Religiosi, Letterarj e Morali - MonteseReligiosi, Letterarj e Morali, non voglio indugiare più...

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1 Giuseppe Lugli Commentario in lode dell’Avv. Luigi Serafino Parenti di Montecuccolo in Opuscoli religiosi, letterari e morali, s. II, t. XIII, Modena 1869, pp. 117-160 Estratto con numerazione propria, pp. 1-48, Modena 1868. Alla Nobile Signora Marianna Parenti nata Bignardi Mi permetta, gentilissima Signora, che a Lei intitolato venga in luce uno scritto, il quale mentre Le ricorderà il degnissimo uomo che fu sì amorevole suo suocero, rammenterà altresì ed a Lei ad al pubblico l’autor suo, sì costante e sincero amico del di Lei marito. L’ottimo prof. Giuseppe Lugli l’avea composto e destinato alla stampa sino dal 1855. Il pubblicarlo adesso non è dunque né una indiscrezione, né una dubbia interpretazione della volontà dell’autore. E degno invero della pubblica luce era questo Commentario, sì per rendere tributo di giusta lode all’eccellente persona di cui vi sono narrati i pregi e gli studi; come per l’illustrazione che vi si trova delle opere del Tiraboschi riguardanti la storia delle provincie modenesi. Il lungo indugio a pubblicarlo è poi provenuto, in prima, dalla troppa modestia del prof. Marc’An- tonio, il quale abborrendo tanto dalle proprie lodi, non volle consentirmi di stamparlo lui vivente; e poi dalla sempre crescente abbondanza di materiali, che m’ha fatto procrastinare e differire di fasci- colo in fascicolo e d’anno in anno. Ma giunto a questo, che secondo ogni verisimiglianza, sarà l’ultimo del Periodico degli Opuscoli Religiosi, Letterarj e Morali, non voglio indugiare più oltre; e restino piuttosto inediti altri lavori, che non potessero trovar luogo nei successivi fascicoli. Ometto per altro la stampa dei documenti, de’ quali il prof. Lugli intendeva corredare il Commenta- rio; perché avendone egli estratto, con ogni diligenza ed esattezza, il succo, m’è sembrato di potere senza danno del suo lavoro, resecandone molte note e le Appendici, restringerlo in ispazio men lar- go. Accolga, Nobile Signora, l’offerta ed il rispetto del suo Dev. mo Umil. mo Servitore Bartolomeo Veratti Ella è massima ricevuta e raccomandata dai Sapienti, che un Elogio non deggia mirare ad altro che a porre davanti ai contemporanei ed ai posteri un modello di segnalata virtù: modello tanto più a dirsi efficace, quanto più sia idoneo a portare, ove ne occorra il bisogno, una riparatrice riforma ne’ costumi. Certo che in allora il proferito encomio non sarà cosa fornito soltanto di speciosa apparen- za, ma ricca piuttosto di verace utilità, e per avventura potrà venire accolto con animo grato, e di- sposto a giovarsi dei lumi e dell’esempio del lodato. Laonde se il tristo vezzo, indizio di morale scadimento, di esaltare con lingua maliziosa e bugiarda l’iniquità prepotente, o il vizio per breve ora fortunato, tende a sedurre gl’incauti, ed a corrompere il sentimento del vero e dell’onesto; per lo contrario la candida lode accordata con ingenua schiettezza alle azioni virtuose potrà concorrere, qual salutare antidoto, a persuadere il bene, ed a sanare non poche piaghe del corpo sociale. Il richiamare pertanto alla mente l’immagine della rettitudine in un soggetto stato cospicuo per dot- trina e dignità, sembra non abbia a reputarsi cosa di ordinario momento, e scevra da civile vantag- gio. La Provincia del Frignano, splendida parte dell’Estense Dominio, e per la prisca fede a’ suoi Princi- pi e pel fertile e popoloso territorio, ci appresenta appunto un personaggio, che fu rara chiarezza di bontà e di sapienza, il cui nome venerando è ricordato con alta stima e tenerezza d’affetto dalla me- desima riconoscente Provincia. E’ questi Luigi Serafino Parenti nato in Montecuccolo nel dì primo di giugno dell’anno 1751, e tolto ai vivi il sesto di aprile dell’anno 1836. In lui ci viene offerto l’uomo, nel quale il secolo ha di che specchiarsi, affin di apprendere la modestia nel sapere, e la

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    Giuseppe Lugli Commentario in lode dell’Avv. Luigi Serafino Parenti di Montecuccolo in Opuscoli religiosi, letterari e morali, s. II, t. XIII, Modena 1869, pp. 117-160 Estratto con numerazione propria, pp. 1-48, Modena 1868.

    Alla Nobile Signora Marianna Parenti nata Bignardi Mi permetta, gentilissima Signora, che a Lei intitolato venga in luce uno scritto, il quale mentre Le ricorderà il degnissimo uomo che fu sì amorevole suo suocero, rammenterà altresì ed a Lei ad al pubblico l’autor suo, sì costante e sincero amico del di Lei marito. L’ottimo prof. Giuseppe Lugli l’avea composto e destinato alla stampa sino dal 1855. Il pubblicarlo adesso non è dunque né una indiscrezione, né una dubbia interpretazione della volontà dell’autore. E degno invero della pubblica luce era questo Commentario, sì per rendere tributo di giusta lode all’eccellente persona di cui vi sono narrati i pregi e gli studi; come per l’illustrazione che vi si trova delle opere del Tiraboschi riguardanti la storia delle provincie modenesi. Il lungo indugio a pubblicarlo è poi provenuto, in prima, dalla troppa modestia del prof. Marc’An-tonio, il quale abborrendo tanto dalle proprie lodi, non volle consentirmi di stamparlo lui vivente; e poi dalla sempre crescente abbondanza di materiali, che m’ha fatto procrastinare e differire di fasci-colo in fascicolo e d’anno in anno. Ma giunto a questo, che secondo ogni verisimiglianza, sarà l’ultimo del Periodico degli Opuscoli Religiosi, Letterarj e Morali, non voglio indugiare più oltre; e restino piuttosto inediti altri lavori, che non potessero trovar luogo nei successivi fascicoli. Ometto per altro la stampa dei documenti, de’ quali il prof. Lugli intendeva corredare il Commenta-rio; perché avendone egli estratto, con ogni diligenza ed esattezza, il succo, m’è sembrato di potere senza danno del suo lavoro, resecandone molte note e le Appendici, restringerlo in ispazio men lar-go. Accolga, Nobile Signora, l’offerta ed il rispetto del suo Dev.mo Umil.mo Servitore

    Bartolomeo Veratti Ella è massima ricevuta e raccomandata dai Sapienti, che un Elogio non deggia mirare ad altro che a porre davanti ai contemporanei ed ai posteri un modello di segnalata virtù: modello tanto più a dirsi efficace, quanto più sia idoneo a portare, ove ne occorra il bisogno, una riparatrice riforma ne’ costumi. Certo che in allora il proferito encomio non sarà cosa fornito soltanto di speciosa apparen-za, ma ricca piuttosto di verace utilità, e per avventura potrà venire accolto con animo grato, e di-sposto a giovarsi dei lumi e dell’esempio del lodato. Laonde se il tristo vezzo, indizio di morale scadimento, di esaltare con lingua maliziosa e bugiarda l’iniquità prepotente, o il vizio per breve ora fortunato, tende a sedurre gl’incauti, ed a corrompere il sentimento del vero e dell’onesto; per lo contrario la candida lode accordata con ingenua schiettezza alle azioni virtuose potrà concorrere, qual salutare antidoto, a persuadere il bene, ed a sanare non poche piaghe del corpo sociale. Il richiamare pertanto alla mente l’immagine della rettitudine in un soggetto stato cospicuo per dot-trina e dignità, sembra non abbia a reputarsi cosa di ordinario momento, e scevra da civile vantag-gio. La Provincia del Frignano, splendida parte dell’Estense Dominio, e per la prisca fede a’ suoi Princi-pi e pel fertile e popoloso territorio, ci appresenta appunto un personaggio, che fu rara chiarezza di bontà e di sapienza, il cui nome venerando è ricordato con alta stima e tenerezza d’affetto dalla me-desima riconoscente Provincia. E’ questi Luigi Serafino Parenti nato in Montecuccolo nel dì primo di giugno dell’anno 1751, e tolto ai vivi il sesto di aprile dell’anno 1836. In lui ci viene offerto l’uomo, nel quale il secolo ha di che specchiarsi, affin di apprendere la modestia nel sapere, e la

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    probità nell’operare, o vogliasi considerare l’erudizione di cui seppe arricchire la mente, o la perizia manifestata nell’agronomia, o il corredo di quelle cristiane e civili virtù, onde regolò sé stesso e la famiglia, e tenne per lunga stagione il governo della propria patria. Ben avventurato diremo Luigi Serafino Parenti, il quale sortì i natali in una famiglia1 d’un carattere veramente patriarcale, e da cinque secoli abitatrice del Frignano ne’ dintorni di Montecuccolo. Dal-la persona di un certo Parente o Parenzio, il solo onde abbiasi memoria sicura ne’ documenti del secolo XIV, trasse la famiglia il cognome. Dal detto Parente discendendo ad un suo pronipote no-minato Pellegrino, veggiamo ne’ tre figli di quest’ultimo, Francesco, Giovanni e Marco o Marchiò, diramarsi nel secolo XV la famiglia Parenti in tre linee, di Montorso, di Montecuccolo, e della Ser-ra, o Serra di Marchiò, di cui la prima vige tuttora in numerosa ramificazione, e la terza continua prospera e rispettata. Ogni sorta di belle doti domestiche, civili e religiose poté Luigi Serafino ammirare negli esempi de’ suoi antenati. Della qual cosa non so se abbiavi eccitamento più grande ad un animo ben fatto, per-ché si accenda di emulazione, e non si dimostri a patto veruno degenere dall’avito buon nome. In quella serie de’ suoi maggiori gli si affacciavano di successione in successione ottimi padri di fami-glia, madri direttrici prudenti della casa, spose onorate, concordi fratelli, economi intelligenti, prov-vidi amministratori del proprio o dell’altrui patrimonio, attivi ed esatti sostenitori di gravi incarichi, uomini di dottrina e di salutare consiglio, parentadi onesti e doviziosi, e ministri intemerati del San-tuario, o reggessero nella Chiesa di Dio il pastorale officio od abbracciassero l’austerità del chio-stro. E qui non vuolsi tacere di quel Pellegrino Parenti, secondo di questo nome, e terzogenito di Marco, il quale sul declinare del secolo decimosesto portatosi a Bologna, attese colà agli studj, vestì abito clericale, e laureato nell’anno 1605 in Divinità, si vide collocato poco dopo fra’ cattedratici di quell’Archiginnasio professandovi Teologia. Donatosi poi tutto alla carità più fervente verso Dio ed il prossimo, ebbe la gloria di essere uno de’ Fondatori della Congregazione di S. Filippo Neri nella Chiesa della Madonna di Galliera, e di succedere al primo Rettore di così utile Istituto. Tanta pietà in lui risplendette, che venne onorato dopo morte del titolo di Venerabile, e i fatti della santa sua vi-ta furono a stampa tramandati alla posterità. Restò vittima del contagio, che tanto infierì nelle con-trade d’Italia l’anno 1630: e si volle da que’ PP. Filippiani conservare, quale preziosa reliquia, il ca-po di lui, dentro ad una teca di cipresso con sottopostavi affettuosa inscrizione. Bologna ammiratri-ce di sue virtù, e riconoscente ai servigi prestati dal suo zelo e dalla sua dottrina, con Diploma di quel Comune segnato il giorno 3 marzo dell’anno 1617 concedette la propria cittadinanza a lui ed a’ suoi nipoti e lor discendenti2. Marco Antonio, secondo di questo nome, nato l’anno 1701, padre di Luigi Serafino, può asserirsi che riepilogasse in sé stesso le qualità dell’animo, che distinto aveano i suoi predecessori; tanti fu-rono gli officj, i quali disimpegnò con indicibile probità nella Provincia del Frignano non sì tosto ebbe compiuto gli studj in Modena, dove conseguì il grado di Notaro. Indefesso nell’applicazione alla lettura, e nell’esercizio della penna dettò parecchie Memorie sopra le antichità della sua Provin-cia. Non ommise parte alcuna de’ sacri doveri di cristiano e di padre, né diligenza nel trattare i do-mestici affari. In lui trovavasi un amabile candore di costumi, una carità sviscerata verso il prossi-mo, e per cuor retto e generoso a tutti fu caro. In ossequio alla religione raccolse non poche materie

    1 Notizie Storico-genealogiche della Famiglia Parenti di Montecuccolo stese il 20 novembre 1808 dall’Avv. Luigi Sera-fino. Il fine per cui lo scrisse, venne indicato da lui con queste savie e modeste parole: “Ho pensato cosa utile di compi-lare la storia della famiglia, acciò i suoi discendenti, comprendendola di estrazione non illustre e non infima, abbiano il riflesso di non estollersi in vanità, e di non degradarla da quella onesta mediocrità, in cui per la savia condotta de’ nostri maggiori si conserva da pressoché cinque secoli”. MS. presso la Famiglia. 2 Lorenzo Gigli nella Raccolta MS. degli uomini insigni del Frignano, Lib. I Art. Montecuccolo, pag. 145, ragiona a lungo delle virtù del P. Pellegrino Parenti; e passando a parlare del Sacerdote Giambattista Parenti, pronipote di quel Venerabile, descrivendolo religiosissimo, d’illibati costumi, e ornato di molte lettere, lo cita in prova di quanto ha sul principio affermato, col dire: “Scorgesi così felicemente trasfuso di grado in grado nella ragguardevol famiglia de’ Pa-renti da Montecuccolo un’indole pia, morigerata e studiosa, che sembra che la pietà, la saviezza e l’amor delle lettere sia dote ereditaria di questa Casa”.

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    di Ascetica, ed a sfogo di affetto divoto visitò il Santuario di Loreto, e vi riviaggiò per disporsi, co-me dicea, a ben morire. Mancò di vita il giorno 8 luglio dell’anno 1757 con generale compianto, la-sciando in età pupillare Luigi Serafino, il quale si rimase l’unica speranza superstite della casa atte-so la morte de’ fratelli maggiori Giuseppe e Francesco, ambidue stati allievi in Modena nelle scuole de’ PP. Gesuiti, e di quelle di S. Carlo in Modena. Giuseppe fu tenuto in pregio da uomini eccellenti in scienze e lettere, dal Boscovich, dal Gabardi e dal Troili della Compagnia di Gesù, e dall’avvo-cato e Matematico Paolo Cassiani, e dal Marchese Sigismondo Foschieri, di cui frequentava la do-mestica Accademia. Francesco, a cagione della perizia non ordinaria che aveva della lingua e lette-ratura italiana, era destinato precettore di due giovinetti fratelli Montecuccoli nel Collegio Teresia-no di Vienna. Riparò intanto la perdita gravissima del loro padre la vedova consorte Anna Maria, figlia del Notaro Bartolomeo Amorotti e di Lodovica Benedetti. Simile alla donna forte della Scrittura, seppe con una costanza di animo superiore ad ogni encomio reggere sé stessa, e l’orbata famiglia, mantenere intat-to il patrimonio, collocare con decoro t re figliuole, e dar termine all’educazione de’ figli in Mode-na. Ella fu l’angelo tutelare della casa, e formò della sua abitazione come un religioso ritiro, dove ogni giorno ad ora determinata leggeansi libri di pietà, e di sacra istoria, dove imparavansi edificanti esempi di caritatevole tenerezza verso de’ poveri, e dove dagli atti e dalle parole di lei trasfondeasi negl’individui della famiglia quella invidiabile tranquillità di animo, che sola proviene dalla pace, e dalla innocenza del cuore. Primo pensiero di questa madre fu quello di porre il suo Luigi Serafino sotto la privata direzione di un dotto e pio precettore. Il Sacerdote Giambattista Menoni da Roccapelago era tale da sodisfare al delicato impegno. E fu gran tesoro l’averlo acquistato. Candido di cuore, e tutto operando per reli-giosa coscienza, erasi tenuto lontano dai rumori della città, e visse e crebbe di propria elezione in una beata solitudine. Niuno, meglio di lui, riuscì ad instillare nella giovinetta mente del suo alunno que’ sani principj del sapere, i quali in certa guisa s’identificano con quelli d’una soda pietà. Laonde questa pianticella adorna de’ più bei fiori proprj della sua età, traslocata che fu a Modena nel Colle-gio de’ PP. Gesuiti, diede prova felice di sé: e tal frutto egli fece in quelle scuole che vi ottenne il grado di ottimato nelle lettere, e la dignità di Principe nella latina poesia, nel tempo stesso che gui-dava il suo spirito ad ulteriore perfezione il celebre P. Giovanni Granelli di lui confessore. Gli prestavano qui in Modena amorevole assistenza due zii materni, i quali gareggiavano tra loro di cura e di zelo, perché il nipote negli studj intrapresi non fallisse a nobile meta. Erano questi i due Sacerdoti Amorotti, Giambattista e Giuseppe; stato Segretario il primo di tre Vescovi della nostra Diocesi, Giuliano Sabbatini, Giuseppe Maria Fogliani, e Tiburzio Cortese; e Institutore il secondo nel Ducal Collegio de’ Nobili di S. Carlo, poi Maestro di Camera del Sabbatini, e benemerito edito-re delle opere di quel Prelato. Da siffatti mezzi confortato il Parenti apprese per tempo quel buon gusto e quell’amore alla soda letteratura, che da lui non venne abbandonato giammai, e il diletto di stendere nell’idioma latino e volgare poetici componimenti. Lo attendeano quindi i Corsi superiori3 della Università, ai quali egli fece passaggio pochi anni pri-ma della restaurazione di lei, regnando Francesco III. Il Parenti attinse dai fonti delle filosofiche di-scipline i principj immutabili del Naturale Diritto; e datosi perciò allo studio delle leggi percorse con quell’apparecchio d’ingegno e di alacrità che lo sceverava dai mediocri, le scuole del Diritto romano ed estense, la Scienza dei Canoni e la Criminale Giurisprudenza sotto l’insegnamento di chiarissimi Professori, quali furono tra gli altri il Conte Bartolomeo Valdrighi sin dal 1766, e dall’anno seguente il rammentato Paolo Cassiani. Avendo conseguito nel giorno 11 di giugno dell’anno 1771 le insegne dottorali, e nel giorno 26 dello stesso mese il grado di Notaro, egli co-minciò a far palesi gli effetti non meno dell’appresa dottrina, che della sua integrità col praticare l’ufficio notarile con tale e tanto contento del pubblico e de’ privati che i Signori da Montecuccolo lo reputarono degno, benché fosse nel vigesimoquinto anno di età, di amministrare i loro Feudi nel Frignano. Scorso appena un lustro dalla laurea, fu creato Governatore di Montecuccolo, e dei molti 3 Debbo alla gentilezza del N. U. Conte Mario Valdrighi Vicebibliotecario della Estense, intelligente raccoglitore delle cose patrie, la notizia de’ Professori che insegnavano l’uno e l’atro Diritto negli ultimi anni della vecchia Università.

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    Comuni ancora, che dipendeano da quel rinomato Castello. Si noti a sua lode che la elezione venne accompagnata dal generale suffragio delle genti sottoposte a quella estesa giurisdizione. Siccome la patria teneva dopo Dio il primo seggio nell’animo di lui pel desiderio che aveva di gio-vare al luogo natio o di consiglio, o di lumi, o di opere, così rivolse da prima tutta l’attenzione a consultare la storia del proprio paese: nel quale studio congiunto alla osservazione tanto progredì che non è esagerato l’asserire, che della provincia frignanese egli era giunto a conoscere ogni cima e declivio, ogni angolo e svolta, ogni seno e vallata. Divenuto coll’assidua lettura famigliare con quanti trattarono dell’antichità del medio evo, egli venerava i grandiosi lavori intorno alle cose itali-che del Sigonio e del Muratori, e con critico acume cercava di applicarne l’immensa erudizione a ciò che richiedeva la storia particolare del Frignano. E quindi ne’ privati suoi studj, più che alle fa-cili tradizioni non sempre veraci, quando cioè non le vedeva sorrette da positivi argomenti, egli si atteneva, sull’esempio di que’ due sommi, alla faticosa disamina dei documenti sinceri, che giacea-no qua e là sepolti negli Archivj comunali. Calcando la via, che in parte rinvenne aperta dall’ottimo genitore, tentò ogni mezzo di farsi padrone delle notizie, che aver si poteano di una Provincia, la quale sapeasi essere andata soggetta a straordinarie vicende, e prima e dopo che si rendette indipen-dente dalla Repubblica modenese, e quando obbediente si sottomise allo scettro pacifico degli E-stensi. Questa montuosa Provincia, ragguardevol porzione dell’Appennino, è veramente mirabile per bel-lezza. Solcata e corsa, per quanto si stende, dal fiume Scoltenna o Panaro, che da freddissimi laghi ha quivi rimota sorgente, e bagnata da una parte e dall’altra da torrenti che in più rami tortuosi pre-cipitano giù da balze e pendici, irrigando e valli e ripiani; questa Provincia, dico, è tutta pel lungo attraversata da una strada, che ordinata dal Comune di Modena sin dal secolo duodecimo, compiuta nel decimoterzo, e guasta in appresso dalle guerre, e dagl’infortunj del cielo, venne dal Duca Fran-cesco III nel decimottavo con romano ardimento dischiusa e munita. Il Parenti testimonio oculare della moltitudine delle braccia, dell’enorme dispendio, e degl’ingenti sforzi per superare le difficol-tà che di passo in passo opponeano al lavoro spaventose roccie, e profondi burroni, fino a dover gl’ingegneri, e i primi operaj reggersi sospesi con funi raccomandate ai tronchi delle piante, calco-lava più che altri il vantaggio, che stava per ridondarne al Paese; sempreché l’interesse commerciale non avesse poi col tempo ad abusar d’una via, la quale di tanto agevolava il trasporto delle derrate provinciali. Infatti la nuova strada, chiamata Giardini dal nome dell’Architetto che la delineò, co-munica dal lato di borea colle pianure lombarde, e da quello dell’austro colle regioni etrusche. Dalle colline a mano a mano alzandosi, e serpendo agile e sciolta sopra il dorso delle serre, il crine del colle, ed il vertice dell’alpe, rallegra ed incanta ad ogni tratto coll’aspetto di un magnifico e pompo-so teatro della più scelta e variata vegetazione. Dominata quinci e quindi da erte cime coronate da boschi annosi e da scure selve, ne guida poscia a vedere depresse le sommità di quelle montagne dalle sovrastanti Alpi di S. Pellegrino, come pure a veder queste ultime fieramente abbassate dal monte Orientale, che tutte quante maestoso le signoreggia. Ognuno sa che il Tragico d’Asti, il quale tanta parte di Europa aveva ne’ suoi viaggi percorsa, solea chiamare pittorica la strada del Frignano pel magico effetto delle sue scene. L’antichità dell’origine, i politici avvicendamenti, e la fama letteraria del Frignano rendeano caro a Luigi Serafino lo studio della sua Provincia. Compiaceasi di sostenere, né senza prove, come ve-dremo più innanzi, la tradizione che nel cuore della Provincia medesima, là dove in secoli da noi meno discosti venne fondato Paullo, sorgesse ne’ prischi tempi la città di Frinia4 di ligure deriva-zione; onde ne scese per avventura il nome di Friniano alla Provincia, e di Friniati agli abitatori. Quando non vogliasi dire che l’indicata città fosse stata fabbricata da’ Friniati Liguri; i quali dalla propria sede che aveano nel fianco australe dell’Appennino alle sorgenti della Magra, inseguiti, co-me narra Tito Livio, dal ferro romano sotto il Console Cajo Flaminio, si ripararono in pochi avanzi

    4 Annotazione del Parenti segnata colla lettera (t) all’Articolo Feronianum Tom. I del Dizionario Topografico-Storico degli Stati Estensi; opera postuma del Tiraboschi.

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    di lor nazione alla destra della Scultenna, dove sempre, afferma il P. Stanislao Bardetti5, cheti vi-vendo e a’ Romani sempre fedeli, resero eterno il loro nome, che equivale a montani, essendo mani-festamente da frin, che in antico Gallico monte e colle significava. Serbava il Parenti6, e serba tutto-ra la sua famiglia una preziosa collezione da esso lui radunata di medaglie consolari e imperatorie fino ad Onorio in bronzo, in argento e in oro, che si vanno scoprendo nel territorio di Brandola pres-so i confini di Montecenere e di Monzone in un luogo detto Pontercole, del quale sarà discorso in appresso. Il Professore e Bibliotecario Don Celestino Cavedoni, vivente decoro dell’Archeologia, esaminando quelle medaglie, ne riconobbe due greche autonome, l’una di terza rarità, e l’altra di pregio quasi uguale; e giudicò anch’esso col Parenti essere stato Pontercole un cimiterio de’ Roma-ni, e un monumento perciò che attesta il passaggio, e lo stabil soggiorno di coloni romani nella Pro-vincia. Dopo l’invasione de’ popoli settentrionali, per lo cui impeto si giacque atterrato il colosso della ro-mana potenza, la città di Frinia rammentata ne’ documenti dell’ottavo e del nono secolo col nome di Pago, o castello Feroniano, restò, giusta la tradizione avvalorata da valenti Cronisti7, subissata nel secolo decimo da orribile tremuoto; ma continuossi a chiamare Feroniano, alterazione di Friniano, il circostante territorio, e poscia Frignano l’intiera Provincia. Non men che l’origine, fermarono l’attenzione di Luigi Serafino le vicende del Frignano8. Egli è certo che questa Provincia fece parte del dominio in Italia dell’Erulo, del Goto, e del Longobardo, e in appresso del reame di Carlo Magno, e da ultimo dell’Impero Germanico. In allora fu governata dai Vicarj imperiali, i quali tennero l’ordinaria lor residenza in Modena, e talvolta nell’antichissima villa di Renno alzarono tribunale. Intanto erano sorte, quasi a far corona al Pago Feroniano, le terre di Fanano, di Sestola, di Fiumalbo, di Pievepelago e di Frassinoro; le quali Terre divennero insigni per venerande Abbazie, onde le arricchì la pietà delle Contesse Beatrice e Matilde, alle quali due eroine gli antenati loro aveano tramandato in un coi Feudi, e col larghissimo patrimonio il titolo di Vicarie dell’Impero; oltre i tanti Luoghi pii, gli Spedali e Monasteri che la religione e l’umanità de-gli abitanti successivamente vi fondarono. Il Frignano riconobbe sempre l’alto dominio dell’Impero: ma nel tempo stesso fruiva della propria libertà, della quale erano rappresentanti, quali Tribuni del popolo, i suoi Capitani. Se non che dalla gara e dall’ambizione di questi non tardò a scaturirne le fazioni tra le Famiglie potenti. Fieri i Capi-tani della influenza che ne’ varj Comuni esercitavano, suscitarono terribili partiti nelle Case dei Corvoli e dei Guallandelli9, poscia in quelle dei Signori di Gomola, di Campiglio, e de’ Valvassori di Balugola; e da ultimo coi nomi funesti degli Aigoni e dei Grasolfi portati nella Provincia dalla Repubblica modenese si rinnovarono persino i furori de’ Guelfi e de’ Ghibellini. In mezzo peraltro al tempestuoso tumultuar delle parti, e alla rabbia di conflitti intestini si videro brillare esempi di

    5 Della lingua de’ primi abitatori dell’Italia: opera postuma del P. Stanislao Bardetti della Comp. di Gesù. Art. VIII pag. 144, Modena 1772, presso la Società Tipografica. 6 Annotazione del Parenti segnata colla lettera (f) all’Articolo Brandula T. I Diz. Topogr. Stor. degli St. Est. del Tirabo-schi. 7 Francesco Forciroli nel Libro MS. di antiche medaglie già posseduto dal Dott. Giuseppe Bignardi della Mirandola, e Francesco Panini, Cronaca di Modena, fol. 31. Veggasi ancora la citata annot. (t) del Parenti. 8 Tutto quello, che intorno alle vicende del Frignano vien qui toccato in generale per lo studio che sopra vi fece il Paren-ti co’ mezzi limitati, i quali poté possedere, si trovò poscia narrato dal Tiraboschi nelle Memorie Storiche Modenesi, Tom. III Capo VIII delle Rivoluzioni del Frignano con ordine, ampiezza e precisione maggiore che fatto non avessero i passati scrittori. 9 Relativamente a questi Capi di fazione il Parenti ripubblicò un bellissimo Documento tratto dall’Archivio Capitolare, dove si legge che nell’anno 1157 Arrigo Vescovo di Modena, informato dello stato desolante del Frignano a cagione del furioso parteggiare dei Corvoli e de’ Guallandelli, si portò alla Pieve di Renno all’oggetto di ridurre a pace ed a concor-dia queste potenti famiglie: Ego Henricus divina dispositione Mutinensis Ecclesiae humilis Episcopus veniens ad Plebem Sancti Johannis de Renno pro pace et concordia facienda inter Corvulos et Gualandellos etc. Documento il quale fa vedere che la Chiesa ha sempre cercato di togliere o di sopire le dissensioni e le liti perturbatrici della tranquil-lità del gregge cattolico (nota del Parenti all’art. Rennum). Il Tiraboschi lo stampò nel Codice Diplomatico annesso al Tom. III cap. 8 delle Memorie; ma egli crede che questo Decreto del Vescovo Arrigo per la Pieve di Renno sia una co-pia antica.

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    coraggio e di prodezza degni assai di causa migliore; e nei Trattati di alleanza con esteri Comuni, e dopo le paci conchiuse avvi il campo di ammirare un avvedimento politico, e una perizia del pub-blico regime superiori di molto ai tempi. Può pertanto il Frignano nella sua storia citare de’ Laudi solenni pronunziati a sua inchiesta da rispettabili Comunità, e da Sommi Pontefici, e Atti di bella riconciliazione colla Repubblica modenese, e il lustro e la rinomanza di nobilissime Famiglie; e fi-nalmente può allegrarsi della ricuperata tranquillità coll’avere invocato l’auspicio della Estense Pro-sapia. Né solo i frutti di un vivere riposato e contento godette il Frignano sotto il giusto e religioso gover-no dei nuovi Sovrani, ma i frutti ancora10 di quella cura e di quello zelo, onde promossero e protes-sero sempre in tutte le parti de’ loro Stati ogni genere di gravi e di ameni studj. Laonde a Luigi Se-rafino passato a considerare la fama letteraria della diletta sua Provincia sembrar dovea ch’ella fosse per questo riguardo una terra dal cielo privilegiata. E di vero partendo collo sguardo dal centro del Frignano, che è a dire da Paullo il quale si elevò più secoli dopo sopra le ruine dell’antica Frinia, e stendendo il raggio dall’Alpe sin verso il piano, e via via scorrendo le Terre, le Rocche, e i Castelli, che a destra e a sinistra della Scultenna fanno di sé nobile e leggiadra mostra, non troviam luogo11 che patria non sia di qualche peregrino ingegno. Dalla Provincia stessa trasse il proprio nome nel secolo XIV Fra Tommaso da Frignano12 dell’Or-dine de’ Minori, coevo di Francesco Petrarca, che lo disse illustre per lettere, più illustre per virtù e per lo zelo della Fede cattolica. Fu eletto uno de’ primi a formare il Collegio Teologico nella Bolo-gnese università; creato Generale dell’Ordine; da Gregorio XI Patriarca di Grado, e da Urbano VI sollevato alla sacra porpora. Quindi Fanano ci addita un Giambattista Pigna, se non nativo, oriondo al certo di quella Terra, Storico de’ Principi d’Este; due Ottonelli, Giulio espertissimo nella purezza dell’italico idioma, coraggioso difensore del Poema di Torquato Tasso contro il Cavalier Leonardo Salviati; e Gian Domenico della Compagnia di Gesù, oppugnatore delle teatrali licenze, e degli abu-si che deturpano le arti belle; un Cecilio Follio protomedico, e fondatore in Vinegia del Teatro ana-tomico; un Cameroni Francesco allievo ed apologista del Follio medesimo; un Corsini Odoardo Scolopio, portento di erudizione, e illustratore de’ Fasti Attici; un Giuliano Sabbatini Scolopio anch’esso, e onore, come si accennò, del modenese Episcopato; e un Pellegrino Pellegrini imitator felice di Guido Reni suo maestro. Indi ne viene Roncoscaglia, che vantasi dei due Rondelli, Anto-nio, dell’Ordine del Gusmano, e Astronomo del secolo XVII, e Geminiano, discepolo di Domenico Guglielmini, Filosofo, Idraulico e Matematico nell’Archiginnasio di Bologna, e il primo Biblioteca-rio nominato dall’Istituto. Sestola, oltre ad un Bonaventura Boselli Minor Conventuale, Maestro in Divinità, e narratore de’ Sacri Concilj, e ad un Domenico Ricci, che scrisse de’ Fasti militari e poli-tici, si plaude del Cappuccino Giovanni, appartenente al secolo alla Casa Albinelli, a cui si debbe la celebre vocazione al chiostro del Duca Alfonso III d’Este, e la vita edificante di quell’eroico segua-ce delle Stimmate del Serafico. Montalbano poi diede i natati a Mauro Antonio Tesi dipintore in Bologna di ornati e di architettonici edifizj, stimato e protetto dal Conte Francesco Algarotti; e Gui-glia a Simone Galassi, Grammatico del secolo XVII.

    10 Egli è a vedersi in questo proposito il giudizioso Ragionamento del ch. Prof. Cav. Avv. Marcantonio Parenti, figlio di Luigi Serafino, intitolato: Condizione del Frignano sotto la Signoria di Francesco IV nella prima parte del Tributo dell’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena alla memoria dell’estinto Sovrano, pag. 226. Modena per gli Ere-di Soliani Tipografi Reali, 1846. 11 Lorenzo Gigli Raccolta inedita, divisa in due libri, degli uomini insigni del Frignano; e il Tiraboschi Biblioteca mo-denese, Modena, 1781, presso la Società Tipografica. 12 Il Tiraboschi nella Bibl. modenese, Tom. II pag. 366, dando le notizie di Fra Tommaso da Frignano, dopo aver detto che antichi e certissimi monumenti ci pruovano esistente in Modena questa famiglia, che tuttora sussiste, soggiunge: se pur Tommaso non ebbe questo cognome per esser nato nel Frignano, Provincia di questo Ducato. Il citato Gigli, oltre alle tante ragioni che adduce a provare Fra Tommaso nativo del Frignano, riporta l’autorità del Sil-lingardi nel Catalogo dei Vescovi di Modena, il quale parlando di Guido de’ Guisi, eletto Vescovo di Modena nell’anno 1319, dice espressamente: “Sub hoc Episcopo factum fuit Dormitorium Monasterii Fratrum Minorum S. Francisci de Mutina per Fratrem Thomam Frinianensem, ejusdem Ordinis Generalem, qui postea fuit creatus Patriarca Gradensis, et demum S. R. E. Cardinalis”.

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    Che se volgiamo l’occhio a sinistra della Scultenna, Fiumalbo ci rappresenta due Bonacchi, Anniba-le, il quale distese alcuni Opuscoli ascetici, e Francesco, che sul primo lustro del seicento dettò le norme della latina eleganza. Olina, Bartolomeo Badiali cultore delle Muse nel secolo scorso; Gaia-to, due Grandi, Giambattista Medico di Francesco I e Protomedico di Francesco II Duchi di Mode-na, e Jacopo, quel vivo lume dell’Arte salutare, e dell’Anatome. Ed ecco Montecuccolo. Per tacere che questo castello fu patria dell’avo e del genitore di Guido Mazzoni13, il primo fra gl’italiani a dar figura e vita alla creta; del Cappuccino Giannatonio Cavazza, Missionario nel secolo XVII al Con-go, e descrittore non ignoto al Clero della bassa Etiopia occidentale, e di Michele Buonvicini, il quale professò in quel secolo la classica letteratura nel bolognese Ateneo, ben è sufficiente che ven-gano rammemorati i due sommi Capitani Ernesto e Galeotto Montecuccoli zio e padre del gran Raimondo14 perché si reputi eterno questo luogo del lor nascimento. Che più? Montorso non ebbe sin dal secolo XIV un Guglielmo, dal cui labbro Padova ascoltò la regola degli astri; Frassinoro un Francesco, che lesse nelle scuole di Reggio Filosofia e Medicina; Sassoguidano nel secolo seguente un Grammatico amatore delle Muse latine, e Monfestino un Pierantonio Montagnana altro Gram-matico nel secolo XVI? Monzone, Farneta, e Castellino di Brocco non contano nel secolo XVIII un Gian Carlo Bossi dell’Ordine del Calasanzio, cattedratico di umane e divine scienze in Cortona e in Firenze, e autore di teologiche istituzioni; un Carlo Antonio Giannini, uomo di Stato, Ambasciatore alle prime Corti d’Europa, e creato dal Duca Rinaldo I Marchese delle Carpinete; e un Lorenzo Gi-gli raccoglitore benemerito delle patrie memorie colle Notizie degli uomini insigni del Frignano, e col Vocabolario etimologico, topografico e storico del Frignano medesimo; manuscritti consultati dal Tiraboschi? Agli enunciati pregi si aggiunge possedere la Provincia oggetti di naturale istoria: copia di ligniti nei suoi monti, vene di marmo in Sassorosso: cave di macigno al di sopra di Paullo: acque termali, e fonti di olio di sasso in Brandola e ne’ dintorni di Montebonello; miniere metallifere in Boccasuolo e in Medolla; le note fiamme di Barigazzo: i vampi intermittenti nel distretto di Sassostorno, e le de-tonazioni di due sorgive di acqua salsa con bolle gazose d’idrogene solforato e di fanghiglia nel Rio delle Garamole non lungi dall’Ospitaletto. Luigi Serafino, comeché andasse fornito di cognizioni atte senza dubbio a tessere una storia delle Provincie di esattezza maggiore che non fossero stati per avventura altri lavori fino allora esistenti, nulla ostante per le continue incombenze del proprio officio mancandogli il tempo a tanto uopo ne-cessario, e soprattutto quell’ubertosa suppellettile, che solo possono somministrare le Biblioteche, egli dovette alla impotenza de’ mezzi sacrificare il desiderio virtuoso di giovare anche in ciò la sua patria. Ma sì bel desiderio e di lui e di altri letterati era venuto in buon punto a soddisfare uno spiri-to bennato, e altamente critico, l’immortale Girolamo Tiraboschi. Questi dopo le sue Opere maggio-ri concepì il pensiero di scrivere la storia particolare del Ducato Atestino. Sotto il titolo di Memorie avvisò di toccare quanto di più interessante offrir potessero le generali notizie che si hanno di Mo-dena e di Reggio, non meno che le parziali di ciascuna Provincia. E siccome tra le Provincie il Fri-gnano presentava un aspetto svariatissimo di cose in grazia del contrasto, che da più secoli vi durò di tumultuose passioni; così gli piacque intitolarne il racconto: Rivoluzioni del Frignano. Il Tiraboschi attinse a tutti i fonti ch’egli stimò dover essere i più certi e veridici per la Storia del Ducato. L’Archivio Nonantolano, dovizioso più d’ogni altro di carte antiche15; gli Archivj Capitola-re e Vescovile di nostra città, i due, privato e pubblico del Comune, l’Archivio Segreto di Corte; quelli de’ principali Monasteri, così delle Sacre Vergini, come degli Ordini religiosi, e gli altri dell’Opera Pia, e delle Case cospicue di Modena, erano stati visitati e spogliati dalla penna infatica-bile di quell’esimio investigatore. Ma pel Frignano, le cui vicissitudini furono esclusivamente pro-prie della Provincia, richiedeasi di ben condurne le fila, a distinguerle, a sentenziarne, oltre alle in-

    13 Vita ed opere di Guido Mazzoni Paganino pagg. V, VI, Modena per Gem. Vincenzi e Comp. 1823. 14 Il Generale Cav. Leonardo Salimbeni profondo scienziato ed erudito soleva dire che nella Storia militare da Giulio Cesare si viene a Raimondo Montecuccoli. Notissimo è poi l’Elogio che ne pubblicò Agostino Paradisi scritto col senno politico di Tacito, e col nitore elegante di Cornelio Nepote. 15 Il Tiraboschi nella Prefazione al Tomo I delle Mem. Stor. Moden.

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    dicate sorgenti delle vecchie scritture, un altro sussidio, il quale non si potea conseguire se non da chi avesse il pratico ed oculare conoscimento del paese, ed alla mano, come suol dirsi, le minute particolarità de’ luoghi, delle Castella, delle Chiese, delle Famiglie e dei Feudi. Il Tiraboschi di-mandava perciò un Collaboratore non meno che un giudice del suo lavoro. Lo trovò nel nostro Eru-dito. La fama del merito e della integrità di Luigi Serafino avea precorso l’inchiesta dell’Estense Bibliotecario; e non è dato l’esprimere il contento che questi provò, quando lo zio materno del Pa-renti, Don Giambattista Amorotti, Segretario in allora del Vescovo Tiburzio Cortese, unitamente al Canonico della Cattedrale Bartolomeo Ricci, fratello dell’economista Lodovico, gli profersero l’o-pera di lui, e il fargli parte di quanto raccolto aveva intorno al Frignano. Da quel momento cominciò fra il Tiraboschi ed il nostro Luigi Serafino un epistolare commercio che onora ambidue per la gentilezza reciproca, e istruisce ad un tempo coi lumi della sana critica, che sparsi vi stanno. Tredici si noverano le Lettere autografe del Tiraboschi dall’anno 1790 sino al 1794. Apparisce da quelle, e dalle risposte del Parenti, che da Marc’Antonio padre di questo era sta-ta trasmessa al Sacerdote Lorenzo Gigli, congiunto ed amico di sua casa, la maggior parte de’ reca-piti, e de’ materiali, di cui furono inseriti i più importanti nel suo Dizionario del Frignano in addie-tro citato. Si dà cura di procacciargli documenti opportuni posseduti dal Dottore Alfonso Ferrari, e-reditati dalla famiglia del Magnani continuatore della Cronaca dell’Albinelli da Sestola scritta nel secolo XIV; la qual famiglia serbavali in Montorso. Gli spedisce due strumenti di fedeltà e di obbe-dienza dei Comuni di Renno, e di Ranocchio ai signori di Montecuccolo; le epoche in cui si eresse in Monzone l’Oratorio di Santa Maria Longana, e in Montecuccolo la Chiesa parrocchiale di San Lorenzo martire; ed una memoria intorno al ponte di Olina di un arco solo sopra la Scoltenna. Lo informa del quando si fondarono le Rocche di Gajato e di Montecuccolo, e gli manda l’albero gene-alogico della Casa Montecuccoli insiem con la nota de’ Ritratti di que’ Feudatarj che si conservava-no nella Rocca. Gli dà notizia sicura del Castello di Neviano; si adopera a tutto potere, benché in-darno di avere la bramata intiera Cronaca dell’Albinelli. Lo accerta del Fortilizio di Montegarullo, la cui fabbrica viene attestata da’ vestigi di sue ruine, e lo compiace in fine della descrizione di Pon-tercole, del quale più sopra si favellò, coll’unirvi l’elenco delle medaglie colà ritrovate, e fra quelle una rarissima di bronzo di Ottone Imperatore romano. Gli dice pertanto che Pontercole venne forse così chiamato dal sorgervi presso un tempietto dedica-to ad Ercole. Si appresenta siccome un ponte formato dalla natura tutto di vivo sasso, ed ha braccia otto di raggio, quarantadue di corda, e cinque di larghezza. Aggiunge che a poca distanza elevasi dalla parte settentrionale un Monte il quale serba tuttora l’appellazione di Monte Apollo: che all’in-terno del ponte giacciono sparsi ruderi e cementi di terra cotta, indizj di fabbriche colà costrutte: che del continuo vi si scuoprono antiche medaglie romane, le quali in grazia di ripetute pioggie essen-dosi smosse di sotterra, e venute alla vista, accennano ad evidenza che fossero state sepolte in un coi cadaveri, di cui si rinvengono alcune ossa. Conchiude che di quelle monete possedeva una rac-colta anche Antonio Bosi modenese, padrone in allora del sito, e un’altra Monsignor Giuseppe Ma-ria Fogliani, Vescovo di Modena: e che il ponte è ripieno d’iscrizioni lasciatevi dai personaggi, che lo visitarono, fra’ quali i Duchi di Mantova e di Guastalla16. Né tutto questo bastò. Il Parenti portasi da Montecuccolo a Modena, e visita l’Estense Bibliotecario. Il grand’uomo gli manifesta la più viva gratitudine, e il piacere di vederne e conversarne la persona, ammirano ne’ suoi ragionamenti il posato criterio, e la rara modestia, ond’erano accompagnati. Non sì tosto Luigi Serafino è tornato in patria, che il Tiraboschi gl’invia manoscritto il primo Tomo delle Memorie modenesi, perché innanzi di licenziarlo alle stampe, è suo volere che l’occhio erudito del Parenti lo esamini in ogni cosa che si riferisca alla Provincia Frignanese. E il Parenti con tutto l’a-more e la diligenza accintosi alla revisione, gli rimandò il Manoscritto, nel quale non avendo per un riverente rispetto messa la mano nel testo, segnò in separati quaderni da cinquantasette luoghi da es-solui osservati e corretti, compresevi le note alla Genealogia de’ Montecuccoli, e alla Parrocchia del Castello. Lo ragguaglia in fine de’ pregi riscontrati nelle Rivoluzioni del Frignano. Gli dichiara di 16 Questa Descrizione desiderata e lodata dal Tiraboschi venne da lui inscritta nell’Articolo Brandula T. I pag. 66 del Dizionario con una nuova onorifica menzione del Parenti.

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    essere stato giustamente compreso dalla nitidezza dello stile, e dalla novità de’ fatti scoperti e ri-schiarati dalla sua esimia erudizione ad onore della Provincia. E ciò che più gli accresce la meravi-glia, si è che un uomo, il quale non pose mai il piede nel Frignano, abbia saputo ragionare con tanta precisione e verità, che meglio non avrebbe fatto chi già fosse nativo della Provincia. Solamente si duole di non aver termini bastevoli ad esprimergli, a nome ancora di tutti i Provinciali, una indelebi-le riconoscenza. Vero è per altro che il Parenti avrebbe desiderato che il Tiraboschi piuttosto che porre il Pago Fero-niano nei contorni di Marano e di Riotorto alla sinistra del Panaro, posto lo avesse dove ora è Paul-lo, anzi dove prima di Paullo, stendeasi la valle ed il lago di Palude, nel qual luogo subissò come fu detto, la Città di Frinia. A lui non pare che dalla posizione del Pago Feroniano presunta dal Tirabo-schi sia tolta abbastanza la vetusta e costante tradizione de’ Frignanesi, la qual vuole che il Pago si alzasse nel sito preciso di Paullo, e del suo territorio. Oltre di che il passo della Storia di Paolo Dia-cono citato dal Tiraboschi; passo in cui descrivendosi i nostri Appennini si leggono le parole: in qua sunt civitates Feronianum et Montepellium (Montebellium), è un passo, nel quale il nome della Cit-tà Feronianum conviene più a Paullo collocato nel mezzo de’ nostri Appennini, che a Marano, dove questi hanno termine. Soggiunge che il Documento CXXXII del Codice Diplomatico, anno di Cri-sto 996 sotto l’impero di Ottone III, gli sembra favorire l’esposta tradizione; poiché i luoghi che Giovanni Vescovo di Modena dà in enfiteusi a Dagiberto, son nominati Camarzanella e Chiagnano con una porzione di quella Rocca. Or questi luoghi tu li vedi alla destra di Riotorto, distanti due mi-glia appena da Paullo, ma ben dieci da Marano. La presunzione adunque ne fa credere che i contra-enti abbiano presi in enfiteusi beni più presto comodi per prossimità che disagiati per lontananza; come viene espressamente indicato dal vedersi tutore di alcuni de’ contraenti un certo Liuzo da Po-linago; luogo non molto discosto da Paullo, e dal lato contrario a Marano. Ciò non impedirebbe, prosegue il Parenti, che la Città, o Castello Feroniano non potesse trovarsi in qualche vicinanza di Riotorto per la ragione che quel torrente si parte in due rami, de’ quali il più meridionale passa contiguo a Chiagnano, e nasce dal Casale che tuttavia conserva nel nostro verna-colo il nome di Chiozza (Chioggia). Di questo Casale che ne’ bassi tempi diceasi Cluza parla ap-punto il Documento I del Codice Diplomatico, anno di Cristo 767, regnando Desiderio, e Adalgiso di lui figlio. Ed eccone le parole: et de alio latere Rio qui currit Cluza uno capo tenente in ipsa Clu-za: e Clusa o Chioggia è poco più di due miglia al settentrione di Paullo. Non reputa inoltre verisi-mile che un Castello tanto prossimo a Marano avesse dato la denominazione a tratto così largo di paese al mezzogiorno e al ponente, senza averla dilatata quasi per nulla dalle altre parti. Le Peschie-re poi, Piscarias, di cui parla la Carta dell’anno 767 pubblicata dal Muratori nelle Antichità Italiane (benché il Tiraboschi affermi, che la voce Piscarias egli non l’abbia potuta rilevare per essere sva-nita dalla pergamena), il Parenti stima che siano le lagune, il canale e le fosse presso a Paullo, ab-bondanti un tempo di pescagione; laddove il torrente Riotorto è asciutto interamente la maggior par-te dell’anno: dal che si può arguire, che il paese denominato Riotorto si allargasse ne’ secoli bassi qualche spazio di più che non faccia al presente. Il Tiraboschi nell’atto di significare al Parenti la propria compiacenza ch’egli abbia gradita la Me-moria sopra le Rivoluzioni del Frignano; e di protestarsegli assai tenuto delle belle annotazioni, e de’ rischiarimenti apposti al Manoscritto: si fa sollecito a rispondere alla opinione del Parenti mede-simo, che cioè la Città, o il Pago, o Castello che dir si voglia Feroniano fosse in origine presso Paullo. Non nega che alcuna delle ragioni riferite da lui aver non potessero qualche forza; ma esso non desiste dal sostenere il contrario, essendosi fondato sopra due Documenti delle Carte Nonanto-lane, l’uno dell’anno 826, e l’altro dell’anno 888, ne’ quali la Basilica di S. Maria in Tortigliano, che certamente è presso Vignola, si dice in fine Castro Feronianensi, e Marano si dice finibus Ca-stro Feroniano. Laonde se il Castello Feroniano fosse stato, ove è Paullo, potrebbesi dire bensì fini-bus Comitatus Feronianensis, ma non mai finibus Castro Feroniano. Lo fa avvertito ch’esso visitò per intero l’Archivio di Nonantola, e che nulla vi rinvenne che potesse appoggiare l’opinione di lui; come pure che nulla in proposito ha veduto de’ Documenti del Monastero, il quale esisteva non lungi da Paullo, e dipendeva dai Monaci di S. Pietro di Modena. La vicinanza poi a Marano di Mon-

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    teveglio, nominato da Paolo Diacono con Feroniano, secondo le parole in addietro riportate; in qua sunt Civitates Feronianum et Montepellium, e la distanza perciò di Paullo, somministrano ad esso un’altra congettura in favore della sua sentenza, dalla quale non sembra ad esso di doversi ancora scostare. Modesto il Parenti, per tutta replica, rispose da Montecuccolo che riguardo alla situazione del Ca-stello Feroniano egli non avea che da rispettare il sentimento di esso Tiraboschi troppo consumato così in questa, come in ogn’altra Provincia letteraria. Nulla di meno chiedea che gli fosse permesso di notare che le parole in fine Castro Feronianensi in un secolo, il qual poco sapea della proprietà dell’idioma latino, potrebbero estendersi a più ampio significato; e che quando il Castello avesse sussistito presso Riotorto, sarebbe convenuto allontanarlo da Vignola verso Paullo, perché il fiumi-cello Riotorto perdesi nel Panaro sei miglia al di sopra di Vignola. Quanto è notevole l’umile e docile assentire del Parenti all’autorità dell’Estense Bibliotecario, al-trettanto ne pare attendibile la considerazione di lui, che la suddetta frase in fine di tanto uso ne’ tempi di mezzo non deggia ristringersi a semplice assoluto confine; essendo cosa provata da più do-cumenti che dalle espressioni in fine, in finibus, infra finibus era indicato nello stile di que’ giorni, non già confine, ma territorio. Oltre di ciò non avendo potuto lo stesso Tiraboschi definire con rigo-rosa esattezza la posizione del Castello Feroniano, stanteché suppone dapprima che fosse ne’ con-torni di Vignola e di Tortigliano, e poi crede che si trovasse più verso il mezzodì alla sinistra del Panaro tra Marano e Riotorto, il Parenti gli fece poc’anzi osservare molto a proposito, che ove si collocasse il Castello presso Riotorto, saria mestieri scostarlo da Vignola, e approssimarlo a Paullo. E poiché trattavasi nella esposta quistione un punto di grave momento pel lustro maggiore dell’a-mata sua Provincia, il Parenti, a rincalzo ed a conferma della sua, sebben combattuta opinione, cor-redò poscia di un’erudita Annotazione segnata colla lettera (t) l’articolo Feronianum nel Tomo pri-mo del Dizionario Topografico-Storico degli Stati Estensi steso dal Tiraboschi medesimo. Questi avea già ideato che il detto Dizionario esser dovesse un Commento a quanti luoghi son no-minati nel Codice Diplomatico annesso per sua cura ad ogni Volume delle Memorie modenesi. Vi si doveano leggere in ordine alfabetico sotto a ciascuno articolo le notizie dei luoghi, i sofferti avvi-cendamenti colle rispettive loro antichità, ed i Signori da cui vennero dominati, quali furono, relati-vamente al Frignano, i Nobili da Montecuccolo, da Montegarullo, ed i Conti di Gomola, che diven-tarono in varj tempi gli arbitri della Provincia. Appena ebbe compilato con erculea fatica un lavoro così utile alla Chiesa modenese, ed alla patria storia, che amò di avere a revisore anche di questo il suo Luigi Serafino negli articoli del Frignano. E reiterò l’invito che si recasse a Modena, e aggiunse che non breve ne fosse il soggiorno, perché gli Articoli, gli scriveva, sono molti, e molti di essi son lunghi, e avremo da sciogliere molti dubbj e molti intralci. Il Parenti che già gli avea manifestata l’ambizione, anzi la smania di obbedirlo, non frappose indugio a compiacerlo; e non sì tosto da Mo-dena, a cui si era portato, si ricevette di nuovo a Montecuccolo, che il Tiraboschi gli mandò trascritti parecchi di quegli Articoli, e in seguito la copia di altri quaderni, i quali tutti, ei diceva, implorava-no la sua assistenza e la sua correzione. Come soddisfacesse al novello incarico, toccherò soltanto il fatto, che meglio delle parole persuade. A novantadue ascendono le note che il Parenti pose ai primi Articoli a lui spediti del Dizionario Topografico, recandosi a pregio di subito inviarle al Tira-boschi, il quale rinnovò le proteste dell’obbligo suo alle giuste e sensate di lui riflessioni. Non di-mentico il Parenti de’ successivi quaderni ricevuti, avea fatto pervenire al Tiraboschi altri otto Ri-lievi che sopra quelli avea distesi colla risposta a diversi dubbj circa la distinzione tra le due Chiese di Palagano e di Palagana, e l’autore del disegno del Ponte di Strettara, che fu il Commissario Gian-nini: ed il titolo di Principe di cui venne decorato Raimondo Montecuccoli con Leopoldo suo figlio. In questo mentre la Circolare del 7 giugno dell’anno 1794 sottosegnata in qualità di Fedecommes-sarj da Antonio Lombardi e Giovanni Cattani annunziava al Parenti la morte del Tiraboschi accadu-ta il giorno 3 del mese stesso. Luigi Serafino, che dalla pubblica voce aveva udito l’acerbo caso, al leggere la Circolare sentì rinnovarsi nell’animo più profondo il rammarico. I rilievi e le osservazioni del Parenti furono dal Sotto-Bibliotecario Lombardi consegnate al ch. Professore Giambattista Ven-turi, che assunto avea l’officio di compiere l’Opera delle Memorie modenesi, e il Dizionario Topo-

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    grafico dell’illustre defunto. Il perché il Venturi pregò il Parenti per mezzo del Lombardi di prose-guire con esso lui, come fatto avea col Tiraboschi, a somministrare i lumi necessarj pel buon esito del Dizionario, affinché riescisse degno dell’Autore che avealo intrapreso. Nell’anno medesimo 1794 si vide impresso coi tipi della Società Tipografica di Modena il Tomo IV delle Memorie per cura del Venturi, che vi premise una succosa ed animata Prefazione, come pure il Tomo V ed ulti-mo. Eguale zelo il Venturi dichiarava di nutrire pel Dizionario Topografico il quale, a suo giudizio, aveva ancora d’uopo di molto lavoro e di molta lima17. Ma essendo sopravvenute le fortunose vi-cende dell’anno 1796, poco o nulla poté il Venturi occuparsene, finché poi nell’anno seguente, in cui venne eletto Legislatore a Milano, rinunziò del tutto l’impresa, e la cedette al Lombardi. Quantunque avesse il Lombardi risolto di dar principio fra poco alla stampa del Dizionario, nulla di meno, impeditone forse dagli altri volgimenti di tempi, soltanto circa il 1822, otto anni dacché si era ripristinato il Dominio Estense, rivolse il pensiero alla pubblicazione di quest’opera postuma del Ti-raboschi, e invitò il Parenti a combinarne seco lui l’edizione. Lo stesso ardore di prima continuò in Luigi Serafino di annotare gli articoli concernenti al Frignano, i quali abbisognassero di essere mi-gliorati, o chiariti pei cangiamenti avvenuti ai luoghi. Si valse eziandio dell’altrui gentilezza, e ot-tenne parecchie notizie dal Dottore Giuseppe Bignardi, Podestà della Mirandola, amante delle patrie memorie, e da Giacinto Paltrinieri, possessore colà d’importanti Documenti: e ciò per mezzo del ch. Professore Avvocato Marcantonio suo figlio, Direttore in quel tempo del Convitto Legale aperto in quella Città. Si contano sessantaquattro almeno le Annotazioni e le Giunte del Parenti. Il Dizionario Topografico-Storico degli Stati Estensi, diviso in due Tomi in quarto, riveduto e ordinato, comparve alla luce in Modena, correndo gli anni 1824 e 1825 coi tipi Camerali. Quell’ingegno che Luigi Serafino adoperò a giovamento della Patria coi lumi della erudizione, egli lo diresse per egual cagione agli studj dell’Agraria. E questo ei fece non tanto col mantenere e mi-gliorare gli usi adottati, quanto coll’introdurre que’ metodi, che più fiorente e ubertosa rendessero la coltura de’ campi, il che dimostrano apertamente18 gl’instruttivi lavori da lui, non senza grave costo, intrapresi, perché i poderi del monte avessero stabilità, e per frane e per lavine difficilmente precipi-tassero. Così resse le acque, che giunse ad infrenarne ove e come ei volesse l’impeto, o almeno le ridusse a serbare un corso men concitato e dannoso. La quale avveduta industria era cagione il più delle volte che nella furia dell’acqua piovana non solo si evitasse ogni strappamento di terreno, ma si acquistassero invece utili torbe, e pingui deposizioni. Ogni tratto perciò de’ suoi campi a Monte-cuccolo, e verso Pratolino vestivasi di una vaga feracità, che variava a seconda della qualità del ter-reno, e della posizione delle costiere. Mossi dal suo esempio i proprietarj del paese trassero norme di miglioramento ne’ loro fondi, sopratutto imitandone la diligenza e la pratica. Il nome di saggio cultore dell’Agraria, che Luigi Serafino erasi procacciato, dalla Provincia Frigna-nese si diffuse nel contado di Modena ed altrove. Nell’anno 1804 allorquando di questa Capitale degli Estensi Dominj e del suo territorio si formò nel cessato Regno d’Italia il Dipartimento del Pa-naro, venne per ordine del Governo, a tenore della legge 4 settembre 1802, istituita la Società Agra-ria di esso Dipartimento. Il nobile scopo, a cui tendeva, era di occuparsi di quanto servir potesse a far prosperare fra noi l’agricoltura. Questa Società presieduta dal celebre Bonaventura Corti, e composta del fiore degli Scienziati e degli Agronomi, si tenne onorata di ascrivere con voto unani-me al novero de’ Socj Ordinarj il Parenti. E questi avvisò di dover corrispondere alla distinzione, che venivagli usata, ed al fine che la Società si proponeva, coll’inviarle qualche sua interessante Memoria. Il Parenti, più che altra cosa, rispettava le piante, e le selve; considerava i boschi e le foreste come altrettanti fondi di terra, i quali vi danno un frutto che niuno o scarso dispendio esige dal proprieta-rio. E di vero osserva il Say nella sua Economia politica essere un bosco un bene fondiale, sopra cui si lasciò crescere e cumularsi un annuo prodotto, quale appunto è il legname; a tal che quando si compri un terreno arborato, due cose ad un tempo vengono comprate, il terreno, e il capitale cumu- 17 Prefazione al Tomo IV delle Mem. Stor. Moden. pag. IV. 18 Annotazione segnata col numero 5 degli Editori, ossia del Prof. Marcantonio, alla Memoria postuma del Padre intor-no alla sfrenata libertà della recisione degli alberi. Pagg. 28, 29. Modena, 1843, coi tipi della R. D. Camera.

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    lato, ond’è coperto. Di che ne segue che il taglio esser dovrà regolare in guisa che ogni anno ripro-duca un valore eguale al perduto. Che sarà dunque di un taglio, il qual sottragga del continuo una parte col valor capitale senza che lo risarcisca? Come si potrà calcolare il detrimento, il qual proce-da da un taglio, che non risparmii né rami, né tronchi, né radici? Queste considerazioni lo condusse-ro a trattare del modo di togliere o impedire gli effetti dell’abuso e del disordine cagionato dalla sfrenata libertà della recisione degli alberi. Prudentissimo come egli era, vide che poco potea tornar proficuo il promovere colle teorie e coll’esempio il perfezionamento dell’Agricoltura, quando si fossero lasciate in vigore le cause, le quali congiuravano alla sua rovina, e quando non si fossero suggeriti i mezzi più idonei a rimediarvi. Mette pertanto in veduta la crescente penuria del legno combustibile e da lavoro, in grazia della sconsigliata condotta degli abitanti del piano e del monte, e in conseguenza i danni che vengono dall’atterrarsi le piante da frutto e da legno. Non dissimula gli effetti del guasto: rincaramento e pri-vazione de’ legnami: furia di venti aumentata: vana omai divenuta la barriera dell’Alpi e degli Ap-pennini, negli avvallamenti de’ quali sorgevano sì alte e dense le selve de’ faggi e degli abeti: sce-mato il cibo a’ bestiami, ed all’uomo, struggendo il ferro ingrato le piantagioni de’ castagneti, e sperperando il frutto più certo, che la Natura con mano gratuita a lui distribuisce. Di parecchi Co-muni del Frignano fa un quadro orrido e spaventoso per la devastazione accadutavi d’intere foreste di cerri al misero scopo di trafficarne la scorza, e conciarne il cuojo, e per l’abbattimento di annose querce così opportune al pascolo de’ majali. Ma egli trema del pericolo che il contagio si avanzi, che si accresca la smania, a non dir la mania, di svellere e sbarbicare i castagni: tolto il quale ali-mento, è forza che molte famiglie indigene impoveriscano, muojano di stento e di fame, oppure si gettino al disperato partito di una volontaria emigrazione. E pur doveva meritare un riguardo pianta sì benefica, che tutto ha il diritto di essere protetta e moltiplicata: pianta, il cui frutto sotto il nome di glans, ghianda19, fu di nudrimento de’ nostri progenitori, prima assai che Cerere e Trittolemo in- 19 Luigi Serafino in una Nota inedita alla propria Memoria, Nota da lui lasciata in copia alla Società Agraria, e comuni-catami dal sullodato Prof. Geminiano Riccardi, provò con vetuste e moderne autorità, e per via di giusto raziocinio, che le ghiande di cui cibavansi gli antichi, e che tanto furono decantate dai Poeti, prima che fosse rinvenuta e propagata la cultura del grano, fossero le castagne; e che l’equivoco sia derivato dall’essere stato posto il castagno nella classe degli alberi ghiandiferi. Questo egli dimostra contro l’opinione di alcuni, i quali avrebbero voluto sostenere che gli antichi si nudrissero colle ghiande nostrali, ed in particolare contro l’Opuscolo della ghianda di quercia pubblicato dal celebre Cav. Michele Rosa di Rimini, già Professore di Clinica nella Università di Modena. Ecco per intero la detta Nota. “Io sono sempre stato della opinione, che le ghiande di cui cibavansi gli antichi, e tanto decantate da’ poeti, prima che Cere-re e Trittolemo trovassero e propagassero l’arte della coltura del grano, fossero le castagne, e che l’equivoco sia prove-nuto dall’essere posto il castagno nella classe de’ ghiandiferi: Quercus castanea, glans Jovis. Questa opinione non è de-stituita di autorità antiche e moderne, e da raziocinio. In Dioscoride (lib. I, cap. 123) è chiamato il Castagno Glans Jovis. Plinio (lib. 12, cap. 1) attesta che la quercia Ischio, Castagno, era dedicata a Giove, e la ghianda di cui cibavansi gli antichi, decidebat Jovis arbore: dunque erano castagne. Plinio (lib. 15, cap. 23) si esprime: Chiamiamo noi Noci ancora le castagne, benché sono più grate ne’ cibi arrostendo-le. Al lib. 16, cap. 5: Vediamo, dic’egli, che ancora all’età nostra le ghiande sono le ricchezze di molte nazioni che vi-vono in pace. Inoltre dove mancan le biade si fa pane di farina di ghiande, ed oggidì in Ispagna si portano in tavola le ghiande per frutta. Sono più dolci arrostite nella cenere. Dal venire confuso dagli antichi, il Castagno or colla quercia, or colle noci (come a’ giorni nostri il Linneo lo pone nella classe de’ faggi), e dalla circostanza di usare la Spagna per frutta le ghiande, e di esser migliori arrostite nella cenere, io sempre più mi confermo, che tutto ciò debbasi intendere di vere castagne. Perché per quanto io mi sia informato da per-sone che hanno viaggiato, e si sono trattenute per più anni in Ispagna, non sussiste, come pretendono alcuni, che quella regione produca una ghianda atta all’umano cibo; e la circostanza di essere migliori arrostite nella cenere, quanto si con-fà alla castagna, altrettanto repugna alla ghianda, che diventa più dura. Anche il celebre Medico e Botanico Andrea Murray (Apparat. Med.) alla parola Quercus sostiene che la ghianda no-strana non abbia mai servito di alimento umano e che ciò che ne scrissero gli antichi, debba attribuirsi a specie diversa. Gli sforzi poi de’ moderni mi confermano anzi che no nella mia opinione. Il celebre Cav. Michele Rosa, che la nostra città si vanta di avere avuto per tanti anno a Presidente della Facoltà medica, nella sua Operetta della Ghianda della quercia, dopo di aver esaurita la sua erudizione onde persuaderci che gli antichi mangiassero le ghiande nostrali, e le mangino tuttavia alcuni popoli poveri in tempo di penuria, si restrigne poi a prescrivere, perché la ghianda non sia mici-diale per l’ostica sua natura, che vi occorre la lunga preparazione di sgusciarla, e sfarinarla, per la via della bollitura e cottura per renderla digeribile, indi asciugarla, passarla allo staccio più volte, metterla col lievito di frumento, ed aggiu-gnerle circa la metà di farina di grano per cuocerla in pane.

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    troducessero la sementa del grano: pianta preziosa per la sua durata da tre o quattro secoli, e che an-cora dalle ceppaje risorge per solito rigogliosa. Ma l’avidità del guadagno, l’abuso dell’agevolata comunicazione delle strade, il lusso vorace che spopola le selve per convertirle in carbone, aveano troppo indurati gli animi, perché desistessero dal cominciato sterminio. Né qui si arresta il Parenti: altri danni deplora: le sorgenti montane diminuiscono, e le innondazioni si accrescono: colpa è questa del dosso del monte spogliato de’ boschi. Senza oppor rifiuti all’opi-nione del Rozier, le selve, cioè, attrarre colle foglie, e tenere sospesi i vapori acquei, che per l’azio-ne solare si levano dai laghi, e dalla superficie terrestre a fine di rimandarli al basso mutati in rugia-da, in nebbia, ed in pioggia, e per tale guisa dar principio alle scaturigini; il Parenti, attenendosi alla propria esperienza, si riporta in questo ad una cagione più immediata. Un bosco indigeno, quando si lasci intatto tiene viva di per sé la sorgente: perocché nel giro de’ secoli il bosco si andò formando al di sotto uno strato di terriccio (humus de’ Latini); e ciò mediante l’annuo cadere e infracidare del-le foglie commiste a rami ed a frutti aridi, a gusci ed a calici. Ora la pioggia, attesto al frastaglio delle foglie e dei rami, vi ascende sparsa e minuta, e gli alberi, qualunque sia la figura e il declivio del suolo, crescendo a perpendicolo coll’orizzonte, la pioggia stessa resta assorbita dallo strato bi-bulo, il quale vieta che l’acqua discorra libera al chino. E questa intanto ebbe tempo di filtrarsi, ebbe quiete a rispargersi negli occulti ristagni del monte; e così alimentare di perenne umore le sorgive. Molto più che a facilitare l’interna discesa dell’acqua concorre, oltre le radici, l’ombra del bosco, la quale rende men rapido l’evaporamento dell’umido, e lenta ed equabile mantiene la liquefazione delle nevi, che ne’ boschi de’ faggi, i quali son più copiosi di sorgenti, dura per mesi anche dopo rimesse le frondi. Per lo contrario, riciso che venga, e peggio poi schiantato, un bosco, ai primi ro-vesci di pioggia l’acqua con tutta la vigoria di sua copia e gravità leva e porta giù la materia friabile, denuda e dilava il terreno, lo solca, lo smove a larghi tratti, e nella foga lo trascina seco dai rivi ne’ torrenti, dai torrenti ne’ fiumi con pregiudizio e spavento delle basse pianure. Novelli motivi egli adduce a mostrare i mali derivanti dal taglio abusivo delle foreste. La pubblica igiene se ne risente, più di quello si pensi. Colla distruzione de’ boschi si lascia aperto il varco alla forza dello scirocco, e quindi al dilatamento degli effluvj, ond’è accompagnato, i quali spossano le organate sostanze viventi, e accelerano la putredine delle morte. E se è vero quanto affermano i Na-turalisti, che le piante assorbano colle foglie l’aria impregnata di effluvj nocivi, e per la energia del-la vegetazione la ritornino purgata e salubre all’atmosfera, noi che facciamo colla sfrenata recisione degli alberi? Noi facciamo più grave la cagione del male, e meno efficace il rimedio. Previdente ed oculato Economo, egli nota un altro inconveniente, e non esita a dichiararlo per uno dei più rovinosi del sistema politico: inconveniente originato anch’esso dall’abuso di mettere la scu-re struggitrice nelle selve di qualsiasi specie, e più ne’ castagneti. Le Comunità montante suggettate all’estimo, rinnovano ogni ventennio almeno il catasto dei beni, affinché il soldo complessivo ripar-tasi fra’ singoli proprietarj a misura della rendita de’ terreni. Ma i Periti, regolando materialmente le operazioni loro, assegneranno per avventura il cento di fondo per ogni cinque di entrata, poco o niun valore attribuendo al suolo che si vedesse denudato d’alberi e privo di rendita. E allora ne verrà l’assurdo, che un proprietario il quale abbia lasciati illesi i proprj boschi, dovrà sottostare al soprac-

    Anche il Sig. Dott. Saverio Manetti nella sua Memoria delle specie diverse di frumento e di pane, pag. 111 e segg. pone per ipotesi che le ghiande e meglio il cerro possano servire di alimento in tempo di fame; ma anch’egli coll’apparato di torrefarle, addolcirle colla mistura di spelta o grano, bollirle, prosciugarle, indi macinarle colla mescolanza di grani ce-reali, onde convertirle in leggiere, friabili, facilmente solvibili nell’acqua, e per conseguenza più nutritive e facilmente digeribili. Tutto questo persuade che dunque li primi uomini non poteansi cibare delle ghiande nostrane: 1° perché essendo essi della stessa natura della nostra, così, come le apprestava la pianta, non erano digeribili (e ne abbiamo avuto pur troppo l’esperienza nell’anno calamitoso, 1801, in cui quanti de’ miseri si appigliarono al partito di ghiande macinate anco con grani diversi, tutti in breve tempo perirono) e 2° ripugna d’altronde il supporre che nella loro rozzezza avessero il modo di renderle digeribili col soccorso di tante preparazioni che appena riescono ai più esperti Fisici e Naturalisti de’ giorni nostri, e che richieggono per essenza una dose insigne di farina, di frumento, che per anco non era stato scoperto. One è ben ragionevole che gli uomini selvaggi colla sola guida del gusto siansi attenuti piuttosto alle castagne, che alle ghiande propriamente dette”.

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    carico di quella porzione di Soldario, la quale competea soltanto a que’ boschi, che furono dall’altro proprietario disfatti. A questo modo vedrassi il possidente provvido soccombere al peso della pro-prietà distrutta dal possidente infingardo. Se pur non vogliasi dire che l’onesto possidente, offeso dell’iniquo riparto, fosse costretto, per collocarsi al livello dell’altrui condizione, di alienare anch’esso le proprie selve, allettato dagli speculatori di carbonaje, i quali, guardando l’interesse del giorno pagano più la selva pel taglio, che non farebbe un confinante per conservarla da frutto. Il Parenti avendo descritto il disordine, teneva in pronto il riparo. Si rivolge alla Società Agraria, e la persuade ad implorare dal Governo una Legge proibitiva, la quale sia accompagnata da sanzione che la renda efficace. I Socj corrispondenti abbiano la cura di farla eseguire; e a tal uopo espone lo-ro analoghe istruzioni dettate da maturo consiglio e da consumata esperienza. Ma il pubblico biso-gno è urgente, e la Legge viene sollecitata dalle seguenti vere parole: La moltitudine sconsigliata gioisce del momento, e del bene presente tramandatoci da’ nostri maggiori, senza rapporto di gra-titudine per gli antenati e di beneficenza pei posteri. Questa Memoria, divisa in sei Paragrafi, fu da Luigi Serafino fatta presentare a quel dotto Consesso il giorno 26 giugno dell’anno 1806, essendone dopo il Corti, Presidente il Marche Vincenzo Frosini, Priore dell’Ordine di S. Stefano di Pisa, e amadore indefesso degli studj zoologici, e botanici. In as-senza di questo venne letta da Francesco Savani, Professore di Botanica nel Regio Liceo, e Segreta-rio della Società Agraria. Il plauso che la Memoria riscosse, palesò chiaramente come la Società fosse entrata a parte de’ nobili sentimenti, e de’ virtuosi desiderj dell’Autore. Fu istituita una Com-missione composta di due Socj Ordinarj, Giambattista dall’Olio, e Giuseppe Antonio Zuccoli, per-ché stendesse un ragionato Promemoria da essere spedito a Milano, e rassegnato al Ministro dell’Interno per un sollecito provvedimento. Il ch. Professore d’Idraulica nella R. Università di Modena Geminiano Riccardi, Segretario Genera-le della attuale Accademia di Scienze, Lettere ed Arti, nella quale venne a rifondersi nell’anno 1815 la Società Agraria, ne comunicò gentilmente gli Atti di quell’Archivio relativi al Parenti. In un suo inedito Ragguaglio Storico di essa Società, egli osserva a commendazione del Parenti medesimo, che questo coll’accennata Memoria precorse le idee del rinomato Consigliere Aulico Francesco Mengotti nel Saggio sulle acque correnti messo a luce in Milano negli anni 1810, 1812, là special-mente dove nel capo decimosesto si diffonde a parlare della utilità delle selve, le quali anche ne’ mesi invernali servono ad infrenare, o almeno a sedare l’impeto strabocchevole delle acque: come del pari prevenne le rimostranze di Giuseppe Gautieri, Cesareo Regio Ispettore generale de’ boschi del Regno Lombardo-Veneto, nello scritto impresso a Milano l’anno 1814, e ristampato nel 1817: Dell’influsso de’ boschi sullo stato fisico de’ paesi, e sulla proprietà delle nazioni. Laonde alla Memoria postuma del Parenti, oltre il merito intrinseco, si aggiungeva un altro titolo, perché venisse fatta di pubblica ragione. Né poteva assumerne l’edizione una mano più ossequiosa ed esperta di quella del sullodato Cavaliere Marcantonio, già fino dai primordj della mentovata Società uno de’ suoi membri corrispondenti, per cura del quale la Memoria non solo fu stampata in Modena l’anno 1845 co’ tipi della R. D. Camera, ma si vide arricchita ancora di Documenti e di Annotazioni, che, al pari degli altri frutti del suo ingegno lo dimostrano degno figlio di tanto padre. La Memoria fu poi stampata nei Nuovi Annali delle Scienze naturali di Bologna20. Nella seconda delle citate anno-tazioni si congettura il modo, col quale il Gautieri trasportasse in un tratto del proprio scritto non meno il senso, che le parole stesse del Paragrafo II della Memoria del Parenti; e sul termine dell’Annotazione settima si espone poi come tornasse infruttuoso l’esito del Promemoria dianzi ri-cordato, che la Società Agraria aveva con tanto zelo stabilito di spedire al Governo di Milano ri-guardo al lavoro del Parenti. L’Archivio di Montecuccolo, abbondante di Atti e di Carte di non comune antichità, avea convinto Luigi Serafino21 nel ricomporlo che fece, esserne stato il Castello sin dall’anno 143022 il Capoluogo

    20 Una terza edizione ne fu fatta nel 1854 unendola a due Discorsi del Prof. Marc’Antonio Parenti intorno a temi eco-nomici politici morali proposti dalla R. Accademia modenese di Scienze, Lettere ed Arti (Modena, Tip. Camerale). 21 L’Autore A.V.A. della Necrologia pel defunto Parenti, pag. 4. Modena, dalla Tip. Camerale, 19 Aprile 1836.

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    di varie Comunità, e la residenza di un Governatore, che avea la giurisdizione civile, e criminale. Successore di savj Magistrati, si tenne in debito di emularne l’attività e la diligenza nell’ammini-strare la giustizia. Certo ch’ei non mancò a sé stesso nel grave officio. Le doti, onde erano ornati il suo intelletto ed il cuore, non indugiarono a formare di sua persona un esempio parlante di ottimo reggitore di Provincia. Versato nelle leggi romane, e nelle Estensi, e fatto dimestico delle feudali, conoscitore del paese, ben egli sapeva, all’insorgere d’ogni controversia, qual fosse la norma sicura di applicarle. E un argomento che l’amministrazione di lui fu felicissima, e tutta rivolta al vantaggio della Provincia, raccogliesi dalla durata del suo Governo, che, oltre al termine usato con altri, passò i quattro lustri, compresovi il Commissariato del Comune di Ranocchio: come pur si deduce, sebben fosse avvenuta fra le Case Montecuccoli di Modena e di Vienna una transazione nell’anno 1782, col separamento de’ Feudi, dall’aver egli continuato nell’una e nell’altra Giudicatura. Il contegno poi più prudente serbò all’epoca della Francese irruzione in Italia nel memorato anno 1796. Pregato da’ suoi Signori, e confortato dai voti del popolo a proseguire nell’esercizio della giudiziaria autorità, egli non vi contrappose rifiuto. Nel marzo dell’anno seguente, essendo stati sot-to la sua Presidenza intimati in Paullo i Comizj per tutto il Frignano, egli si vide eletto uno de’ Membri del Consiglio dei trenta Seniori rappresentanti la Repubblica Cispadana. Questo Consiglio dovea risedere in Bologna; ed egli colà si portò. Benché vana riuscisse quella radunata, perché den-tro il mese suddetto sciolta e abolita per ordine di Bonaparte, il quale in Milano unì la Repubblica Cispadana alla Transpadana col nome di Cisalpina; nondimeno non fu disconosciuto il bene ch’egli era disposto ad operarvi a pro della patria, e al suo ritorno in paese ne venne rimeritato dai Provin-ciali con vive acclamazioni e coi segni di uno straordinario festeggiamento. A tale che in tempi che si rendeano di giorno in giorno più foschi e difficili ei ripigliò coraggioso le tre Giudicature. Ma la prudenza di lui non strinse alleanza colla debolezza; alla prudenza sottentrò la fermezza dell’animo; e questa venne a mostrare incrollabile la sua virtù. Fu richiesto di un giuramento, che la sua co-scienza ripugnava di proferire, e lo negò. Licenziato dalle cariche, esposto a prestiti forzosi, vessato da requisizioni, e d’altra parte disdegnando ogni offerto compenso de’ così detti Azionisti, e’ ritiros-si nel silenzio e nella solitudine nella Selva; luogo dove tra le ombre di antiche piante sorge una Chiesa dedicata alla Vergine nel secolo duodecimo. Quivi, presago di tristi eventi, dispose delle ul-time sue volontà. In fatti nella primavera dell’anno 1799 si raccese23 la guerra tra la Francia, e l’Austria, collegatasi quest’ultima colla Russia. Il Generale francese Scherer, capo dell’esercito d’Italia, essendo stato battuto, e respinto al di là del Mincio e dell’Oglio dal prode austriaco Krai, venne sostituito nel Comando dal famoso Moreau. Nel frattempo era calato dal fondo del Settentrione il veterano con-dottiero delle Russie, il Suwarow. Gli Austro-Russi da lui capitanati tragittano l’Adda, e sconfiggo-no a Cassano il Moreau, che indarno accampatosi tra il Po ed il Tanaro, e tra le fortezze di Alessan-dria e di Valenza, attendeva impaziente le truppe del Massena dalla Svizzera, i rinforzi dalla Fran-cia, ma segnatamente da Napoli l’esercito del Macdonald, che a marcie sforzate dovea raggiungerlo a Tortona. Non potendo gli Austro-Russi investir di fronte il Moreau, lo assaltano di fianco a Casa-le, e lo astringono a indietreggiare, e ripararsi a Cuneo, e abbandonare così alle armi loro vittrici l’ampio territorio lombardo. Mentre il Moreau incalzato a giornate ritirasi pel Colle di Tenda a Ge-nova, e una parte invia delle truppe per la Bocchetta col fine di dare la mano all’aspettato Macdo-nald; questi avendo attraversati gli Stati Pontificj e il Granducato di Toscana, ed essendo sboccato con trentamila uomini dalla strada di Pistoja, entra nel Frignano, e percorsa l’Abetona, Fiumalbo, e Pievepelago, s’avvicina a Montecuccolo ed a Paullo. L’austriaco presidio stanziato in Modena allo scopo di mettere impedimento e ritardo, per quanto poteasi alla rapida marcia del Duce francese, suscitò in Paullo, come punto centrale del Frignano, un moto d’insurrezione e di resistenza, che nell’istante si stese e divampò per tutta la Provincia. A-vendo guernita di alquante truppe la Rocca di Montecuccolo, accerchiata già di triplice recinto di 22 Annotazione segnata colla lettera (i) del Parenti all’Articolo Montecuculum del Diz. Topogr. del Tiraboschi. Tom. II, pag. 97. 23 Le Sage Atlas Historique etc. Campagne de Suwarow en 1799. A Florence 1806, e Carlo Botta Storia d’Italia.

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    mura, e dominante largamente la via, queste cominciarono a fulminare di là coll’artiglieria l’anti-guardo, forte di due mila uomini, dell’esercito francese. Consiglio quanto ardito, e per avventura opportuno in strategia (poiché lasciò tempo agli Austro-Russi di accamparsi presso Piacenza, e, di-vise le forze nemiche, di combatterle separate) altrettanto rischioso e fatale agli abitanti del Frigna-no! Il giorno 3 del mese di giugno, i Francesi declinando dalla via maggiore, salirono per obbliqui sentieri alla Rocca, e vie più ingrossando giunsero ad occuparla. La poca milizia che la difendeva, l’abbandonò. Il Castello fu messo a ruba: spogliate le sale delle antiche armature, e i monumenti preziosi di quell’Archivio arsi e dispersi. Alla rabbia soldatesca vien sacrificata la vita del sacerdote Giovanni Antonio Lamazzi, venerabile Parroco di Montecuccolo. I Comuni di Renno, di Miceno, di Monte-cenere tra gli orrori delle stragi, e l’ululato di famiglie denudate, e fuggiasche videro con ribrezzo invase le loro Chiese, indossati con ischerno, poi laceri e conculcati i sacri arredi, e le cose del San-tuario profanate. Paullo ebbe a piangere la perdita del suo Vice-gerente Dott. Michelangelo Dainesi, trucidato dalle truppe sotto gli occhi della propria consorte, Luigia Parenti, sorella di Serafino. Cin-que giorni appresso l’intero esercito sopraggiunse, e il saccheggio ed il guasto delle sostanze è ripe-tuto più barbaramente che prima, lasciando gli abitanti nella desolazione e nel lutto, e seminata la via di squallore, di sangue e di cadaveri24. Ognuno può di leggieri immaginare qual fosse il rammarico di Luigi Serafino alla novella di trage-dia così deplorabile; e meno al certo di parecchi beni che in Paullo gli furono manomessi e rapiti, quanto ei fosse dolente della morte del cognato, e dei giorni, i quali rimaneano di angosciosa vita alla vedova sorella, ed ai quattro di lei figliuoli! Pur rassegnato al volere di quel Dio, ch’è l’arbitro delle sorti umane, fece forza a sé medesimo: sicuro che la Provvidenza protetto lo avrebbe in sì duri frangenti. Intanto il Macdonald pervenuto in vicinanza di Piacenza, trovò il Suwarow e i Generali dell’Austria preparati a riceverlo alla Trebbia in giornata campale. Per tre giorni venne reiterata tra’ due eserciti con furor la battaglia, che alla fine piegò a favore degli Austro-Russi. La vittoria della Trebbia, e quella di Novi che poco dopo seguì, rimisero in mano della Giunta Im-periale istituitasi in Modena il regime degli Stati Estensi. Il Parenti essendo stato dalla Giunta me-desima invitato con un Dispaccio che rendeva riverente testimonianza alla virtù, a riassumere le di-messe Giudicature, egli seppe scusarsene in modo da mantenere viva la grazia di chi l’onorava. Co-sì diportossi coi Governi, ch’ebbero in appresso a succedere. Solamente nell’anno 1805 accettò la dignità d’Avvocato, non per amore di lucroso esercizio, ma per brama di altrui giovare coll’officio di Arbitro e Conciliatore. Come governò con saviezza la Provincia e i pubblici e privati affari, così eziandio la propria fami-glia e sé stesso. Il Cielo in questo lo premiò largamente, che gli diede a consorte nell’anno 1787 una Donna pari alla sua virtù: di grande animo a sostenere le triste condizioni de’ tempi, e infiammata del più caritatevole affetto verso de’ poverelli. Questa pia ed ottima sposa, Livia Catterina Giova-nardi nativa di Formigine, padre lo fece di una prole, la quale allevata nel timore dell’Eterno, si ren-dette nella coltura dello spirito, e nel costume e nella religione un ritratto fedele de’ pregi che ador-narono gli antenati. Quanto alla persona, ed agli anni estremi di Luigi Serafino, io non saprei dir cosa che agguagliasse la cara dipintura che ne lasciò l’Autore della sua necrologia: dipintura, a cui posso bene io stesso aggiungere la più sincera testimonianza. “Ei trovava, ne dice, tempo e coglieva occasione a tutto, perché sobrio, metodico, vigilantissimo, non si lasciava mai turbare dal soverchio riposo e dagl’inutili diporti i momenti che sapea con sì ri-

    24 Veggasi anche qui il memorato Ragionamento del Prof. M. Antonio Parenti, figlio di Luigi Serafino, alla pag. 218 dove si parla de’ benefizj procurati da Francesco IV di gl. mem. al Frignano a riparazione dei disastri sofferti, coll’aver riedificato con sontuosi edifizj in maggiore ampiezza Paullo, nel luogo appunto, in cui si congettura che fosse stato an-tichissimamente fondato il Castello Feroniano, e coll’aver ridonata al Frignano medesimo l’esistenza sua propria, fa-cendone una separata Provincia, e creandovi una Delegazione governativa residente in Paullo stesso; e in fine coll’a-vervi fabbricata la Villa Reale, e quivi stabilitavi la dimora della R. Corte per qualche tempo dell’anno.

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    gorosa economia distribuire. Quindi, osservantissimo com’egli era della Religione, tal era ancora la diuturnità, l’esattezza ed il fervore de’ suoi esercizj di pietà, che altri avrebbe potuto scambiarlo per un Cenobita: spettacolo di viva edificazione alla famiglia ed agli estranei, in un tempo che gli affari dell’anima sembrano divenuti un lieve accessorio eziandio per tanti che parvero ben educati alla scuola dell’Evangelo. La regolarità della vita conferì molto alla conservazione della sua robusta natura, e di quel vigore di mente che neppur la decrepitezza riusciva ad attenuare. Sempre dignitoso nel tratto, ma senza om-bra d’orgoglio; incapace di rancori e di avversioni personali; né d’altra parte accettator di persona, ma giusto e soccorrevole verso tutti (fossene ben anche ingratamente retribuito); pieno di misura, d’attrattiva e d’efficacia nel ragionare; la sua conversazione era una scuola continua, ed ei la sapeva con felice naturalezza rendere amabile ad ogni condizione ed età. Medesimamente piaceva l’attico stile delle sue scritture, qualunque ne fosse il soggetto; e gl’intelligenti hanno da lungo tempo sapu-to farsene tesoro. In fine, come capo di famiglia, rendeva immagine d’un Patriarca; e l’aspetto suo venerando aggiungeva fede a tal somiglianza. Avvezzo da tanti anni, a meditar cristianamente il suo fine, ne sostenne con mirabile fiducia e ras-segnazione l’arrivo: e predispose già con tranquillo avvedimento le cose tutte che al buon governo della famiglia appartengono; benedetti amorosamente i figli ed i nipoti; ricevuti con gran sentimen-to i conforti tutti della Santissima Religione, non senza deplorare l’infelicità di coloro che, scostati da quel materno grembo, ne rimangono privi; spirò nel bacio del Signore, la sera del 6 aprile, in quell’ora che, per invariabile consuetudine solea raccogliere la famiglia alla preghiera comune. Il pubblico lutto, e segnatamente quello de’ poveri, ne rese più solenni e commoventi l’esequie. Le sue spoglie mortali sono state deposte nel sepolcro ch’egli medesimo s’era preparato fin dall’anno 1777”. Questo Sepolcro ora vedesi eretto nella Chiesa parrocchiale di Montecuccolo, essendo per generale disposizione di legge rimasta chiusa la tomba gentilizia della Famiglia nella Pieve di Renno. Il nome dell’Avvocato Luigi Serafino Parenti, che rimarrà sempre in benedizione de’ popoli del Frignano, dovrà essere aggiunto alla serie di coloro, la cui rimembranza procaccia fama e splendore ad una Provincia non ultima certo nei Fasti della Storia.

    I Montecuccoli di Montese - Percorso storico