Relazione sul corso di Cinematografia Documentaria

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Relazione sul corso di Cinematografia Documentaria presso l'Università di Modena e Reggio Emilia. Il corso prevedeva la realizzazione di un progetto pratico di creazione di una narrazione cinematografica, fase di ulteriore sperimentazione del lavoro svolto in precedenza dal dott. Paolo Simoni in collaborazione con gli assistenti Claudio Giapponesi e Ilaria Ferretti. Il cinema di famiglia, oltre ad essere parte integrante dell'identità di un nucleo familiare e strumento di autoconoscenza, è a tutti gli effetti un importante fonte di documentazione storica dei cambiamenti sociali e culturali del nostro paese. Da un punto di vista storico, il film di famiglia rientra nel più ampio contesto sociale, economico e culturale del boom economico degli anni 60, perchè coincide con la diffusione della pratica del cinema amatoriale sul territorio nazionale grazie all'avvento, nel 1965, del formato Super 8.

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Relazione sul corso di Cinematografia Documentaria

a cura di Dario Lo Presti

Docente Dott. Paolo Simoni

Il corso di Cinematografia Documentaria presieduto dal dott. Paolo Simoni con gli

assistenti Ilaria Ferretti e Claudio Giapponesi, si inserisce nel più ampio contesto di un

progetto dell’Osservatorio di Reggio Emilia che circa due anni fa ha avviato con un bando

pubblico Cinema di Famiglia la raccolta di film privati in diversi formati, girati dalle

famiglie raggiane dagli anni 20 agli anni 80 del secolo scorso. Tutto questo è stato fatto

allo scopo di creare un albero genealogico detto Family, che autorappresentasse e

mostrasse la vita delle famiglie reggiane, gli eventi pubblici, le ritualità private ma anche la

vita di tutti i giorni, i ricordi individuali, la crescita dei componenti familiari nel corso degli

anni, il cambiamento sociale e culturale del nostro paese. Tutto questo in funzione della

creazione di una memoria storica, che costituisce parte integrante della propria identità

oltre che un importante strumento di autoconoscenza. Questo corso che prevede la

realizzazione di un progetto pratico di creazione di una narrazione cinematografica, può

essere considerato come una fase di ulteriore sperimentazione del lavoro svolto in

precedenza. In particolare parliamo della creazione di originali modalità espositive di

narrazione, che richiedono da parte del pubblico una fruizione attiva e partecipativa.

La parte introduttiva del corso ha riguardato la visita all’esposizione dello Spazio Gerra,

che rende l’idea della complessità del materiale raccolto. Nella mostra sono stati

rappresentati i momenti più importanti della storia di Reggio Emilia. In particolare quei

momenti che hanno contraddistinto il mutamento dello status familiare, come ad esempio il

tempo libero, i consumi, le cerimonie, la crescita dei bambini, le vacanze e il modo di

vestire. Queste immagini rappresentano un importante fonte di documentazione storica dei

cambiamenti sociali e culturali del nostro paese, attraverso lo sguardo di piccole realtà

familiari. Nel corso delle lezioni sono stati trattati alcuni temi legati al cinema amatoriale,

con delle riflessioni sulle fasi tecnologiche di utilizzo dei diversi supporti e formati di

pellicole, dei relativi apparati come cineprese e proiettori. Oltre a ciò è stata presentata

una panoramica dei contributi teorici di intellettuali, cineasti dilettanti e amatori come

Cesare Zavattini, Pietro Bargellini, Peter Forgacs, Roger Odin e altri. Questi hanno

contribuito ad animare il dibattito nel corso del Novecento su quelle forme di cinema che

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non rientrano nel circuito dell’ufficialità e non sottostanno alle logiche dell’industria

cinematografica. Non bisogna dimenticare un altro aspetto del corso funzionale alla

realizzazione del progetto di gruppo, ovvero la proiezione di molti film di famiglia e in

generale di forme diverse di cinema amatoriale come ad esempio quello girato da P.

Forgacs The Maelstrom del 1997. In questo contesto Forgacs in un primo momento

raccoglie i film privati dei suoi connazionali, per archiviarli e in seguito riprenderli e

lavorarci sopra. Il regista ungherese lavora su quello che Simoni definisce il “non-visto”

decostruendo e ricostruendo il passato, facendo emergere i dettagli più nascosti presenti

nelle immagini rallentando, riquadrando, ricolorando i fotogrammi oltre che ad agire sul

“fuori quadro”.

Il cinema di famiglia non possiede una forma, una struttura, uno stile e una coerenza e ciò

non è casuale. Roger Odin infatti sostiene che questi film devono essere privi di struttura e

narrazione (“fatti male”), perché devono avere una forma che si avvicini il più possibile alla

fotografia con pause, sguardi verso la cinepresa, discontinuità tra un’immagine e l’altra.

Questo genere di film deve essere inteso come un album di famiglia con una duplice

funzione: da un lato quella individuale di risvegliare le immagini, gli odori, le sensazioni del

proprio vissuto che ritorna, mentre dall’altro quella collettiva di identificare e rafforzare

l’esistenza del gruppo familiare.

Si tende a credere che i film di famiglia rappresentino solo i momenti felici di un nucleo

familiare, ma osservandoli attentamente si può notare come in realtà nascondano delle

ambiguità di fondo. Il tema è stato affrontato da Simoni, il quale mette in risalto la

questione di come il film di famiglia debba essere interpretato alla luce di una sua

dimensione intermedia che si trova tra il “visibile” e il “non-visibile”, il “filmabile e il “non-

filmabile”. Spesso guardando questi filmati emerge l’idea che la famiglia sia unita e coesa,

che i rapporti tra i componenti familiari siano ottimali e privi di conflitti. Infatti l’home movie

come forma documentaria non ha come soggetti litigi, contrasti o separazioni, ma tende a

far si che ci sia una situazione di pace. Inoltre questa deve essere intesa non come una

creazione artistica, ma come una sorta di dialogo tra chi filma e chi è filmato, tra l’individuo

e la collettività. Il film di famiglia è pertanto una rappresentazione dell’immagine familiare e

della sua evoluzione nel tempo, che ignora però i lati oscuri, i contrasti, le malattie e

devianze presenti in ciascuna famiglia.

Da un punto di vista storico Simoni afferma che il film di famiglia può tra le altre cose

offrire uno sguardo su problematiche specifiche di ogni paese. In particolare in Italia

questa forma di cinema rientra nel più ampio contesto sociale, economico e culturale del

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boom economico degli anni Sessanta, perché coincide con la diffusione della pratica del

cinema amatoriale sul territorio nazionale grazie all’avvento nel 1965 del formato Super 8.

Questo passaggio sarà determinante perché le caratteristiche di semplicità e automaticità

del nuovo formato, diffonderanno ancor di più la pratica di far cinema amatoriale, dando

l’illusione che tutto si riduca ad un semplice “mirare, premere un bottone e basta”.

Il cinema amatoriale è un fenomeno troppo ampio per poterlo definire all’interno di canoni

specifici. Questo perché quando se ne parla si fa riferimento a forme di cinematografiche

molto diverse tra loro come ad esempio il film di famiglia, il diario filmato, il cinema

sperimentale underground, il cinema privato. Gli elementi principali che lo caratterizzano

sono la non ufficialità, la libertà da censure e revisioni e il concetto di “amatorialità” cui fa

riferimento Simoni nel saggio “Non basta premere un bottone. Riflessioni sul cinema

amatoriale” citando a sua volta le idee di Stan Brakhage nel suo libro In Defense of the

“amateur” film maker. Nel corso del Novecento la tecnologia amatoriale ha favorito la

pratica da parte di molti cineamatori di riprendere la vita quotidiana, di registrare il vissuto

come forma di memoria storica su pellicola. Questi cineamatori si contraddistinguono per

essere dei film maker liberi dai condizionamenti produttivi e di linguaggio, e questo ha

permesso loro di esprimere se stessi praticando l’amatorialità intesa come distacco,

allontanamento dai metodi tradizionali di fare cinema. Brakhage sottolinea che l’amatore è

una figura disprezzata dai professionisti, perché si dedica al cinema riprendendo ciò che

più soddisfa la sua curiosità e sensibilità esulandosi da ogni dovere istituzionale. Ciò che

cambia è la prospettiva con la quale ci si appresta a registrare il reale. Infatti mentre il

professionista agisce per compiere il suo dovere in vista di un guadagno o della fama

dipendendo dalla logiche del sistema, il cineamatore è un individuo libero che filma ciò che

ama e di cui ha bisogno senza vincoli e pressioni. Quest’ultimo pertanto, come sostiene

Brakhage, giudica la riuscita del proprio lavoro rispetto al suo reale interesse e alle sue

esigenze, piuttosto che rispetto al riconoscimento altrui. Un altro intervento interessante

sottolineto da Simoni è quello di Maya Deren. La studiosa, in un articolo pubblicato a metà

degli anni Sessanta, sostiene che il dilettante ha il vantaggio della libertà artistica e fisica

rispetto al professionista. Il cineasta amatoriale infatti va in giro con un attrezzatura piccola

e leggera, che a differenza di quella dei professionisti gli permette una grande libertà

fisica. In particolare il dilettante ha a disposizione il proprio corpo da utilizzare per

realizzare diverse angolazioni di ripresa e azioni visive. Pertanto si sottolinea l’importanza

di agire sulla realtà senza costrizioni fisiche (attrezzature pesanti e ingombranti),

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utilizzando il proprio corpo come una strumento aggiuntivo fondamentale nel girare un film

e questo cambia la prospettiva di fare cinema.

Al di là queste considerazioni vorrei parlare della realizzazione del progetto di gruppo

avente come fondo filmico di riferimento il film di famiglia Vighi. L’idea principale alla base

del progetto è quella di confrontarsi con la nascita di un archivio, organizzando il materiale

a disposizione per renderlo fruibile al pubblico. L’installazione che abbiamo creato cerca di

mostrare i materiali del fondo a partire dalle forme culturali dell’archivio e del database.

Questo viene reso possibile grazie all’uso del Korsakow, ovvero un software attraverso

cui è possibile progettare un’installazione che permette al visitatore di tuffarsi in

un’esperienza interattiva, emozionale e al tempo stesso cognitiva all’interno di un

percorso di immagini, voci e suoni. Per realizzare il progetto ciascuno dei componenti del

gruppo ha inizialmente visionato il proprio dvd con una parte del fondo Vighi. Il lavoro da

fare è stato essenzialmente quello di scomporre in sequenze il filmato segnando i

riferimenti temporali di inizio e fine in una sorta di decoupage. Questo è stato fatto allo

scopo di isolare le sequenze con le isotopie tematiche ricorrenti della famiglia Vighi come i

giochi dei bambini, i loro compleanni, la crescita della figlia più piccola Renata, la figura

della nonna, i vari viaggi in giro per l’Italia e l’Europa,i matrimoni di Amilcare e Fabrizio, la

passione di Vighi per il movimento con le riprese degli aerei e così via. Oltre a questo sono

state anche selezionate le sequenze commentate da Vighi, che in seguito sono state

inserite nel Korsakow. In tal modo partendo da un materiale disomogeneo, abbiamo creato

un percorso narrativo lineare inserendo come clip introduttiva un frammento dell’intervista

realizzata dal Dott. Simoni e i suoi assistenti a Nello Vighi, che riflette sull’utilizzo della

cinepresa per scopi amatoriali a quell’epoca. Successivamente abbiamo creato una breve

presentazione dei componenti della famiglia Vighi, per dare allo spettatore-fruitore un

riferimento riguardo ai membri familiari che appariranno nelle successive preview. Dopo

questa fase si entra nel vivo del progetto, perchè incominciano ad apparire le prime

preview con le immagini ad esempio dei matrimoni dei figli Fabrizio e Amilcare, e

cliccando su di esse avremo dei rimandi ad altre immagini in contesti diversi con gli stessi

membri. Il principio di base è che lo spettatore, cliccando col mouse sulle preview che

appaiono alla destra della clip principale detta “main media”, potrà effettuare delle modalità

interattive di intervento all’interno del progetto intraprendendo percorsi diversi a seconda

delle proprie esigenze rispettando comunque la linea logica di chi l’ha realizzato. Per

concludere il percorso narrativo si è creata una clip conclusiva collegata ad una preview

contenente come parola chiave uscente Nello Vighi. Questo è stato fatto per creare un

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collegamento con l’altro breve frammento dell’intervista con lo stesso e concludere la

narrazione. Al termine del progetto è stato inserito un brano musicale di pianoforte,

dall’andamento allegro e al tempo stesso disteso, con lo scopo di creare un sottofondo

che rendesse più gradevole la visione delle clip.

In conclusione mi sorgono spontanee delle considerazioni sul film di famiglia dei Vighi. Il

film si presta ad essere un valido documento di carattere storico, sociale e culturale.

Quello che emerge è l’immagine di una famiglia unita e caratterizzata da momenti felici, di

gioia e condivisione. Non bisogna però fermarsi alle apparenze di queste immagini, perché

osservando con attenzione i vari filmati emergono dei lati oscuri e tristi. In particolare mi ha

colpito una certa ambivalenza delle immagini riguardanti la figura della nonna paterna.

Questa infatti appare spesso in compagnia dei nipoti, sorridente, piena di vita e in salute,

ma in altri frammenti del filmato la notiamo sofferente e non più presente come prima per

via della malattia. Lo sguardo della cinepresa ce la mostra, o meglio si sforza in qualche

modo di mostrarcela sempre per com’era, ma in realtà si comprende bene che non è più

così. A mio parere trovo in tutto questo che lo sguardo della cinepresa sia stato troppo

invadente violando la privacy dell’interessata, oltre a voler suscitare degli interrogativi nello

spettatore. Questa considerazione si può ricollegare alle idee di Roger Odin e Patricia

Zimmermann cui fa riferimento Simoni. Il primo sostiene che il film di famiglia è una forma

aperta di narrazione, che implica l’interpretazione delle immagini da parte delle persone

coinvolte nelle riprese. La seconda afferma che il film amatoriale permette di offrire una

visione più ampia sulla complessità del reale e sulle verità celate, facendo emergere

quegli aspetti oscuri e inaspettati che rientrano nella dimensione del “non-visibile”.

Bibliografia

Paolo Simoni, Non basta premere un bottone. Riflessioni sul cinema amatoriale. Le

fasi tecnologiche, i contributi teorici, le pratiche culturali e artistiche, in Il film

documentario nell’era digitale, a cura di Ansano Giannarelli, Annali Aamod 9, 2006

Paolo Simoni, Il film di famiglia. L’ambiguità delle immagini felici, in Marco Bertozzi

(a cura di), Schermi di pace, Annali AAMOD 8, 2005, Roma

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Paolo Simoni, Archeologia della memoria privata. La ricontestualizzazione filmica di

Péter Forgács, in Private Europe. Il cinema di Péter Forgács, quaderno di “Filmmaker”,

Milano 2003

Paolo Simoni, 8mm e Super8, in L’arte del risparmio: stile e tecnologia: il cinema a

basso costo in Italia negli anni Sessanta, a cura di Giacomo Manzoli e Guglielmo

Pescatore, Roma 2005