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Rapporto Comitato Difesa 2000 Una nuova alleanza strategica Europa-Stati Uniti

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Una nuova alleanza strategica Europa-Stati Uniti Rapporto Comitato Difesa 2000 Le ragioni dell’alleanza Europa - Stati Uniti Nuovi rischi, nuovo ordine Il punto di vista europeo Un rinnovato approccio transatlantico Introduzione Conclusioni 13 11 6 7 9 C OMITATO D IFESA D UEMILA Segretario del Comitato è il Dott. Giovanni Gasparini. Rapporto Comitato Difesa 2000 6 1.1N UOVI R ISCHI , N UOVO O RDINE 7 1.3U NRINNOVATOAPPROCCIOTRANSATLANTICO 1.2 I LPUNTODIVISTAEUROPEO 8

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Rapporto Comitato Difesa 2000

Una nuova alleanza strategicaEuropa-Stati Uniti

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INDICE

Introduzione

Le ragioni dell’alleanza Europa - Stati Uniti

Nuovi rischi, nuovo ordine

Il punto di vista europeo

Un rinnovato approccio transatlantico

L’Europa della difesa fra necessità ed ambizioni

Verso un Concetto Strategico dell’Unione

Le specificità europee

Le nuove iniziative

La collaborazione fra Europa e Stati Uniti per la sicurezza globale

Una nuova politica transatlantica

La visione europea dell’alleanza

Possibili trasformazioni dell’alleanza

Conclusioni

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COMITATO DIFESA DUEMILA

Prof. Michele Nones (coordinatore)

On. Ferdinando Adornato

Gen. Mario Arpino

Gen. Vincenzo Camporini

Dott. Massimo De Angelis

Gen. Carlo Finizio

Dott. Renzo Foa

Gen. Carlo Jean

Dr. Andrea Nativi

On. Luigi Ramponi

Prof. Stefano Silvestri

Amm. Guido Venturoni

Segretario del Comitato è il Dott. Giovanni Gasparini.

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Nonostante i numerosi elementi di preoccupazione chelo scenario internazionale ha continuato a suscitarenegli ultimi anni e lo stesso frequente diretto coinvol-gimento italiano nelle operazioni per il mantenimentoed il ristabilimento della pace, nel nostro paese si con-tinua a registrare una forte discontinuità nell’attenzio-ne verso questi problemi da parte di settori importan-ti dell’opinione pubblica, del mondo dell’informazio-ne e del mondo politico. Si alternano così periodi digrande preoccupazione per l’evoluzione dei diversiteatri di crisi o di tensione internazionale a periodi,molto più lunghi, in cui sembra che il nostro paeseappartenga ad un altro pianeta, perché tutta l’attenzio-ne si concentra sulla situazione interna italiana.

Sullo sfondo c’è poi un retroterra culturale che rendeparticolarmente difficile la formazione di un’opinionepubblica o, per lo meno, di settori più consapevoli dellanecessità di una risposta globale ad una minaccia che,con i tragici avvenimenti dell’11 settembre, è diventa-ta anch’essa globale.

In primo luogo pesano all’interno dello stesso movi-mento cattolico le componenti pacifiste più oltranzi-ste che tendono a respingere comunque ogni ricorso aqualsiasi forma di azione armata, indipendentementedalle ragioni che la determinano. Queste frange trova-no una facile sponda in settori più ampi che sono, inve-ce, più preoccupati sull’evoluzione degli scenari dicrisi, ma tendono a sperare che altre forme di inter-vento possano risolverle. Un sorta di autoconvinci-mento collettivo che vorrebbe dimenticare e far dimen-ticare le responsabilità delle crisi e che, concentrandol’attenzione sulle azioni che devono essere intraprese,rischia di trasformare in vittime i colpevoli.

In secondo luogo vi è un arcobaleno di gruppi emovimenti cosiddetti pacifisti, con radici culturali nel-l’estremismo, che esprime il latente anti-americanismodi una parte della sinistra e del mondo cattolico. Inquesti casi il rifiuto della violenza è legato alla sem-plice constatazione che non è praticamente possibile

un’azione per il ristabilimento della pace senza unacompartecipazione, diretta o indiretta, americana. Checi sia o meno la copertura giuridica e politica delleNazioni Unite non fa differenza. come ha dimostratola prima Guerra del Golfo e sta dimostrando la stessacontinuazione dell’intervento in Afghanistan.L’inevitabile ruolo degli Stati Uniti viene aprioristica-mente visto come un’espressione di volontà di ege-monia e non come il risultato di un quadro strategico-militare asimmetrico in cui esiste una sola super-poten-za e mancano istituzioni internazionali forti in gradodi prevenire, limitare, ma anche gestire tempestiva-mente ed efficacemente le crisi.

L’immaturità del nostro paese per quanto riguardail campo della difesa è, infine, confermata dall’atteg-giamento prevalente sia verso l’industria militare, siaverso le spese per la difesa. Per queste ultime, in par-ticolare, il problema si ripropone da sempre negli stes-si termini, a prescindere dal colore del Governo in cari-ca; siamo e restiamo lontani dai parametri che carat-terizzano i nostri principali alleati europei, per non par-lare di quello americano. In questo modo si rischia dirinunciare ad equipaggiamenti adeguati alle nuove sfidee di compromettere la nostra partecipazione ad impor-tanti programmi di collaborazione internazionale, condanni incalcolabili per la nostra credibilità e per le nostrecapacità tecnologiche ed industriali. Sembra, in realtà,di assistere ad un dibattito surreale e, insieme, ormaimonotono: che si debbano analizzare i centesimi di unpunto del PIL per individuare una tendenza, quando ledistanze fra noi e gli altri si misurano in punti e quel-le fra la realtà e l’obiettivo dichiarato in decimi di punto,la dice lunga sulla volontà/capacità di cambiare il“disarmante” quadro della nostra difesa.

La realtà è che il nostro paese non sembra affattosentirsi “in guerra” e, di conseguenza, non vi è né laconsapevolezza né la disponibilità ad affrontare alcunsacrificio, anche se questo può compromettere la nostrasicurezza. Poco importa se poi questo ci espone ad ogni

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forma di minaccia e di rischio: basta non pensare chefuori la guerra c’è davvero. Vi è, quindi, un atteggia-mento di rifiuto ad affrontare responsabilmente laminaccia globale, preparandosi a garantire un impe-gno conseguente in termini non solo di partecipazio-ne alle operazioni internazionali, ma anche di messain atto di tutte le misure di prevenzione e gestione dellecrisi che sono necessarie. Mai come oggi il vecchiomotto latino “Si vis pacem para bellum” torna così diattualità.

La natura delle crisi e delle minacce, così come le

stesse possibilità di soluzione, richiedono una grandee continua attenzione. In questa direzione si colloca lanostra iniziativa. Il Comitato Difesa Duemila si pro-pone di favorire un approfondimento delle problema-tiche della difesa nel nostro paese. La nostra iniziati-va punta a creare un’occasione regolare di confrontofra un gruppo di studiosi ed esperti, con la predisposi-zione di un rapporto annuale, giunto alla seconda edi-zione, in cui vogliamo tentare di indicare quali dovreb-bero essere, a nostro avviso, le priorità nel campo dellasicurezza e difesa nel breve periodo.

1.1 NUOVI RISCHI, NUOVO ORDINE

A dispetto di quanto proclamato da diversi analisti“della discordia” ed apparentemente confermato dauna certa ritualità di taluni rapporti diplomatici, i cit-tadini europei ed americani convivono, oggi come ieri,in un sistema internazionale in cui rischi e opportunitàsono per essi un fattore di coesione e non di divisione.

Questa stessa conclusione accomuna la comunitàdegli analisti di sicurezza su entrambe le spondedell’Oceano Atlantico, concorde nell’individuare leminacce alla sicurezza della società occidentale in fat-tori che accomunano, piuttosto che dividere, le demo-crazie liberali.

Fra questi spicca la complessa problematica lega-ta alla recrudescenza di un terrorismo internazionale“di nuovo tipo”, la cui missione non pare più la riven-dicazione di obiettivi politici ben definiti, ma la distru-zione del “nemico” con ogni mezzo, in un contesto incui l’interazione non si muove più su un piano di razio-nalità condivisa.

A questo fine i movimenti terroristici, che, per uninsieme di ragioni di ordine religioso, storico, econo-mico e politico intendono indebolire e possibilmenteminare alle fondamenta la società occidentale che con-siderano nemica, puntano ad utilizzare ogni mezzo etecnica offensiva disponibile. Di qui il loro sforzo peravere la disponibilità di armi di distruzione di massa,anche per la consapevolezza della vulnerabilitàdell’Occidente nei confronti di questa minaccia.

Nel contesto di instabilità diffusa a livello regiona-

le e sistemico che ha caratterizzato l’intero scorsodecennio, sono aumentate sia l’offerta che la richiestadi tali armi, nonché delle capacità scientifiche neces-sarie alla loro produzione. Il loro impiego effettivodiverrebbe ovviamente più probabile qualora esse finis-sero in mano a regimi instabili, irrazionali o dispostiad avvalersi di gruppi terroristici, per non parlare diorganizzazioni terroristiche indipendenti.

La globalizzazione dei rapporti internazionali rendeinevitabile l’intervento in aree di crisi anche lontane enon sempre necessariamente di immediato interesse.

Da questo discende una crescita dell’impegno inoperazioni di supporto alla pace e stabilizzazione di“failed states”, legata non solo a motivi etici e di prin-cipio, ma alla presenza di forti interessi nell’accresce-re la sicurezza in aree che potrebbero altrimenti dive-nire pericolose spine nel fianco per la stabilità regio-nale e globale, come nel caso dell’Afghanistan deiTalebani.

Questo nuovo interventismo si lega a due fattori didiversa natura: l’inefficacia dei tradizionali concetti dideterrenza e contenimento e l’impegno a difesa deivalori della democrazia e dei diritti umani, sia nei paesiche godono già di questo status che in quelli in cui laloro assenza rende la popolazione ostaggio di elite peri-colose.

Ovviamente non si può desumere da queste consi-derazioni alcuna regola aprioristica, dal momento cheogni caso merita un’attenta valutazione dei costi, bene-fici ed imprevisti commessi con l’adozione di un corsodiplomatico piuttosto che interventista.

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1.2 IL PUNTO DI VISTA EUROPEO

Ultimamente, quando si analizza la relazione fraEuropa e Stati Uniti si tende a sottolinearne gli aspet-ti di divergenza nelle impostazioni di talune élite, piut-tosto che ad enfatizzare i molti importanti punti di con-vergenza che rendono unico un rapporto destinato adurare ben oltre l’effimera vita delle leadership politi-che, proprio perché fondato su interessi e vocazionicomuni di queste società.

Vale la pena ricordare come il punto di vista euro-peo e quello americano convergano su gran parte deifattori chiave determinanti la sicurezza occidentale.

Ciò avviene, è bene ribadirlo, perché persistono ivalori comuni della democrazia liberale che, pur decli-nati con modalità diverse, rimangono il fattore decisi-vo per la definizione di missioni e vocazioni interna-zionali della comunità euro-atlantica.

Proprio il tema relativamente nuovo del contrastoal terrorismo internazionale ha contribuito a consoli-dare un legame non solo ideale ma anche operativo fraEuropa e Stati Uniti, come dimostrato dall’ampiezzadella risposta solidale agli eventi del 9-11 e dalle ini-ziative multilaterali e fra UE e USA in materia di con-trasto e prevenzione.

I governi europei e l’Unione Europea sono altre-sì impegnati a fianco degli Stati Uniti in ogni scena-rio in cui sia necessaria un’azione a favore della sta-bilità regionale (ad esempio, la collaborazione neiBalcani è ormai un fattore consolidato) ed in parti-colare nel Mediterraneo allargato ed in MedioOriente, divenuti luoghi fulcro dell’azione dellacomunità internazionale.

Come non è lecito incorrere nell’errore dei pessi-misti, così non sarebbe corretto non esaminare i puntidi divergenza. In questo contesto, la questione essen-ziale riguarda il ruolo da attribuire al diritto e alle isti-tuzioni internazionali nel processo di “governance”degli affari mondiali, assai più sentito in Europa chenegli Stati Uniti.

Le diatribe circa il Tribunale Penale Internazionale,la centralità del ruolo delle Nazioni Unite, il rispettodelle norme che sanciscono e regolano l’impiego dellaforza, il trattamento dei prigionieri legati ad atti terro-ristici, sono tutti esempi importanti di questioni anco-ra aperte sulle quali sarebbe bene incominciare a discu-

tere con realismo. Un ulteriore elemento di frattura è rappresentato

dal diverso ruolo assegnato al principio della deter-renza quale elemento di regolazione dell’interventomilitare; il dibattito su deterrenza/prevenzione dovreb-be culminare con l’adozione esplicita di regole comu-ni che rendano prevedibili e condivisibili le decisioni,regole necessarie al fine di evitare ulteriori fratture eperdite di credibilità, fonti di maggiore instabilità glo-bale.

I cittadini europei e americani hanno bisogno di lea-dership politiche focalizzate sulla ricerca di una gover-nabilità globale e impegnate nella difesa di un legameessenziale, senza per questo rinunciare alle propriepeculiarità.

1.3 UN RINNOVATO APPROCCIO TRANSATLANTICO

Se dunque la comunità euro-atlantica condivide unsimile destino e visione delle questioni internazionali,vi sono le premesse per lavorare alla soluzione di tuttiquei problemi che recentemente hanno spinto alcuniosservatori a registrare prematuramente il “divorzio”fra gli alleati.

La sicurezza in un mondo fortemente integratodipende in ultima analisi dalla sostanziale condivisio-ne di responsabilità fra i principali promotori della sta-bilità internazionale, le cui pur ingenti risorse appaio-no comunque insufficienti per fronteggiare da soli lenuove minacce, come dimostrato recentemente dallagestione del post-conflitto in Irak e dall’ampiezza dellacoalizione anti-terrorismo.

Si ripropone quindi all’attenzione dei governi euro-pei la questione del “burden sharing”, ovvero la dispo-nibilità a farsi carico in misura crescente delle capa-cità necessarie (di natura non solo militare) per con-durre una politica internazionale di più alto profilo,propositiva e non soltanto reattiva.

Il motivo di fondo di questo nuovo slancio europeopuò essere riassunto in: “un maggiore impegno per unamaggiore influenza”.

Ma di fronte ad una realtà internazionale caratte-rizzata dalla presenza di una grande potenza globale ediverse potenze regionali di grandi dimensioni demo-grafiche, oltre che economiche e militari, ai paesi euro-

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2.1 VERSO UN CONCETTO STRATEGICO DELL’UNIONE

Nel corso dell’ultimo decennio, ed in particolaredegli ultimi due anni, l’Unione Europea ha acquisitouna coscienza sempre più forte della necessità di assu-mere un ruolo di responsabilità crescente di fronte almaterializzarsi delle diverse minacce alla sua sicurez-za, benessere e ideale democratico.

Questo lungo e talora travagliato lavoro di gesta-zione ha recentemente portato alla definizione del primoconcetto strategico dell’Unione, presentato dall’Altorappresentante Solana e già oggetto di dibattito in vistadi una sua prossima adozione quale documento uffi-ciale dell’UE.

Il documento presenta diverse novità e alcuni puntidi convergenza con la National Security Strategy (NSS)adottata lo scorso anno dall’Amministrazione Bush, inparticolare per quanto riguarda l’individuazione delleminacce alla sicurezza (terrorismo, armi di distruzio-ne di massa,…) e la necessità di prestare attenzionealle aree di instabilità, riconoscendo la necessità diricorrere talora all’uso della forza a difesa degli inte-ressi vitali e della sicurezza europea.

In ambito operativo l’Unione non fa mistero di guar-dare con particolare attenzione alle future evoluzionidel rapporto con la NATO, rinfrancata dalla positivaesperienza del raggiungimento del cosiddetto Berlin

+, accordo di difficile gestazione ma di vitale impor-tanza a garanzia della continuità della collaborazione.

Parallelamente agli sforzi di dialogo con la NATO,l’UE sta sviluppando, sulla scia delle importanti deci-sioni prese a Helsinki nel 1999 e successivamente con-fermate ai massimi livelli, una propria capacità di inter-vento autonomo e ha promosso una serie di iniziativeper lo sviluppo di capacità militari (headline goals egruppi di lavoro sulle capacità ECAP) che, pur nonavendo ancora raggiunto l’obiettivo finale, garanti-scono già una certa operatività.

Ne sono dimostrazione le prime esperienze mili-tari dell’Unione, rappresentate dalla missioneConcordia in Macedonia-FYROM (con il supportodella NATO) e Artemis in Congo-RDC (in seguito arichiesta della Nazioni Unite e senza l’aiutodell’Alleanza Atlantica) sembrerebbero indicare lelinee evolutive della Politica Europea di Sicurezza eDifesa (PESD) nel breve periodo.

Non si può comunque negare che la prospettiva dispecializzazione dell’Unione in missioni di supportoalla pace (PSO) nel medio periodo possa comportaredei rischi, dal momento che le PSO costituiscono solouna parte e certo non la più impegnativa dell’ambitooperativo in cui l’UE e i paesi membri sono chiamatia difendere i propri valori ed interessi fondamentali,nonché le ambizioni e doveri di una superpotenza eco-

pei desiderosi di rimanere al tavolo delle decisioni senzalimitarsi a sottoscrivere o accettare obtorto collo quel-le altrui, non rimane che la riscoperta delle istituzionimultilaterali esistenti, in cui coalizzare la pur non irri-levante panoplia di mezzi diplomatici, economici, cul-turali e militari a disposizione dei governi nazionali.

I luoghi in cui deve avvenire questo processo for-tunatamente esistono già e sono l’Unione Europea el’Alleanza Atlantica, istituzioni che, pur con i rispetti-vi limiti, hanno dimostrato di avere un notevole poten-ziale quali organismi di “confidence building” e sta-bilizzazione, ben oltre i propri limiti geografici.

Il dibattito sui temi di disaccordo, mediato da que-ste istituzioni dovrebbe nel medio periodo favorire il

passaggio da una visione incentrata sui rapporti nazio-nali bilaterali alla crescita di un rapporto diretto fraUnione Europea e Stati Uniti, che trova in una NATOrinnovata e più equilibrata un valido canale di comu-nicazione.

Per ottenere una maggiore influenza non basta unmaggiore impegno dei singoli Stati europei. E’ indi-spensabile che questo impegno sia integrato in unaIdentità Europea di Difesa, cioè in un contesto poli-tico unitario, altrimenti rimarrà di relativo scarso pesopolitico nei confronti degli USA. Ciò rappresentaun’ulteriore ragione per indurre gli europei a proce-dere concretamente verso il consolidamento dellaPESD.

L’Europa della difesa fra necessità ed ambizioni

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nomica. La disponibilità di un “hard core” europeo ido-neo al “warfighting” deve, quindi, essere garantita.

D’altra parte, non va dimenticato che le diverseesperienze che si stanno maturando non possono esse-re considerate esaustive, ma come primi passi da supe-rare successivamente nel quadro di un’evoluzione pro-spettica della difesa europea.

2.2 LE SPECIFICITÀ EUROPEE

L’Unione Europea sembra dunque portata verso ladefinizione di un approccio originale al problema delladifesa e della stabilità globale, i cui tratti distintivi ini-ziano ad intravedersi.

Vi è una volontà dichiarata di realizzare una miglio-re e soddisfacente capacità di coordinare l’ interventomilitare con quello civile e di polizia, secondo quantoauspicato dall’Alto Rappresentante Solana al ConsiglioEuropeo di Salonicco.

Questa integrazione non viene ricercata solo inter-namente, ma anche nei programmi di partnership conattori esterni (NATO in particolare).

L’Unione Europea è una grande potenza economi-ca e civile che sta riscoprendo l’importanza di far vale-re il proprio peso anche quando si discute di sicurez-za.

Il secondo aspetto caratteristico riguarda lo strettolegame fra legittimità giuridica internazionale e impie-go dell’uso della forza.

Questo non implica una opposizione all’uso dellaforza in ogni caso, ma una particolare attenzione alrispetto delle regole che rendono legittimo il ricorsoalle armi come ultima risorsa, nonché alle regole dicondotta delle operazioni stesse.

Il dibattito fra Europa e Stati Uniti circa l’opportu-nità di un approccio multilaterale rispetto a quello uni-laterale, soprattutto in tema di interventi preventivi, èriconducibile anche a questo fattore specifico.

Data la loro natura istituzionale e la tradizione sto-rico-politica, l’Unione Europea e i paesi membri sonoportati a sviluppare in ambito multilaterale l’azionesullo scenario internazionale, convinti che il processodi costruzione del consenso, condivisione delle respon-sabilità e distribuzione dei costi che ne deriva, garan-tiscano il raggiungimento di un risultato migliore rispet-to alla semplice azione scoordinata secondo linee di

interesse particolare. L’UE offre un modello di progetto e processo isti-

tuzionale democratico che ancora deve dimostrare diessere pienamente capace di dominare la dialettica“guerra/pace”, ma che allo stesso tempo sembra con-tenere le premesse per la soluzione di tale dilemma.Vanno, quindi, ridefiniti l’ambito e i criteri di applica-zione del concetto di condizionalità sinora seguitidall’Unione.

Il pur complicato modello risultante dalla condivi-sione delle competenze fra i vari attori non potrà cherisultare, almeno nel breve e medio periodo, un ibridofra azioni a livello comunitario, intergovernativo enazionale, nell’attesa che i nuovi assetti istituzionaliproposti dalla Convenzione favoriscano una progres-siva comunitarizzazione.

2.3 LE NUOVE INIZIATIVE

Il quadro della politica di sicurezza e difesa inEuropa si presenta in rapido movimento.

Le proposte della Convenzione sul futurodell’Unione in materia di politica estera e di sicurezzamirano proprio a sviluppare questo settore di collabo-razione fra paesi europei.

L’istituzione di un Ministro degli Esteri europeo,la possibilità di ricorrere a forme di cooperazione strut-turate più avanzate fra taluni paesi in questo ambito eil richiamo al coordinamento delle politiche naziona-li e alla solidarietà collettiva rappresentano novitàimportanti.

In tema istituzionale, peraltro, non si può non nota-re la timidezza che ha portato a non prevedere esplici-tamente un formato del Consiglio con i ministri delladifesa. Appare infatti quantomeno bizzarro che si defi-niscano per l’Unione competenze di carattere tecnicoe compiti squisitamente operativi, senza un coinvolgi-mento diretto dei responsabili nazionali in materia.

Fra le proposte della Convenzione più direttamen-te legate alla questione difesa, ripresa in diverse occa-sioni in vertici ristretti da parte dei principali paesi euro-pei, spicca la questione dell’istituzione di una AgenziaEuropea per gli Armamenti, a carattere intergoverna-tivo. I paesi europei sono alla ricerca di una politicaindustriale e tecnologica per l’industria della difesa

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3.1 UNA NUOVA POLITICA TRANSATLANTICA

La sicurezza globale richiede un forte legame tran-satlantico.

In questo ambito, il ruolo della NATO per la sicu-rezza europea rimane di forte attualità, nonostante le dif-ficoltà riscontrate nella lunga fase di ristrutturazionedell’Alleanza, che dura ormai da un decennio. Le deci-sioni assunte a Praga a novembre 2002 rappresentanol’ultimo significativo capitolo di questo processo, desti-nato ad adattarla alle sfide future.

Il principale valore politico della NATO è dato dalsuo riconosciuto ruolo come strumento di fiducia e col-laborazione nel rapporto transatlantico. La reazionedell’Alleanza agli attentati del 9-11, la dichiarazione di

solidarietà rappresentata dall’attivazione della difesa col-lettiva e il successivo coinvolgimento in missioni ben aldi fuori dei suoi tradizionali limiti geografici ne sonotestimonianza.

Ma l’importanza dell’Alleanza Atlantica non si fermaalle considerazioni di natura politica, dal momento cheessa offre tuttora un’organica ed efficace capacità diintervento militare, secondo strutture, assetti e normeconsolidate e ben rodate.

Disconoscere la dimensione militare della NATO inun momento in cui massima è la necessità di doverviricorrere, nella misura in cui le strutture di sicurezzadell’UE non si presentano ancora completamente defi-nite e militarmente sufficienti, sarebbe un gravissimoerrore e, in ultima analisi, manderebbe in crisi la sua

coerente con le proprie necessità strategiche e risorsedisponibili e l’istituzione di questa Agenzia, corrobo-rata da un crescente livello di interdipendenza dell’of-ferta e di comune regolamentazione della domanda,dovrebbe rappresentare un passo importante verso que-sto obiettivo.

In realtà l’articolato proposto dalla Convenzione sipresta a differenti interpretazioni da parte dei governinazionali ed è già iniziato un dibattito sulla sua effet-tiva portata e sul ruolo dell’Agenzia in termini di rap-presentatività, articolazione, competenze e dipenden-za dell’Agenzia, con particolare riferimento al ruoloche potrebbe essere attribuito ai Ministri della difesaa parziale correzione della mancanza di un vero e pro-prio Consiglio della Difesa a livello europeo.

La posizione italiana volta a garantirne una vastacompetenza, pur riconoscendone la natura intergover-nativa, sembra più convincente di altre posizioni chevorrebbero l’Agenzia quale semplice evoluzione delleiniziative già esistenti, come l’OCCAR.

Dovrà essere certamente oggetto di approfondi-menti anche il carattere unico dell’Agenzia, legato all’u-nione sotto lo stesso cappello di responsabilità di carat-tere tecnico-operativo (definizione delle capacità neces-sarie) e tecnico-amministrativo (gestione del procure-ment) che rappresenta una soluzione inconsueta nel

panorama istituzionale dei paesi dell’Unione e anchea livello internazionale.

Un ulteriore campo di indagine e collaborazione,particolarmente importante per il contrasto al terrori-smo internazionale, riguarda quell’insieme di proble-matiche legate alla cosiddetta Homeland Security.

Questo settore risulta cruciale non solo per la dife-sa dei cittadini, ma anche per lo sviluppo del rapportotransatlantico, dal momento che la cooperazione dipolizia ed intelligence a tutti i livelli è riconosciutaquale elemento chiave per negare al terrorismo inter-nazionale la disponibilità di basi e fondi per le proprieattività.

Lo sviluppo del ruolo dell’Unione Europea qualeattore di sicurezza nel medio periodo, dimostrato daquesto intenso attivismo politico, istituzionale ed ope-rativo, si deve necessariamente conciliare, soprattuttonel breve periodo, con l’evoluzione delle altre struttu-re di sicurezza attraverso cui passa il rapporto transa-tlantico, NATO in primis.

In mancanza di un rapporto strutturato e continua-tivo fra queste due istituzioni, i paesi europei sarebbe-ro posti nella difficilissima posizione di non poter farea meno di nessuna della due, ma allo stesso tempo dinon avere le risorse politiche ed economiche per par-tecipare attivamente ad entrambe.

La collaborazione fra Europa e Stati Uniti per la sicurezza globale

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rilevanza e credibilità politica.La NATO rimane l’ambito multilaterale più indica-

to, se non unico, per l’evoluzione del rapporto politicoed operativo fra gli Stati Uniti e gli alleati europei.

La NATO, infine, è un importante strumento di inte-roperabilità fra le forze dei paesi membri, ed in partico-lare costituisce il canale di collegamento operativo frale forze americane e quelle europee.

Il contributo dell’Alleanza alla stabilità globale e allalotta al terrorismo nella sua dimensione militare rap-presenta un punto irrinunciabile per gli alleati europei,ma anche per gli Stati Uniti, e pertanto questa sua capa-cità va preservata tramite le opportune riforme.

3.2 LA VISIONE EUROPEA DELL’ALLEANZA

Nell’ambito delle riforme in corso, da parte europeasi avverte l’esigenza di riequilibrare l’Alleanza acqui-sendo un maggior peso all’intero di essa, tramite un com-portamento virtuoso che, sinora, non è stato pienamen-te sposato da tutti, in particolare per quanto riguarda lamessa a disposizione di adeguate risorse economiche.

I governi europei sono particolarmente attenti a nonintaccare il valore politico del committment americanoverso la NATO e sembrano, quindi, disponibili ad inter-venire sulle sue strutture in modo da renderla più attraen-te all’alleato.

Congiuntamente, vi è coscienza della necessità diconservare l’attuale valenza operativa, poiché da essadipende la disponibilità di uno strumento immediato direazione.

La stessa crescita delle capacità operative dell’UnioneEuropea dipende in parte dalla disponibilità di strumentie strutture dell’Alleanza Atlantica.

Gli europei non sembrano opporsi ad una visionedella NATO come strumento di sicurezza sempre più“globale”, in particolare se essa si presterà a svolgereimportanti missioni di pacificazione e stabilizzazionenegli ambiti geopolitici di primario interesse per l’Europa,ad iniziare dal Mediterraneo allargato e dal MedioOriente.

3.3 POSSIBILI TRASFORMAZIONI DELL’ALLEANZA

Al di là del percorso di riforma intrapreso a Praga,

vi sono ampi spazi per adattare la NATO alle sfide futu-re e conservarla come elemento vitale del rapporto tran-satlantico.

Un aspetto particolarmente importante, direttamen-te connesso con il processo di riforma in corso, è evita-re che il lavoro di ristrutturazione dei comandi ed isti-tuzione della nuova forza portino a supportare una visio-ne dell’Alleanza quale “toolbox”, insieme di capacità adisposizione non tanto della NATO stessa in quanto tale,ma di eventuali coalizioni ristrette e momentanee a ser-vizio di una causa non da tutti condivisa o comunquenon sancita dall’applicazione di quel principio del pienoconsenso che è alla sua base.

In ogni caso, perché la sicurezza euro-atlantica possabeneficiare pienamente del processo di riforma della isti-tuzioni di sicurezza è necessario uno strettissimo coor-dinamento ad ogni livello fra la NATO e l’UE.

Le iniziative di cooperazione intraprese sinora e ilcontinuo processo di consultazione reciproca devonopoter continuare e rafforzarsi, includendo sia gli ambi-ti politici e decisionali che quelli operativi.

Per favorire da un lato un più forte coinvolgimentooperativo da parte europea e dall’altro un rinnovato inte-resse politico americano nell’Alleanza, potrebbe essereopportuno intervenire sulla sua struttura istituzionale,prospettando un SACEUR europeo e la nomina di unSegretario Generale americano.

Tale soluzione potrebbe essere oggetto di ulterioriapprofondimenti, soprattutto per quanto riguarda le sueimplicazioni sul ruolo di raccordo politico svolto a livel-lo europeo dal Segretario Generale.

Un appropriato inserimento degli Alleati europeinel Comando di Norfolk rappresenterebbe un ulterio-re passo decisivo per evitare che le componentidell’Alleanza marcino su due piani completamentediversi nella modernizzazione dei rispettivi apparatimilitari e per ridiscutere priorità e linee di guida di taleammodernamento, soprattutto tenendo conto dellerecenti esperienze operative che portano a ritenere nonpienamente rispondente alle effettive esigenze una dra-stica riduzione delle dimensioni degli strumenti mili-tari ed evitando che gli europei perseguano equipag-giamenti dell’ultimissima generazione a discapito diforze di provata capacità.

Infatti, alla fase di aperta belligeranza segue nor-malmente una fase di stabilizzazione che può durare

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Le difficoltà che hanno caratterizzato il rapportotransatlantico nell’ultimo biennio rappresentano un ele-mento di forte preoccupazione per la capacità di farfronte alle nuove minacce che si sono venute a pre-sentare sullo scenario internazionale. La minore coe-sione transatlantica ha, infatti, una serie di implicazio-ni negative che rischiano di favorire i fattori di rischioanziché quelli di stabilità:

1. l’isolamento degli Stati Uniti, insieme a pochie più stretti alleati storici, sposta l’onere e la respon-sabilità solo sulle loro spalle e rischia di portarli sem-pre più ad una logica di intervento unilaterale anzichémultilaterale;

2. ogni tendenza all’unilateralismo indebolisceinevitabilmente gli organismi internazionali e questo,a sua volta, rischia di sminuire il ruolo degli alleati, maanche ogni proposta alternativa;

3. l’intervento preventivo può in questo conte-sto esercitare un’attrazione più forte perché ogni altraforma di intervento presuppone, comunque, un approc-cio multilaterale per avere anche la minima prospetti-va di successo;

4. i paesi europei hanno ciascuno un proprio spe-cifico rapporto con gli Stati Uniti in ragione delle lorocaratteristiche e della loro storia e questo rapporto costi-tuisce un punto particolarmente sensibile della loropolitica internazionale;

5. anche per questa ragione la costruzione di unapolitica europea di sicurezza e difesa trova un terrenopiù favorevole in presenza di un rapporto transatlanti-co più disteso;

6. l’allargamento ad Est della NATO e

dell’Unione Europea porta all’interno delle due orga-nizzazioni paesi che hanno una maggiore attenzioneper le tematiche della sicurezza e per il mantenimen-to di un rapporto di stretta collaborazione con gli StatiUniti e, di conseguenza, è, anche da questo punto divista, necessario limitare tensioni ed incomprensioninei rapporti transatlantici.

A tutte queste ragioni che riguardano in primo luogoStati Uniti ed Europa si aggiungono quelle che si riflet-tono sulle possibili minacce e, in particolare, quellapolitica di dimostrare un forte grado di coesionedell’Occidente nella difesa dei suoi valori e dei suoiinteressi, a partire dalla democrazia e dal rispetto deidiritti umani. E’, infatti, indubbio che anche in questomomento, come, seppure con le dovute differenzia-zioni, anche altre volte nella storia, uno dei maggiorifattori di deterrenza possa essere rappresentato dal mes-saggio che viene trasmesso ai potenziali nemici.

E’, però, altrettanto vero che nel contesto odierno,l’imprevedibilità e l’irrazionalità della minaccia ten-dono a depotenziare il valore della coesione occiden-tale nella misura in cui i movimenti terroristici hannocome obiettivo quello di indebolire la società occi-dentale.

Di qui la necessità di ribadire con forza e in tutte lesedi che la comunità euro-atlantica condivide un comu-ne destino e visione delle questioni internazionali, aldi là dei punti di divergenza che non possono esseresottaciuti: il diritto e la giurisdizione internazionale, ilrapporto deterrenza/prevenzione, l’intervento unilate-rale/multilaterale, l’esigenza del mandato internazio-nale.

anni e richiede tecnologia, personale e mezzi in quan-tità che difficilmente altri membri della coalizione sonodisposti a supportare.

Lo strumento militare deve quindi essere in grado disvolgere una vasta gamma di missioni prima che scop-pino le ostilità, nella fase più propriamente bellica e nellefasi successive.

In ultima analisi, come prospettiva di lungo perio-do, sarebbe auspicabile la costituzione di un rapporto

diretto fra Unione Europea e Stati Uniti, che veda nellaNATO un importante strumento politico ed operativoper la difesa dei comuni interessi.

Il raggiungimento di questo risultato rappresente-rebbe il compimento della tanto sospirata IdentitàEuropea di Sicurezza e Difesa (IESD) che già il Verticedel cinquantesimo anniversario a Washington prospet-tava quale chiave per la riuscita del processo di rinno-vamento.

Conclusioni

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Rapporto Comitato Difesa 2000

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Ma, nel quadro di instabilità diffusa a livello regio-nale e sistemico che ha caratterizzato l’intero scorsodecennio, la coesione transatlantica è stata e resta uninsostituibile fattore di stabilizzazione e di sicurezza

Di qui la preoccupazione per alcune recenti spinteprotezionistiche americane nel mercato della difesa.La richiesta di aumentare la quota di produzione ame-ricana nei programmi di acquisizione del Dipartimentodella Difesa rischia, infatti, di indebolire e ridurre i giàlimitati programmi di collaborazione transatlantica efar riemergere quelle logiche di reciproca contrappo-sizione fra mercato europeo e mercato americano checon grande fatica sembravano essere state avviate adun progressivo superamento. Su questa strada, per altro,risulterebbe ancora più difficile favorire quell’intero-perabilità dei mezzi che è condizione essenziale perun’efficace collaborazione operativa. Ma, ancora piùgravi, sarebbero le inevitabili implicazioni politiche.

In quest’ottica si colloca la nostra proposta di unanuova politica transatlantica attorno ad un rilancio dellaNATO e, insieme, all’assunzione di una nuova respon-sabilità collettiva da parte dei paesi europei.

- Per quanto riguarda la NATO, il suo princi-pale valore politico è dato dal ruolo di strumento difiducia e collaborazione nel rapporto transatlantico, maaltrettanto importante è il suo valore operativo in ter-mini di strutture, assetti e norme consolidate. Il loroutilizzo è indispensabile ai fini di ogni possibile azio-ne comune euro-americana volta a garantire o ristabi-lire la pace, ma è indispensabile anche per ogni even-tuale azione che coinvolga solo l’Europa dal momen-

to che le strutture di sicurezza dell’Unione Europeasono ancora limitate. Una strada da approfondire è lega-ta ai diversi ruoli di vertice fino ad ora svolti da euro-pei e americani nell’Alleanza: ai primi la gestione poli-tica, ai secondi quella militare. Oggi i problemi sem-brano presentarsi sui due lati dell’Atlantico in terminiopposti o, per lo meno, lo sembrano i rischi che le dueproblematiche siano sottovalutate.

- Per quanto riguarda l’Europa, deve trovarela forza per imprimere un nuovo slancio al processodi costruzione di una sua dimensione nel campo dellasicurezza e della difesa. Innanzi tutto perché solo attra-verso un maggiore impegno collettivo potrà eserci-tare una maggiore influenza e potrà contribuire alrilancio della collaborazione transatlantica. E’, infat-ti, solo attraverso un rapporto USA-Europa che que-sta collaborazione potrà stabilizzarsi e potenziarsi nelnuovo scenario globale, superando gli angusti confi-ni di ogni approccio esclusivamente nazionale. Insecondo luogo perché si deve evitare che l’allarga-mento e la riforma alle porte, con tutti i complessiproblemi che determinano, finiscano col relegare insecondo piano i temi della sicurezza e della difesa e,conseguentemente, distraggano l’attenzione dallanecessità di un rilancio del rapporto transatlantico.Resta, inoltre, da quanto è emerso in sede diConvenzione, un diffuso atteggiamento di timidezzaverso più coraggiose ipotesi di integrazione europeain questo campo e questo è un ulteriore motivo permantenere un solido e stretto rapporto di collabora-zione con gli Stati Uniti.