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SIG SAUER P226S 092 A nche nella storia industriale ci so- no eventi in grado di segnare uno spartiacque tra un prima e un dopo, tra ciò che poteva essere e ciò che è stato. La gara lanciata nel 1984 dall’eser- cito americano per sostituire la Colt 1911 come arma d’ordinanza è stata indiscuti- bilmente uno di questi eventi; nella storia oplologica, il Joint Service Small Arms Program lanciato per individuare la M9 – spesso semplicemente definito “The” trial, “La” gara – costituisce uno di que- sti eventi epocali. La sua preparazione, che coinvolse praticamente tutti i pro- duttori di armi corte di maggiore fama al mondo, favorì un significativo inve- stimento di energie e di risorse nello sviluppo della semiautomatica che po- tesse soddisfare i requisiti richiesti dall’amministrazione militare statuni- tense, favorendo un balzo tecnologico i cui effetti benefici arrivano fino ai no- stri giorni. Sappiamo tutti come la gara andò a finire. La vinse Beretta con il suo modello 92, sviluppato alla metà degli anni 70, e la rivinse Beretta quando una serie di polemiche e ricorsi costrinsero gli enti giudicatori a riformulare il pro- prio verdetto. Per il marchio italiano si aprì un mercato importantissimo sia in termini di numeri (milioni sono le 92 fornite all’esercito USA) sia d’immagi- ne. La Beretta 92 è l’arma che ha sosti- tuito la mitica 1911, quella che ha af- frontato e superato le più difficili prove sul campo, quella che ha sbaragliato una prestigiosa concorrenza e quella – in definitiva – che un esercito sempre in missione porta al fianco nei teatri ope- rativi più disparati. Accanto a questa storia, però, se ne sa- rebbe potuta scrivere un’altra. Quella della Sig Sauer P226, una delle tante ar- mi che parteciparono alla gara america- na e l’unica – oltre alla nostra Beretta – a superare tutti i test. Nel verdetto fu svan- taggiata da un prezzo finale (comprensivo del costo puro dell’arma e del pro- gramma d’assistenza post vendita) supe- riore a quello della semiautomatica ita- liana. La Sig Sauer non andò quindi ad armare i soldati americani, evento che avrebbe proba- bilmente potuto dare un impulso diver- so alla storia dell’azienda, ma uscì dai trial con una reputazione altissima che ne favorì il successivo successo com- merciale e l’adozione da parte di nume- rose unità militari, non ultimi i Navy Seal, l’FBI e numerose agenzie di polizia tra cui i Texas Ranger, la stradale dello Stato dell’Ohio e la polizia del Michi- gan. È stata molto apprezzata anche al di fuori dei confini americani e lo te- stimoniano l’adozione da parte del Grenzschutzgruppe 9 (l’unità di élite anti-terrorismo e operazioni speciali della Polizia Federale Te- desca) e del britannico SAS (Spe- cial Air Service). I trial americani costituirono un evento significativo non solo per que- sto specifico modello ma anche per Buona la prima... … e pure la seconda. Figlia della P220, nata per sostituire al fianco delle truppe svizzere e nell’immaginario degli appassionati la Sig P210, la P226 nasce dalla collaborazione tra il mito Sig e quello Sauer e sarà nel lotto di pistole che si contenderà la designazione come arma da fianco delle truppe americane nel 1984. La gara non la vinse ma si creò una reputazione rimasta inalterata fino ai giorni nostri di Matteo Brogi Sul lato destro del car- rello sono riportati, oltre al nome del produttore e alla sigla del modello, la dicitura che identifica l’arma come un prodotto realizzato in Germania per il mercato europeo

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A nche nella storia industriale ci so-no eventi in grado di segnare uno spartiacque tra un prima e un

dopo, tra ciò che poteva essere e ciò che è stato. La gara lanciata nel 1984 dall’eser-cito americano per sostituire la Colt 1911 come arma d’ordinanza è stata indiscuti-bilmente uno di questi eventi; nella storia oplologica, il Joint Service Small Arms Program lanciato per individuare la M9 – spesso semplicemente definito “The” trial, “La” gara – costituisce uno di que-sti eventi epocali. La sua preparazione, che coinvolse praticamente tutti i pro-duttori di armi corte di maggiore fama al mondo, favorì un significativo inve-stimento di energie e di risorse nello sviluppo della semiautomatica che po-tesse soddisfare i requisiti richiesti dall’amministrazione militare statuni-tense, favorendo un balzo tecnologico i cui effetti benefici arrivano fino ai no-stri giorni. Sappiamo tutti come la gara andò a finire. La vinse Beretta con il suo modello 92, sviluppato alla metà degli anni 70, e la rivinse Beretta quando una serie di polemiche e ricorsi costrinsero gli enti giudicatori a riformulare il pro-prio verdetto. Per il marchio italiano si aprì un mercato importantissimo sia in termini di numeri (milioni sono le 92 fornite all’esercito USA) sia d’immagi-ne. La Beretta 92 è l’arma che ha sosti-tuito la mitica 1911, quella che ha af-frontato e superato le più difficili prove sul campo, quella che ha sbaragliato una prestigiosa concorrenza e quella – in definitiva – che un esercito sempre in missione porta al fianco nei teatri ope-rativi più disparati. Accanto a questa storia, però, se ne sa-rebbe potuta scrivere un’altra. Quella della Sig Sauer P226, una delle tante ar-mi che parteciparono alla gara america-

na e l’unica – oltre alla nostra Beretta – a superare tutti i test. Nel verdetto fu svan-taggiata da un prezzo finale (comprensivo del costo puro dell’arma e del pro-gramma d’assistenza post vendita) supe-riore a quello della semiautomatica ita-liana. La Sig Sauer non andò quindi ad armare i soldati americani, evento che avrebbe proba-bilmente potuto dare un impulso diver-so alla storia dell’azienda, ma uscì dai trial con una reputazione altissima che ne favorì il successivo successo com-merciale e l’adozione da parte di nume-rose unità militari, non ultimi i Navy Seal, l’FBI e numerose agenzie di polizia tra cui i Texas Ranger, la stradale dello Stato dell’Ohio e la polizia del Michi-gan. È stata molto apprezzata anche al di fuori dei confini americani e lo te-stimoniano l’adozione da parte del Grenzschutzgruppe 9 (l’unità di élite anti-terrorismo e operazioni speciali della Polizia Federale Te-desca) e del britannico SAS (Spe-cial Air Service). I trial americani costituirono un evento significativo non solo per que-sto specifico modello ma anche per

Buona la prima...

… e pure la seconda. Figlia della P220, nata per sostituire al fianco delle truppe svizzere e nell’immaginario degli appassionati la Sig P210, la P226 nasce dalla collaborazionetra il mito Sig e quello Sauer e sarà nel lotto di pistole che si contenderà la designazione come arma da fianco delle truppe americane nel 1984. La gara non la vinse ma si creò una reputazione rimasta inalterata fino ai giorni nostri

di Matteo Brogi

Sul lato destro del car-rello sono riportati, oltre al nome del produttore e alla sigla del modello, la dicitura che identifica l’arma come un prodotto realizzato in germania per il mercato europeo

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La Sig Sauer P226 provata. Le guancette in caucciù, che avvolgono l’impugnatura an-che sul dorso, riportano il logo del modello (registrato); il grip e il feeling con questi pannelli sono decisamente elevati

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retta che, con il suo stabilimento del Maryland, aveva attuato una significati-va penetrazione del mercato. A comple-tamento di questa trasformazione, nel 2007 Sigarms mutò il nome in Sig Sauer per dare più immediata riconoscibilità al proprio marchio.

Sig Sauer. Aziende di antica tradi-zione, la svizzera Sig e la tedesca Sauer si erano associate a metà degli anni ‘70 per distribuire le armi Sig sul mercato mondiale superando la rigida legisla-zione elvetica in materia di esportazio-ne. Il successo dell’esperienza america-na sarà il motore per svi-luppare una strategia di “sbarco in grande stile” nel nuovo continente, strategia che si realizzerà con la creazione nel 1985 di Sigarms, un braccio operativo ideato inizial-mente per curare la distribuzione delle armi prodotte in Europa dal marchio e, successivamente, per provvedere all’as-semblaggio dei componenti in territo-rio americano, un escamotage che con-sentiva di risparmiare il costo della pro-va al banco in Germania; con il trasferi-mento della sede nel New Hampshire, nel 1992 Sigarms avvierà in proprio la produzione di manufatti direttamente in America, ricalcando la politica di Be-

La nascita della P226La P226 arrivò nei primi anni 80 e uscì sul mercato civile nel 1983. Figlia della P220, opera prima del binomio Sig Sauer che raccoglieva l’eredità ingombrante della Sig P210, era una classica pistola semiauto-matica composta da un carrello d’accia-io e un leggero fusto d’alluminio. All’in-terno del fusto, erano af-fogati un tassello d’ac-ciaio che interagiva con l’appendice della canna per consentirne lo

il progetto P220 e le sue varianti

La P220 è stata sviluppata da Sig Sauer per rimpiazzare la Sig P210 in dotazione alle forze armate svizzere, che l’adottarono nel 1975 come Pistole P75. Da questo modello, ancora con caricatore monofilare, fu successivamente sviluppata la P226, bifilare. La P226 DAK è una delle tante varianti disponibili dell’arma di Sig Sauer, varianti che hanno iniziato a replicarsi in maniera apparentemente incontrollata a partire dal 1996. Se in principio fu la P226, successivamente ci furono le versioni S (Steel, declinate in vari allestimenti), R (Rail, dotata di slitta Picatinny), Tactical (con prolunga idonea all’attacco del silenziatore), Navy (costruita per il mercato civile seguendo le specifiche richieste dai Navy Seal che l’hanno adottata), R HSP (Rail Homeland Security Pistol, versione civile numerata della pistola adottata dallo US Department of Homeland Security), Blackwater (poi Blackwater Tactical, infine Tac-tical Operations), SCT (Super Capacity Tactical, con caricatore da 15 colpi in calibro .40), Elite (dotata del sistema Short Reset Trigger che riduce del 60% la corsa del grilletto), Equinox, Combat, Classic 22 (in calibro .22 LR, disponibile anche come conversione), X-Five e X-Six (queste ultime pensate per le gare IPSC). Tutte le ver-sioni sportive dell’arma montano canne match grade e sono rigorosamente rifinite e montate a mano, particolari che ne fanno lievitare il prezzo. Nel 2010 è stata in-fine presentata la P226 E2 (Ergonomic Squared), dove speciali accorgimenti hanno permesso di ridurre l’ingombro dell’impugnatura di un centimetro permettendo, al tempo stesso, una maggior accessibilità al grilletto da parte di chi non abbia dita particolarmente lunghe. A completare la gamma, è da segnalare la P228, versione compatta della 226 adottata dall’esercito americano con la sigla M11; è disponibile unicamente in calibro 9 mm con caricatore da 13 colpi. Infine, non si può dimentica-re la P229, che della 226 è cugina e della 228 sorella. Rispetto a quest’ultima ha un carrello in acciaio inox macchinato da forgiato (la 228 ha invece il carrello stampato) ed è disponibile in tutti i calibri della P226. Di tutte le armi menzionate esistono vari allestimenti, non tutti disponibili in Italia.

il caricatore bi-filare consente di ospitare 15 colpi calibro 9x21 mm

Sul lato sinistro sono disposti anche il coman-do dello hold open, che mantiene il carrello auto-maticamente in apertura una volta che sia stato esploso l’ultimo colpo contenuto nel caricatore, e dell’abbatti-cane

il cane, del tipo non al-leggerito, presenta una cresta zigrinata molto comoda; l’as-senza di rife-rimenti di tipo combat sulla tacca denota la de-stinazione sportiva dell’arma

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svincolo dal carrello e la rampa d’alimentazione, in maniera tale che le maggiori sollecitazioni causate dallo sparo e dal ciclo d’alimentazione ve-nissero distribuite tra metalli ad alta resistenza; l’unica sollecitazione cui

il fusto era soggetto, infatti, era (ed è) lo scorrimento del carrello sulle guide, una forza comunque lineare che anche un materiale di non grande resistenza come può assorbire senza rischi. La co-struzione del carrello prevedeva un processo in grado di contenerne i costi di produzione; esso era infatti costituito da due semi-gusci stampati da una la-miera d’acciaio ad alto spessore e salda-ti. L’otturatore, che inglobava il percus-sore, era invece ricavato da un blocchet-to d’acciaio assicurato al carrello da una spina elastica passante.

Questa soluzione, a ben vedere, all’inizio degli anni Ottanta era piuttosto avveni-ristica in quanto i polimeri non erano ancora di-venuti la norma-

lità nell’architettura delle armi corte e l’impiego dell’alluminio era limitato al-le armi sportive, nelle quali la potenza modesta faceva privilegiare la leggerez-za alla resistenza. Negli anni 80, l’arma doveva ancora essere massiccia e pesan-te, specie se d’impostazione militare, ancor di più se pensata per camerare calibri corposi (come è pur sempre l’ot-timo 9 mm nelle sue declinazioni). Nel tempo si arrivò a percepire l’esigenza di un’arma più pesante, quindi più stabile e meno soggetta al colpo d’ariete inferto

dal rinculo, e si passò – in contro-tendenza rispetto allo spirito dei tempi – a ripen-sare alla P226 in que-sti termini. Nel mo-mento in cui si affer-mava il polimero, quindi, Sig Sauer fa-ceva un passo indie-tro e tornava a pro-

durre armi con il telaio in acciaio e il carrello macchinato da un blocco d’ac-ciaio con macchine a controllo numeri-co, solo in parte forzata a farlo dall’ado-zione di nuovi calibri (contestualmente il .40 SW e il .357 Sig). Queste ultime versioni dell’arma sono quelle contrad-distinte dalla lettera S e sono esemplifi-cate dalla pistola fotografata a corredo di queste note.

La posizione del grilletto denota come l’arma di-sponga di azione doppia. Sulla guardia è evidente il rest ove appoggiare l’indice della mano de-bole quando s’impugna l’arma a due mani

il lato destro del fusto; sono evidenti la sigla del modello, il numero del catalogo nazionale e i numeri di matricola, ri-portati su fusto e carrello

Vista della volata della Sig Sauer P226. Si apprezza la raffina-ta finitura del vivo di volata; tutti gli spigoli sono arro-tondati per facilitare al massimo il maneg-gio in gara. il mirino è innestato a coda di rondine, quindi sosti-tuibile

Sul lato sinistro del fusto sono posizionati il pulsan-te di sgancio del caricato-re e la leva di smontaggio dell’arma che, mediante una sua semplice rotazio-ne, permette di svincolare il carrello dal fusto

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La P226 nel dettaglioTecnicamente parlando, la Sig Sauer

P226 è una semiautomatica full size na-ta per impiegare un caricatore bifilare al posto di quello monofilare del disegno della P220. L’arma opera sfruttando un sistema di chiusura geometrica a corto rinculo di canna d’ispirazione Brow-ning ma modificato; il vincolo tra la canna e il carrello nel primo tratto del moto retrogrado che consegue allo spa-

ro, anziché es-sere assicu-

rato dai ri-salti mac-chinati sulla parte

superiore della canna e

il cielo del car-

rello, è garantito dalla sezione allargata della culatta che impegna la finestra d’espulsione. Il sistema, ideato da Sig, non presenta svantaggi rispetto all’ori-ginale e, come testimonia l’impiego in molte armi di concezioni moderna, è gradito tanto ai progettisti quanto al pubblico degli acquirenti. L’ingegneria della P226 riflette uno spi-rito moderno. Quattro sono i sistemi di sicurezza impiegati; accanto alla leva abbatti-cane posta sul lato sinistro del

fusto, la 226 è equipaggiata di sicura automatica al per-cussore, monta di sicurezza e una sicura automatica che disconnette la catena di scat-to. La leva di disarmo, dispo-nibile su una varietà di armi

La tacca di mira, di produzione Sig Sauer, è di tipo registra-bile micrometricamente; due registri consentono di regolare alzo e deriva

La Sig Sauer P226S smontata; l’asta guida-molla è composta in due sezioni e da due molle distin-te che operano congiuntamente per ammortizzare il rinculo e riportare il carrello in chiusura

L’ampia finestra di espulsione; è interagendo con questo importante dettaglio dell’architettura dell’arma che la culatta attua la chiusura stabile che consente di effettua-re l’espulsione del bossolo spento e il ciclo di alimenta-zione quando la pressione sia scesa a livelli di sicurezza

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spositivi di sicurezza fa sì che l’arma possa essere portata in condizioni di as-soluta sicurezza con il colpo in canna e

il cane abbassato. In questa condi-zione è interrotta la continuità del percussore e ga-rantita la massima sicurezza anche in caso di caduta del-la pistola. L’arma

non è provvista di sicurezze manuali. L’azione è mista, doppia e singola; Sig Sauer ha comunque brevettato un siste-ma proprietario in sola doppia azione chiamato DAK (Double Action Keller-man), disponibile sulla 226 così come sulla primitiva 220 e sulle più recenti 229 e 239. Il dispositivo fornisce una pressione di sgancio più morbida per quanto riguarda il primo colpo in dop-pia azione (2,9 kg contro i 4,5 kg della doppia azione classica) e la possibilità di sganciare i colpi successivi con uno sforzo pari a 3,8 oppure a 2,9 kg. La ver-sione standard prevede una pressione di sgancio del colpo in azione singola pari a circa 2 kg.

Nata per le gareLa P226S provata è un’arma sostanzial-mente tradizionale ideata per concorrere nella categoria Production del circuito IP-SC e, come tale, ha ottenuto la qualifica di arma sportiva. Realizzata totalmente in ac-ciaio inox, particolare che la rende molto resistente all’usura e particolarmente gra-devole alla vista, non è provvista di alcun tipo di slitta porta-accessori. Monta una tacca di mira Sig Sauer registrabile di ec-cellente fattura e guancette in gomma che, se da una parte si rivelano un ottimo ausi-lio in fase di tiro, ne impoveriscono la pre-sentazione. Al tiro, la P226S si dimostra eccezionalmente stabile in virtù del suo assetto “corsaiolo”; la gradevolezza delle sensazioni che si provano allo sparo è cer-tamente dovuta alla generosa dimensione del calcio e al peso. L’acquisizione del ber-saglio è facilitata da organi di mira corret-tamente dimensionati (l’assoluta assenza di riferimenti combat la dice lunga sulla destinazione di quest’arma) e non è diffi-cile ottenere rosate sorprendenti a mano libera. L’oculato abbinamento ai corretti caricamenti permette di spremere dalla P226 prestazioni di tutto rilievo.

Costruttore: Sig Sauer GmbH, Germania, tel. +49 43 514.710, www.sigsauer.deDistributore: Bignami, tel. 0471 803000www.bignami.itModello: P226Stipo: pistola semiautomatica a chiusura geometrica a corto rinculo di cannaCalibro: 9x21 mm IMICatalogazione: 16474Alimentazione: caricatore da 15 colpiCongegno di scatto: scatto ad azione singola e doppiaorgani di mira: tacca registrabile in alzo e deriva, mirino innestato a coda di rondineSicurezze: sicura automatica al percussore e al disconnettore, monta di sicurezza, leva di disarmoimpugnatura: guancette in gommaLunghezza canna: 127 mmDimensioni: lunghezza 224 mmPeso: 1.200 gMateriali: fusto d’acciaio, carrello d’acciaio forgiatoFinitura: superficiale inox

Sig Sauer P226S

¤ PreZZo 2.840 euro

L’autore durante il test

L’asta guida-molla è compo-sta in due sezioni e da due molle distinte che operano congiuntamente per am-mortizzare il rinculo e ripor-tare il carrello in chiusura

La rosata è stata ottenuta sparando a 15 metri, a mano libera, 5 colpi di munizio-namento commerciale Magtech con palla round Nose in piombo da 124 grani

contemporanee e non a caso anche sulla Beretta 92, non è un’invenzione recente: apparve per la prima volta sulla Sauer 38H addirittura prima del secondo con-flitto mondiale. Questo pacchetto di di-

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