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RE-AZIONE URBANA MACERATA – analisi dei “vuoti urbani” del comune di Macerata e modelli di rigenerazione e riqualificazione urbana RELAZIONE Responsabile dello studio Pian. Terr. Marco Maria Sancricca Collaboratore Dott. Ing. Antonio Di Dionisio Pianificatore Territoriale MARCO MARIA SANCRICCA, Corso Cavour 40 B, 62100 Macerata - Partita IVA 01782670432 - mob: +39 338 1883 093, e - mail: [email protected] , PEC [email protected]

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RE-AZIONE URBANA MACERATA – analisi dei “vuoti urbani” del comune di Macerata e modelli di rigenerazione e riqualificazione urbana

RELAZIONE

Responsabile dello studio

Pian. Terr. Marco Maria Sancricca

Collaboratore

Dott. Ing. Antonio Di Dionisio

Pianificatore Territoriale MARCO MARIA SANCRICCA, Corso Cavour 40 B, 62100 Macerata - Partita IVA 01782670432 - mob: +39 338 1883 093, e - mail: [email protected], PEC [email protected]

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INDICE

PREMESSA 1

OBIETTIVI DEL LAVORO 5

PERCHÈ LA RIGENERAZIONE URBANA 5

1. METODOLOGIA DI ANALISI 8

1.1 CREAZIONE DEI C.C.Q. 9

1.2 COME SCEGLIERE LE AREE E GLI EDIFICI 16

2. METODOLOGIE E TECNICHE PER LA RIGENERAZIONE E RIQUALIFICAZIONE URBANA 17

2.1 RETROFIT URBANO 18

2.1.1. RECUPERO E RISTRUTTURAZIONE 18

2.1.1.a) HOUSE STAGING 19

2.1.2. RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA 20

2.2 RETROFIT MILITARE E INDUSTRIALE 21

2.2.1. RECUPERO 22

2.2.2. RIQUALIFICAZIONE 23

2.3 IL SISTEMA DELLA MOBILITÁ E IL CITY LOGISTIC 24

2.3.1. BIKE-SHARING 25

2.3.2. BUSBIKE 26

2.3.3. LOVE PARKING 27

2.4 PROGETTI AMBIENTALI E RURALI 29

2.4.1. FITODEPURAZIONE 29

2.4.2. COMMON GARDEN 32

2.4.3. GREENBELT O LIMITI ECOTONALI URBANI 32

2.4.4. ELEMENTI RURALI 34

2.4.4.a) AGRITURISMO 34

2.4.4.b) BED AND BREAKFAST 35

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2.4.4.c) COUNTRY-HOUSE 37

2.4.4.d) AZIENDA BIOLOGICA 38

2.5 SISTEMA ORGANIZZATIVO SOCIALE URBANO 39

2.5.1. COHOUSING 39

2.5.2. COWORKING 41

2.5.3. LA SCUOLA DEI NONNI 43

2.5.4. AGRINIDO 44

2.5.5. CENTRI SOCIALI PER GIOVANI E IMMIGRATI 46

2.6 MARKETING URBANO 47

2.7 APPROCCI ALLA SMART CITY 51

3. CASO DI STUDIO - PIANO IDEA DI PIEDIRIPA 54

3.1 PERCHÈ PIEDIRIPA? 55

3.2 QUALE IDEA, QUALE PIANO 56

ALLEGATI:

ALLEGATO A - SCHEDE AREE

ALLEGATO B - SCHEDE EDIFICI

TAVOLA 1 - MAPPATURA DELLE AREE E DEGLI EDIFICI

TAVOLA 2 - PIANO IDEA PER PIEDIRIPA

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PREMESSA

Solo le forme più evolute possono competere.

(Charles Darwin)

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Il lavoro qui presentato è nato dall'incarico ricevuto da parte del Comune di Macerata con protocollo n. 23736/P del 19 maggio 2014. Tale incarico è

inserito all'interno del progetto “Macerata Partecipa” (d'ora in poi MP), in particolare il sottoscritto è stato chiamato al fine di:

• formare cittadini prescelti sulla partecipazione attiva, al fine di incentivare la nascita di centri civici di Quartiere;

• redarre una scheda per la segnalazione dei problemi;

• redarre un'analisi urbana della città, ovvero il presente elaborato.

Con il progetto MP, Macerata ha voluto provare un salto di qualità rispetto alla routine amministrativo degli anni precedenti. “...So perfettamente

quanta fatica comporta la partecipazione ai funzionari e ai dirigenti pubblici, so bene che qualcuno non ha né disposizione d'animo, né motivazioni

ideali che possano sostenere quella fatica e so bene che la retorica del metodo tecnico e risolutivo può sembrare più convincente di un appello al buon

senso, alla capacità di ascolto, all'inventiva progettuale da cercare e calibrare di volta in volta in modi differenti. Ma tutto ciò non è bastato a far

svanire il mio imbarazzo. Anche da questo disagio è nata l'intenzione di responsabilizzare...”1

.

Negli ultimi anni la pianificazione ha visto la nascita di molte metodologie “nuove”, ma tra tutte quella che sembra essere più “sostenibile” (poiché

condivisa), nel senso lato della sua definizione, sembra essere proprio la partecipazione. Le città rappresentano, oggi, nuovi spazi di una regolazione

socio-politica-economica che non possono più essere limitate dalla dimensione locale. Esse sono gli snodi delle relazioni economiche e culturali

globali, si confrontano direttamente con le forze del mercato internazionale, con il conseguente stravolgimento delle strategie politiche finalizzate

alla crescita e allo sviluppo competitivo2

che ora si proiettano su scala transnazionale. Il processo di partecipazione va ad identificarsi come garanzia

di uno sviluppo economico condiviso e come garanzia dell'internazionalizzazione dei processi economici radicati però ad aspetti culturali endogeni.

Perciò si va a configurare uno “scenario nuovo” che richiede sia idee di policy, sia strumenti istituzionali in continuo aggiornamento. In questi ultimi

anni si è assistito anche ad una riarticolazione delle gerarchie della regolazione politica e della “piramide gerarchica attoriale”. Sono cresciuti i poteri

locali ma anche i poteri delle istituzioni sovranazionali. Le nazioni si sono adattate alla globalizzazione e all’integrazione economica e politica

attraverso un processo di rinquadramento territoriale della sovranità. Si sono sviluppate dinamiche contestuali di upscaling e downscaling della

statalità. L’esito non può essere altro che un nuovo protagonismo delle città in uno scenario istituzionale che per ora ci limiteremo a definire

semplicemente molto complesso. Si ipotizza un ritorno delle città come forma principale di governance locale, al quale è comunque necessario

ripensare lo spazio urbano come forma di governance. Bisogna scindere il modello gerarchico-piramidale, caratterizzante l’ormai obsoleto PRG di

stampo razional-comprensivo, dal modello reticolare, dove i processi non seguono più il vecchio modello top-down a vantaggio del bottom-up3

.

Oggi la disciplina della pianificazione è chiamata ad occuparsi di una molteplicità di temi, e quindi complessificata dalla multidisciplinarietà di fattori

1 cit. Paola Savoldi “Giochi di partecipazione”

2 Camagni 2002, “Le città in Europa: globalizzazione, coesione, sostenibilità”

3 Lindblom 1963, “A Strategy of Decision: policy evaluation as a social process”

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anche nascosti, che riguardano oltre allo sviluppo urbano, come in passato, lo sviluppo locale in genere, legato appunto all'economia. Ad esempio alla

gestione delle trasformazioni urbane si associano oggi temi come quello della competitività economica, delle politiche sociali, della valorizzazione

delle risorse ambientali, paesaggistiche, artistiche e culturali. La pianificazione tradizionale non dispone di una predisposizione alle politiche integrate

ed interdisciplinari.

A partire dagli anni Ottanta il modello gerarchico viene messo in discussione a causa di una generalizzata carenza di risorse pubbliche per la

pianificazione, che ha incoraggiato la ricerca di partnerships e di coinvolgimento degli operatori privati nei processi pianificatori, con conseguente

consapevolezza di dover mobilitare anche le risorse umane e conoscitive degli stakeholders (attori) all’interno dei processi pianificatori, ai quali si

richiede ancora una maggiore trasparenza e democrazia, permettendo e coinvolgendo i cittadini ad essere parte attiva di essi.

In sintesi i due modelli di pianificazione che tentano di sostituirsi al vecchio modello sono:

a) Il modello bottom-up (dal basso). Nel quale è la comunità locale a promuovere l’iniziativa del processo pianificatorio, che è sviluppato e poi

attuato attraverso la cooperazione pubblico-privata e la partecipazione. Gli esperti dicono però che tale modello risulta applicabile solo in ambiti

spazialmente delimitati o radicalmente e mentalmente già predisposti a fornire una partecipazione attiva, ad esempio per la riqualificazione di

una piazza o di un quartiere, o per specifici settori tematici, come appunto la riqualificazione degli spazi o la rivitalizzazione economica o una

particolare politica sociale.

b) Il modello reticolare. Basato sulla mobilitazione della rete di relazioni esistente tra gli attori e gli stakeholders locali. Il soggetto promotore

dell’iniziativa, che può essere sia l’autorità locale sia la comunità, formula attraverso la pianificazione una politica o un insieme integrato di

politiche assieme agli attori locali. Tale intenzione, costruita in modo condiviso da tutti i soggetti coinvolti, orienta poi la rete di relazioni tra gli

attori stessi. Conseguentemente l’intero sistema organizzativo e decisionale evolve da una condizione di government ad una di governance.

I cittadini, considerati tradizionalmente destinatari dei servizi pubblici e delle politiche, vengono ora attivati sia in chiave di crescente

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Metodo reticolare – Nuova Pianificazione

Metodo razional-comprensivo - Vecchia Pianificazione

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responsabilizzazione (ad esempio nell’ambito delle riforme del welfare4

), sia con riferimento al coinvolgimento in esperienze di progettazione

partecipata. Si parla ormai da anni di azione locale integrata come un processo trasversale, pluriattoriale, interistituzionale e partecipato in cui:

• il termine azione sottende l’esplicitazione degli obiettivi e dei risultati attesi e la definizione di termini temporale;

• il termine locale sottende l’accezione di territorio inteso in termini di risorsa, elemento strategico nella costruzione del programma;

• il termine integrata sottende la disponibilità di più soggetti e settori a collaborare per definire ed attuare un programma di azione congiunta e

condivisa.

Indubbiamente è in evidenza il ruolo cardine della partecipazione finalizzata al raggiungimento dello scopo, definito ancora come un processo creativo,

in cui ciascun soggetto coinvolto, portatore di una specifica definizione dei problemi, delle priorità e delle necessità dello sviluppo contribuisce ad

elaborare gli orientamenti di fondo e le missioni della comunità. Oggi si vuole intervenire a favore di un allargamento degli interessi rappresentati nel

processo di pianificazione, in particolare in direzione di quelli deboli, i cosiddetti sotto-rappresentati nei precedenti modelli utilitaristici, proponendo

un approccio contrattualistico in cui vengano valorizzati processi di auto-organizzazione locale raccordando strategia dall’alto (top down) e strategie

dal basso (buttom up).

Con questo documento si vuole dare un elemento idoneo ed adeguato ad un processo pianificatorio di nuova concezione e respiro, attraverso il quale

tutti i cittadini sono chiamati ad immaginare la più desiderabile prospettiva di sviluppo del proprio territorio.

Il processo di partecipazione ha la capacità di costruire un’analisi più approfondita che produce qualcosa di più profondo e comprensivo, il quadro

cognitivo locale. Con questo non si elimina la complessità del metodo razional-compresivo, ma anzi, si aumenta in maniera esponenziale la complessità

del problema cercando di raggiungere un eccellente grado di relazioni problematiche che sono alla base della risoluzione locale.

4 Briggs 1961, “The Welfare State in historical perspective”

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OBIETTIVI DEL LAVORO

Il primo obiettivo è quello legato all'incarico, ovvero la creazione di una mappatura e analisi delle aree sensibili del comune di Macerata che per

peculiarità specifiche, spiegate più in dettaglio nei capitoli successivi, sono in generale degradate, abbandonate, dismesse o inutilizzate. Tali aree sono

per lo più conosciute come residui5

all'interno dell'immaginario collettivo della cittadinanza maceratese; perciò possono aumentare la riflessioni

attorno a vicende quanto mai diverse, ma accomunate dall'appartenenza alla collettività maceratese.

Il secondo scopo del presente lavoro è quello di impostare delle strategie alternative di questi luoghi in modo tale da incentivare la creazione di volani

virtuosi al fine di invertire la recessione economica nelle pratiche urbane, ovvero trovare soluzioni microeconomiche per lo sviluppo della città e della

società maceratese nel prossimo futuro.

L'ultimo obiettivo consiste nell'evidenziare la possibilità di uno sviluppo urbano alternativo alla “speculazione”6

e al consumo di suolo avvenuto

soprattutto negli ultimi vent'anni nel capoluogo e incrementato dal Piano Casa.

Dal 2000 ad oggi le volumetrie complessive immesse nel piano regolatore attraverso lo strumento delle varianti e accordi di programma sono state

257.182 metri cubi complessivi, di cui 215.454 di tipo residenziale e 41.728 extraresidenziale (destinate cioè a uffici, attività produttive e servizi).

Dal Piano casa sono stati invece introdotti 778.060 metri cubi di nuove volumetrie delle quali 671.827 residenziali e 106.233 extraresidenziali.

Quelle invece previste dalla "minitematica" in corso di predisposizione da parte degli uffici si stimano in 323.000 metri cubi (109.000 residenziali e

214.000 extraresidenziali)7

.

PERCHÈ LA RIGENERAZIONE URBANA

A tal proposito, La Carta AUDIS della Rigenerazione Urbana (da ora in poi CARU), propone i principi di riferimento per i programmi di trasformazione

delle aree urbane dismesse o dimettibili che, avendo perduta l’originaria funzione, costituiscono oggi i luoghi di maggiore potenzialità per la città, dal

punto di vista della riqualificazione economica, sociale, urbanistica e ambientale.

Attraverso la CARU si vuole favorire il raggiungimento di questi obiettivi:

a) esplicitare gli ambiti che, nel loro insieme, determinano la qualità di una trasformazione urbana per consentire una valutazione trasparente

5 Gilles Clément, Manifesto del Terzo paesaggio, a cura di F. De Pieri, Quodlibet, 2005

6 legale o illegale in alcuni casi, come riportato purtroppo dalle recenti cronache locali.

7 citazione comunicato stampa n.1 del comune di Macerata del 31 gennaio 2009, oggeto: “Variante minitematica al PRG. I dati esatti”

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dei processi in corso a tutti i soggetti direttamente o indirettamente coinvolti;

b) riequilibrare i centri urbani impoveriti dal progressivo svuotamento di funzioni (lavoro, tempo libero, residenza);

c) bloccare lo spreco di territorio attraverso un pieno riuso degli spazi già urbanizzati;

d) governare i mutamenti, convertendoli in occasioni di progresso urbano, anziché subirne le conseguenze;

e) integrare discipline, interessi diversi e competenze specifiche nella chiara individuazione di ciò che costituisce l’interesse collettivo;

f) riconoscere il ruolo insostituibile delle decisioni condivise che possono essere assunte solo all’interno del campo di competenze Pubbliche

nel quadro del corretto riconoscimento del ruolo del Privato economico e del Privato collettivo;

g) innescare azioni diffuse di rigenerazione urbana, che crei il contesto più adatto per aumentare la qualità della vita di tutti e di ciascuno in

un quadro di coesione sociale e di capacità competitiva:

h) aprire la riflessione sulle modalità di rigenerazione anche di quelle parti di città costruite prevalentemente tra gli anni ’50 e ’70 del secolo

scorso, che hanno esaurito il proprio ciclo economico e sono in stato di grave degrado fisico e spesso sociale.

Accanto alla problematica delle aree dismesse, le riflessioni e le esperienze svolte da AUDIS hanno fatto emergere quella relativa alle aree urbane in

maggior parte residenziali, prevalentemente costruite tra gli anni ’50 e ’70 del ’900, in cui i fattori di degrado e di collasso rendono oggi

indispensabile una trasformazione profonda, tanto da fare ipotizzare anche soluzioni radicali quali l’abbandono, la demolizione e la sostituzione degli

edifici esistenti. Non aree dismesse ma aree ‘dismettibili’ che necessitano di una trasformazione radicale per una vera rigenerazione.

L’affinarsi degli strumenti di conoscenza circa le dinamiche della città, le mutate condizioni socio-economiche dei suoi abitanti e i rapporti tra

interessi collettivi e interessi privati, ci mette oggi in grado di prevedere e governare tali mutamenti, convertendoli in occasioni di sviluppo urbano,

anziché subirne le conseguenze. La rinuncia al governo di tali processi comporta per la collettività costi consistenti e sempre meno sostenibili.

Solo se pianificata e gestita in un’ottica d’insieme, inoltre, la trasformazione di queste parti di città può innescare una rigenerazione urbana

complessiva, che restituisca agli abitanti vecchi e nuovi un ambiente più adatto per lo sviluppo individuale e la crescita collettiva, favorendo la

coesione sociale e la capacità competitiva a livello regionale, nazionale e internazionale.

I principi che la Carta propone hanno per molti aspetti una valenza di carattere generale, ma riferiti alle aree oggetto della nostra attenzione

assumono enfasi e connotazioni specifiche.

La politica urbanistica, intesa in senso tradizionale, non basta alla città di oggi. I grandi problemi delle città, riflesso dei grandi problemi della società,

necessitano di un’azione che nasce da un confronto costante tra le diverse discipline. Per raggiungere un livello di intervento più adeguato e concreto

è necessaria quindi l’integrazione tra competenze specifiche, discipline e interessi diversi, basata sulla chiara individuazione di ciò che costituisce il

bene comune.

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La Carta AUDIS si compone di tre sezioni:

1. Elementi della qualità;

2. Attori;

3. Strumenti.

Gli elementi della qualità sono quelli ritenuti necessari perché la trasformazione delle aree dismesse o dismettibili produca non solo la loro

riqualificazione, ma la rigenerazione urbana nel suo insieme. Si tratta della qualità urbana, urbanistica, architettonica, dello spazio pubblico, sociale,

economica, culturale, ambientale, energetica e paesaggistica.

Gli attori sono il Pubblico, il Privato economico e il Privato collettivo.

Gli strumenti sono: la politica urbana, la partnership pubblico-privata, la valutazione, l’informazione e la partecipazione.

In conclusione, con il termine rigenerazione urbana, si indica una “visione comprensiva, multidisciplinare ed integrata” che consente la risoluzione dei

problemi urbani ed un miglioramento economico, fisico, sociale, e condizioni ambientali di un’area soggetta a trasformazione.

Il processo di rigenerazione urbana deve essere basato su una dettagliata analisi delle condizioni dell’area urbana, deve essere animata

all’adattamento delle strutture sociali, fisiche, della base economica e delle condizioni ambientali dell’area, deve assicurare che la strategia sia

sviluppata in accordo con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, deve fare il miglior uso possibile delle risorse umane, economiche, sociali e deve

cercare di raggiungere il consenso attraverso la partecipazione e la cooperazione di tutti gli attori interessati alla rigenerazione dell’area.

Il progetto di rigenerazione urbana deve avere una strategia chiara ed articolata, specificare come impiegare le risorse in una visione di lungo periodo,

indicare i benefici che devono essere raggiunti ed in che modo, identificare le risorse pubbliche e private coinvolte. Deve inoltre indicare i modi per

integrare le politiche verticalmente ed orizzontalmente, monitorare gli outputs della strategia e valutare il loro impatto.

In definitiva i punti che sono esaminati dall'analisi sono perciò:

1. la centralità degli spazi pubblici urbani e territoriali;

2. le infrastrutture e trasporto pubblico per il territorio urbano;

3. il controllo della densità e degli usi per la qualità della vita urbana;

4. l'abitazione, la riqualificazione integrata urbana delle aree e il mantenimento delle peculiarità storico-culturali e tradizionali;

5. la nuova politica della città a scala territoriale;

6. il rapporto pubblico/privato e la perequazione.

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1. METODOLOGIA DI ANALISI

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1.1 CREAZIONE DEI C.C.Q.

Partendo dall'incarico abbiamo in prima battuta individuato quali possono essere i centri civici di quaritere attivabili (da ora in poi CCQ), o comunque

già attivati, per la gestione delle segnalazioni provenienti dai cittadini e il futuro aggiornamento della mappatura delle aree ed edifici definiti

“vuoti”in questa relazione. La suddivisione dei CCQ è avvenuta, in maniera condivisa, nelle due giornate di formazione tenute presso la biblioteca

Mozzi Borgetti di Macerata.

Nella prima è stata fatta una panoramica sulla partecipazione e su quali sono i metodi e le tecniche di partecipazione dei cittadini all'interno di un

sistema urbano socialmente consolidato. Le persone presenti hanno manifestato grande interesse all’interno della “lezione”. Successivamente sono

iniziati lavori di concertazione per la formazione dei CCQ.

Nella seconda lezione invece ci siamo addentrati nella vera, e pura, metodologia gestionale di un centro civico di quartiere. Più conosciuti come

neighbourhood office8

o urban center9

. In sintesi il CCQ dovrà soddisfare le esigenze del quartiere: dalla distribuzione dei sacchetti per la raccolta

differenziata, all'amministrazione delle feste di rione, dalla programmazione di iniziative di quartiere, all'acquisizione delle segnalazioni da parte dei

cittadini, e così via. Sempre all'interno della seconda lezione è stata prodotta e revisionata una scheda di analisi per le segnalazioni dei cittadini o

degli utenti urbani nonché sono stati definiti i confini dei CCQ.

I CCQ sono 7:

8 accezione anglo-sassone soprattutto d'oltreoceano e nord europea, sono luoghi nel quale i cittadini si riuniscono per dare delle segnalazioni o organizzarsi all'interno di un

neighbourhood (aree residenziali periferiche) per le famose ronde notturne e altro.

9 accezione sud europea che però va ad individuare luoghi strategici per la città e non per il quartiere come nel nighbourhood office.

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News estratta dal sito ufficiale del Comune di Macerata - ultimo aggiornamento 23/05/2014

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• Centro Storico, dove la gestione sarebbe affidata alla pro-loco del capoluogo e alle associazioni militanti nel quartiere;

• Rione Marche, dove la gestione sarebbe affidata all'associazione già presente nel rione e dove la virtuosità dei residenti ha da poco acquisito

nuovo vigore e forza;

• Le tre vie, la sede sarà stabilita presso Idea 88 dove la stessa associazione si farà capofila dell'organizzazione e amministrazione del centro

civico;

• I colli, vale a dire Collevario e Colleverde, dove associazioni presenti e attive nel territorio saranno a supporto dei cittadini;

• Piediripa, la sede sarà stabilita presso la Pro loco;

• Sforzacosta, l'Associazione Salvambiente e la proloco saranno da tramite con il comune;

• Villa Potenza, la Pro loco terrà la gestione del centro.

Sempre nella seconda lezione è stata definita una scheda per le segnalazioni da parte dei cittadini, il regolamento da tenere all'interno degli stessi

CCQ da parte dei cittadini e le azioni (modus operandi) per i gestori del CCQ.

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Distribuzione dei CCQ di Macerata

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Prima pagina della scheda di segnalazione

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Seconda pagina della scheda di segnalazione

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Manifesto delle regole per i cittadini da tenere all'interno del CCQ

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Slides del corso tenuto per i CCQ

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Slides del corso tenuto per i CCQ

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1.2 COME SCEGLIERE LE AREE E GLI EDIFICI

Il comune di Macerata è costituito da una eterogeneità di spazi ed immobili interessanti. La loro lettura, all'interno del lavoro, è stata molto specifica e

precisa. In particolar modo siamo andati a vedere quelli che sono chiamati “terzi paesaggi”10

. Ogni paesaggio (area o edificio) scelto è stato esaminato

in base a delle caratteristiche insite nella definizione del termine.

• Origine: tipologia di nascita del “frammento” di paesaggio;

• Estensione: rilevante grandezza geometrica;

• Carattere: specificità e unicità del paesaggio ambientale o antropico;

• Statuto: elementi di potere sovraordinati e coinvolgimento dell'immaginario collettivo;

• Sfide: capacità di essere resiliente alle condizioni esterne ed interne, essere capace di rigenerarsi con piccole condizioni socio-economiche e

capacità di istituire rapporti duraturi socio-culturali;

• Mobilità: rapporto con le infrastrutture presenti o future;

• Evoluzione: comportamento nella storia del paesaggio e situazione di rapporto con il tessuto adiacente.

In sintesi le tipologie delle aree analizzate sono dismesse, abbandonate, inutilizzate o degradate, mentre gli edifici sono per lo più abbandonati,

inutilizzati o ruderi.

Dopo un primo rilievo si erano schedati più di 150 edifici e 45 aree, mentre nel presente documento ne sono stati riportati soltanto i più importanti e

rappresentativi. In totale abbiamo schedato per il lavoro 19 aree e 88 edifici. A tal proposito si può notare che alcuni codici sono alternati generando

refusi non casuali. Tali refusi sono gli elementi, aree o edifici, tolti in sede di analisi.

Per le aree sono state predisposte anche delle veloci analisi SWOT che permettono una lettura immediata dei punti di forza e debolezza, nonché le

opportunità e le minacce.

10 G. Clément, Manifesto del Terzo Paesaggio, Quodlibet, 2004, Macerata

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2. METODOLOGIE E TECNICHE PER LA RIGENERAZIONE E

RIQUALIFICAZIONE URBANA

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2.1 RETROFIT URBANO

Il retrofit in architettura è quel complesso di interventi nel quale le trasformazioni e la conservazione delle strutture si integrano il più possibile nel

rispetto dell'esistente tenendo presente le esigenze dei fruitori e delle risorse disponibili e future. Per sua natura il retrofit richiede un approccio

interdisciplinare. Può essere considerata un'attività che riguarda il miglior uso delle risorse territoriali ed interventi sulle strutture esistenti con

approcci e politiche urbane innovative.

Il progetto di retrofit non riguarda solo il patrimonio storico comunemente inteso come tale, ma si rivolge anche a edifici o gruppi di edifici, che pur

avendo una storia più breve e avendo esaurito la funzione per la quale erano stati progettati, meritano, per la loro posizione territoriale e per il

rapporto con gli abitanti della zona, di essere riqualificati e reinseriti nel contesto urbano. Questo processo, di recupero e rifunzionalizzazione,

permette alle città di riappropriarsi di un'area urbana in disuso e in stato di degrado, trasformandola in un luogo al servizio della vita culturale e

economica della comunità.

2.1.1. RECUPERO E RISTRUTTURAZIONE

Il recupero comprende le operazioni sull'edificato e deve misurarsi con le necessità di conservazione fisica del complesso edilizio, ma anche

dei suoi significati, soprattutto se si tratta di un edificio storico, in vista del miglioramento delle prestazioni, prevedendone anche la

eventuale rifunzionalizzazione ovvero l'assegnazione al complesso di una funzione diversa da quella per la quale è stato costruito.

La ristrutturazione urbana coinvolge, oltre che l’aspetto edilizio di un singolo fabbricato, anche l’assetto dell’intero comparto nel quale

l’immobile si inserisce.

Gli interventi di ristrutturazione urbana si articolano in :

A) Interventi di demolizione e ricostruzione, parziale o totale, di un singolo edificio, con diverso esito planivolumetrico, nei limiti della

volumetria e delle superfici indicate dalle NTA del PRG, fatte salve le specifiche dei piani e normative sovraordinate. Non si intende

“ristrutturazione urbana” la demolizione di edifici esistenti e la ricostruzione all’interno degli indici e delle destinazioni di piano senza

modifiche della configurazione dei lotti. In tal caso l’intervento si configura come nuova edificazione.

B) Le opere rivolte alla sostituzione ed alla modifica del tessuto edilizio ed urbanistico esistente.

Gli interventi dovranno armonizzarsi nelle linee architettoniche, nei materiali di finitura esterna (intonaci, infissi, manti di copertura) e

negli eventuali elementi di arredo delle aree scoperte, ai caratteri dell'edificato storico e dell'ambiente circostante.

In ogni caso devono essere eliminate le aggiunte edilizie incongrue che determinano disordine visivo.

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2.1.1.a) HOUSE STANGING

L'house staging (HS) è una pratica economica e innovativa per vendere o affittare immobili in tempo minore, minimizzandone i

difetti ed esaltandone le potenzialità. L’HS esiste negli Usa e in Gran Bretagna sin dagli anni ’80 ma è praticamente sconosciuta in

Italia, anche grazie ad alcuni programmi televisivi condotto per lo più da architetti e designer. Si tratta di un servizio

personalizzato semplice ma efficace che consiste nel sistemare una casa in vendita nel miglior modo possibile perché non vengano

offuscati i suoi lati migliori. La luminosità, l’ampiezza, la disposizione delle stanze e l’affaccio. L’Home Stager vede subito quali

sono i punti cruciali, e spesso i rimedi sono semplici e poco costosi. Cambiare il posizionamento dei mobili, togliere di mezzo

oggetti superflui, riorganizzare gli ambienti in modo ordinato, aggiungere un tappeto colorato, una tenda o un grande specchio

possono rendere un’abitazione più gradevole.

Sembra facile, ma occorre avere un occhio esperto. Abitare per tanto tempo la stessa casa fa perdere obiettività su ciò che si deve

cambiare per migliorarla e quindi venderla più velocemente e al giusto prezzo di mercato.

Una consulenza in Home Staging può includere:

• il riposizionamento dei mobili;

• la fornitura di accessori di arredo e/o una lista di cose da acquistare per rendere il tuo appartamento più accogliente;

• la consulenza per il colore: la scelta della pittura, dei tappeti, dei mobili o dei piani di lavoro;

• una lista di riparazioni, piccole migliorie e consigli per la pulizia approfondita di tutti i dettagli;

• l’eliminazione dalla casa di tutto ciò che è inutile.

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House staging ripreso da una delle trasmissione televisive del momento

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2.1.2. RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA

Per riqualificazione energetica (o retrofit di tipo energetico) si intendono tutte le operazioni, tecnologiche e gestionali, atte al

conferimento di una nuova o superiore qualità prestazionale alle costruzioni esistenti dal punto di vista delle performance energetiche,

volte cioè alla razionalizzazione dei flussi energetici che intercorrono tra sistema edificio (involucro e impianti) ed ambiente esterno. In

generale, gli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente sono finalizzati a:

a) migliorare il comfort degli ambienti interni;

b) contenere i consumi di energia;

c) ridurre le emissioni di inquinanti e il relativo impatto sull’ambiente;

d) utilizzare in modo razionale le risorse, soprattutto rinnovabili in sostituzione dei combustibili fossili;

e) ottimizzare la gestione dei servizi energetici;

Il concetto di riqualificazione energetica dell’esistente correlato a quello di sostenibilità del costruito è promosso a livello internazionale da

politiche che individuano nella necessità di un sostanziale cambiamento nel modo di costruire, di gestire e di mantenere gli edifici esistenti.

Essa rappresenta la chiave di volta, in ambito edilizio, per la salvaguardia dell’ambiente, per la tutela della salute, del benessere dell’uomo e

della migliore qualità della vita. Gli interventi principali, in grado di garantire un retrofit vantaggioso, interessano sia il sistema

tecnologico sia la gestione energetica dell’edificio, e riguardano fondamentalmente:

• il miglioramento delle prestazioni dell’involucro edilizio;

• la sostituzione di componenti obsoleti degli impianti di climatizzazione invernale e di illuminazione con altri più efficienti e con minore

impatto sull’ambiente in termini di emissioni prodotte;

• l’utilizzo dell’energia solare e fotovoltaica, nonché geotermica;

• la corretta gestione della ventilazione naturale e del raffrescamento passivo al fine di limitare la diffusione di impianti di

condizionamento estivo, responsabili dell’incremento dei consumi elettrici;

• la revisione della contrattualistica inerente ai servizi energetici;

• l’introduzione di sistemi di contabilizzazione individuale dell’energia per la sensibilizzazione alla riduzione dei consumi.

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2.2 RETROFIT MILITARE E INDUSTRIALE

I territori industriali e militari in abbandono hanno goduto molto spesso di un'immagine negativa. Luoghi inquinati, segnati negativamente dal loro

carattere di marginalità urbana e sociale, molto spesso animati solo dal degrado urbano. Quando un’ attività industriale cessa non lascia solo un vuoto

fisico, continua a occupare territorio con i suoi residui. Per molto tempo si è ritenuto che la soluzione migliore per queste aree fosse la bonifica, che

facesse tabula rasa, cancellando però testimonianze cariche di storia, che valevano la pena di essere conservate.

Il riuso delle aree industriali e militari in Europa è cominciato negli anni ‘60, con le prime avvisaglie di deindustrializzazione, adottando tre tipologie di

intervento: il rinnovo, la rivitalizzazione, il recupero. Solo però a partire dalla metà degli anni ‘80, il patrimonio industriale viene riconosciuto come

tale, ossia le testimonianze delle attività produttive assumono una valenza culturale che vale la pena conservare e promuovere. Le aree industriali

dismesse inoltre sono in genere già servite dalle principali opere di urbanizzazione e sono spesso collocate in prossimità di impianti ferroviari o di

tratte importanti della rete stradale che ne possono determinare una buona accessibilità, pertanto la restituzione di queste aree alla città può

costituire un’occasione importante per il ridisegno del tessuto urbano locale. A partire dagli anni ’90 inizia la problematica del riuso delle aree

militarizzate dismesse.

E’ frequente la tendenza del proprietario a considerare l’area di un impianto produttivo dismesso come residuo attivo da liquidare e non anche come

una risorsa per lo sviluppo di nuova imprenditorialità. Spesso il proprietario cerca di lucrare sulla rendita, alienando un'area che ha guadagnato

centralità e, quindi, acquisito valore in virtù dell'espansione urbana. Perciò le iniziative del proprietario si indirizzeranno ad ottenere che gli strumenti

di pianificazione assegnino all'area funzioni che ammettono impieghi intensivi delle superfici e che generano alti valori dei suoli; è il caso, in

particolare, delle attività del terziario. Ciò aumenta il rischio di produrre scenari di riuso allettanti ma improbabili, perché la loro concretizzazione è

affidata ad attori terzi che potrebbero non esserci o dimostrare incapacità.

La realizzazione, di notevoli superfici le quali nominalmente hanno un elevato valore commerciale, si può ritorcere contro il developer, in quanto egli

produce un'offerta che il mercato non è in grado di assorbire nei tempi imposti dal turn-over del suo programma di finanziamento. Oggi l’offerta

dovrebbe essere indirizzata, come si è detto, a soddisfare una richiesta sempre più massiccia da parte della piccola e media impresa e del commercio.

Dal canto loro, le amministrazioni comunali hanno spesso privilegiato la realizzazione dei servizi di cui vi era carenza e ciò le ha portate ad avanzare

richieste in termini di cessione di aree o di realizzazione diretta di impianti di pubblico interesse, magari in cambio di condizioni di riuso più favorevoli

ai proprietari in termini di destinazioni d’uso e indici di fabbricabilità. Tuttavia i servizi pubblici, anche se ottenuti a costo zero, hanno alti costi di

manutenzione.

Quando la situazione di cassa dei Comuni si è fatta drammatica e la competizione urbana più vivace, l’obiettivo di elevare la qualità urbana è rimasto,

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ma l’accento si è spostato dal miglioramento di parti di città degradate alla creazione delle condizioni ottimali per attrarre investimenti e attività che

possano avere ricadute occupazionali, secondo l’ottica propria del marketing urbano, del quale parleremo nel capitolo 2.6.

In un piano di riuso a prevalente destinazione di funzioni urbane, il computo di tutte le aree destinate a servizi pubblici può raggiungere percentuali

variabili tra il 50 ed il 70%, mentre per Macerata variano tra il 35 e il 60%. Per quanto riguarda la quota di edilizia privata, nelle grandi città italiane

gli indici di edificabilità territoriale oscillano generalmente tra 1,25 e 2,00 mc/mq, nella città di Macerata si arriva anche 3,00 mc/mq. Errate

valutazioni di questi indici possono portare a fallimenti delle operazioni di trasformazione urbana sul piano della gestione economica e finanziaria o a

carenze sotto il profilo della copertura dei costi di urbanizzazione. In genere il Comune non dispone delle risorse necessarie per l’acquisto delle aree,

non ha convenienza a porre vincoli, per la scarsa probabilità di poter intervenire in tempo utile avanti la loro decadenza, né può risolvere il problema

della dotazione di servizi solo facendo ricorso agli oneri concessori che ottiene. Quindi si è affermata la pratica di ricorre a meccanismi perequativi,

che riconoscano al privato un certo indice d'edificabilità dietro la cessione gratuita di opere o di aree pubbliche. In ogni caso il problema di stabilire

tipo e quantità dei servizi pubblici si pone sotto molti aspetti: con riguardo non solo al soddisfacimento dei parametri urbanistici e all’opportunità

delle localizzazioni, ma anche alla disponibilità di risorse finanziare che ne garantiscano la completa esecuzione e alla ricerca del giusto equilibrio fra

utilizzi pubblici e privati, affinché l'uso troppo intensivo dell'area non pregiudichi la qualità finale del risultato o l’eccessivo costo delle cessioni non

determini sbilanci finanziari insostenibili da parte dell’operatore.

2.2.1. RECUPERO

Negli ultimi anni si è assistito anche nel nostro Paese ad una progressiva sensibilizzazione verso i manufatti del patrimonio industriale e

militare che ha portato a maturare una nuova consapevolezza della convenienza a recuperarli. Tale convenienza deriva sicuramente da

valutazioni economiche e di programmazione alla più vasta scala. Ma risulta altresì sempre più chiaro, tra i parametri considerati per tali

valutazioni, l’aspetto dell’appropriatezza dimostrata da tali manufatti nel poter essere efficacemente recuperati a nuove funzioni, proprio

in forza della valorizzazione delle potenzialità residue nel rispetto delle peculiarità originarie di memoria stratificata e, talora, di

interessante architettura. Va inoltre tenuto presente che il recupero dei vecchi manufatti comporta, già di per sé, il risparmio delle risorse

necessarie per la nuova costruzione e consente di contenere il consumo di suolo, oltre ad offrire, spesso, opportunità interessanti per

l’utilizzo di tecnologie innovative come le pratiche sulla SMART-CITY, di cui parleremo nel capitolo 2.7. La condizione per far sopravvivere i

vecchi manufatti è però quella di trovare per essi nuove funzioni, purché coerenti con i caratteri dei manufatti e del sito che li accoglie e in

grado di reinserirli, a tutti gli effetti, nel circuito produttivo con una nuova funzione sociale.

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2.2.2. RIQUALIFICAZIONE

La riqualificazione di siti dismessi porta a diverse possibili realizzazioni: attività economiche, spazi pubblici o riserve fondiarie. Nel caso

delle attività economiche, la riqualificazione include la costruzione di edifici o mira a preparare i lotti di terreno alla vendita a investitori.

Ciò può essere fatto da un promotore pubblico o privato. Solo dalle attività economiche ci si attende la creazione di posti di lavoro. Il Fondo

europeo di sviluppo regionale (FESR) e il Fondo di coesione (FC) possono cofinanziare la riqualificazione di siti dismessi nelle regioni

ammissibili degli Stati membri. Il sostegno può arrivare fino all’85 % della spesa ammissibile per un progetto specifico11

.

In un contesto di intensa (e complessa) attività normativa in materia di dismissione del patrimonio pubblico che dura da più di vent’anni, il

Governo Renzi sembra segnare un’inversione di tendenza e una rinnovata attenzione dell’esecutivo su una maggiore operatività al fine di

giungere a concrete opportunità di valorizzazione e dismissione delle aree e degli immobili ex militari. Infatti, tra le varie iniziative in atto

per la riqualificazione di tali beni, a partire dall’aprile 2014 il nuovo ministro della Difesa Roberta Pinotti ha istituito una “Task Force” di

coordinamento con Difesa Servizi S.p.A. e Agenzia del Demanio, con il compito di velocizzare gli iter di valorizzazione del patrimonio non più

utile alle esigenze militari. Il principale cambiamento introdotto nella sottoscrizione dei protocolli riguarda l’inserimento nel processo di un

ente intermediario, l’Agenzia del Demanio, con il compito di verificare la coerenza economica complessiva delle diverse alternative di

valorizzazione individuate e, in tale ambito, definire il valore degli immobili al termine del procedimento. L’Agenzia del Demanio si deve

occupare del conferimento dei beni ai fondi di investimento immobiliare inerenti all’articolo 33 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 e del

loro inserimento in programmi di dismissione e valorizzazione destinandoli all’amministrazione comunale competente.

Con le novità introdotte, dagli ultimi provvedimenti legislativi voluti dal nuovo ministro della Difesa, sembrano intravedersi elementi

virtuosi che potrebbero portare ad esiti reali per processi che si trascinano nel tempo da molti anni. Dato per scontato che in genere gli enti

locali non dispongono delle risorse necessarie per l’acquisizione dei beni e delle aree (i comuni non diventano i proprietari degli immobili, lo

Stato però si scarica dei costi di manutenzione), è stata promossa l’attualizzazione dei principi iniziali del federalismo demaniale e

soprattutto la modifica dell’iter procedurale dei protocolli d’intesa. In questo contesto appare fondamentale il ruolo affidato all’Agenzia del

Demanio che, dopo un periodo di rapporto instabile ed incerto con il Ministero della Difesa, sembra ora affidataria del ruolo e delle

competenze per gestire in modo più efficace questi processi. Gli esiti degli interventi dovrebbero essere indirizzati verso il riuso, in

particolare le dimensioni e l’ubicazione delle caserme dovrebbe consentire di mobilitare capitali pubblici e privati, per costruire partnership

finalizzate ai processi di riconversione e riuso, essenziali in questo momento di crisi economica.

11 Dal 2007 gli Stati membri possono scegliere di investire parte della dotazione finanziaria loro assegnata per le misure strutturali dell’UE nei fondi rotativi di Jessica, onde

contribuire al riutilizzo delle risorse finanziarie e all’accelerazione degli investimenti nelle aree urbane europee. Al momento dell’audit, tali fondi erano nelle fasi iniziali di

costituzione e pochissimi di essi erano destinati alla riqualificazione di siti dismessi.

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2.3 IL SISTEMA DELLA MOBILITÁ E IL CITY LOGISTIC

Il sistema della mobilità comprende la rete infrastrutturale della città, prendendo in considerazione tutte le tipologie di trasporto: dai più grandi

(automezzi e treni) ai più piccoli (pedonali). Il sistema di mobilità unisce il tessuto urbano consolidato di Macerata ad un sistema di connessioni,

esterne al territorio, importante sia a livello provinciale che nazionale. Inoltre, la scarsa dotazione di piste ciclabili e percorsi pedonali, porta a far si

che il mezzo automobilistico sia il mezzo di trasporto più utilizzato. Il City Logistic (d'ora in poi CL) è un nuovo servizio di distribuzione delle merci per

il centro urbano. Ideato per realizzare un sistema integrato di servizi che migliora l’accessibilità delle merci in città e di conseguenza migliora la

vivibilità, contribuendo a decongestionare il traffico. Il CL riduce l’impatto negativo dell’intero processo di distribuzione delle merci in città:

1. inquinamento ambientale ed acustico;

2. congestione del traffico;

3. percezione di “disorganizzazione”.

Un numero minore di veicoli commerciali circolanti significa ridurre la sosta irregolare di fronte ed in prossimità dei luoghi d’acquisto. CL instaura una

nuova cultura della mobilità delle merci. Una mobilità sempre più al servizio di tutti i cittadini per migliorare la qualità del vivere in città, basata su:

a) un modello organizzativo snello e orientato a valorizzare la specializzazione e le competenze;

b) personalizzazione dei servizi;

c) flessibilità nella gestione dei casi particolari e/o urgenti;

d) massima attenzione a garantire qualità di servizio al cliente finale.

Il servizio si rivolge a tutte le attività dislocate all’interno della ZTL, e dei centri abitati, le cui merci rientrano all’interno delle categorie

merceologiche ammesse al servizio, con esclusione dei servizi specialistici (food, ADR e liquidi sfusi) sia per le consegne in entrata che in uscita e a

tutte le società che abbiano esigenze di distribuzione sia semplici che articolate (dal singolo pacco regalo al bancale), e che vogliono avere rapporti

con un operatore locale neutrale, affidabile ed in grado di offrire la massima flessibilità tipica della piccola impresa senza rinunciare alla

professionalità ed ai modelli organizzativi tipici di una struttura di grosse dimensioni. Macerata ha acquisito nell'ultimo lustro una quantità di centri

per il commercio di questi prodotti. Inoltre la mobilità sostenibile, è intesa come “muovere persone e merci in modo ecologico, ergonomico, sicuro,

economico e tempestivo”.

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Schema del city logistic

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2.3.1. BIKE-SHARING

Il BS consiste in una rete ciclabile a dimensione urbana e territoriale12

che aiuti il rilancio del centro città e contemporaneamente che sia integrata

anche con sistemi extraurbani. La tematica in questione apre le porte per la gestione di un servizio di noleggio di bici cittadino che incentivi ancor

più la politica della bici in città permettendo di poterne usufruire, in maniera snella ed economica. Dai buoni risultati ottenuti dalle altre

esperienze13

il bike-sharing sembra la soluzione più efficiente. Esso consiste nella messa a disposizione dei cittadini di una serie di biciclette di

proprietà comunale, dislocate in diversi punti di parcheggio, che gli utenti (previa sottoscrizione di apposito abbonamento) possono utilizzare

durante il giorno con il vincolo di consegnarle alla fine dell'utilizzo presso uno dei vari punti di raccolta.

Un buon servizio potrebbe essere utilizzabile tutti i giorni dalle 07.00 alle 02.00 con metodo di riconoscimento tramite card magnetica da

passare al checkpoint stabilito. La card magnetica in genere, prevede una cauzione da 10 euro (con apposito lucchetto), una quota di

iscrizione una tantum di 15 euro e un abbonamento, da scegliere tra annuale di 25 euro, settimanale di 5 euro e giornaliero di 2 euro. La

prima mezz’ora di utilizzo è gratis per tutte le tipologie, mentre la mezz’ora successiva ha un costo di 0,50 euro per gli abbonamenti

giornalieri e settimanali, mentre è gratuito per gli abbonati annuali. Dalla terza mezz’ora e successive, la tariffa ha un prezzo di 1 euro per

gli abbonati giornalieri e di 0,50 per il resto degli abbonati.

costo abbonamento prima mezz'ora seconda mezz’ora terza mezz’ora e mezz'ore successive

giornaliero 2 € gratuita 0,50 € 1 €

settimanale 5 € gratuita 0,50 € 0,50 €

annuale 20 € gratuita gratuita 0,50 €

12 tale soluzione ovviamente deve essere interpretata laddove l'acclività e la morfologia territoriale lo permette. A Macerata le frazioni di Villa Potenza, Piediripa e Sforzacosta sono

molto predisposte per l'utilizzo di una metodologia di trasporto leggero come la bicicletta. Tale soluzione può anche essere intrapresa a nostro parere in altre aree cittadine come

ad esempio colleverde e collevario, sia per: dimensioni del tessuto, morfologia e soluzioni di spazi pubblici aperti verdi costruiti.

13 come ad esempio Parma, Milano e Torino. Padova per il bike-sharing elettrico.

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stalli per Bike-sharing elettrico Bike-sharing

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2.3.2. BUSBIKE

Vista la morfologia e la diffusione dei contesti urbani consolidati di Macerata, sembra troppo difficile superare con problematiche di

trasporto con una pista ciclabile generata. Si prevede la realizzazione di una pratica efficace, che anche altre città americane e nord europee

hanno provato ed approvato, ovvero il bus-bike. Un espediente semplicissimo e non oneroso, formato da un carrello in carbonio che si

aggancia al paraurti anteriore e posteriore dei mezzi pubblici di trasporto capace di richiudersi su se stesso.

Potrà collegare l’area del centro storico con le aree limitrofe e di fondovalle. Si riutilizzeranno sei linee esistenti, cioè le linee 1, 3, 7, 9, 10

e la circolare C. L'azienda APM inoltre, nel corso degli anni, si è creata una flotta di 28 autobus di cui 24 a metano14

al fine di diminuire

l'emissioni di CO2 all'interno della città in linea con le politiche europee sulla diminuzione dell'inquinamento.

Istruzioni per l'utilizzo della piastra per trasporto biciclette

14 dati presi dal sito aziendale dell'APM spa, http://www.apmgroup.it/apm/trasporti/il-servizio, ultima visita 17 ottobre 2014

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Bus-Bike

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2.3.3. LOVE PARKING

In Italia da un anno a questa parte si sta diffondendo le aree a parcheggio custodite dove le coppie possono appartarsi in auto. Queste sono i

Love Parking. Nati intorno all'inizio del millennio in Svizzera nei pressi di Zurigo si sono sviluppate in tre aree italiane. Le uniche presenti in

Italia sono quelle di: Casoria (NA), Bari e Crema (CR).

Quest'ultimo si trova ad una quarantina di chilometri a sud di Milano. Percorrendo la statale Paullese si arriva a Bagnolo Cremasco, un paese

di cinquemila abitanti. Lungo la strada trafficata che costeggia la zona industriale, tra fabbriche e cantieri, ecco spiccare l'insegna luminosa

del "Luna Parking", dove poter fare l'amore in sicurezza per cinque euro l'ora.

L'aspetto è a tutti gli effetti quello di un parcheggio: si ritira il ticket, si sceglie un posto libero tra uno dei 38 box a disposizione, e si

abbassa la tenda dietro di sé, in modo da nascondere la vettura e i suoi passeggeri. Dopo chiusure temporanee da parte del Comune, il

parcheggio dell'amore di Bagnolo Cremasco oggi funziona a gonfie vele. È quasi un'istituzione nella zona, tutti lo conoscono anche se pochi

ammettono di averlo frequentato. Eppure qualcuno ci deve pur andare: «Dal 2010 al 2011 il lavoro è incrementato del 70 %», racconta il

gestore della sosta hard, «oggi facciamo una media di 30 entrate al giorno».

In quello di Casoria (Napoli), il sesso in auto lo sponsorizza addirittura l'amministrazione comunale: nel quartiere Barra, sta sorgendo un

love parking gestito dall'ente Napoli Park e promosso da un consigliere della sesta municipalità. Sulla stessa scia c'è Catania dove un

consigliere di municipalità ha da poco proposto di istituire un parcheggio dell'amore in una zona dove le coppiette in auto si danno

appuntamento già da decenni.

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Love Parking di Zürich (CH)

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A partire da un’area adibita in precedenza a parcheggio auto, si sono attrezzate razionalmente le piazzole di tende per la privacy degli

utenti e si è predisposto un servizio di guardiana, addetto alla sicurezza e alla riscossione del biglietto di entrata. Per le prime due ore si

stima un costo di 5 euro a cui seguono maggiorazioni di 1,50 per ogni frazione d’ora di 30 minuti. Dal lunedì al giovedì l’orario di apertura è

stabilito dalle ore 18:00 alle 2:00 e dal venerdì alla domenica dalle 18.00 alle 04:00. Per il rispetto della privacy non è richiesto alcun

documento ma all’entrata viene rilasciato un ticket di cui avere cura fino all’uscita. Si dispone oltretutto di un ottimo servizio di

distribuzione dei profilattici e di plichi informativi sulle malattie sessualmente trasmissibili, che permette un consumo consapevole e

protetto del servizio; inoltre si favorisce la diffusione dell’educazione sessuale tra le fasce più giovani abbattendo i pregiudizi e la

disinformazione sin dalle prime esperienze.

In realtà si spera ben presto di un vero e proprio patrocinio delle Asl in tal senso per rendere, addirittura, pubblico il servizio con costi quasi

dimezzati e, soprattutto, più diffusi all’interno del tessuto cittadino. Inoltre una sponsorizzazione e formazione, informazione sulle pratiche

del sesso sicuro e anti HIV.

Le aree dove è possibile costituire il love parking a Macerata sono sostanzialmente:

1. la parte più a nord della lottizzazione di Valleverde (vedi allegato tavola 2 – Piano IDEA per Piediripa). L'ubicazione scelta rimane

relativamente “nascosta” da occhi indiscreti e da possibili turbamenti della “quiete pubblica”;

2. una possibile riutilizzazione e rifunzionalizzazione del ParkSì del centro.

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2.4 PROGETTI AMBIENTALI E RURALI

Il territorio in esame ha subito nel tempo trasformazioni importanti, a discapito del paesaggio naturale ed agricolo, che nel tempo si è drasticamente

impoverito e non riesce ad assolvere a pieno i suoi ruoli ecologici e le funzioni ecosistemiche. Il paesaggio rurale storico è stato sostituito da un

paesaggio agricolo di tipo intensivo, pressoché monotematico e povero di elementi diffusi di qualità ecologica e sociale. La rete agricola ed ecologica

contornante il tessuto urbano di Macerata si struttura solo in pochi casi come complesso di elementi diffusi del paesaggio agrario come siepi e filari

stradali e interpoderali, elementi puntuali, fossi, scoline cavedagne, etc, che formano ancora una rete di collegamento ecologico di supporto alle

connessioni primarie individuate nei corsi d’acqua principali.

L’analisi vuole porre l’attenzione sulla creazione di un margine capace di realizzare, contemporaneamente, habitat, condotto, filtro, barriera, fonte e

risorsa di alimento per specie vegetali e animali, in sinergia con le attività antropiche. Il recupero e la valorizzazione ambientale e rurale verte sul

ripristino dei componenti chiave del paesaggio (sia in termini di tutela che di potenziamento).

Le azioni proposte sono:

-creazione e/o potenziamento di filari ripariali lungo i fossi e le scoline;

-creazione e/o potenziamento di filari poderali e stradali, arbustivi e/o arboree;

-creazione di un corridoio arbustivo-arboreo, perimetrale al contesto urbano, di indirizzo per lo spostamento della fauna locale;

-arredo del verde urbano attraverso essenze differenziate e identitarie delle varie zone dell’area industriale come elemento identitario;

-recupero di edifici e manufatti interessanti al fine di ricreare funzioni ambientali e rurali diffuse;

Inoltre la riformulazione delle reti idriche di superficie comprende le acque, organizzato, in sistemi di raccolta di quelle piovane (linee di raccolta da

impluvi e strade delle acque), ed in una rete che unisce le acque grigie e nere in aree di fitodepurazione ai margini dei contesti più marginali, periferici

e industriali di Macerata. Le acque raccolte sono utilizzate per l’irrigazione del verde. Le acque fitodepurate sono utilizzate per gli orti.

2.4.1. FITODEPURAZIONE

La fitodepurazione è un sistema di filtrazione naturale delle acque reflue domestiche, agricole e talvolta industriali, nonché meteoriche, che

riproduce il principio di autodepurazione tipico degli ambienti acquatici e delle zone umide.

L'etimologia della parola phito (pianta) potrebbe far ritenere che siano le piante gli attori principali del processo depurativo, in realtà le

piante hanno il ruolo fondamentale di creare un habitat idoneo alla crescita della flora batterica, adesa o dispersa, che poi è la vera

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protagonista della depurazione biologica. Gli impianti di fitodepurazione, a livello internazionale, vengono chiamati constructed wetlands e

possono essere utilizzati o come trattamento secondario, cioè come un vero e proprio processo depurativo, a valle del trattamento primario

o come trattamenti terziari a valle di impianti di depurazione tradizionali il cui effluente non raggiunge i limiti imposti.

Le tecniche di fitodepurazione possono essere classificate in base alla prevalente forma di vita delle piante acquatiche che vi vengono

utilizzate:

• sistemi a microfite (alghe unicellulari);

• sistemi con macrofite (piante superiori) acquatiche galleggianti;

• sistemi con macrofite radicate sommerse;

• sistemi con macrofite radicate emergenti.

Questi ultimi sistemi possono subire un’ulteriore classificazione dipendente dal cammino idraulico delle acque reflue:

✔ sistemi a flusso superficiale o libero (FWS - Free Water Surface);

✔ sistemi a flusso sub-superficiale o sommerso (SFS: Subsurface Flow Sistem) a sua volta suddivisi in:

a) sistemi a flusso sommerso orizzontale (SFS-h o HF: Subsurface Flow System - horizontal);

b) sistema a flusso sommerso verticale (SFS-v o VF: Subsurface Flow System - vertical).

I sistemi di fitodepurazione per il trattamento delle acque reflue domestiche più comunemente utilizzati sono quelli con macrofite radicate

emergenti e tra questi quelli a flusso sommerso sono quelli che hanno avuto il maggior sviluppo. Infatti questi ultimi risultano più efficienti

in quanto:

• il medium di crescita, nei sistemi a flusso sommerso, fornisce una maggiore superficie di contatto per i microrganismi, responsabili dei

processi depurativi, rispetto ai sistemi a flusso superficiale e che, quindi, la risposta al trattamento è più rapida e la superficie richiesta per

l'impianto è minore rispetto a quella necessaria per sistemi FWS progettati per il trattamento della stessa tipologia di reflui;

• nei sistemi a flusso sommerso, il livello dell'acqua e l'accumulo dei detriti vegetali sulla superficie dell'impianto offrono un protezione

termica maggiore che nei sistemi FWS;

• nei sistemi a flusso sommerso il rischio dell'insorgenza di odori o dello sviluppo di insetti è molto limitato e, pertanto, l'area adibita

all'impianto può essere utilizzata dal pubblico ed è possibile prevederne la dislocazione anche in prossimità di centri urbani, con un ottimale

inserimento nell'ambiente circostante. Quest’ultimi risultano più idonei per i contesti prettamente urbani di Macerata.

I sistemi a flusso libero sono utili per le grosse utenze e con funzioni di trattamento terziario.

Gli impianti di fitodepurazione necessitano di pretrattamenti al fine di rimuovere le sostanze particolate e le parti più grossolane presenti

nei liquami in ingresso, per evitare intasamenti dei letti filtranti. Questo pretrattamento migliora l'efficienza depurativa dell'impianto di

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fitodepurazione e ne allunga la vita media.

Le piante più utilizzate in questo tipo di sistemi sono quelle denominate macrofite (piante superiori) acquatiche. L'essenza più utilizzata in

tutta Europa è la cannuccia di palude, per il suo ruolo di pompa di ossigeno. Nei sistemi a flusso superficiale, si possono utilizzare tutte le

specie di macrofite acquatiche che ben tollerano livelli di trofia ed inquinamento elevati.

Per questo lavoro abbiamo scelto come più idoneo quello a flusso sommerso. Nei sistemi a flusso sommerso la superficie del refluo non è

mai a contatto diretto con l'atmosfera. e pertanto si ha una buona protezione termica dei liquami nella stagione invernale. Tali impianti sono

costituiti da bacini impermeabili, riempiti con il substrato permeabile, o medium di crescita. Sulle superfici così ottenute viene effettuata la

messa a dimora delle piante acquatiche. I reflui dopo i pre-trattamenti passano attraverso il pozzetto di controllo di monte che serve a

controllare il regolare deflusso del liquido e attraverso un pozzetto dotato di filtri che fermano le particelle che non dovessero essere

sedimentate e delle eventuali pompe di sollevamento. Successivamente il liquido entra nel bacino di fitodepurazione che può essere a flusso

orizzontale o verticale. Le essenze impiegate per i due sistemi sono le medesime. Il refluo passando attraverso il filtro subisce un processo

di depurazione e le acque depurate vengono convogliate nel pozzetto di controllo di valle, in cui è posto anche un sistema a sifone per il

controllo del livello nel bacino, e da lì vengono inviate al corpo ricettore. In tale pozzetto si possono prelevare campioni di liquido per le

analisi. Per evitare l'ingresso delle acque meteoriche le vasche vengono delimitate da bordi sopraelevati (di circa 10-20 cm rispetto alla

superficie del terreno). In Italia viene adottato essenzialmente il flusso orizzontale perché, anche se le rese depurative sono inferiori

rispetto ai sistemi con flusso verticale, presenta rispetto a quest'ultimo minori problemi gestionali. Le due tipologie di impianto,

orizzontale e verticale, si possono normalmente utilizzare accoppiate per sfruttare le capacità depurative di entrambi i sistemi in

particolare per la riduzione delle sostanze azotate. In questo caso si parla di fitodepurazione con sistemi ibridi e sono indicati per trattare

scarichi.

Tale sistema di disegno del confine tra tessuto urbano e aree rurali risulta idoneo soprattutto nelle periferie e potrebbe costituire una

buona pratica di ri-sistemazione del verde pubblico come limite eco-tonale, di cui parleremo nei prossimi capitoli a pèropoisto della

greenbelt.

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Sistema di fitodepurazione a flusso orizzontale sommerso

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2.4.2. COMMON GARDEN

Il common garden, o giardino comune, è una nuova metodologia di riappropriazione degli spazi pubblici che tanto sta prendendo piede nei

paesi anglo-sassoni.

In America è già una realtà in quanto alcune strutture dismesse o abbandonato hanno trovato nuova vita linfa attraverso questa

riorganizzazione e utilizzazione degli spazi. Il primo ma meno conosciuto come progetto di common garden è quello della High Line di New

York, una linea ferroviaria abbandonata che è diventata una passeggiata verde con tratti di orti e prati calpestabili dai fruitori dell'area. Un

altro esempio sono le aree abbandonate attorno al Bronx dove alcuni residenti hanno fatto del common garden un sistema di riattribuzione

dello spazio con attività ludiche e formative per giovani e anziani. La costruzione di orti comuni permette la pratica dell'agricoltura anche

sporadicamente con risvolti aggregativi e funzionali alla città intera.

Tale pratica è stata recentemente utilizzata anche in Italia soprattutto al nord con sperimentazioni prettamente dal basso. Uno degli esempi

principali per dimensioni e percentuale rispetto al contesto urbano sono quelli del collettivo Ca' Tron di Venezia, dove cittadini e studenti

della facoltà di pianificazione hanno creato degli spazi ad orto comune ricavato da piccole aree verdi residuali della città. Va ad ogni modo

sottolineato che Venezia non è molto famosa per le sue aree verdi all'interno del tessuto consolidato.

2.4.3. GREENBELT O LIMITI ECOTONALI URBANI

La greenbelt (cintura verde) o limite ecotonale urbano (in ecologia urbana) è una norma che regola il controllo dello sviluppo urbano. L'idea

è che debba essere mantenuta, attorno ai centri abitati, o industriali, una fascia verde occupata da boschi, terreni coltivati e luoghi di svago

all'aria aperta. Lo scopo fondamentale di una cintura verde è impedire la scomposta proliferazione di costruzioni che vadano ad inquinare

questo spazio di rispetto.

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Momento di socializzazione tra anziani nel Common garden Pratiche di agricoltura di un bambino insieme ad un adulto

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Essa venne proposta, per la prima volta, attorno alla Greater London nel 1935. Il Town and Country Planning Act 1947 consentì alle autorità

locali di includere proposte per la costituzione di greenbelt nei loro piani di sviluppo. Nel 1955, il Ministero per la casa incoraggiò le autorità

locali a individuare delle zone protette intorno alle città del Regno Unito ed a formalizzarne i limiti.

Le caratteristiche sono:

• controllare l'allargamento scomposto delle grandi aree fabbricate;

• evitare che città vicine possano fondersi fra di loro;

• salvaguardare l'abuso delle zone coltivate;

• preservare la disposizione urbanistica delle città storiche;

• utilizzare aree urbane dismesse o degradate per il recupero urbanistico.

Una volta che un'area è stata definita greenbelt, godrà dei seguenti benefici:

1. facilitazioni nel creare adeguati accessi alla zona verde da parte degli abitanti delle città;

2. creazione di aree per la pratica di sport all'aperto vicine alle aree urbane;

3. salvaguardia e miglioramento del paesaggio vicino ai centri abitati;

4. sistemazione di aree deteriorate intorno alle città;

5. consolidare e proteggere le aree verdi;

6. mantenere le aree esistenti destinate all'agricoltura, alla silvicoltura e ad usi correlati.

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La greenbelt di Scottsdale in Arizona

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2.4.4. ELEMENTI RURALI

2.4.4.a) AGRITURISMO

L'agriturismo è una forma di turismo nella quale il turista è ospitato presso un'azienda agricola. È praticato, con diverse norme e

denominazioni, in diversi paesi del mondo, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti.

Rientrano fra le attività agrituristiche:

• dare ospitalità in alloggi o in spazi aperti destinati alla sosta di campeggiatori;

• somministrare pasti e bevande costituiti prevalentemente da prodotti propri e da prodotti di aziende agricole della

zona, ivi compresi i prodotti a carattere alcoolico e superalcolico, con preferenza per i prodotti tipici e caratterizzati dai

marchi DOP, IGP, IGT, DOC e DOCG o compresi nell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali;

• organizzare degustazioni di prodotti aziendali, ivi inclusa la mescita di vini;

• organizzare, anche all'esterno dei beni fondiari nella disponibilità dell'impresa, attività ricreative, culturali, didattiche,

di pratica sportiva, nonché escursionistiche (trekking,mountain bike, equiturismo), anche per mezzo di convenzioni con

gli enti locali, finalizzate alla valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale.

L’attività agrituristica può essere realizzata esclusivamente in edifici rurali preesistenti nelle aziende agricole e non più utili alla

conduzione del fondo. Sono previsti aiuti finanziari regionali nel quadro dei Piani di Sviluppo Rurale sostenuti dall’Unione Europea.

Secondo le statistiche ISTAT (2010), in Italia le aziende agrituristiche sono 19.973, di cui 16.504 offrono alloggio con 206.145

posti letto, 9.914 ristorazione, 11.421 attività ricreative, culturali e didattiche. La regione con l’offerta più rilevante è la Toscana

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Agriturismo di collina

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(4.074 aziende) seguita dal Trentino-Alto Adige (3.339) e dalla Lombardia (1.327). Secondo recenti stime dell’Agriturist (2012),

il fatturato annuo del settore è di circa 1,17 miliardi di euro.

Inizialmente concepito come una forma di accoglienza molto semplice, organizzata dagli agricoltori allestendo sommariamente

alloggi in edifici aziendali resi disponibili dal rapido ridimensionamento degli occupati in agricoltura, l’agriturismo si è via via

evoluto offrendo comfort e servizi adeguati alle esigenze del turismo moderno, pur coerenti con la connessione all’attività

agricola prevista dalla legge. In aumento anche l’offerta di servizi didattici con la diffusione delle cosiddette fattorie didattiche

che accolgono studenti per far conoscere i diversi aspetti dell’attività agricola e della preparazione di molti alimenti (vino, olio,

miele, formaggi, salumi, ecc.). L’offerta di agriturismo è in costante crescita. Dapprima concentrata in piccole aziende agricole

nelle zone collinari e montane, interessa oggi anche grandi aziende, pure di pianura, dando un prezioso sostegno ai redditi agricoli

e contribuendo alla conservazione del paesaggio attraverso il recupero degli edifici rurali abbandonati, al consolidamento

dell’occupazione in agricoltura, e alla valorizzazione dei prodotti tipici del territorio. L’agriturismo ha inoltre dato impulso allo

sviluppo di altre forme di turismo rurale che richiamano clienti ugualmente interessati al mondo agricolo, ma la cui attività è

svincolata dalla concreta attività lavorativa nei campi.. Anche la domanda di agriturismo si è notevolmente modificata negli ultimi

anni: prima interessava una ristretta cerchia di appassionati di tradizioni e specialità enogastronomiche, oggi coinvolge larghi

strati popolari motivati dal contatto con la natura, la buona tavola, la tranquillità, i prezzi generalmente contenuti. Le aziende,

inizialmente ad apertura prevalentemente stagionale, attualmente sono per lo più attive per l’intero arco dell’anno, ospitando per

i fine settimana come per periodi più lunghi durante le vacanze estive. Crescono gli ospiti stranieri che si stimano nell’ordine del

27% del totale.

2.4.4.b) BED AND BREAKFAST

La locuzione bed and breakfast (derivata dalla lingua inglese, traducibile come letto e colazione, in acronimo B&B) indicante una

forma di alloggio turistico informale. È considerato generalmente più economico delle altre forme di alloggio turistico come hotel

o residence, e più caro rispetto agli ostelli o campeggi. Spesso il B&B rappresenta una fonte economica importante per le

famiglie, e allo stesso tempo un'occasione di compagnia e conoscenza per persone sole o famiglie, felici di ospitare e accogliere i

viaggiatori. È praticato dalle famiglie con una o più stanze per gli ospiti libere, con o senza bagno privato, e include il

pernottamento e la prima colazione. Negli ultimi anni, questo nuovo modo di viaggiare ha visto un incremento significativo. La

possibilità di viaggiare in maniera più genuina, entrando in contatto con le persone del luogo, crea un'esperienza unica nel suo

genere.

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Il numero massimo di stanze e posti letto adibite al servizio varia a seconda della legge regionale; in genere c'è un limite di 3

stanze e 6 posti letto, ma alcune regioni ne consentono di più. La colazione fornita deve essere composta di cibi preconfezionati

poiché i B&B non sono autorizzati a preparare, manipolare e servire alimenti, salvo diverse disposizioni regionali. A seconda

dell'arredo, dell'ubicazione, della presenza o meno del bagno in camera, dei servizi offerti (cambio lenzuola, pulizia, TV o altri

apparecchi elettronici in stanza, tipologia di colazione, ecc.), i B&B vengono in talune province classificati dalle Aziende Provinciali

per il Turismo (APT) o da apposite commissioni comunali.

Normalmente per aprire un B&B è sufficiente comunicare l'inizio dell'attività e i relativi prezzi presso il SUAP (Sportello Unico

Attività Produttive) del proprio Comune. Dal punto di vista fiscale (secondo la risoluzione del Ministero delle Finanze n. 155 del

13/10/2000) non è necessario aprire una partita IVA in quanto l'attività di B&B deve essere esercitata in modo saltuario, ed è

sufficiente il codice fiscale del titolare da apporsi anche sulla ricevuta (non fiscale) che è obbligatorio rilasciare al momento del

pagamento.

I proprietari dovranno considerare l'iscrizione della propria attività presso i maggiori portali online per aumentare

significativamente la propria visibilità. Molti ospiti decidono in quale struttura prenotare solo dopo un'attenta analisi delle

recensioni e delle caratteristiche esposte online. Molti gestori di B&B decidono di incrementare le proprie entrate offrendo ai

propri ospiti attività alternative come passeggiate naturalistiche, corsi di cucina e altre attività legate al territorio.

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B&B rurale B&B urbano

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2.4.4.c) COUNTRY-HOUSE

Con il termine country house si intendono edifici di considerevoli dimensioni, che possono essere case o mansions di proprietà di

un singolo che possiede le terre attorno alla casa e, solitamente, anche una dimora in città. Spesso le case di campagna sono

confuse con le stately homes: la differenza sostanziale tra le due tipologie di abitazione consiste nel fatto che le case di

campagna sorgono sempre fuori dal centro cittadino, mentre le stately homes possono essere state costruite anche all'interno

delle città. I tipi di case inglesi secondo l’architettura anglosassone è molto diversa da quella italiana, che infatti agli occhi di un

inglese può risultare molto disordinata e poco uniforme. Le case in gran parte della Gran Bretagna infatti sono di tipologie e

forme molto simili tra di loro, anche perché esistono leggi molto severe che puniscono qualsiasi tipo di abuso edilizio. Tra le

principali tipologie di abitazioni troviamo le Detached house (case distaccate), cioè le case a sé stanti con giardino e le cui mura

sono totalmente distaccate dalle case dei vicini, e le SemiDetached House (semi distaccate) che invece hanno un muro in comune e

sono appoggiate l’una all’altra.

Nel caso la casa distaccata sia particolarmente grande si può arrivare a chiamarla Mansion, una vera e propria villa, spesso abitata

dai nobili inglesi, di frequente in campagna. A partire dal 1700 in Inghilterra è poi diffusissima la Terraced house, la tipica casetta

a schiera onnipresente in tutte le periferie delle città. Le Terraced houses sono, non di rado, totalmente identiche l’una all’altra,

condividono i muri laterali con le case vicine e sono costruite in lunghe file che producono un piacevole effetto di ordine. Queste

case non sono assolutamente care da comprare e sono le tipiche abitazioni della working class inglese.

Gli appartamenti vengono chiamati flats, ma anche apartments (quest’ultimo termine viene specialmente usato in america),

mentre i condomini sono chiamati apartment towers, blocks of flats oppure tower blocks. Quando una casa si trova all’interno di

una fattoria (farm) allora viene chiamata farmhouse, oggi spesso affittate ai turisti in cerca del contatto con la natura.

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Country-House per congressi

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2.4.4.d) AZIENDA BIOLOGICA

L’azienda agricola biologica corrisponde alla disciplina generale civile dell'azienda ma inquadrata sulla figura dell'imprenditore

agricolo. È pertanto un complesso di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa agricola biologica.

L'agricoltura biologica è un tipo di agricoltura che considera l'intero ecosistema agricolo, sfrutta la naturale fertilità del suolo

favorendola con interventi limitati, promuove la biodiversità dell'ambiente in cui opera e limita o esclude l'utilizzo di prodotti di

sintesi e degli organismi geneticamente modificati (OGM). La parola "biologica" è in realtà un termine improprio: l'attività

agricola, biologica o convenzionale, verte sempre su un processo di natura biologica. La filosofia dietro a questo diverso modo di

coltivare le piante e allevare gli animali non è solamente legata all'intenzione di offrire prodotti senza residui di fitofarmaci o

concimi chimici di sintesi, ma anche (se non di più) alla fondata volontà di non determinare nell'ambiente esternalità negative,

cioè impatti negativi sull'ambiente a livello di inquinamento di acque, terreni e aria.

Nella pratica biologica sono centrali soprattutto gli aspetti agronomici: la fertilità del terreno viene salvaguardata mediante

l'utilizzo di fertilizzanti organici, la pratica delle rotazioni colturali e lavorazioni attente al mantenimento (o, possibilmente, al

miglioramento) della struttura del suolo e della percentuale di sostanza organica; la lotta alle avversità delle piante è consentita

solamente con preparati vegetali, minerali e animali che non siano di sintesi chimica (tranne alcuni prodotti considerati

"tradizionali") e privilegiando la lotta biologica. Gli animali vengono allevati con tecniche che rispettano il loro benessere e nutriti

con prodotti vegetali ottenuti secondo i principi dell'agricoltura biologica. Sono evitate tecniche di forzatura della crescita e sono

proibiti alcuni metodi industriali di gestione dell'allevamento, mentre per la cure delle eventuali malattie si utilizzano rimedi

omeopatici e fitoterapici limitando i medicinali allopatici ai casi previsti dai regolamenti. Un'interpretazione del concetto di

agricoltura biologica tesa alla sovranità alimentare e a una più radicale opposizione alla moderna agricoltura industriale è il

principio diautorganizzazione.

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Azienda biologica di collina

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2.5 SISTEMA ORGANIZZATIVO SOCIALE URBANO

2.5.1. COHOUSING

Il termine cohousing è utilizzato per definire degli insediamenti abitativi composti da alloggi privati corredati da ampi spazi (coperti e

scoperti) destinati all'uso comune e alla condivisione tra i cohousers. Tra i servizi collettivi vi possono essere ampie cucine, lavanderie, spazi

per gli ospiti, laboratori per il fai da te, spazi gioco per i bambini, palestra, piscina, internet caffè, biblioteca e altro. Le abitazioni private

sono di solito di dimensioni più limitate rispetto alla media delle normali abitazioni (più piccole dal 5 al 15%). Il motivo è duplice: contenere

i costi complessivi dell’intervento e cercare di favorire in questo modo un più intenso utilizzo delle aree comuni.

Di solito un progetto di cohousing comprende dalle 20 alle 40 famiglie che convivono come una comunità di vicinato (vicinato elettivo) e

gestiscono gli spazi comuni in modo collettivo ottenendo in questo modo risparmi economici e benefici di natura ecologica e sociale.

Il cohousing si sta affermando come strategia di sostenibilità: se da un lato, infatti, la progettazione partecipata e la condivisione di spazi,

attrezzature e risorse agevola la socializzazione e la mutualità tra gli individui, dall'altro questa pratica, unitamente ad altri "approcci"

quali ad esempio la costituzione di gruppi d'acquisto solidale, il car sharing o la localizzazione di diversi servizi, favoriscono il risparmio

energetico e diminuiscono l'impatto ambientale della comunità.

La sua nascita nella forma attuale viene fatta risalire al 1964, quando Jan Gødmand Høyer, architetto danese, comincia il proprio percorso

per la creazione della comunità di Skråplanet, primo caso riconosciuto di bofælleskaber, termine danese per indicare il fenomeno. A partire

dagli anni Settanta il cohousing comincia a prendere piede nei paesi dell’Europa del nord, e in particolare in Danimarca, Olanda e repubbliche

scandinave. Il fenomeno rimane ristretto al contesto nord-europeo fino agli anni Ottanta, quando attecchisce negli Stati Uniti. Negli anni

Novanta il cohousing approda anche in Australia. A livello europeo, negli ultimi decenni il cohousing si è diffuso all'esterno dei paesi

scandinavi, dapprima in Germania e poi verso i paesi mediterranei, tra cui l'Italia.

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Cohousing di quartiere in nord Europa Cohousing di quartiere in America

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Secondo McCamant e Durrett le caratteristiche costitutive del cohousing sono quattro:

• social contact design: il disegno degli spazi fisici incoraggia un forte senso di comunità;

• spazi e servizi collettivi: parte integrante della comunità, le aree comuni sono pensate per l’uso quotidiano, ad integrazione degli spazi

di vita privati;

• partecipazione dei residenti nei processi di costituzione e gestione della comunità;

• stile di vita collaborativo, che favorisce l’interdipendenza, lo sviluppo di reti di supporto e aiuto, la socialità e la sicurezza.

Baglione e Chiodelli individuano invece cinque caratteristiche costitutive, parzialmente differenti da quelle individuate da McCamant e

Durrett:

i. multifunzionalità comunitaria: a fianco di funzioni più tradizionalmente residenziali sono presenti sempre presenza di servizi di vario

tipo, destinati alla fruizione prevalente da parte dei membri della comunità;

ii. regole costituzionali e operative di carattere privato: tali insediamenti sono regolati da un sistema, generalmente abbastanza semplice,

di regole di diritto privato, introdotte dai componenti della comunità per garantirne la specificità ed il funzionamento;

iii. componente valoriale: nella maggior parte dei casi la comunità si costituisce sulla base di una componente valoriale, più o meno

esplicita, tale da conferirle un'accezione fortemente comunitaria;

iv. auto-selezione dei residenti: la formazione della comunità avviene per auto-selezione, solitamente ex-ante rispetto alla realizzazione

materiale dell’insediamento. La scelta dei residenti avviene secondo meccanismi informali da cui deriva il cosiddetto “vicinato elettivo”;

v. auto-organizzazione e partecipazione: un qualche grado significativo di auto-organizzazione e partecipazione dei residenti è un tratto

essenziale della coabitazione.

In Italia, la maggior parte dei cohousing nascono grazie all’investimento di un gruppo di persone su un immobile dove l’intenzione è quella di

trasferirsi insieme una volta costruito, o ristrutturato, e quest’ultimo è costituito quasi sempre da una proprietà privata divisa. Gli spazi

condivisi vengono generalmente assimilati agli spazi condominiali e pertanto ricondotti alle norme e ai modelli urbanistici esistenti. Il

fenomeno si sta sviluppando anche grazie ad un approccio di mercato in cui, studi associati di architetti e/o costruttori e agenzie

immobiliari vendono soluzioni abitative progettando zone comuni in condivisione con gli acquirenti (progettazione partecipata) e dove

l'aspetto giuridico è quello normalmente regolato dall'atto di compravendita. Anche in Italia il cohousing è iniziato come processo dal basso

che, talvolta, ha portato alla realizzazione di comunità intenzionali come ad esempio gli ecovillaggi. Solo negli ultimi anni si assiste ad una

evoluzione dell’approccio come nuova modalità abitativa che prende piede anche attraverso la formazione di comitati promotori costituiti

spesso in associazioni per la promozione sociale.

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Se l’iniziativa vede coinvolto anche l’ente pubblico, allora devono essere definite le modalità e questo è cruciale se consideriamo le risorse

pubbliche un capitale limitato, da utilizzare in progetti significativi, la cui ricaduta sia sul benessere collettivo. Questa diverso approccio di

"secondo welfare" si affianca all'attuale sistema di welfare statale garantito con aperture a diverse collaborazioni tra pubblico e privato.

2.5.2. COWORKING

La crisi economica ha dato il “via” ad un sistema incapace, tra le altre cose, di evitare l'abbandono dei centri storici, l'abbandono del

patrimonio edilizio e l'aumento delle difficoltà economiche per i nuovi professionisti o aziende che si affacciavano al mercato del lavoro. Al

fine di far fronte a tali problemi, negli ultimi anni si sta sviluppando una nuova procedura socio-economica urbana. Il COWOrking.

Il COWOrking è uno stile di vivere il lavoro. Esso consiste in un ambiente condiviso da molteplici attività indipendenti, con spazi adibiti per le

pause (aree fumatori, angolo bar e caffetteria, area riposo con divani e poltrone, ecc.), ma al tempo stesso non ne contempla la stessa

organizzazione spazio-temporale, e viene visto come un metodo anti-stress dal lavoro. Il COWOrking perciò è un termine che non tiene

conto soltanto dello spazio fisico, ma stabilisce una vera e propria comunità. Perciò per COWOrking si intende anche il semplice raduno

temporale di un gruppo di persone che stanno lavorando in modo indipendente, ma che condividono valori, interessi e spazi, arricchendo le

potenzialità di sinergie costruttive.

Gli eventi di COWOrking casuali possono fornire la nascita di nuove comunità COWOrkinghiane, che possono prendere posto nei salotti

privati o in luoghi pubblici come bar adeguati, gallerie, spazi multi-funzionali o addirittura manifestazioni sociali. In tali eventi i

partecipanti possono godere di benefici e conoscersi l'un l'altro abbassando le barriere sociali per unirsi più avanti in un unico spazio

lavorativo (un working open-space).

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CoWorking all'interno di un ex spazio abitativo

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Il primo modello di COWOrking nacque a Berlino in un LOFT intorno al 1995, mentre il termine COWOrking viene coniato intorno al 1999 dal

designer americano Bernie DeKoven. Negli Stati Uniti nel 2000, nacque a San Francisco un coworking denominato "Hat Factory". Esso era ed

è un “loft vita-lavoro”. Di notte fungeva da casa per tre operai, mentre di giorno era aperto agli altri che lo utilizzavano per le loro attività

lavorative. Negli ultimi anni San Francisco ha visto crescere un numero notevole di spazi di COWOrking. Soprattutto dal 2008, ovvero

dall'inizio della crisi economica globale, il COWOrking ha preso il sopravvento anche in Europa. Tra il 2012 e il 2013 nel Regno Unito è

diventato un vero e proprio sistema di mercato per il rilancio di città grandi come Londra, ma anche di piccole realtà cittadine. É diventato

inoltre un incubatore per le start-up a livello europeo.

Recemente sono nate anche nuove forme, come il “COWOrking nomade”, ovvero l'utilizzo, da parte dell'imprenditore/professionista, di

luoghi di lavoro con connessione wi-fi come coffeeshop e bar.

Ma il COWOrking come può portare giovamento al contesto Maceratese? Prima di tutto si nota che il COWOrking è quindi un buon deterrente

per la recessione economica e per la nascita di nuove, piccole e medie forme imprenditoriali. Potremmo definirle come una concentrazione

multidisciplinare di attività lavorative, una sorta di “Working” Melting Pot (Burgess 1928).

In seconda battuta si può notare come gli spazi di COWOrking nel Mondo sono, soprattutto, aree dismesse, abbandonate o degradate che

vengono recuperate assegnando loro nuove destinazioni d'uso. Nella maggior parte dei casi europei e d'oltreoceano i contenitori sono

soprattutto edifici industriali o edifici per impianti tecnologici. D'altra parte nei contesti più limitati come i centri collinari italiani, ad

esempio Macerata, i luoghi di interesse dovranno essere, per forza di cose, molto più contenuti ma comunque idonei ad attivare tali forme di

microeconomie attraverso l'utilizzo plurimo di questi spazi vuoti. In tal senso si avrà una triplice positività di cicli virtuosi probabilmente

virali.

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CoWorking all'interno di un ex spazio industriale o commerciale

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Il primo riguarda quello a breve termine, ovvero il riutilizzo di spazi e contenitori vuoti che appartengono al terzo paesaggio (Clément

2005), come l'ex SARAM, o che sono stati sfitti per molto tempo all'interno del Centro Storico. Soprattutto quest'ultimo potrebbe generare

nel medio termine una sorta di gentrificazione (Glass 1964) portando con se tutti i tratti distintivi del termine gentrification , ovvero: una

riorganizzazione della morfologia sociale di una determinata area, un raggruppamento spaziale di soggetti e di stili di vita, una

trasformazione dell'ambiente costruito ed infine un mutamento dell'assetto fondiario e della sua rendita (Savage e Warde 1993). Questi

spazi sono per lo più utili al proliferare di una nuova classe sociale, composta da quelli che vengono chiamati i gentrifiers , vale a dire

managers, professionisti, dirigenti ad alto livello di istruzione, con un'età compresa tra i 25 e i 40 anni. Tale processo in alcune realtà

urbane ha portato il livello di opportunità così in alto che sono diventati delle icone-luogo per lo sviluppo urbano. Di conseguenza potrebbe

generarsi quello che in urbanistica viene definito come SOHO effect che introduce quella che oggi viene chiamata “industria creativa”.

In ultimo ci sarà la nascita di un ciclo virtuoso che, grazie alla sopradescritta élites urbana, creerà un “buon clima per gli affari” e per le

microeconomie della città. Quest'ultimo procedimento sarà lungo, forse più di trent'anni, ma porterà a quella che viene chiamata la Growth

Machine (Logan e Molotch 1987), la macchina dello sviluppo.

2.5.3. LA SCUOLA DEI NONNI

La scuola dei nonni è un elemento di aggregazione sociale che non è stato ancora sperimentato del tutto. Esso rappresenta uno stimolo

interessante per bambini e per anziani ormai in pensione. L'Italia rappresenta un buon luogo per la sperimentazione, sia per la sua storia, sia

per le statistiche di longevità.

In prima battuta possiamo affermare che l'Italia è stata protagonista di contesti bellici e la società ha dovuto in qualche modo contrastare

situazioni avverse nel bene o nel male con i propri mezzi. Tali vicende si sono poi rispecchiate nella vita di ogni singolo individuo, che ne è

stato testimone e portatore di un'esperienza che va ormai scemando e perdendosi.

In secondo luogo, l'Italia, costituisce a livello europeo15

, uno degli stati più longevi dell'Europa e tale dato porta ad avere una popolazione di

over 65 che in alcuni casi sono ancora adeguati a svolgere un servizio pubblico molto importante, la tramandazione di una storia, quella

italiana, che anche dalle più difficili situazioni è riuscita sempre ad emergere dando anche un sintomo di speranza. Inoltre Macerata sembra

essere ancora di più scenario di una sperimentazione ideale vista l'alto grado di longevità della popolazione residente. Infatti un quarto della

popolazione maceratese risulta essere over 65 ed inoltre una piccola parte, ma in aumento, risulta essere straniera16

.

15 seconda solo a Francia e Spagna come dai dati istat del 2010, link: http://www.istat.it/it/files/2013/03/1_Salute.pdf, ultima visualizzazione novembre 2014

16 dati statistici (del 2012) elaborati dall'ufficio statistica del Comune di Macerata, link:

http://www.comune.macerata.it/Engine/RAServeFile.php/f/MOVIMENTO_DELLA_POPOLAZIONE_2013.pdf, ultima visualizzazione novembre 2014

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Tali considerazioni ci porta pertanto ad esasperare l'utilizzo di questa pratica come sperimenazione sociale e urbana. Chi di noi non ha mai

avuto un rapporto sinergico, e quasi simbiotico, con la propria nonna o nonno: i momenti dei racconti di una gioventù passata, dei detti

folcloristici, delle ricette di casa. In sostanza, la scuola dei nonni, rappresenta una sorta di doposcuola che permetta a bambini di età

inferiore ai 10 anni di frequentare luoghi e spazi in compagnia di quelli che potremmo definire come i “cantastorie del novecento” che

permettano la tramandazione di un sapere e di una cultura radicata nel DNA.

Inoltre anche l'utilizzo di persone over 65 di nazionalità diverse potrà arricchire i bambini di una cultura eterogenea che permetta di far

crescere la nuova generazione maceratese senza discriminazioni raziali e culturali. Ovviamente tale servizio sociale dovrà essere

accompagnato da un buon team di educatrici o educatori e da strutture capaci di accogliere persone anziane e bambini.

2.5.4 AGRINIDO

L’ agrinido è un asilo realizzato in un azienda agricola. L'idea nasce dalla carenza dei servizi di asili pubblici. Donne e mamme imprenditrici,

che lavorano in aziende agricole, hanno pensato di trasformare questi posti in asili nido immersi nella natura.

Gli agrinidi sono in rapida diffusione: oltre cento iniziative sono già state avviate in Veneto, Piemonte, Trentino e Friuli. Tutti questi sono

spazi a contatto con la natura e gli animali, fruibili dai bambini. Ambienti educativi meno formalizzati ma liberi e spontanei, che hanno il

vantaggio di far crescere i bimbi al ritmo naturale delle stagioni e a stretto contatto con la terra e i suoi prodotti. Le classi sono formate da

meno bambini rispetto a un asilo nido tradizionale. Sono garantite tutte le cure quotidiane da parte dell'educatore (pranzo, sonno, cambio).

La vera differenza sta nel tempo trascorso all'aria aperta ed a contatto con la natura, una sorta di "palestra verde" dove coltivare le piante,

socializzare con gli animali, imparare a conoscere i loro ritmi e i principi di un'alimentazione sana. Se il metodo migliore per acquisire

conoscenze teoriche è quello di fare esperienze pratiche, l'agrinido si avvantaggia del legame con il mondo rurale, un mondo organizzato

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Racconto di un nonno ai bambini

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sull'arte del fare e sull'uso delle mani. La possibilità di accedere ai servizi degli agrinido è prevista anche per tempi più brevi rispetto alla

frequenza scolastica, grazie al fatto che alcune strutture si sono organizzate per ospitare feste di compleanno nella natura o servizi di baby

parking, per bambini che vanno dai 13 mesi ai 6 anni di età, per un tempo massimo di permanenza che non può essere superiore alle sei ore

giornaliere.

Il metodo educativo in un agrinido prevede l'avvicinamento dei bambini a un ambiente agricolo, in forma innovativa e alternativa rispetto

all`offerta educativa di un asilo nido tradizionale, con i piccoli ospiti che interagiscono quotidianamente con la natura. Le esperienze che

possono offrire gli agriasilo sono molteplici, dal teatro nella natura fino all'agriludoteca, un posto magico dove sono realizzati giochi di

fantasia con il solo uso di prodotti naturali. Oltre al classico metodo educativo degli asili nido, in un agrinido vengono integrate altre

attività: laboratori di riciclo creativo, preparazione del pane e della pasta, l'orto, lezioni sulla filiera del farro, aromaterapia e fitoterapia.

Altra componente portante del metodo educativo degli agrinido è l'applicazione della pet therapy e l'attivazione dell'orto sensoriale e

didattico per insegnare il senso del tempo, della pazienza e la capacità di ascolto della natura.

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Interno di un Agrinido Utilizzo di spazi aperti per le attività rurali

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2.5.5. CENTRI SOCIALI E DI AGGREGAZIONE

Un centro sociale è sede di un gruppo, di un movimento o di una o più associazioni che propongono attività culturali, aggregative, ludiche o

politiche, in cui si ritrovano privati cittadini anche solo con lo scopo di socializzare o semplicemente per passare il tempo in compagnia.

Il fenomeno è cresciuto nel corso degli anni ottanta e novanta tanto da divenire endemico su tutto il territorio nazionale ed identificativo

del mondo della controcultura giovanile politicamente schierata. Prassi consuetudinaria dei centri sociali è quella della cosiddetta

"riappropriazione degli spazi", che consiste nell'occupazione di stabili spesso dismessi. In tempi più recenti gli enti locali hanno cominciato

a legalizzare alcuni centri sociali occupati affidandoli agli occupanti stessi (oppure ad assegnare stabili ad associazioni senza dimora che ne

fanno uso), in modo da responsabilizzarne i "gestori".

Dall'inizio del nuovo millennio molti sono gli studiosi di politiche e pratiche urbane. A detta di molti si sta attraversando attualmente un

nuovo modello di partecipazione urbana. Il self-help for capacity building o auto-organizzazione urbana. Non sono molti i casi che hanno

permesso tale situazione ma il più eclatante è stato un fenomeno che ha portato anche ad una nuova politica nazionale; stiamo parlando del

collettivo EXODUS di Luton (periferia di Londra) e della politica creata ad hoc dopo tali eventi, ovvero il New Deal for Communities (NDC

dell'UK 1998). Il collettivo è nato come centro sociale di un'area urbana periferica di Londra dal quale sono partite iniziative sempre più

importanti che hanno coinvolto l'intero quartiere industriale (abbandonato) di Luton.

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Centro di aggregazione in Italia Centro del collettivo EXODUS - Luton, Londra

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2.6 MARKETING URBANO

Il futuro dei sistemi urbani è condizionato dall'abilità di percepire ed adattarsi alle variazioni delle condizioni economiche e sociali. Il primo passo è

quello di impostare le politiche sull'orientamento al mercato con nuova attenzione ai residenti, alla comunità economica e ai soggetti esterni. Da qui il

marketing territoriale serve all'ente locale nell'attuare una duplice attività di analizzare le caratteristiche del proprio PRODOTTO-TERRITORIO e

interpretare i bisogni del cittadino, dei soggetti e delle imprese esterne.

Il Marketing Urbano è un metodo che tende alle ottimizzazioni della sintesi delle azioni urbane anziché alla sintesi delle tante ottimizzazioni di azioni

diverse. La Pubblica Amministrazione può vedere il proprio territorio come un'entità fertile da gestire e valorizzare come farebbe un'impresa evoluta

in grado di rispondere alle esigenze di una domanda sofisticata e variegata.

Le tipologie di marketing sono:

• indifferenziato;

• differenziato;

• focalizzato;

• sistemico.

L'Indifferenziato è basato sull'obiettivo di attrarre nuove attività economiche, puntando sulla comunicazione del vantaggio di costo dei fattori della

produzione e sulle agevolazioni concesse dal governo locale alle nuove imprese. Il Differenziato supera i limiti del precedente orientamento

attribuendo grande attenzione alla definizione dei Target e all'individuazione degli aspetti che caratterizzano i settori specifici che si intende attrarre.

Particolare attenzione al sostegno del benessere di soggetti residenti. Il terzo, il Focalizzato, si è sviluppato negli ultimi anni ed è un'evoluzione del

marketing differenziato. Rimangono i principi della segmentazione e del potenziamento, ma si registra un ulteriore progresso nell'esplicazione della

connessione che deve esistere tra la strategia di marketing e il piano di sviluppo sostenibile dell'area. Gli obiettivi sono quindi orientare al fine di

favorire gli indirizzi di sviluppo locale promossi dalla PA. L'ultimo, il Sistemico, ha degli obiettivi sempre più sensibili al raggiungimento di un'offerta

territoriale coerente con il posizionamento competitivo dell'area e le esigenze dei soggetti già residenti, attraverso l'attivazione di processi interni

per l'attrazione di risorse esterne e, contemporaneamente, per la valorizzazione delle risorse acquisite.

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Schema del marketing urbano/territoriale

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Ma come fare un a buona analisi di mercato?

In primo luogo bisogna fare una analisi SWOT (Strenght, Weakness, Opportunity, Threat – forze, debolezze, opportunità, minacce) al quale si seguirà

con un azione di Audit, ovvero un'azione di verifica del sistema. L'Audit ha il fine ultimo di fornire un servizio di consulenza che permetta di

correggere e migliorare l'efficienza e l'efficacia dell'azienda (in questo caso della azienda-città). In secondo luogo creare un benchmarking, ovvero il

confronto/analisi che porta all'individuazione delle “best-practice” che stabilisce un processo continuo di misurazione di prodotti, servizi e prassi

aziendali mediante il confronto. In sintesi la filosofia di base può essere sintetizzata in conoscere le proprie attività, conoscere le imprese leader o

concorrenti, incorporare il meglio, raggiungere la superiorità nella gestione delle attività.

Si procede poi alla creazione di un brand. Ma come si crea un brand di una città o di un territorio?

Il marchio o brand territoriale o urbano è alla base di ogni strategia di comunicazione della Destination Mangement Company (DMC), infatti, come

conseguenza dello scenario turistico, caratterizzato da un notevole aumento della concorrenza tra prodotti e attrazioni turistiche anche molto lontane

tra loro, per le destinazioni è necessario acquisire “un'identità riconoscibile presso i target individuati dal mercato”.

In particolare questo aspetto risulta di vitale importanza per le destinazioni dette communities, le quali, pure essendo caratterizzate da dinamiche di

management è assolutamente distinte, si trovano quotidianamente a dover competere con le destinazioni corporate che, data la loro natura

privatistica, hanno da sempre fatto leva sul marchio. L'impresa di marketing territoriale/urbano deve dunque dotarsi di un marchio distintivo,

facilmente riconoscibile ed efficace nell'attirare l'attenzione dei turisti e nel comunicare l'identità della destinazione. Un marchio turistico ormai

largamente conosciuto. Macerata nel corso del tempo ha acquisito, forse inconsciamente, dei brand ormai conosciuti in tutto il Mondo. Il primo è

quello Sferisterio Opera Festival (SOF), brand che negli ultimi anni è diventato sempre più una realtà nazionale con un pubblico internazionale. Un altro

è quello di Musicultura che, anche se solo di livello nazionale, porta alto il nome di Macerata anche in televisione. Il successo del marchio dipende

dunque dalla sua capacità di far percepire la destinazione come differente dalle altre, facendo leva sulle emozioni del turista, cercando di trasmettere

l'insieme dei valori e di aspirazioni e la vision dell'offerta turistica. Solo quando viene realizzato secondo queste caratteristiche, il brand riesce a

svolgere le funzioni per le quali è concepito:

1. identificare l'offerta turistica e fare in modo che i turisti ne riconoscano la provenienza;

2. rassicurare i turisti sulla qualità dell'offerta presentata con un marchio conosciuto;

3. fidelizzare i turisti soddisfatti che vorranno ripetere l'esperienza positiva oppure sperimentarne un'altra garantita dallo stesso marchio.

Dotarsi di un marchio ben ideato è però condizione necessaria ma non sufficiente a far si che il target di turisti percepisca un'immagine positiva ed

attraente della destinazione, è infatti indispensabile che la DMC metta in atto una strategia di gestione del marchio, brand management, che

implementi, affermi e rafforzi il valore del marchio, o brand equity.

Uno dei punti cruciali del marketing urbano è perciò la comunicazione del Brand. Ci sono varie situazioni di comunicazione: dalla pubblicità alla

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propaganda, dalle relazioni pubbliche (lobbing) al direct marketing, fino alla promozione. La comunicazione più efficace a livello territoriale e urbano

degli ultimi anni è senza dubbio lo strumento del grande evento. Le caratteristiche sono:

• la scala dimensionale;

• le conseguenze economiche che generano;

• le caratteristiche delle attività di servizio indotte;

• le strutture e gli attori coinvolti;

• il target di riferimento;

• il ruolo dei mezzi di comunicazione.

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classificazione dei Grande Eventi

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2.7 APPROCCI ALLA SMART CITY

La Smart-City (città intelligente) in urbanistica e architettura è un insieme di strategie di pianificazione urbanistica tese all'ottimizzazione e

all'innovazione dei servizi pubblici così da mettere in relazione le infrastrutture materiali delle città con il capitale umano, intellettuale e sociale di chi

le abita, grazie all'impiego diffuso delle nuove tecnologie della comunicazione, della mobilità, dell'ambiente e dell'efficienza energetica, al fine di

migliorare la qualità della vita e soddisfare le esigenze di cittadini, imprese e istituzioni. Le prestazioni urbane dipendono non solo dalla dotazione di

infrastrutture materiali della città (capitale fisico), ma anche, e sempre di più, dalla disponibilità e qualità della comunicazione, della conoscenza e

delle infrastrutture sociali (capitale intellettuale e capitale sociale). Quest'ultima forma di capitale in particolare è determinante per la competitività

urbana.

Il concetto di città intelligente è stato introdotto come un dispositivo strategico per contenere i moderni fattori di produzione urbana in un quadro

comune e sinergico per sottolineare la crescente importanza delle tecnologie della comunicazione (ICT) e dell’informazione, il capitale sociale e

ambientale nel definire il profilo di competitività delle città, muovendosi verso la sostenibilità e verso misure ecologiche sia di controllo sia di

risparmio energetico, ottimizzando le soluzioni per la mobilità e la sicurezza.

Il significato dei due assetti (del capitale sociale e di quello ambientale) evidenzia la necessità di un lungo cammino da compiere per distinguere le

città smart da quelle con maggior carico tecnologico, tracciando una linea netta tra di loro, ciò che va sotto il nome di città intelligenti e di città

digitali. Il termine Smart City è stato utilizzato anche dalle aziende e dalle città come concetto di marketing.

Una città può essere definita Smart city quando gli investimenti effettuati in infrastrutture di comunicazione, tradizionali (trasporti) e moderne (ICT),

riferite al capitale umano e sociale, assicurano uno sviluppo economico sostenibile e un'alta qualità della vita, una gestione sapiente delle risorse

naturali, attraverso l'impegno e l'azione partecipativa. Per l’economista spagnolo Gildo Seisdedos Domínguez, il concetto di Smart city è basato

essenzialmente sull’efficienza che a sua volta è basata sulla gestione manageriale, l’integrazione delle ICT e la partecipazione attiva dei cittadini. Ciò

implica un nuovo tipo di governance con il coinvolgimento autentico del cittadino nella politica pubblica.

Le Smart cities possono essere identificate (e classificate) secondo sei assi o dimensioni principali:

• economia intelligente;

• mobilità intelligente;

• ambiente intelligente;

• persone intelligenti;

• vita intelligente;

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• governance intelligente.

Macerata a tal proposito sembra ancora carente di sistemi smart. Un motivo in più per cambiare rotta e rendere la città competitiva anche sotto

questo punto di vista. L'introduzione di sistemi puntuali e areali costituirebbe un nuovo inizio per lo sviluppo sostenibile di una città ormai ferma.

Per sistemi puntuali si intendono elementi che possano contenere e assimilare informazioni localizzandoli in diverse parti della città fornendo un

giusto ingresso e uscita di informazioni, ovvero un punto di connessione per input e output. Alcuni esempi sono i pali della luce in nord europa che si

accendono solo quando realmente passano persone e o mezzi. La Philips ha creato quello che viene chiamato Smart City Lighting©

che sembra ottenere

un risparmio energetico di circa 70% rispetto ai tradizionali sistemi di illuminazione pubblica.

Altri esempi sono le fermate dell'autobus (le pensiline) che arricchite di sistemi di controllo della qualità dell'aria e di alcuni processori possono fare

da sismografi, centri meteorologici, alimentatori per smartphone e tablet e free-wifi.

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Smart-lighting pedonale

Pensilina smart del bus a Seoul

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Altri invece sono come la smart wheel ©

di FlyKly che consiste sostanzialmente in una ruota per bicicletta che permette di accumulare energia mentre

si pedala, rendendo la bici elettrica.

La smart wheel ©

di FlyKly

I sistemi areali smart sono per lo più contenitori di funzioni di gestione e amministrazione dell'intero sistema della smart-city. Alcuni possono essere

utilizzati come cabina di regia per la gestione degli elementi distribuiti per la città, ovvero una sorta di cervellone per la produzione di risultati finali

provenienti dalle informazioni in giro per la città. In altri casi i contenitori possono diventare dei centri di distribuzione. Come già detto in precedenza

anche il city-logistic può essere interpretato come sistema smart-city che permette il coinvolgimento di alcune nuove tecnologie per la distribuzione

di merci all'interno di un contesto in modo tecnologico e sostenibile, come le macchine e furgoncini elettrici.

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City logistic Centro di controllo della smart-city

RE-AZIONE URBANA MACERATA – analisi dei “vuoti urbani” del comune di Macerata e modelli di rigenerazione e riqualificazione urbana

3. CASO DI STUDIO - PIANO IDEA DI PIEDIRIPA

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3.1. PERCHÈ PIEDIRIPA?

Piediripa, in quanto area periferica di Macerata, copre realtà profondamente eterogenee. Alcuni studiosi dell'urbanistica, come Campos Venuti,

assumono determinante la storicità dei processi di formazione e giungono ad individuare tre generazioni di periferia a cui corrispondono altrettante

situazioni problematiche. Altri come Busquets privilegiano la tipologia insediativa, incrociata successivamente con l’epoca di formazione. Altri infine

spostano l’attenzione sulle politiche di intervento e sulle loro condizioni di fattibilità.

Le problematiche che investono la maggior parte delle periferie d’Italia sono:

• la mancanza di autonomia e complessità;

• la mono-funzionalità;

• la bassa qualità delle condizioni di vita, sia perché mancano servizi collettivi, sia perché, non essendoci riferimenti di socializzazione locale,

diventano sede di flussi effimeri ed errati e non luoghi di vita comune;

• la mancanza di riconoscibilità e identità collettiva;

• la presenza dell’anarchia edilizia e conseguente abusivismo;

• il degrado sociale;

• la mancanza del controllo pubblico;

• la presenza, spesso, di un territorio fortemente criminalizzato.

I caratteri della periferia sono quindi rintracciabili in alcune considerazioni sulle problematiche che connotano la stessa periferia, ed in altre che ne

evidenziano le opportunità strategiche; le risorse per lo sviluppo di un ambito periferico sono da intendersi:

1. la presenza, a volte, di una maggior quantità di superfici permeabili;

2. la minore congestione delle infrastrutture rispetto alle zone centrali;

3. il minor costo generalizzato dei terreni e la minore speculazione edilizia;

4. la mancanza, o minor presenza, di vincoli per la progettazione urbana.

La frazione di Piediripa è uno dei luoghi più incredibili e anche forse maltrattati nelle politiche territoriali maceratesi. Il borgo nasce intorno agli inizi

del secolo scorso ed ha uno sviluppo esponenziale dal secondo dopo guerra, divenendo subito una delle porte di accesso a Macerata dal Chienti. Nel

corso del tempo diventa la frazione principale sorpassando anche i borghi Sforzacosta e Villa Potenza, sia per residenzialità, sia per attività.

Successivamente (negli anni '90) diventa il polo industriale maceratese più grande per estensione. Recentemente contiene anche funzioni pubbliche e

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di servizio che richiamano una discreta quantità di residenti, pendolari e city-users17

del territorio vista la presenza degli uffici tecnici della Provincia

di Macerata e la presenza di un centro commerciale e di altre attività ricreative e ricettive. Inoltre nelle varie stratificazioni urbane si può evidenziare

la presenza di una eterogeneità del settore terziario che ne connota il fermento economico attivo.

Ma perché proprio un idea per Piediripa? Piediripa è uno dei tessuti urbani di Macerata che negli ultimi 10-15 anni ha visto un aumento della

popolazione e un aumento dell'urbanizzazione, per fortuna o sfortuna, maggiore e senza una verosimile progettazione sinergica. In primis possiamo

evidenziare la tendenza della popolazione maceratese a “migrare” verso nuovi lidi, ovvero le frazioni o comuni, ad esempio Villa Potenza e Piediripa, in

quanto le spese per vendite e affitti sono molto minori rispetto al centro cittadino determinando, come già detto anche in precedenza, uno

spopolamento del centro. Ma questo è un altro problema. Ritornando a Piediripa, la popolazione del borgo sembra avere un aumento calcolabile

attorno al 20% rispetto ai dati del 2001.

Inoltre viene fortificato il concetto della pianificazione poco sinergica tra le aree di nuova urbanizzazione. In primo luogo la CITTÀ VERDE, situata a

ovest del borgo primordiale, che all'epoca veniva proposta come un nuovo sistema di residenzialità eco-sostenibile ma smentita, nel tempo, dalla poca

vendita sul mercato. Un altro elemento importante di progettazione non responsabile è la lottizzazione di VALLEVERDE. Fin dall'inizio le numerose

proteste intraprese dai cittadini e residenti di Piediripa e della vicina San Claudio fecero presagire ad una débâcle del polo industriale. Valleverde (area

1042 delle schede in allegato) sembra essere nata come una lottizzazione effimera e controproducente per Piediripa, poiché costruita senza un buon

piano economico e finanziario a scorta di un insediamento così evidente ed esteso, portando nel tempo investimenti monetari e di risorse per l'intera

PA. Allo stato attuale poche sono le dinamiche di edilizia realmente finanziata. Infatti ad oggi l'area è stata completata al 10% circa, con la

costruzione delle urbanizzazioni primarie (strade, incroci, marciapiedi, parcheggi pubblici e linee tecnologiche) e secondarie minime, come le aree

verdi stradali e poderali. Inoltre solo una mezza dozzina di lotti presenti in tutta l'area sono stati costruiti o in procinto di realizzazione.

3.2. QUALE IDEA, QUALE PIANO

Da qui nasce l'IDEA per Piediripa, un nuovo modo di pensare il borgo come città satellite di un tessuto urbano ormai radicato nel settore terziario e in

procinto di rivitalizzarsi verso nuove forme economiche che prevedano un avvicinamento di Piediripa alle esigenze della globalizzazione e di un

sistema di pianificazione ormai obsoleto e con opportunità di sperimentazioni.

Dobbiamo perciò considerare la possibilità di non aumentare il consumo di suolo. Molte sono le ricerche e studi che evidenziano l'obbligo di un uso

17 Secondo le teorie di Martinotti sulle quattro popolazioni metropolitane

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nuovo del territorio e un'efficienza energetica del costruito. Oltre a questo dobbiamo potenziare l'aspetto delle nuove tecnologie che si affacciano e

entrano prepotentemente nelle pratiche urbanistiche, come la SMART CITY e il marketing urbano (come già ampiamente detto nei capitoli precedenti).

Inoltre un aspetto da non sottovalutare è la crisi. Ciò vuole testimoniare l'esigenza di fare piani e progetti che abbiamo un flusso economico costante

per non andare in default.

Quindi l'idea principale è quella di creare un nuovo sistema modulare di città che possa crearsi per step costruiti in principio e poi decostruiti per fare

il prodotto-città in modo sostenibile nel tempo e capace di far attivare cicli virtuosi per un sistema economico come quello dell'edilizia e della piccola

e media imprenditoria maceratese. A tal fine abbiamo creato il Piano IDEA per Piediripa.

La prima cosa da valutare è la velocità della costruzione del luogo, ovvero, in quanto tempo si possa concludere l'urbanizzazione e quanti moduli sono

da inserire. Per Piediripa i moduli sono rappresentati dalle aree emerse dallo studio ed alcune di esse sono state suddivise in sub-moduli. Inoltre

all'interno di ogni modulo o sub-modulo sono previste delle costruzioni ex-novo e delle ristrutturazioni o riqualificazioni dell'esistente (schede degli

edifici). Il tempo massimo stimato per la realizzazione di tutto il sistema di RE-AZIONE è circa 35 anni, ovvero nel 2050.

La vision perciò è quella di una città avveniristica con sinergie lavorative e sinergie territoriali capaci di attrarre nuove imprenditorialità e nuove

generazioni di popolazioni metropolitane ovvero i bambini e i ragazzi di oggi. L'area 101418

, collocata a ridosso della provinciale e contornata da grandi

rivenditori commerciali, da una parte la FIAT e dall'altra TRONY, sembra essere la prima ad accogliere le sorti di una riqualificazione. Da molti anni si

parla di una piazza per Piediripa, ad oggi sembra molto difficile costruirne una “a basso costo” laddove sorge l'incrocio tra le provinciali, le strade

comunali principali e l'intersezione con la viabilità territoriale e nazionale. A tal proposito sembra idoneo studiare le azioni baricentriche odierne e

future. Tale studio ha permesso la costruzione di un sistema urbano costituito dagli elementi di centralità, delle aree verdi e del sistema

infrastrutturale (rispettivamente in blu, verde e rosso nella tavola 2 – Piano IDEA per Piediripa) al fine di costituire un buon bilanciamento. I poli

infrastrutturali posti esternamente e le aree centrali e verdi poste internamente, potrebbero incrementare una vivibilità dei luoghi del borgo in

maniera soddisfacente.

Le soluzioni poi sono andate nella costituzione dei confini. I confini sono sempre stati, da secoli, la linea di interferenza e dibattito sui temi

dell'urbanistica. Il confine è perciò un momento di “conflitto” delle funzioni urbane. Basti pensare all'urbanizzazione di Piediripa e della zona

industriale di Corridonia, due realtà simili, praticamente unite, e mai studiate in maniera sinergica tra i due comuni. Perciò abbiamo considerato nella

costruzione del piano idea anche le prospettive del PRG di Corridonia, che prevede per l'area ad est di Piediripa, ovvero a S.Claudio, la creazione di un

18 19.375 mq per un perimetro di 732 ml

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nuovo svincolo stradale della SS77 Val di Chienti. Questa permetterebbe ancor di più un bypass infrastrutturale del centro di Piediripa, fornendo però

proprio quello spostamento del baricentro infrastrutturale verso est di cui parlavamo poche righe prima. Tale sistuazione permette perciò la

costruzione di una greenway di ingresso e uscita alla nuova area di Valleverde19

(codice 1042). Successivamente una creazione del limite ecotonale

costituito da una greenbelt con funzioni di fitodepurazione interne.

Il lembo di lottizzazione più esterna della lottizzazione, dal quale si arriva con la greenway, sembra perfetto per costruire il Piediripa HUB. Il Piediripa

HUB costituisce un polo di connessione tra la città e l'esterno e viceversa. Tale luogo conterrà il city-logistic già citato e una sorta di nuovo impianto

tecnologico capace di produrre energia in maniera sostenibile ed autonoma per l'intera città di Macerata.

Inoltre sempre a livello infrastrutturale, la via centrale est-ovest di Valleverde diventerà la via principale del sistema industriale di Piediripa ,

spostando ancora l'intero baricentro verso una zona più esterna. Tale situazione determina una delocalizzazione di alcuni servizi che ad oggi si trovano

in altre vie interne di Piediripa, stiamo parlando del centro CMP delle Poste e della motorizzazione civile. Sempre nelle zone limitrofe di questi servizi

abbiamo previsti un presidio medico (piccolo ambulatorio) e un decentramento di alcuni rami delle forze armate (una sorta di sede COM20

, COI21

o

DiComaC22

, come previsto dalle normative di Protezione Civile).

Abbiamo già un delineamento delle strutture principali. Ma cosa fare per ravvivare il resto di Valleverde? Una soluzione è quella di incentivare, anche

con fondi europei, la costruzione di un centro/polo smart city e di start-up che possano portare allo sviluppo della città e della nuova industria

tecnologica. Ovviamente tali strutture devono essere disegnate in modo tale da poter essere autonome ed ecostostenibile anche con la costruzioni di

lembi di verde pubblico attorno ad esse lasciando dei percorsi ciclo-pedonali interni e al riparo dal sistema infrastrutturale. In alcuni casi ovviamente

sarà necessario costruire dei passaggi che attraversino la strada e metta in collegamento le varie lottizzazioni. Questo sarà costituito da dossi

berlinesi molto sottili (circa 30 cm di altezza) rispetto a quelli conosciuti (circa 50 cm di altezza) però saranno sviluppati per un'area più ampia di

suolo stradale in modo tale da far comunque diminuire la velocità agli automobilisti.

19 482.964 mq per un perimetro di 13,107 ml, determinandola come la lottizzazione più grande del PRG degli ultimi 30 anni.

20 Centro Operativo Misto - Struttura operativa che coordina i servizi di emergenza a livello provinciale. Il Com deve essere collocato in strutture antisismiche realizzate secondo le

normative vigenti, non vulnerabili a qualsiasi tipo di rischio. Le strutture adibite a sede Com devono avere una superficie complessiva minima di 500 mq con una suddivisione

interna che preveda almeno: una sala per le riunioni, una sala per le funzioni di supporto, una sala per il volontariato, una sala per le telecomunicazioni.

21 Centro operativo che coordina gli interventi di emergenza in un ambito territoriale che generalmente comprende più comuni limitrofi o si riferisce al territorio di competenza

della comunità montana. In molte realtà territoriali il Coi non si attiva solo in situazione di emergenza ma è operativo anche in ordinario e funge da punto di riferimento e di

raccordo sul territorio per le attività di protezione civile.

22 Direzione di Comando e Controllo - Centro di coordinamento nazionale delle Componenti e Strutture Operative di protezione civile attivato sul territorio interessato dall’evento,

se ritenuto necessario, dal Dipartimento della Protezione Civile in caso di emergenza nazionale.

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Inoltre questi percorsi collegheranno dei common garden posti sul lato nord di Valleverde, proprio a ridosso del limite eco-tonale. Tale soluzione

permette anche una possibilità da parte della popolazione lavoratrice della nuova area smart-city di avere momenti di ritrovo e sviluppo di dinamiche

imprenditoriali secondo il modello SOHO.

Alcune aree sono inoltre collocate al di fuori della lottizzazione Valleverde. Da una parte l'edificio di archeologia industriale (codice 0) che sembra

ottimo per la costruzione di un Museo dell'Industria Maceratese (chiamato MIMa); da un'altra abbiamo l'edificio dell'ex bingo (codice 50) che si

prefetta perfettamente ad una duplice funzione: di mattino co-working nei piani alti, di sera locale notturno al piano terra. Tale edificio favorirà

anche della vicinanza alle strutture ricreative e di ristoro del Why e del Multiplex. Un altro elemento che è localizzato al di fuori di quello che abbiamo

già detto è l'area dell'odierna Motorizzazione civile e poste e dell'edificio industriale abbandonato (codice 1). Tale edificio, insieme ai vuoti lasciati

dalla motorizzazione e delle poste potrebbero costituire un ulteriore polo di ricerca e sviluppo per la smart-city, inoltre la creazione di un modello di

co-working diffuso in tutta la città potrebbe aumentare l'ingresso della popolazione pendolare e dei business-man che possono attrarre e portare

nuove forme di investimento per l'intera città.

In ultimo solo due edifici critici (codici 11 e 51) risultano essere interni all'ambito di Piediripa, sui quali si prevede la realizzazione della prima

esperienza di co-housing maceratese.

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