Religione, Magia e Droga

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STUDI Collana a cura di Anna Grazia D’Oria, Giovanni Invitto, Marcello Strazzeri 91

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Lanternari

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  • STUDICollana a cura di Anna Grazia DOria,Giovanni Invitto, Marcello Strazzeri

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  • Vittorio Lanternari

    Religione magia e droga

    Studi antropologici

  • 2006 Piero Manni s.r.l.Via Umberto I, 51 - San Cesario di Leccee-mail: [email protected]

    In copertina: Graffito dalla Grotta dei Cervi di Porto Badisco, LecceProgetto grafico di Vittorio Contaldo

  • Indice

    CAPITOLO PRIMO7 La religione e la sua essenza

    Un problema storico

    7 1. Religioni primitive e popolari; in che senso?11 2. Nascita e sviluppo della nozione di religione:

    mondo classico, Vico, Tylor20 3. Scuola inglese post-tyloriana; funzionalismo27 4. Scuola sociologica30 5. Altri sviluppi47 6. Nostra definizione di Religione53 7. Appendice. Marxismo e religione58 8. Integrazione moderna68 9. Conclusione

    73 Bibliografia

    CAPITOLO SECONDO

    77 Sincretismo e ripensamento in chiave storico-transculturale:ovvero cristianesimo indigenizzato?

    83 1. Il sincretismo interreligioso di Alessandro Magno86 2. Costantino contro il Paganesimo89 3. Cristianesimo religione di Stato102 4. Sincretismi delle societ tradizionali extra-occidentali117 5. Sincretismi latino-americani e negro-americani

    156 Bibliografia

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  • CAPITOLO TERZO

    161 Droghe. Usi rituali, religiosi, psicoterapeutici e iniziatici nelle culture tradizionali

    161 1. La deriva edonistica nella cultura scientifica occidentale165 2. Antichit e variet dei riti basati su allucinogeni172 3. Il complesso rituale del peyote177 4. Piante allucinogene e guaritori180 5. Droghe e culti iniziatici184 6. Bere pozioni e masticare foglie

    189 Bibliografia

    CAPITOLO QUARTO

    193 La percezione sensoriale nel segnodei suoi condizionamenti culturali

    193 1. Percezione sensoriale e condizionamento culturale201 2. Modelli percettivi e mutamento206 3. Gusto, disgusto, scelte e interdizioni alimentari212 4. Percezione dello spazio e determinazioni culturali217 5. Percezione visiva e cultura225 6. Diverse percezioni del segno scritto228 7. Dinamica culturale e modelli di percezione visiva231 8. Dalla magia dei profumi al consumismo dei deodoranti235 9. Percezione tattile e tecniche del corpo

    243 Bibliografia

    246 Nota

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  • CAPITOLO PRIMO

    La religione e la sua essenzaUn problema storico

    Premesso il titolo sopraindicato del tema assunto per la ricerca,diciamo preliminarmente che per seguire un approccio antropolo-gico, il punto di partenza dato dallanalisi delle religioni propriedelle cosiddette societ tradizionali, che sono il sostanziale e fon-damentale oggetto di studio della Etnologia. E proprio da questadisciplina abbiamo visto nascere il pensiero antropologico, deditooriginariamente in misura assolutamente determinante alla scoper-ta di mondi, di credenze e di civilt create da societ umane in basea tradizioni di carattere mitologico e insieme sacro: societ percidette tradizionali. Si pu dire infatti senza sbagliare che lEtno-logia nacque soprattutto come Etnologia Religiosa. Ci si vedrbene pi oltre, dalla sintetica rassegna che faremo dei primi contri-buti dati dallavvento dei suoi fondatori, da Tylor a Frazer, da Dur-kheim a Lvy-Bruhl, da Giambattista Vico a Raffaele Pettazzoni inItalia.

    1. Religioni primitive e popolari; in che senso?

    Le cosiddette religioni primitive, dallinteresse per le qualiprese avvio, alla fine del secolo scorso, la scienza etnologica, altronon sono che linsieme delle manifestazioni mitico-rituali propriedelle societ tradizionali. Che cosa intendiamo per societ tra-dizionali? Da un lato quelle popolazioni denominate fino a pocotempo fa culture primitive, preletterate o illetterate, socie-t di esigue dimensioni, e recentemente dette in via di sviluppo.Si tratta di culture preindustriali, per lo pi contadine e tribali, chehanno subito lurto del colonialismo, delloccupazione, segregazio-ne od emarginazione da parte dei bianchi e soltanto pi tardi lin-

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  • contro con la civilt industriale. Daltra parte ci riferiamo anche aquelle enclaves o isole culturali dellEuropa, proprie dei ceti ru-rali in ambienti storicamente isolati e socialmente subalterni qua-li, tipicamente, il meridione dItalia, certe zone abbandonate dellaFrancia, della Spagna, ecc.: ambienti che, in parte maggiore o mi-nore bench in modi diversi, serbano caratteri e tendenze tipica-mente note e proprie delle societ tradizionali extraoccidentali. Ta-li caratteri consistono in: 1) una base economica arcaica di tipo agri-colo (societ contadine o folk societies), sia pure in un pi omeno tardo e complesso rapporto con la societ e leconomia ur-bana; 2) una struttura sociale nella quale mantengono una notevo-le rilevanza in senso economico, socio-comunitario, psicologico, ilegami di parentela, intesi secondo un ambito pi ampio di quantonon sia dato dal modello di famiglia nucleare di tipo urbano in Oc-cidente. Infatti tali legami parentali serbano traccia dellantico siste-ma di famiglie estese, o grandi famiglie, i cui membri compren-dono tre generazioni e un numero assai notevole di unit, legate darapporti di reciprocit; 3) infine una concezione del mondo e unorientamento strettamente legato a credenze e valori religiosi o ma-gico-religiosi: e ci vale anche fino a tempi recenti o attuali, salvo ilrapido processo di secolarizzazione, laicizzazione, modernizzazio-ne che avanza dalle citt verso le campagne, in specie per lintensi-ficarsi vorticoso delle comunicazioni, per la mobilit sociale, leemigrazioni e la diffusione dei mass-media. Delle tre caratteristichesuddette dunque base contadina, struttura sociale di grandi fami-glie, interpretazione magico-religiosa del mondo si ritrovano am-pie tracce, in forme ormai pi o meno modificate, sia tra i popoliex-primitivi dellAfrica, Asia, America, Oceania, ecc., sia tra varigruppi sociali subalterni in mezzo alla societ moderna ed ege-mone dEuropa e dAmerica.

    In questo senso noi intendiamo accostare le religioni cosiddetteprimitive dei popoli extra-occidentali alle forme della religionepopolare dei ceti subalterni in Europa. Quanto alluso dei terminiprimitivo e popolare, bene precisare che mentre la nozione direligioni primitive bench impropria ed in s equivoca ha rice-

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  • vuto un lungo collaudo nella tradizione di studi etnologici per es-sere stata usata da numerosissimi autori insieme e in rapporto conla pi generica nozione di popoli primitivi. Daltra parte la no-zione di religione popolare, lungi dalle suggestioni romanticheg-gianti con le quali fu inteso il termine popolare da folkloristi ostudiosi di letteratura e arte fino a pochi decenni or sono, assumeper noi una precisa connotazione gramsciana. Come tale, la nozio-ne di religione (e cultura) popolare assume senso nella misura incui le si oppone la nozione antagonista di religione (e cultura) uf-ficiale: tra le due forme dandosi unopposizione tuttaltro che no-minale. Infatti religione (e cultura) popolare, religione (e cultura)ufficiale, corrispondono, come Antonio Gramsci ha illustrato, adun mondo sociale subalterno contrapposto ad un mondo socialeegemone. Tale opposizione si esprime nella tenace resistenza dei ce-ti rurali ai tentativi di deculturazione perseguiti dalla chiesa ufficia-le con la repressione di rituali e credenze da cui quei ceti traggono,da antico, speranze, fiducia e forza di vivere di fronte alle forze ne-gative ed ostili, quali malattie, miseria economica, marginalit e fru-strazione. Gramsci ravvisava nella religione popolare del Meridio-ne dItalia il contrassegno culturale della storia di soggezione edisolamento in cui le plebi del nostro Sud furono mantenute dairegimi feudali e aristocratici, fino ai tempi ultimi.

    In questo senso lo studio della religione popolare diventa un ca-pitolo particolare di quel grande libro che si apre sulla storia delleopposizioni tra ceti dominati e dominanti, cio contadinato e bor-ghesia, cafoni e padroni. Del resto questo tipo di interpreta-zione dinamica e storicistica applicabile in modo fecondo anchealla nozione pocanzi indicata di religioni primitive, se a tale no-zione doverosamente si toglie ogni connotazione di presunta infe-riorit o selvatichezza.

    In realt la nozione di primitivit, applicata alle religioni, alleculture, e ai popoli extra-occidentali che ne erano portatori, riflet-teva in origine lideologia etnocentrica sotto il cui segno nacque nelsecolo scorso la scienza etnologica. Furono autori come E. B. Ty-lor, fondatore dellantropologia sociale e della scuola evoluzionista

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  • in Gran Bretagna e dopo di lui Mc Lennan, in America, Boas, Lo-wie, Radin, poi Levy-Bruhl, ecc., a sancire luso del termine pri-mitivo come idealisticamente contrapposto a moderno: que-stultimo indicante le religioni, la cultura, la mentalit e la civilt delmondo industriale dellOccidente. Lidea di progresso a queitempi era abusivamente generalizzata e indebitamente gonfiata ol-tre larea della produzione tecnologica, dellorganizzazione econo-mica e della riflessione scientifica, entro la quale lidea stessa erasorta. Inconsciamente seguendo il pregiudizio etnocentrico pro-prio di una civilt che nel suo espansionismo imperialista guardavaagli altri, ossia ai popoli detti differentio altri, implicitamen-te con la boria culturale del dominatore, si credeva di ravvisare nel-le culture e religioni primitive, la rappresentazione di unarretra-tezza e duna umanit assolutamente deteriore, inferiore. A quel-lepoca e in quel tipo di cultura la contrapposizione primitivo-moderno stava a indicare una presunta opposizione di valori, in-feriore-superiore, ovviamente dipendente da una preordinata con-trapposizione di condizioni socio-economiche, subalterne-ege-moni. Oggi per noi quella contrapposizione allora inconscia emersa al livello della nostra coscienza storiografica e sociale. C,in particolare nelle religioni primitive, lespressione di una resi-stenza, e dunque di una contrapposizione spontanea e originaleimplicita o esplicita secondo i casi da parte delle societ tradizio-nali contro i portatori della cosiddetta civilt e religione moder-na. La storia degli incontri tra religioni tradizionali e religioni ochiese portate dai bianchi missionari piena di episodi drammatici,di resistenza e contrasti, di casi di libera reinterpretazione e di reim-piego dei temi mitico-rituali cristiani in funzione di esigenze eman-cipazioniste, libertarie, autonomiste. Vi sono addirittura casi di ri-getto della religione introdotta dai bianchi e di ripiegamento sul-la religione tradizionale, come difesa di un popolo contro la decul-turazione e la disgregazione etico-sociale che ne consegue. Special-mente nella prima fase di evangelizzazione si impiegava una politi-ca di conversioni forzose perseguita dalle chiese missionarie chetrovavano spesso nelle religioni primitive un ostacolo e un freno

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  • ritenuto perfino come dovuto alla cocciutaggine di genti super-stiziose, e viceversa dovuto allesigenza di salvaguardare i fonda-menti della propria autonomia culturale o socio-politica.

    In questa luce, lopposizione tra religioni primitive e chiese sto-riche missionarie rappresenta un ulteriore capitolo del grande libroche si apre sulla storia delle contrapposizioni tra dominati e domi-natori. proprio in questa prospettiva dunque che mi sembra giu-stificabile dedicare una particolare riflessione allinsieme di reli-gioni primitive e di religione popolare, viste come due momen-ti preliminari nel processo di sviluppo e trasformazione, da un lato,delle culture e societ indigene extra-occidentali; dallaltro deigruppi rurali subalterni in Europa, e specialmente in Italia.

    2. Nascita e sviluppo della nozione di religione: mondo classico, Vico, Tylor

    Daremo pi oltre un quadro sintetico delle principali forme concui si manifestano le religioni primitive nelle societ tradizionaliextra-occidentali, sia nei loro complessi di credenze che di attivitrituali (Morfologia religiosa).

    Tuttavia, prima di passare alla morfologia religiosa, con even-tuali modelli esemplificativi visti anche nei loro mutamenti moder-ni, ritengo opportuno fermarmi su una breve analisi della stessa no-zione di religione, che costituisce a sua volta un problema storio-grafico. Infatti, a parte lorigine latina del termine (religio) e delconcetto da esso sotteso, e premesso che non esiste, di norma, pres-so le societ tradizionali un concetto, n una definizione equivalen-te per coprire le manifestazioni che noi siamo portati a definire contale termine, devo sottolineare che la nozione di religione non affatto stata sempre identica, nel tempo e nello sviluppo della civil-t occidentale, a quella che oggi noi assumiamo nel linguaggio cor-rente, n tanto meno nel linguaggio scientifico. La nozione di re-ligione sub un processo di ampliamento e modificazione gradua-le dallantichit ad oggi, ossia dal livello della civilt politeista ro-

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  • mana al livello della scienza antropologica odierna. chiaro chenon poteva darsi un adeguatamente informato ampliamento dellanozione di religione, secondo una prospettiva tendenzialmente edoverosamente scientifica, prima che si acquisisse conoscenza edesperienza di numerose civilt totalmente differenti dal modellooccidentale, sia antico che moderno. Ci vuol dire che non avreb-be potuto, la nozione di religione, modificarsi sostanzialmente dimolto se non si fosse sviluppata la scienza etnologica, con i suoicontributi relativi al mondo di credenze e rituali di societ storica-mente e culturalmente eterogenee e diverse tra loro rispetto alla no-stra civilt cristianocentrica. Quanto profondamente le conoscenzeetnologiche abbiano contribuito a far entrare in crisi la corrente no-zione di religione elaborata o implicita nella cultura occidentale cri-stiana, sar indicato da quanto si verr dicendo.

    Se noi prendessimo un ipotetico, qualunque cittadino europeodei nostri tempi, scevro di conoscenze riguardanti popoli di altricontinenti, culture, costumi e credenze, e gli chiedessimo di darciuna sua definizione di religione, chiaro che il concetto chegli sisforzer di enucleare aderir automaticamente, e dipender dallapropria esperienza diretta di religioni conosciute effettivamente. Inpratica, nel nostro caso, egli ci dar una definizione che riflette lat-teggiamento religioso di un cristiano. Sia che il nostro soggetto ipo-tetico sia personalmente impegnato in un credo cristiano, o sempli-cemente derivi il suo concetto dallesperienza che ha dellambientecristiano da cui attorniato, la sua definizione sar pressa poco deltipo pi elementare, come la religione il culto di Dio, o alcun-ch di simile. Ma se il nostro soggetto ipotetico venisse a conosce-re parecchie altre civilt non cristiane, pi o meno complesse, sim-pantanerebbe nel suo sforzo di oggettivazione, e nascerebbero inlui grandi perplessit. Se poi il nostro ipotetico interlocutore, oltrea tener conto dei popoli antichi (Greci e Romani) studiati a scuolacon i loro politeismi, acquistasse una preparazione etnologica, for-se potrebbe addivenire, infine, ad un chiarimento circa la nozionedi religione: ma in tal caso egli lallargherebbe certamente a moltemanifestazioni del tutto eterodosse rispetto alla tradizione ufficiale

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  • europea. Orbene, questo ipotetico caso individuale ripete, in breve,quello che fu leffettivo processo storico nello sviluppo della nozio-ne di religione. Lontogenesi di tale concetto a livello individuale, sipu ben dire, ripete quella che la sua filogenesi sul piano storico.La comparazione tra culture differenti tanto meglio quanto pidifferenti e in particolare la comparazione tra quelle manifestazio-ni che svolgano una funzione psicologica (sullindividuo) e cultura-le (per la societ) corrispondente a quella che la religione propriaha per il soggetto doggi o per la sua societ, fornisce il punto dipartenza per elaborare un concetto di religione che sia in uno sfor-zo di spersonalizzazione o di obiettivazione quanto pi estensivoe comprensivo.

    Nel mondo greco, il termine hosites esprimeva precisamente lapiet e devozione dovuta agli dei. A Roma veniva coniato iltermine religio, per esprimere il concetto di riverenza verso glidei, in senso ritualistico, mentre petas esprimeva laspetto sogget-tivo della venerazione. Ma in tutti i casi queste nozioni sono ca-late nel complesso di credenze politeistiche vigenti, e il loro signi-ficato di culto degli dei. Solamente Lucrezio seppe, nella suacritica razionalista, ampliare tale concetto, includendo nella nozio-ne di religio anche quelle manifestazioni che noi designamo co-me superstizioni. Laffacciarsi del cristianesimo sullorizzontepoliteista cre per la prima volta un problema delicato di defini-zione o discriminazione, tra religione e non-religione. La so-luzione del problema fu ambigua. Da un lato si sostenne che il po-liteismo era una non-religione, ossia un culto di dei falsi e bugiar-di, dallaltro si vide in esso una religione, sia pure preparatoria alcristianesimo. Cinteressa sottolineare che, pure nellambiguit ditali risposte, si veniva enucleando una nozione relativamente pivasta di religione, come culto di una divinit unica o di pi dei.

    Pi difficile fu il problema sorto secoli dopo, con le scopertegeografiche, dopo essere venuti a conoscenza di popoli e culturenuove. Ci si incontr con sistemi di credenze e rituali totalmentedisformi dalle tradizioni sia politeiste sia monoteiste dEuropa. Lavisione del mondo di tali popoli nuovi, i loro riti e miti non si

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  • prestavano affatto ad entrare negli schemi costituiti della tradizio-nale teoria religiosa di formazione occidentale e cristiana. Molteculture dei popoli cosiddetti primitivi non possiedono divinit nelsenso stretto del termine, non hanno forme di culto equiparabili aquelle consuete nel mondo cristiano o comunque in religioni di so-ciet complesse. In realt molti vecchi resoconti etnografici di mis-sionari o esploratori, relativi a popolazioni coloniali, parlano conconvinzione di popoli senza religione. Casi clamorosi furonoquelli dei Kubu di Sumatra, dei Pigmei e dei Negri di Africa, degliindigeni della Terra del Fuoco visitati da Carlo Darwin. Di questipopoli si asser che non avevano religione [Trilles, 1932: 2; Pettaz-zoni, 1916: 28-30; Darwin, 1914: 58-60]. Oggi per questi stessi po-poli si hanno intere monografie che illustrano la loro vita religiosa.Ancora una volta, la conoscenza di culture diverse ed eterogeneeponeva in crisi il concetto stesso di religione e perfino il concetto dicultura, quali la tradizione storica aveva elaborato sulla base di li-mitate esperienze. Il periodo scientifico stava per cominciare. Iconcetti di cultura e di religione, invalsi per linnanzi, erano posti inforse. Infatti dal momento che cera stata, fino allora, una sola cul-tura quella antica poi divenuta cristiana, quale senso ed ampiez-za doveva darsi al detto concetto ora che si conoscevano uomini egenti viventi secondo tradizioni e consuetudini mai prima docu-mentate e note? Dal momento che verano stati due soli tipi di re-ligione, quella politeistica pagana e quella giudaico-cristiana mo-noteista, che senso ed ampiezza doveva darsi al concetto di religio-ne ora che si conoscevano mondi culturali inopinati e senza ugualifra noi, come le civilt indigene dellAmerica, dellAfrica, del-lOceania e dellAsia? Lintero sistema di presupposti ideali, cono-scitivi e scientifici su cui si era retto il mondo per linnanzi, entravain crisi. E la crisi si prolunga in parte tuttora.

    Ancor prima che let scientifica moderna sinaugurasse dandovita ad una vera scienza delle religioni, il genio precorritore diGiambattista Vico, isolato e ignoto ai suoi stessi contemporanei,contribuiva a porre la teoria della religione su basi del tutto nuove,anticipando nella sua intuizione concetti e principi che solo un se-

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  • colo e mezzo pi tardi avrebbero trovato il loro pieno svolgimen-to, e nei giorni nostri il loro pi valido collaudo. Nei Principi di unascienza nuova [1730] egli pone per la prima volta il problema del-lorigine della religione su base storica, nel quadro di quella storiaideale eterna di cui egli era scopritore e pioniere nel mondo mo-derno. Il problema dellessenza della religione perde la sua astrat-tezza teoretica. Per Vico definire la religione significa riportarsi al-le origini della religione nella civilt umana. Il pensiero di Vico alriguardo, a pi riprese nellopera sua ripetuto, si riassume in alcuniprincipi che pongono la religione su un piano di studio logico,umano, superando sia limpostazione teologica comune al mondocristiano, sia quella metafisica propria di molti filosofi antichi e mo-derni.

    Per Vico la religione un prodotto della cultura umana. Le pri-me generazioni duomini immaginate da Vico, eroi o giganti del-lepoca postdiluviale, tutti sentimento e fantasia, sbandati e sperdu-ti nella terra, caduti nella disperazione di tutti i soccorsi della na-tura, desiderarono una cosa superiore che li salvasse [Vico: 339].Allora si finsero il cielo esser un gran corpo animato che chiama-rono Giove [ib.: 377] La religione fu dunque creata dagli uoministessi, per salvarsi da una situazione di disperazione, di spaven-to [ib.: 13, 377, 382] da cui furono oppressi per limperversare del-le forze ostili della natura. Cos il timore fu quello che finse gli deidel mondo [ib.: 382]. In tal guisa i primi poeti teologi si finserola prima favola divina, la pi grande di quante mai ne finsero,cio Giove re e padre degli uomini, degli dei, ed in alto fulminante: essi stessi che sel finsero, del cedettero e con ispaventose re-ligioni il temettero, il riverirono e losservarono [ib.: 379].

    Vico, ponendo il problema dellorigine storica della religione, neindividua anche lorigine psicologica. Egli scopre due fondamenta-li principi: che la religione un prodotto umano (non divino) ri-salente ai primordi dellumana civilt, e che essa sta in rapporto conalcune esperienze emozionali (spavento, timore, disperazio-ne) come aveva gi intuito lontanamente Lucrezio. Tali principicostituiscono il grande apporto di Vico alla scienza moderna delle

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  • religioni. Vico delinea brevemente anche le forme essenziali dellavita religiosa dei primissimi uomini, secondo la sua propria intui-zione: Il mondo civile cominci appo tutti i popoli con le religio-ni. I primi elementi comparsi della cultura umana sono: laltare(su cui si veneravano i vari Giove o divinit celesti), i matrimoni(cio lunione religiosa e sacra tra luomo e la donna), infine le se-polture (cio il culto dei morti) [ib.: 8, 11, 12].

    Dunque per Vico la religione un complesso di forme culturalie di fantasie mitiche, che vertono intorno a figure di dei celesti im-personanti la natura. Essa espressione dellumana disperazione ed a sua volta causa di ulteriori esperienze paurose per gli uomini.Infatti gli dei, creati per effetto di paura, generano a loro volta spa-vento (Razze scosse e destate da un terribile spavento duna daessi stessi finta e creata divinit del cielo e di Giove [ib.: 13]).Quanto alle forme attribuite alla religione, Vico continua in parte latradizione culturale classica e cristiana, in quanto egli identifica lareligione con il culto di una o pi divinit. Tuttavia egli avverte cheil culto delle divinit non esaurisce il senso della religione, nellaquale rientrano anche forme rituali varie, come quelle nuziali equelle funebri.

    Le idee di Vico sono frutto di una geniale intuizione, sul fonda-mento di conoscenze tuttavia ancora limitate alla sfera delle civiltdellOccidente antico e recente. Solamente nella seconda met delsec. XIX doveva sorgere una scienza delle religioni moderna. Ilcontributo primo venne dallesperienza, a quel tempo rilevante,delle civilt coloniali, e insomma dei popoli oggetto di studio del-letnologia.

    Colui che pu considerarsi il fondatore della scienza religiosamoderna Edward Burnett Tylor, il quale nel 1871 pubblicunopera in due volumi, Primitive Culture, che apriva un nuovoorizzonte alla cultura e al pensiero moderni.

    Tylor d una definizione minima di religione, in termini oltre-modo elementari. Religione per lui la credenza in esseri spiritua-li o animismo [Tylor, 1871, vol. I: 424].

    Se ben si guarda questa definizione alla luce delle teorie prece-

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  • denti, essa presenta un elemento nuovo e positivo oltremodo im-portante. Se essa poi si guarda alla luce dei futuri sviluppi dellascienza, ha alcuni limiti e insufficienze precise. La novit consistesoprattutto nellenorme amplificazione che il termine di religionesubisce in considerazione del senso comprensivo e generico attri-buito agli esseri spirituali a confronto con le divinit per lin-nanzi tenute come esponenti di ogni formazione religiosa. Tylorper la prima volta trae profitto dalla disciplina etnologica, utiliz-zando scientificamente il materiale che intorno alla vita di popoliindigeni di Africa, Asia, America, Oceania, era stato via via accu-mulato, per scopi fino allora non scientifici, da missionari, esplora-tori, funzionari coloniali, ecc. Tylor fonde ed unifica lo studio di re-ligioni gi note e relative a civilt convenzionalmente progreditecome i politeismi antichi o il monoteismo giudaico, con quello direligioni meno note e proprie di culture pi arretrate, documentatedalletnologia. Egli attua il primo sistematico tentativo di porre unordine cronologico e logico fra le pi varie formazioni religiose,amplificando come si diceva in modo rivoluzionario laccezionedel termine di religione rispetto alla tradizione di pensiero a lui pre-cedente. Infatti sul fondamento delletnologia egli scopre linsuffi-cienza delle teorie che identificano la religione con il culto e la cre-denza concernenti qualche divinit: le quali teorie limitano il fat-to religioso ai vari politeismi o al monoteismo, escludendone infi-nite altre manifestazioni da esse relegate al ruolo di superstizioni,idolatrie, magia, ecc., o confuse addirittura con il politeismo (laqualifica di dio era frequentemente e indebitamente attribuita adentit mitiche che con la figura di divinit in senso stretto nonhanno nulla a che fare). Lanimismo secondo Tylor la religioneprimordiale dellumanit, e i popoli arretrati ancor oggi viventi (oda poco estinti) rappresentano secondo lui altrettante sopravviven-ze tardive di una civilt preistorica, ormai da tempo superata daipopoli pi evoluti. La definizione minima di religione dunque,per Tylor, anche la forma pi antica di religione: e in ci questo au-tore ripete listanza vichiana (pur essendo indipendente da Vico) diriportarsi alle origini religiose dellumanit. La religione animistica

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  • nasce, secondo Tylor, per esigenze dordine intellettualistico, cio,per la necessit che ebbero i primi uomini, filosofi, di spiegarsitanti aspetti ad essi oscuri della natura e del mondo. Lanimismonacque, secondo Tylor, sul fondamento delle esperienze umane delsogno, della morte, delle visioni (per cui, per esempio, si presenta-no al pensiero anime di morti o esseri comunque incorporei, sia nelsonno sia nella veglia). Sulla traccia di tali esperienze (che noi giu-dichiamo psicologiche) luomo arriv a concepire lesistenza diunanima indipendente dal corpo. Applicando dunque tale conce-zione agli aspetti misteriosi del mondo, luomo primitivo avrebbeconcepito ogni essere e ogni oggetto naturale (pianta, animale, fiu-me, astro, ecc.) come animato da uno spirito simile a quello delluo-mo. In realt le religioni dei popoli arretrati danno largo posto aglispiriti della natura, delle piante, delle rocce, dei fiumi, dei boschi,della pioggia, dei morti, ecc.

    Le divinit dunque, con i loro caratteri individuali, non esisteva-no in origine. Solo assai tardi si sarebbe operato per effetto dellaevoluzione intellettuale delluomo un processo di riduzione nu-merica di spiriti, e di concentrazione di potere in essi. Lidea stessadi spiriti si sarebbe svolta via via in senso antropomorfo, fino al-la concezione di vari demoni e dei. Le divinit infatti si differenzia-no dagli spiriti, perch sono preposte a intere categorie di oggetti efenomeni (per esempio si pu avere un dio dei vari fenomeni cele-sti, un dio del sole-fuoco, una divinit della foresta e degli animaliselvatici, ecc.). Infine unulteriore fase devoluzione intellettualeavrebbe indotto luomo, attraverso unulteriore riduzione numeri-ca e concentrazione di potenza, a concepire un unico dio prepostoalla totalit delluniverso. Tylor sostiene pertanto levoluzione co-stante e universale (pi o meno rapida, secondo i casi), di ogni ci-vilt umana, attraverso le tre fasi religiose dellanimismo, politei-smo, monoteismo: una evoluzione che procede dal pi semplice(intellettualmente) al pi complesso.

    Quali sono i limiti della teoria tyloriana? Ne abbiamo gi indi-viduato il lato storicamente positivo. I suoi limiti derivano dai pre-supposti dai quali essa si muove, e cio levoluzionismo e lintellet-

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  • tualismo. In realt Tylor applica alla scienza religiosa i principi pro-pri della teoria darwiniana emessi in quel torno di tempo (1859) insede biologica e naturalistica. Il sistema delle tre fasi uniformi e co-stanti, da lui elaborato, ha tutti i caratteri di una legge evolutiva na-turalistica, e come tale mal si concilia con la natura tipicamente li-bera, imprevedibile, multiforme dei processi culturali. Tylor igno-rava o sottovalutava la sostanziale differenza esistente fra i proces-si biologici che sottostanno a leggi universali e i processi cultura-li, che si sottraggono a qualsiasi norma meccanicistica, e di cui soloretrospettivamente la scienza dei fatti umani, cio la storia, pu ri-cavare giustificazioni particolari e concrete. Del resto letnologiareligiosa non documenta nessun caso di cultura in cui possa rintrac-ciarsi il modello di una pura religione animistica, poich ogni civil-t religiosa, sia arretrata che progredita, contiene e combina, neimodi pi vari, elementi di tipo animista con altri non animistici.Possono operare, insieme o disuniti, spiriti, demoni, forze intrusi-ve, poteri di possessione su persone, esseri creatori, eroi culturalifondatori di regole sociali o di costumi, ecc. un apriorismo arbi-trario quello di postulare, fra i pi vari elementi, un prius e un po-sterius validi universalmente fuori dalle concrete vicende storiche eculturali.

    Quanto allintellettualismo tyloriano esso ha il duplice torto diidentificare e confondere (secondo una visuale del tipo post-illumi-nistico) luomo primitivo con luomo filosofo imprestandoindebitamente alluomo primitivo lintero bagaglio filosofico eculturale proprio delluomo del 1870, e di ridurre il fatto religiosoa prodotto meramente cerebrale, come se la religione fosse unasemplice credenza, o teoria, o dottrina, insomma una filoso-fia, e non un complesso di dati mentali pensati come esistenti.

    Tylor trascurava, fra laltro, laspetto psicologico del fatto reli-gioso, quellaspetto che era stato intuito assai bene da Vico. Glisfuggiva il contenuto essenzialmente irrazionale dellesperienza re-ligiosa con le varie manifestazioni di trance, estasi, visioni, posses-sioni, e con la tipica emozionalit pi o meno esaltativa propria diogni azione rituale, per cui la visione religiosa del mondo compor-

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  • ta un atteggiamento non gi filosofico, ma fideistico, e comunqueirrazionale ed emozionale. Ma tutto ci doveva solo pi tardi veni-re chiarito e scoperto, specie ad opera dei funzionalisti, i quali ad-ditarono per primi uninterpretazione della vita religiosa in fun-zione della vita profana, e in antitesi ad essa, come prodotti rispet-tivamente di un atteggiamento razionale (mondo profano) e irra-zionale (mondo religioso).

    3. Scuola inglese post-tyloriana; funzionalismo

    Fondatore della scuola funzionalista Bronislaw Malinowski,studioso dorigine polacca educato in Inghilterra, anchegli formato-si su esperienze di etnologia religiosa. Egli studi sul terreno la cul-tura melanesiana dei Trobriandesi, dandone resoconti etnografici vi-vidi e intelligenti. Per Malinowski la religione magia-religione poi-ch, quanto allorigine, magia e religione concordano, e sono unitetra loro. La distinzione fra le due, in questo autore, segue pressa po-co quella che vedremo pi oltre fatta da Frazer. Sia magia sia religio-ne unificano quel complesso di azioni pratiche e di miti che entranoin funzione in certe situazioni di crisi, di tensione emozionale. Ma-gia-religione agiscono, secondo Malinowski, in quelle situazioni taliche non offrono alcuna via duscita sul terreno pratico e razionale, eimpongono come estrema risorsa il ricorso alla dimensione sovran-naturale, attraverso azioni rituali e credenze mitiche. In queste azio-ni e credenze luomo riguadagna la propria fiducia di vittoria sullapaura e sul dubbio; egli ristabilisce il proprio equilibrio nei rapporticol mondo ( questa la teoria della fiducia) [Malinowski, 1925-1954: 87-88]. Magia-religione sono per Malinowski il completamen-to e insieme lantitesi della scienza, perch attraverso modi irraziona-li, esse assicurano alluomo quella completa signoria del mondo chela scienza, con la sua razionalit, pu stabilire solo entro limiti deter-minati. Insomma il campo che sfugge allattivit razionale resta occu-pato dalla magia-religione [Malinowski, 1935, vol. I].

    La teoria di Malinowski, con la sua unificazione di magia e reli-

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  • gione, con la sua impostazione basata sul rapporto preciso e vitalefra mondo profano e mondo magico-religioso, fra attivit raziona-le ed irrazionale, rappresenta una fase avanzata della scienza reli-giosa, da cui anche oggi dipendiamo in modo decisivo.

    Prima di lui, e dopo Tylor, la scuola inglese aveva dato larghicontributi anche ad opera di vari evoluzionisti, pi o meno diretta-mente legati allindirizzo di Tylor. Fra i pi importanti Robert R.Marett, il quale fonda la teoria dellanimatismo o preanimismo.Anni avanti, il vescovo missionario Codrington aveva fatto cono-scere in Europa, attraverso un libro che suscit largo interesse[1891], certe credenze e pratiche cultuali degli indigeni melanesiani,e in particolare quella tipica concezione diffusa fra essi che ha il no-me indigeno di mana. Mana , per i melanesiani, una forza o in-fluenza sovrannaturale che risiede nelle cose, negli esseri della na-tura, che presiede ad ogni forma di vita e a tutte le manifestazioninaturali. Esso anima il mondo (onde il termine animatismo). Ilmana impersonale, incorporeo e diffuso ovunque; si manifestasolo attraverso i suoi effetti; ma in certe cose, oggetti e persone es-so si trova in concentrazione pi forte. Per esempio il mana si con-densa intensamente in oggetti ritenuti particolarmente significativi,in esseri e persone che mostrano caratteri comunque abnormi, peresempio valenti guerrieri, cacciatori esemplari, vegliardi eccezional-mente sapienti, ovvero creature mostruose, nonch sciamani, stre-goni, maghi capaci di compiere operazioni taumaturgiche comeguarire malati, far venire la pioggia e perfino indurre malanni suinemici, ecc. Il mana dunque una forza impersonale ambivalente,di cui certe persone possono tuttavia impadronirsi per volgerne glieffetti a favore (maghi, sciamani) o a danno (streghe, fattucchieri)della societ. Ogni oggetto o persona carica di mana tabu, cioper effetto dellambivalenza del mana pericolosa, e deve essereevitata, o comunque trattata con particolari cautele e severe limita-zioni, poich il mana si ritorcer perniciosamente contro i trasgres-sori di tabu.

    Dopo la scoperta del mana melanesiano ad opera di Codrin-gton, si vennero a conoscere concezioni del tutto affini presso altre

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  • popolazioni primitive, cio il wakan degli indiani Sioux (U.S.A),lorenda degli Irochesi (Canada), ecc. Marett, partendo dai dati diCodrington, enunciava la sua teoria. Secondo lautore la forma piantica di religione, e in definitiva la sua definizione minima, consi-ste nella concezione di una forza impersonale e diffusa nel mondo,avente radice (differentemente dalla teoria intellettualistica di Ty-lor) in esperienze di emozione, mista di paura e venerazione, e con-giunta con pratiche di evitazione rituale (tabu) [Marett, 1914]. Lacredenza nelle anime (animismo di Tylor) secondo questo autorerappresenta una fase ulteriore e secondaria dellevoluzione religio-sa. In realt Marett, pur mantenendosi sulla linea dellevoluzioni-smo (dal mana si passa allanimismo, al politeismo, al monotei-smo), corregge la teoria animistica con quella preanimistica, erivaluta il fattore emozionale nella considerazione dei fatti religio-si. Il merito suo soprattutto di aver posto in luce un certo tipo dimanifestazioni mitico-rituali come il mana-tabu, e di aver loro ri-conosciuto la qualifica di fenomeni religiosi, allargando in tal mo-do il concetto di religione anche pi di quanto non avesse gi fattoTylor con la sua intuizione della religione animista.

    Altro eminente studioso che si muove sulla scia dellevoluzioni-smo James G. Frazer, autore di unimportante opera in 12 volu-mi, The Golden Bough [London, 1914-1917; Torino, 1950], nellaquale raccoglie e pone a raffronto unimmensa documentazione de-sunta dalle religioni dei popoli primitivi, nonch dalle arcaiche so-pravvivenze proprie delle religioni classiche, e del folklore religio-so moderno europeo. La tesi di Frazer che unet della magia pre-cedette quella della religione nellevoluzione dellumanit. Il con-cetto di religione da lui messo in rapporto con quello di magia, va-lendo luno ad illuminare laltro. La religione un insieme di cre-denze e pratiche volte ad ottenere, mediante un atteggiamento re-missivo di venerazione e preghiera, il favore delle potenze sovran-naturali in modo che esse operino nel senso di assecondare i biso-gni e i desideri delluomo. La magia, pi arcaica della religione, se-condo Frazer agisce in virt di un principio coattivo e non remis-sivo, poich luomo, attraverso le pratiche e credenze magiche, in-

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  • tende forzare la natura e le potenze sovrannaturali, affinch esseoperino nel senso pi desiderato e propizio al soggetto o alla socie-t da esso rappresentata. Insomma, mentre nella magia il rapportofra soggetto (praticante) e oggetto (potenze sovrannaturali) di na-tura meccanica e coattiva (luomo domina le potenze mediante ritiadeguati), nella religione tale rapporto di natura comunicativa edevozionale: luomo cerca di stabilire una comunicazione con lepotenze mediante la devozione.

    Merito di Frazer di aver raccolto e illustrato un immenso ma-teriale sulle religioni primitive e di aver posto il problema deirapporti tra magia e religione, anche se la soluzione chegliescogit, conformemente a criteri evoluzionistici e schematici, og-gi appare del tutto superata. In realt qualsiasi rito magico, peresempio un sacrificio per lincremento dei prodotti del campo, ouna danza mimica volta ad assicurare una prospera caccia, si svolgein unatmosfera dintensa partecipazione e in modi che denotanounaustera considerazione delle potenze sovrannaturali da parte deipartecipanti, come si conviene ai riti da Frazer qualificati religio-si. Per converso qualsiasi rito religioso mira, in modo pi o me-no consapevole ed immediato, a stabilire da parte dellindividuo unrapporto utile e vantaggioso con le potenze, ed ozioso e vano iltentativo di sceverare, per esempio, nella preghiera o nel sacrificioecc. di religioni elevate, quanto, pur nellumilt e nella devozione,non sia volto a garantire, per lofferente, un favorevole andamentodelle cose. La realt che atteggiamenti magici e religiosi inter-feriscono e sintrecciano continuamente fra loro, onde il problemadei loro rapporti pu risolversi soltanto unificando gli uni e gli al-tri in ununica categoria storica e culturale, che alla base del mon-do magico-religioso. Esistono indubbiamente differenze di livel-lo culturale tra forme religiose prevalentemente e strettamente lega-te ai bisogni vitali pi immediati delluomo, e forme religiose voltein prevalenza al conseguimento di benefici pi indiretti o meno im-mediati (talora perfino trascendenti), ma non per questo meno im-portanti. Forme delluno e dellaltro tipo normalmente coesistonoin ogni religione anche moderna e progredita. Orbene, tali differen-

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  • ze di livello vanno riportate al diverso grado di sviluppo storico eculturale dei gruppi, dei ceti, o degli individui portatori.

    merito di Frazer dunque aver dato, nellopera sua, una nuovadignit culturale alla cosiddetta magia, ponendo un problema chedoveva valere, sia pure in modo indiretto e pi tardi, ad amplifica-re ulteriormente laccezione del concetto di religione. Tale oggi ap-pare retrospettivamente il valore positivo del suo contributo, anchese egli al contrario scisse la magia dalla religione.

    Alla stessa scuola evoluzionista inglese appartiene AndrewLang, il quale mise in evidenza e contribu a far conoscere alcunecredenze proprie di civilt primitive di cui non si era avuta prece-dentemente nozione [1887; 1900]. Utilizzando materiale etnografi-co recente su certe civilt indigene australiane (Australia sud-orien-tale), presto arricchito da materiale riguardante i Pigmei, i Boscima-ni dAfrica e anche altri popoli arretrati, Lang pone in risalto la cre-denza, comune a questi popoli, in un Essere supremo celeste (highgod). Si trattava di genti di cultura oltremodo arretrata, viventi inun regime tecnico-economico di caccia, raccolta e pesca, che si puparagonare con i modi di vita dei popoli paleolitici. Perci Langisol la credenza in questione dalle altre forme religiose coesistentipresso le stesse civilt, e credette di concludere che la credenza inun essere supremo rappresenti la forma di religione pi elementare,e in definitiva la pi arcaica di tutte. Dunque per Lang la religione, nella sua minima essenza, la fiducia in un essere o dio supremo.Secondo lui, luomo primitivo sarebbe pervenuto a questa creden-za meditando intorno alle cause e allorigine dei molteplici fenome-ni del mondo. Pi tardi sarebbero subentrate, per effetto di degene-razione intellettuale, le altre forme di religione, cio animismo, ma-gia, politeismo, ecc., dettate da un crescente potere della fantasia edella volubile irrazionalit.

    La teoria di Lang si mantiene sulla linea dellevoluzionismo, se-nonch egli rovescia la sequenza di Tylor, ponendo al primo postoquel monoteismo che laltro aveva posto allestremo gradino del-levoluzione. Da Tylor tuttavia Lang riprende anche la tesi intellet-tualistica che considera luomo primitivo come filosofo.

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  • Le tesi di Lang furono ampiamente riprese e sviluppate da PadreWilhelm Schmidt [1908-1909; 1927-1955], che sostenne la teoria delcosiddetto monoteismo primordiale. Schmidt fondava a Mdling(Austria) la scuola storico-culturale, volta allo studio delletnologiasecondo criteri che volevano liberarsi dagli schemi evoluzionistici,ma che risentono notevolmente dellorientamento teologico deipropri cultori. Padre Schmidt ebbe il merito di raccogliere unim-ponente mole di materiale sulle religioni primitive, ordinate da luisecondo il criterio del livello culturale (culture primitive o Ur-kulturen, di popoli cacciatori-raccoglitori; culture primarie dipastori nomadi, di grandi cacciatori, di zappatori; culture seconda-rie o terziarie, sorte da incrocio di culture primarie tra loro con cul-ture primitive), affermando la priorit assoluta del monoteismonello sviluppo religioso dellumanit. Il monoteismo primordia-le(Ur-Monoteismus) per lui frutto di riflessione razionale del-luomo, e insieme di rivelazione diretta ricevuta da Dio. Dal mono-teismo lumanit sarebbe discesa verso il politeismo, il totemismo,lanimismo, la magia, ecc., per un processo di degenerazione insitanella natura peccaminosa delluomo1.

    Questultimo argomento rivela significativamente il preconcet-to teologico che sta alla base della tesi di Padre Schmidt, per il qua-le scienza e teologia indebitamente si fondono e confondono fra lo-ro. Notevole peraltro il contributo di questautore, e cos anche diLang, alla scienza delle religioni, per aver essi ampiamente valoriz-zato la religione dellessere supremo, particolarmente frequente fracivilt assai arretrate come (oltre quelle gi dette) i Fuegini, Anda-manesi, Indiani delle Praterie, nonch i popoli pastori dellAsiacentrale e settentrionale, e moltissime popolazioni di agricoltori-al-levatori negri africani, ecc. Va precisato tuttavia che lessere supre-mo delle religioni primitive non va confuso con il vero monoteismosorto solo in Israele, proseguito dal Cristianesimo e dallIslamismo,e che consiste nellaffermazione del dio unico e contemporanea ne-gazione di tutti gli dei il cui culto precedette storicamente il mono-teismo. Il problema stato oggetto di ampio studio ad opera diRaffaele Pettazzoni, lo studioso (1877-1959) che ha fondato in Ita-

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  • lia la storia delle religioni. Egli, in una serie di opere dedicate al pro-blema delle origini dellidea di Dio e alla religione dellessere supre-mo, ha dimostrato [specialmente vedi: 1955; 1957] che la religionedellessere supremo, propria di civilt oltremodo arretrate, coesiste,in ciascuna desse, con infinite altre forme religiose come magia,animismo, totemismo, ecc. Essa risponde ai bisogni di civilt espo-ste, per il loro precario regime di esistenza, alle alterne e determi-nanti vicende del cielo; insomma la figura mitica del cielo, e per-tanto egli creatore, onnisciente (come il cielo che tutto scorge), espesso ritenuto ozioso (dopo levento mitico originario della crea-zione); da lui luomo dipende per il proprio sostentamento, cio laselvaggina (riguardo alla caccia) e la vegetazione (raccolta di piantee frutti). Lessere supremo (anche), per le civilt della caccia, si-gnore degli animali, per i pastori-nomadi signore del cielo. Ma peri popoli agricoltori, che dalla terra traggono il sostentamento, essolascia luogo ad una figura sotterranea di Madre Terra. Erroneo per-tanto parlare di monoteismo nelle civilt primitive, perch les-sere supremo non che una delle molteplici potenze ed entit mi-tiche operanti in tali religioni (insieme agli spiriti dei morti, agli an-tenati mitici, agli esseri totemici, agli spiriti guardiani, ecc.) e nessu-na di queste entit viene negata, come viceversa avviene negli auten-tici monoteismi. Aggiungeremo che erroneo anche parlare diDio, perch lessere supremo non ha i caratteri propri delle figu-re divine del politeismo e del monoteismo (non ha immortalit, nperenne attivit, n individualit ben delineata).

    Quanto a Schmidt, se da un lato egli tende a far nuovamentecoincidere lidea di religione con lidea tradizionale cristiana e po-sitivistica di un culto di Dio, daltro lato costretto ad accettare co-me altrettante forme di religione (bench secondo lui pi impu-re) anche il totemismo, lanimismo, il culto dei morti, il culto del-la Terra Madre, ecc. In realt era difficile sottrarsi ormai, nonostan-te i preconcetti in contrario, allimpegno di riconoscere al concettodi religione unampiezza commisurata al grado di conoscenze rag-giunte nel campo etnologico.

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  • 4. Scuola sociologica

    Una strada diversa e nuova battono, per ci che concerne la teo-ria della religione, gli autori della scuola sociologica francese, sortaad opera di Emile Durkheim [1912]. Durkheim elabora una signi-ficativa definizione di religione. La religione egli scrive [ib.: 65] un sistema unitario di credenze e pratiche relative alle cose sacre,cio alle cose separate: credenze e pratiche che unificano entrouna unica comunit morale, detta chiesa, tutti coloro i quali ade-riscono ad essa. Come si vede, mentre lessenza della religionemanca di essere positivamente individuata (ma riferita a sua voltaa unidea del sacro visto tautologicamente come cosa diversa,separata, proibita rispetto al vivere quotidiano), laccento cadeper Durkheim su un aspetto particolare della religione, laspetto so-ciale, anzi sociologico; e in questo egli risolve la totalit della vitareligiosa. Non a caso Durkheim sceglie, dal materiale etnologico,quello concernente una formazione religiosa carica di valore socia-le, cio il totemismo degli aborigeni australiani. Il totemismo infat-ti, attraverso una mitologia sacra e determinati riti, lega tra loro icomponenti di un medesimo gruppo (clan) totemico, rinsaldando-ne i vincoli sociali e garantendo lunit del gruppo stesso. Dur-kheim scopriva il totemismo, cos come Tylor aveva scoperto lani-mismo, Marett il mana-tabu, Lang lessere supremo, ecc. E questo fra i suoi meriti uno dei pi positivi. Per Durkheim la religionenon un fatto individuale, ma interessa e investe unintera societ.La religione uno strumento di coesione degli individui entro lasociet. Diremo subito che arbitraria lidentificazione cheglicompie fra una chiesa e una societ unita nel segno della religio-ne: molte religioni, per esempio lo stesso totemismo, le religioniclassiche, lo Shintoismo, i vari politeismi, tutte le religioni primiti-ve, non hanno e non sono chiese.

    Durkheim, e con lui gli autori della scuola sociologica francesecome Hubert, Mauss, e soprattutto Lucien Lvy-Bruhl, hanno ilmerito di aver scoperto la funzione sociale della vita religiosa. Infat-ti anche oggi per noi la religione rappresenta un prodotto culturale

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  • che riceve la sua sanzione da unintera societ. N esiste una reli-gione (in senso scientifico e non convenzionale) propria di un soloindividuo, poich lindividuo riceve la sua religione dallambiente,dalla tradizione, dalla societ di cui fa parte: e quandanche una per-sonalit religiosa crei e fondi un nuovo messaggio di salvezza (peresempio i vari profeti fondatori, da Mos, Ges, Maometto, a LaoTze, Budda, e ai tanti profeti delle religioni primitive), esso non di-viene religione finch non esistano seguaci disposti a farlo proprioe a sostenerlo come vero ed efficace: cio, in definitiva, fin quando ilmessaggio non si dimostri adatto a interpretare e ottemperare esi-genze diffuse entro una societ, e condivise da una collettivit. Ora,questa interpretazione e valutazione sociale della religione ilfrutto di una scienza religiosa moderna che molto deve ai sociologitest menzionati. Certo v un limite grave nelle teorie dei sociologifrancesi, e dei loro pi o meno diretti eredi dInghilterra. La scuolainglese di antropologia sociale, con Radcliffe-Brown, Nadel, ecc.,nonch Malinowski con il suo funzionalismo, sono largamentedebitori verso la scuola sociologica francese, e risentono profonda-mente delle tendenze sociologiche provenienti da Durkheim.

    Vediamo ora in che cosa stia il limite delle teorie sociologiche.Ci rifacciamo perci a Lvy-Bruhl. Autore di importanti saggi dietnologia religiosa, che massimamente contribuirono nei tempi re-centi a diffondere linteresse per i problemi etnologici e storico-re-ligiosi [Lvy-Bruhl: 1918, trad. it. 19731; 1922; 1935, trad. it. 19732;1948; 1952]. Lvy-Bruhl ritiene che la religione sia espressione diuna categoria affettiva del sovrannaturale, cio di una misticacompenetrazione delluomo con la societ e il mondo. Tale cate-goria opera sempre e solamente in rapporto a manifestazioni col-lettive, nelle quali precisamente lindividuo celebra esaltativamenteo misticamente (come avviene in generale nei riti di religioni primi-tive) la propria partecipazione (legge di partecipazione) con lin-tera societ e gli elementi del cosmo. Ogni rito celebra, secondo L-vy-Bruhl, la spersonalizzazione dellindividuo e il trionfo delluni-t sociale. Questa teoria in realt sviluppa i concetti fondamentaligi enunciati da Durkheim.

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  • Partendo dalla suddetta interpretazione si doveva finire facil-mente col vedere nel fatto religioso una sovrastruttura sociale laquale assorbe ed annulla lindividuo, per il vantaggio di una socie-t ipostatizzata e mitizzata come entit a s. Radcliffe-Brown acco-glie e fa proprio precisamente tale concetto di religione. Egli ritie-ne che ogni religione sia il prodotto di una societ la quale, mercessa, difende la propria esistenza che autonoma, indipendente edestranea rispetto allesistenza degli individui [Radcliffe-Brown,1952: 124 sgg., 176 sgg.; trad. it. 1968].

    La stessa tesi intorno alla natura della religione perseguita pirecentemente da R.F. Leach [1954], Le attivit religiose sono sem-plici espressioni simboliche concernenti lordine sociale. SecondoLeach, esse fanno parte della sfera del sacro, del mondo cio tecni-camente non funzionale, laddove un tipo opposto di attivit rap-presentato da ci che tecnicamente funzionale, profano. La di-stinzione tra sacro e profano risale, come si visto, a Dur-kheim. Leach, in pi, coglie il valore simbolico delle manifestazio-ni religiose, e questo un apporto importante.

    Mentre dunque la scuola sociologica francese e quella inglesehanno avuto il merito di porre per la prima volta una giusta enfasisulla necessit di valutare gli aspetti e le funzioni sociali della vitareligiosa, hanno finito col cadere in unindebita esaltazione del-lidea di societ, perdendo di vista il rapporto dialettico esistente frasociet e individuo. Sar bene precisare che in virt di tale rappor-to solamente oggi resosi chiaro in seguito al progredire degli stu-di sulla scienza delluomo la religione soddisfa esigenze individua-li e insieme collettive poich se da un lato la societ vive negli indi-vidui che la compongono, questi a loro volta trovano nella societla matrice della propria cultura e tradizione. Pertanto la religionenon pu legittimamente essere considerata n come una manifesta-zione meramente individuale, n univocamente sociale, bens essa una manifestazione dellindividuo nel quadro della societ di ap-partenenza.

    Con la corrente sociologica e quella funzionalista la prima ri-fluita largamente nella seconda attraverso lopera di Malinowski e

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  • seguaci, lantropologia religiosa si ferma a guardare, a quanto ri-sulta da ci che si detto fin qui, la natura della religione nei suoirapporti attuali e concreti o con il mondo profano in genere, o conle esigenze sociali in senso stretto. messo in disparte, come si ve-de, il problema storico posto gi in modo del resto inadeguato edastratto dallevoluzionismo, ed entro certi limiti dalla stessa scuo-la storico-culturale, sulle pretese prime origini della religione nellacivilt umana.

    Come si vede, il contributo delle varie scuole e correnti, qui pre-se in esame, non tanto retrospettivamente parlando nelle unila-terali soluzioni teoriche che esse escogitarono circa il problema del-lorigine o natura della religione; bens, ci che rimane fondamen-tale, piuttosto che tutte le correnti suddette, in modi diversi casoper caso, si muovono su un fondo comune, che lo studio compa-rato delle religioni dei popoli, e specialmente dei popoli cosiddettiprimitivi.

    5. Altri sviluppi

    Pur dopo e sopra le correnti particolari gi viste, studiosi con-temporanei o recenti si sono seguiti in gran numero nel tentativo dicogliere, pi o meno metodicamente, il profondo senso universaledella religione. Per quanto il compito, alla luce dellormai maturaconoscenza etnologica, sociologica, fenomenologico-religiosa epsicologica dovesse apparire pi agevole, esso in concreto non haancora trovato soluzioni soddisfacenti su un piano di completezzae coerenza scientifica. Si tratta pur sempre di concetti parziali, didefinizioni allusive pi che analitiche, di formulazioni scarsamenteprecise e concrete. Ci limiteremo a tratteggiare alcune fra le pirappresentative. Alcuni tuttora persistono nellasserire lindefinibi-lit della religione. Uno di questi lamericano Edward Sapir, chescrive: La religione uno di quei termini che appartengono allazona pi tipicamente intuitiva del nostro vocabolario [1949: 346].Per Sapir, il senso e il valore della religione pu soltanto intuirsi,

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  • non definirsi. In qualche modo questa affermazione va riallacciataa quella corrente di studio romanticamente ispirata, che ha il suogrande nome in Rudolf Otto. Per questo autore la religione si risol-ve nel mondo del sacro, e il sacro esattamente ci che non pudefinirsi se non come altro dal mondo normale (vedi per questo an-che Durkheim, nonch Caillois [1939], Eliade, Van der Leeuw,ecc.). Il sacro, per Otto, ha la caratteristica di essere un fenomenoambivalente, cio insieme fascinoso e tremendo: esso attrae e fapaura. Tale il carattere di tutto ci che rientra nella vita religiosa[Otto, 1926]. Ma questa tuttal pi una caratterizzazione psicolo-gica del fatto religioso: non certo una definizione antropologicadella religione come fatto culturale, sociale, avente una sua precisafunzione nella vita individuale e collettiva. interessante tuttavianotare che molti altri autori condividono questo genere dinterpre-tazione, di tono chiaramente romantico. Del resto s visto cheunanaloga caratterizzazione della religione in senso psicologicoera gi presente in Marett, per il quale la religione esprimeva unsenso di venerazione e insieme di paura verso il sovrannaturale.Anche Robert Lowie, etnologo americano, considera la religionecome il riconoscimento, in una od altra forma, di certe manifesta-zioni straordinarie della realt, ispiranti timore e venerazione (awe-inspiring). In sostanza Lowie fa sua la teoria del sovrannaturali-smo, gi di Marett e di Goldenweiser. Egli afferma che la religio-ne si risolve in un senso di mistero, di sovrannaturale, straordina-rio (weird), sacro, divino [Lowie, 1960: pp. XVI-XVII, 339], e so-stiene che la distinzione fra naturale e sovrannaturale spon-tanea in tutti gli uomini, anche fuori da unesatta formulazione dici che sintende per natura. La teoria sovrannaturalista di Lo-wie , come molte altre gi viste, una qualificazione unilaterale,dordine psicologico, data alla religione, e Lowie stesso conscio diquesto limite [ivi: 338]. In particolare c da osservare che il concet-to di sovrannaturale quanto mai problematico, e ben se ne av-vede un altro intelligente e moderno autore, Nadel, che insiste tut-tavia su un analogo sovrannaturalismo, e dice: La religione linsieme di credenze e pratiche che implicano una comunicazione

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  • o un controllo rispetto al sovrannaturale [1954: 3]. Nadel avvalo-ra la sua affermazione con losservazione che certe popolazioni pri-mitive (i Nupe dellAfrica occidentale) distinguono con termini di-versi linsieme delle esperienze sacrali congiunte col sovrannatura-le, rispetto a quelle quotidiane e secolari [ivi: 5-6]. Nadel inoltre,con Lowie, riconosce oramai lunit della magia e della religione:nella suddetta definizione il concetto di comunicazione va riferi-to propriamente alle manifestazioni religiose di rango pi elevato,laddove il concetto di controllo da riferirsi a manifestazioni dicarattere prevalentemente magico. Tuttavia per Nadel sia le pri-me che le seconde rientrano in ununica idea, quella dei rapporti colsovrannaturale.

    Noi da parte nostra ci proponiamo di uscire dagli equivoci insi-ti nel termine sovrannaturale2. Qualsiasi fenomeno naturale,come nascita, morte, stagioni, ovvero crescita delle piante, pioggia,riproduzione, nutrimento, ecc., pu, in determinate condizioni eper certi aspetti e funzioni, entrare nel dominio della vita religiosae costituire parte determinante, estremamente significativa, e dun-que sacra, di essa. Appare dunque inopportuna, ingiustificata,confusa lopposizione fra un mondo sovrannaturale della religio-ne e un mondo naturale oggetto della vita profana. Converrpiuttosto sceverare, nel dominio delle esperienze esistenziali del-luomo, ci che volta per volta cade entro la sfera di controllo tec-nico-razionale, e ci che invece ne resta al di fuori. La religione ri-copre esperienze di questultimo ordine, mentre le prime costitui-scono in s il dominio della vita profana. Pertanto un medesimofatto, per esempio la crescita delle piante, in certe condizioni, pres-so culture arretrate, pu investire insieme entrambi i due ordini diesperienza, sia religioso sia profano. Praticamente, un medesimoindividuo che accudisce alle opere di coltivazione con impiego diprimitivi attrezzi tradizionali e di una tecnica razionale e sensata,per quanto rudimentale, nel contempo si affida, per tutti i vari egravi imponderabili che pesano sullesito delle sue fatiche agricole,al complesso di riti e di operazioni magico-religiose volte a garan-tirlo contro le avversit: egli in tal modo unisce il razionale con lir-

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  • razionale, lazione profana e quella religiosa. Profano il mondodelle esperienze tecniche e razionali (costruzione e uso di attrezzi,regole di coltivazione, ecc.), religioso il mondo di esperienze irra-zionali (paura di rischi, apprensione per calamit incontenibili,ecc.), con le istituzioni rituali che attuano la garanzia dai rischi edalle calamit incontrollabili.

    Nella schiera degli scienziati dellepoca del secondo dopoguer-ra, sono particolarmente da segnalare Mircea Eliade e GerardusVan der Leeuw. Eliade uno dei pi consapevoli, vivaci ed espertiautori di scienza delle religioni. Egli indica la religione come uninnato desiderio delluomo di uscire dal mondo e di ritornare a cer-te sue archetipiche origini: una autentica nostalgia del paradiso,per dirla con Eliade stesso. La sete di realizzare unesistenza idealee paradisiaca fuori dal livello umano normale, indietreggiando difronte alla storia che incute angoscia, il fondamentale significa-to della religione per Eliade. Il quale peraltro, coglie aspetti essen-ziali della religione in genere, e risente del psicologismo di Jung. Ilsuo limite pi grave sta nella tendenza irrazionalistica dalla qualeegli fondamentalmente ispirato. Egli tende a sottovalutare quelvalore e significato realista che la religione svolge in funzione dellavita quotidiana e profana. Tale valore era stato scoperto gi dai fun-zionalisti. Del resto pure in noi, di scuola pettazzoniana, prevalelorientamento realista, in base a fini e concreti bisogni delluomonella vita quotidiana. I riti religiosi tendono a garantire, assicurareaspetti ordinari, esigenze profane, come salute, benessere, soddisfa-zione della vita soggettiva e collettiva, rispetto e contro i mali in ge-nerale.

    A sua volta Van der Leeuw, olandese calvinista militante e fon-datore della fenomenologia religiosa, trasporta nella sua conce-zione della religione il proprio corredo di esperienze religiosamen-te impegnate, e tende a scorgere nelle religioni a qualunque livelloanche il pi arretrato un sublime e mistico rapporto con Dio e conle cosiddette Potenze sovrannaturali, promosso da esperienzeesistenziali aventi al loro fondo una condizione di timore e di an-goscia. Il complesso, ricco e significativo pensiero di Van der Le-

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  • euw, sul quale non possiamo ulteriormente fermarci, trova un no-tevole limite nella sua interpretazione, tendenzialmente statica e te-leologica della vita religiosa. Anche nelle religioni primitive e in ge-nere non cristiane egli attribuisce un valore di rivelazione ten-denzialmente assoluto, e in ci dimostra di applicare, indebitamen-te e inconsapevolmente, valori propri del Cristianesimo a religionianche radicalmente diverse, cio volte a salvaguardare direttamentedesideri e bisogni nettamente profani della vita. [Van der Leeuw, 9-15, 332-335, 452-462, 662-665].

    Sia Eliade che Van der Leeuw, pur in modi diversi e con diffe-renti indirizzi, offrono della religione come si vede interpretazio-ni di tipo irrazionalista, nelle quali essi partono da presunti arche-tipi innati (larchetipo del paradiso), ovvero dallesigenza di uncoinvolgimento psichico incontrollato: entrambe opzioni estraneealla scienza.

    Una perspicua definizione di religione suggerita pi recente-mente da uno studioso inglese, Robert Horton, il quale affronta ilproblema di una qualificazione generale delloggetto [Horton, 1960:201-227]. Egli osserva anzitutto che la caratteristica della vita reli-giosa quella di stabilire rapporti di tipo umano con entit non-umane (= sovrumane). A proposito, egli rivela come i rapporti frapersone oscillino, pur attraverso uninfinita gamma di variazioni in-termedie, attorno a due poli opposti o tipi estremi, cio un tipo dirapporti comunicativi, com, per esempio, fra due amanti o fradue persone legate da vincoli del tutto disinteressati, ed un tipo dirapporti chegli designa (con termine immaginoso) manipolativi,cio coercitivi. Tale per esempio il rapporto tra due uomini chetrattano un affare, e tendono a ottenere ciascuno il massimo vantag-gio personale. La distinzione risale originariamente a Nadel, cheparla come si detto di comunicazione (cfr. i rapporti di tipocomunicativo di Horton) e di controllo (cfr. i rapporti mani-polativi o coercitivi di Horton). Nei rapporti di tipo comunicativo,come sintuisce, ciascuno dei due esponenti pone il suo centro din-teresse nella persona dellaltro, che assume per lui un valore moral-mente autonomo non utilitaristico. Nei rapporti di tipo coercitivo,

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  • allopposto, ci che interessa ciascuna delle parti non affatto la per-sona dellaltra, bens il proprio esclusivo vantaggio a cui il soggettomira in ogni modo di giungere. Orbene, osserva acutamente Hor-ton, anche verso enti non-umani dambito religioso, luomo oscillafra identici tipi di relazioni, cio fra un atteggiamento umile, devo-to, comunicativo, e un atteggiamento attivo, volitivo, insommacoercitivo. Horton qui riprende implicitamente la distinzione fra at-teggiamenti di carattere magico (con la teoria di Frazer) e altri dicarattere elevato (secondo Frazer, religioso). Dei due tipi di com-portamenti tuttavia afferma lunit intrinseca.

    Ci premesso, nel definire la religione, egli adotta una formulaparticolarmente sintetica. La religione egli scrive lestensionedel campo dei rapporti sociali oltre i confini della vera societ uma-na [Horton, 1960: 211]. E aggiunge subito che la peculiarit delrapporto fra uomo ed entit sovrumane (= le potenze oggettodella sfera religiosa) sta nel fatto che luomo si sente in posizionedi dipendenza rispetto a tali entit.

    La definizione sostanzialmente rivela, pur nella notevole ampli-ficazione dei suoi termini, una parentela diretta con la sociologiareligiosa francese ed inglese (Durkheim, ecc., Radcliffe-Brown econtinuatori), inserendo il fatto religioso nel grande quadro deirapporti sociali. La suddetta definizione ha il merito di chiarire lanatura ambivalente del rapporto tra uomo e potenze (il non-uo-mo di Horton), sottolineando lunit dei due momenti coercizio-ne-soggezione propri dellatteggiamento religioso. Tuttavia, nelmomento in cui la teoria di Horton raccoglie in un quadro unitarioi rapporti sociali normali (fra uomo e uomo) e quelli religiosi (orapporti sociali estesi), essa lascia aperti importanti quesiti. Per-ch, infatti, e in funzione di che si attua la postulata estensione dirapporti normali al di l del livello propriamente umano? In altritermini, a che vale per luomo porsi in rapporto con siffatte poten-ze? che ruolo esse svolgono? a quali esigenze risponde lammetter-le, cio il coartarle o lassoggettarvisi? Certo, le potenze religiose daun canto, la societ normale dallaltro hanno verso luomo funzio-ni distinte ed autonome.

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  • Sono interrogativi fra i pi elementari, che ripropongono, inso-luto, il problema di partenza, cio individuare senso e funzione del-la vita religiosa.

    Unulteriore definizione del concetto di religione, pi completaed eclettica, merita qui di essere debitamente valutata in prospetti-va antropologica, per fondarsi su unestesa comparazione scientifi-ca. la definizione data da Raymond Firth, anziano e geniale an-tropologo inglese, che funse per noi da importante guida con i suoisaggi monografici di culture indigene. Secondo Firth, la religionepu definirsi come rapporto che lega luomo alla sua societ, neisuoi fondamentali fini e modelli di valore, per il tramite di specifi-che entit e potenze sovrumane [Firth, 1959: 129-148, partic. 131].Qui alla valutazione del fatto religioso come fatto dordine sociale(luomo nella sua societ) si unisce ci che in Horton mancauna visione funzionale della religione vista nei suoi rapporti, cionella sua funzione rispetto a certi determinati fini e modelli divalore umani. Questa prospettiva particolarmente intelligente efeconda di Firth deriva dal funzionalismo di Malinowski, cui lau-tore inglese direttamente legato. Le monografie di Firth sulle ci-vilt primitive da lui studiate sul terreno, si distinguono per la chia-ra luce che vi si getta sulla vita religiosa, attraverso lo studio dei rap-porti con la vita tecnica, economica, e profana in genere. Tuttaviaresta ancora da definirsi quale specifico ruolo sia quello che adem-pie la vita religiosa rispetto ai fini e valori umani, a confrontocon la vita profana (la quale pure, a suo modo, provvede ai medesi-mi fini e valori).

    Il fatto si che la vita religiosa interviene noi diremo comestrumento di protezione estrema (cio di salvezza e garanzia)di quei fini e valori, di fronte a situazioni ed esperienze non con-trollabili dalle attivit profane. ci che diremo tra breve. Intantosar bene qui ripetere quanto Firth stesso, subito dopo ha precisa-to circa il ruolo e la natura della religione. Il rapporto che si attuanella religione egli scrive [ibid.] affronta problemi di salvezza ebenessere sia spirituale sia materiale, ed implica anche problemiconcernenti il senso ultimo da dare allumana esistenza. Quanto ai

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  • mezzi di cui si avvale, essi sono sostanzialmente concepiti come ex-traumani. Essi implicano unidea di esistenza metaempirica con re-lative sanzioni ultraterrene. Implicano insomma unesperienza dientit e forze sovrannaturali assunte come vere, ed implicano anchecerti modi di agire facenti capo ad espressioni simboliche. Attraver-so queste ultime, detti concetti e dette esperienze, entrano in rap-porto con gli umani desideri in modo da dar loro un senso. Inol-tre aggiunge Firth con una fondamentale sottolineatura, modidagire, concetti ed espressioni simboliche rivestono un particolarecarattere sacro, insomma tendenzialmente stanno a parte, comefenomeni distinti, rispetto alla vita ordinaria, non-religiosa. Tali fe-nomeni (ossia pensieri, azioni e interventi) si impegnati ed obbli-gati a rispettarli. I detti modi dagire, i concetti, e le espressioni sim-boliche sono condivisi da un gruppo o comunit dindividui, o dauna chiesa. Comunque la religione opera ove si esiga una sceltae dove esista un dilemma. Essa stessa poi crea problemi e modi pro-blematici che solo essa stessa pu risolvere.

    Una prospettiva insieme antropologica e semiologia seguitadallantropologo statunitense Clifford Geertz nellanalisi chegli fadei caratteri della religione in rapporto alla cultura. Il saggio diGeertz, del 1966, intitolato significativamente, La religione comesistema culturale [Geertz, 1969: 85-101], ed denso di concettua-lizzazioni assai generali, al limite fra antropologia e filosofia. Cer-to il suo argomentare , un po etnocentricamente, legato a catego-rie logiche e culturali specifiche della nostra civilt moderna scien-tifica: si veda pi oltre quanto egli dice a proposito del senso co-mune, della prospettiva scientifica e della prospettiva esteti-ca, come categorie autonome e tutte ben distanti dalla prospetti-va religiosa. Viceversa noi sappiamo che fra le civilt prescientifi-che di livello etnologico non si rintraccia n questa autonomia nquesta grande distanza, ma le varie esperienze umane fondono in-sieme religione, razionalit e senso estetico. Tuttavia limpostazio-ne del saggio e alcune formulazioni in esso contenute mi sembranopositive e importanti anche in riferimento al nostro assunto, che quello di comprendere qualche cosa di pi, in senso antropologico,

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  • circa il fatto religioso, proprio in relazione generale alla cultura.Geertz anzitutto sottolinea il valore simbolico della religione

    nel contesto della cultura, questa stessa essendo da intendere, giu-stamente, come un complesso di elementi e istituti prodotti dallat-tivit simbolica delluomo. In particolare la religione ossia ognireligione include in s due complessi simbolici, cio: 1) un com-plesso di simboli verbali (nomi di enti sovrannaturali, formule in-vocatorie ed esorcistiche, recitazioni o canti, preghiere, inni, ecc.)e, 2) un complesso di simboli pratico-gestuali (i vari gesti e le variepratiche rituali). Questa distinzione corrisponde pressa poco aquella che noi facciamo usualmente fra sistema di credenze e si-stema rituale. Ma Geertz precisa che, rispetto a tutti gli altri sim-boli costituenti la cultura in generale, i simboli religiosi hanno unvalore sacrale. Ci vuol dire che essi sintetizzano unintera conce-zione del mondo, e insieme agiscono sul piano operativo nella vitaquotidiana con una loro carica pragmatica. Tali simboli dunqueorientano, in rapporto alla detta concezione del mondo, le disposi-zioni degli esseri umani facenti parte di una data societ e cultura.Dunque, osserva Geertz, i complessi simbolici della religione sipresentano come altrettanti schemi culturali o modelli cultura-li. Questi modelli sono insieme dice il nostro autore dei mo-delli di e dei modelli per. Che cosa significa modelli di? Signi-fica modelli concettuali, che cio implicano una determinata con-cezione o visione del mondo, e sono modelli creati tipicamentedalla cultura umana. I modelli per a loro volta riguardano il com-portamento individuale e collettivo, insomma sono schemi aventila funzione di guida etica e comportamentale. Ovviamente i mo-delli di e i modelli per stanno in un continuo rapporto di reci-procit. Non per nulla gli uomini di una data societ e cultura so-no indotti, dalla tradizionale loro concezione e visione del mondo(modelli di) a seguire determinate norme prescrittive e inibitive,determinati divieti o tabu, determinate regole inviolabili (la loroviolazione empiet) nei rapporti con gli altri (modelli per). dunque evidente il carattere simbolico e sacrale dei modelli in que-stione, i quali perci costituiscono linsieme della tradizione, co-

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  • me tale appunto sacra. Infatti sappiamo che nelle societ tradizio-nali la tradizione si carica di valore sacrale, provenendo essa dagliantenati.

    Premesso pertanto che la sfera della religione costituisce uncomplesso simbolico il quale fornisce in ciascuna cultura una dataconcezione del mondo che preposto ad un insieme di norme dicomportamento inviolabili, c da chiedersi e il nostro autore sichiede quali siano le situazioni sperimentali in cui luomo do-vunque e comunque si trova coinvolto in una prospettiva religio-sa: ossia quali siano i tipi fondamentali di esperienze critiche, ipunti nodali del vivere umano, che facciano emergere, per luomo,la prospettiva religiosa. Geertz identifica in tre punti questi tipifondamentali di esperienze, e cio: 1) lesperienza di impotenzaanalitica o intellettuale, per cui luomo si vede incapace di rispon-dere a tanti perch che il suo cervello gli pone, mentre insieme gliriconosce una limitatezza analitica o intellettuale; 2) lesperienza disofferenza fisica e dolore interiore, con la coscienza dei limiti disopportabilit di essa: luomo sa di resistere al dolore solo entro de-terminati limiti; 3) lesperienza del male morale, dellingiustizia so-ciale e umana e in genere del male nel mondo: con lesigenza ogno-ra insoddisfatta e frustrata di eliminare il male senza possederne lacapacit effettiva.

    Di fronte a questi limiti, che per Geertz sono esistenziali e dun-que invariabili ed ineliminabili (ma per una antropologia storicista,obiettiamo noi, questi limiti variano grandemente da cultura a cultu-ra, in rapporto al grado di conoscenze analitiche, al tipo di strutturesociali, allesistente grado e possibilit dintervento terapeutico e psi-coterapeutico, ecc.), la prospettiva religiosa sovviene, fornendo al-lindividuo e alla societ un ordine mentale e cosmico, una visione delmondo che giustifica i tre punti critici, ossia limpotenza analitica,emotiva e morale, e fornisce una giustificazione generale della realtcomessa . La prospettiva religiosa dunque d un senso positivoun significato allesistenza umana, nel suo triplice limite.

    Geertz va avanti nella sua disamina strutturale-fenomenologica.Se bene si guardano i caratteri distintivi di questa prospettiva reli-

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  • giosa, o visione religiosa del mondo, chiaro dice Geertz ches-sa differisce da altre prospettive di cui luomo dotato nel suo rap-porto con il mondo e, in particolare le altre prospettive, rispettoa quella religiosa, sono date da: 1) la prospettiva del senso comune;2) la prospettiva scientifica; 3) la prospettiva estetica. Con le riser-ve che gi sopra accennavamo circa questa parte dellargomentazio-ne di Geertz, esaminiamo ora le caratteristiche differenziali dellevarie prospettive. 1) La prospettiva del senso comune osserva Ge-ertz tende al padroneggiamento del dato, alladattamento al dato.Invece la religione mira a creare un ordine giustificativo della real-t tutta, in generale, e non del dato specifico. 2) La prospettivascientifica quella in virt della quale luomo elabora ipotesi e teo-rie. La religione pretende fornire non gi ipotesi n teorie, bensuna verit: che, per il credente, si veste dei colori dellassoluto.Tale verit si regge sul principio dellautorit e la fonte dellautori-t nella fede prestata ai simboli sacri: fede che preesiste alla cono-scenza. Tale fede nelle religioni tribali ancorata alle credenze tra-dizionali, mentre nelle religioni mistiche si basa sulla forza compul-siva delle esperienze ultrasensoriali, e nelle religioni carismatichedipende dallattrazione ipnotica di una personalit straordinaria. 3)La prospettiva estetica quella in virt della quale luomo valuta,disimpegnativamente, le forme e le apparenze delle cose, fino ad ab-bandonarsi ad esse; laddove la religione pretende di andare in fon-do alla realt, e in ogni caso esige un impegno totale, per cui assu-me il carattere di verit.

    La definizione di religione che Geertz elabora in base alle sue-sposte osservazioni la seguente: La religione un sistema di sim-boli che mira a stabilire negli uomini delle disposizioni e delle mo-tivazioni potenti, pervasive e durevoli, attraverso la formulazionedi concezioni circa un ordine generale dellesistenza e rivestendoqueste concezioni di unaureola di attualit tale che i modi e le mo-tivazioni sembrano supremamente realistici.

    Come si vede, questa definizione presume che la prospettivareligiosa sia una prospettiva costante, universale e ineliminabile inogni societ e cultura, senza neppure porre il problema delle linee

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  • storiche di demarcazione tra societ e culture caratterizzate effetti-vamente da una visione religiosa del mondo, ed altre societ, grup-pi, culture o subculture per le quali la religione ridotta a puro ru-dimento formale e inerte (ossia non pi una prospettiva religio-sa) o addirittura e manifestamente mancante. abbastanza chia-ro che, nello sforzo di elaborare una definizione strutturale o fe-nomenologica, lautore ha perduto di vista la dimensione storicadella variabilit delle esperienze culturali nel tempo e nello spazio.

    Un interessante contributo ad una pi approfondita compren-sione dei problemi di definizione e di spiegazione del fenomenoreligione dato dallantropologo statunitense Melford Spiro, conun saggio contenuto nel medesimo volume che contiene loriginaledel suesposto saggio di Geertz [Spiro, 1966]. Alcune anticipazionidi questo studio si trovano gi in un precedente saggio [Spiro, 1964,ristampa 1971].

    Il contributo di Spiro ha unimpostazione abbastanza originale,insieme logica e psicologica. Partendo da rigorosi criteri logici, lau-tore anzitutto distingue il problema della definizione da quellodella spiegazione. Definire la religione significa identificarne lecaratteristiche essenziali, attraverso la comparazione fra culture dif-ferenti, mentre spiegarla vuol dire riconoscere le variabili indipen-denti, da un lato del suo sorgere e dallaltro del suo persistere e svi-lupparsi. Per linsorgere di una religione, in particolare, lautore ritie-ne che siano sufficienti delle spiegazioni causali, ma per il persiste-re di essa egli pensa che si debba ricorrere a spiegazioni motivazio-nali, ossia basate insieme su fattori causali e funzionali. Con ci ap-pare come il nostro autore operi una serie di distinzioni logiche e ter-minologiche, non solo tra definizione e spiegazione, ma anche franascita della religione e persistenza della religione. A questoproposito, egli identifica la nascita della religione con il sistema dicredenze, e la sua persistenza con la pratica rituale, ossia il com-portamento religioso. Sia subito detto che sistema di credenze si-gnifica, per lautore, una durevole organizzazione di cognizioni in-torno ad uno o pi aspetti delluniverso [Spiro, 1971: 103] dunqueha un significato cognitivo, mentre la pratica rituale, ossia il com-

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  • portamento religioso di una comunit, sarebbe secondo Spiro unsistema dazione volto deliberatamente ad un fine, e che presuppor-rebbe, in senso logico-psicologico se non cronologico, gli aspetticognitivi che costituiscono il sistema di credenze. Pertanto lautorestranamente, secondo noi postula una priorit netta delle credenzesui riti, e in ci non solo sembra contraddire la simultaneit esisten-ziale delle credenze e dellazione rituale, per cui luna fa luce sullal-tra e laltra d concretezza alla prima, ma in effetti frantuma la soli-dale fusione di mito e rito, che nel suo insieme costituisce appunto ilcomplesso unitario, mitico-rituale, della religione. In propositopare anacronistico, da parte del nostro autore, riproporre con severotono di analisi lantica questione della cosiddetta priorit fra mito erito; laddove gi da tempo si era finito con ammettere che questaquestione, per la sua incongruenza troppo assomiglia a quella, forsepi banale, se sia nato prima luovo o la gallina.

    Ma per tornare al contributo di Spiro, altre distinzioni prelimi-nari egli opera tra vari tipi di definizione e di spiegazione. Ledefinizioni sono nominali o reali (le prime definiscono qualcosacirca entit o elementi vari, individuandone i caratteri essenziali);sono qualitative o funzionali. di tipo qualitativo la classica defi-nizione di religione data da Durkheim (religione ci che riguardail sacro); ma essa non coglie affatto lessenza della religione: in-fatti il sacro non indissolubilmente legato con la religione (percerti gruppi o individui pu essere sacro il patriottismo, lo sport,il sesso non meno di Dio), mentre daltronde certi sistemi religiosimirano chiaramente a fini profani, ossia mondani, e non sacri. Peril nostro autore neppure le definizioni funzionali comuni fra gli an-tropologi (del tipo: la religione crea solidariet sociale) diconoqualcosa di essenziale della religione: infatti esistono tante istitu-zioni non-religiose (politiche, sociali) che creano solidariet socia-le. Lautore ricerca dunque una definizione insieme nominale e rea-le, sostantiva ed ostensiva: ossia che identifichi senza ambigui-t la sostanza interiore, psicologica, e che raccolga la variet del-le manifestazioni da designare con il termine religione.

    Orbene, il carattere essenziale (sostantivo ed ostensivo) di tutte

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  • le religioni in quanto tali dato dice Spiro dalla credenza in es-seri sovrumani e nel loro potere sugli uomini. Perci la definizio-ne di religione chegli ci propone la seguente: Religione unisti-tuzione consistente nellinterazione, culturalmente modellata, fragli uomini e certi esseri sovrumani, dei quali viene postulata lesi-stenza secondo un determinismo culturale.

    Pertanto la religione si distingue da ogni altra istituzione socio-culturale perch costituisce un sistema di credenze, un sistemadazione (cio, rispettivamente, di cognizione e di comportamenti),e un sistema di valori (ossia di principi in base ai quali si emettonogiudizi di merito sullumana condotta): e tutti i tre sistemi suddettihanno come loro punti di riferimento degli esseri sovrumani. Co-me si vede, questa definizione segue un parametro sociologico (co-me quella di Horton, ed altre precedenti), in quanto insiste sul ca-rattere di interazione (ossia duplice rapporto fra le due parti) e suquello distituzione, quindi normativa e collettiva. Per quel che at-tiene alla nozione di esseri sovrumani, noi (vedi oltre) preferire-mo la nozione di potenze sovrane, e ci perch il termine esse-ri comporta una entificazione non necessariamente presente intutti i sistemi di credenze. Infatti in alcuni esiste la credenza in for-ze non entificate.

    Tuttavia la parte pi originale del contributo in questione la se-conda, che riguarda la spiegazione. Qui viene affrontato il pro-blema di quali condizioni oggettive, quali cause e funzioni sianopreposte allinsorgere, nelluomo e nella societ, della prospettivareligiosa e del suo persistere nel tempo. Lassunto di Spiro di fon-dare una teoria scientifica della religione che superi le formulazio-ni vaghe ed indeterminate. Pertanto egli si chiede quali siano le va-riabili socio-culturali e psicologiche indipendenti, rispetto alle qua-li la religione si ponga come variabile dipendente. Teniamo presen-te che affinch una teoria della religione sia esauriente in sensoscientifico dovrebbe rispondere non solo alla domanda perch inuna societ o cultura o subcultura sia adottata la prospettiva religio-sa, ma anche perch altre societ, culture o subculture ricorrano, difronte ai problemi riguardanti il loro rapporto con il mondo, ad

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  • orientamenti alternativi, e comunque non-religiosi, basati sullascienza, la filosofia, larte, lazione politica, ecc. Di questo assuntoSpiro cosciente: vedremo poi se egli effettivamente labbia soddi-sfatto.

    Voler spiegare dunque la religione dice lautore comportaaffrontare due distinti quesiti, e ci in conformit della distinzionesopra enunciata fra un sistema di credenze che come tale simponeai seguaci per la sua pretesa di verit, ed un sistema di pratiche ri-tuali, o comportamenti religiosi, inteso per lautore a conferma-re e prolungare nel tempo quel sistema di credenze una volta nato.Dunque ci si chiede anzitutto: Su quale base viene conferito il ti-tolo di verit alle proposizioni religiose?. In seconda istanza ci sichiede: Su quale base si d luogo alla pratica rituale?.

    Ora, lorigine della nozione di verit attribuita alle credenzereligiose va riportata, secondo il nostro autore, alla esperienza in-fantile, e in particolare allimmagine che il fanciullo si forma, nel-lambito della famiglia, dei genitori. Sono i genitori appunto le pri-me figure per lui dotate di potere e che con lui si pongono in unambivalente rapporto, insieme prevedibile e imprevedibile, mentreegli stesso pu compiere verso di loro azioni che possono o nonpossono influenzarli. Insomma, limmagine dei genitori insiemebenevoli e malevoli, e insieme influenzabili o ininfluenzabili da lui,fornisce al fanciullo gli ingredienti primari del suo sistema proiet-tivo individuale. Questultimo, a sua volta, forma la base psicolo-gica, sulla quale apponendosi le credenze date dalla tradizione, as-sumeranno nel corso dello sviluppo del soggetto la connotazionedella verit. chiaro che Spiro in questa teoria riprende quellagenerale di Freud sulla religione, in unione con quella di Kardinersulla personalit. Non sono escluse tuttavia in questa teoria alcuneistanze sociologiche, sia pure molto vaghe ed indeterminate. Ci di-ce il nostro autore, in proposito, che nelle varie religioni caratteriz-zate da rituali propiziatori o coercitivi, ecc., sembra di poter ravvi-sare un riflesso dei corrispondenti sistemi familiari e pedagogici chene sono alla base.

    Dunque sono le cause psicologiche, insieme con fattori stori-

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  • ci, a dar ragione della (a spiegare la) religione nel suo momentoinsorgente come sistema di credenze. In tal senso la spiegazione causale. Si noti a tale proposito che la spiegazione storica, secon-do lautore, ci pu dire qualcosa solo riguardo alla nascita di una re-ligione, ma non sulla sua persistenza nel tempo.

    Quando poi Spiro passa a chiedersi (ecco il secondo quesito)quali sono le variabili indipendenti che spiegano il comporta-mento religioso (o pratica rituale), egli ricorre ad una spiegazionedordine insieme causale e funzionale: nellinsieme, egli dice,spiegazione motivazionale. Eccola: La religione persiste (equindi si attua in certi modelli di comportamento e in certe prati-che rituali) perch risponde ad alcune funzioni, ossia soddisfa (osi pensa che soddisfi) alcuni desideri, e consegue ad alcune cause,ossia laspettativa di soddisfare quei desideri. [Spiro, 1971: 117].Ci pare di capire che la funzione di Spiro corrisponde, nel lin-guaggio aristotelico, alla causa finale, e la causa di Spiro allacausa efficiente aristotelica. Nellinsieme, causa e funzioneformerebbero i motivi.

    Si noter che lautore si riferisce insistentemente a fattori psico-logici (i desideri) o, come egli dice, ad una condizione interiore(innerstate) dellindividuo. Per lui il principio sociologico (dimantenere certe relazioni sociali) un derivato, non una causa, nuna funzione. Egli dice: La religione produce solidariet sociale, enon il contrario [come invece i funzionalisti asseriscono]; mentre ildesiderio della solidariet sociale, se mai, spiega la (= causa della)societ e non (= causa de) la religione!.

    A completamento di quanto su detto, Spiro precisa che i deside-ri-bisogni cui il comportamento religioso soddisfa sono di tre ordi-ni insieme, ossia: 1) il bisogno-desiderio cognitivo, volto a dar