,0

2,0

1,4

19901980

Anni

19701960 20082000

Evoluzione della produzione del carciofo in Italia

700.000

Tonn

ella

te

0

600.000500.000400.000300.000200.000100.000

800.000

19901980

Anni

19701960 20082000

Evoluzione della produzione totale del carciofo in Italia

Superficie: 49.952 haProduzione totale: 517.999 t

Puglia

Superficie: 17.085 haProduzione totale: 173.448 t

Sicilia

Superficie: 14.720 haProduzione totale: 159.064 t

Sardegna

Superficie: 12.952 haProduzione totale: 106.859 t

Lazio

Superficie: 1043 haProduzione totale: 20.650 t

Campania

Superficie: 2019 haProduzione totale: 34.663 t

Italia(Superficie: 49.952 ha

Produzione totale: 517.999 t)

34_35_Diffusione.indd 36534_35_Diffusione.indd 365 30-11-2009 15:28:5730-11-2009 15:28:57

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mondo e mercato

370

Carciofo in Spagna

IntroduzioneL’introduzione del carciofo in Spagna è probabilmente dovuta agli

Arabi. Testimonianze riportano che nell’XI secolo erano coltivate

piante di carciofo (chiamato al-kharchaf, da cui il termine spagno-

lo alcachofas) provenienti dal Nordafrica, più piccole di quelle at-

tuali, di cui si utilizzavano sia i capolini sia lo stelo fiorale tenero.

Nella seconda metà del XII secolo, Ibn al-Awwan riporta che gli

orticoltori andalusi avevano selezionato e migliorato la tipologia

delle piante, incrementando la dimensione, l’omogeneità fenotipi-

ca e il numero di capolini prodotti.

Attualmente la coltivazione del carciofo occupa una superficie

di circa 16.000 ha, con una produzione di oltre 200.000 t. Più

dell’85% dei capolini raccolti è destinato alla trasformazione in-

dustriale, mentre la quota restante è esportata allo stato fresco

(13.910 t nel 2008) o commercializzata sul mercato nazionale.

Nel 1990 la superficie coltivata superava i 30.000 ha; successi-

vamente è diminuita e in particolare un calo notevole è stato os-

servato a partire dal 2005. Questo, però, non ha provocato una

riduzione altrettanto significativa della produzione, che negli ulti-

mi quattro anni si è mantenuta abbastanza costante, attorno alle

200.000 t.

La produzione unitaria è in media di circa 12 t/ha, con valori più

elevati nelle regioni di Murcia e Alicante, dove la produzione media

supera le 20 t/ha grazie all’ampia durata del periodo di raccolta.

La zona di produzione si concentra prevalentemente lungo la co-

sta del Mediterraneo: fra tutte spicca la regione di Murcia, con

6500 ha, seguita dalla Comunità Valenciana (3860 ha), dall’An-

dalusia (2484 ha) e dalla Catalogna (1492 ha). Esiste infine un

altro nucleo di importanza significativa, quello situato nella valle

dell’Ebro, formato da Navarra e La Rioja (circa 1200 ha). L’impor-

etta

ri

19.50019.00018.500

17.50018.000

17.00016.50016.00015.50015.000

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Evoluzione delle superficie coltivata

Fonte: MAPA, 2008

Spagna in sintesi

• Il carciofo occupa una superficie

di circa 16.000 ha, con una produzione

di oltre 200.000 t

• Più dell’85% dei capolini raccolti

è destinato alla trasformazione

industriale, mentre la quota restante

è esportata allo stato fresco

o commercializzata sul mercato

nazionale

• Le aree di produzione sono concentrate

lungo la costa del Mediterraneo: la

regione di Murcia con 6500 ha è al

primo posto, seguita da: Comunità

Valenciana (3860 ha), Andalusia

(2484 ha), Catalogna (1492 ha) e Valle

dell’Ebro, Navarra e La Rioja (circa

1200 ha)

• La produzione si basa sostanzialmente

sulla cultivar Blanca de Tudela

o popolazioni da essa derivanti:

Monqueline nella zona di Valencia

o Aranjuez nella zona di Madrid,

entrambe in progressivo abbandono.

Modesta è la presenza di cultivar di

provenienza francese, Macau e Calico

Verde, con capolini di colore verde,

e Violetto di Provenza, Tema e Calico

Rosso, con brattee di colore violetto.

Recentemente sono state introdotte

su piccole superfici cultivar propagate

per “seme”: Imperial Star, Lorca

e A-106

• Due denominazioni di origine:

DO Alcachofa de Benicarló

(Comunità Valenciana), per la

commercializzazione allo stato

fresco, e IGP Blanca de Tudela,

per la commercializzazione allo

stato fresco e trasformato

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carciofo in Spagna

371

tanza di quest’area è data non tanto dalla quantità della produzio-

ne, quanto dal fatto che in questa zona, nelle vicinanze della città

di Tudela in particolare, si produce il materiale di moltiplicazione

destinato a rifornire tutte le aree cinaricole nazionali.

Negli ultimi anni le esportazioni del carciofo conservato (in sa-

lamoia o sottolio) sono in diminuzione, mentre le importazioni

sono aumentate in modo significativo, principalmente dal Perú

(21% del totale delle esportazioni di questo Paese). La maggior

parte dei carciofi conservati importati in Spagna viene rilavorata

e successivamente esportata. Lo stesso avviene con il carciofo

congelato, per il quale si registra l’aumento delle importazioni,

mentre le esportazioni sono stabili e sono dirette soprattutto ne-

gli Stati Uniti e, in misura minore, in Italia, Francia, Germania.

Per il prodotto fresco si registra, invece, uno scarso livello di impor-

tazioni (240 t nel 2008), soprattutto dalla Francia, sostanzialmente

quando manca la produzione interna (da luglio a settembre), e un

livello costante di esportazioni per tutto il resto dell’anno.

tonn

ella

te

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

120.000

100.000

80.000

60.000

40.000

20.000

0

Conservato Congelato

Evoluzione dell’esportazione di carciofo trasformato

tonn

ella

te

350.000

300.000

250.000

200.000

150.000

100.000

50.000

02002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Evoluzione della produzione totale

Fonte: MAPA, 2008

Carciofaia della cultivar Blanca de Tudela in piena produzione

AsturieCantabria

PaesiBaschi

Aragona

CastigliaLa Mancia 1,1%

EstremaduraComunitàValenciana

23,6%

Andalusia15,2%

Murcia39,7%

Canarie

Baleari 0,4%

Catalogna0,1%Castiglia

e Leon 0,1%

Madrid0,7%

La Rioja3,4%

Navarra6,9%

Galizia

MelillaCeuta

Superficie coltivata a carciofo suddivisa per regioni (Fonte: MAPA, 2008)

35_36_CarciofoSpagna.indd 37135_36_CarciofoSpagna.indd 371 14-12-2009 13:34:2514-12-2009 13:34:25

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mondo e mercato

378

Francia in sintesi

• Con una produzione di circa 55.000 t

di capolini, la Francia si colloca

al 3° posto in Europa e al 7° posto nel

mondo. La superficie coltivata è di poco

superiore ai 10.000 ha. La coltivazione

è diffusa prevalentemente tra il

dipartimento della Bretagna (82%) e

quello del Languedoc-Roussillon (14%)

• Le cultivar attualmente più diffuse

sono:

– Camus de Bretagne, coltivata in

Bretagna, nei dipartimenti del Finistère

e Côtes-d’Armor, rappresenta il 75%

della produzione

– Castel, derivata dal Camus per

autofecondazione, copre il 30%

della produzione bretone

– Petit Violet de Provence. L’epoca di

produzione è autunnale e primaverile

nell’ambiente del Mediterraneo

(Roussillon, Provenza, Alpi-Costa

Azzurra), ed estiva in Bretagna

– Blanc Hyérois. L’epoca di produzione

è esclusivamente primaverile

(marzo-giugno) in zona mediterranea

(Roussillon); rappresenta il 60% della

produzione del bacino mediterraneo

Carciofo in Francia

IntroduzioneIl carciofo sarebbe stato introdotto in Francia da Caterina de’ Me-

dici, ma più probabilmente questo avvenne in occasione delle

Guerre d’Italia. Gli emigranti francesi contribuirono in seguito alla

sua introduzione in Argentina nel XVIII secolo (varietà Frances), poi

in Louisiana nella metà del XIX secolo (varietà Créole).

Situata al 3° posto in Europa e al 7° posto nel mondo, la produ-

zione di carciofo in Francia ammonta oggi a circa 55.000 t, ed

è suddivisa prevalentemente tra il dipartimento della Bretagna

(82%) a nord-ovest, sulle coste dell’oceano Atlantico, e quello del

Languedoc-Roussillon (14%), a sud-ovest, sul Mediterraneo.

Dopo una riduzione considerevole negli anni ’90, la coltivazione

del carciofo tende a consolidarsi. Questo fenomeno tiene conto

da una parte dell’accresciuta diversificazione dell’offerta di ac-

quisto degli ortaggi, che comprende ora anche i prodotti pron-

ti al consumo, e dall’altra delle modifiche sociali e culturali dei

consumatori e delle loro abitudini alimentari.

Storicamente la Bretagna rimane la principale zona di produzio-

ne (80-85%), anche se è passata progressivamente dalle 93.147

t del 1968, alle 74.855 t del 1978, fino a circa 40.000 t del 2008.

La coltivazione si estende nella zona costiera da Brest a Saint-

Malo e per circa 10 km verso l’interno, dove le piante di carciofo

trovano le condizioni favorevoli per la crescita: clima oceanico con

scarse variazioni termiche o idriche, terreni fertili e ricchi di limo e

inverni poco rigidi. La coltivazione è essenzialmente concentrata

in questa regione in due dipartimenti, Finistère e Côtes d’Armor,

che riuniscono 1298 produttori (7218 ha) suddivisi rispettivamente

tra le associazioni SICA Saint Pol de Léon e L’Union des Coopéra-

tives de Paimpol et de Tréguier. Più precisamente, l’82% della

produzione bretone della cultivar Castel, il 62% del Petit Violet

de Provence e il 57% del Camus sono realizzati nelle aziende del

Finistère. Introdotta nel 1966 nel Roussillon (sud-ovest, zone co-

stiere del Mediterraneo), la cultivar Blanc Hyérois (comprendente

Evoluzione della produzione francese di carciofo (tonnellate)

1989 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

Francia 96.958 63.605 61.249 71.735 49.846 59.612 50.149 53.034 50.662

di cui

Bretagna 75.588 48.506 45.226 58.066 37.005 46.535 40.687 40.207 41.473

Languedoc-Roussillon 12.303 11.553 12.576 10.426 9711 9830 7173 10.373 6833

Provenza-Alpi-Costa Azzurra 4552 1691 1720 1702 1692 1764 1251 1113 1121

Fonte: Agreste

36_37_CarciofoFrancia.indd 37836_37_CarciofoFrancia.indd 378 30-11-2009 15:53:5730-11-2009 15:53:57

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carciofo in Francia

379

Filiera ortiva bretone

• Al primo posto in Francia, la filiera

ortiva bretone riunisce 2500 agricoltori

che producono e distribuiscono sotto

il marchio collettivo di Prince de

Bretagne più di 25 specie di ortaggi per

il mercato fresco, confezionati

in contenitori diversi. Coordinata da un

organismo regionale, il Cerafel, questa

filiera si è impegnata dal 2001 in una

procedura certificata Agri-Confiance

“Qualità-Ambiente”

anche Popvert e Calico) rappresenta il 70% della produzione, che

si estende intorno a Perpignan tra 250 aziende su circa 660 ha

di terreni fertili e irrigui (noti come “regatiu”). Il Violet de Proven-

ce rappresenta il 25% della produzione della zona mediterranea.

Quanto alla cultivar Gros Vert de Laon, è oggi principalmente colti-

vata da una decina di produttori su circa 4 ettari, nelle terre fresche

e umifere del Marais Audomarois (Saint-Omer).

CultivarLe cultivar presenti attualmente in Francia sono riprodotte agami-

camente; le più diffuse sono:

– Camus de Bretagne (Macau - 1825): varietà a produzione tar-

diva (maggio-novembre), pianta poco ramificata, con capolini

verdi, tondeggianti e di grosse dimensioni (300-800 g). Coltiva-

ta essenzialmente in Bretagna, nei dipartimenti del Finistère e

Côtes-d’Armor, rappresenta il 75% della produzione francese. I

capolini sono consumati cotti, di solito bolliti in acqua.

– Castel (creazione Inra 1995): cultivar derivata dal Camus per

autofecondazione, molto adatta alle condizioni pedo-climatiche

bretoni e di dimensione maggiore (500-800 g). Copre il 30%

della produzione bretone.

– Petit Violet de Provence (VP45 creazione Inra 1968): varie-

tà precoce, pianta ramificata, produce capolini medio-piccoli

(150-300 g), di forma conico-cilindrica con brattee di colore vio-

letto. L’epoca di produzione dipende dalle zone di coltivazione:

autunnale (settembre-dicembre) e primaverile (marzo-maggio)

nell’ambiente del Mediterraneo (Roussillon, Provenza-Alpi-Co-

sta Azzurra), ed estiva in Bretagna. I capolini sono consumati

Nord-Pas de Calais

Gros Vert de Laon

Picardie

Gros Vert de Laon

Bretagne

Camus de BretagneCastel

Petit Violet de Provence

Roussillon

Blanc Hyérois (Popvert, Calico)

Bouches-du-Rhône

Petit Violet de Provence

Varietà di carciofo coltivate nelle principali zone di produzione

Foto BBV, C. Bazinet

Raccolta meccanizzata

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mondo e mercato

386

Carciofo in Tunisia

Introduzione In Tunisia la coltura del carciofo risale almeno al III secolo d.C.,

attestata da quattro mosaici presenti in diversi musei.

Il primo si trova a Chebba (Tunisia centro-orientale) e, all’interno

del mosaico di Arione e Orfeo, mostra due capolini allungati con

brattee che divergono in maniera molto ampia, poco o affatto spi-

nose.

Il secondo, risalente alla metà del III secolo d.C. e proveniente da

El Jem (Tunisia centrale), è esposto nel Museo del Bardo a Tunisi

e rappresenta, in uno dei 40 riquadri, due capolini di carciofo.

Il terzo si trova nella cornice del museo di El Jem e mostra due

capolini: uno con brattee ben serrate e l’altro con brattee diver-

genti.

Il quarto, che si trova al museo di Sousse (Tunisia nord-orientale),

raffigura invece un cardo.

Per la superficie coltivata, il carciofo occupa il settimo posto tra gli

ortaggi coltivati in Tunisia, dopo pomodoro, patata, peperoncino,

cipolla, cocomero e melone.

La media delle superfici impiegate durante gli ultimi tre decenni

è di circa 2000 ha, con una produzione media di 14.000 t di pro-

dotto fresco.

La coltura del carciofo è principalmente localizzata nella bassa

valle del Medjerda (Governatorati di Béja, Manouba, Ariana e Bi-

zerte), dove si registra più del 95% delle superfici coltivate.

In particolare la delegazione di Jedaida (Governatorato di Ma-

nouba), con i suoi 600 ha, è la zona di maggiore concentrazione

del carciofo. È importante sottolineare che la concentrazione in

questa zona (la più vecchia area irrigua pubblica del paese) è

una conseguenza dell’adattamento di questa coltura al tipo di

terreno e alla qualità dell’acqua con elevata salinità che carat-

terizzano questa regione. Il resto della superficie (5%) è ripartito

tra i Governatorati di Jendouba, Nabeul, Sousse, Zaghouan e

Kairouan.

CultivarLe principali cultivar in Tunisia sono Violet d’Hyères (65% delle

superfici) e Blanc Oranais (30%); altre cultivar presenti: Violet

d’Alger, Violet de Bari e Annabi. Tra le popolazioni locali si cita la

Belde.

Violet d’Hyères. Originaria della regione di Hyères, in Francia, è

considerata come semiprecoce. Cultivar vigorosa, a rapido ac-

crescimento, che comincia a produrre capolini verso la metà di

novembre in caso di impianto nel mese di agosto. La produzione

prosegue fino al mese di maggio. Il capolino è allungato, conico,

Tunisia in sintesi

• Il carciofo occupa una superficie

di circa 2200 ha, con una produzione

di poco superiore a 19.000 t

• La coltivazione è principalmente

localizzata nella bassa valle del

Medjerda (Governatorati di Béja,

Manouba, Ariana e Bizerte), che

raggruppa più del 95% della superficie

coltivata. La delegazione di Jedaida

(Governatorato di Manouba), con i suoi

600 ha, è la zona in cui è maggiormente

concentrata la coltura; le altre aree

sono ripartite tra i governatorati

di Jendouba, Nabeul, Sousse, Zaghouan

e Kairouan

• La cultivar più diffusa è Violet d’Hyères

che occupa il 65% della superficie;

l’epoca di raccolta comincia in

novembre e prosegue fino al mese

di maggio. La produzione media è di

4-6 capolini/pianta per il consumo

fresco e di 2-4 capolini che possono

essere utilizzati per la trasformazione.

Altra cultivar, diffusa su circa il 30%

della superficie coltivata, è Blanc

Oranais. È molto precoce, la raccolta

comincia all’inizio di ottobre e produce

6-8 capolini/pianta, che vengono

esclusivamente impiegati per il

consumo fresco. Altre cultivar presenti

su limitate superfici sono: Violet

d’Alger, Violet de Bari e Annabi;

tra le popolazioni locali si cita la Belde

37_38a_Tunisia.indd 38637_38a_Tunisia.indd 386 14-12-2009 14:37:3314-12-2009 14:37:33

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carciofo in Tunisia

387

con brattee ben serrate e colorate uniformemente di violetto. Con

la raccolta del capolino principale, si elimina la dominanza apicale

e si favorisce l’emissione dei capolini secondari che vengono rac-

colti successivamente.

La produzione media è di 4-6 capolini/pianta per il consumo fre-

sco e di 2-4 capolini che possono essere utilizzati per la trasfor-

mazione industriale.

Blanc Oranais. Blanc si riferisce al colore verde pallido delle

brattee, mentre Oranais è dovuto alla regione d’origine di Oran,

in Algeria. È molto precoce e comincia a produrre dall’inizio di

ottobre. Le piante sono di medio vigore e la produzione dei ca-

polini principali e secondari avviene quasi contemporaneamen-

te, per cui il periodo di raccolta è abbastanza breve. Infatti il ci-

clo di produzione è concentrato in due epoche distinte: la autun-

nale, che si ottiene dall’asse principale e da quelli laterali della

pianta; la primaverile, che si ottiene principalmente a partire dai

carducci emessi successivamente. Produce 6-8 capolini/pianta

che vengono esclusivamente impiegati per il consumo fresco.

Tecniche colturaliLa coltura occupa il terreno dal mese di luglio fino alla fine di mag-

gio. Le cultivar di tipo bianco sono gestite come coltura annuale,

mentre quelle di tipo violetto sono biennali o anche triennali.

La moltiplicazione viene eseguita per circa il 90% con porzioni di

rizoma provvisto di almeno 3-4 gemme, in cui spesso è presente

il residuo del fusto che ha prodotto il capolino. Segue l’impiego

degli ovoli (8%) e solo il 2% degli agricoltori usa i carducci, appe-

na asportati dalla pianta o radicati in vivaio.

Jendouba

Bizerete Ariana

NabeulZaghouan

Manouba

KairouanSousse

Béjà

T U N I S I A

A l g e r i a

L i b i a

Zone tradizionali

Zone d’estensione

Zone di produzione del carciofo in Tunisia

Tonn

ella

te

t/ha

1975 1977 1979 1981 1983 1985 1987 1989 1991 1993 1997 1999 2001 2003 2005 200719951973

25000

20000

15000

10000

5000

0

10

87

9

6543210

Anni

Superficia (ha) Produzione totale (t) Produzione areica (t/ha)

Evoluzione della superficie, della produzione totale e areica (1971-2007)

37_38a_Tunisia.indd 38737_38a_Tunisia.indd 387 14-12-2009 14:37:3314-12-2009 14:37:33

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mondo e mercato

392

Egitto in sintesi

• L’Egitto si colloca all’ottavo posto

nel mondo per la superficie coltivata,

con 3600 ha e al quarto per la

produzione totale con 74.000 t. Negli

ultimi vent’anni la superficie è rimasta

invariata rispetto ai valori attuali,

mentre la produzione totale

è notevolmente aumentata; infatti

nel decennio 1995-2005 la produzione

è passata da 35.000 a 70.000 t

• La cultivar più diffusa è la Balady,

molto apprezzata sul mercato interno,

con produzione precoce e capolini

di colore verde. Per l’esportazione

si utilizzano i capolini della cultivar

locale denominata Violetto,

di provenienza francese, simile

al Violetto di Provenza. Le esportazioni

in Italia di prodotto fresco si sono

decuplicate dal 2000 a oggi

• Negli ultimi vent’anni sono state

introdotte con successo alcune

cultivar propagate per “seme”:

Imperial Star, Green Globe, Emerald

e Green Globe Improved, caratterizzate

da capolini compatti, di grandi

dimensioni, di colore verde, tendenti

al grigiastro, con brattee senza spine

e lucide

Carciofo in Egitto

Introduzione Il carciofo in Egitto è stato probabilmente introdotto dall’Etiopia.

Antichi documenti riportano che il re egiziano Tolomeo Evergete,

nel III secolo a.C. faceva mangiare carciofi ai suoi soldati, poiché

credeva che infondessero forza e ardimento. Tra le raffigurazioni

presenti su una tomba del XIV secolo a.C., proveniente da Tebe

ed esposta al British Museum a Londra, si osserva una persona

che tiene un carciofo nella mano destra. Il carciofo è raffigurato

sulle decorazioni di ciotole e scodelle risalenti all’antico Egitto.

Gli scavi archeologici effettuati nell’aerea del Mons Claudianus,

antica colonia penale romana del II secolo d.C. a circa 500 km dal

Cairo, hanno riportato alla luce brattee e “semi” verosimilmente

appartenuti al carciofo selvatico. Attualmente l’Egitto occupa l’ot-

tava posizione nel mondo per la superficie coltivata, pari a 3600

ha, e il quarto posto per quanto riguarda la produzione totale con

74.000 t. Negli ultimi vent’anni la superficie è rimasta pressoché

costante con valori compresi tra 3 e 4000 ha, mentre la produzio-

ne totale è notevolmente aumentata, infatti nel 1995-2000-2005

era rispettivamente di 35-40 e 70.000 t.

In Egitto si riscontrano alcune zone con le condizioni pedoclima-

tiche ideali per ottenere elevate produzioni e capolini di ottima

qualità. La coltivazione è prevalentemente concentrata nei dintor-

ni delle città costiere e in aree limitate di alcuni governatorati: Al-

Sharqia, Ismailia, Al-Giza, Al-Minya, Al-Behaira. Quest’ultimo, che

si trova nel nord dell’Egitto, sulle rive del Mediterraneo e a ovest

della città di Alessandria e del suo trafficatissimo porto, è quello

in cui la coltivazione del carciofo è più diffusa; gran parte della

produzione di capolini ottenuta nel governatorato di Al-Behaira è

Carciofaia in piena produzione

Foto N. Calabrese

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carciofo in Egitto

393

destinata all’esportazione per il mercato fresco, prevalentemente

sui mercati europei

Cultivar La cultivar storicamente più diffusa è la Balady, di origine locale,

molto apprezzata sul mercato interno, con produzione precoce a

partire da novembre; i capolini sono di colore verde e le brattee

tendono ad aprirsi precocemente. Per l’esportazione si utilizzano

capolini di colore violetto provenienti da una cultivar locale de-

nominata Violetto, di provenienza francese e simile al Violetto di

Provenza. Negli ultimi vent’anni sono state introdotte alcune cul-

tivar propagate per “seme”: Imperial Star, Green Globe, Emerald

e Green Globe Improved, caratterizzate da capolini compatti, di

grandi dimensioni, di colore verde, tendenti a volte al grigiastro,

con brattee senza spine e lucide. La cultivar Large Green, è con-

traddistinta da capolini di grosse dimensioni, di colore verde con

numerose sfumature di violetto.

Ricerche condotte in Egitto hanno evidenziato che i capolini del-

le cultivar propagate per “seme” hanno peso fresco, diametro e

parte edibile maggiori rispetto a quelli della cultivar locale Balady

e che, se raccolti quando sono ancora compatti, possono essere

consumati anche crudi, perché il contenuto di fibra delle parte ba-

sale delle brattee è basso. Per la trasformazione industriale, pro-

duzione di cuori di carciofo o di fondi conservati prevalentemente

in salamoia, si utilizzano indifferentemente tutte le cultivar. Negli

ultimi anni si è andata affermando la coltivazione per la produzio-

ne di foglie di carciofo, da impiegare nell’industria farmaceutica.

La richiesta di foglie è in progressivo e costante aumento negli

ultimi anni. Per questo tipo di produzione sono utilizzate le cultivar

propagate per “seme”.

Cultivar Imperial Star

Cultivar Large Green

E G I T T O

S u d a n

I s r a e l e

L i b a n o

Al-SharquiaIsmailia

Al-Giza

Al-Minya

Al-Behaira

38_38b_CarciofoEgitto.indd 39338_38b_CarciofoEgitto.indd 393 30-11-2009 16:10:1530-11-2009 16:10:15

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mondo e mercato

396

Marocco in sintesi

• Il carciofo è coltivato in Marocco

su 3500 ha con una produzione totale

di 52.000 t; nella regione di Gharb

si concentra l’80% della produzione

nazionale; altre regioni interessate alla

coltivazione sono quelle di Saïs, Haouz

e la bassa Moulouya. La produzione

unitaria è compresa in media tra 15

e 18 t/ha, con valori massimi di 30 t/ha

• Le cultivar più diffuse sono quelle

con capolini di colore verde chiaro,

Blanc Hétérosis, Blanca de Tudela,

Imperial Star; quelle con capolini di

colore violetto, quali Violet d’Alger

e Salanquet, hanno diffusione più

limitata. L’impianto si effettua

generalmente in luglio-agosto;

il materiale di propagazione è costituito

dal rizoma, intero o suddiviso in

pezzi. Imperial Star è l’unica cultivar

propagata per “seme”. La densità varia

da 8000 a 12.000 piante/ha

Carciofo in Marocco

IntroduzioneLa coltivazione del carciofo in Marocco occupa una superficie di

circa 3500 ha con una produzione totale di 52.000 t. Le regioni in

cui è maggiormente praticata sono quelle della bassa Moulouya,

Saïs, Haouz e Gharb. In quest’ultima si concentra l’80% della pro-

duzione nazionale, con 2650 ha e con una produzione complessi-

va di 42.000 t. La produzione unitaria è compresa in media tra 15

e 18 t/ha, con valori massimi di 30 t/ha.

Nella regione di Gharb i terreni sono prevalentemente argillosi, il

clima è del tipo subumido-umido, con temperature che variano

tra i 2 e i 45 °C.

CultivarLe cultivar che presentano capolini con brattee di colore verde

chiaro (Blanc Hétérosis, Blanca de Tudela, Imperial Star) sono le

più comuni, mentre quelle con capolini di colore violetto, quali

Violet d’Alger e Salanquet, hanno diffusione più limitata. Di solito

in ogni carciofaia sono coltivate assieme due o più cultivar; gli

impianti monovarietali sono limitati ai piccoli appezzamenti.

RABATCasablanca

S p a g n a M a rM e d i t e r r a n e o

O C E A N O

A T L A N T I C O

A l g e r i a

Marrakech

Fès

Tangeri

Agadir

Canarie(Spagna)

Oujda

Meknès

Kenitra Tétouan

M a l iM a u r i t a n i a

Principali zone di coltivazione del carciofo in Marocco

Cultivar Imperial Star

39_38c_CarciofoMarocco.indd 39639_38c_CarciofoMarocco.indd 396 30-11-2009 16:12:1430-11-2009 16:12:14

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carciofo in Marocco

397

Imperial Star è l’unica propagata per “seme”, mentre tutte le altre

cultivar sono propagate vegetativamente. Questa tecnica di mol-

tiplicazione ha favorito nel tempo l’aggravarsi di problemi agrono-

mici e patologici quali l’eterogeneità delle piante e la diffusione di

parassiti, in particolare dei virus.

Tecnica colturale La lavorazione del terreno comprende l’aratura, 2-3 fresature e

infine un’assolcatura per la sistemazione delle aiuole. L’impianto

si effettua generalmente in luglio-agosto, a volte anche in settem-

bre. Il materiale di propagazione utilizzato è costituito dal rizoma,

intero o suddiviso in pezzi, prelevato all’inizio dell’estate da piante

di un anno durante la fase di riposo. Alcuni agricoltori preferisco-

no capitozzare le piante a un’altezza di 20 cm dal terreno, prima

che siano completamente secche e utilizzare questo materiale

per l’impianto.

La densità varia da 8000 a 12.000 piante/ha. Alcuni agricoltori ar-

rivano fino a 15.000 piante/ha, disponendole in file binate e utiliz-

zando l’impianto di irrigazione a goccia posto tra le file all’interno

della bina. Nelle zone dove spira il vento caldo chiamato chergui,

che causa numerose fallanze al trapianto, si dispongono le aiuole

in modo ortogonale alla direzione del vento stesso e le piantine

vengono piantate sul fianco dell’aiuola per ottenere maggiore ri-

paro. L’attecchimento delle piante varia dal 40 al 90%.

Le erbe infestanti costituiscono a volte un problema, soprattutto

su terreni pesanti come nella zona di Gharb. Il controllo delle ma-

lerbe è effettuato di solito con interventi manuali; solo occasional-

mente si utilizza il diserbo per il controllo delle Graminacee.

Violet d’Alger in piena produzione

39_38c_CarciofoMarocco.indd 39739_38c_CarciofoMarocco.indd 397 30-11-2009 16:12:1530-11-2009 16:12:15

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mondo e mercato

400

Carciofo in Turchia

IntroduzionePer il carciofo, in turco Enginar, è stato registrato, negli ultimi anni,

un aumento notevole della superficie e della produzione totale.

Infatti, dal 1990 a oggi, la superficie e la produzione sono tripli-

cate. Nella zona meridionale del Paese si trovano tutt’oggi delle

specie selvatiche. Alcuni documenti dimostrano che questo or-

taggio era noto già nel XVII secolo e costituiva un piatto prelibato

della cucina di palazzo degli imperatori ottomani. Le popolazioni

che vivono nelle regioni costiere occidentali, e in particolare quelle

provenienti dalle isole egee, conoscono benissimo questo ortag-

gio. Oltre ai capolini, in alcune regioni si utilizzano anche i gam-

bi. L’olio d’oliva è un ingrediente importante nella preparazione

di pietanze a base di carciofo. Il carciofo è diventato un ortaggio

apprezzato per i suoi effetti salutari, tanto che negli ultimi 10 anni

la sua richiesta è aumentata. Inoltre, i medici consigliano ad alcuni

pazienti di inserire questo ortaggio nella loro dieta.

La regione egea, localizzata nella parte occidentale del Paese,

e quella del Mar di Marmara, che si trova nella parte nord-ovest

della Turchia, sono le zone più note per la produzione.

ANKARA

Istanbul

Izmir

Bursa

AdanaAntalya

Konya

GaziantepMersin

Cipro

S anlıurfa

Diyarbakır

Izmit

Manisa

Samsun

Kayseri

Balıkesir

Kahramanmaras

S i r i a

B u l g a r i a

Gr e

ci a

I r a q

A r m e n i a

I r a n

G e o r g i a

T U R C H I A

M a rM e d i t e r r a n e o

M a r N e r o

Principali zone di coltivazione del carciofo in Turchia

Zone di coltivazione, superficie e produzione del carciofo in Turchia

Città Area (ha) Produzione (t)

1 Bursa 1000 13.000

2 Yalova 0,25 300

3 Samsun 0,002 25

4 Izmir 997 12.000

5 Antalya 211 2400

6 Adana 105 1800

Totale 2313,25 29.525

40_39_Turchia.indd 40040_39_Turchia.indd 400 30-11-2009 16:15:1630-11-2009 16:15:16

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carciofo in Turchia

401

Il clima e le cultivar in queste regioni sono diversi. Le condizio-

ni climatiche, in particolare le condizioni di umidità, della regione

del Mar di Marmara sono adatte alla coltivazione del carciofo. La

possibilità di gelate nei mesi invernali non consente l’utilizzo di

cultivar precoci. Nella regione egea, durante i mesi invernali, il ri-

schio di gelo è minore rispetto alla regione del Mar di Marmara e

le cultivar precoci si coltivano con maggior sicurezza. Tra le nuove

zone di produzione, quelle in prossimità delle città di Antalya e

Adana presentano un clima più caldo della regione egea e per

questo motivo è probabile che tali zone abbiano grandi possibilità

in futuro per la produzione di carciofo precoce.

La città di Bursa è la più grande zona di produzione della regione

del Mar di Marmara; a questa si aggiunge la città di Izmir, con la

stessa quantità di produzione, tanto che il 90% della produzione

totale proviene da queste città. Con l’aumento della domanda la

coltivazione si è estesa in nuove promettenti aree come le città

di Adana e Antalya a sud e la città di Samsun a nord, vicino al

Mar Nero.

Tecnica colturale e raccoltaIl ciclo produttivo della carciofaia generalmente dura 7-8 anni; le

cultivar più diffuse sono Sakiz e Bayrampasa, anche se negli ul-

timi 5-6 anni sono state introdotte cultivar ibride propagate per

“seme” e idonee alla coltura annuale.

Come materiale di propagazione si usano parti di ceppaia suddi-

vise in modo da avere almeno due gemme ognuna; il reperimen-

to di questo materiale è difficoltoso e generalmente proviene da

campi alla fine del ciclo pluriennale di produzione o è prelevato

durante la fase di riposo estivo delle piante in carciofaie in pro-

duzione. Tale materiale prima della messa a dimora viene trattato

con agrofarmaci contro agenti patogeni del terreno.

3000 35000

30000

25000

20000

15000

10000

5000

2500

2000

1500

1000

500

0 0

Supe

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Prod

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(t)

1961 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2004 2007Anni

Superficie Produzione totale

Superficie e produzione totale di carciofo in Turchia

Carciofaia prima dell’entrata in produzione

Foto N. Calabrese

Turchia in sintesi

• Il carciofo è attualmente coltivato in

Turchia su 2700 ha con una produzione

totale di 32.000 t. Dal 1990 a oggi,

superficie e produzione sono triplicate

• La regione egea, nella parte occidentale

con la città di Izmir, e quella del Mar di

Marmara, che si trova a nord-ovest con

la città di Bursa, sono le zone dove è

maggiormente diffusa la coltivazione.

In queste aree si concentra il 90% della

produzione totale. Tra le nuove zone di

produzione, quelle in prossimità delle

città di Antalya e Adana a sud, e di

Samsun a nord, vicino al Mar Nero, che

hanno un clima più caldo, si prestano

alla produzione di carciofo precoce

• Le cultivar più diffuse sono Sakiz

e Bayrampasa, moltiplicate

vegetativamente; negli ultimi 5-6 anni

sono state introdotte cultivar ibride

propagate per “seme”, quali Concerto,

Opal, Menuet, Prelude, Emerald, Mundi,

Maydo ed Etna, idonee alla coltura

annuale

40_39_Turchia.indd 40140_39_Turchia.indd 401 30-11-2009 16:15:1730-11-2009 16:15:17

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mondo e mercato

406

Carciofo e Marilyn Monroe

• In California la coltivazione del carciofo

ha una lunga tradizione, tanto che

dal 1947 si tiene ogni anno, nella città

di Castroville, una manifestazione

dedicata a questo ortaggio. Nella prima

edizione un’allora sconosciuta Marilyn

Monroe fu incoronata al concorso

di bellezza come Regina del carciofo,

primo passo di una carriera che la rese

celebre in tutto il mondo

Carciofo negli Stati Uniti

Introduzione Il carciofo fu introdotto negli Stati Uniti nel 1700 da immigrati fran-

cesi in Louisiana. Thomas Jefferson, terzo presidente americano,

coltivava carciofi nella sua azienda di Monticello, in Virginia cen-

trale, nel 1767. La diffusione del carciofo rimase molto limitata

fino all’inizio del ’900, quando immigrati italiani coltivarono alcuni

ettari di terreno a carciofo in California, nella zona di Half Moon

Bay. Il consumo di carciofo nella dieta americana, pari a 0,3 kg

pro capite, è rimasto costante negli ultimi vent’anni, ma è di se-

condaria importanza se paragonato a quello di altri ortaggi.

Nel 2007 il carciofo è stato coltivato su 3200 ha, con una produ-

zione totale di 41.000 t. La coltivazione avviene quasi esclusiva-

mente in California; le principali zone di produzione sono la costa

centrale (contee di Monterey, Santa Cruz e San Mateo) e quella

meridionale (contee di Santa Barbara, Ventura, Orange e San Die-

go), il deserto di Coachella Valley (contee di Riverside e Imperial)

e la Valle Centrale.

WAMT

ND

CA

UTCO

SD

NE

KS

OK

MO

IA

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GA

SC

NC

AL

TN

KYWV VA

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Isole HAWAII

ALASKA

Monterey

Santa Barbara

Orange

Ventura

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Riverside

Imperial

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Principali zone di coltivazione del carciofo negli Stati Uniti

41_40a_CarciofoStatiUniti.indd 40641_40a_CarciofoStatiUniti.indd 406 30-11-2009 16:27:2930-11-2009 16:27:29

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407

carciofo negli Stati Uniti

Carciofo negli Stati Uniti

• La coltivazione a scopo commerciale del

carciofo negli USA risale ai primi del ’900,

quando immigrati italiani piantarono le

prime carciofaie in California, che ancora

oggi detiene largamente il primato

della coltivazione con più del 95%

della superficie e della produzione totale

• Superfici ridotte sono coltivate in altri

Stati come Arizona, Virginia, New York,

Oregon e Texas

• Nel 2007 il carciofo è stato coltivato

su 3200 ha, con una produzione totale

di 41.000 t. Nel 2007-2008 il valore

totale della produzione lorda vendibile

della California ha superato i 50 milioni

di dollari

• Le cultivar più diffuse sono: Imperial

Star, Desert Globe, Emerald, Big Heart

e Green Globe Improved. Le epoche

di raccolta dei capolini coprono tutto

l’anno in funzione delle tecniche

colturali e delle diverse zone

di produzione

Superfici ridotte sono coltivate con successo per i mercati locali

in altri Stati, come Arizona, Virginia, New York, Oregon e Texas.

Negli ultimi vent’anni il carciofo è stato coltivato nella valle del Rio

Grande, nel Texas meridionale, situata al confine tra Stati Uniti e

Messico. A causa delle temperature più elevate la produzione era

limitata a quella regione. Oggi, grazie agli studi effettuati in Texas,

il carciofo si è diffuso in nuove zone di produzione più idonee

per le condizioni climatiche come la regione di Winter Garden, nel

Sud-Ovest (contee di Uvalde e Atascosa) e nell’area circostante

la Hill Country. In altri Stati, estensioni minori sono coltivate nella

Yuma County, in Arizona, e nella Willamette Valley, nell’Oregon.

Nella parte settentrionale dello Stato di New York, già negli anni

Venti sono stati effettuati studi per proteggere i carciofi dal freddo.

In Virginia le principali aree di coltivazione sono quella centrale

e settentrionale di Piedmont e la zona montuosa, dove l’elevata

altitudine mitiga le temperature estive e consente un buon accre-

scimento della pianta e un’interessante produzione di capolini.

Nella maggior parte degli Stati nordorientali e occidentali il car-

ciofo è coltivato in aziende la cui produzione comprende anche

altri ortaggi.

Tecnica colturale Sulla costa centrale della California, da cui proviene più del 75%

della produzione americana, si verificano le condizioni ideali per la

produzione (temperature di 11 °C di notte e 22 °C di giorno). Tali

condizioni si registrano durante tutto l’anno, quindi le piante, in

presenza di acqua, non vanno mai in riposo. Tuttavia il periodo di

massima produzione è compreso tra marzo e aprile. La diciocca-

tura viene effettuata dalla metà di maggio fino alla metà di giugno

così da favorire l’emissione di nuovi germogli per ottenere la pro-

duzione estiva e autunnale. In altre zone della California i carciofi

sono coltivati come coltura annuale; in questo caso per l’impianto

si utilizzano piantine propagate per “seme” allevate in serra e poi

trapiantate in pieno campo, in modo da programmare la produ-

zione secondo le richieste del mercato. L’impianto avviene da no-

vembre a giugno e la raccolta da aprile a ottobre. Questo periodo

coincide con quello di scarsa produzione della coltura polienna-

le. Nell’area di produzione del deserto, i carciofi sono piantati da

agosto a ottobre e le raccolte si effettuano da dicembre a marzo.

In genere, in California, la coltivazione è attuata con tecniche con-

venzionali, anche se dal 2001, nelle principali aree di produzione,

oltre 350 ha sono stati destinati a coltivazione biologica.

In Texas il carciofo si coltiva come pianta annuale. Le piante,

moltiplicate per “seme”, sono allevate nelle serre del sud e poi

sono trapiantate in campo da fine settembre a novembre. Anche

qui, come in California, il periodo di massima produzione è tra

marzo e aprile. Sono in corso studi mirati alla produzione autun-

no-invernale, con trapianto ad agosto e raccolta dalla fine di no-

Applicazioni di gibberelline per anticipare la produzione

41_40a_CarciofoStatiUniti.indd 40741_40a_CarciofoStatiUniti.indd 407 30-11-2009 16:27:2930-11-2009 16:27:29

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mondo e mercato

412

Carciofo in Argentina

IntroduzioneIn Argentina assume il nome di alcaucil, parola che deriverebbe

dall’arabo harscioh o al-karshuf e che significa “spina di terra” o

“pianta che punge”.

La migrazione italiana avvenuta in seguito alla prima guerra mon-

diale ha introdotto in Argentina le prime varietà di carciofo, insie-

me alle pratiche agronomiche e alle modalità di consumo origina-

rie, che sono state poi adattate alle condizioni locali.

Per molti anni l’area coltivata a carciofo in Argentina è stata sti-

mata intorno ai 4000 ha, ma a partire dal 1980 il calo di redditività

ne ha determinato una drastica riduzione, pari circa al 50%: la

coltura poliennale immobilizza infatti la superficie occupata per

diversi anni, a differenza di altre specie orticole, che prevedono la

possibilità di effettuare 2 o 3 avvicendamenti annuali.

In Argentina non esistono dati statistici ufficiali relativi alla produ-

zione, a parte quelli rilevati dal censimento del 2002 sulla super-

ficie coltivata.

Da questi risultava che la superficie totale era di 782 ettari di-

stribuiti in tutto il Paese e concentrati nelle principali province di

produzione: Buenos Aires (55,46%), San Juan (22,84%), Santa Fe

(11,19%) e Mendoza (8,76%).

Stando ad alcune stime, nel 2007 a La Plata (Buenos Aires) si

contavano 700 ha impiantati, a San Juan e Mendoza (che forma-

no la regione di Cuyo) 400, a Rosario 200 e a Mar del Plata circa

100 ha.

Attualmente la superficie coltivata a carciofo in Argentina si aggira

intorno ai 2000 ha, con produzione unitaria media di 12 t/ha.

Nella zona di La Plata (provincia di Buenos Aires) si concentra il

nucleo produttivo più importante, con il 64% della superficie tota-

le del Paese; seguono la Cintura Orticola di Rosario (provincia di

Santa Fe) con il 14% e, con un valore analogo, la zona di Cuyo,

che comprende le province di San Juan e Mendoza. A San Juan,

il 65% della produzione viene destinato all’industria conserviera

della provincia di Mendoza.

Esistono inoltre piccoli nuclei produttivi di superficie ridotta nelle

Cinture Orticole delle grandi città (Mar del Plata, Córdoba, Tucu-

mán ecc.).

Le zone di La Plata e Rosario presentano un clima temperato,

non soggetto a gelate fra i mesi di ottobre e aprile e un livello di

precipitazioni pari a circa 1000 mm all’anno. I terreni contengono

un livello di sostanza organica oscillante fra il 2% e il 5% e un alto

contenuto di argilla.

La zona di Cuyo (San Juan e Mendoza), al contrario, è caratterizza-

ta da terreni sabbiosi con alte percentuali di sostanza organica e da

un clima secco con precipitazioni che sfiorano i 100 mm all’anno.

Argentina in sintesi

• Nel 2007, il carciofo è stato coltivato in

Argentinas su 4600 ha con una produzione

totale di 90.000 t (rispettivamente quinto e

terzo posto nella graduatoria mondiale)

• Nella zona di La Plata si concentra

il 64% della superficie coltivata a carciofi

del Paese; seguono la Cintura Orticola

di Rosario con il 14% e, con un valore

analogo, la zona di Cuyo, che comprende

le province di San Juan e Mendoza.

A San Juan il 65% della produzione viene

destinato all’industria conserviera della

provincia di Mendoza. Piccoli nuclei

produttivi sono presenti in prossimità

delle grandi città, Mar del Plata, Córdoba,

Tucumán

• Le cultivar più diffuse sono: Romanesco,

detto anche Francés (francese), Francés

precoz (francese precoce) o Ñato francés,

Ñato, tipo tardivo, noto anche come Ñato

criollo o Violeta nella Cintura Orticola di

Rosario, Blanco o Blanco de San Juan e

Precoz italiano. Nuove varietà in corso di

introduzione sono Oro verde, Esmeralda,

Gauchito, Gurí ed Estrella del Sur

Varietà Romanesco, conosciuta anche con i nomi di Francés, Francés precoz o Ñato francés. È la varietà più diffusa in termini di superficie

42_41a_Argentina.indd 41242_41a_Argentina.indd 412 14-12-2009 14:41:2314-12-2009 14:41:23

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413

carciofo in Argentina

Nell’area di influenza della Cintura Orticola di Rosario il carciofo

occupa il quarto posto all’interno delle colture orticole, precedu-

to da pomodoro, lattuga e sedano; esso costituisce una fonte di

reddito nei momenti in cui non si effettuano altre colture orticole

di grande interesse. La produzione è destinata a rifornire il mer-

cato locale e altre aree di consumo, fra cui Córdoba, Santa Fe e

Buenos Aires.

La produzione argentina è sostanzialmente destinata al mercato

del fresco, con valori di consumo pro capite annuo pari a 2,6 kg.

La lavorazione industriale avviene principalmente nella provincia

di San Juan. La produzione dei capolini è commercializzata esclu-

sivamente sul mercato interno; la possibilità di aprirsi al mercato

internazionale, grazie all’offerta di un prodotto di qualità e fuori

stagione, è penalizzata dal tasso di cambio, che ha più volte im-

pedito l’accesso a mercati esteri con prezzi competitivi rispetto

ad altri Paesi concorrenti.

VarietàRomanesco. Detto anche Francés (francese), Francés precoz

(francese precoce) o Ñato francés. Caratterizzato da capolini se-

misferici verdi con striature violacee e brattee prive di spine. La

produzione comincia a fine giugno e si protrae fino alla fine di

agosto, epoca in cui il freddo blocca la produzione; l’utilizzo di

gibberelline permette di anticipare la raccolta al mese di maggio.

La resa è di 6-7 capolini/pianta con peso medio di 200-250 g per

capolino. È la varietà principale coltivata nella zona di La Plata e

nella Cintura Orticola di Rosario.

Ñato. Tipo tardivo, noto anche come Ñato criollo o Violeta nella

Cintura Orticola di Rosario. Caratterizzato da capolini tendenzial-

mente globosi, solidi e compatti. Presenta brattee esterne mu-

cronate e violacee. L’infiorescenza pesa fra i 200 e i 300 g, con

una resa di 7 capolini/pianta. La produzione avviene in primavera

e fra metà settembre e novembre, periodo in cui le alte tempe-

rature provocano l’apertura delle brattee compromettendone il

valore commerciale. Negli anni Ottanta era la varietà più coltivata

a livello nazionale, ma per la sua epoca di produzione molto tar-

diva è stato soppiantato dal tipo Romanesco, di produzione più

precoce.

Blanco o Blanco de San Juan. Tipo precoce. Pianta di dimensio-

ni ridotte, dalle foglie verdi, inermi, con presenza di eterofillia. Si

distingue per i capolini ovali, compatti, di colore verde chiaro, e di

piccole dimensioni (140-160 g). La produzione avviene in due pe-

riodi, entrambi seguiti da una fase di interruzione per via dei freddi

intensi: da inizio marzo a fine maggio (autunno) e da inizio luglio

a metà settembre (inverno). Probabilmente si tratta della cultivar

spagnola Blanca de Tudela con la quale presenta numerose ana-

Varietà Ñato, detta anche Ñato criollo o Violeta, di ottima qualità, ma di produzione tardiva

Rosario(provincia

di Santa Fe)

SanJuan

MendozaLa Plata

(provinciadi Buenos

Aires)

A R G E N T I N A

C i l e

Paraguay

B r a s i l e

U r u g u a y

Principali zone di produzione del carciofo in Argentina

42_41a_Argentina.indd 41342_41a_Argentina.indd 413 14-12-2009 14:41:2414-12-2009 14:41:24

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mondo e mercato

420

Carciofo in Perú

IntroduzioneIl carciofo è stato introdotto in Perú sin dall’epoca della conqui-

sta spagnola, ma fino agli anni Novanta la superficie coltivata è

rimasta limitata a 300-400 ha, situati nella Cordigliera centrale. Era

presente solo una cultivar, denominata Criolla, di probabile origine

italiana, simile allo Spinoso sardo, moltiplicata vegetativamente; la

produzione era destinata principalmente al consumo fresco. L’area

di coltivazione era concentrata quasi esclusivamente nella zona

nota come Concepción, situata presso la valle del fiume Mantaro,

nella regione di Junín e, limitatamente, nei pressi di Lima.

A partire dalla fine degli anni Novanta e con l’inizio del terzo mil-

lennio, è stata avviata l’introduzione di cultivar propagate per “se-

me” in areali differenti, allo scopo di valutare sia l’adattabilità alle

diverse condizioni pedoclimatiche, sia l’idoneità alla trasformazio-

ne industriale. La loro coltivazione a fini commerciali è iniziata nel

2001-2002 e, negli anni successivi, le cultivar propagate per “seme”

si sono diffuse progressivamente in diverse valli della costa e della

Cordigliera andina, dal livello del mare fino a 2500 metri di altitudi-

ne. Attualmente si stima che il carciofo sia coltivato su 7000 ha; i

dati statistici della FAO riportano per il 2007 la superficie totale di

4200 ha, che pongono il Perú tra i primi cinque produttori mondiali.

La coltivazione è praticata prevalentemente sulla costa, con il 70%

circa della produzione, nelle regioni di Lima, La Libertad, Ancash e

Ica, mentre sulla Cordigliera oltre alla regione di Junín si segnalano

quelle di Huanuco, Ayacucho e Arequipa.

La produzione delle nuove aree è destinata quasi esclusivamente

alla trasformazione industriale, per la preparazione di cuori, quar-

ti e fondi di carciofo, conservati principalmente in salamoia ed

esportati negli USA e in Europa.

Stati Uniti Spagna

Francia Paesi Bassi

Germania

63%16%

10%

4% 3% 4%

Altri

Destinazioni principali del carciofo trasformato (2008)

Perú in sintesi

• Con 4200 ha e 72.000 t si pone al 7°

e 5° posto rispettivamente per superficie

coltivata e produzione. Il notevole

incremento delle superfici dell’ultimo

decennio è dovuto principalmente

all’introduzione di cultivar propagate per

“seme” in nuovi areali di coltivazione

situati lungo la costa del Pacifico

• La coltivazione è praticata soprattutto

sulla costa, con il 70% circa della

produzione, nelle regioni di Lima, La

Libertad, Ancash e Ica, mentre sulla

Cordigliera, oltre alla regione di Junín,

quelle di Huanuco, Ayacucho e Arequipa

• La cultivar tradizionalmente presente

è Criolla, di probabile origine italiana e

simile allo Spinoso sardo. Tra le nuove

cultivar propagate per “seme”, Imperial

Star è la più diffusa, seguita da Lorca

e da A106. Sono in fase di valutazione

cultivar ibride (Madrigal e Symphony)

• Attualmente rappresenta uno dei

principali competitori sui mercati

internazionali per il prodotto conservato

perché abbina una buona qualità a

prezzi di vendita molto concorrenziali

Costa

Sierra

Zone potenziali

Calamanca

Las LibertadAncash

Lima

IcaArequina

AracuchaCusco

AyaurmasHincaJunín

PascoHuanuca

Superficie 7000 ha (anno 2008)

Costa

Sierra

4900 ha

2100 ha

(70%)

(30%)

Principali zone di produzione del carciofo in Perú

43_41b_Peru.indd 42043_41b_Peru.indd 420 30-11-2009 17:03:5030-11-2009 17:03:50

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421

carciofo in Perú

CultivarLa cultivar tradizionalmente presente in Perú è la Criolla, pian-

ta di altezza media con foglie e capolini muniti di grosse spine,

colore delle brattee viola con sfumature verdi; la propagazione

è effettuata tramite carducci. Le carciofaie sono allevate per 2-3

anni. Tuttavia, in seguito all’introduzione delle nuove cultivar pro-

pagate per “seme”, quella attualmente più diffusa è la Imperial

Star, introdotta dalla California, seguita da Lorca e da A 106, di

origine spagnola. Il ciclo di coltivazione è annuale; sono tutte ca-

ratterizzate da buon vigore ed elevata produttività, i capolini sono

tendenzialmente globosi, di colore verde con leggere sfumature

viola alla base delle brattee esterne.

Sono in fase di valutazione alcune cultivar ibride, tra cui Madri-

gal e Symphony che, in prove sperimentali effettuate in Italia e

Spagna, hanno mostrato ottima produttività con capolini di ottima

qualità particolarmente richiesti dall’industria di trasformazione.

Esigenze ambientali Il carciofo predilige climi temperati con notti fresche (intorno agli

11-13 °C) e temperature diurne di circa 22-24 °C. Nella zona co-

stiera il trapianto ha inizio in febbraio e si conclude a maggio; la

raccolta avviene tra giugno e dicembre. Nelle aree di coltivazione

della Cordigliera, il ciclo inizia normalmente alla fine dell’inverno,

dopo l’epoca delle gelate, intorno al mese di agosto, mentre la

raccolta si effettua tra dicembre e giugno.

L’alternanza dell’epoca di raccolta nelle due differenti zone di col-

tivazione garantisce la produzione di capolini continua per tutto

l’anno, anche se la maggior parte è concentrata in primavera, per-

ché l’area di coltivazione più ampia è quella costiera.

Tecnica colturaleLe tecniche di coltivazione sono influenzate notevolmente dalle

diverse condizioni pedoclimatiche dei due areali di produzione e

dalle cultivar utilizzate. Nella zona costiera il ciclo colturale inizia

con il trapianto di piantine con 3-4 foglie vere provenienti da “se-

me” e allevate in vivaio per 20-25 giorni. La distanza a cui sono

poste le piante è di 1,6-2 m tra le file e di 0,5-0,70 m sulla fila;

la densità varia tra le 10.000-12.000 piante/ha. I capolini sono

Capolini della cultivar Criolla

Capolino della cultivar Lorca

Calendario di produzione del carciofo in Perú

PaeseMesi di semina e raccolta del carciofo

Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic

Perú Costa

Perú Cordigliera

Impianto Raccolta

43_41b_Peru.indd 42143_41b_Peru.indd 421 30-11-2009 17:03:5030-11-2009 17:03:50

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mondo e mercato

426

Cile in sintesi

• Con 4300 ha, il Cile occupa il sesto posto

per la superficie coltivata e l’undicesimo

per la produzione totale, con 34.000 t

• Le aree di produzione si concentrano

nella zona centrale del Paese; le regioni

di Coquimbo e Valparaíso coprono

il 94% della produzione nazionale.

La coltivazione è comunque diffusa

in tutto il Paese ed è presente perfino

in molti orti familiari

• La produzione è concentrata su due tipi

di cultivar: quella argentina e quella

cilena. Queste, anche se selezionate per

il mercato da molti decenni, presentano

ancora notevole polimorfismo. La

cultivar o tipo argentino, che deve

il nome alla forte somiglianza con il

Blanco temprano coltivato in Argentina

e anche con la cultivar Blanca de

Tudela di probabile origine spagnola, è

destinata al consumo fresco, quando

sul mercato scarseggiano altre varietà,

o, prevalentemente, alla lavorazione

industriale

Carciofo in Cile

IntroduzioneIn Cile non esistono testimonianze certe su come questa specie

sia giunta nel Paese; tuttavia, si pensa che l’ondata migratoria

dall’Italia generata dalla Prima guerra mondiale abbia determi-

nato la sua introduzione in Argentina. Dalle zone di produzione

argentine di San Juan e Mendoza esso sarebbe arrivato in Cile,

principalmente nelle aree settentrionale e centrale. Da allora ha

iniziato a essere coltivato per il mercato interno per il consumo

allo stato fresco, arrivando a coprire una superficie totale di cir-

ca 2500 ha. Questo valore si è mantenuto stabile fino alla metà

degli anni Novanta, quando la superficie coltivata è raddoppiata

in seguito all’aumento della produzione per la lavorazione indu-

striale. Attualmente la superficie coltivata è di circa 5000 ha, con

una concentrazione della produzione nelle regioni centrali del pa-

ese. Trattandosi di un prodotto che entra nel mercato in periodi

di scarsa offerta di altri ortaggi, il carciofo possiede un alto valore

economico nonostante il basso livello di consumo pro capite (1 kg

all’anno per ogni abitante). Nel linguaggio popolare è molto diffusa

l’espressione “pegarse el alcachofazo” (letteralmente, “prendersi

una carciofata”), che significa accorgersi, rendersi improvvisa-

mente conto di qualcosa. Un altro modo di dire comune è “tener

corazón de alcachofa” (“avere un cuore da carciofo”), utilizzato in

due accezioni: la prima, derivata dalla celebre Ode al carciofo del

Nobel cileno Pablo Neruda, designa coloro che dietro la corazza

di un brutto carattere celano un cuore nobile. La seconda deri-

verebbe dal modo popolare di consumare questo prodotto, vale

a dire mangiandolo con le mani e privandolo progressivamente

delle foglie fino ad arrivare al cuore.

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carciofo in Cile

427

Aree di coltivazioneIn Cile l’orticoltura si sviluppa, con una grande varietà di specie,

nell’arco di tutto il territorio (latitudine 18° S-56° S), lungo 4000

chilometri e suddiviso in 15 regioni. All’orticoltura è destinato un

totale di 93.616 ettari, equivalente al 4% del sistema produttivo

nazionale. Nella zona centrale (regioni di Coquimbo, Valparaíso e

Metropolitana di Santiago), caratterizzata da un clima mediterra-

neo, si concentra l’84% della produzione orticola nazionale. Fra

gli ortaggi il carciofo occupa il quarto posto quanto a superficie

coltivata, subito dopo mais, pomodoro e cipolla; la sua produ-

zione si concentra anch’essa nelle regioni centrali del Paese, fra

Coquimbo e Valparaíso, che coprono il 94% della produzione na-

zionale. Ciononostante, la coltivazione è diffusa in tutto il Paese,

ed è presente perfino in molti orti familiari della zona più australe

del territorio.

La zona centrale del Cile è caratterizzata da condizioni agroeco-

logiche definite da una forte influenza del mare. Più in particolare,

nella regione di Coquimbo la temperatura media si mantiene per

tutto l’anno fra i 7° e i 12° C, con elevata umidità relativa (fra l’80 e

l’85%), il che garantisce la possibilità di produrre capolini di buo-

na qualità in periodi relativamente precoci.

Cultivar In Cile la produzione è storicamente concentrata su due tipi di

cultivar: quella argentina e quella cilena. Queste, anche se sele-

zionate per il mercato da molti decenni, presentano ancora forte

variabilità genetica. Negli ultimi vent’anni si è aggiunta la cultivar

francese. Le tipologie in questione si distinguono per le seguenti

caratteristiche.

30.000

25.000

20.000

15.000

10.000

5000

0

Los Rios

Magalla

nes

Aysen

Los La

gos

La Arau

cania

Bio-Bio

Maule

O’Higgins

Metrop

olitan

a

Valpa

raíso

Coquim

bo

Atacam

a

Antofag

asta

Tarap

acá

Arica y

Parin

acota

Supe

rfici

e (h

a)

Regioni del Cile

Superficie a ortaggi Superficie a carciofi

Superficie coltivata a carciofo distribuita nelle quindici regioni del Cile

Arica-Parinacota

Tarapacá

Region MetropolitanaValparaísoCoquimbo

Atacama

Antofagasta

Libertador GeneralBernardo O’Higgins

Magallanes y AntárticaChilena

Aisén del GeneralCarlos Ibañez del Campo

Los LagosLos RiosAraucaniaBiobioMaule

Cartina politica del Cile, diviso in quindici regioni. La produzione del carciofo è diffusa prevalentemente nelle regioni centrali di Coquimbo e Valparaíso. In queste aree si concentra il 94% della produzione nazionale

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