Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO...

34
RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo o a un caffè – scrive Vera Mantengoli sulla Nuova di oggi -. Oggi il dibattito politico è affidato ai social network che acuiscono la natura irrazionale ed estrema dell'essere umano: «L'uomo è un animale irrazionale da sempre e da sempre cerca di rafforzare il suo gruppo di appartenenza» spiega Walter Quattrociocchi professore a Ca' Foscari di Informatica e supervisore del Laboratorio di scienza dei dati e complessità, nonché a capo di studi sugli effetti della diffusione delle informazioni via social network.«Il comizio ha lasciato le piazze ed è passato nella rete, ereditando tutte le problematiche delle comunicazioni che comunque c'erano anche prima. I comizi erano rivolti a chi voleva sentire confermare le proprie idee, così come oggi fa chi si iscrive nella pagina Facebook del proprio movimento politico. La differenza è che mentre la piazza impone una prossimità geografica, nella rete lo spazio di vicinanza è quello ideologico. Non è importante verificare le notizie, è importante confermare il proprio credo».In questi giorni, a una settimana dal voto del 4 marzo sul prossimo governo, le strutture dove affiggere i manifesti elettorali sono vuote o quasi. I 25 impianti in tutto il Comune sono costati 50 mila euro all'amministrazione che verranno poi rimborsati dallo Stato. Così, a pochi giorni dalla fatidica croce da porre nella scheda elettorale, non c'è ombra di manifesto e di nomi che una volta diventavano familiari. Molti poi ieri volavano sotto le frustate gelide del Burian. File e file di alluminio, senza volti né nomi. Il cittadino che dovrà capire chi votare dovrà farsi una ricerca in tutta solitudine nei giornali cartacei o su Internet. Non ci si ritrova più a guardare i papabili sui cartelloni, avviando magari una discussione con gli amici, anche di idee diverse. Tuttavia il dibattito non si è spento, anzi. La battaglia per votare il proprio candidato si è spostata silenziosa sui social, a colpi di post e tweet volti a confermare le proprie idee e a colpire quelle dell'avversario: «Nelle nostre indagini abbiamo confermato che i social media inducono alla formazione del cosiddetto fenomeno dell'echo chambers (camere dell'eco, ndr)» spiega Quattrociocchi. «In pratica in un ambito chiuso come quello della pagina Fb di un credo politico, si tendono ad aggregare utenti con un credo condiviso e diffondere informazioni che confermino il proprio credo». Non importa che siano notizie vere o no, l'importante è che diano ragione alle proprie convinzioni. «Per questo si formano dei gruppi altamente polarizzati e si perde la dialettica, procedendo per monologhi» prosegue Quattrociocchi. «In realtà da sempre l'uomo per sua natura non ha mai cercato un grande confronto, solo che con i social la categorizzazione dell'altro è aumentata. È un tratto della nostra specie quello di essere in un branco e di difendere il proprio branco, ma se nella piazza c'erano dei fattori intermediari che limitavano lo scontro, sui social è tutto più liquido e aumenta l'opposizione». Non è escluso che proprio per questo poi lo scontro esca dalla rete e si manifesti nelle strade con una certa violenza, vedi le ultime manifestazioni dove movimenti opposti si scontrano come se uno dovesse annullare l'altro. «Il meccanismo è quello che io cerco su Facebook, su YouTube o su altri canali quello che aderisce alla mia visione e poi lo utilizzo per dimostrare che ho ragione» conclude il professore. «L'idea dell'uomo che pondera con tranquillità le idee degli altri in nome della libertà di pensiero tipica dell'Illuminismo è una visione ideale. Sono cambiati i tempi, ma la nostra specie rimane irrazionale»”. Sullo stesso tema c’è anche l’articolo di Giovanni Viafora sul Corriere del Veneto: “Almeno Totò/Antonio La Trippa ci provava, tormentando dalla finestra del bagno i vicini di casa: «Vota Antonio!». Oggi invece neanche quello. Zero, o quasi. I candidati alle politiche del prossimo 4 marzo sembrano infatti spariti. Li avrete visti i tabelloni elettorali, che le prefetture hanno piazzato nelle città? Sono praticamente vuoti. Solo

Transcript of Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO...

Page 1: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018

SOMMARIO

“Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo o a un caffè – scrive Vera Mantengoli sulla Nuova di oggi -. Oggi il dibattito politico è affidato ai social network che acuiscono la natura irrazionale ed estrema

dell'essere umano: «L'uomo è un animale irrazionale da sempre e da sempre cerca di rafforzare il suo gruppo di appartenenza» spiega Walter Quattrociocchi professore a

Ca' Foscari di Informatica e supervisore del Laboratorio di scienza dei dati e complessità, nonché a capo di studi sugli effetti della diffusione delle informazioni via

social network.«Il comizio ha lasciato le piazze ed è passato nella rete, ereditando tutte le problematiche delle comunicazioni che comunque c'erano anche prima. I

comizi erano rivolti a chi voleva sentire confermare le proprie idee, così come oggi fa chi si iscrive nella pagina Facebook del proprio movimento politico. La differenza è

che mentre la piazza impone una prossimità geografica, nella rete lo spazio di vicinanza è quello ideologico. Non è importante verificare le notizie, è importante

confermare il proprio credo».In questi giorni, a una settimana dal voto del 4 marzo sul prossimo governo, le strutture dove affiggere i manifesti elettorali sono vuote o quasi.

I 25 impianti in tutto il Comune sono costati 50 mila euro all'amministrazione che verranno poi rimborsati dallo Stato. Così, a pochi giorni dalla fatidica croce da porre

nella scheda elettorale, non c'è ombra di manifesto e di nomi che una volta diventavano familiari. Molti poi ieri volavano sotto le frustate gelide del Burian. File e

file di alluminio, senza volti né nomi. Il cittadino che dovrà capire chi votare dovrà farsi una ricerca in tutta solitudine nei giornali cartacei o su Internet. Non ci si ritrova più a guardare i papabili sui cartelloni, avviando magari una discussione con gli amici,

anche di idee diverse. Tuttavia il dibattito non si è spento, anzi. La battaglia per votare il proprio candidato si è spostata silenziosa sui social, a colpi di post e tweet volti a confermare le proprie idee e a colpire quelle dell'avversario: «Nelle nostre

indagini abbiamo confermato che i social media inducono alla formazione del cosiddetto fenomeno dell'echo chambers (camere dell'eco, ndr)» spiega

Quattrociocchi. «In pratica in un ambito chiuso come quello della pagina Fb di un credo politico, si tendono ad aggregare utenti con un credo condiviso e diffondere

informazioni che confermino il proprio credo». Non importa che siano notizie vere o no, l'importante è che diano ragione alle proprie convinzioni. «Per questo si formano dei gruppi altamente polarizzati e si perde la dialettica, procedendo per monologhi»

prosegue Quattrociocchi. «In realtà da sempre l'uomo per sua natura non ha mai cercato un grande confronto, solo che con i social la categorizzazione dell'altro è

aumentata. È un tratto della nostra specie quello di essere in un branco e di difendere il proprio branco, ma se nella piazza c'erano dei fattori intermediari che limitavano lo

scontro, sui social è tutto più liquido e aumenta l'opposizione». Non è escluso che proprio per questo poi lo scontro esca dalla rete e si manifesti nelle strade con una certa violenza, vedi le ultime manifestazioni dove movimenti opposti si scontrano

come se uno dovesse annullare l'altro. «Il meccanismo è quello che io cerco su Facebook, su YouTube o su altri canali quello che aderisce alla mia visione e poi lo

utilizzo per dimostrare che ho ragione» conclude il professore. «L'idea dell'uomo che pondera con tranquillità le idee degli altri in nome della libertà di pensiero tipica dell'Illuminismo è una visione ideale. Sono cambiati i tempi, ma la nostra specie

rimane irrazionale»”.

Sullo stesso tema c’è anche l’articolo di Giovanni Viafora sul Corriere del Veneto: “Almeno Totò/Antonio La Trippa ci provava, tormentando dalla finestra del bagno i

vicini di casa: «Vota Antonio!». Oggi invece neanche quello. Zero, o quasi. I candidati alle politiche del prossimo 4 marzo sembrano infatti spariti. Li avrete visti i tabelloni elettorali, che le prefetture hanno piazzato nelle città? Sono praticamente vuoti. Solo

Page 2: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

raramente, qui e là, appare qualche manifesto; ma in genere si tratta di manifesti di «partito», cioè senza volti, né nomi. E i messaggi elettorali in televisione, quelli che

una volta invadevano la programmazione delle reti private? Una disgrazia. «L’assenza è assoluta», conferma il direttore marketing di uno dei più noti canali del Veneto (non

vuole essere citato e un po’ si capisce). «Nella nostra emittente, ma posso parlare anche per la gran parte delle altre che conosco bene - ci dice - il calo delle inserzioni politiche è crollato almeno del 40 percento rispetto alle ultime elezioni, con punte

anche più alte. In Veneto ci sono alcuni partiti che hanno totalmente deposto le armi, penso a quelli di centrosinistra. Ma anche nel centrodestra non è tanto diverso: nella

nostra televisione, per esempio, passa al 90 percento uno spot con il volto di Salvini; e per l’altro 10 invece uno con il volto di Zaia. E gli altri? Un vuoto pneumatico». E dire che il costo degli spot non sarebbe neanche proibitivo: «Cinquanta, sessanta euro a

passaggio - ci spiega il manager dell’emittente tv -, con almeno una decina di passaggi al giorno per una settimana di programmazione». Che facendo due conti fanno meno di 5mila euro. Mica la Luna. «Ma sembra troppo - chiude il direttore -. E glielo dico:

ormai tutti noi chiediamo il pagamento in anticipo, perché poi, soprattutto quelli che perdono, chi li vede più?».

Se neanche il web - Qualcuno, tuttavia, potrebbe obiettare: ora c’è il web, i soldi si investono lì. Ma in realtà neanche sul quel fronte la situazione è tanto più rosea. «Non

vedo grandi innovazioni, siamo fermi a cinque anni fa - appunta Michele Cocco, che insegna Comunicazione politica all’Università di Padova -. La maggior parte dei

candidati intende il digitale semplicemente come un altro canale mediatico, un po’ come la televisione. Non c’è la logica delle campagne americane, oppure quella

dell’ultima di Macron in Francia, dove il web è servito soprattutto per rielaborare i big data in funzione di una strategia sul campo». «E inoltre i social nel tempo breve, come quello di questa campagna, hanno un limite - aggiunge Marco Marturano,

docente di Giornalismo politico a Milano e vero re Mida delle campagne elettorali con la sua GM&P (sotto la sua ala hanno trionfato da sindaci i vari Zanonato, Cacciari, Manildo, e chi più ne ha più ne metta) -. Cioè, dipende da come il candidato li ha

coltivati prima della competizione elettorale. Se non hai in partenza una comunità forte (i «like» per dirla chiaramente), te la devi inventare in modo artificiale, cioè pagando. È una strategia: ma solo fino ad un certo punto». La verità è che, come

appare dal quadro tratteggiato, specialmente qui in Veneto (e ora diremo perché) ci troviamo di fronte alla prima vera campagna low-cost della storia. Le ragioni - A sentire gli esperti, le ragioni sarebbero essenzialmente tre. La prima: la legge

elettorale. «Una legge fake - come la definisce Cocco -, apparentemente maggioritaria, ma in sostanza proporzionale, dove il collegio non è un vero collegio e non ci sono le preferenze». Per cui la vera sfida, i candidati se la sono giocata in quei due-tre giorni in cui le varie segreterie o i «capi» hanno formato i listini. «Per altro,

ad eccezione del M5s, che in realtà hanno seguito un copione da manuale o da Pd veltroniano (lasciamo stare se efficacie o meno), la campagna è iniziata per tutti solo da 20 giorni - spiega Marturano -. Una sorta di blitzkrieg . Se vedevate i messaggi che, nei giorni clou, mi mandavano certi politici/clienti, mi veniva da ridere: anche alcuni

che erano vicinissimi al loro leader, e per vicinissimi intendo distanti fisicamente mezzo metro, fino all’ultimo erano incerti su dove sarebbero finiti e quindi su che

tipo di campagna avrebbero dovuto fare. Alcuni ballavano dal maggioritario uninominale alla Camera, in un collegio sicuro, al proporzionale al Senato in posizione

di retrovia. E da una Regione all’altra. Capisce che cambia tutto, compreso il preventivo?». Ed ecco la seconda ragione: i partiti. Che poi sarebbe meglio dire: i

partiti senza soldi. «La Lega ha avuto i conti bloccati dal giudice, Forza Italia segue la crisi della casa madre, il Pd ha i dipendenti in cassa integrazione e inoltre si è

dissanguato nel 2016 per il referendum costituzionale - spiega ancora Marturano -. Anche se il vero tema è quello dei rimborsi elettorali. Da quest’anno, infatti, grazie a

una delle tante riforme fatte da Renzi senza incassare un consenso che sia uno, i partiti non avranno indietro alcun rimborso. Berlusconi nel 2001 spese 10 miliardi di lire, ma poi quei soldi gli tornarono quasi tutti. Da quest’anno non sarà possibile, per

Page 3: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

cui saranno tutti vuoti a perdere». In questo senso perciò i partiti non disdegnano i candidati auto-sufficienti: «Vedi nelle recenti amministrative i casi di Brugnaro e

Giordani», chiosa Marturano. Oppure, per questa tornata, dell’imprenditore padovano Fabio Franceschi, il re degli stampatori, in corsa con Forza Italia. Il quale infatti a noi conferma: «Ho messo qualcosa di mio, sì, ma a titolo spontaneo. Ed è un ventesimo di

quello che si spendeva una volta per le campagne elettorali». E arriviamo quindi all’ultima ragione: le aspettative. Punto che coinvolge il nostro territorio più di ogni altro: «Il Veneto ha praticamente tutti i collegi uninominali non contendibili, tranne

quello di Venezia - sottolinea Cocco -, significa cioè che per i sondaggi le partite sono già tutte chiuse». Cosa che, in definitiva, ha portato i candidati a dire: ma chi me lo fa

fare?” (a.p.)

3 – VITA DELLA CHIESA L’OSSERVATORE ROMANO Quello che ci attende Messa del Papa a San Gelasio Violenza disumana All’Angelus appello accorato del Papa perché in Siria cessino le ostilità e siano possibili gli aiuti umanitari La grazia della vergogna Messa a Santa Marta 5 – FAMIGLIA, SCUOLA, SOCIETÀ, ECONOMIA E LAVORO LA NUOVA Pag 1 Responsabilità sociale delle imprese di Giancarlo Corò 6 – SERVIZI SOCIALI / SANITÀ LA NUOVA Pag 22 San Camillo, no a 16 milioni. Rifiutati i soldi della Regione di Simone Bianchi Lo ha rivelato il direttore della Sanità Mantoan: “Ora resteremo spettatori”. Continua la trattativa con Villa Salus 7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA LA NUOVA Pag 1 Il piano d’emergenza per Venezia va rivisto di Alberto Vitucci Pag 20 Codello va al Quirinale consulente del Presidente Si occuperà dei restauri del Palazzo. La conferma a Venezia dopo un breve incontro con Mattarella Pag 27 Non regaliamo Porto Marghera ai faccendieri di Gianfranco Bettin Pag 39 Messa in Basilica a cento anni dai bombardamenti di n.d.l. Monsignor Camilotto ricorderà le 300 bombe scaricate in città nella notte del 26 febbraio CORRIERE DEL VENETO Pag 7 Mose, imprese sul lastrico di Gloria Bertasi L’Ance si schiera a difesa di 15 tra piccoli e grandi costruttori che non sono stati pagati Pag 11 Sos per la notte dei senzatetto. Grandi stazioni dice no al prefetto di Gloria Bertasi e Mauro Zanutto

Page 4: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

Gelo, Comune e Curia potenziano l’accoglienza IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag IX Emergenza gelo, tutti si mobilitano per i senza tetto di A.Spe. Ampliati gli orari di accoglienza nei centri diocesani e c’è chi chiede l’apertura di notte delle stazioni 8 – VENETO / NORDEST IL GAZZETTINO Pag 9 Crisi delle vocazioni, le suore dorotee lasciano l’ospedale di A.Pe. Treviso, dopo 166 anni al ca’ Foncello cessano l’attività di infermiere IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag XX No alla messa in latino nel Duomo, scoppia il caso di Filippo De Gaspari Mirano: la Diocesi boccia la richiesta, tradizionalisti all’attacco … ed inoltre oggi segnaliamo… CORRIERE DELLA SERA Pag 1 Il valore di chi è più capace di Sabino Cassese Partiti e candidati Pag 1 Le risposte necessarie di Enrico Marro Pag 7 Quel sapore di una resa preventiva di Giorgio Montefoschi LA STAMPA Quel Pd che non vota per il Pd di Federico Geremicca AVVENIRE Pag 1 Quello che la neve rivela di Giovanni D’Alessandro Morsa del gelo, esclusi e solidali Pag 2 Il Rosario è “medicina”, non amuleto. E il Vangelo non è un volantino, è vita (lettere al direttore) Pag 3 Il digitalismo politico al potere: la parabola del Movimento 5 Stelle di Marco Morosini Analisi (dall’interno) della nascita, crescita e involuzione di M5S Pag 5 Le porte del Santo Sepolcro restano chiuse di Giorgio Bernardelli, Susan Dabbous e Franco Cardini La protesta dei leader religiosi: “Basta persecuzioni delle Chiese in Terra Santa”. La porzione di roccia che accolse Gesù. Il Custode: “Grande dispiacere per i pellegrini. So che capiranno” IL FOGLIO Pag 2 Quant’è pericoloso lo scontro tra i cristiani di Terra Santa e Israele di Matteo Matzuzzi Chiuso il Santo Sepolcro anche con il placet dei francescani IL GAZZETTINO Pag 1 Un Paese tre volte fragile in ginocchio per una nevicata di Alessandro Campi LA NUOVA Pag 1 I Cinquestelle e i demeriti degli altri di Renzo Guolo

Page 5: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

Pag 24 L’alfabeto del voto di Mitia Chiarin I segreti del Rosatellum e il nuovo bollino anti frode Pag 25 Cartelloni in disuso e vuoti, il “santino” ora è social di Vera Mantengoli Il Comune ha speso finora 50mila euro per consentire di affiggere i manifesti ma la politica è sbarcata sul web per mancanza di fondi e per polarizzare le idee CORRIERE DEL VENETO Pag 2 La propaganda senza i quattrini di Giovanni Viafora Partiti senza soldi, niente rimborsi e una legge elettorale “fake”. La prima campagna low cost, dove i candidati sono scomparsi

Torna al sommario 3 – VITA DELLA CHIESA L’OSSERVATORE ROMANO Quello che ci attende Messa del Papa a San Gelasio Nel pomeriggio del 25 febbraio, Papa Francesco si è recato in visita pastorale nella parrocchia romana di San Gelasio a Ponte Mammolo. Durante la celebrazione della messa nella chiesa parrocchiale, all’omelia il Pontefice ha commentato le letture della seconda domenica di Quaresima (Genesi 22, 1-2.9.10-13.15-18, Romani 8, 31-34 e Marco 9, 2-10). Gesù si fa vedere agli Apostoli come è in Cielo: glorioso, luminoso, trionfante, vincitore. E questo lo fa per prepararli a sopportare la Passione, lo scandalo della croce, perché loro non potevano capire che Gesù sarebbe morto come un criminale, non potevano capirlo. Loro pensavano che Gesù fosse un liberatore, ma come sono i liberatori terreni, quelli che vincono in battaglia, quelli che sono sempre trionfanti. E la strada di Gesù è un’altra: Gesù trionfa tramite l’umiliazione, l’umiliazione della croce. Ma siccome questo sarebbe stata uno scandalo per loro, Gesù fa loro vedere cosa viene dopo, cosa c’è dopo la croce, cosa ci aspetta, tutti noi. Questa gloria e questo Cielo. E questo è molto bello! È molto bello perché Gesù - e questo sentitelo bene - ci prepara sempre alla prova. In un modo o in un altro, ma questo è il messaggio: ci prepara sempre. Ci dà la forza per andare avanti nei momenti di prova e vincerli con la sua forza. Gesù non ci lascia soli nelle prove della vita: sempre ci prepara, ci aiuta, come ha preparato questi [i discepoli], con la visione della sua gloria. E così loro poi ricordarono questo [momento] per sopportare il peso dell’umiliazione. Questa è la prima cosa che ci insegna la Chiesa: Gesù ci prepara sempre alle prove e nelle prove è con noi, non ci lascia soli. Mai. La seconda cosa possiamo coglierla dalle parole di Dio: «Questi è il Figlio mio, l’amato. Ascoltatelo!». Questo è il messaggio che il Padre dà agli Apostoli. Il messaggio di Gesù è prepararli facendo loro vedere la sua gloria; il messaggio del Padre è: “Ascoltatelo”. Non c’è momento della vita che non possa essere vissuto pienamente ascoltando Gesù. Nei momenti belli, fermarci e ascoltare Gesù; nei momenti brutti, fermarci e ascoltare Gesù. Questa è la strada. Lui ci dirà cosa dobbiamo fare. Sempre. E andiamo avanti in questa Quaresima con queste due cose: nelle prove, ricordare la gloria di Gesù, cioè quello che ci aspetta; che Gesù è presente sempre, con quella gloria per darci forza. E durante tutta la vita, ascoltare Gesù, cosa ci dice Gesù: nel Vangelo, nella liturgia, sempre ci parla; oppure nel cuore. Nella vita quotidiana forse avremo problemi, o avremo da risolvere tante cose. Facciamoci questa domanda: cosa mi dice Gesù oggi? E cerchiamo di ascoltare la voce di Gesù, l’ispirazione da dentro. E così seguiamo il consiglio del Padre: «Questi è il Figlio mio, l’amato. Ascoltatelo!». Sarà la Madonna a darti il secondo consiglio, a Cana di Galilea, quando c’è il miracolo dell’acqua [trasformata] in vino. Cosa dice la Madonna? «Fate quello che Lui vi dirà». Ascoltare Gesù e fare quello che Lui dice:

Page 6: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

questa è la strada sicura. Andare avanti con il ricordo della gloria di Gesù, con questo consiglio: ascoltare Gesù e fare quello che Lui ci dice. Violenza disumana All’Angelus appello accorato del Papa perché in Siria cessino le ostilità e siano possibili gli aiuti umanitari Un «appello accorato perché cessi subito la violenza, sia dato accesso agli aiuti umanitari - cibo e medicine - e siano evacuati i feriti e i malati» in Siria è stato lanciato dal Papa al termine dell’Angelus di domenica 25 febbraio. Prima della preghiera mariana recitata con i fedeli in piazza San Pietro il Pontefice aveva commentato l’episodio evangelico della trasfigurazione narrato da Marco (9, 2-10). Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Il Vangelo di oggi, seconda domenica di Quaresima, ci invita a contemplare la trasfigurazione di Gesù (cfr. Mc 9, 2-10). Questo episodio va collegato a quanto era accaduto sei giorni prima, quando Gesù aveva svelato ai suoi discepoli che a Gerusalemme avrebbe dovuto «soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (Mc 8, 31). Questo annuncio aveva messo in crisi Pietro e tutto il gruppo dei discepoli, che respingevano l’idea che Gesù venisse rifiutato dai capi del popolo e poi ucciso. Loro infatti attendevano un Messia potente, forte, dominatore, invece Gesù si presenta come umile, come mite, servo di Dio, servo degli uomini, che dovrà donare la sua vita in sacrificio, passando attraverso la via della persecuzione, della sofferenza e della morte. Ma come poter seguire un Maestro e Messia la cui vicenda terrena si sarebbe conclusa in quel modo? Così pensavano loro. E la risposta arriva proprio dalla trasfigurazione. Che cos’è la trasfigurazione di Gesù? È un’apparizione pasquale anticipata. Gesù prese con sé i tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni e «li condusse su un alto monte» (Mc 9, 2); e là, per un momento, mostra loro la sua gloria, gloria di Figlio di Dio. Questo evento della trasfigurazione permette così ai discepoli di affrontare la passione di Gesù in modo positivo, senza essere travolti. Lo hanno visto come sarà dopo la passione, glorioso. E così Gesù li prepara alla prova. La trasfigurazione aiuta i discepoli, e anche noi, a capire che la passione di Cristo è un mistero di sofferenza, ma è soprattutto un dono di amore, di amore infinito da parte di Gesù. L’evento di Gesù che si trasfigura sul monte ci fa comprendere meglio anche la sua risurrezione. Per capire il mistero della croce è necessario sapere in anticipo che Colui che soffre e che è glorificato non è solamente un uomo, ma è il Figlio di Dio, che con il suo amore fedele fino alla morte ci ha salvati. Il Padre rinnova così la sua dichiarazione messianica sul Figlio, già fatta sulle rive del Giordano dopo il battesimo, ed esorta: «Ascoltatelo!» (v. 7). I discepoli sono chiamati a seguire il Maestro con fiducia, con speranza, nonostante la sua morte; la divinità di Gesù deve manifestarsi proprio sulla croce, proprio nel suo morire «in quel modo», tanto che qui l’evangelista Marco pone sulla bocca del centurione la professione di fede: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (15, 39). Ci rivolgiamo ora in preghiera alla Vergine Maria, la creatura umana trasfigurata interiormente dalla grazia di Cristo. Ci affidiamo fiduciosi al suo materno aiuto per proseguire con fede e generosità il cammino della Quaresima. Conclusa la recita dell’Angelus il Pontefice ha invitato i fedeli a pregare per la Siria e poi ha rivolto espressioni di saluto ad alcuni dei gruppi presenti. Cari fratelli e sorelle, in questi giorni il mio pensiero è spesso rivolto all’amata e martoriata Siria, dove la guerra si è intensificata, specialmente nel Ghouta orientale. Questo mese di febbraio è stato uno dei più violenti in sette anni di conflitto: centinaia, migliaia di vittime civili, bambini, donne, anziani; sono stati colpiti gli ospedali; la gente non può procurarsi da mangiare... Fratelli e sorelle, tutto questo è disumano. Non si può combattere il male con altro male. E la guerra è un male. Pertanto rivolgo il mio appello accorato perché cessi subito la violenza, sia dato accesso agli aiuti umanitari - cibo e medicine - e siano evacuati i feriti e i malati. Preghiamo insieme Dio che questo avvenga immediatamente.

Page 7: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

[pausa di silenzio] Ave o Maria... Rivolgo un cordiale saluto a tutti voi pellegrini di Roma, dell’Italia e di diversi Paesi, in particolare a quelli venuti da Spis, in Slovacchia. Saluto i rappresentanti dell’emittente televisiva diocesana di Prato con il loro Vescovo, i giovani dell’orchestra di Oppido Mamertina e gli scout di Genova. Saluto i cresimandi e i ragazzi della professione di fede provenienti da Serravalle Scrivia, Verdellino, Zingonia, Lodi, Renate e Verduggio. Saluto il gruppo venuto in occasione della “Giornata per le malattie rare”, con un incoraggiamento alle associazioni che lavorano in questo campo. Grazie. Grazie per quello che fate. A tutti auguro una buona domenica. Non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci! La grazia della vergogna Messa a Santa Marta Due consigli spirituali di Papa Francesco per la Quaresima: «non giudicare gli altri» e «chiedere a Dio la grazia della verg0gna per i propri peccati». Sono «il giudizio» e «la misericordia», con il suggerimento di un esame di coscienza personale, i cardini della meditazione del Pontefice nella messa celebrata lunedì mattina, 26 febbraio, a Santa Marta. «La Quaresima è un cammino di purificazione: la Chiesa ci prepara alla Pasqua e ci insegna anche a rinnovarci, a convertirci» ha subito fatto presente Francesco. E «possiamo dire che il messaggio di oggi è il giudizio, perché tutti noi saremo sottoposti a giudizio: tutti». Tanto che «nessuno di noi potrà fuggire dal giudizio di Dio: il giudizio personale e poi il giudizio universale». «Sotto quest’ottica - ha affermato il Papa - la Chiesa ci fa riflettere su due atteggiamenti: l’atteggiamento verso il prossimo e l’atteggiamento con Dio». In particolare nei riguardi del «prossimo ci dice che non dobbiamo giudicare: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati. Di più: perdonate e sarete perdonati”». E «il Signore è chiaro in questo» ha spiegato Francesco, citando il passo del vangelo di Luca (6, 36-38) proposto dalla liturgia del giorno. Certo, ha proseguito il Pontefice, «ognuno di noi può pensare: “io mai giudico, io non faccio il giudice”». Ma «se noi cerchiamo nella nostra vita, nei nostri atteggiamenti, quante volte l’argomento delle nostre conversazioni è giudicare gli altri!». Magari anche «un po’ naturalmente» viene da dire: «questo non va». Ma, ha insistito Francesco, «chi ti ha fatto giudice, a te?». In realtà «questo giudicare gli altri è cosa brutta, perché l’unico giudice è il Signore». Del resto, «Gesù conosce questa tendenza nostra a giudicare gli altri» e ci ammonisce: «Stai attento, perché nella misura con cui tu giudichi, sarai giudicato: se tu sei misericordioso, Dio sarà misericordioso con te». Quindi «non giudicare». Quasi come fosse un test, il Papa ha proposto: «Possiamo farci questa domanda: nelle riunioni che noi abbiamo, un pranzo, qualsiasi cosa sia, pensiamo della durata di due ore: di quelle due ore, quanti minuti sono stati spesi per giudicare gli altri?». E se «questo è il “no”, qual è il “sì”? Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Di più: siate generosi, “date e vi sarà dato”». Ma «cosa mi sarà dato? “Una misura buona, pigiata, colma e traboccante”» ha ricordato Francesco citando ancora il brano di Luca. E cioè «l’abbondanza della generosità del Signore, quando noi saremo pieni dell’abbondanza della nostra misericordia nel non giudicare». Francesco ha così suggerito di pensare «un po’ a questo: io giudico gli altri? Come giudico? Nello stesso modo, io sarò giudicato. Sono misericordioso con gli altri? Nello stesso modo il Signore sarà misericordioso con me». E «possiamo - oggi, domani, dopodomani - prendere qualche minuto per pensare a queste cose, e ci farà bene». «La seconda parte del messaggio della Chiesa di oggi - ha proseguito - è l’atteggiamento con Dio». Ed «è tanto bello come il profeta Daniele ci dice, come dev’essere l’atteggiamento con Dio: umile», ha spiegato il Pontefice riferendosi al passo biblico di Daniele (9, 4-10). Dunque, «tu sei Dio, io sono peccatore: il dialogo con Dio parte sempre da questa adorazione penitenziale: tu sei Dio, io sono peccatore». Scrive infatti Daniele: «Abbiamo peccato e abbiamo operato da malvagi e da empi, siamo stati ribelli, ci siamo allontanati dai comandamenti e dalle tue leggi!». In una parola, «abbiamo peccato, Signore». Ma proprio «questa è l’umiltà davanti a Dio. Ognuno di noi conosce i propri peccati e questo

Page 8: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

può dirlo davanti a Dio: Signore, ho peccato, sono un peccatore e “a te conviene la giustizia”». Oltretutto «noi sappiamo che la giustizia di Dio è misericordia, ma bisogna dirlo: “A te conviene la giustizia, a noi la vergogna”». E «quando s’incontrano la giustizia di Dio con la nostra vergogna, lì c’è il perdono». A questo proposito Francesco ha suggerito le domande da fare a se stessi per un esame di coscienza: «Io credo che ho peccato contro il Signore? Io credo che il Signore è giusto? Io credo che sia misericordioso? Io mi vergogno davanti a Dio, di essere peccatore?». E la risposta è «così semplice: “A te la giustizia, a me la vergogna”». Dunque, dobbiamo «chiedere la grazia della vergogna». «Nella mia lingua materna - ha confidato il Papa - alla gente brutta, cattiva, che fa del male si dice “svergognato”, senza vergogna». Perciò, ha insistito, dobbiamo «per favore chiedere la grazia che mai ci manchi la vergogna davanti a Dio: “A te la giustizia, a me la vergogna”». Perché «la vergogna è una grande grazia». In conclusione, il Pontefice ha invitato a esaminare il nostro «atteggiamento verso il prossimo», ricordando «che con la misura con cui io giudico, sarò giudicato». Perciò «non devo giudicare». E «se dico qualcosa sull’altro, che sia generosamente, con tanta misericordia». Quanto all’«atteggiamento davanti a Dio», deve essere centrato su «questo dialogo essenziale: “A te la giustizia, a me la vergogna”». Torna al sommario 5 – FAMIGLIA, SCUOLA, SOCIETÀ, ECONOMIA E LAVORO LA NUOVA Pag 1 Responsabilità sociale delle imprese di Giancarlo Corò In una campagna elettorale in cui tutti si affollano a lanciare costose promesse con i soldi degli altri, è davvero apprezzabile l'appello di Unindustria Treviso alle imprese affinché si assumano maggiori responsabilità sociali, investendo di più sullo sviluppo del territorio e non solo del proprio business. L'analisi proposta da Maria Cristina Piovesana ha innanzitutto il pregio di staccarsi dai toni demagogici che segnano il confronto elettorale, senza tuttavia indulgere nel gioco fin troppo popolare di scaricare sulla politica ogni accusa per tutto ciò che non funziona nel nostro paese. Un punto che dovremmo tenere presente è che nelle democrazie mature il sistema politico ha, in realtà, un potere di azione più limitato di quanto siamo soliti attribuirgli. Basti pensare ai vincoli finanziari con i quali, in un'economia aperta, si deve concretamente misurare chi governa, tanto più in presenza di uno stato indebitato come quello italiano. Pensiamo anche alla micidiale morsa creata dall'accumulo di leggi e regole amministrative, nonché dal ruolo sempre più invadente della magistratura. Pensiamo inoltre alla rete di accordi e istituzioni internazionali da cui dipendono aspetti cruciali della vita economica e sociale, come pace, sicurezza, cambiamenti climatici, stabilità finanziaria, libertà di movimento delle persone, delle merci, dei capitali. Se la politica ha margini di manovra più ridotti di quanto la sua sovraesposizione mediatica farebbe pensare, la società civile dovrebbe invece essere più consapevole delle sue responsabilità collettive. A ben vedere, buona parte dei beni comuni su cui si basano competitività e prosperità di un territorio - legalità e accoglienza, qualità del sistema educativo e sanitario, sostenibilità ambientale, vivacità culturale, rispetto del paesaggio e del patrimonio storico - dipendono da decisioni che si sviluppano in spazi intermedi fra pubblico e privato. Spazi nei quali il sistema politico può svolgere un ruolo di regolatore e facilitatore, ma che hanno come protagonisti il mondo delle imprese e delle professioni, l'associazionismo, la scuola e l'università, il sistema del credito, fino alle singole famiglie. L'appello di Unindustria Treviso si rivolge direttamente alle imprese affinché assumano maggiore responsabilità del proprio ruolo politico: non per fare lobby e orientare le preferenze su una lista elettorale rispetto a un'altra, ma nell'investire maggiori risorse sul territorio. Riferendosi alla proposta lanciata da Michael Porter e Mark Kramer in un famoso articolo del 2011 su Harvard Business Review, Maria Cristina Piovesana invita le imprese a condividere il valore economico creato con i lavoratori, i fornitori, i consumatori, la comunità. È una proposta che può sembrare dirompente, tanto più se avanzata da una rappresentante del capitalismo imprenditoriale. In realtà, come Porter e Kramer precisano nel loro saggio, la condivisione sociale del valore creato dall'impresa è oggi condizione per

Page 9: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

reinventare il capitalismo, salvandolo dalle contraddizioni che ne minacciano lo sviluppo, come l'eccessiva finanziarizzazione, la crescita delle disuguaglianze, l'instabilità occupazionale, l'insostenibilità ambientale. L'appello di Unindustria Treviso va dunque preso sul serio. Il problema è ora il passaggio dal dire al fare, prendendo impegni concreti e verificabili. Una proposta è che nel prossimo appuntamento Top 500, assieme ai soliti indici di redditività, si proponga anche un rating sulla responsabilità sociale, premiando le imprese che investono di più su ricerca e università, sull'alternanza scuola e lavoro, sull'integrazione degli immigrati, sulla cultura, sul rispetto ambientale, sul coinvolgimento della comunità nella governance dell'impresa. Se vivremo o meno una nuova stagione di innovazione e prosperità dipenderà molto più da pratiche diffuse per la condivisione del valore, piuttosto che dall'esito delle prossime elezioni. Torna al sommario 6 – SERVIZI SOCIALI / SANITÀ LA NUOVA Pag 22 San Camillo, no a 16 milioni. Rifiutati i soldi della Regione di Simone Bianchi Lo ha rivelato il direttore della Sanità Mantoan: “Ora resteremo spettatori”. Continua la trattativa con Villa Salus Lido. La Regione resta alla finestra sulla vicenda legata alla cessione dell'Ospedale San Camillo del Lido. Una posizione che non andrà a intrecciarsi con le trattative in corso da mesi, ultime in ordine di tempo quelle avviate da Villa Salus, ospedale classificato mestrino gestito dalla congregazione delle Suore Mantellate serve di Maria, uscito allo scoperto nelle ultime settimane con la propria manifestazione di interesse a un acquisto. «La proprietà del San Camillo aveva scritto al governatore Luca Zaia evidenziando la volontà di vendere la propria struttura del Lido», ha detto ieri Domenico Mantoan, direttore generale Area sanità e sociale del Veneto, intervenendo a un convegno a Mestre, «e la Regione ha fatto anche una sua proposta, mettendo sul piatto 16 milioni di euro per l'acquisto. Il fatto è che poi la proprietà del San Camillo quell'offerta l'ha rifiutata, e la Regione non poteva dare di più. Quindi è stato fatto un passo indietro e ora seguiremo la vicenda da distante. Nella trattativa rimarremo solo spettatori».Com'è noto, da Villa Salus si sono detti pronti a offrire una somma di circa 20 milioni di euro per l'acquisto del San Camillo, ospedale specializzato nella riabilitazione neurologica di pazienti che hanno subito gravi traumi, ma anche in convenzione con la Regione per i servizi al cittadino, dotato di area riservata a casa di riposo per anziani, e accreditato quale Istituto di ricerca a carattere scientifico. E messosi spesso in evidenza con progetti legati al morbo di Parkinson e tecnologie avanzate. Ieri, intanto, anche il direttore generale dell'Usl 3 Serenissima ha parlato delle vicende legate al territorio veneziano, non ultimi i controlli sul personale medico del settore pubblico che lavora anche in libera professione. E questo a seguito dei casi emersi di recente nel padovano, con medici che si "scordavano" di timbrare il cartellino nel passaggio tra l'attività istituzionale e la libera professione svolta in ospedale. «I nostri controlli li abbiamo sempre fatti e continueremo a farli per verificare queste situazioni», ha detto Giuseppe Dal Ben. «Se sarà necessario verranno fatti dei richiami, qualora si evidenziassero situazioni fuori norma, ma si vedrà. Non è affatto detto che ci siano casi del genere nella Usl 3 Serenissima. Di sicuro i controlli verranno intensificati per chiarire qualsiasi posizione in questa vicenda». Torna al sommario 7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA LA NUOVA Pag 1 Il piano d’emergenza per Venezia va rivisto di Alberto Vitucci Un piano di emergenza troppo vecchio. L'insularità, orgoglio dei veneziani, che in questi casi si trasforma in assedio. Otto ore fuori di casa. Bloccati senza sapere fino a quando.

Page 10: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

Troppo. «Venite a Venezia solo se necessario», recitava il sito Internet del Comune. Come si trattasse di comitive in gita per visitare Piazza San Marco. Invece, migliaia di macchine bloccate dai vigili a San Giuliano e rimandate indietro. Anche da piazzale Roma impossibile raggiungere la terraferma. Storie di ordinaria follia. «Prendete il treno». Senza pensare che per prendere il treno bisogna mettere la macchina da qualche parte. Impossibile domenica pomeriggio alla stazione di Mestre. Garage pieni e prezzi impossibili (fino a 40 euro per un giorno). Mai più così. All'indomani dell'incidente le voci che si levano a dirlo sono tante. Due-tre giorni, poi ci si dimentica. Ma una città non può rimanere in ostaggio per ore. Senso unico alternato? «Troppo pericoloso». Massimo rispetto per chi ha lavorato per ore sotto la bufera per risistemare il danno. Ma domenica forse qualcosa è mancato. Sicuramente la prontezza di un "piano B". Per non lasciare la città isolata occorre rispolverare il piano d'emergenza. E dare operatività a soluzioni per troppi anni annunciate e mai realizzate. Se il Ponte si blocca, a Venezia si può arrivare in vaporetto da San Giuliano a San Giobbe, come una volta. Non mancano gli spazi per parcheggiare. Una proposta da mettere subito in cantiere per verificarne la fattibilità. E impedire un'altra "domenica nera" come questa. Pag 20 Codello va al Quirinale consulente del Presidente Si occuperà dei restauri del Palazzo. La conferma a Venezia dopo un breve incontro con Mattarella La soprintendente Renata Codello è il nuovo consulente architettonico della Presidenza della Repubblica. Si occuperà dei restauri del Quirinale, dei giardini e degli edifici, dopo essere stata alla direzione dei lavori per il restauro del palazzo presidenziale, aperto al pubblico nel 2016. È la prima volta che un soprintendente veneto viene chiamato dalla Presidenza della Repubblica come consulente a Roma. Notizia che era nell'aria, confermata l'altro giorno a Venezia dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha incontrato l'architetto poco prima della cerimonia al teatro La Fenice per il 150esimo anniversario della fondazione di Ca' Foscari.Un incarico prestigioso, che Renata Codello ha accolto con soddisfazione e con la consueta riservatezza. Per lei dopo molti anni passati al ministero e alla soprintendenza veneziana, gli ultimi tre al Segretariato regionale, si profila un imminente cambio di incarichi. Lascerà il 27 marzo a scadenza di contratto il posto di Segretario regionale del ministero dei Beni culturali, che le era stato assegnato tre anni fa. Assumerà invece quello di direttore Affari istituzionali della Fondazione Cini. Anche qui per occuparsi della valorizzazione del patrimonio storico e architettonico e dei nuovi restauri in programma nell'isola di San Giorgio. Un ritorno anche quello della Cini, perché negli anni Codello ha seguito l'imponente restauro della Manica Lunga, la Biblioteca del convento benedettino che attraversa l'edificio da nord a sud. E poi gli allestimenti e i restauri con Michele De Lucchi. Adesso toccherà al Teatro verde e alla piscina. Resterà in città, dunque, e si occuperà anche del prestigioso incarico di responsabile dei restauri del Quirinale. Nata a Valdobbiadene, a Venezia da molti anni, l'architetto Codello ha firmato alcuni dei restauri più importanti della città. Tra questi, le nuove Gallerie dell'Accademia con Tobia Scarpa, il restauro del complesso degli Incurabili alle Zattere, di palazzo Grimani e di molte chiese della città, di parti dell'Arsenale e della Fondazione Querini progettata da Carlo Scarpa. Il suo nome è legato anche alla lunga vicenda del restauro degli edifici di Punta della Dogana, firmati dall'archistar Giapponese Tadao Ando. Gli uffici doganali diventati oggi un moderno museo affidato al miliardario e collezionista francese Francois Pinault. Per un breve periodo, Codello è stata anche nominata soprintendente a Roma, nella commissione per i restauri del Colosseo.Adesso un ritorno nella capitale per occuparsi del Quirinale, il palazzo reale diventato residenza dei presidenti della Repubblica. Una collaborazione avviata con il presidente Giorgio Napolitano e adesso proseguita con il suo successore Sergio Mattarella. Pag 27 Non regaliamo Porto Marghera ai faccendieri di Gianfranco Bettin La recente inchiesta giornalistica condotta da Fanpage, di cui aspettiamo con interesse il seguito annunciato, dimostra chiaramente che Porto Marghera resta anche al centro di interessi loschi, criminali. Ciò che sgomenta e indigna è, specialmente in questa fase, la

Page 11: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

dimestichezza con importanti ambienti economici e politici di faccendieri connessi alla criminalità organizzata al fine di riciclarne e valorizzarne i capitali sporchi. Per questo, la necessaria semplificazione delle procedure in tema di bonifiche e di autorizzazioni agli investimenti, fatte salve le ovvie verifiche sulle compatibilità ambientali e urbanistiche, non può riguardare in alcun modo l'origine dei capitali e la composizione effettiva delle cordate di investitori, che devono risultare assolutamente trasparenti e verificabili. La nuova Porto Marghera deve emanciparsi totalmente dagli affari sporchi che l'hanno troppe volte segnata in passato, anche recente (inchiesta Mose, ramo bonifiche), al crimine organizzato che l'inchiesta Fanpage sta dimostrando avvicinarsi a Marghera. Questo avvicinamento sembra appunto avvenire tramite faccendieri veneti, disposti a ogni infamia, la cui dimestichezza e famigliarità con ambienti decisionali e d'impresa, ripeto, è a dir poco inquietante. La nuova Marghera non deve diventare una specie di grande Tronchetto, dove capitali sporchi riciclati e investiti senza tregua per decenni hanno consentito a un gruppo criminale di insediarsi stabilmente al comando di una fetta decisiva dell'economia turistica, eliminando gli imprenditori onesti e inquinando l'economia. Non deve avvenire anche a Porto Marghera, con l'aggravante di un inquinamento economico e ambientale. Pag 39 Messa in Basilica a cento anni dai bombardamenti di n.d.l. Monsignor Camilotto ricorderà le 300 bombe scaricate in città nella notte del 26 febbraio Venezia e la Grande Guerra. Oggi, alle ore 18.30, messa nella cripta della Basilica di San Marco a cento anni dalla Grande Guerra. L'arciprete monsignor Giuseppe Camilotto celebrerà una liturgia per ricordare il dramma della città quando nella notte tra il 26 e il 27 febbraio 1918 Venezia fu colpita per 8 ore consecutive da incursioni che scaricarono 300 bombe causando danni e vittime in centro storico. Il campanile e la Basilica erano protette da centinaia di sacchi di sabbia posizionati dal Genio militare intervenuto per salvare il patrimonio artistico dai bombardamenti aerei e navali. Al tempo guidava la diocesi il Patriarca Pietro La Fontaine che il 6 gennaio 1917 davanti alla Madonna Nicopeia pronunciò il voto di conservare incolume Venezia e i suoi veneziani e costruire un tempio al Lido. La chiesa veneziana si impegnò nell'assistenza alla popolazione in grave difficoltà economica. Il Patriarca intervenne più volte sulle autorità cittadine per chiedere posti di lavoro, prezzi calmierati degli affitti, nuove case popolari e la riduzione delle tasse. CORRIERE DEL VENETO Pag 7 Mose, imprese sul lastrico di Gloria Bertasi L’Ance si schiera a difesa di 15 tra piccoli e grandi costruttori che non sono stati pagati Venezia. Attendono il versamento di 63 milioni di euro da ormai due anni, e non sono più in grado di aspettare di essere liquidate dal Consorzio Venezia. Sono quindici aziende del Mose che potrebbero dover chiudere, lasciando senza lavoro centinaia di persone e senza commesse decine di appaltatori e professionisti. «Si tratta di imprese che fatturano complessivamente 800 milioni di euro l’anno e hanno in tutto mille dipendenti - tuona Ugo Cavallin, presidente di Ance Venezia, l’associazione dei costruttori - per capirci, stiamo parlando di un numero di lavoratori due volte superiore rispetto allo stabilimento piemontese Embraco, quello per cui il ministro Calenda ha chiesto l’interessamento dell’Unione Europea». È il grido d’allarme e anche di disperazione di Ance che, ieri, ha parlato a nome di tutte le imprese interessate. «Serve un ministro che si assuma la responsabilità della situazione, che concluda e metta in funzione il Mose - l’appello alla politica del presidente dei costruttori edili veneti, Giovanni Salmistrari - non ultimare l’opera è impensabile ma sembra che nessuno voglia più avvicinarsi a quest’infrastruttura». Tra le quindici aziende c’è la Mantovani, finita nell’occhio del ciclone per lo scandalo delle mazzette del Mose e che già ha licenziato 137 dipendenti, ma ci sono anche ditte più piccole come la Rossi Costruzioni srl, impegnata nelle opere complementari della grande opera, ossia il ripristino di rive e barene e gli scavi dei canali. «Avanziamo più di 1,5 milioni, metà da un due anni, il resto da un anno: è il 15 per cento del nostro fatturato - racconta il co-titolare e vicepresidente di Ance Venezia, Renzo Rossi - abbiamo 40 dipendenti e finora siamo andati avanti grazie al credito

Page 12: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

bancario ma non può durare all’infinito». Se la Rossi Costruzioni venisse liquidata oggi, coprirebbe solo le spese dei prestiti e i costi dei fornitori. «Di utile ci rimarrebbe quasi zero - continua il titolare - prima dello scandalo i pagamenti erano quasi regolari e auspicherei, visto il tipo che lavoro che facciamo, di continuare a operare nella salvaguardia». Se un’azienda come quella di Rossi fosse costretta a chiudere, oltre ai posti di lavoro andrebbe anche perso il suo «know how» e cioè competenze nella tutela della laguna che pochi anno in Italia. Inoltre, ci sono due aziende con cento milioni di fatturato annuo a cui mancano all’appello tra i 7 e gli 8 milioni di euro ciascuna. «Il pericolo di chiusura delle aziende è assolutamente reale - sottolinea Cavallin - e le ricadute sul territorio veneto sarebbero pesantissime. I mancati pagamenti infatti provocano un effetto a catena che colpisce tutta la filiera: il danno è incalcolabile». Ance teme che non ci siano più soldi a disposizione per il Mose e che l’opera resti incompiuta, anche perché molte imprese oggi non sono più sicure di voler assumere nuovi contratti con un committente che non paga. «Due anni fa come Ance abbiamo proposto al ministro Graziano Delrio di completare noi il Mose - dice Cavallin - ma non siamo stati presi in considerazione, è anche per questo che temo che siano finiti i soldi». Altro problema, la nomina, tre settimane fe, di un nuovo gruppo di lavoro con tre esperti chiamati a verificare i lavori dell’opera. «C’è il rischio che si sovrappongano competenze e aumentino stasi e rallentamenti - sottolinea l’associazione - già i lavori sono quasi tutti fermi, cosa accadrà?». Cavallin fa dunque una proposta provocatoria: «Il sindaco di Venezia si assuma la responsabilità di finire l’opera, lui ha davvero l’interesse a completare il Mose e fossi il governo gli chiederei di farlo». I costruttori chiedono che le quindici aziende siano subito liquidate e che siano loro a finire i lavori. «Se non arriveranno i soldi, le imprese dovranno fare causa, non c’è altra scelta», conclude Cavallin. A detta di Ance, nessuna grande opera veneta ha mai avuto così tanti problemi, «solo la Pedemontana ha rischiato - dice Salmistrari - il Mose va finito anche perché in questa situazione rischia di rovinarsi, ma pare che nessuno voglia metterci la faccia». Pag 11 Sos per la notte dei senzatetto. Grandi stazioni dice no al prefetto di Gloria Bertasi e Mauro Zanutto Gelo, Comune e Curia potenziano l’accoglienza Venezia. Pannelli elettorali accartocciati su se stessi in centro storico, pali della luce piegati in un inchino dalle raffiche di vento in zona industriale e un freddo pungente che fa temere il peggio per chi non ha un tetto dove ripararsi di notte. Ieri la colonnina di mercurio è scesa sotto lo zero, arrivando a meno 5. Comune e patriarcato hanno aumentato i servizi d’emergenza per i cittadini senza fissa dimora ma i posti letto sono limitati. Servirebbe, come in passato, l’apertura straordinaria della stazione ferrovia che, però, nonostante la richiesta della Prefettura, di notte resterà chiusa. Nei giorni scorsi, l’assessore alla Coesione sociale Simone Venturini aveva già domandato a Grandi stazioni se era possibile tenere aperta la stazione in caso di emergenza freddo e ieri gli onorevoli Michele Mognato e Giulio Marcon (candidati di Liberi e Uguali) hanno chiesto l’intervento del prefetto Carlo Boffi. «Il gelo di questi giorni mette a rischio la vita delle persone senza dimora - dicono - È apprezzabile l’intervento del Comune di Venezia ma serve l’apertura notturna delle stazioni». Nemmeno l’intervento di Boffi ha cambiato la situazione, Grandi stazioni ha risposto con un secco no. Il motivo? Dopo la ristrutturazione, gli spazi sarebbero troppo esigui e la presenza di persone interferirebbe con le attività commerciali. Per fortuna, a Venezia c’è il servizio di prima accoglienza che nella notte tra domenica e lunedì ha ospitato 42 persone e ieri è arrivato a 50, 15 in più di quanto previsto dal contratto con Ca’ Farsetti. «Stiamo tenendo sotto stretto controllo la situazione - dice l’assessore alla Coesione sociale Simone Venturini - siamo pronti a prorogare i servizi oltre il 10 marzo, ultimo giorno di lavoro per gli operatori di “Emergenza inverno”. Sono stati aumentati i posti letto, l’unità di strada presterà più attenzione e si è mobilitato il mondo cattolico». Il patriarca Francesco Moraglia, domenica, ha lanciato un appello ai parroci della Diocesi, «aprite le chiese a chi non ha un tetto in questi giorni di freddo», ha detto. «Abbiamo chiesto alle parrocchie di accogliere chi ne ha bisogno - spiega don Dino Pistolato, vicario episcopale per i servizi generali e gli affari economici del Patriarcato - ognuna interverrà autonomamente e nelle

Page 13: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

nostre strutture d’accoglienza stiamo aggiungendo qualche letto in più e cercando di aprire di giorno, perché fa davvero freddo per rimanere in strada». La Caritas ha un centinaio di posti, il Comune di Venezia altri cinquanta ma nel resto del territorio metropolitano gli interventi a sostegno dei senza fissa dimora scarseggiano. Solo l’amministrazione di San Donà di Piave insieme alla Croce rossa e all’Associazione diabetici Basso Piave ha disposto un intervento straordinario per queste nottate sotto lo zero e a rischio neve. Da domenica fino al termine dell’emergenza è aperta la Casa del volontariato di via Svezia, una decina di letti con coperte e viveri dove trascorrere una notte al caldo grazie ai volontari delle associazioni di San Donà. «Invito la popolazione e i bisognosi a segnalare eventuali situazioni di emergenza - dice il sindaco Andrea Cereser - telefonate alla polizia locale, fino alle 19.30 allo 0421 55470 e, dopo, alla Centrale operativa dei vigili di Venezia allo 041 2747070». Ieri sera si sono presentati in sei. Per chi avesse necessità di un luogo riparato o vedesse qualcuno in difficoltà in centro storico o nella terraferma veneziana è attivo un numero verde (800589266) a cui risponde un operatore a qualsiasi ora del giorno o della notte, per tutte le eventuali segnalazioni. IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag IX Emergenza gelo, tutti si mobilitano per i senza tetto di A.Spe. Ampliati gli orari di accoglienza nei centri diocesani e c’è chi chiede l’apertura di notte delle stazioni Mestre. Mentre il vento gelido spazza la città e la colonnina del termometro scende sotto lo zero anche di giorno, si intensificano gli sforzi per aiutare i senza fissa dimora. In prima fila c'è la Casa dell'ospitalità dove al check-in di ieri mattina si sono prenotati in 45 per la notte appena trascorsa, dieci in più rispetto ai posti letto previsti ordinariamente. Con questo freddo anche chi di solito preferirebbe rimanere in strada, chiede di essere accolto e nessuno resta fuori, dice il direttore Francesco Pilli che sta coordinando l'azione degli operatori. Aspettando la notte monitoriamo attentamente la situazione e abbiamo anche disposto l'acquisto di altre coperte termiche e materassini, aggiunge. L'ingresso nella struttura di via Santa Maria dei Battuti avviene tra le 19 e le 20, subito dopo che gli ospiti hanno finito di cenare alla mensa di Ca' Letizia di via Querini. Qui, rispondendo all'appello diffuso domenica dal patriarca Francesco Moraglia, i volontari si stanno facendo in quattro per dare una mano. Da ieri spiega il presidente della San Vincenzo Stefano Bozzi - la sala rimane aperta anche dopo le colazioni del mattino, dalle 9 alle 11 e poi dalle 15 fino a sera. In mezzo le persone si spostano alla mensa dei frati Cappuccini per il pranzo. Chi ha bisogno di ripararsi può fermarsi qui. Così, il centro diurno che è aperto il martedì e il giovedì mattina dimezzato rispetto un anno fa - viene sostanzialmente ampliato fintanto che l'ondata di grande freddo non avrà dato tregua. Ogni sera continua Bozzi serviamo 120-125 coperti e aggiungiamo un'altra ventina di cestini per permettere a tutti di cenare. Più o meno gli stessi numeri si registrano a pranzo dai Cappuccini. Anche alla mensa-dormitorio Papa Francesco dell'ex Edison di Marghera sono giorni di grande impegno. I 26 posti letto sono tutti esauriti - racconta il responsabile Francesco Vendramin -. Con qualche branda e qualche divano arriviamo anche a 28, 30 persone, se serve. La cucina sforna 40 pasti, ma possiamo salire a 50. Nelle parrocchie non mancano le iniziative caritative grazie ai volontari e, dove esistono, alle conferenze della San Vincenzo. Nel frattempo, i candidati di Liberi e Uguali Michele Mognato e Giulio Marcon chiedono al prefetto di intervenire su Grandi stazioni per far aprire le stazioni ferroviarie cittadine. Se è apprezzabile che il Comune si sia organizzato per rispondere al gelo aumentando il numero di posti letto, appare del tutto evidente come le condizioni estreme della notte rendano assolutamente insufficiente questa decisione, scrivono in una nota i due parlamentari. Torna al sommario 8 – VENETO / NORDEST IL GAZZETTINO Pag 9 Crisi delle vocazioni, le suore dorotee lasciano l’ospedale di A.Pe.

Page 14: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

Treviso, dopo 166 anni al ca’ Foncello cessano l’attività di infermiere Venezia. Dopo quasi 166 anni di ininterrotto (e onorato) servizio, da giovedì le Dorotee lasceranno il Ca' Foncello di Treviso. E quindi la sanità pubblica del Veneto, visto che di fatto era radicata nell'ospedale della Marca l'ultima consistente presenza delle Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori, per citare l'esatto nome della congregazione fondata nel nome di santa Maria Bertilla Boscardin. «Grazie dal profondo del cuore, non senza rimpianto e con immensa riconoscenza», è il messaggio loro rivolto dal governatore Luca Zaia. IL SERVIZIO - Proprio da Palazzo Balbi fanno presente che, nell'ambito del sistema sanitario veneto non privato, il nosocomio trevigiano era rimasto un'isola a sé, grazie proprio all'impronta lasciata dalla religiosa vicentina, elevata dalla Chiesa alla gloria degli altari dopo aver prestato servizio per quindici anni ai ricoverati in quella struttura. Ma con il 1° marzo finirà un'epoca: «L'ultimo sparuto gruppo di anziane religiose, pur senza più funzioni in corsia, rimarrà nella struttura, impegnato nell'assistenza spirituale», annuncia l'Ulss 2. Un fatto inevitabile, a causa del crescente calo delle vocazioni e del progressivo innalzamento dell'età delle suore, presenza costante fra i malati fin dal 1852, quando la sede ospedaliera era ancora al vecchio San Leonardo in centro città. «Con la conclusione dell'impegno infermieristico delle suore Dorotee si sigilla un capitolo importante di storia della sanità trevigiana sottolinea Francesco Benazzi, direttore generale dell'azienda sanitaria . Contemporaneamente rimane vivo il debito di riconoscenza per il servizio prestato in oltre 165 anni di presenza nelle corsie dell'antica sede di San Leonardo, prima, e del Ca' Foncello, poi». LA PROFESSIONE - Peraltro si tratta di una presenza che, come rimarca lo stesso dg, per Treviso non ha avuto una valenza soltanto religiosa, ma ha segnato anche un tangibile progresso organizzativo e professionale. «Grazie alle suore Dorotee di Vicenza ricorda Benazzi a Treviso si è concretizzata la professione infermieristica, legata ad una preparazione specifica ed alla formazione con un proprio percorso di studi. Con loro nacque, infatti, la prima scuola destinata a evolversi accogliendo anche studenti laici e contribuendo nei decenni a fornire numerosi professionisti ben preparati». Dell'apporto delle suore all'ospedale trevigiano resterà una targa. Ma dal Veneziano al Vicentino, sono davvero molte le testimonianze del contributo dato dalle suore in corsia. «In 166 anni aggiunge da parte sua Zaia queste religiose hanno incarnato la fusione perfetta tra umanità e professionalità. Umili e affettuose con i sofferenti, capaci e attente nella professione infermieristica, prezioso supporto per il difficile lavoro dei medici, straordinarie formatrici per i giovani che nei decenni hanno vestito il camice da infermiere, le suore Dorotee lasciano un vuoto che sarà colmabile solo se chi rimane saprà seguirne l'insegnamento». Spesso, in occasione delle visite al Ca' Foncello, il governatore aveva posato in foto con le religiose, motivo di simpatia per generazioni di ammalati. «Il loro insegnamento è talmente attuale conclude che l'umanizzazione delle cure è ancora oggi uno degli obbiettivi principali che caratterizzano la programmazione della sanità in Veneto, perché spesso un sorriso e una carezza fanno meglio di una medicina». Bertilla Boscardin - Nata nel 1888 in provincia di Vicenza, in una famiglia contadina, con l’aiuto del parroco, entrò nel 1905 nelle suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Santissimi Cuori a Vicenza. Divenuta infermiera, lavorò nell’ospedale di Treviso, dove si dedicò a servire i malati nel corpo e nello spirito, infaticabile nell’aiutare le consorelle. Nonostante fosse stata colpita da un tumore a soli 22 anni, continuò con impegno il proprio lavoro. Morì a 34 anni, nel 1922. IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag XX No alla messa in latino nel Duomo, scoppia il caso di Filippo De Gaspari Mirano: la Diocesi boccia la richiesta, tradizionalisti all’attacco Messa in rito romano antico per Sant'Antonio in duomo, arciprete e Diocesi dicono no. A Mirano la guerra di religione è tutta cattolica, tra i tradizionalisti legati alla liturgia preconciliare in latino, ristabilita da Papa Benedetto XVI, e la Curia vescovile di Treviso.

Page 15: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

LA RICHIESTA - Questi i fatti. La direzione del sito Traditio Marciana aveva deciso di organizzare una messa solenne votiva a Sant'Antonio durante un pellegrinaggio per i fedeli di tutto il Triveneto legati alla messa tradizionale, in occasione della commemorazione del Santo, il 13 giugno a Padova. Secondo gli organizzatori, la messa in latino avrebbe dovuto essere celebrata da un cerimoniere pontificio all'altare laterale del Duomo dedicato proprio a Sant'Antonio, caratterizzato da una pala affrescata dal Tiepolo. Traditio Marciana ha preso contatti con l'arciprete di Mirano, don Artemio Favaro, che però, dopo essersi consultato con i diretti superiori, ha rifiutato la proposta: «Doverosamente - ha risposto il parroco - mi sono confrontato con Vescovo e Vicario Generale ed entrambi concordano che non sia del tutto opportuno accogliere la richiesta». Per i tradizionalisti il no è inspiegabile: «Non si capisce - spiega un responsabile di Traditio Marciana, Nicolò Ghigi - quale sia l'inopportunità di far celebrare, mica un sacerdote della Fsspx (i cosiddetti lefebvriani, ndr) o scismatici, ma un cerimoniere pontificio». «Nella chiesa della Misericordia - aggiunge Cristiano Gobbi, responsabile di Summorum Pontificum, il coordinamento nazionale favorevole alla messa tridentina - c'è posto per tutti, perfino i luterani hanno celebrato in aula Paolo VI, ma non per chi segue legittimamente le forme liturgiche in uso fino al 1969». LO SCONTRO - Lo scontro nasce da lontano. A Mirano opera da tempo un gruppo legato alla messa in rito romano antico, al quale è stata concessa una celebrazione al mese, ma nell'altra parrocchia cittadina, San Leopoldo Mandic. In questo caso l'iniziativa non viene dal gruppo di tradizionalisti miranesi, ma da un coordinamento triveneto. Per questi la Diocesi di Treviso e il clero locale soffrono di mentalità ultraprogressista, considerazione respinta dalla Curia e dal parroco. «La questione è di opportunità - spiega don Favaro - perché a Mirano c'è già occasione di celebrare la messa in rito antico e se c'è l'intenzione di fare un pellegrinaggio a Sant'Antonio i luoghi deputati sono quello ed eventualmente la basilica a Padova. Liturgicamente tra l'altro non è concesso celebrare messa sugli altari laterali del duomo». «Nessuno può pretendere di celebrare messa dove desidera all’interno di un territorio diocesano. Ci sono delle regole, c’è una discrezionalità nel dare o meno il consenso, sia da parte del Vescovo che del parroco». La precisazione arriva dal cancelliere vescovile di Treviso, monsignor Giuliano Brugnotto, che spiega le ragioni del “no” della diocesi. «Nel caso in questione - aggiunge il Cancelliere - si è ritenuta del tutto inopportuna la richiesta di celebrare, in occasione di un pellegrinaggio in onore di Sant’Antonio presso un altare secondario del duomo di San Michele Arcangelo di Mirano, quando a pochi chilometri vi sono i luoghi antoniani meta di numerosi pellegrini». Infine, conclude il cancelliere: «Mi auguro non si tratti dello stesso gruppo che nella pagina Facebook dal titolo “Messa in latino Mirano e Terraferma Veneziana” l’11 febbraio scorso ha pubblicato un post nel quale si fa capire che dal 2013 la Chiesa cattolica è rimasta senza pastore. Si tratta di affermazioni gravi che offendono la comunione ecclesiale. Sarebbe strano - conclude monsignor Brugnotto - che un cerimoniere di Papa Francesco condividesse tali affermazioni». Torna al sommario … ed inoltre oggi segnaliamo… CORRIERE DELLA SERA Pag 1 Il valore di chi è più capace di Sabino Cassese Partiti e candidati Per il prossimo 4 marzo circa 50 milioni di italiani sono chiamati al voto. Questo - lo dice la Costituzione - è un «dovere civico». Quel voto servirà a scegliere i membri del Parlamento, non il governo. In una repubblica parlamentare, il popolo elegge chi dovrà esercitare il potere legislativo, non chi è chiamato a svolgere compiti esecutivi. I sistemi elettorali e la divisione in due grandi forze politiche (centrodestra e centrosinistra), avevano permesso per circa vent’anni di conoscere la sera delle elezioni chi avrebbe governato. L’attuale tripolarismo e la nuova legge elettorale impediranno, di fatto, che questo avvenga. Nel seggio, i votanti non potranno decidere liberamente chi votare, ma

Page 16: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

dovranno approvare o respingere le candidature proposte dai movimenti politici. È, quindi, importante sapere come queste siano state selezionate, quale è stato l’equilibrio tra popolarità, esperienza, legame con il «territorio» (cioè con un collegio elettorale), rappresentanza della «società civile», che le forze politiche hanno stabilito. Di tutto questo sappiamo poco, ma possiamo evincere alcuni elementi da uno studio dell’Istituto Cattaneo sulle pluricandidature e sul ricambio dei candidati. Alle molto temute pluricandidature, le forze politiche hanno fatto ricorso con moderazione: solo un sesto dei candidati è nelle liste di più di un collegio. Q uesto vuol dire che non c’è stato quello strapotere delle segreterie dei partiti o dei leader, che prima si temeva, nel collocare i candidati preferiti in più posti, per assicurarne l’elezione. Altro elemento importante è il ricambio della classe politica (almeno, per ora, quello «in entrata», perché solo al termine delle elezioni potremo misurare quello «in uscita»). Oltre il 75 per cento dei candidati nei collegi uninominali non ha mai seduto in Parlamento (ma la percentuale varia molto da partito a partito). Il 79 per cento dei candidati nei collegi plurinominali non è stato in precedenza parlamentare (ma i «nuovi» sono per lo più nelle posizioni ultime delle liste, e quindi il numero dei volti nuovi è destinato ad essere ridimensionato dopo le elezioni). Questo ricambio ha un aspetto positivo ed uno negativo. Ci si può aspettare che il prossimo Parlamento avrà molti volti nuovi, perché molti volti vecchi non hanno meritato. Dai candidati nuovi ci si può anche attendere molta inesperienza: occorrerà che essi si «facciano le ossa». Tanto più che un ricambio così forte si aggiunge al ricambio degli anni precedenti, mentre un certo grado di «professionismo» politico è necessario. Non va dimenticato che non esistono più i partiti di una volta, i partiti-macchina, quelli che servivano a selezionare, formare, promuovere, una classe politica, dal basso, fino ai livelli più alti. Tra i candidati, il corpo elettorale (i votanti) dovrà scegliere. Il criterio di questa scelta, dicevano i costituenti americani alla fine del ’700, è «quello di assicurarsi come governanti uomini dotati di molta saggezza per ben discernere, e molta virtù per perseguire il bene comune della società» («Il federalista» n. 57). Uno dei padri fondatori dello Stato italiano, Vittorio Emanuele Orlando, scriveva nel 1889 che l’elezione è «una designazione di capacità», perché l’esercizio delle funzioni pubbliche «spetta ai più capaci». Si è, invece, diffusa l’idea che i parlamentari non vadano scelti per le loro qualità e per lo scrupolo negli impegni che prendono, perché basta che ascoltino il proprio elettorato. Chi pensa questo non sa che i Parlamenti discutono prima di votare, che la maggior parte del loro lavoro si svolge in commissione, che i rappresentanti del popolo non sono macchinette per votare ma esseri pensanti, che debbono discutere, soppesare le varie opzioni, convincersi, prima di decidere. Un grande uomo politico inglese, e uno dei più acuti osservatori dello sviluppo della democrazia, Edmund Burke, disse nel 1774 ai suoi elettori di Bristol che il Parlamento non è un «congresso di ambasciatori d’interessi diversi, l’un l’altro ostili», che agiscono come mandatari, e che la legislazione è questione di ragione e di discernimento e i deputati non possono essere teleguidati da un mandato imperativo dei loro elettori. Questo è ancor più vero in Italia, dal momento che il Parlamento invade continuamente l’area di azione del governo e dell’amministrazione, nella quale sono necessarie competenza, esperienza e preparazione tecnica. Insomma, se chiediamo all’idraulico o al falegname, al chirurgo o all’ingegnere che sappiano fare (e bene) il loro mestiere, perché la competenza non dovrebbe essere uno dei criteri per scegliere coloro che debbono svolgere una funzione molto più importante e gravida di conseguenze per la collettività, di quella del falegname, dell’ingegnere, del medico? La politica non è e non dovrebbe essere un mestiere, perché essere eletti deputati non vuol dire trovare un impiego e non è auspicabile che i politici siano tali a vita. Tuttavia, essa è una professione, ed è anche una professione difficile, che bisogna imparare e saper esercitare. Pag 1 Le risposte necessarie di Enrico Marro D’accordo, ha nevicato a Roma e succede di rado. Ma qualche decina di centimetri di neve non può giustificare i disservizi sulle linee ferroviarie subiti ieri dai passeggeri tutti, dell’alta velocità e delle linee locali. Tanto più che il sistema era andato in tilt anche al Nord lo scorso dicembre per il gelo. E tanto più che per evitare di farsi cogliere di sorpresa il gruppo Fs giovedì aveva annunciato che, dopo l’allarme meteo su «precipitazioni nevose e abbassamento delle temperature su gran parte dell’Italia»,

Page 17: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

erano stati «attivati i “Piani neve e gelo”», che prevedono interventi tecnici sulle linee, tra i quali i «sistemi di snevamento e riscaldamento degli scambi», proprio quelli che invece si sono bloccati a Roma, e più personale in servizio. Nonostante ciò, ieri molti collegamenti sono stati soppressi, i treni partiti hanno accusato ritardi fino a 7 ore. La stazione di Roma Termini ha vissuto il caos, con migliaia di passeggeri in attesa di capire se potevano partire, quando e da dove, visto che molti treni sono stati dirottati alla stazione Tiburtina. Ora è bene precisare che ha nevicato per poche ore. Alle 11, sulla Capitale, splendeva già il sole. I passeggeri che ieri pomeriggio gremivano, spesso sedendo per terra nei corridoi, i pochi treni in circolazione da Roma a Milano, raccontavano di convogli ad alta velocità che procedevano a 30 chilometri orari mentre dai finestrini si potevano vedere i prati tornare verdi e le macchine sfrecciare regolarmente sulla parallela autostrada. Perfino un ministro, Dario Franceschini, raccontava su Facebook : «Alle 11 sono arrivato a Termini per prendere il treno per Ferrara. Sono le 16.40 e siamo fermi a Firenze, ma sono fiducioso che prima o poi ripartirà...». Intanto, le Fs annunciavano per i ritardi di oltre tre ore «il rimborso integrale del biglietto, anziché il 50% previsto dalle normative europee». E Ntv, la società privata che gestisce Italo, prometteva ancora di più: rimborso al 100% dopo due ore, e non tre, di ritardo. Un correre (sic!) ai ripari che lascia senza risposte le domande di fondo. Assodato che garantire la sicurezza è sempre la priorità, perché basta una nevicata a mandare in tilt il sistema? C’è un problema di risorse (investimenti da fare)? Di personale (insufficiente, con la necessità di ricorrere agli appalti esterni per scarsa flessibilità delle normative contrattuali interne)? Di management? Sono queste le risposte che l’azienda e il governo devono ai contribuenti. I rimborsi non bastano. Pag 7 Quel sapore di una resa preventiva di Giorgio Montefoschi I romani si sono svegliati, ieri, sotto un manto di neve che copriva tutto. Una nevicata insolita per la fine di febbraio, e che a Roma può trasfor-marsi in una catastrofe. Ma a mezzogiorno il cielo era splendente, faceva «quasi caldo», dagli oleandri e dalle palme cadevano gocce pesanti, la neve si stava sciogliendo anche sulle strade, la metro funzionava, girava qualche autobus, gli aerei non erano tutti cancellati e arrivavano a Fiumicino, chi voleva poteva fare benzina. La catastrofe annunciata (trasporti a parte) non era stata una catastrofe. Ma, lo stesso, tutte le scuole erano chiuse (a differenza di Torino, dove gli studenti erano regolarmente in classe) e i romani, terrorizzati, se ne stavano tappati in casa. Infatti, verso le due, con l’asfalto sgombero e asciutto, chi si azzardava a spingersi un po’ oltre il suo marciapiedi, scopriva una Roma deserta: strade vuote, poca gente, nemmeno i tradizionali burloni con le palle di neve, nemmeno i bambini al parco con gli slittini. Niente. Una Roma da Ferragosto. Da Pasquetta. Che strano. Poi, i romani hanno aperto i giornali e hanno avuto un soprassalto. La loro sindaca, Virginia Raggi, che solo due anni prima avevano votato quasi in massa, entusiasticamente, era fotografata sorridente in bicicletta e maglietta bianca. Ma non a Roma: a Città del Messico. Dove si era recata per partecipare all’importante congresso «Donne e clima» (particolarmente importante proprio per questo stretto rapporto che, nell’antico luogo comune, esiste fra la meteorologia e l’essere femminile: le suocere coi dolori, le mogli coi nervi...). Ma come? A Roma si prevedeva una catastrofe, la sindaca aveva ordinato «scuole chiuse» e lei se ne stava a Città del Messico? Non è che per caso, a voler essere maligni, la sindaca aveva fatto questo ragionamento: «Io vado in Messico, e se poi nevica per davvero? No, meglio le scuole chiuse. Meglio una resa preventiva». Anche perché, un conto è denunciare il «complotto dei frigoriferi», un conto denunciare il complotto ordito da un vento che viene dalla lontana Siberia. Intanto, belle e nude com’erano, le strade di Roma mostravano le loro ferite: le loro infinite buche (molto peggiorate, molto più numerose in due anni, sempre molto pericolose per chi ci casca). Le buche - vergogna emblematica di questa disastrata Capitale - che per qualche ora il manto bianco aveva coperto, illudendo i romani di essere a Parigi o a Londra. LA STAMPA Quel Pd che non vota per il Pd di Federico Geremicca

Page 18: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

Magari era inevitabile e non è solo colpa sua, di Matteo Renzi, intendiamo. O magari è soltanto la riprova che qualcosa di profondo si è davvero rotto nel rapporto tra l’ex presidente del Consiglio e il Paese. Ma la sensazione che va consolidandosi in avvio di quest’ultima settimana di campagna elettorale è che il voto del 4 marzo si stia trasformando - per Renzi personalmente - in qualcosa di molto simile alla Madre di tutte le battaglie, quella persa il 4 dicembre del 2016. E cioè, in un nuovo referendum su di lui: a prescindere dal merito, che ieri era una innovativa ipotesi di riforma costituzionale e oggi un voto per decidere del governo del Paese. Naturalmente, a differenza di quanto accaduto nel dicembre di due anni fa - quando un eccesso di personalizzazione di quella consultazione convinse molti elettori di diversi partiti che votare «no» avrebbe potuto significare liberarsi di Renzi come capo del governo - stavolta il possibile uso «distorto» della scheda elettorale è questione che riguarda e agita solo parte dell’elettorato Pd. L’analisi (o la speranza) che motiva quelle frange di dirigenti, militanti e simpatizzanti è secca e semplice: se il Partito democratico tracolla, stavolta Renzi sarà davvero costretto alle dimissioni. Certo, si tratta di una strategia rudimentale: che ricorda molto, volendo, il vecchio adagio su quel signore che per far dispetto alla moglie... Ma la tentazione esiste ed è forte: votare per il centrosinistra (la lista Bonino o quella ulivista, per dire), ma non per il Pd, così da assestare l’ultimo colpo al segretario in carica. È una presa di campo forse discutibile, ma certo non incomprensibile: in fondo, anche se declinata in altro modo - e cioè in nome dell’unità - è la scelta annunciata dallo stesso Romano Prodi, influente padre fondatore. Quanto sia diffusa tra l’elettorato di centrosinistra, naturalmente, è difficile dire. Che sia invece assai presente nei gruppi dirigenti Pd - a Roma come altrove - è certo e perfino evidente. È la scommessa - per esempio - degli scissionisti del Pd, che si sono addirittura mossi in anticipo puntando tutte le loro fiches proprio sulla sconfitta di Matteo Renzi. Ed è la scelta - in fondo - anche di personalità come Grasso e Boldrini, che oggi sembrano avere come primo nemico proprio il Pd a trazione renziana. Si tratta di un sentire - naturalmente non esprimibile in questi termini - che non è estraneo nemmeno al ragionare di molti e importanti esponenti democratici (da Franceschini a Delrio, passando per Minniti fino addirittura a Gentiloni) che hanno vissuto con mortificazione - per usare un eufemismo - la fase di preparazione delle liste elettorali, che ha visto il segretario fare il pieno di collegi ed eletti sicuri. Nulla di tutto questo, naturalmente, è sconosciuto a Matteo Renzi: che forse non a caso ieri ha tentato di depotenziare l’eventuale trappola, annunciando in diretta tv che dopo il voto non farà passi indietro, nemmeno in caso di sconfitta elettorale. È la seconda delle mosse «difensive» del segretario, visto che la prima era stata già avviata una decina di giorni fa, favorendo un maggior attivismo (ed una più visibile presenza) degli uomini della cosiddetta squadra. Iniziative comuni e maggior spazio a Gentiloni e Minniti, in particolare: non solo per ampliare l’offerta politica del Pd, ma anche per tentare di mettere agli atti la circostanza che una eventuale sconfitta non avrebbe un solo padre, ma i volti di molti. A differenza, appunto, di quanto accadde nella battaglia persa il 4 dicembre di due anni fa. Sui progetti di alcuni e sulla strategia difensiva di altri, peserà come un macigno - ovviamente - il risultato che arriverà dalle urne domenica sera: ma già col 20-21 per cento si può dar per certa l’ennesima resa dei conti all’interno del Pd. Matteo Renzi avrebbe forse potuto evitarla - e contemporaneamente aumentare le chance di successo del suo partito - investendo con più convinzione sulla popolarità e la placida simpatia riscossa in questo anno da Paolo Gentiloni. Seppur sollecitato, non l’ha fatto. E non sappiamo - ora - se ne sia pentito: non solo per le incerte sorti del Pd, ma per l’aleggiare -15 mesi dopo - di un nuovo, seppur poco ortodosso, referendum su di lui. AVVENIRE Pag 1 Quello che la neve rivela di Giovanni D’Alessandro Morsa del gelo, esclusi e solidali Questa settimana di tardivo gelo cade prima delle elezioni. Tornata di freddo e tornata elettorale coincidono. E questa coincidenza genera una riflessione che si solleva dallo strepito mediatico della captazione del voto per aprirsi a un’atmosfera opposta, di silenziosa, insopprimibile considerazione della condizione umana da un’altra prospettiva. Forse a ispirarla è questo cielo basso, bianco – così strano nell’essere attraversato dalla

Page 19: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

luce del giorno già di tanto allungatosi, nel progredire verso l’equinozio – e consiste in questo: ogni anno a fine inverno si fa la conta dei senza casa morti per freddo. Per i credenti il freddo, a volte unito per gli homeless all’alcool, è tra le concause solo fisiche di queste morti; anzi, tra le concause secondarie. A monte ci sono quelle primarie. Quali? La esclusione dal nostro mondo dei senza casa. Il loro abbandono a se stessi, allontanando da noi la consapevolezza che una fragilità o un disagio psichico, spesso, li hanno resi tali: gente avvolta nei cartoni come immondizia, in cui quasi inciampare sotto i portici, da schivare accanto agli anfratti dove cercano riparo, la cui vista suscita fastidio e retrazione. Sono esseri umani vaganti: people on the road e non in senso di gioioso percorso in auto di strade, no: questa è gente da rua che per strada ci vive, che sale sui treni senza dover partire o che viene fatta scendere all’ultima fermata dall’autobus diretto al deposito e a cui un poeta rock mezzo secolo fa dedicò due versi dalla bellissima rima: let me tell of the losers who lie/ in the streets as the last bus goes by (lasciami raccontare dei perdenti che si stendono/ per strada, quando l’ultimo autobus se ne va». Tutta questa consapevolezza è acquisita alla nostra mente e subito allontanata. Perché? Perché se la affrontassimo nella sua portata, verremmo risucchiati dalla sua gestione. Allora invochiamo le ragioni di sopravvivenza: lo spazio vitale, il nostro spazio vitale chiuso, la casa; mentre fuori resta lo spazio aperto mortale. E perché se ci confrontassimo con questa consapevolezza subito vedremmo che il ritrarcene somiglia a un reato, a una fattispecie penale, cioè all’abbandono di incapace. È così. Questa collettività che si dice civile, in quanto disciplinata dalla legge, convive con un reato e lo pratica: abbandona chi non sa provvedere a se stesso, sapendo di farlo. Duemila anni fa da Qualcuno nato in una stalla – sempre perché non c’era altro posto dove farlo nascere al coperto – si levò una voce la cui suprema poesia fora il tempo, fora queste lattiginose nubi cariche di neve dell’anno del Signore 2018: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». Cristo, così cercato dalle folle per avere miracoli, così accolto nelle case dei discepoli, dei pubblicani e dei peccatori, nel suo transito terreno ha fatto anche esperienza della homelessness e a questa condizione ha voluto dedicare parole. È stato, in un certo senso, il primo homeless. La Chiesa stretta intorno al Cristo è l’unica ad aprirsi. I politici non lo faranno mai, non si è sentito uno di loro scendere in campo sull’emergenza dell’annunciato gelo per chi è senza casa, sono troppo accalorati nella corsa elettorale. Quanti homeless votano? Figurarsi se in mezzo ai cartoni e alla roba stipata nel carrello o nel trolley che si trascinano per strada, hanno con sé la scheda elettorale, o pensano a procurarsela; magari non hanno più neanche un documento d’identità valido, sicché in questa settimana sono davvero gli ultimi della cui identità preoccuparsi. E loro, quanto poco la collettività li abbia fatti sentir parte sinora lo sanno bene e potrebbero testimoniarlo. Solo l’Ecclesia li chiama senza tornaconto. Meglio, l’azione ecclesiale, nel più puro senso etimologico del termine, che significa «chiamare a sé». Indica il chinarsi dell’essere umano soccorrente, dell’alieno-samaritano, sul prostrato bisognoso di soccorso, che la sua gente non soccorre; per farsi – anche fisicamente – vicino a lui; prossimo a lui. Siamo negli archetipi del mutuum adiutorium cristiano. Siamo nella sequela, nella 'cerca' della pecora smarrita, nel non abbandono a se stesso di chi non verrà, del comunque bisognoso che non ha (non solo voce) neppure coscienza di dover chiedere aiuto. In queste parabole, in queste metafore sta oggi la sfida alla pratica evangelica. E la neve non lo nasconde, lo rivela. Per i tremila senza casa di Roma si è mobilitato soprattutto un piccolo esercito di volontari, di strutture e di organizzazioni. La stessa cosa a Napoli e in altre grandi e piccole città. A Torino l’Arcivescovo, a Venezia il Patriarca hanno fatto spalancare le porte delle parrocchie. Iniziative simili ci sono in cento altre località e anche in realtà provate da eventi naturali come il terremoto. Sono strutture ecclesiastiche, sono organizzazioni laiche, sono singoli che si attivano spontaneamente. Non ci chiederemo se sono composte tutte da credenti. Sono composte da agenti della grazia. I quali credono – certamente credono – che si debba chiamare e cercare chi non far morire di freddo, se vive per strada. Pag 2 Il Rosario è “medicina”, non amuleto. E il Vangelo non è un volantino, è vita (lettere al direttore)

Page 20: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

Caro direttore, da cristiano praticante devo esprimerle – anche se so che non serve a niente – il mio sconcerto per la sceneggiata di Salvini al comizio di sabato sera a Milano con Rosario e, addirittura, Vangelo in mano. Tutti conosciamo Salvini e sappiamo quanta profonda e verace possa essere la sua Fede... Appartiene, verosimilmente a quella stessa tipologia di persone che vanno inchiodando crocifissi nelle aule scolastiche, dimenticando le parole che disse l’Uomo-Dio inchiodato sul legno che loro inchiodano sul muro: «Ricevete in eredità il Regno preparato per voi perché avevo fame..., sete... ero straniero...». Di fronte a strumentalizzazioni del genere dovremmo ricordare che nel cinturone dei soldati tedeschi che misero a ferro e fuoco l’Europa e che “lavoravano” nei campi di sterminio c’era scritto «Gott mit uns» (Dio è con noi): Hitler Lo aveva arruolato. (Lucio Croce – Salerno) Gentile direttore, le scrivo affranta, come spero tanti G italiani. Sabato sera stavo guardando l’edizione notturna del tg, ma non sono riuscita a proseguire dopo avere appreso che Salvini aveva “giurato sul Vangelo e sul Rosario”! Lo so: da cristiana non posso condannare e io per prima sono consapevole di non poterlo fare, ma che non si lasci a chi non ha nulla a che vedere con Vangelo e Rosario di appropriarsene, di farne bandiere proprie nel segno dell’odio. Una parte della politica ha insegnato a respingere, a erigere barriere, a discriminare, a riesumare la razza bianca, a gioire quando dei poveri senza nulla e in cerca di una speranza affogano in mezzo al mare... e sono gli stessi che rivendicano il Crocifisso nelle classi o negli edifici pubblici. E mentre succede tutto questo, esco da Messa, con ancora nelle orecchie la predica, mi chiedo se toccati da quelle parole sappiamo farci toccare anche da ciò che avviene tutto attorno. Viviamo in questa società, siamo immersi nelle sue contraddizioni sempre più grandi e anche in Chiesa dobbiamo imparare a confrontarci con esse, a pregare per chi viene perseguitato, ucciso o torturato anche se ha la pelle di un colore diverso, e farlo insieme all’identica attenzione ai “nostri” che hanno bisogno. Da tempo chiedo nelle mie preghiere un aiuto per comprendere, per riuscire nonostante tutto a essere positiva e non farmi prendere da quella rabbia che ha ormai contagiato la società (quanto è più facile distruggere rispetto al costruire, odiare rispetto all’amare...). Serve una voce che chiama a ragionevolezza e ricorda a tutti che Vangelo e Rosario sono simboli di fede, una fede che unisce e non divide. Che è amore e non odio. Mi perdona se la prego di non firmare per esteso questa mia lettera? (Nadia – Milano) Risponde il direttore Marco Tarquinio: Non sono affatto stupito dall’accorata protesta vostra, cari amici, e di molti altri lettori per la sconcertante scelta di Matteo Salvini di esibire in un comizio elettorale un Rosario e un Vangelo mentre inscenava un giuramento sulla Costituzione da (potenziale) capo del governo italiano. E penso che l’arcivescovo di Milano Mario Delpini abbia fatto benissimo a ricordare a tutti, con eloquente semplicità, che negli incontri politici è necessario «parlare di politica». Ma parlarne a proposito e dunque senza spendere a sproposito due grandi tesori della fede cristiana e cattolica: il Vangelo e il Rosario. Ogni persona di fede autentica sa, infatti, che il Vangelo non è un volantino e che la promessa di «rispettarne gli insegnamenti» è un impegno che non ci si può limitare a ostentare sul palco di un comizio o da una qualsiasi altra tribuna, ma che si dimostra coi fatti. E sa con altrettanta chiarezza che il Rosario non è un amuleto, ma è uno strumento di preghiera e, come ci testimonia papa Francesco, una «medicina dell’anima». Ammetto di non aver avuto l’impressione che Salvini ne fosse pienamente consapevole, ma forse invece lo è. Magari perché ha prestato davvero ascolto a qualcuno dei buoni preti che lui stesso racconta di aver incontrato nei suoi giri elettorali. Finora, purtroppo, anche a me – per quel che questo vale – non ha dato l’impressione né di essere stato folgorato sulla via di Damasco né di aver letto almeno il capitolo 25, 31-46 del Vangelo di Matteo e fatto i conti con quegli insegnamenti... io non smetto di farlo, e i conti non mi tornano mai. Però so che non è mai troppo tardi, né per me né per alcun altro. Pag 3 Il digitalismo politico al potere: la parabola del Movimento 5 Stelle di Marco Morosini Analisi (dall’interno) della nascita, crescita e involuzione di M5S

Page 21: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

Il digitalismo politico significa mettere tutta la politica nel digitale. Ci piaccia o no, dovremo farci i conti. Esso è già egemonico in un Paese del G7. In Italia, infatti, il Movimento 5 stelle, il primo partito digitale, vincerà probabilmente le elezioni del 4 marzo e si candida a governare il Paese. La mia analisi è originale per due motivi. Nel 1992 diventai ispiratore politico e ghostwriter del comico Beppe Grillo, il volto pubblico del 5stelle. Inoltre, la trasformazione ecologica delle interazioni tra uomo e natura è l’oggetto dalla mia passione e professione, ed è il tema su cui nacque il Movimento 5 stelle. Come cittadino svizzero sono portato alla neutralità, come italiano al suo contrario. Dovrei forse guardare in silenzio dall’alto delle montagne svizzere l’Italia salvarsi o rovinarsi con il 5-stelle? Molti italiani non si fidano degli scienziati. Si fidano dei comici. Così, il 19 febbraio 1992 proposi a Grillo una battuta 'ecologica'. Sulla porta del camerino nel teatro Smeraldo di Milano, Grillo mi offrì una caramella. Volli ricambiare. La gratitudine mi prese la mano. Ne nacque una 'fabbrica di caramelle': in 26 anni, qualche migliaio di pagine seriamente comiche per i suoi spettacoli – e inoltre per documentari, trasmissioni televisive, articoli, discorsi, e un libro best-seller. Insieme all’economista Joseph Stiglitz e al sociologo Wolfgang Sachs, Grillo mi definì «uno dei tre che gli hanno aperto gli occhi». Durante il nostro spettacolo Grillo vs Grillo del 2016, Beppe mostrò la mia fotografia, 6 x 10 metri, presa mentre raccolgo licheni a 5.000 metri per misurare l’inquinamento, e disse: «Questo è quello che mi ha fatto capire che c’è un mondo dietro il mondo». Mai fui presentato con più metri quadrati che parole. LA VISIONE DEL DIGITALISMO POLITICO Secondo il digitalismo politico quel miliardo di tonnellate di plastiche, metalli e cervelli che chiamiamo Internet permetterà all’umanità di governarsi da sola, senza partiti, né ideologie. Secondo i profeti digitali, questa sarebbe finalmente l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità politica che egli deve imputare a sé stesso. Una sorta di illuminismo digitale! Con questa visione l’inventore del 5-stelle Gianroberto Casaleggio bussò alla mia porta il 29 ottobre 2004 per spiegarmi come cambiare il mondo. Mi chiese di convincere Grillo ad aiutarlo. I due decisero di cominciare dall’Italia. Il partito che egli creò forse vincerà le elezioni del 4 marzo. E poi? Scoprite il seguito nel suo video Gaia - Il futuro della politica. Se ne sarete affascinati o spaventati, avrete comunque ragione. TUTTA LA POLITICA NEL DIGITALE Il 5-stelle è 'un partito nella nuvola'. Niente indirizzo, telefono, congressi, assemblee. Solo riti digitali. La sua cattedrale è la piattaforma Rousseau – sistema operativo del Movimento 5 Stelle, nella quale gli iscritti propongono leggi, votano referendum, ratificano programmi, eleggono candidati. Il quartier generale del 5stelle, tuttavia, è 'Il Blog'. Tutti lo chiamano così, come se fosse un oracolo. 'Il Blog' e il partito sono una creazione della start-up Casaleggio Associati. Alla morte del loro fondatore Gianroberto Casaleggio, suo figlio Davide ereditò nel 2016 l’azienda e il partito, due entità che è difficile separare. 'Il Blog' non è mai stato un diario, tanto meno di Beppe Grillo (lo scrivono i suoi avvocati). È stato invece l’araldo della linea politica e della propaganda, la piattaforma di denigrazione di nemici, giornalisti e 'traditori', il tribunale delle espulsioni, la piattaforma dei plebisciti – e soprattutto, la macchina pubblicitaria per raccogliere denaro. Il 5-stelle non è un movimento bottom-up, ma piuttosto un partito Blog-down. Davide, 41 anni, è il vero capo. Egli infatti ereditò dal padre i software e i big-data politici – il vero cuore del potere 5stelle. Il capo ufficiale è Luigi Di Maio, un deputato napoletano di 31 anni che vorrebbe diventare primo ministro. L’Italia è il meno digitalizzato dei Paesi del G7, ma quasi tutti quelli che contano nel M5S sono esperti digitali. Se la nuova ricchezza commerciale e politica sono i dati, si sta allora formando una gerarchia sociale basata più sul dominio dei bit che del denaro. Il 5-stelle è il suo partito. LE VOTAZIONI DIGITALI Le votazioni nelle piattaforme 5-stelle sono inaffidabili. In esse, infatti, il centroavanti e l’arbitro sono la stessa persona. Non esiste un controllo indipendente. Un apparato informatico controllato dal basso, incoraggerebbe la partecipazione dei 'cittadini digitali' (ma non quella degli altri). Se invece è dominato dall’alto esso permette controllo e manipolazione. Le votazioni sono plebisciti indetti dal management. Gli iscritti non possono proporre referendum. I votanti hanno sempre approvato a larghissima maggioranza i desideri del management (tranne una volta). Più

Page 22: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

di tre quarti dei 140.000 iscritti non votano. Eppure potrebbero votare in pochi secondi dal proprio smartphone. Questo è un fenomeno curioso per una nuova classe politica digitale che ha sempre spiegato l’astensionismo in Italia come protesta contro la vecchia classe politica. CHI E COME VOTA Una e-mail improvvisa a metà mattina apre la votazione che si chiude alle 7 di sera. Questo metodo di 'fidelizzazione' è ben sperimentato nelle televendite. In questo caso attira specialmente alcuni utenti: sempre connessi, giovani, disoccupati, o con molto tempo libero – e soprattutto maschi, come la grande maggioranza dei membri e tutto il management che conta. UN IBRIDO SINISTRA-DESTRA Il 5-stelle ha due facce, come la luna. La faccia visibile e più recente è di destra: meno leggi, meno Stato, meno tasse, meno rifugiati e migranti, meno politici, partiti, sindacati, cooperative e Ong, meno televisione pubblica. La maggioranza dei suoi elettori è fatta di uomini e di piccoli imprenditori, preferisce allearsi con le destre che con il centro-sinistra, preferisce Trump, Putin e Le Pen a Macron e Merkel. La faccia nascosta e più storica del 5-stelle, invece, è social-ecologica. Il suo punto di riferimento è il think-thank tedesco Wuppertal Institut. Molti dei 2.200 eletti condividono le idee delle sinistre socialiste e verdi europee, con le quali il 5-stelle ha la massima concordanza di voto nel Parlamento europeo (74%). MENO ENERGIA, MENO LAVORO, MENO MATERIALI «I have a dream» disse Grillo nel 2008. Con l’articolo «Tre meno - Perché non voto» (Internazionale dell’11 aprile), sognava tre principi strategici. Meno energia: da una società a 6.000 watt pro capite a una società a 2.000 watt, come deciso in referendum dal popolo svizzero, approvando la strategia dei Politecnici e del governo elvetici. Meno lavoro: subito 30 ore, più tardi 20 ore in media alla settimana, come sostenne nel 1930 J. M. Keynes, e nel 1985 l’eminenza grigia del miracolo economico tedesco Oswald von Nell-Breuning S.J. nel suo libro L’uomo lavora troppo? Meno materiali: da 40 a 20 tonnellate pro capite – grazie alla economia circolare, il cui primo pioniere è l’architetto svizzero Walter Stahel, che già tenne conferenze ai festival 5-stelle. Nel 2018, il programma del 5-stelle dice: dimezzare l’uso di energia, ridurre il tempo di lavoro, dimezzare l’uso dei materiali – e altri obiettivi socialecologici. Un suo candidato al Parlamento è l’economista Lorenzo Fioramonti, autore di Economia del benessere - Il successo in un mondo senza crescita. Il grillino Dario Tamburrano è il quinto eurodeputato più influente sulle politiche energetiche. Fu lui, inoltre, l’artefice della videoconversazione tra il Presidente del Parlamento europeo e il pioniere Bertrand Piccard durante il primo volo solare intorno al mondo dell’aereo fotovoltaico Solar Impulse. UN CONSENSO INSUFFICIENTE Nel 2013, il 5-stelle raccolse 8,6 milioni di voti su 50 milioni di adulti, ovvero il 17% dei voti possibili e il 26% dei voti validi. Oggi quasi un adulto su tre e un giovane su due lo vogliono votare. Eppure, un partito che vuole rifondare un intero sistema politico, sociale e morale a mio avviso avrebbe bisogno del consenso di ben più della metà della popolazione. Il 5-stelle ne avrebbe i presupposti, se solo sapesse dare il meglio di sé. I VOTI 'CATTIVI' PER LE COSE 'BUONE'? I temi, i programmi e gli eco-grillini ci sono. Ciò che manca per cambiare l’Italia sono abbastanza elettori per il 5-stelle. Propagandare la post-crescita e una transizione ecologica e solidale sarebbe attraente, per esempio, in Scandinavia, ma sarebbe un 'suicidio in Italia' – mi dice qualcuno. In effetti, la maggioranza degli italiani guarda leggermente a destra e leggermente indietro. Chi guarda a sinistra e avanti non ha mai avuto una chance in Italia, se non facendo finta di non essere quello che è. E finendo col diventare ciò che ha fatto finta di essere. Per confronto: in Germania, i Verdi sono stati al Governo con diversi ministri per 8 anni. Dal 2011 presiedono il Governo del Baden-Württemberg, il Land più ricco e tecnologico. In Italia, invece per i media e per gli elettori i Verdi quasi non esistono. Pertanto, una retorica di destra sembra a molti l’unico modo per vincere le elezioni.

Page 23: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

ESCLUSIONE DIGITALE Il più grande elefante invisibile nella stanza del 5-stelle è l’esclusione digitale. La retorica dice che il digitalismo politico estenderebbe la partecipazione civile a 'tutti i cittadini'. Purtroppo non è vero. In Italia, infatti, il modello tutto-digitale taglia fuori quella quasi metà degli adulti che non sono 'cittadini digitali' perché non hanno abbastanza denaro, cultura o giovinezza. A livello mondiale una politica solodigitale taglierebbe fuori più di due terzi della popolazione. Il 5-stelle non è quindi un «partito dei cittadini» ma un 'partito degli user' e degli informatici, ossia di una massa emergente di attori digitali che crede di poter governare lo Stato perché sa governare i computer. In effetti, il vantaggio politico che la metà della popolazione più abile con Internet ha sull’altra metà aggrava il divario sociale invece di ridurlo. PANDEMIA DIGITALE Come altre nuove tecnologie, quelle digitali generano anche rischi e danni. I loro usi e abusi provocano dipendenze e malattie che cominciano a manifestarsi. Tutti ne siamo un po’ colpiti. Ma alcuni vi sono più esposti, per esempio i bambini, gli adolescenti e i membri di un partito digitale. Per molti 5-stelle, l’intossicazione digitale è una malattia professionale. Stando con loro ho l’impressione che lo smartphone sia un’appendice della mano, forse anche del cervello. Essi non sono mai dove sono. Sono quasi sempre in un altrove digitale. La vita di molti di loro sembra svolgersi più in Internet che nel mondo reale. CECITÀ DIGITALE Crescono le evidenze sui costi umani, mentali, sanitari, sociali, politici e ambientali della marea digitale sottomessa alla logica commerciale. Ma i 5-stelle non lo vedono. Assente è anche il contrasto al potere digitalmente costituito. I più grandi oligopoli della storia, i GAF (Google, Amazon, Facebook) sono descritti dall’Economist come 'titani digitali da domare' – e come BAADD: big, anticompetitive, addictive and destructive to democracy. 'Il Blog' però non ne parla e i parlamentari 5-stelle non li contrastano. Nemmeno ci sono iniziative in grande stile del 5stelle per alfabetizzare a internet più cittadini o per democratizzare, riappropriare dal basso, regolare il digitale e le sue effettive potenzialità abilitanti e liberatorie. CAMPIONI DIGITALI, NON CAMPIONI POLITICI Far esistere tutto il partito solo in internet ha conseguenze anche sulla selezione del personale. Per vincere le elezioni primarie interne, e in alcuni casi entrare così facilmente in Parlamento, basta qualche decina di voti, a volte anche meno di dieci. È facile raccoglierli con parenti, amici e venditori di clic. Inoltre – questa è la cosa più deleteria – la selezione solo in Internet favorisce i campioni digitali, non i campioni politici. Il mezzo diventa il messaggio. Il messaggio deve essere frequente, breve, aggressivo, semplicistico. Molte espressioni del 5-stelle sono ancora un muro del pianto e una gogna del rancore, non una lavagna di progetti. CAPITALISMO DIGITALE Il campo di battaglia del 5-stelle sono i social media. Facebook, Twitter e simili sono le aziende pubblicitarie più 'produttive' del mondo. La loro forza lavoro è di un miliardo di dipendenti. I doppiamente dipendenti siamo noi, proletari forzati della tastiera, sfruttati tre volte: come forza lavoro gratuita, come bersaglio della pubblicità per cui lavoriamo, come compratori delle merci che ci bombardano di pubblicità. È il capitalismo 'dall’atomo al bit'. Da Standard Oil a Facebook. Il commercio di chiacchiere (che sono inesauribili) oggi 'crea valore' più del commercio di petrolio (che è esauribile). È il capitalismo digitale che Grillo irriderebbe proprio con un dito: il medio alzato, contro il potere digitale costituito. La conseguenza maggiore della sinergia involontaria tra il 5stelle e il capitalismo digitale è il degrado della cultura politica. I social media sostituiscono l’agorà, la piazza del villaggio e i dibattiti televisivi, perché questi ultimi non 'creano valore'. Scambiano solo idee, non dollari. «Creatrice di valore» invece è la presenza chiassosa e compulsiva in internet. Ma attenzione, il degrado politico non viene da Internet in sé – un’invenzione meravigliosa e abilitante. È la subordinazione commerciale dei media – Internet e televisione – che ne abbassa il livello, esasperandone i tratti più volgari e aggressivi per raccogliere più click e più ascolti.

Page 24: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

DOPO IL 4 MARZO Le elezioni del 4 marzo segneranno la fine del 5-stelle come (forse) lo conosciamo. Primo scenario: La stabilità politica che dura da sette anni continuerà per altri cinque. La minaccia del nuovo partito avrà dato alla Repubblica la stabilità che cento partiti in settant’anni anni le hanno negato. Il 5-stelle continuerà a strillare fino a perdere la voce, come le famose 'oche del Campidoglio'. Senza offesa. Secondo scenario: Darà frutti il discredito sistematico del 5-stelle del concetto di sinistra e delle sue figure migliori: Giuliano Pisapia, deriso sul Blog come 'Pisapippa'. Laura Boldrini, minacciata a luci rosse. Stefano Rodotà «un ottuagenario miracolato dalla Rete, sbrinato di fresco dal mausoleo». Darà frutti il tacere 5-stelle sui misfatti delle destre, il rinnegare l’antifascismo, il flirtare senza limiti a destra. La coalizione di Berlusconi raccoglierà così i frutti elettorali dell’albero scosso per dieci anni dai capi 5-stelle: nel Paese più gerontocratico del mondo, un extraparlamentare settantenne (Grillo, ineleggibile perché pregiudicato) avrà messo senza volerlo il Governo nelle mani di un extraparlamentare ottantenne (Berlusconi, ineleggibile perché pregiudicato). Per altri 5 anni dovrò rispondere alla domanda che mi fanno da un quarto di secolo: «Voi in Italia come potete eleggere uno che...». Terzo scenario: Il politico 5-stelle Gianluigi Paragone (ex-direttore di La Padania, il giornale della Lega Nord, di estrema destra) avrà successo definendosi «l’uomo del dialogo tra Lega e 5stelle». Non oso però immaginare il seguito. Quarto scenario: Quelli che restano dei primi grillini prenderanno finalmente la parola. E forse anche le loro responsabilità. DOPO LO TSUNAMI - Tsunami tour fu la campagna per le elezioni del 2013: 80 comizi di Grillo in 40 giorni. Quell’onda anomala catapultò in Parlamento 163 giovani 'cittadini'. Quando l’acqua si ritirerà, cosa resterà di quei nuotatori inesperti? Resterà solo la 'grande coalizione' del 5-stelle: quella di ciascun membro del partito con tutti gli altri. Tranne l’antipolitica, tutto li divide. Il 5-stelle oggi è un Titanic sul quale gli ufficiali hanno distrutto i salvagenti. Screditando le ideologie che costruirono l’Europa, lo tsunami ha spazzato via anche le idee. Ha sterilizzato in una giovane 'generazione vaffanculo' la capacità di un’aggregazione che vada al di là della collezione di like, follower e friends. I concetti stessi di partito, sindacato, cooperativa, Ong sono stati denigrati e estirpati. RABDOMANTI SPERDUTI - Il ritiro delle acque lascerà i superstiti senza mappe né bussole. Il 5 maggio 2014 scrissi per Grillo: Sì, facciamo errori anche per voi. Ci muoviamo su terre inesplorate, rabdomanti in cerca di verità e giustizia con uno smartphone in mano. Con quelle parole provai a mettermi nella pelle digitale dei grillini per distillare l’essenza della loro utopia. Migliaia di persone hanno messo mente, cuore e cervello in quest’avventura. Se il 5-stelle non manterrà la sua promessa, quanti si perderanno? Quanti continueranno a «cercare verità e giustizia» altrove? C’è stato un post ’68. Ci sarà un post 5-stelle. Anche di esso faremo un bilancio fra mezzo secolo? Sulla terra bruciata di Utopia – bruciata due volte in 50 anni – purtroppo mi è difficile immaginare una rinascita in meno di qualche decennio. Se i politici 5-stelle cercheranno di diventare Governo, le loro contraddizioni saranno terribili. Casaleggio e Grillo svilupparono quella formidabile sinergia che il primo mi promise, quando mi chiese di convincere il secondo. I due però non hanno coltivato successori. Spetterà ai loro follower in carne e ossa determinare come il 5-stelle sarà ricordato. Con profonde correzioni, esso potrà essere ricordato come un rabdomante che voleva saggiare nuovi cammini di democrazia. Se invece essi non saranno all’altezza delle ambizioni, le migliori donne e i migliori uomini del 5-stelle avranno comunque avuto il merito di aver esplorato strade che altri faranno bene a non imboccare. Pag 5 Le porte del Santo Sepolcro restano chiuse di Giorgio Bernardelli, Susan Dabbous e Franco Cardini La protesta dei leader religiosi: “Basta persecuzioni delle Chiese in Terra Santa”. La porzione di roccia che accolse Gesù. Il Custode: “Grande dispiacere per i pellegrini. So che capiranno” Sprangato. A tempo indefinito. È così da domenica e nessuno sa quando il Santo Sepolcro riaprirà le porte. Le Chiese cattolica, greco ortodossa e armena – che

Page 25: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

gestiscono il cuore della cristianità – sono determinate a portare avanti questa inedita forma di protesta. Le ragioni sono sintetizzate in un cartello affisso alle porte del luogo sacro: «Basta con la persecuzione delle Chiese». L’oggetto della polemica è la controversa decisione del sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, di abolire le esenzioni dalle tasse sulle proprietà ecclesiastiche, riconosciute da tempo. Nonché il progetto di legge che consentirebbe allo Stato di espropriare i terreni venduti dalle Chiese ai prito vati dopo il 2010. La nuova misura doveva essere discussa alla Knesset – il Parlamento – proprio domenica. I deputati, però, hanno deciso di rinviare l’esame dopo l’iniziativa del Santo Sepolcro. «La sistematica campagna di abuso contro le Chiese e i cristiani sta ora raggiungendo il suo apice dal momento che si sta promuovendo una legge discriminatoria e razzista che prende di mira solo le proprietà della comunità cristiana in Terra Santa», si legge nella dichiarazione firmata dal custode di Terra santa, Francesco Patton, dal patriarca ortodosso,Teofilo III, e dal patriarca armeno, Nourhan Manougian, che amministrano il luogo sacro. La protesta non ha incassa- solo il sostegno dei palestinesi di Hamas e dell’Autorità nazionale, ma anche l’università di al-Azhar – principale autorità dell’islam sunnita – ha definito «iniqua» l’idea della municipalità di Gerusalemme. Mentre l’alto rappresentante Ue, Federica Mogherini, ha esortato a «trovare presto una soluzione». Da parte sua, Barkat ha precisato che l’imposizione fiscale non colpirà direttamente le Chiese bensì alle loro «pertinenze». Termine in cui rientrano, però, anche le case e le attività dei cristiani della Città Vecchia. «Un atto discriminatorio senza precedenti», ha detto il cardinal Edwin O’Brien, gran maestro dell’ordine equestre del Santo Sepolcro. Perché le Chiese della Terra Santa sono arrivate a chiudere per protesta il Santo Sepolcro? Nel comunicato che spiega l’iniziativa, il patriarca greco-ortodosso, il Custode di Terra Santa e il patriarca armeno (i capi delle tre comunità religiose che insieme amministrano i Luoghi Santi) fanno riferimento in particolare a due questioni. La prima – la più recente – è un’iniziativa adottata all’inizio di febbraio dal sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, riguardo alla tassa municipale (l’Arnona). Fin dei tempi dell’Impero Ottomano le proprietà delle Chiese a Gerusalemme sono state esenti dal tributo, e questa consuetudine è stata poi confermata durante il Mandato Britannico, negli anni della sovranità giordana sulla Città Vecchia e di fatto anche da Israele fino a oggi. Va inoltre aggiunto che l’esenzione compare pure nell’Accordo tra la Santa Sede e lo Stato della Palestina, firmato nel 2015. Questo in nome del servizio di promozione sociale svolto dalle Chiese attraverso le proprie scuole e le proprie istituzioni in Terra Santa. Da tempo Israele preme per ridiscutere questo punto; non a caso le questioni economiche, finanziarie e fiscali sono uno dei temi più rilevanti nel negoziato sull’attuazione dell’Accordo fondamentale del 1993 che portò alle relazioni diplomatiche tra lo Stato di Israele e la Santa Sede. Più volte la Commissione bilaterale che porta avanti questo negoziato ha parlato di un’intesa vicina, che do- vrebbe garantire una soluzione equa della questione. L’azione del sindaco Barkat è giunta invece unilateralmente, non a caso poche settimane dopo la mossa di Donald Trump sull’ambasciata a Gerusalemme. Rompendo la consuetudine, il sindaco ha addebitato alle Chiese (ma anche agli uffici dell’Onu) la tassa municipale comprensiva degli arretrati, facendo pure bloccare i conti correnti per ottenere il pagamento. Barkat sostiene di aver colpito «solo le attività commerciali » e non i luoghi di culto. Ma il confine è labile, soprattutto in un contesto precario come quello della comunità cristiana di Gerusalemme, ridotta ormai ai minimi termini. I dati parlano chiaro: nel 1967 – quando Israele assunse l’intero controllo di Gerusalemme –, i cristiani erano 12.900 in una città di 263.000 abitanti (4,9% della popolazione); oggi sono meno di 10.000 in una città che nel frattempo è cresciuta fino a 850.000 abitanti (1,15%). Imporre in maniera indiscriminata tasse per milioni di euro alle Chiese e alle piccole attività commerciali dei cristiani in Città Vecchia significherebbe una cosa molto semplice: usare la leva economica per ridurre ulteriormente questa presenza. Ad aggravare il quadro c’è poi il secondo fronte denunciato dai patriarchi e dal Custode: un disegno di legge presentato alla Knesset dalla parlamentare Rachel Azaria (già vice-sindaco di Gerusalemme), che domenica avrebbe dovuto iniziare il suo iter, ma è stato invece congelato proprio per le notizie che arrivavano dal Santo Sepolcro. Anche qui il tema è complesso: negli anni Cinquanta lo Stato di Israele aveva bisogno di terreni per far crescere la moderna Gerusalemme ebraica. La soluzione furono le aree agricole

Page 26: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

che la Chiesa ortodossa possedeva per il sostentamento dei monaci; la formula, però, non fu la vendita, ma un leasing con durata 99 anni, che non cedeva i diritti sulla proprietà. Sui terreni, oltre a molte case, vennero costruiti anche edifici sensibili, come la stessa Knesset; ora però la scadenza dei contratti si avvicina e inizia a porsi la questione del dopo. Nei mesi scorsi il patriarcato greco-ortodosso ha venduto alcune di queste aree edificate a una società ebraica, con la quale ora il Jewish National Fund dovrebbe rinegoziare gli accordi alla scadenza. Si temono speculazioni. Preoccupazione legittima che, però, il progetto di legge affronta in maniera inaccettabile: si dà mandato allo Stato di espropriare gli immobili venduti dalle Chiese cristiane. Con una misura del genere per le comunità diverrebbe di fatto impossibile ogni compravendita immobiliare, se non alle condizioni dettate dal Jewish National Fund. Sono questioni amministrative, ma rimandano a ben altro: ciò che continua a mancare a Gerusalemme è un riconoscimento reale delle comunità cristiane come una parte irrinunciabile della vita della Città Santa. Quello che i capi delle Chiese, con il loro gesto clamoroso, stanno chiedendo. «Non ragioniamo sui tempi, ma sugli obiettivi. Il primo è quello di annullare l’Arnona (la tassa comunale sui beni immobili ndr), e il secondo riguarda la proposta di legge del Parlamento che va a toccare solo le proprietà delle chiese». Così padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa. In che modo? Introduce il principio dell’inserimento dello Stato nel momento in cui una delle Chiese decidesse di vendere a terzi, rispetto al soggetto a cui aveva affittato il suo terreno. Una legge discriminatoria, che in questo caso si riferisce soprattutto ai terreni che la Chiesa greca-ortodossa aveva acquistato, prima della nascita d’Israele. E che poi, negli anni, aveva affittato. Perché le Chiese non devono pagare le tasse comunali? Perché compiono opere sociali che alleggeriscono i costi a carico della municipalità. Come Custodia, ad esempio, mettiamo più di 300 appartamenti a disposizione delle famiglie bisognose, a costo zero. Investiamo i nostri soldi per poter appianare i bilanci delle scuole. Grazie alla riconosciuta validità sociale, l’esenzione fiscale ci è stata garantita nei secoli: in epoca ottomana, britannica, giordana. E anche Israele aveva mantenuto, finora, lo status quo. Noi siamo convintissimi che molta gente non concordi con questa proposta di legge. Confidiamo nella possibilità di trovare soluzioni. Molti credono che questa nuova tassazione sia legata al cambio di rotta della presidenza Trump. Noi qui abbiamo un impegno di tipo pastorale, coi pellegrini, e quando ci sono problemi dobbiamo reagire, ma se entriamo nel merito di considerazioni politiche la nostra missione finisce. Perché avete deciso di chiudere il Santo Sepolcro proprio domenica scorsa? Domenica, all’una, il Parlamento avrebbe dovuto discutere la proposta di legge sulle Chiese. E grazie alla nostra protesta è stata rimandata di una settimana. Ci sono già state delle azioni concrete da parte della municipalità? Sì, sono arrivate le prime bollette e almeno in un caso sono stati bloccati dei conti bancari. Ci sono molti pellegrini delusi. È un grande dispiacere. Abbiamo lavorato tanto per farli venire e adesso proprio il luogo più sacro è chiuso. Però ci sono anche altri santuari fortemente simbolici. Sono certo che capiranno. Al Santo Sepolcro i visitatori di oggi si trovano dinanzi a un edificio abbastanza enigmatico, nel quadrante nordoccidentale della Città Vecchia di Gerusalemme. La basilica venne fondata nel IV secolo per volontà di sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, nel luogo nel quale – secondo la nota leggenda fissata alla fine del Duecento da Giacomo da Varazze nella Legenda aurea – avrebbe miracolosamente ritrovato la collinetta del Calvario, la grotta del Sepolcro e la Croce. L’edificio costantiniano, a cinque navate, aveva la forma “ravennate” tipica delle chiese paleocristiane. A ovest di essa,

Page 27: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

dietro l’abside, un portico-giardino (detto “Paradiso”) la poneva in comunicazione con una costruzione cilindro-troncoconica in qualche modo arieggiante nella forma e nelle dimensioni il pantheon di Roma: il centro di quella “rotonda”, come i pellegrini presero presto a chiamarla, era costituita dalla porzione di roccia all’interno della quale era stata scavata la camera sepolcrale che aveva accolto Gesù dopo la morte. Quello era, propriamente, il Santo Sepolcro. La basilica rimase intatta fino al 614, allorché un’incursione di persiani la distrusse. Recuperata nel 630 e subito restaurata, non subì alcun danno dalla conquista di Gerusalemme da parte degli arabi musulmani guidati dal califfo Omar, il quale rispettò le chiese cristiane ma fondò, nel quadrante sudorientale di Gerusalemme, due moschee installate proprio al centro dell’acropoli sulla quale Salomone aveva fondato il suo Tempio: i bellissimi edifici si possono ancora ammirare dall’esterno per quanto ormai, dopo la seconda intifada, l’accesso ad esse da parte dei non musulmani non sia più agibile. A distruggerla totalmente, dalle fondamenta, fu invece nel 1009 l’imam sciito-ismailita d’Egitto, il fatimide al-Hakim. Ma gli imam egiziani suoi successori, e poi i califfi abbasidi sunniti di Baghdad, consentirono la riedificazione della basilica e della “rotonda” le quali, sorte a nuova vita grazie soprattutto ai fondi elargiti dall’imperatore di Costantinopoli, dovettero la loro fase riorganizzativa al patriarca greco-ortodosso Modesto. Alla fine di quello stesso secolo (1099) Gerusalemme fu conquistata alla fine di un singolare e ancor oggi poco spiegabile “pellegrinaggio armato” che noi siamo abituati a chiamare “prima crociata”. I “crociati” fondarono a Gerusalemme una monarchia feudale. Durante quel regno, tra 1099 e 1187, la basilica del Santo Sepolcro venne restaurata in forme romanico-gotiche assumendo grosso modo quella che ancor oggi ammiriamo. Nel 1187 i “franchi” vennero cacciati dalla Città Santa: la governarono prima gli ayyubidi del Cairo fino a metà del XIII secolo, poi i mamelucchi d’Egitto fino al 1516, infine gli ottomani di Istanbul fino al 1918. Gli europei occidentali provarono a organizzare fra XIII e XV secolo varie crociate per riappropriarsi di Gerusalemme, ma invano. Tuttavia, i pellegrini cristiani, sia pure soggetti ad alcune tasse anche gravose e a qualche angheria, continuarono a visitare il Santo Sepolcro e, grazie ai buoni uffici congiunti del sultano del Cairo e del suo alleato il re angioino di Napoli, poterono giungere anche frati francescani che ottennero per sé un piccolo convento sulla cima del Monte Sion, dando vita alla gloriosa istituzione della Custodia francescana di Terra Santa. Solo più tardi fu possibile rifondare stabilmente un patriarcato latino di Gerusalemme (1847), che si affiancò ad analoghe istituzioni ortodosse e protestanti. I sultani d’Istanbul notarono subito, per la verità, che la coesistenza tra i cristiani in Gerusalemme non era ideale. Nella chiesa della Resurrezione la necessità che ciascuna comunità cristiana vi fosse rappresentata ed avesse per sé almeno una cappella con altare comportava incidenti continui, spesso risolte in risse violente. Per ovviare a ciò, il sultano concesse nel 1594 a due famiglie musulmane il privilegio di presidiare la basilica e di mantenervi anche con le armi l’ordine. I militi della polizia israeliana – tutti appartenenti a famiglie israeliane musulmane – che ancor oggi costituiscono il “corpo di guardia” all’entrata della basilica ne sono gli eredi, e difatti, nei giorni di festa, vestono ancora con grande solennità e severità i loro antichi abiti ottomani con tanto di splendide scimitarre al fianco. In realtà, il sultano si guardò bene dal limitarsi a questi provvedimenti pittoreschi. Nel 1757 un decreto stabilì quali fossero i Luoghi Santi cristiani assegnati a ciascuna confessione: i favoriti furono evidentemente gli ortodossi, in quanto erano evidentemente sudditi di Istanbul. Caduto nel 1918 il sultanato, furono le potenze che amministravano l’area per conto della Società delle Nazioni a garantire l’osservanza dello status quo; dal 1948 al 1964 la Città Vecchia di Gerusalemme fu annessa al regno di Giordania, che rispettò i termini del vecchio accordo; sostanzialmente lo stesso è accaduto dal 1967 in poi, da quando cioè l’autorità israeliana si è unilateralmente impadronita dell’area. I rapporti fra il governo israeliano e le comunità cristiane si sono da allora mantenuti sostanzialmente corretti, ma forse la recentissima esternazione del presidente Trump, che contraddice alla risoluzione delle Nazioni Unite secondo al quale Israele dovrebbe rientrare nei suoi confini precedenti il giugno del 1967, ha determinato una svolta. IL FOGLIO Pag 2 Quant’è pericoloso lo scontro tra i cristiani di Terra Santa e Israele di Matteo Matzuzzi

Page 28: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

Chiuso il Santo Sepolcro anche con il placet dei francescani Roma. Da domenica il Santo Sepolcro a Gerusalemme è chiuso e non si sa quando riaprirà. Non era mai accaduto prima nella sua bimillenaria storia. Un gesto di protesta contro la decisione dell'amministrazione locale - presa dal sindaco Nir Barkat in persona - di chiedere il versamento di 151 milioni di euro di tasse attraverso la tassazione di 887 proprietà delle chiese presenti in loco e di organismi delle Nazioni Unite, tra cui l'Unrwa che gestisce l'assistenza ai profughi palestinesi. Davanti alle porte sbarrate del Santo Sepolcro sono comparsi Theophilos III, patriarca greco-ortodosso, Nourhan Manougian, patriarca armeno e padre Francesco Patton, custode di Terra santa. I tre hanno firmato un comunicato dai toni inusualmente duri, in cui definiscono la decisioni israeliana una "flagrante violazione dello status quo esistente", una decisione che rientra "nella campagna sistematica di abusi contro le chiese e i cristiani" che "ora raggiunge il suo apice con questo disegno di legge discriminatorio e razzista che mira unicamente alle proprietà della comunità cristiana in Terra santa". Sulla facciata della basilica è issato un grande poster dove si legge "quando è troppo è troppo" e "stop alla persecuzione delle chiese". Il tutto, tra l'altro, mentre il Colosseo a Roma veniva illuminato di rosso in memoria dei martiri cristiani perseguitati per ragioni di fede. La misura - che secondo i tre rappresentanti cristiani vìola "ogni accordo esistente e gli obblighi internazionali che garantiscono i diritti e i privilegi delle chiese" - è "ripugnante" e ricorda "le leggi di natura simile emanate contro gli ebrei durante i periodi bui in Europa". Una campagna punitiva (così nel testo) che ha determinato "scandalosi avvisi di pagamento e blocco di beni, proprietà e conti bancari della chiesa" e che è arrivata fino alla Knesset, il parlamento israeliano, dove è stato presentato un disegno di legge che prevede di poter espropriare le terre vendute dalle comunità religiose ai privati dopo il 2010. Il testo è stato tradotto e pubblicato integralmente sull' Osservatore Romano, il che rende la questione ancora più delicata, considerando anche il pieno coinvolgimento della Custodia di Terra santa. Screzi pesanti con le autorità civili locali s'erano già avuti nel recente passato in merito alla ripartizione dei fondi per le scuole. Lo scorso settembre, il Patriarcato latino di Gerusalemme aveva lamentato il mancato versamento alle scuole cristiane del previsto importo pari al 75 per cento di quello versato alle scuole pubbliche. "Lo stato - si leggeva nella nota del Patriarcato - non rispetta questi impegni e le scuole cristiane ricevono solo il 25 per cento di tale importo". Non solo, visto che si metteva in risalto anche il differente trattamento riservato ai docenti delle scuole pubbliche rispetto a quelli degli istituti cristiani, con questi ultimi che "non godono degli stessi diritti in caso di congedo per malattia". Il disegno di legge, hanno spiegato i rappresentanti delle tre confessioni, sembra finalizzato a indebolire progressivamente la presenza cristiana nel paese. Il sindaco di Gerusalemme però non ci sta a passare da novello Nerone e ha domandato se "abbia senso che ci siano aree commerciali che hanno alberghi e negozi ma che non pagano tasse solo perché di proprietà della chiesa", aggiungendo: "Non permetterò che siano i cittadini di Gerusalemme a colmare questo debito". Il tutto si inserisce nel complesso negoziato, che va avanti ormai da anni, tra la Santa Sede e Israele per regolare lo status giuridico della chiesa cattolica in loco e dirimere le controversie fiscali. Da entrambe le parti, negli ultimi mesi, si era manifestato ottimismo circa un positivo esito dei colloqui. I cristiani in Israele non sono perseguitati e sarebbe un brutto segnale se questo contenzioso complicasse le cose, rendendo il terreno negoziale assai più sdrucciolevole. IL GAZZETTINO Pag 1 Un Paese tre volte fragile in ginocchio per una nevicata di Alessandro Campi L'Italia è un Paese tre volte fragile. Per dimostrarlo si può partire da un episodio di cronaca: una nevicata largamente prevedibile visto che siamo in inverno, nemmeno particolarmente virulenta. Come può un banale evento meteorologico cogliere impreparato e mettere in ginocchio una nazione sviluppata? Possibile che dinnanzi ad un'emergenza anche minima non si riesca a reagire altrimenti che diffondendo bollettini allarmistici (dalla parte delle autorità pubbliche) e lanciando strali contro il governo ladro e la politica corrotta se per caso dieci centimetri di neve ci ostruiscono l'uscio di casa (dalla parte dei cittadini)? Nel tessuto della società italiana, nelle sue diverse

Page 29: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

articolazioni, qualcosa evidentemente non funziona. C'è per cominciare una debolezza ormai cronica che riguarda la sfera decisionale e i nostri gruppi dirigenti a qualunque livello. Chiunque ricopra incarichi pubblici (di tipo tecnico-burocratico o politico-elettivo) dovrebbe sempre essere animato dal senso di responsabilità individuale e da una chiara visione dell'utile collettivo. Quando si occupano posizioni di potere (anche minimo) bisogna essere in grado di decidere e scegliere: assumendosene l'onere, sempre nel rispetto di leggi e procedure, e avendo come obiettivo ciò che più serve alla comunità dei cittadini. Vale per un ministro, per un funzionario regionale, per un assessore o per un qualunque dirigente della pubblica amministrazione. È questa la vera etica del servizio pubblico: agire con capacità (e tempestività) piuttosto che volersi mostrare onesti, incorruttibili e ligi ai regolamenti (magari senza nemmeno esserlo). Ma è esattamente ciò che sovente sembra mancare ai nostri rappresentanti istituzionali e, più in generale, a coloro che pure dovrebbero professionalmente operare per l'interesse generale. Si tendono ormai a fuggire i doveri e le responsabilità connesse alla funzione o al rango. Prendiamo ad esempio il mantra che tutti recitano della cosiddetta prevenzione: in teoria dovrebbe significare muoversi per tempo, adottando tutte le possibili misure precauzionali, al fine di neutralizzare o ridurre le conseguenze negative di un certo evento. Nella traduzione malata che se ne dà oggi in Italia la prevenzione equivale invece a scaricarsi preventivamente da ogni competenza nel timore di doverla esercitare e di doverne poi rispondere: politicamente, dunque dinnanzi all'opinione pubblica, o peggio legalmente, magari di fronte a un qualche magistrato o tribunale. È dunque una rinuncia, documenti e protocolli alla mano, alle proprie responsabilità, che diventano sempre di qualcun altro che sta, formalmente, più in alto di noi. Nel campo per così dire climatico-ambientale questa tendenza ha ormai assunto nel nostro Paese dimensioni tragico-grottesche: di ogni evento (pioggia, solleone o scossa di terremoto) si annuncia sempre il peggio per evitare di essere poi accusati d'aver sottovalutato un qualunque fattore di rischio. Ma la fragilità italiana forse più grave è quella per così dire oggettiva e materiale. Se una nevicata ordinaria, che non è dunque quella drammatica dell'inverno 1956-57 di cui si legge nei libri e che ancora si tramanda nei ricordi, manda in tilt il traffico ferroviario e costringe alla chiusura di scuole e uffici pubblici (anche solo per ragioni precauzionali) è perché evidentemente la nostra nervatura infrastrutturale e la nostra rete di servizi è antiquata, obsoleta e non all'altezza delle necessità di uno Stato moderno. L'ordinaria gestione della nostra vita pubblica riusciamo bene o male a garantirla. Ma alla minima forzatura o pressione essa si paralizza immediatamente. Ciò dipende evidentemente dagli scarsi investimenti in innovazione e dal ritardo tecnologico che l'Italia ha accumulato nel corso degli anni, soprattutto a paragone di altri Paesi europei suoi omologhi. Siamo ahimè un paese vecchio: sul piano demografico ma anche nella sua architettura tecnico-sociale. C'è infine un terzo fattore di debolezza, più impalpabile, che ha a che vedere col livello emotivo degli italiani, con la loro struttura comportamentale. Si ha come l'impressione che come cittadini, soprattutto le nuove generazioni, non si sia più in grado di sopportare e affrontare anche il minimo disagio, senza che ciò provochi immediatamente ansia, malumore e un senso di paura latente. È come se la crescita anche in Italia, come negli altri Paesi europei, di un vasto e articolato apparato di protezione sociale, oltre a garantirci condizioni di vita certamente migliori rispetto al passato, avesse contestualmente stimolato il radicarsi di una mentalità assistenzialistica e parassitaria. Il benessere del welfare state, invece di produrre una visione attiva della cittadinanza, nel senso che più si riceve in termini di beni e servizi più si dovrebbe essere in grado di fare per sé e per la comunità, sembra aver generato una mentalità rinunciataria, lamentosa e deresponsabilizzante che è ormai diventata pervasiva. Fa una certa impressione vivere in un Paese dove ci si aspetta tutto dalla mano pubblica senza tuttavia essere quasi mai disposti a impegnarsi personalmente per una causa che non sia la propria. Circola in rete in queste ore il video, divertente ma anche assai istruttivo sul piano dell'educazione civica, di un emigrato italo-canadese d'origine marchigiana che ai suoi antichi paesani, che da due giorni postano foto di strade imbiancate lamentando i soccorsi del Comune che non arrivano, spiega che in Canada quando nevica (e si tratta di autentiche tormente che durano giorni e settimane) i cittadini s'armano di pala e si puniscono le strade da soli. Senza inveire contro nessuno, perché fa parte del loro dovere di cittadini e dei loro obblighi morali come membri di una comunità. Sono debolezze o fragilità di cui noi italiani, anche solo

Page 30: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

inconsciamente, siamo ben consapevoli. Sappiamo che sono esse la vera causa dell'odierno nostro malessere e dei ritardi che il Paese deve scontare a paragone dei suoi alleati e competitori internazionali. Ma invece di affrontarle con coraggio preferiamo a quanto pare ripiegarci sempre più in noi stessi e cercare nel passato anche quello peggiore, che dovrebbe restare seppellito per sempre ciò che può rassicurarci. LA NUOVA Pag 1 I Cinquestelle e i demeriti degli altri di Renzo Guolo Le elezioni del 4 marzo faranno, probabilmente, del Movimento 5Stelle il primo partito. Un successo indubbio, anche se non sufficiente, con questa legge elettorale, per dare vita a una maggioranza di governo. Una vittoria che rischia di diventare un boomerang. Preso dalla sua ansia di purezza ideologica, infatti, il Movimento non vuole fare alleanze. Anche se le ultime dichiarazioni di Di Maio lasciano presagire la ricerca di un inedito consenso parlamentare. Il "capo politico" dei pentastellati ritiene che gli altri partiti possano dare in via libera a un esecutivo da lui guidato, contrattando programma e tempi d'attuazione. Pia illusione. Ciò che potrebbe nascere, ma allora non si vede perché Di Maio dovrebbe "bruciarsi" presidiando Palazzo Chigi, è semmai un esecutivo destinato a varare una nuova legge elettorale, possibilmente a impronta maggioritaria, che assicuri governabilità e riporti al più presto il Paese alle urne. Quello che, sicuramente, non ci sarà è un governo pentastellato con gli altri partiti in posizione ancillare: nessuno vorrà suicidarsi politicamente aiutando i "fustigatori" del sistema a legittimarsi come forza capace di guidare il Paese. Il 5 marzo il Movimento dovrà così, finalmente, scegliere se restare nella solitaria Collina dell'alterità o discendervi per superare quelle contraddizioni che solo lo stare all'opposizione ha consentito, sin qui, di occultare. Insomma, comunque vada, i pentastellati dovranno fare i conti con la realtà e spendere il consenso ottenuto giungendo a patti con gli altri partiti. In caso contrario il Movimento è destinato a implodere. Un'implosione sin qui non verificatasi, nonostante le penose prove di governo romane, le ossessive e assorbenti vicende di Scontrinopoli. Nonostante la disperante "ingenuità" mostrata in Rimborsopoli o Candidopoli. Queste ultime vicende rivelano come il Movimento non sia in grado nemmeno di controllare la condotta dei propri parlamentari in un percorso che doveva sancire, esemplarmente, la "diversità" grillina né, tanto meno, di selezionare i propri candidati a una delle più importanti funzioni pubbliche. Il fatto che alcuni 5Stelle siano già fuori dal partito, ma vengano comunque eletti in quella lista lascia sbigottiti. Se non altro perché costringe gli elettori a votare candidati che non sono già più parte del Movimento, conferendo loro un probabile mandato parlamentare. O, in alternativa, a non votare per la lista, coartandone comunque la libertà di scelta. Si dirà che così vuole la legge elettorale: il punto è che a quella situazione non ci si doveva nemmeno arrivare. Una prova d'incapacità di direzione e organizzativa che non lascia presagire nulla di buono per una forza che si candida a governare il Paese. Un'implosione, sin qui, evitata, solo perché così tanto grande è la distanza tra la politica e i cittadini, che una parte della società italiana intende comunque votare, per protesta, i 5 Stelle. È solo un simile malcontento, vista l'evidente incapacità dei pentastellati come forza di governo, a spingere i grillini così in alto: non il proprio merito, ma l'altrui demerito. Non la propria competenza - anche la politica come ogni professione, weberianamente, la esige- ma l'incapacità di partiti, divenuti meri comitati elettorali al servizio del leader, di assicurare rappresentanza sociale. Ma una simile rendita finisce quando si è costretti a scegliere. E sin dal momento in cui riceveranno un mandato esplorativo, i grillini saranno costretti a farlo. Da allora in poi i parlamentari del Movimento 5Stelle dovranno decidere se misurarsi con la complessa realtà del Paese o se continuare a baloccarsi nell'eterno mito di solitaria purezza che, come si è visto, non ha riscontro nemmeno nelle fila di quanti dovrebbero per primi fornire l'esempio. Un passaggio che farà cadere le maschere e che persino i pentastellati temono. Pag 24 L’alfabeto del voto di Mitia Chiarin I segreti del Rosatellum e il nuovo bollino anti frode

Page 31: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

Mancano oramai solo sei giorni al voto per le Politiche del 4 marzo. E molti non solo non hanno deciso per chi votare ma manco sanno come farlo. Ecco, un pratico alfabeto per destreggiarsi con le prossime elezioni politiche che decideranno il governo del paese. Agevolazioni. Chi, per votare nel seggio di residenza, deve spostarsi e fare rientro a casa può sfruttare la possibilità delle agevolazioni tariffarie per i viaggi ferroviari, via mare, autostradali e con l'aereo. Sul sito della Prefettura di Venezia si trovano tutte le informazioni. Per usare il treno, per esempio, si può ottenere lo sconto del 60% del biglietto per un treno regionale e del 70% del ticket per le Frecce. Bollino anti frode. Per la prima volta le schede di voto di Camera e Senato sul frontespizio avranno un tagliando "antifrode". Si tratta di codice progressivo alfanumerico generato in serie. Dopo che l'elettore ha votato ed ha restituito la scheda al presidente del seggio debitamente piegata, il tagliando verrà staccato dal presidente e conservato come prova che all'elettore è stata consegnata una scheda di voto, non manomessa in alcun modo. Come tutte le novità può provocare anche proteste e lamentele. Certificati elettorali. Per recarsi alle urne occorre avere con sé un documento di identità valido e il certificato elettorale, con spazi liberi per i timbri. Se tutti i 18 spazi sono occupati, si può richiedere un duplicato. Gli uffici elettorali dei Comuni saranno aperti per tutte queste necessità. Disgiunto. La legge elettorale non prevede il voto disgiunto visto che la scheda elettorale è una sola, stavolta. Con il Mattarellum invece l'elettore ne aveva due schede. Elettori. Chiamati alle urne nella provincia di Venezia sono 657.485 per la Camera dei deputati e 610.844 per il Senato. A Venezia capoluogo gli elettori sono 182.193 al Senato e 195.202 alla Camera dei Deputati. Come sempre, le donne sono più degli elettori maschi. Forze dell'ordine. Nel solo Comune di Venezia sono circa 200 i rappresentanti di polizia, carabinieri, Finanza e vigili urbani che presidieranno i seggi di voto, distribuiti in 77 plessi della città. Governo. Le elezioni politiche decidono la composizione del Parlamento e anche quale coalizione andrà al governo del paese. Inciucio, di cui parlan tutti, permettendo. Handicap. Sono previsti aiuti per le persone che hanno difficoltà di esprimere un voto autonomo e necessitano di aiuto. L'elettore fisicamente impossibilitato può farsi assistere ma deve farsi autorizzare dall'ufficio elettorale del Comune, presentando anche un certificato medico. Indecisi. Hanno loro, stando ai sondaggisti, in mano le sorti del paese. Gli indecisi sono circa 6 milioni di italiani, quindi circa il 35-40% degli elettori. Molti si asterranno dal voto, gli altri, però, con le loro scelte possono essere decisivi per decidere chi governerà. Liste (e rappresentanti). Saranno tantissimi i rappresentanti di lista dei vari partiti presenti ai seggi. Si stima saranno almeno quattro o cinque per seggio e hanno precise norme a cui attenersi. Modalità di voto. Il voto è valido se è espresso nella scheda a favore della lista e per l'elezione dei candidato del collegio uninominale. Possibile e valido anche un segno sul contrassegno di lista e sul candidato uninominale. Nel caso si segni solo il nome del candidato uninominale il voto, in caso di coalizione che lo sostiene, viene ripartito tra le liste in proporzione ai voti di ciascuna nel collegio uninominale. Il voto è dubbio, perché non normato dalla legge, se si segnano due rettangoli di due diverse liste appartenenti alla stessa coalizione. L'ipotesi più ragionevole, dicono gli esperti, è che in questo caso il voto vada al solo candidato dell'Uninominale, quindi distribuito proporzionalmente tra le liste collegate. Ma non essendoci una norma precisa, questo caso potrebbe dare adito a contestazioni ai seggi. Nosocomi. L'elettore degente in un ospedale o casa di cura è ammesso a votare nel luogo di ricovero. Nel Comune di Venezia per esempio anche questa volta sono previsti 14 seggi speciali per consentire il voto a malati e degenti. Ma va espressa la volontà con una dichiarazione da consegnare entro il 1 marzo, informa la Prefettura. Orario. Si vota domenica 4 marzo dalle ore 7 alle 23. Subito dopo, chiusi i seggi, inizieranno le operazioni di spoglio delle schede. Parlamentari. Il prossimo 4 marzo il Veneto eleggerà 74 parlamentari - 50 deputati alla Camera, e 24 senatori al Senato - e saranno due in più rispetto alle ultime elezioni politiche del 2013.Quorum. Non è previsto per le elezioni politiche mentre è in vigore per i referendum.

Page 32: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

Rosatellum. È il nome del sistema elettorale in vigore e che tutti i partiti, in questa competizione, definiscono un obbrobrio. Legge elettorale che porta il nome, come noto, di Ettore Rosato del Pd. Sistema su base proporzionale con un correttivo maggioritario: prevede 231 collegi uninominali, che spingono a formare coalizioni, e uno sbarramento al 3% per le singole liste e al 10% per le coalizioni. La distribuzione dei seggi è per il 36% maggioritaria e per il 64% proporzionale. I listini del plurinominale sono composti da quattro nominativi, rispettando l'alternanza di genere tra uomini e donne. Seggi e sezioni. Nel Comune di Venezia, capoluogo, sono previste 256 sezioni di voto più 14 seggi speciali. Al lavoro per garantire le operazioni di voto ci saranno quindi 270 presidenti di seggi e 1052 scrutatori a cui si aggiungeranno anche i rappresentanti di lista e le forze dell'ordine a presidio dei seggi. In pratica, un vero e proprio affollamento elettorale. Telefonini. Nella cabina elettorale non è consentito entrare con il telefonino, che va lasciato al presidente del seggio. In caso contrario si rischiano sanzioni. Per la cronaca, ai seggi non si entra neanche armati. E i minorenni devono restare fuori dalla cabina elettorale. Uninominale e plurinominale. L'Uninominale è la circoscrizione che elegge un solo rappresentante. Nel plurinominale è previsto un listino con quattro nominativi. Ci si può candidare in un unico collegio uninominale, ma si può essere anche candidati in diversi collegi proporzionali. Voto all'estero. Gli elettori che vivono all'estero hanno la possibilità di votare negli stati in cui vivono. Le buste con i voti devono arrivare al consolato entro le ore 16 del primo marzo. Ovviamente per votare all'estero occorre essere iscritti nelle liste degli aventi diritto al voto per corrispondenza. Web. Il sito web del Comune di Venezia, con la collaborazione del Servizio elettorale e di Venis, offrirà i dati di affluenza e di voto in tempo reale. I dati di affluenza e risultati dai seggi saranno comunicati attraverso una WebApp che registrerà automaticamente le informazioni provenienti dai presidenti . I dati elettorali saranno trasmessi, dopo la verifica da parte dell'Ufficio Elettorale, direttamente al Ministero dell'Interno. A partire dalle ore 23 di domenica 4 marzo i dati relativi ai seggi del Comune di Venezia saranno pubblicati in tempo reale sul sito istituzionale www.comune.venezia.it. Zero e virgola. Diciotto simboli per altrettanti partiti sulle schede della Camera (Venezia e Spinea) e del Senato troveranno i veneziani. Due le coalizioni, centrodestra e centrosinistra. E da lunedì si capirà quanti partiti non arriveranno manco all'un per cento e non troveranno quindi rappresentanza in Parlamento. Pag 25 Cartelloni in disuso e vuoti, il “santino” ora è social di Vera Mantengoli Il Comune ha speso finora 50mila euro per consentire di affiggere i manifesti ma la politica è sbarcata sul web per mancanza di fondi e per polarizzare le idee Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo o a un caffè. Oggi il dibattito politico è affidato ai social network che acuiscono la natura irrazionale ed estrema dell'essere umano: «L'uomo è un animale irrazionale da sempre e da sempre cerca di rafforzare il suo gruppo di appartenenza» spiega Walter Quattrociocchi professore a Ca' Foscari di Informatica e supervisore del Laboratorio di scienza dei dati e complessità, nonché a capo di studi sugli effetti della diffusione delle informazioni via social network.«Il comizio ha lasciato le piazze ed è passato nella rete, ereditando tutte le problematiche delle comunicazioni che comunque c'erano anche prima. I comizi erano rivolti a chi voleva sentire confermare le proprie idee, così come oggi fa chi si iscrive nella pagina Facebook del proprio movimento politico. La differenza è che mentre la piazza impone una prossimità geografica, nella rete lo spazio di vicinanza è quello ideologico. Non è importante verificare le notizie, è importante confermare il proprio credo».In questi giorni, a una settimana dal voto del 4 marzo sul prossimo governo, le strutture dove affiggere i manifesti elettorali sono vuote o quasi. I 25 impianti in tutto il Comune sono costati 50 mila euro all'amministrazione che verranno poi rimborsati dallo Stato. Così, a pochi giorni dalla fatidica croce da porre nella scheda elettorale, non c'è ombra di manifesto e di nomi che una volta diventavano familiari. Molti poi ieri volavano sotto le frustate gelide del Burian.File e file di alluminio, senza volti né nomi. Il cittadino che dovrà capire chi votare dovrà farsi una ricerca in

Page 33: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

tutta solitudine nei giornali cartacei o su Internet. Non ci si ritrova più a guardare i papabili sui cartelloni, avviando magari una discussione con gli amici, anche di idee diverse. Tuttavia il dibattito non si è spento, anzi. La battaglia per votare il proprio candidato si è spostata silenziosa sui social, a colpi di post e tweet volti a confermare le proprie idee e a colpire quelle dell'avversario: «Nelle nostre indagini abbiamo confermato che i social media inducono alla formazione del cosiddetto fenomeno dell'echo chambers (camere dell'eco, ndr)» spiega Quattrociocchi. «In pratica in un ambito chiuso come quello della pagina Fb di un credo politico, si tendono ad aggregare utenti con un credo condiviso e diffondere informazioni che confermino il proprio credo». Non importa che siano notizie vere o no, l'importante è che diano ragione alle proprie convinzioni. «Per questo si formano dei gruppi altamente polarizzati e si perde la dialettica, procedendo per monologhi» prosegue Quattrociocchi. «In realtà da sempre l'uomo per sua natura non ha mai cercato un grande confronto, solo che con i social la categorizzazione dell'altro è aumentata. È un tratto della nostra specie quello di essere in un branco e di difendere il proprio branco, ma se nella piazza c'erano dei fattori intermediari che limitavano lo scontro, sui social è tutto più liquido e aumenta l'opposizione». Non è escluso che proprio per questo poi lo scontro esca dalla rete e si manifesti nelle strade con una certa violenza, vedi le ultime manifestazioni dove movimenti opposti si scontrano come se uno dovesse annullare l'altro. «Il meccanismo è quello che io cerco su Facebook, su YouTube o su altri canali quello che aderisce alla mia visione e poi lo utilizzo per dimostrare che ho ragione» conclude il professore. «L'idea dell'uomo che pondera con tranquillità le idee degli altri in nome della libertà di pensiero tipica dell'Illuminismo è una visione ideale. Sono cambiati i tempi, ma la nostra specie rimane irrazionale». CORRIERE DEL VENETO Pag 2 La propaganda senza i quattrini di Giovanni Viafora Partiti senza soldi, niente rimborsi e una legge elettorale “fake”. La prima campagna low cost, dove i candidati sono scomparsi Venezia. Almeno Totò/Antonio La Trippa ci provava, tormentando dalla finestra del bagno i vicini di casa: «Vota Antonio!». Oggi invece neanche quello. Zero, o quasi. I candidati alle politiche del prossimo 4 marzo sembrano infatti spariti. Li avrete visti i tabelloni elettorali, che le prefetture hanno piazzato nelle città? Sono praticamente vuoti. Solo raramente, qui e là, appare qualche manifesto; ma in genere si tratta di manifesti di «partito», cioè senza volti, nè nomi. E i messaggi elettorali in televisione, quelli che una volta invadevano la programmazione delle reti private? Una disgrazia. «L’assenza è assoluta», conferma il direttore marketing di uno dei più noti canali del Veneto (non vuole essere citato e un po’ si capisce). «Nella nostra emittente, ma posso parlare anche per la gran parte delle altre che conosco bene - ci dice - il calo delle inserzioni politiche è crollato almeno del 40 percento rispetto alle ultime elezioni, con punte anche più alte. In Veneto ci sono alcuni partiti che hanno totalmente deposto le armi, penso a quelli di centrosinistra. Ma anche nel centrodestra non è tanto diverso: nella nostra televisione, per esempio, passa al 90 percento uno spot con il volto di Salvini; e per l’altro 10 invece uno con il volto di Zaia. E gli altri? Un vuoto pneumatico». E dire che il costo degli spot non sarebbe neanche proibitivo: «Cinquanta, sessanta euro a passaggio - ci spiega il manager dell’emittente tv -, con almeno una decina di passaggi al giorno per una settimana di programmazione». Che facendo due conti fanno meno di 5mila euro. Mica la Luna. «Ma sembra troppo - chiude il direttore -. E glielo dico: ormai tutti noi chiediamo il pagamento in anticipo, perché poi, soprattutto quelli che perdono, chi li vede più?». Se neanche il web - Qualcuno, tuttavia, potrebbe obiettare: ora c’è il web, i soldi si investono lì. Ma in realtà neanche sul quel fronte la situazione è tanto più rosea. «Non vedo grandi innovazioni, siamo fermi a cinque anni fa - appunta Michele Cocco, che insegna Comunicazione politica all’Università di Padova -. La maggior parte dei candidati intende il digitale semplicemente come un altro canale mediatico, un po’ come la televisione. Non c’è la logica delle campagne americane, oppure quella dell’ultima di Macron in Francia, dove il web è servito soprattutto per rielaborare i big data in funzione di una strategia sul campo». «E inoltre i social nel tempo breve, come quello di questa

Page 34: Rassegna stampa 27 febbraio 2018€¦ · RASSEGNA STAMPA di martedì 27 febbraio 2018 SOMMARIO “Sono finiti i tempi dei dibattiti nei campi o nelle piazze, magari davanti a un aperitivo

campagna, hanno un limite - aggiunge Marco Marturano, docente di Giornalismo politico a Milano e vero re Mida delle campagne elettorali con la sua GM&P (sotto la sua ala hanno trionfato da sindaci i vari Zanonato, Cacciari, Manildo, e chi più ne ha più ne metta) -. Cioè, dipende da come il candidato li ha coltivati prima della competizione elettorale. Se non hai in partenza una comunità forte (i «like» per dirla chiaramente), te la devi inventare in modo artificiale, cioè pagando. È una strategia: ma solo fino ad un certo punto». La verità è che, come appare dal quadro tratteggiato, specialmente qui in Veneto (e ora diremo perché) ci troviamo di fronte alla prima vera campagna low-cost della storia. Le ragioni - A sentire gli esperti, le ragioni sarebbero essenzialmente tre. La prima: la legge elettorale. «Una legge fake - come la definisce Cocco -, apparentemente maggioritaria, ma in sostanza proporzionale, dove il collegio non è un vero collegio e non ci sono le preferenze». Per cui la vera sfida, i candidati se la sono giocata in quei due-tre giorni in cui le varie segreterie o i «capi» hanno formato i listini. «Per altro, ad eccezione del M5s, che in realtà hanno seguito un copione da manuale o da Pd veltroniano (lasciamo stare se efficacie o meno), la campagna è iniziata per tutti solo da 20 giorni - spiega Marturano -. Una sorta di blitzkrieg . Se vedevate i messaggi che, nei giorni clou, mi mandavano certi politici/clienti, mi veniva da ridere: anche alcuni che erano vicinissimi al loro leader, e per vicinissimi intendo distanti fisicamente mezzo metro, fino all’ultimo erano incerti su dove sarebbero finiti e quindi su che tipo di campagna avrebbero dovuto fare. Alcuni ballavano dal maggioritario uninominale alla Camera, in un collegio sicuro, al proporzionale al Senato in posizione di retrovia. E da una Regione all’altra. Capisce che cambia tutto, compreso il preventivo?». Ed ecco la seconda ragione: i partiti. Che poi sarebbe meglio dire: i partiti senza soldi. «La Lega ha avuto i conti bloccati dal giudice, Forza Italia segue la crisi della casa madre, il Pd ha i dipendenti in cassa integrazione e inoltre si è dissanguato nel 2016 per il referendum costituzionale - spiega ancora Marturano -. Anche se il vero tema è quello dei rimborsi elettorali. Da quest’anno, infatti, grazie a una delle tante riforme fatte da Renzi senza incassare un consenso che sia uno, i partiti non avranno indietro alcun rimborso. Berlusconi nel 2001 spese 10 miliardi di lire, ma poi quei soldi gli tornarono quasi tutti. Da quest’anno non sarà possibile, per cui saranno tutti vuoti a perdere». In questo senso perciò i partiti non disdegnano i candidati auto-sufficienti: «Vedi nelle recenti amministrative i casi di Brugnaro e Giordani», chiosa Marturano. Oppure, per questa tornata, dell’imprenditore padovano Fabio Franceschi, il re degli stampatori, in corsa con Forza Italia. Il quale infatti a noi conferma: «Ho messo qualcosa di mio, sì, ma a titolo spontaneo. Ed è un ventesimo di quello che si spendeva una volta per le campagne elettorali». E arriviamo quindi all’ultima ragione: le aspettative. Punto che coinvolge il nostro territorio più di ogni altro: «Il Veneto ha praticamente tutti i collegi uninominali non contendibili, tranne quello di Venezia - sottolinea Cocco -, significa cioè che per i sondaggi le partite sono già tutte chiuse». Cosa che, in definitiva, ha portato i candidati a dire: ma chi me lo fa fare? Torna al sommario