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ISSN 1123-3117 Rapporti ISTISAN

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ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ

Percorso nascita e immigrazione in Italia: le indagini del 2009

A cura di

Laura Lauria e Silvia Andreozzi

Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute

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Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità e Direttore responsabile: Enrico Garaci Registro della Stampa - Tribunale di Roma n. 131/88 del 1° marzo 1988 Redazione: Paola De Castro, Sara Modigliani e Sandra Salinetti La responsabilità dei dati scientifici e tecnici è dei singoli autori. © Istituto Superiore di Sanità 2011

Istituto Superiore di Sanità Percorso nascita e immigrazione in Italia: le indagini del 2009. A cura di Laura Lauria e Silvia Andreozzi 2011, iii, 157 p. Rapporti ISTISAN 11/12

Il Ministero della Sanità, nel piano sanitario nazionale del 1998-2000, ha introdotto il Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI) come tematica di rilevanza strategica. L’Istituto Superiore di Sanità ha avuto il compito di aiutare le unità sanitarie locali ad implementare le raccomandazioni del POMI nel proprio territorio per quanto attiene il percorso nascita e di valutare specificamente l’assistenza al percorso nascita delle donne straniere. Nell’ambito di questo progetto, nel 2009, sono state condotte, in collaborazione con 18 centri nascita, due indagini, una qualitativa l’altra quantitativa con l’obiettivo specifico di valutare l’assistenza pre e post natale delle donne straniere e il loro vissuto. Gli indicatori assistenziali ospedalieri risultano simili tra italiane e straniere mentre differenze emergono nell’assistenza pre- e post-partum. Si rileva per le donne immigrate una generale carenza di informazioni e una minore capacità di usufruire delle opportunità assistenziali. Il consultorio familiare si configura come un importante servizio di riferimento per le donne straniere. Emerge l’opportunità di una organizzazione operativa dei servizi assistenziali che, nell’ottica dell’“offerta attiva”, garantisca continuità assistenziale, presenza di mediatrici culturali, adeguata formazione del personale negli aspetti della comunicazione e dell’informazione.

Parole chiave: Percorso nascita; Immigrati; Consultori familiari Istituto Superiore di Sanità Pre- and post-natal assistance and immigration in Italy: the 2009 surveys. Edited by Laura Lauria and Silvia Andreozzi 2011, iii, 157 p. Rapporti ISTISAN 11/12 (in Italian)

In the National Health Programme 1998-2000, the Italian Ministry of Health introduced a project to improve

maternal and child health. The Istituto Superiore di Sanità (the National Institute of Health in Italy) had the task of helping the local health units to implement the project recommendations for pre- and post-natal assistance and of evaluating its impact among foreign women. Thus two surveys (qualitative and quantitative) were conducted in collaboration with 18 birth centres in 2009. The results show that indicators of assistance at delivery are similar for foreign and Italian women, but pre- and post-natal assistance indicators differ. Foreign women seem to lack necessary information and are less able to take advantage of assistance opportunities. Public family care services are more likely to provide assistance according to the project recommendations. These studies underline that assistance continuity, presence of cultural mediators, adequate personal training in communication and information skills are important and that all services are to be actively offered to be successful.

Key words: Pregnancy assistance; Immigrants; Family care services Si ringraziano tutti gli operatori delle ASL che hanno partecipato alle indagini, in particolare il personale che si è impegnato nella raccolta delle interviste e le mediatrici culturali. Si ringrazia Grazia Caleo per il supporto tecnico. Un ringraziamento particolare va a tutte le mamme che hanno accettato di essere intervistate. Per informazioni su questo documento scrivere a: [email protected] Il rapporto è accessibile online dal sito di questo Istituto: www.iss.it. Per informazioni editoriali scrivere a: [email protected] Citare questo documento come segue:

Lauria L, Andreozzi S (Ed.). Percorso nascita e immigrazione in Italia: le indagini del 2009. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2011. (Rapporti ISTISAN 11/12).

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INDICE

Premessa ............................................................................................................................................ iii

PRIMA PARTE

Consultori familiari, donne immigrate e normativa per l’assistenza in gravidanza

Consultori Familiari secondo il Progetto Obiettivo Materno Infantile: basi epistemologiche, epidemiologiche e operative

Michele E. Grandolfo.................................................................................................................. 3

Donne immigrate in Italia Angela Spinelli, Graziella Sacchetti, Giovanni Baglio, Laura Lauria........................................ 35

Normativa sull’assistenza in gravidanza e nel puerperio per le straniere Salvatore Geraci, Manila Bonciani............................................................................................. 48

SECONDA PARTE

Le indagini del 2009 sul percorso nascita

Indagini sul percorso nascita delle donne straniere Laura Lauria, Emanuela Forcella, Anna Lamberti, Mauro Bucciarelli, Silvia Andreozzi, Michele E. Grandolfo ...................................................................................... 65

Attività dei centri nascita partecipanti alle indagini Gruppo di lavoro sul percorso nascita tra le donne straniere, Laura Lauria, Sonia Rubimarca, Manuela Andreozzi, Marta Buoncristiano, Sabrina Senatore....................... 116

Appendice A Questionario “Percorso nascita tra le donne immigrate” .................................................................. 137

Appendice B Gruppo di lavoro sul percorso nascita tra le donne straniere ........................................................... 153

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PREMESSA

Il Piano Sanitario Nazionale del 1998-2000 indicava come un tema di rilevanza strategica la tutela della salute della donna e del bambino e, di conseguenza, veniva varato il Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI) come espressione operativa di questa visione. Il POMI si articola in più tematiche fondamentali, una delle quali è costituita dall’assistenza al “percorso nascita”. Nell’ambito di questa tematica, l’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con il Ministero della Salute, si è impegnato nella pianificazione, programmazione e realizzazione del progetto “Il percorso nascita: promozione e valutazione della qualità dei modelli operativi” secondo la prospettiva del POMI. Il protocollo di studio ha previsto la conduzione di più indagini, due delle quali dedicate ad approfondire in particolare il percorso nascita tra le donne immigrate. Le due indagini, una qualitativa e l’altra quantitativa, hanno avuto come obiettivi la valutazione del vissuto profondo delle donne immigrate e la valutazione dell’assistenza ricevuta attraverso una serie di indicatori di processo, di risultato e di esito.

In questo rapporto vengono presentati i risultati ottenuti dalle indagini riguardanti il percorso nascita tra le donne straniere nel contesto delle raccomandazioni, delle normative vigenti e della storia dell’immigrazione, in particolare quella femminile, in Italia.

L’intenzione è quella di dare una visione ampia delle problematiche che riguardano il sistema assistenziale per la gravidanza in generale, anche secondo i principi ispiratori del POMI e in questo contesto inserire le specificità legate all’essere straniera.

La prima parte del rapporto dà un quadro generale e si articola in tre capitoli: il primo riguarda le basi epistemologiche, epidemiologiche e operative dell’attività dei consultori familiari secondo il POMI; il secondo descrive l’immigrazione in Italia, la sua evoluzione nel tempo e specificamente la maternità tra le donne straniere; e il terzo affronta, invece, la normativa sull’assistenza in gravidanza e nel puerperio per le straniere. L’importanza di dare spazio a questo argomento e di fare il punto della situazione deriva dalla considerazione che la normativa è purtroppo frutto di una politica altalenante e incerta nei confronti degli immigrati. Cambiano quindi le norme e/o vengono interpretate a livello locale in modo diverso; ne risulta una oggettiva difficoltà e insicurezza da parte degli immigrati con potenziali conseguenze sulla possibilità di usufruire delle opportunità assistenziali esistenti.

La seconda parte del rapporto riguarda le indagini svolte nel 2009. Il primo capitolo riporta i risultati dell’indagine quantitativa, per argomento, e presenta contestualmente, per quanto possibile, le interviste approfondite delle donne per arricchire il contenuto informativo dei numeri con il racconto del vissuto e aumentare così la consapevolezza del significato che essi hanno. Il secondo capitolo fornisce schede descrittive dell’organizzazione e dell’attività dei singoli centri nascita che hanno partecipato alle indagini e una sintesi degli indicatori per centro nascita.

È auspicabile che il rapporto possa costituire uno strumento di riflessione utile, in particolare a livello locale.

Si ringraziano tutti coloro che, a vario titolo, hanno partecipato a questo studio.

Laura Lauria Responsabile scientifico del progetto

“Il percorso nascita: promozione e valutazione della qualità dei modelli operativi”

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PRIMA PARTE

Consultori familiari, donne immigrate e normativa per l’assistenza in gravidanza

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CONSULTORI FAMILIARI SECONDO IL PROGETTO OBIETTIVO MATERNO INFANTILE: BASI EPISTEMOLOGICHE, EPIDEMIOLOGICHE E OPERATIVE

Michele E. Grandolfo Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità

I consultori familiari sono stati istituiti nel 1975 sull’onda della pressione del movimento

delle donne, che ne anticipò l’esistenza istituzionale con la realizzazione di servizi autogestiti. Venivano concepiti come servizi innovativi, nello scenario della sanità pubblica del tempo, anticipando le linee di indirizzo della riforma sanitaria che subito dopo venne varata (legge 833/1978).

Basi epistemologiche

Il modello di stato sociale tradizionale, originato alla fine dell’ottocento, era caratterizzato dal paternalismo direttivo. La legge del 1888, Crispi-Paliani, recitava che l’Igiene Pubblica va comandata e non solo raccomandata. L’istituzione prima dei medici condotti e successivamente degli ufficiali sanitari rifletteva una impostazione “militare” tanto che il Commissariato della Sanità era un dipartimento del Ministero degli Interni, la sanità pubblica veniva considerata nella prospettiva dell’ordine pubblico. La storia della sanità pubblica in Italia testimonia gli indiscutibili successi di questo modello di stato sociale. Basterebbe solo citare gli enormi vantaggi di salute conseguenti alla disponibilità dell’acqua potabile e il controllo delle acque reflue, oltre alla diffusione delle vaccinazioni storiche (vaiolo, difterite, polio e tetano): gli Ufficiali Sanitari, i Medici Provinciali e i Laboratori Provinciali di Igiene e Profilassi, assieme alle Assistenti Sanitarie visitatrici dell’ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia), furono i pilastri della sanità pubblica e gli artefici principali dei suoi successi. Col crescere dello sviluppo socio-economico nella seconda metà del XX secolo venivano proponendosi nuovi bisogni e la loro espansione richiedeva un adeguamento della disponibilità dei servizi, oltre alla sempre maggiore consapevolezza che il dettato costituzionale (art. 32) non potesse rimanere a rappresentare diritti astratti ma finalmente esigibili. I professionisti della salute videro espandere il loro campo d’azione con un potenziale rischio di autoreferenzialità e conflitto di interesse in quanto contemporaneamente: a) interpreti del bisogno percepito di salute, che si andava prepotentemente proponendosi, da tradurre in domanda, b) erogatori diretti o indiretti della risposta e c) valutatori dell’efficacia dell’intervento.

L’autoreferenzialità veniva accentuata dalla teorica impossibilità di effettuare una valutazione scientifica di efficacia a livello individuale, mancando la possibilità della prova controfattuale. Per inciso, solo il metodo epidemiologico rappresenta il surrogato scientificamente accettabile della prova controfattuale. Potrebbe sembrare una drammatica riduzione di opportunità il dover ricorrere a un surrogato per svolgere una funzione che è essenziale in ogni attività umana, quella del valutare se quanto si è fatto abbia effettivamente permesso di raggiungere, e in quale misura, gli obiettivi che hanno mosso all’azione.

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In realtà, quello che in prima istanza sembra una limitazione si rivela un incredibile stimolo a riflettere sui meccanismi della conoscenza. Infatti, la limitazione ci porta a riflettere che la mancanza della prova controfattuale (cioè l’impossibilità di tornare indietro nel tempo e provare altre alternative) deriva dall’avere a che fare con processi vitali e, quindi, irreversibili ed è, pertanto, impossibile prevedere con assoluta certezza il risultato corrispondente a una azione: non si ha a che fare con sistemi macchinici ideali (anche quelli reali, per via dell’attrito, determinano margini di incertezza, seppure modesti), ma con sistemi complessi che possono essere gestiti e compresi solo probabilisticamente. Inoltre, nella valutazione epidemiologica si ha a che fare con diverse persone, “in gruppi di campioni rappresentativi”, si impone, pertanto, una riflessione sulle variabili da tenere sotto controllo e, quindi, da una parte si esce dalla dimensione individuale e, dall’altra, si deve tener conto dei determinanti sociali. Quindi, il metodo epidemiologico sposta l’attenzione dall’individuo alla comunità e pone la questione della definizione operativa della comunità e, soprattutto dei determinanti delle sue articolazioni. Poiché tali articolazioni sono iscritte nel sociale, l’approccio epidemiologico presenterebbe gravi carenze scientifiche se scegliesse come paradigma epistemologico un modello biomedico di salute e non un modello sociale.

L’impostazione autoritaria del modello paternalistico-direttivo aggrava il rischio del conflitto di interesse quando l’espansione dei bisogni e le maggiori disponibilità di risorse rendono appetibile al mercato l’area della salute e, quindi, viene promossa la proliferazione dell’offerta di prestazioni, anche quando non ci sono prove scientifiche accumulate che ne sostengano l’efficacia o quando non c’è la condizione che ne giustifica l’impiego. È di tutta evidenza che la scelta di un metodo scientifico – l’epidemiologia – per la valutazione della qualità e dell’impatto di sanità pubblica non è solo una questione di conoscenza ma anche una faccenda politica. Infatti, le tasse e i contributi sanitari dei cittadini forniscono le risorse al sistema socio-sanitario e il risultato atteso non può essere che efficacia nella pratica, appropriatezza ed equità.

L’equità rende conto dell’obbligazione finale della sanità pubblica: ridurre gli effetti sulla salute delle disuguaglianze sociali. Se questo obiettivo viene raggiunto ogni persona della comunità nazionale ne trae beneficio, qualunque sia la sua condizione sociale, perché lo stato di salute di ciascuna persona dipende da quello di tutte le altre, nessuna esclusa. Questo risultato, scientificamente comprovato, giustifica la proporzionalità in relazione al reddito della contribuzione per garantire i servizi sanitari.

L’equità rappresenta anche la condizione perché gli indicatori di esito, calcolati, come non potrebbe essere altrimenti, a livello di popolazione si modifichino significativamente. Infatti, nella generalità dei casi, le sezioni di popolazione affette da deprivazione sociale sono anche quelle, e non è una sorpresa se si assume un modello sociale di salute, che producono con più frequenza e/o con maggiore gravità eventi e condizioni di sofferenza.

È interessante rilevare come il modello di welfare direttivo-paternalistico sosteneva anche l’idea che le prestazioni proposte fossero sempre da assumere come valide in quanto formalmente scelte secondo scienza (ma quale scienza?) e coscienza, per cui la valutazione poteva limitarsi a un aspetto di apparente efficienza: “quante prestazioni nell’unità di tempo?” Apparente efficienza, infatti, se l’efficienza è definita come efficacia acquisita, a numeratore, e risorsa impiegata, a denominatore, se l’efficacia è zero (intervento inefficace o inappropriato) qualunque quantità si disponga a denominatore, l’efficienza risulta sempre zero. Ciò implica che è interessante solo una valutazione di qualità, rappresentata da indicatori di salute validi e, pertanto, misurabili. Solo la qualità, valutata scientificamente, e non le prestazioni, è il corrispettivo adeguato alle tasse pagate dai cittadini.

Il punto è che la qualità può essere apprezzata in modo rigoroso solo quando si considera coinvolta nell’intervento tutta la popolazione per la quale l’intervento stesso è indicato, perché qualunque forma di selezione può pregiudicare la valutazione in quanto fattore della qualità

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potrebbe essere quello stesso della selezione, piuttosto che l’intervento. Cioè a dire che un sistema sanitario pubblico universale è l’unico contesto in cui l’azione può essere valutata in modo rigorosamente scientifico. È l’unico contesto in cui il processo continuo della valutazione è il più formidabile meccanismo per il progresso delle conoscenze.

Infatti, la professionalità non è rappresentata dall’esecuzione a regola d’arte di procedure standardizzate (le macchine a controllo numerico farebbero molto meglio tale attività) ma dalla capacità di riconoscere le deviazioni della realtà effettuale dalle previsioni secondo il modello interpretativo e più in generale dalla visione del mondo, cioè dalla capacità di riconoscere gli errori e saper “vedere” una nuova prospettiva per il cambiamento del modello operativo o per il cambiamento dei paradigmi epistemologici che lo sottendono.

Tutto ciò in un contesto in cui è operativo il confronto tra pari e in cui gli stimoli più ricchi provengono dalle sollecitazioni più estreme: sono proprio le condizioni di maggiore alterità a mettere alla prova la qualità dei modelli operativi e, più in generale la visione del mondo. Nella seconda metà del XX secolo, all’espansione delle risorse si associava la maturazione di un conflitto sociale in cui si rivendicava il diritto da parte dei produttori della ricchezza di goderne. La rivendicazione dell’autonomia del salario (variabile indipendente) corrispondeva alla rivendicazione da parte dei produttori allargati di ricchezza sociale della titolarità nella espressione dei bisogni, con il rifiuto della tutela e l’assunzione della condizione di competenza nell’autodeterminazione: i gruppi omogenei operai andavano rivendicando il diritto di autorappresentare il proprio stato di salute, persino i malati di mente riuscirono a conquistare il diritto alla parola. Ma il fenomeno più potente fu il movimento delle donne che, con la proposizione del punto di vista di genere, rivendicavano l’autonomia della persona e il rifiuto dei ruoli, andando così a scardinare le radici del patriarcato come fondamento delle radici sociali delle relazioni di potere.

Il tema della salute e della sua promozione diveniva paradigmatico in quanto in grado, più che in ogni altra situazione, di far emergere le caratteristiche del modello di welfare e i paradigmi epistemologici del modello di salute.

I conflitti sociali imponevano il modello sociale di salute (le “cause” sociali sono dietro le “cause” biologiche dello stato di salute) e proponevano un modello di welfare basato sulla partecipazione e sulla capacitazione (empowerment) delle persone e delle comunità, riconoscendo loro le competenze potenziali da valorizzare: si era in presenza di una rivoluzione copernicana.

Per inciso, nello stesso periodo andava sviluppandosi l’esperienza iniziata in Bangladesh da Yunus, il banchiere dei poveri (premio Nobel 2006), con il microcredito, per sostenere il controllo autonomo del proprio stato sociale da parte delle persone, contro il miserabile assistenzialismo. E non è un caso che fossero le donne (oltre il 97%) a usufruire del microcredito per sviluppare attività produttive in grado di garantire il sostentamento della famiglia e l’istruzione dei figli. Centinaia e centinaia di milioni di persone hanno potuto cambiare il proprio stato dalla miseria alla dignità, grazie all’intuizione geniale che ogni persona, e se è donna ancora di più, ha potenzialità da promuovere. Questo le donne del Sud del mondo affermarono con forza nella conferenza di Pechino del 1995, proponendo l’empowerment contro le proposte del Nord di offrire tutela e assistenzialismo. Sempre Yunus, recentemente, ha promosso il microcredito ai mendicanti (almeno centomila si sono fatti coinvolgere), dando loro la possibilità di recuperare la dignità e il rispetto di sé e dimostrando che proprio tutti, nessuno escluso, sono portatori di potenzialità da valorizzare. Nel modello sociale di salute l’assunzione della competenza della persona è essenziale, a partire dalla constatazione che tali determinanti della salute possono essere conosciuti adeguatamente solo se la persona stessa viene messa in condizione di poterli esprimere. Sia l’attività di cura e riabilitazione, dal processo diagnostico alla costituzione dell’alleanza terapeutica, sia l’attività di

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promozione della salute devono partire necessariamente dal riconoscimento, da parte dell’operatore e della persona, dei determinanti sociali, attraverso la riflessione sui vissuti quotidiani e sulla memoria storica della comunità di appartenenza. Ed è compito professionale primario di chi opera per la tutela e promozione della salute esercitare l’arte della maieutica nella relazione con la persona, perché faccia emergere alla propria consapevolezza e a quella del professionista i determinanti sociali del proprio stato di salute. Oggi si parla di medicina narrativa, ma se la medicina non è narrativa che cosa è?

In quella temperie nasce la spinta per la creazione di nuovi servizi: con competenze multidisciplinari per una visione olistica della salute e in grado di agire in modo integrato per la promozione della salute.

Un welfare della partecipazione significa che è competenza dell’operatore (dell’équipe multidisciplinare) interagire con la persona in un rapporto paritario basato sul rispetto, sulla gentilezza, sull’empatia, sulla compassione e sull’umiltà. Significa anche che, quando la comunicazione non è efficace perché si frappongono barriere, è compito dell’operatore riconoscerne la natura (fisica, psicologica, culturale, sociale, etica, antropologica) assumendo con umiltà (base fondamentale per la conoscenza) la responsabilità dell’errore di comunicazione. L’errore nasce dalla inadeguatezza del modello interpretativo che viene assunto nell’interagire con la persona e tale inadeguatezza può dipendere dai paradigmi che sostengono la visione del mondo del professionista. Cogliendo i segnali con attenzione, con grande disponibilità all’ascolto ed eventualmente investigando sui motivi della non accettazione, il professionista può essere in grado di stimare i fattori di rischio del fallimento della comunicazione e tentare creativamente strade innovative. L’umiltà è essenziale per mettere in discussione la propria visione del mondo e per evitare di cadere nella trappola autoreferenziale del biasimo delle vittime, vera tomba della professionalità e, con essa, della sanità pubblica.

A sostenere il paternalismo direttivo stava un modello biomedico di salute, riduzionista e deterministico. Come si è detto, tali modelli di stato sociale e di salute sono stati messi pesantemente in discussione all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso dal movimento dei gruppi omogenei operai (Maccacaro), da Basaglia con la liberazione dall’inferno concentrazionario dei malati di mente e il riconoscimento del loro diritto alla parola e, soprattutto, dal movimento delle donne, con la proposizione del punto di vista di genere. Queste istanze ponevano potentemente all’ordine del giorno la soggettività e l’autodeterminazione. La questione di fondo era il rifiuto di un modello di salute biomedico nella convinzione che i “fattori sociali”, storicamente determinati, sono le cause dietro le cause biologiche dello stato di salute. E i determinanti sociali sono anche espressione delle relazioni di potere tra le persone. Per questo il movimento delle donne ha avuto un ruolo così decisivo nel proporre la messa in discussione delle relazioni di potere basate sul genere e la contestazione del patriarcato come espressione di dominio. La proposizione di un modello sociale di salute si accompagnava a una nuova visione di stato sociale, a partire dalla convinzione che i determinanti sociali sono dicibili e modificabili solo dalle persone e dalle comunità. Ciò implicando un approccio relazionale basato sulla partecipazione e sulla capacitazione (empowerment), a partire dal sostegno, con l’arte socratica della maieutica, alla persona nella capacitazione a parlare di sé e nel riflettere sulla propria condizione. Pertanto se la medicina non è narrativa, non è medicina. Così, con il modello biomedico di salute si metteva radicalmente in discussione anche il modello di stato sociale paternalistico direttivo. I consultori familiari furono fondati nella prospettiva di sostenere le persone nello sviluppo della consapevolezza e delle competenze (empowerment), a partire dal riconoscimento del punto di vista di genere, e per fare ciò si presentavano come servizi sociosanitari, con competenze multidisciplinari, per cogliere in modo integrato i determinanti della salute e, a partire dalla loro conoscenza, agire in termini di promozione della salute.

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Si dimostrava così chiaramente la connessione tra il paradigma epistemologico del modello sociale di salute con quello del modello di stato sociale (welfare) della partecipazione e dell’empowerment. La finalità della promozione della salute ha rappresentato la scelta innovativa per l’attività dei consultori familiari. Ma che cosa è la promozione della salute? La Carta di Ottawa ne dà una sintesi: l’insieme delle attività che hanno come obiettivo l’aumento della capacità delle persone e delle comunità di avere controllo sul proprio stato di salute. La promozione della salute, secondo tale definizione, rappresenta il suggello dei due paradigmi epistemologici e i consultori familiari ne rappresentano la potenziale materializzazione. Oltre alla legge istitutiva dei consultori familiari, nel 1978 vennero varate tre leggi fondamentali che incorporavano significativamente le istanze che in quegli anni erano state poste all’ordine del giorno: la legge 180, la legge 194 e la legge 833. La legge 180 riconosceva pienamente la dignità della persona anche quando affetta da patologia mentale, la legge 194, nel porre rimedio alla piaga dell’aborto clandestino, riconosceva alla donna il diritto all’ultima parola, la legge 833 poneva al centro la promozione della salute, scardinava un modello centralistico, paternalistico e direttivo riconoscendo la centralità della persona contro l’autoreferenzialità dei professionisti (orientati secondo un modello biomedico di salute e con l’attitudine paternalistico-direttiva) trasferendo il ruolo di autorità sanitaria dal professionista (l’ufficiale sanitario, peraltro con meriti storici indiscutibili) al sindaco, come rappresentante istituzionale più prossimo alla comunità locale. Al sindaco stesso veniva assegnato il ruolo di presidente della Conferenza Sanitaria Locale, organo consultivo della Unità Sanitaria Locale (USL), con il compito centrale di verificare che la programmazione operativa delle attività della USL fosse coerente con il piano sanitario regionale, adattando quanto necessario alle esigenze della comunità locale, nell’ipotesi che il piano regionale fosse a sua volta coerente con il piano sanitario nazionale, approvato con legge, indicante gli obiettivi di salute (e quindi i diritti di salute esigibili) come corrispettivi delle tasse pagate dalla comunità nazionale. Nella legge 833 veniva considerato l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) organo tecnico-scientifico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e sede dell’osservatorio epidemiologico nazionale, in rete con gli osservatori epidemiologici regionali, strumento essenziale per la valutazione della qualità complessiva dell’SSN, testimoniata da adeguati indicatori di processo, di risultato e di esito, determinati per condizione sociale e per area geografica, al fine di verificare il perseguimento degli obiettivi di salute, sanciti dalla legge, in ogni contesto geografico e in ogni contesto sociale. Presupposto del funzionamento del sistema doveva essere proprio la valutazione continua della qualità. Alla conferenza sanitaria locale competeva ovviamente anche il ruolo di verificare quanto il complesso delle attività effettivamente garantisse i diritti di salute.

La resistenza verso l’innovazione è stata espressa attraverso il rifiuto sistematico della valutazione della qualità delle attività, a tutti i livelli, a partire dalla non determinazione degli obiettivi di salute, scientificamente definiti, e degli indicatori di esito, risultato e di processo. Gli esercizi di elaborazione di piani sanitari erano più che altro libri dei sogni e non strumenti di governo. D’altronde, assumendo i vecchi paradigmi, che bisogno c’era di valutazione? Nel modello biomedico di salute chi sa, il tecnico, deve agire secondo “scienza e coscienza” e la valutazione semmai avrebbe riguardato la conoscenza e la deontologia ma come dubitare della sapienza e dell’onestà intellettuale del taumaturgo? D’altronde, se le cose vanno bene è merito del taumaturgo, se vanno male è il corso della natura. È l’autoreferenzialità fatta sistema con l’esplodere del conflitto di interesse: perché il professionista traduce il bisogno percepito di salute in domanda di salute, fornisce la risposta e si arroga l’esclusività del giudizio sulla validità dell’operare. In realtà, i processi vitali sono irreversibili e non deterministici, fortemente condizionati dal contesto sociale, economico e antropologico. Ogni modello scientifico per la loro rappresentazione è, in quanto tale, con una conosciuta e calcolabile probabilità di essere fallibile (altrimenti non sarebbe un modello scientifico). Pertanto la valutazione, condotta con

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adeguate procedure epidemiologiche, è condizione indispensabile per il progresso della conoscenza, oltre che per il miglioramento continuo delle competenze professionali, attraverso l’aggiornamento professionale continuo in un circuito virtuoso di programmazione, valutazione e formazione. Il tradimento della legge 833/78 è conseguenza del rifiuto della maggioranza degli operatori del servizio sanitario di rinunciare al paternalismo direttivo e di riconoscere, conseguentemente, la necessità di assumere un modello sociale di salute. Una significativa dimostrazione di ciò è la sistematica azione di emarginazione e svalorizzazione dei consultori familiari. L’esplosione dell’inappropriatezza, nel far lievitare i costi, garantisce il mercato della salute. Le cosiddette riforme della 833, rappresentate sinteticamente dall’aziendalizzazione, rappresentano clamorosamente l’imbroglio perpetrato. In effetti, un’azienda non è soltanto interessata a produrre di più a costi contenuti beni da mettere sul mercato, ma se i beni sono di bassa qualità non hanno mercato, e non c’è azienda che non si doti di un controllo di qualità perché non può permettersi di scoprire dalla risposta del mercato che la qualità non è adeguata. Con l’aziendalizzazione delle USL e degli ospedali l’unica valutazione riguarda il numero di prestazioni senza preoccuparsi dell’appropriatezza, sostenendo così l’autoreferenzialità degli operatori, che da grandi elettori e assicuratori di clientele si alleano ai politici di turno. Ipotizzare livelli di spreco di risorse attorno al 30%, per interventi inappropriati o non efficaci sulla base di prove scientifiche, non è irrealistico. Basti pensare, solo per fare degli esempi, all’uso sconsiderato degli antibiotici, all’eccesso di interventi diagnostico terapeutici nel percorso nascita, alla non promozione, sostegno e protezione dell’allattamento al seno, all’uso generalizzato dell’anestesia generale nell’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG), per rendere ragionevole la stima del livello di spreco.

Basi epidemiologiche

Se la promozione della salute ha come obiettivo l’aumento della capacità di controllo delle persone e delle comunità sul proprio stato di salute, come si misura l’efficacia di tale insieme di attività, tenendo conto che nessuna azione svolta con la singola persona è valutabile a livello individuale per la non disponibilità della prova controfattuale? E ciò se è vero nell’attività di cura, in cui comunque usualmente si osserva una transizione di stato che però può avvenire grazie, nonostante o indipendentemente dalle cure, è a maggior ragione vero nella promozione della salute. L’azione deve essere in grado di coinvolgere la persona, con l’arte socratica della maieutica, in un processo di riflessione sul proprio vissuto quotidiano, sulla memoria storica della comunità di appartenenza al fine di promuovere, alla luce delle nuove conoscenze, proposte criticamente, e delle possibili soluzioni e con il corredo del rischio di errore per tutte le alternative, consapevolezza e competenza per scelte responsabili e autonome. Si tratta, quindi, di un vero e proprio processo di empowerment.

La promozione della salute determina una riduzione del rischio di eventi sfavorevoli (per il maggior controllo del proprio stato di salute), produce “non eventi” e, quindi, determina una riduzione del tasso di incidenza degli eventi o del tasso di prevalenza delle condizioni di “sofferenza”, che si avrebbero senza l’intervento stesso nella popolazione di riferimento. Ma la popolazione di riferimento non è omogenea rispetto al rischio e, assumendo un modello sociale di salute, non è una sorpresa riconoscere che il rischio è maggiore in quelle sezioni di popolazione maggiormente esposte a condizioni di deprivazione sociale, caratterizzate in primo luogo da scarsa capacità di “cercare salute” (lack of health seeking behaviour). Il coinvolgimento di tutte le sezioni sociali della popolazione, soprattutto quelle a maggior rischio, nel processo di promozione della salute è fondamentale. La conoscenza delle articolazioni sociali della popolazione rispetto al rischio è il cardine epidemiologico delle strategie di

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promozione della salute. Infatti, se non vengono coinvolte efficacemente tutte le persone in tutte le articolazioni, soprattutto in quelle a maggiore deprivazione sociale, non si osserveranno modificazioni significative degli indicatori di esito.

La non omogeneità della distribuzione del rischio fa sì che non c’è relazione lineare tra livello di coinvolgimento della popolazione (tasso di rispondenza) e livello di riduzione dell’indicatore di esito: ipotizzando una popolazione di 10000 unità, di cui il 20% (2000) con rischio 5% e l’80% a rischio 0,5%, nelle due sezioni verranno prodotti 100+40 casi (tasso 14/1000= 0.014); se l’intervento di promozione, efficace nell’annullare il rischio, coinvolge efficacemente il 10% della sezione più a rischio e il 90% di quella meno a rischio, dalla prima sezione si produrranno 90 casi residui (5% di 1800) e dalla seconda sezione 4 casi (0,5% di 800), per un totale di 94 casi. Il tasso di rispondenza totale è 200+7200=7400 su 10000, pari al 74%, mentre il numero di eventi residui è 94, con un tasso di 94 su 10000, cioè 0.0094, con una riduzione del tasso di incidenza pari a [(0,0094-0,014)/0,014]x100= -32,9%. A un tasso di rispondenza del 74% corrisponde una riduzione del tasso di incidenza di poco meno del 33%. Se il cardine epidemiologico delle strategie di promozione della salute è l’identificazione della popolazione bersaglio e le sue articolazioni rispetto al rischio, il cardine operativo è l’offerta attiva. Offerta: ci si rivolge alla persona, sia perché accetti di farsi coinvolgere, sia per attivare il processo di empowerment (arte socratica della maieutica), con rispetto, gentilezza, empatia, compassione (intesa nel senso etimologico del termine e non nel senso miserabile di commiserazione) e umiltà. Attiva: se la persona non accetta di farsi coinvolgere o il processo di coinvolgimento non è efficace è responsabilità del professionista investigare sugli errori commessi nella comunicazione o nella relazione per identificare le barriere della comunicazione (che possono essere iscritte nelle dimensioni fisiche, psicologiche, sociali, culturali, etiche e antropologiche), cercando soluzioni, anche innovative, raccogliendo gli stimoli, i segnali e i suggerimenti che la persona e/o la sua comunità di appartenenza possono più o meno esplicitamente inviare. Di qui l’importanza dell’umiltà come fondamentale e primaria competenza professionale. Risulta quindi decisivo rifuggire da messaggi standardizzati (ogni persona è diversa) e, a maggior ragione, da informazioni veicolate con i tradizionali mezzi di comunicazione di massa che sono unidirezionali. Questi, di scarsa utilità, al più sono utili come sostegno e sfondo alla comunicazione individuale in cui, ripudiando il paternalismo direttivo, si lavora interattivamente per la presa di coscienza e per la promozione, la valorizzazione e il sostegno delle competenze a partire dalla riflessione sui vissuti e sulla memoria storica della comunità di appartenenza. Parlare di popolazione bersaglio questo significa: è responsabilità dell’arciere raggiungere con la freccia il bersaglio, non è il bersaglio a muoversi per intercettare la traiettoria della freccia stessa. La conoscenza dei modi di vivere sociale delle specifiche popolazioni con le quali si deve intervenire, l’utilizzo di canali già dimostratisi praticabili per altri interventi, anche da parte di altri servizi e istituzioni è raccomandabile. Le persone più attive nella popolazione possono rappresentare formidabili aiuti nel fornire suggerimenti per intercettare le persone, soprattutto quelle più difficili da raggiungere. Deve essere costantemente presente la consapevolezza che le persone più difficili da raggiungere (hard to reach) sono anche quelle più a rischio e si è già evidenziato come non raggiungerle adeguatamente può mettere in discussione il successo della strategia in quanto gli indicatori di esito subiscono una modificazione molto minore di quanto desiderabile per giustificare la ragione dell’impegno di sanità pubblica e la priorità dell’intervento. Se gli indicatori di esito servono per valutare se gli obiettivi sono stati raggiunti e in quale misura, l’indicatore di processo, dato dal tasso di rispondenza è il primario indicatore da assumere nel monitoraggio e nella valutazione. Per quanto detto questi indicatori debbono essere disponibili per ogni stratificazione sociale della popolazione di riferimento. Loro differenziali per stratificazione sociale rappresentano comunque un segnale importante de scarsa qualità nell’offerta attiva e/o scarsa qualità nel

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processo di empowerment. Gli indicatori di risultato descrivono l’efficacia nella pratica delle azioni nel determinare i risultati attesi perché gli obiettivi siano raggiunti.

In definitiva, si può parlare di strategie di promozione della salute quando vengono definiti obiettivi misurabili attraverso opportuni indicatori di esito o outcome (es. riduzione di incidenza di una malattia prevenibile mediante vaccinazione, riduzione di incidenza del tumore del collo dell’utero, aumento della prevalenza di bambini allattati esclusivamente al seno al 6° mese di vita, ecc.), attraverso i quali valutare se siano stati raggiunti gli obiettivi.

Questi ultimi possono essere conseguiti solo se sono stati ottenuti risultati significativi, misurabili con altri adeguati indicatori di risultato o di output (es. percentuale di siero conversione; percentuale di donne identificate positive dal pap-test che completano il ciclo specifico dei trattamenti previsti; percentuale di donne che sono in grado di risolvere un problema di allattamento o sono in grado di rivolgersi a chi le aiuta a risolvere efficacemente il problema, sul totale delle donne che hanno problemi nell’allattamento).

Lo svolgimento delle attività necessarie per ottenere i risultati attesi è a sua volta misurabile attraverso specifici indicatori di processo (per es. percentuale di persone vaccinate sul totale di quelle candidate alla vaccinazione, percentuale di donne che effettuano un pap-test sul totale di quelle invitate, percentuale di donne che accettano una visita domiciliare per ricevere counselling e sostegno all’allattamento materno, sul totale delle donne che partoriscono).

Si deve attentamente riflettere sul fatto che uno scadente tasso di rispondenza è prognostico di scarsa qualità in generale e in ogni stratificazione sociale, soprattutto quando si evidenziano differenziali. Le competenze professionali per farsi accettare sono le stesse necessarie per attivare il processo di empowerment: rispetto, gentilezza, empatia, compassione e umiltà. Cioè a dire che se tali competenze sono scarse il primo effetto è la ridotta adesione, soprattutto per quelle sezioni di popolazione affette da deprivazione sociale rispetto alle quali le barriere della comunicazione possono essere molto consistenti. Ma anche le persone che comunque accettano di farsi coinvolgere possono essere esposte a una esperienza meno valida proprio a causa della minore qualità di quelle competenze professionali. Usualmente l’approccio direttivo-paternalistico, esplicito o più o meno mascherato, produce i maggiori danni, determinando una minore rispondenza, soprattutto nelle condizioni di deprivazione sociale, a cui si associa una minore qualità dei risultati tra le persone raggiunte, con conseguente scarso miglioramento degli indicatori di esito.

Come si è detto, la promozione della salute ha come obiettivo l’aumento della capacità di controllo da parte delle persone sul proprio stato di salute. Poiché ciò comporta una maggiore competenza a ridurre l’esposizione ai rischi, la valutazione dell’efficacia (meglio sarebbe dire l’impatto) di una strategia di promozione della salute si effettua osservando una significativa modificazione degli indicatori di esito (tassi di incidenza o di prevalenza), non altrimenti giustificata.

Ma proprio perché si tratta di un processo di empowerment si valuta l’efficacia della strategia anche osservando con indicatori adeguati l’aumentata capacità delle persone di cercare salute: aumenta la richiesta di aiuto, per problemi che prima non si pensava potessero trovare soluzione, o per i quali non si aveva idea a chi rivolgersi o, ed è il caso più interessante, perché di quei problemi si provava vergogna e non si aveva il coraggio di esplicitare, anche perché vissuti come esperienza di fallimento di vita, basti pensare all’iceberg del disagio familiare soprattutto quando sostenuto da manifestazioni di violenza. Avere consapevolezza di questa opportunità è fondamentale per non cedere alla tentazione di organizzare “sportelli” per le condizioni di disagio (disagio familiare, violenza sulle donne, disagio adolescenziale, ecc.) sempre esposti al rischio di stigmatizzazione delle vittime, comunque in grado di avere a che fare con la punta dell’iceberg, in ogni caso con il problema esploso e non in fase prodromica. A quel punto non servono più servizi di primo livello ma servizi terapeutici almeno di II livello,

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per esempio per il recupero di un bambino maltrattato e per la terapia familiare per una famiglia maltrattante o per interventi psicoterapeutici. Anche da queste considerazioni deriva l’importanza che nei servizi consultoriali, di primo livello perché dedicati prioritariamente alla promozione della salute, siano previste figure professionali esperte di patologia (ginecologo, psicologo, pediatra), in grado quindi di effettuare la presa in carico ed eventualmente, quando il problema richiede un intervento complesso, di riferire a servizi di II livello. Gli esperti di patologia sono ovviamente necessari anche per accogliere la eventuale richiesta di aiuto spontanea, sempre per interventi di prima istanza e di filtro.

Una ulteriore manifestazione, preziosissima, di una efficace azione di empowerment, sempre apprezzabile con opportuni indicatori, è il desiderio delle persone che hanno acquisito consapevolezza e competenze di farsi parte dirigente verso altre persone, sia nel facilitare il superamento delle barriere testimoniando la credibilità dei servizi, sia svolgendo una attività di aiuto tra pari, costituendo gruppi di auto aiuto, attivando momenti di coinvolgimento della comunità per la presa di coscienza sui diritti di salute e sulle possibilità di intervento.

Questo aspetto può rappresentare una possibilità straordinariamente importante quando si ha a che fare con adolescenti, coinvolti primariamente nel contesto scolastico con gli incontri di educazione sessuale e, a partire da tali incontri, stimolati in piccoli gruppi ad approfondire, nel contesto della didattica curricolare, vari argomenti di salute (dagli aspetti della sessualità e della salute riproduttiva, alla nascita, l’alimentazione, gli stili di vita, le relazioni di genere, gli indicatori di salute essenziali per valutare lo stato di salute della comunità e la qualità dei servizi socio-sanitari nel loro complesso). Si possono sviluppare interessantissime connessioni tra i vissuti e la memoria storica della comunità di appartenenza, recuperati con interviste nella comunità, e l’esperienza umana globale espressa nella storia, nella letteratura, nell’arte, confrontando culture nella loro evoluzione nel tempo e nelle espressioni geografiche delle diverse civiltà.

Il corpo docente, opportunamente supportato, può svolgere un ruolo prezioso, nell’esercizio professionale della didattica, nel guidare i gruppi. La disponibilità di Internet moltiplica le potenzialità di tali sviluppi, con conseguenze straordinarie di fidelizzazione alla scuola. Lo spazio adolescenti (per esempio un pomeriggio a settimana a loro esclusivamente dedicato) nel consultorio o in altro luogo fisico può essere l’occasione per gli approfondimenti delle riflessioni e delle conoscenze acquisite con gli operatori consultoriali. Così si creano condizioni non stigmatizzanti perché una condizione di disagio trovi un canale, facilitato e schermato, di espressione e di conseguente presa in carico (altro che sportelli di ascolto nelle scuole!). Appaiono evidenti altre straordinarie potenzialità nel momento in cui i prodotti delle “ricerche e approfondimenti”, espressi sul piano letterario, drammatico o artistico, vengono proposti alla comunità connettendo vissuti e memoria storica locale con l’esperienza umana globale. È la scuola (e l’età evolutiva) che si fa promotrice di salute nella comunità. Si pensi al contributo formidabile delle persone in formazione che acquisiscono e diffondono gli strumenti per la rappresentazione dello stato di salute della comunità con validi indicatori, perché la comunità abbia una più adeguata consapevolezza del proprio stato di salute e dei conseguenti diritti esigibili (altro che la difesa di ospedali obsoleti e inadeguati alla gestione della terapia intensiva, come deve essere il III livello! Più probabilmente maturerebbe la consapevolezza della necessità di servizi poliambulatoriali con annesso pronto soccorso di II livello). Centri anziani, associazioni culturali e centri sociali e altri luoghi di aggregazione possono essere le sedi privilegiate, anche con il supporto logistico delle autorità comunali (peraltro autorità sanitaria) e il possibile sostegno finanziario delle forze produttive locali.

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Basi operative

Interventi individuali, sporadici di promozione della salute non hanno significato di sanità pubblica perché non valutabili. Si devono considerare strategie di promozione della salute.

Una strategia di prevenzione e promozione della salute deve prevedere un modello organizzativo che, tenendo conto delle caratteristiche della popolazione e delle risorse disponibili e di quelle potenzialmente attivabili (anche provenienti dalla popolazione stessa), assicuri che ogni singola persona sia raggiunta da operatori motivati e addestrati in grado di farsi accettare con modalità di comunicazione modulate sulle caratteristiche della persona e quindi capaci di tener conto degli aspetti culturali, relazionali, psicologici, etici, sociali e antropologici. L’espressione del rifiuto individuale deve essere considerato dall’operatore un formidabile stimolo a riflettere su potenziali errori di comunicazione su uno o più degli aspetti citati e impone l’obbligo, che la strategia operativa deve prevedere, di svolgere periodicamente una valutazione epidemiologica dei fattori di rischio associati al rifiuto e dell’entità della persistenza del problema nelle persone non raggiunte. Di qui l’importanza strategica dell’indicatore costituito dal tasso di rispondenza.

Per la progettazione operativa di una strategia di promozione della salute si deve partire da: - una chiara definizione di obiettivi di salute specifici; - una descrizione dei sistemi e degli indicatori di valutazione (di esito, di risultato e di

processo che si sviluppano nel corso della progettazione operativa stessa); - la identificazione della popolazione bersaglio (frazione della popolazione generale a

rischio di produrre eventi o condizioni negativi che il programma di promozione della salute intende prevenire) e le sue articolazioni per livello di rischio;

- la identificazione di adeguate e articolate modalità di offerta attiva, con conseguente identificazione degli indicatori di processo;

- la caratterizzazione delle modalità di esecuzione di attività efficaci nella pratica, con conseguenti momenti di aggiornamento e addestramento professionale;

- la ricerca e l’attivazione delle sinergie tra i servizi e le professionalità; - la descrizione dei risultati attesi associati alle attività previste e agli obiettivi posti, e

conseguente identificazione degli indicatori di risultato. La progettazione deve anche prevedere indagini su: - fattori di rischio della non rispondenza; - incidenza dei problemi, che la strategia intendeva prevenire, nella sezione della

popolazione bersaglio non raggiunta. Dall’attività prevista per l’offerta attiva e per l’intervento è possibile calcolare i carichi di

lavoro per ogni singola figura professionale, articolati nello spazio (bacini di riferimento consultoriale e di distretto) e nel tempo, anche al fine di caratterizzare i carichi di lavoro settimanale.

Nella valutazione dei carichi di lavoro è necessario calcolare i tempi anche considerando che, scelte le aree strategiche di intervento, è possibile innestare su queste programmi satellite. Inoltre, si deve tener conto del tempo necessario per la presa in carico di problematiche per le quali si esprime la richiesta di aiuto, stimolata dall’attività di promozione della salute. Se il percorso nascita, l’educazione sessuale nelle scuole e lo screening per il tumore del collo dell’utero sono certamente aree strategiche di intervento di promozione della salute, appaiono evidenti le possibilità di innestare programmi satellite.

Per esempio nel percorso nascita possono (devono) essere sviluppate la promozione della corretta alimentazione, a partire dalla promozione dell’allattamento al seno, la promozione della procreazione responsabile, tenendo conto che dopo la nascita la ripresa dei rapporti sessuali

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nella generalità dei casi avviene nella prospettiva di non avere subito dopo una nuova gravidanza, e così via. Dei possibili sviluppi si è già accennato nel caso dell’educazione sessuale nelle scuole. Nel caso dello screening con il pap-test, sarebbe assurdo organizzare i tempi operativi alla stretta esecuzione della manovra, senza cogliere la enorme opportunità, favorita da una accoglienza adeguata, di esplorare con la donna la dimensione della procreazione responsabile, del desiderio di fecondità, della prevenzione dell’obesità, della prevenzione del tumore del seno, della menopausa, tanto per citare aree di interesse di sanità pubblica riguardo la promozione della salute. Si ha a che fare, infatti, con donne di età compresa tra 25 e 64 anni, cioè donne attive, prevalentemente con responsabilità di cura familiari, veri pilastri della famiglia, in grado di irradiare alla stessa consapevolezze e competenze. Se si vuole arrivare alle famiglie è necessario farlo a partire dalle donne, se si vuole arrivare agli uomini bisogna partire dalle loro compagne di vita.

Come si è accennato prima, l’istaurarsi di una relazione valida favorisce l’espressione di un eventuale disagio familiare, soprattutto quello in fase prodromica, permettendo all’équipe consultoriale la offerta di aiuto e presa in carico.

È determinante per la crescita della professionalità nel campo della promozione della salute valutare continuamente i risultati acquisiti e gli obiettivi raggiunti, rispetto a quelli programmati e diviene essenziale porsi la domanda sul perché del non raggiungimento e quanto pesa la sua estensione nel non perseguimento degli obiettivi programmati. Il fallimento nel raggiungere le persone e nel loro coinvolgimento deve stimolare la/il professionista della promozione della salute a rimettere in discussione i modelli interpretativi e i paradigmi epistemologici assunti (la propria visione del mondo), rifuggendo dall’autoreferenzialità (cioè non biasimando le vittime, che appaiono brutte, sporche e cattive). Solo in questo modo si determinano le condizioni per trovare modalità innovative di comunicazione e di coinvolgimento.

Quindi come la programmazione, scientificamente intesa, la valutazione è parte integrante dell’attività lavorativa, non opzionale, e deve rappresentare un carico di lavoro definito e programmato. La valutazione è l’attività senza la quale non si può parlare di attività professionale e senza valutazione non c’è stimolo alla crescita professionale. La valutazione quindi è nel processo della formazione continua. Programmazione, valutazione e formazione continua o stanno assieme o sono, considerati separatamente, esercizi sterili.

La valutazione consiste: a) nel verificare la distanza tra gli obiettivi raggiunti e quelli previsti utilizzando gli indicatori di esito, di output e di processo (valutazione a lunga, media e breve distanza) e le ragioni di questa distanza (controllo di qualità interno); b) nel confrontare la propria esperienza, rappresentata dagli indicatori, con quella dei servizi analoghi dislocati in altri ambiti territoriali (controllo di qualità esterno).

Nel Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI) si possono individuare tre progetti strategici: percorso nascita, adolescenti e prevenzione del tumore del collo dell’utero. Tre priorità non tanto per la gravità e la frequenza dei problemi che possono essere prevenuti quanto, soprattutto, per l’alta possibilità di intervento e per la straordinaria esemplarità pedagogica (quanto aumenta la competenza dei professionisti, quanto si sviluppa l’empowerment delle persone e delle comunità).

Basti pensare alle relative popolazioni bersaglio: donne e coppie nella realizzazione concreta del desiderio di maternità e genitorialità, adolescenti in via di formazione, donne di età compresa tra 25 e 64 anni.

Le donne nella massima potenza della loro attività di cura e sostegno della famiglia e quindi veri e propri pilastri della società, e adolescenti nel massimo della potenza formativa e quindi a più alta resa di investimento. Soggetti forti (altro che deboli e vulnerabili!) su cui l’approccio nei termini di empowerment può avere il massimo di efficacia, non solo per le persone coinvolte, ma anche per tutte quelle con cui sono in relazione affettiva e sociale.

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Quindi: offerta attiva di consulenza prematrimoniale, offerta attiva di consulenza in gravidanza (quanto sarebbe opportuno che il certificato di esenzione dal ticket o la cartella ostetrica o il libretto del percorso nascita venissero rilasciati dai consultori familiari, auspicabilmente dall’ostetrica!), offerta attiva dei corsi di preparazione alla nascita; offerta attiva di visite domiciliari o in consultorio dopo il parto. Offerta attiva di corsi di educazione sessuale nelle scuole, offerta attiva di spazi adolescenti dentro e fuori i consultori. Offerta attiva del pap-test e della mammografia, in un contesto di integrazione negoziata dei servizi distrettuali e di ASL.

Il tasso di rispondenza (primario indicatore di processo) testimonierà la qualità comunicativa e la sua efficacia nell’avviare il processo di empowerment. Quanta opportunità, se la qualità comunicativa fosse buona, verrebbe data perché problematiche ancora in fase prodromica relative al disagio familiare delle donne, della coppia, delle/dei bambine/i, delle/degli adolescenti vengano ad essere proposte a interlocutrici/ori sensibili e rispettose/i e non stigmatizzanti! Quante problematiche in atto potranno essere evidenziate e quante relative richieste di aiuto verranno esplicitate con fiducia a interlocutrici/ori accreditate/i per la qualità della comunicazione! Quante occasioni di integrazione si verranno a porre; basti solo pensare, in occasione dell’offerta attiva del pap-test, all’offerta di counselling per la menopausa per le donne oltre i 45 anni, per la gravidanza programmata e/o per la procreazione consapevole per le donne in età feconda!

In questi tre programmi strategici è essenziale promuovere lo sviluppo delle consapevolezze sulla procreazione consapevole e nel far ciò si produce la migliore azione per la prevenzione delle gravidanze indesiderate, come è stato ripetutamente raccomandato (anche nelle relazioni dei Ministri della Sanità al Parlamento sull’applicazione della legge 194/1978) dalla seconda metà degli anni Ottanta.

Le proposizioni del POMI, soprattutto per quanto attiene ai progetti strategici, implicano una disponibilità di risorse che non è detto sia garantita. Opportunamente il POMI fa riferimento alla legge 34/1996 in cui si esplicita la necessità di un consultorio ogni 20 mila abitanti ed esplicita nel dettaglio figure professionali e orario di lavoro minimo per ogni servizio consultoriale.

Progettazione operativa per un consultorio con un bacino territoriale di 20000 abitanti: calcolo dei carichi di lavoro

Ogni progetto strategico può essere tradotto in ore di lavoro per figure professionali per unità di popolazione bersaglio. Per avere un’idea di prima approssimazione dei carichi di lavoro per figura professionale, in relazione alla realizzazione dei tre progetti strategici – percorso nascita (che si articola in gravidanza e puerperio), adolescenti e prevenzione del tumore del collo dell’utero (mediante screening con pap-test) – si riporta un calcolo orientativo della numerosità stimata delle popolazioni bersaglio nell’ipotesi di un consultorio che opera in un bacino territoriale di 20000 abitanti:

- Nascite (1% popolazione totale) 200 di cui prime nascite 100

- Adolescenti in una fascia di età annuale (1% popolazione totale) 200 - Donne di età 15-49 anni (25% popolazione totale) 5000 - Donne di età 25-64 anni (30% popolazione totale) 6000 Vengono riportati di seguito, per ogni progetto e per ogni fase, calcoli approssimativi sui

possibili carichi di lavoro per ogni figura professionale coinvolti nei consultori familiari.

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Percorso nascita

Supponendo 200 nascite attese per anno, di cui 100 da primipare, per le due fasi del progetto si possono ipotizzare in prima approssimazione i seguenti carichi di lavoro:

- Gravidanza offerta attiva di corsi di accompagnamento alla nascita obiettivo: 80% delle primipare: 80 donne 6 corsi (non più di 15 donne per corso) con 10 incontri di 2 ore quindi 20

ore per corso per un totale su base annua di 120 ore +20% per programmazione e valutazione Totale 144 ore/anno. Ipotizzando quali operatori vengono coinvolti in ogni singolo incontro e per quanto tempo, sommando su tutti gli incontri previsti per ogni corso, si ricava per ogni singolo operatore il tempo totale impegnato e quanta parte (in percentuale) è del tempo totale. In sintesi:

Ostetrica Ginecologa Assistente sociale Psicologa Pediatra Assistente sanitaria

%* 75 35 20 30 30 20 Ore 108 50 28,8 43,2 43,2 28,8

* percentuale del tempo totale in cui si presume coinvolta/o la/o specifica/o operatrice/ore

- Puerperio Visite in puerperio obiettivo: 80% di tutte le donne che partoriscono in un anno

160 puerpere, 50% in consultorio, 50% a domicilio. 1) in consultorio: 80 visite, 1 h ciascuna per un totale di 80 h, 19 per il 50%, si

ipotizza la necessità di una seconda visita, per un totale di 40 h per il 25% delle seconde visite, 10, si ipotizza una terza visita, per un totale di 10 h subtotale 1: 130 h/anno

2) a domicilio: 80 visite di 2 h ciascuna per un totale di 160 h anche in questo caso si ipotizzano, con analoghe percentuali seconde e terze visite per un totale di 80 h e 20 h, rispettivamente subtotale 2: 260 h/anno

Totale: 390 h/anno, +20% per programmazione e valutazione: Totale 470 h/anno

In sintesi:

Ostetrica Ginecologa Assistente sociale Psicologa Pediatra Assistente sanitaria

%* 80 30 60 30 20 80 Ore 376 141 282 141 94 376

* percentuale del tempo totale in cui si presume coinvolta/o la/o specifica/o operatrice/ore

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Adolescenti

In un fascia di età (es. 3a classe media inferiore): 200 adolescenti 1) corsi di educazione sessuale a scuola 20 alunni per classe: 10 classi, 5 incontri di 2 ore ciascuno, 100 h/anno 5 ore per classe per incontri con insegnanti, 5 h per classe per incontri con i genitori per

un totale di 100 h/anno 2) spazio giovani in consultorio: 4 h/settimana per 40 settimane per un totale di 160 h/anno Totale 360 h/anno, +20% per programmazione e valutazione Totale 430 h/anno In sintesi:

Ostetrica Ginecologa Assistente sociale Psicologa Pediatra Assistente sanitaria

%* 25 50 30 50 10 25 Ore 108 215 108 215 43 108

* percentuale del tempo totale in cui si presume coinvolta/o la/o specifica/o operatrice/ore

Prevenzione del tumore del collo dell’utero

La popolazione femminile tra 25 e 64 anni è circa il 30% della popolazione generale, ovvero 6000 donne. Le raccomandazioni indicano un pap-test ogni 3 anni, quindi di queste 6000 in un anno dovrebbero fare il pap-test 2000 donne:

- assumendo che il 30% fa regolarmente il pap-test spontaneamente (600 donne), rimangono da coinvolgere 1400 donne, ipotizzando un tasso di accettazione dell’80% si devono effettuare 1120 pap-test

- assumendo 0,75 h/pap-test (pap-test più colloquio) si ha un totale di 840 h, +20% per programmazione e valutazione Totale di 1000 h/anno.

In sintesi:

Ostetrica Ginecologa Assistente sociale Psicologa Pediatra Assistente sanitaria

%* 50 15 20 15 10 40 Ore 500 150 200 150 100 400

* percentuale del tempo totale in cui si presume coinvolta/o la/o specifica/o operatrice/ore

Carico di lavoro complessivo per i tre progetti

Nella Tabella 1 si riportano le ore/anno per ogni progetto, totali, per ogni figura professionale e il carico di lavoro settimanale.

Tenendo conto del livello di approssimazione, è ragionevole ipotizzare che una stima dei carichi di lavoro effettuata con un’analisi più dettagliata non modifichi sostanzialmente il quadro ottenuto. L’ordine di grandezza dell’impegno fa comprendere perché la legge richiede un consultorio familiare ogni 20000 abitanti e perché il POMI raccomandi un organico adeguato.

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Tabella 1. Carico di lavoro stimato per progetto e figura professionale

Progetto Ostetrica Ginecologa Assistente sociale

Psicologa Pediatra Assistente sanitaria

Percorso nascita gravidanza 108 50 29 43 43 29 puerperio 376 141 282 141 94 376

Adolescenti 108 215 108 215 43 108 Prevenzione tumore

del collo dell’utero 500 150 200 150 100 400

Ore/anno 1092 556 619 549 280 913 Ore/set.* 27,3 13,9 15,5 13,7 7,0 22,8

* considerando 40 settimane effettivamente disponibili

Come già accennato, ogni progetto strategico può supportare progetti satelliti (per esempio: nel caso della prevenzione del tumore del collo dell’utero il tempo dedicato al colloquio serve per sviluppare con la donna riflessioni su temi che, in relazione al suo stato, meritano di essere presi in considerazione (procreazione consapevole, desiderio di fecondità da realizzare, menopausa, arruolamento per screening senologico, disagio familiare, ecc.) sfruttando fino in fondo le sinergie, cioè a dire, mettendo in comune il tempo necessario per il raggiungimento della popolazione bersaglio e sfruttando l’accreditamento conseguente al successo del programma strategico. Anche per i programmi satelliti si possono calcolare i carichi di lavoro necessari, in relazione al quadro logico (obiettivi, risultati, attività e relativi indicatori) corrispondente.

La realizzazione di progetti strategici basati sull’offerta attiva farà emergere una serie di bisogni (bisogni di salute insoddisfatti – unmet needs of health) che potranno essere presi in carico per l’intervento di prima istanza e riferiti al II livello, se necessario. Sulla base dell’esperienza si può valutare quanta domanda viene così prodotta e quali carichi di lavoro debbono essere calcolati, in relazione alle prevedibili attività che si rendono necessarie.

Permane in ogni caso l’accesso libero, senza vincoli, che, anche in questo caso, opportunamente vagliato, costituisce un carico di lavoro la cui stima può essere calcolata.

È evidente che il calcolo dei carichi di lavoro è pregiudiziale a qualunque altra valutazione di risorse necessarie (presidi, infrastrutture e strumentazione, materiale di consumo), che pure si deve fare per valutare la compatibilità tra progetti dimensionati sugli obiettivi e sulla popolazione bersaglio e risorse necessarie per svolgere le attività previste al fine di ottenere i risultati necessari al raggiungimento degli obiettivi. Come si è visto, i carichi di lavoro nei programmi di promozione della salute si calcolano a partire dagli obiettivi e, quindi, da quanta popolazione bersaglio si intende raggiungere (tasso di rispondenza) e non, come solitamente si fa, in analogia con i servizi di cura, a partire dalle utenze spontanee per unità di tempo.

Nel POMI è chiaramente raccomandata l’integrazione dei servizi sia nell’ambito distrettuale (II livello) che sovradistrettuale (III livello); se a livello dipartimentale si colloca la progettazione operativa, soprattutto per quanto attiene la fase decisionale, è nell’organizzazione distrettuale che si realizza l’allocazione delle risorse e l’integrazione dei servizi, alla luce della progettazione operativa. È molto ragionevole pensare che nella presente temperie, grandi miglioramenti nella disponibilità di risorse non ci saranno (anche se, come si è detto, sarebbe utile verificare come sono state impiegate le risorse messe a disposizione dalla legge 34/1996, come sarebbe interessante analizzare quante risorse vengono consumate per realizzare attività non organizzate secondo le raccomandazioni del POMI), ma per quanto attiene il ruolo e i compiti dei consultori familiari molto si può fare di riorientamento delle attività.

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Non è percorribile la strada dell’assumere le responsabilità altrui come alibi a non riqualificare l’attività consultoriale, volta alla promozione della salute, nel senso scientificamente fondato e quindi di sanità pubblica. Certo è che le risorse disponibili potranno permettere programmi con obiettivi commisurati ad esse, e non voli pindarici.

È necessario sviluppare capacità negoziali per vincere le resistenze ad assumere responsabilità nel processo decisionale e nella integrazione dei servizi come è necessario sviluppare capacità negoziali per coinvolgere la comunità sia nelle istanze istituzionali che in quelle non istituzionali. Questo, non solo per il coinvolgimento nel processo decisionale (in fondo si tratta di garantire diritti di salute a cittadine/i) ma anche per verificare la possibilità di liberare risorse aggiuntive.

Sarebbe auspicabile un impegno organizzato da parte delle istituzioni per promuovere l’implementazione dei progetti strategici, il loro monitoraggio e la loro valutazione, su cui incardinare la formazione continua, così come sarebbe auspicabile che le organizzazioni professionali, di concerto, promuovessero, oltre

l’attività istituzionale organizzata in conferenze di servizio, il confronto e la valorizzazione delle esperienze migliori, soprattutto se frutto di una sperimentazione prototipale.

In conclusione si può dire che i consultori familiari rappresentano un patrimonio prezioso sia per l’esperienza accumulata sia per le ragioni di fondo della loro esistenza che non sono residui del passato ma fondamenti per sistemi sanitari del futuro, volti a tutelare e promuovere la salute pubblica. Il POMI è un buon punto di partenza per un processo di riqualificazione (Allegati 1 e 2).

Bibliografia

1. Ministero della Sanità. Decreto ministeriale del 24/4/2000. Progetto Obiettivo Materno Infantile. Gazzetta Ufficiale n. 131 Suppl. Ord. n. 89 del 7/6/2000.

2. Accordo Conferenza Stato-Regioni 22 novembre 2001: Accordo tra Governo, regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sui livelli essenziali di assistenza sanitaria ai sensi dell’art.1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni (Repertorio n. 1318). Gazzetta Ufficiale n. 19 Suppl. Ord. n.14 del 23/1/2002. p. 37.

3. Relazione sull’attuazione della Legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza (Dati definitivi anno 1993, dati preliminari anno 1994). Presentata dal Ministro della Sanità (Guzzanti) Camera dei Deputati. Atti Parlamentari XII Legislatura. Doc. XXXVII N. 2 giugno 1995.

4. Grandolfo M, Donati S, Giusti A. Indagine conoscitiva sul percorso nascita, 2002. Aspetti metodologici e risultati nazionali. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2002. Disponibile all’indirizzo: http://www.epicentro.iss.it/problemi/percorso-nascita/ind-pdf/nascita-1.pdf; ultima consultazione 15/03/2011.

5. Baglio G, Spinelli A, Donati S, Grandolfo ME, Osborn J. La valutazione degli effetti dei corsi di preparazione alla nascita sulla salute della madre e del neonato. Ann Ist Super Sanità 2000;36(4):465-78.

6. Grandolfo ME. I consultori familiari: evoluzione storica e prospettive per la loro riqualificazione. In: Montemagno U (Ed.). Il ginecologo italiano, Vademecum 1996-97. Milano: Hippocrates Edizioni Medico-scientifiche; 1996. p. 463-77.

7. Grandolfo ME, Donati S. I consultori familiari e le strategie di prevenzione. Ann Ist Super Sanità 1999;35(2):297-9.

8. Donati S, Spinelli A, Grandolfo ME, Baglio G, Andreozzi S, Pediconi M, Salinetti S. L’assistenza in gravidanza, al parto e durante il puerperio in Italia. Ann Ist Super Sanità 1999;35(2):289-96.

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9. Di Cillo C, Grandolfo ME, Donati S, Andreozzi S, Greco V, Medda E, Pediconi M, Stazi MA, Spinelli A, Timperi F, Lauria L. Indagine CAP (Conoscenza, Attitudine, Pratica) sulla pianificazione familiare in Puglia. Regione Puglia Assessorato alla Sanità in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità. Bari 1991.

10. Grandolfo M, Benagiano G. I consultori familiari nel prossimo futuro. In: Brasiello U, Cersosimo L. (Ed.). Atti del VIII Congresso Nazionale A.G.I.C.O. 2001 “Prevenzione Primaria in Ostetricia e Ginecologia”. Roma: ARVI Services; 2001. p. 3-7.

11. Grandolfo ME, Spinelli A, Donati S, Pediconi M, Timperi F, Stazi MA, Andreozzi S, Greco V, Medda E, Lauria L. Epidemiologia dell’interruzione volontaria di gravidanza in Italia e possibilità di prevenzione. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 1991. (Rapporti ISTISAN 91/25).

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Allegato 1

Estratto dal POMI DM del 24/4/2000, Gazzetta Ufficiale n. 131 del 7 giugno 2000

11. SALUTE DELLA DONNA IN TUTTE LE FASI DELLA VITA

L’impegno alla difesa e alla promozione della salute della donna deve tenere conto dell’adeguamento alla realtà socio sanitaria e culturale profondamente mutata negli ultimi tempi e deve portare ad una più diretta politica in favore della famiglia, anche in riferimento alla responsabilità di cura che la donna ha all’interno della stessa. Per una organizzazione sanitaria che faccia fronte alla sfida della qualità e che coniughi efficacia ed efficienza ad equità, vanno considerati anche i fenomeni legati ai cambiamenti sociali. L’incremento della presenza della donna in ambito produttivo non ha visto una contemporanea crescita di servizi tali da offrire un migliore supporto alla famiglia e ciò, insieme ad altri fattori, ha contribuito a determinare dei cambiamenti nelle scelte riproduttive. I tassi di fecondità nel nostro Paese, pur con differenziazioni regionali sono oggi tra i più bassi d’Europa. La riduzione della natalità, sin dalla fine degli anni 70, interessa tutte le regioni italiane, determinando non solo la nota caduta dei relativi livelli, ma modificando anche le caratteristiche strutturali del comportamento riproduttivo, quali l’ordine e la cadenza delle nascite. L’innalzamento dell’età media al parto sia per le prime nascite che per le successive, delinea soprattutto una tendenza a posticipare l’inizio della vita riproduttiva, con circa un quarto dei primi figli tra donne di età uguale o superiore a 30 anni. La presenza della donna nella realtà produttiva comporta, nei confronti della sua salute, una maggiore esposizione ad eventuali fattori di rischio derivanti dagli ambienti di lavoro. Nell’ambito della promozione della tutela della salute della donna in ambiente lavorativo, l’organizzazione dipartimentale dell’area materno - infantile deve coordinarsi e collaborare strettamente con il D.P. nella realizzazione di programmi specifici, in particolare per quanto riguarda la salute riproduttiva. Inoltre, la consapevolezza dei rischi connessi all’attività lavorativa, domestica e non, deve essere patrimonio di tutte le U.O. dell’organizzazione dipartimentale e deve essere tenuto costantemente presente in ogni tipo di intervento che riguardi la donna. Un elemento poi che non può essere trascurato è il fatto che l’aumento di speranza di vita della popolazione ha fatto si che il periodo post-fertile della vita femminile si sia allungato, dall’età media della menopausa alla aspettativa media di vita (82-83 anni), di circa trenta anni. Si calcola infatti che le donne di età superiore ai 50 anni siano oggi tra 9 e 10 milioni. In questa età, per la chiara evidenza epidemiologica particolare interesse deve essere rivolto ad alcune patologie quali le malattie cardiovascolari, l’osteoporosi, ecc. Tenuto conto, inoltre, che la cessazione dell’attività ovarica comporta effetti che, pur di minor rilievo in termine di salute fisica, possono compromettere sensibilmente la qualità della vita della donna, particolare interesse deve essere rivolto a situazioni quali l’incontinenza urinaria, le problematiche relazionali e quelle legate alla sessualità. La promozione della salute, la prevenzione e il trattamento delle principali patologie ginecologiche in tutte le fasi della vita devono essere garantiti attraverso una completa integrazione dei servizi dei diversi livelli operativi. Ad ogni donna deve infatti essere assicurato, nell’ambito dell’organizzazione regionale delle cure, un idoneo percorso che le consenta di accedere con facilità al livello di cura più adeguato e completo al suo caso. La promozione della salute, la prevenzione e la presa in carico devono essere assolti dal I livello, rappresentato dalla rete dei Consultori Familiari (CF); l’attività di diagnosi e cura ambulatoriale dal II livello, livello rappresentato dagli ambulatori specialistici del Distretto e dell’Ospedale. L’attività di diagnosi e cura ospedaliera devono costituire il III livello. In esso devono essere affrontate la diagnostica specialistica di livello superiore e il trattamento con adeguate risorse strumentali ed esperienza professionale in merito alla sterilità e infertilità, alla patologia ginecologica benigna e maligna, ai problemi delle malattie a trasmissione sessuale, ai problemi connessi con l’età post-fertile e alla menopausa, comprendendo in questo anche i problemi di ginecologia urologica.

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La promozione della salute della donna, è oggetto di forte interesse da parte del presente Progetto il quale, anche secondo quanto previsto dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27.3.1997 sviluppa, tra l’altro, gli obiettivi relativi alla prevenzione e tutela della salute (obiettivi strategici C1-C5) indicati nella dichiarazione e nel programma d’azione della IV Conferenza mondiale sulle donne – Pechino 1995. Sino ad ora la tutela della salute della donna è stata perseguita attraverso l’offerta di prestazioni, spesso integrata da interventi terapeutici, per lo più fruiti dalla popolazione femminile che spontaneamente accedeva al servizio e con forti limitazioni per quanto attiene alla tipologia dell’offerta stessa, almeno in parte dovute a difficoltà burocratiche, alla scarsa disponibilità di risorse e agli ostacoli nel realizzare il lavoro di équipe multidisciplinare. Si vuole invece che l’offerta di interventi faccia parte di una ben definita strategia di prevenzione orientata da identificati obiettivi generali e specifici, nonché da un processo di promozione della salute che aiuti la persona ad arricchire le proprie competenze per effettuare scelte più consapevoli. Tutto ciò deve prevedere una maggior attenzione rivolta a: Favorire l’offerta attiva delle misure preventive; Favorire la massima integrazione tra il Consultorio Familiare, i servizi (ambulatoriali, sociali, socio-assistenziali) del Distretto e le strutture ospedaliere; Favorire il dialogo, il confronto e l’integrazione operativa tra i profili professionali tradizionalmente afferenti al Consultorio Familiare e il personale di altri profili professionali che opera sul territorio, compreso quello coinvolto nella attività di diagnosi e cura primaria ; Maturare l’attitudine negli operatori alla valutazione quale strumento per la riqualificazione ; Riconsiderare l’offerta relativa ai problemi di salute della donna, salute vista nella sua globalità, in tutte le fasi della vita. In un progetto più ampio di tutela della salute della donna va quindi prevista la riqualificazione del Consultorio Familiare, sia in termini organizzativi che operativi, che integri l’offerta consultoriale con quella delle altre strutture territoriali facenti capo all’organizzazione dipartimentale dell’area materno - infantile in modo tale che, distretto per distretto o ASL per ASL si persegua una maggiore efficacia ed efficienza, coniugata ad una maggiore equità, e si contraggano le attuali dispersioni di risorse finanziarie e umane, quali sono quelle che troppo spesso realizzano interventi parcellari e ripetitivi nella medesima popolazione che, per contro, vede insoddisfatti altri bisogni primari.

SALUTE DELLA DONNA IN TUTTE LE FASI DELLA VITA

OBIETTIVI AZIONI INDICATORI

- Ridurre il divario tra Nord e Sud per quanto attiene l’offerta e la qualità dei servizi ospedalieri e territoriali di cura e prevenzione

- Favorire l’offerta attiva di misure di prevenzione, a livello distrettuale, con particolare attenzione per le fasce deboli

- Percentuale di donne raggiunte negli specifici programmi di prevenzione

- Promuovere la procreazione cosciente e responsabile tutelando le gravidanze a rischio e fornendo adeguato sostegno alle famiglie.

- Promuovere programmi di educazione alla salute, con particolare riferimento alla salute riproduttiva, nelle scuole, nei luoghi di aggregazione giovanile, nella popolazione generale, con l’integrazione della rete dei servizi. Identificazione e assistenza delle gravidanze a rischio

- Percentuale di adolescenti e di popolazione adulta, su base campionaria, con conoscenze appropriate sulla fisiologia della riproduzione e problematiche connesse Incidenza dell’IVG Diminuzione dell’handicap

segue

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continua

OBIETTIVI AZIONI INDICATORI

- Promuovere la prevenzione in ambito oncologico

- Aumento della copertura della popolazione bersaglio per i tumori della sfera genitale femminile.

- Incidenza tumore del collo dell’utero Incidenza tumore della mammella

- Percentuale di donne che effettuano pap-test e mammografia con regolarità secondo le linee guida della Commissione Oncologica

- Favorire il benessere fisico e psico-sociale del periodo post-fertile della donna con particolare attenzione alle malattie a forte valenza sociale

- Promuovere l’aggiornamento professionale sulle problematiche del climaterio e della menopausa

- Promuovere programmi di educazione alla salute che possono stimolare cambiamenti verso stili di vita protettivi per il benessere psico-fisico

- Percentuale di personale che frequenta i corsi

- Percentuale di donne che hanno cambiato stile di vita, su base campionaria

- Prevenire gli episodi di violenza contro la donna e migliorare l’assistenza alle donne che hanno subito violenza.

- Formazione del personale dei pronto soccorsi e offerta attiva di assistenza

- Favorire l’emersione del sommerso del fenomeno della violenza

- Percentuale del personale delle strutture di primo intervento coinvolto nei programmi di formazione Percentuale di donne assistite appropriatamente sul totale dei casi di violenza segnalati

- Prevenzione dei rischi di salute della donna in ambiente di lavoro

- Applicazione normativa sulla tutela della salute della donna in ambiente di lavoro

- Incidenza aborti spontanei per fattori di rischio lavorativo

- Incidenza nati malformati per fattori di rischio lavorativo

- Incidenza infortuni sul lavoro

- Incidenza incidenti domestici

12. CONSULTORI FAMILIARI

Il Consultorio Familiare costituisce un importante strumento, all’interno del Distretto per attuare gli interventi previsti a tutela della salute della donna più globalmente intesa e considerata nell’arco dell’intera vita, nonché a tutela della salute dell’età evolutiva e dell’adolescenza, e delle relazioni di coppia e familiari. Le attività consultoriali rivestono infatti un ruolo fondamentale nel territorio in quanto la peculiarità del lavoro di équipe rende le attività stesse uniche nella rete delle risorse sanitarie e socio-assistenziali esistenti. Dalla emanazione della legge 405/75 e delle leggi attuative nazionali e regionali, le condizioni di regime dei Consultori per completezza della loro rete e stabilità del personale non sono ancora state raggiunte e, soprattutto al Sud, persistono zone con bassa copertura dei bisogni consultoriali. L’esigenza di integrazione nel modello dipartimentale, e soprattutto la messa in rete dei Consultori Familiari con gli altri servizi sia sanitari che socio-assistenziali degli Enti Locali, impone un loro adeguamento nel numero, nelle modalità organizzative e nell’organico, privilegiando l’offerta attiva di interventi di promozione della salute attraverso la realizzazione di strategie operative finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di salute da perseguire nel settore materno infantile. È necessario cioè attuare strategie preventive in cui siano chiaramente definiti: gli obiettivi (riduzione dell’incidenza o prevalenza degli eventi o delle

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condizioni che si vogliono prevenire), i sistemi e gli indicatori di valutazione (di processo e di esito), la popolazione bersaglio da coinvolgere (quella a rischio di produrre gli eventi e le condizioni), le modalità operative per il coinvolgimento della popolazione e per l’erogazione delle misure di prevenzione, la valutazione dei fattori di rischio della non rispondenza e dell’incidenza o prevalenza degli eventi o condizioni nella quota di popolazione non raggiunta. L’adeguamento dell’attività consultoriale agli obiettivi individuati può essere realizzato, privilegiando l’offerta attiva, attraverso l’implementazione di programmi di promozione della salute, definiti secondo i criteri sopra esposti, le attività dedicate alla programmazione operativa e alla valutazione, alla formazione e aggiornamento, nonché gli interventi rivolti all’utenza spontanea e alla presa in carico dei casi problematici identificati nell’attività svolta nei programmi di prevenzione. Si tratta, cioè di ripensare le modalità operative con lo scopo di privilegiare gli interventi di prevenzione primaria e diagnosi precoce. L’attività di diagnosi e cura dovrebbe assumere una competenza di “prima istanza” riservata in particolare alla presa in carico (garantendo ove necessario percorsi preferenziali per l’accesso alle strutture dell’organizzazione dipartimentale) dei casi problematici identificati nell’attività svolta nei programmi di prevenzione o segnalati dalla pediatria di libera scelta (P.L.S.), dalla scuola, dai servizi sociali, ecc. Poiché i fattori di rischio sono per lo più distribuiti in modo non uniforme sul territorio e poiché la popolazione a maggior rischio è generalmente quella più difficile da raggiungere, le attività di prevenzione e diagnosi precoce passano attraverso una offerta attiva modulata per superare le barriere della comunicazione, anche mirando a recuperare i non rispondenti. Il consultorio si integra nella rete dei servizi territoriali a livello distrettuale e deve essere salvaguardato il lavoro di équipe, fondamentale per garantire globalità e unitarietà dell’approccio preventivo. L’organizzazione dipartimentale dell’area materno-infantile garantisce l’integrazione con gli altri servizi territoriali e con quelli ospedalieri e degli Enti Locali per permettere la continuità della presa in carico e per la realizzazione degli interventi di promozione della salute, di cui è responsabile per quanto attiene a programmazione, coordinamento generale e valutazione, in collaborazione con il D.P. I CF, coordinati tra loro e con gli altri servizi coinvolti, mettono a punto gli aspetti operativi e realizzano le strategie di intervento operativo. L’azione del Consultorio Familiare deve poter contare su solide radici nel tessuto sociale e sanitario territoriale ed essere orientata dalle evidenze epidemiologiche della comunità in cui il Consultorio familiare opera. In particolare tale connotazione richiede la capacità di interlocuzione con gruppi, associazioni, istituzioni educative a vario titolo presenti e operanti nel territorio, nonché la capacità di stabilire rapporti permanenti tra i vari presidi e servizi, anche al fine di garantire percorsi di assistenza agevoli e completi, in special modo a chi si trova in condizioni di elevato rischio sociale o sociosanitario. Inoltre deve privilegiare la globalità e la unitarietà delle risposte ai bisogni emergenti nei vari ambiti di azione (tutela dell’età riproduttiva ed evolutiva, tutela della famiglia, delle fasce socialmente deboli, dell’handicap) e l’integrazione con le U.O. territoriali e le U.O. Ospedaliere afferenti al DP e all’organizzazione dipartimentale dell’area materno-infantile. Va ribadito che per il raggiungimento degli obiettivi di globalità e unitarietà degli interventi deve essere sostenuta e sviluppata l’attività di integrazione dei servizi sociali nei comuni singoli e/o associati, anche tramite la stipula di convenzioni o di accordi di programma. Ciò anche nel rispetto delle diverse articolazioni con cui si possono definire i rapporti tra Aziende Sanitarie ed Enti Locali. La valutazione dell’efficacia degli interventi, verificati attraverso indicatori specifici di progetto, deve rappresentare la base per l’aggiornamento culturale e professionale e per la riqualificazione operativa nonché lo strumento per confrontarsi con gli altri servizi. Tale approccio, perseguito nel P.O., non può che determinare, attraverso l’integrazione sociosanitaria, una volta ridefiniti i livelli essenziali, uniformi e appropriati di assistenza, una riallocazione delle risorse in base alle priorità individuate quali obiettivi di salute leggibili e attuabili anche nel processo di definizione del budget delle strutture operative da parte delle A.S.L. nel rispetto degli indirizzi organizzativi e dei criteri di finanziamento espressi dalle amministrazioni regionali. La legge n. 34/1996 prevede un consultorio familiare ogni 20.000 abitanti. È opportuno distinguere tra zone rurali e semiurbane. Essendo il Distretto la sede di coordinamento delle azioni territoriali della ASL il Consultorio Familiare, nel rispetto delle prerogative sue proprie, istituzionali e operative, si integra nell’organizzazione dipartimentale dell’area materno -infantile afferendo al Distretto, dove dovranno altresì raccordarsi le attività e gli operatori del settore socio-assistenziale Per lo svolgimento delle sue funzioni il consultorio si

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avvale, di norma, delle seguenti figure professionali: ginecologo, pediatra, psicologo, ostetrica, assistente sociale, assistente sanitario, infermiere pediatrico (vigilatrice di infanzia), infermiere (infermiere professionale), il cui intervento integrato, proiettato nelle problematiche della prevenzione, ne definisce la fisionomia e specificità rispetto ai presidi di natura ambulatoriale e ospedaliera. Devono essere previste, in qualità di consulenti, altre figure professionali quali il sociologo, il legale, il mediatore linguistico-culturale, il neuropsichiatra infantile, l’andrologo e il genetista presenti nella ASL a disposizione dei singoli consultori.

Attività consultoriale Il consultorio familiare mantiene la propria connotazione di servizio di base fortemente orientato alla prevenzione, informazione ed educazione sanitaria, riservando alla attività di diagnosi e cura una competenza di “prima istanza”, integrata con l’attività esercitata al medesimo livello, sul territorio di appartenenza delle U.O. distrettuali e ospedaliere e dei servizi degli Enti Locali. Sul piano organizzativo, l’integrazione deve essere completamente attivata da una parte all’interno del consultorio familiare stesso, tra figure a competenza prevalentemente sanitaria e quelle a competenza psico – sociale e socio-assistenziale sviluppando il lavoro di équipe e dall’altra con gli altri servizi e U.O. territoriali (ginecologia ambulatoriale, pediatria di libera scelta, psicoterapia, neuropsichiatria infantile e dell’età evolutiva, ecc.) nonché con le U.O. ospedaliere. La realizzazione di un proficuo e serio rapporto territorio/ospedale, che deve essere configurato nell’ambito dell’organizzazione dipartimentale dell’area materno - infantile deve basarsi sulla complementarità dei diversi servizi nel rispetto delle reciproche autonomie e specificità, da realizzare attraverso ben definiti progetti che vedano coinvolti diversi ambiti operativi e attraverso lo sviluppo di programmi di aggiornamento permanente, alla luce degli indicatori di esito e di processo. E’ necessario identificare un responsabile del consultorio (o dei consultori, qualora siano più di uno nel territorio del dipartimento) che coordini l’attività del C. F. e monitorizzi il conseguimento degli obiettivi, fungendo da garante nei confronti dell’organizzazione dipartimentale. L’ambito di competenza consultoriale può concretizzarsi in alcuni obiettivi di salute prioritari alla luce del Piano Sanitario Nazionale:

Spazio Adolescenti Le attività di promozione della salute in età adolescenziale vanno svolte quanto più possibile negli ambiti collettivi (soprattutto nelle scuole). In tal modo i servizi si accreditano e divengono punti di riferimento per gli adolescenti. L’attività di promozione della salute offre l’opportunità di rendere visibili gli stati di disagio per i quali fornire aiuto, organizzando più diffusamente gli spazi adolescenziali nei CF. Il consultorio deve associare alla capacità di offerta attiva dei programmi di prevenzione una funzione di accoglienza e presa in carico per chi accede spontaneamente al servizio. Molta attenzione deve essere riservata all’educazione alla salute e all’analisi delle condizioni socio-familiari o ambientali predisponenti alla devianza o al disagio. Sono da definire programmi di interventi sociosanitari concordati con altre Istituzioni: Pubblica Istruzione, Giustizia, ecc.

Azioni – Coordinare con gli organi scolastici l’offerta attiva di corsi di informazione ed educazione alla salute

nelle scuole (sulla fisiopatologia della riproduzione, alimentazione, educazione alla affettività, prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse, ecc.).

– Promuovere un’offerta attiva dello spazio giovani nel consultorio per dare la possibilità di approfondimento a livello individuale e/o per piccoli gruppi agli stessi studenti coinvolti nei corsi di educazione alla salute effettuati presso le scuole. Lo spazio giovani rappresenta anche una grande opportunità per tutti gli adolescenti e l’informazione di questa disponibilità potrebbe essere data contattando i luoghi di aggregazione giovanile e offrendo un accesso a tale spazio in orari graditi all’utenza.

– Predisporre incontri con genitori degli alunni delle scuole elementari e medie, sulle problematiche della sessualità in età adolescenziale e più in generale, incontri di formazione-informazione finalizzati a rendere gli adulti più consapevoli e informati delle problematiche proprie

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dell’adolescenza, mettendoli in grado di porsi in una posizione di ascolto attivo che favorisca la comunicazione adolescente-adulto.

Relazioni di coppia, di famiglia e disagio familiare Questo ambito operativo ha acquisito col passare degli anni una importanza rilevante tra le azioni del Consultorio Familiare, in particolare per tutto ciò che attiene la consulenza relazionale, le consulenze riguardanti problemi e difficoltà in ordine alla sessualità, alle scelte e alle decisioni procreative, all’esercizio di ruoli genitoriali. Interventi in ordine a conflitti di coppia e intergenerazionali nonché a situazioni di disagio familiare con particolare attenzione ai nuovi assetti della famiglia (unioni di fatto, famiglie con un solo genitore, famiglie ricostituite, famiglie miste quanto a provenienza etnica, ecc.), rappresentano un’area di interesse in forte espansione in rapporto a crescenti domande. Particolare attenzione deve essere rivolta ai problemi dei figli di genitori separati e alla donna in corso di separazione. Un particolare ambito di attività, da svolgere in raccordo con i servizi socio-assistenziali e con le autorità giudiziarie competenti, riguarda tra l’altro i casi di abuso, maltrattamento, incuria, ecc. nonché l’affido familiare, l’adozione, il matrimonio fra minori, il sostengo a gravidanze e maternità a rischio sociale, la problematica attinente la separazione/divorzio (in particolare i conflitti riguardanti l’affido dei figli). Deve essere inoltre prevista l’assistenza psicologica in ordine a problemi sessuali connessi ad episodi di abuso e/o violenza sessuale. In particolare, su questi casi deve attivarsi l’intera équipe operativa in quanto la complessità dei problemi richiede interventi specifici, ma strettamente integrati, di natura sanitaria, psicologica, sociale e giudiziaria come da indicazioni contenute nel già citato Documento “Proposte di intervento per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del maltrattamento”. La terapia delle patologie sessuali è da prevedere a livello sovra distrettuale (o comunque secondo un dimensionamento che garantisca l’uso razionale delle risorse professionali) ove presenti competenze in sessuologia (II livello) e/o centri multidisciplinari (III livello).

Azioni – Attivare progetti di ricerca attiva e valutazione dei casi di grave ritardo o evasione vaccinale (su

segnalazione dei servizi vaccinali) e dei casi di grave basso profitto o abbandono scolastico (su segnalazione delle scuole).

– Garantire un collegamento con i pronto soccorsi per offrire consulenza ed eventualmente aiuto in caso di lesività domestica (con particolare riferimento a quelle riguardanti i bambini e le donne) la cui causa o le cui modalità richiedono approfondimento sulle condizioni dell’ambiente familiare.

– Monitorare il disagio giovanile con particolare correlazione all’assetto della famiglia, al rapporto con la scuola, ecc.

– Offrire supporti al singolo e alla famiglia per superare le difficoltà relazionali. – Garantire il supporto psicologico e sociale al singolo e alla famiglia nelle diverse crisi. – Garantire il collegamento con l’autorità giudiziaria per le situazioni più a rischio.

Controllo della fertilità e procreazione responsabile Deve essere potenziata l’offerta attiva di consulenza tendente all’espressione di una sessualità rispondente ai bisogni del singolo e una maternità e paternità responsabili. Compito del Consultorio Familiare è quello di aiutare le donne e le coppie a scegliere tra le varie possibilità ciò che più si adatta ai propri valori culturali ed etici e ai propri bisogni e stili di vita, tenendo conto della fase del ciclo della vita riproduttiva. In tema di sterilità e infertilità di coppia il ruolo del Consultorio Familiare consiste in un primo approccio con la coppia, nell’esclusione di una grossolana patologia a carico dell’apparato genitale e nella consulenza inerente la fisiologia riproduttiva, l’adeguatezza nella frequenza dei rapporti, ecc., e quindi indirizzare alle strutture idonee per il successivo iter diagnostico e terapeutico. Azioni

– Garantire l’offerta attiva a tutte le coppie di un colloquio prematrimoniale sulla fisiologia della riproduzione, sulla procreazione responsabile, sulla salute riproduttiva, sulla responsabilità genitoriale, sulle dinamiche relazionali, sull’accertamento di condizioni di rischio per consulenza genetica e indirizzo al servizio specifico, sulla prevenzione immunitaria (rubeo test, vaccinazione

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contro la rosolia) e non immunitaria (rischio di esposizione a contagio, per es. toxoplasmosi), sulla diagnosi prenatale precoce. A colloqui individuali possono seguire, o essere proposti in alternativa, incontri di gruppo. All’approccio prevalentemente diagnostico-terapeutico attualmente dominante deve essere affiancato quello psicologico e educativo - informativo. Il Consultorio Familiare rappresenta la struttura territoriale di primo ascolto e di primo intervento, con funzioni di collegamento con le scuole e con i servizi socio-assistenziali dei comuni per raggiungere le fasce sociali più disagiate.

Assistenza in gravidanza L’informazione alle donne in gravidanza, sostenuta da mezzi e metodi della comunicazione di massa, dovrà essere realizzata anche mediante inviti individuali alle donne (segnalate dai medici di base, dalle strutture distrettuali, dall’ufficio ticket al momento della richiesta dell’esonero dalla partecipazione al costo, ecc.). Tenuto conto del diritto della gravida alla scelta della figura professionale o della struttura territoriale o ospedaliera cui affidarsi nel percorso nascita, l’offerta attiva del Consultorio Familiare dovrà privilegiare le donne e le coppie che possono trovare difficoltà di accesso ai servizi pubblici e privati.

Azioni – Offrire colloqui informativi sulla gravidanza (assistenza, servizi disponibili, corso di preparazione

alla nascita, facilitazioni relative ai congedi lavorativi, esclusione dalla partecipazione al costo della spesa sanitaria, ecc.).

– Offrire attivamente i corsi di preparazione al parto, alla nascita, al ruolo genitoriale e all’assistenza postparto, con particolare riferimento alla promozione dell’allattamento al seno;

– Garantire la prevenzione delle malformazioni congenite, l’assistenza alla gravidanza fisiologica e l’individuazione delle gravidanze problematiche e a rischio: tale attività va offerta attivamente nelle situazioni di gravi difficoltà sociali, con particolare riferimento alle donne extracomunitarie e/o nomadi, avendo particolare cura di garantire il rispetto delle specifiche culture di appartenenza, anche attraverso la collaborazione con le associazioni di volontariato operanti sul territorio.

– Adottare una cartella ostetrica ambulatoriale orientata da linee guida condivise; – Monitorare la crescita e il benessere fetale anche mediante l’indirizzo a prestazioni di tipo

strumentale; – Operare in stretto collegamento con i centri di diagnosi prenatale per i casi che lo richiedano; – Offrire sostegno psicologico individuale e di coppia e alle gestanti con facoltà di partorire in

anonimato, come da legislazione vigente; – Perseguire e mantenere contatti permanenti con i reparti ospedalieri in cui le donne andranno a

partorire, anche attivando momenti strutturati di conoscenza reciproca, e prevedendo incontri di formazione comune tra operatori ospedalieri e territoriali privilegiando l’integrazione degli operatori dei CF e ospedalieri per quanto attiene il percorso nascita.

– Offrire sostegno e presa in carico sanitario, psicologico delle minorenni che affrontano la maternità senza reti familiari e parentali di appoggio o che intendono affrontare l’IVG predisponendo la relazione per il giudice tutelare.

Quale atteggiamento di particolare considerazione della collettività nei riguardi della donna gravida, devono essere predisposti interventi atti a privilegiare l’accesso ai servizi pubblici e privati (ambulatori, laboratori d’analisi, uffici, ecc.) secondo percorsi e facilitazioni che portino a ridurre per quanto possibile i tempi d’attesa e i disagi della gestante. La promozione dell’allattamento al seno, auspicata dagli Organismi internazionali, dal Ministero della Sanità e dalle Società scientifiche, riconosce nella corretta informazione in alcuni momenti prenatali e neonatali un’importanza fondamentale nell’offrire alla madre e al neonato lattante condizioni più favorevoli al successo-soddisfacimento dell’allattamento naturale. Il contributo dei servizi territoriali, in particolare del Consultorio Familiare, durante i corsi di preparazione al parto, in occasione del contatto domiciliare dopo la dimissione precoce della coppia madre-neonato e della successiva offerta attiva di servizi a livello territoriale è di notevole rilevanza, purché inserito in un progetto di Azienda che integri le varie competenze ospedaliere e territoriali (comprese le Associazioni di volontariato) nella formazione e aggiornamento specifici del personale e nel supporto diretto alla madre.

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Assistenza alla puerpera e al neonato La frequente carenza di aiuto alla puerpera al momento del rientro a domicilio suggerisce un maggiore impegno dei servizi territoriali e in particolare del Consultorio Familiare nell’aiuto a risolvere i problemi della puerpera e del neonato. Tale esigenza ha assunto particolare rilevanza a seguito dell’incremento numerico delle dimissioni ospedaliere precoci, che devono essere appropriate e concordate con la madre. In ogni caso devono essere esplicitati i criteri sanitari adottati per assicurare che madre e neonato siano dimessi in condizioni appropriate per la prosecuzione delle cure a domicilio e le misure di salvaguardia del benessere della diade, con particolare riferimento alle dimissioni antecedenti le 48 ore dopo il parto.

Azioni – Nel rispetto del principio della continuità assistenziale e in presenza di effettive possibilità di cure

domiciliari da parte dei servizi territoriali deve essere attivata un’offerta di assistenza ostetrica e pediatrica (almeno nell’attesa che il neonato sia registrato tra i clienti del pediatra di libera scelta), a domicilio almeno nel corso della settimana di vita, e soprattutto in caso di dimissione precoce. Deve essere tenuto in considerazione l’esigenza di tutela della salute fisica e psichica di madre e neonato e delle esigenze relazionali e organizzative del nucleo familiare, in particolare modo in presenza di soggetti “a rischio” sociale o sociosanitario (extracomunitarie, nomadi, ecc.) rispetto i quali deve essere prevista una presa in carico complessiva, di concerto con i servizi sociali.

Prevenzione dell’IVG La problematica dell’interruzione volontaria di gravidanza presenta certamente aspetti di grande delicatezza e complessità: da un lato implica infatti la necessità di cercare di rimuovere le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione (anche attraverso la stimolazione di interventi di natura sociale e socio sanitaria integrata) e, ove ciò risultasse vano, seguire adeguatamente (da un punto di vista sanitario, ma anche psicologico), nell’intero percorso assistenziale, la donna che richiede un IVG. Nel caso in cui tale richiesta provenga da minorenne senza assenso dei genitori, o da donna in situazione di disagio sociale e/o sociosanitario (con particolare riferimento a donne con problemi psichiatrici, tossicodipendenti, immigrate ecc.) l’intervento consultoriale deve farsi più attento e deve garantire, per quanto possibile, il "tutoring" dell’utente che si traduce in un vero e proprio affiancamento e accompagnamento dell’intero percorso assistenziale.

Azioni – offrire il colloquio; – garantire il supporto psicologico e sociale. Qualora ne esistano le condizioni. deve essere previsto l’invio

e/o la presa in carico della donna da parte del Servizio Sociale Comunale, al fine di attuare interventi di natura sociale e sanitari tesi a rimuovere le eventuali cause che la inducono la donna ad interrompere la gravidanza (anche avvalendosi, nel rispetto della sua volontà, delle associazioni di volontariato);

– assumere la presa in carico della donna che richiede l’IVG facilitandone il percorso verso le strutture di II-III livello, anche al fine di favorirne il ritorno al CF per la promozione della salute riproduttiva e la prevenzione della ripetitività dell’IVG.

– offrire interventi finalizzati alla consulenza per la procreazione consapevole post IVG, per la prevenzione del ripetuto ricorso all’IVG.

Prevenzione dei tumori femminili Il consultorio collabora all’attuazione dei programmi di screening regionali o aziendali su tumore del collo dell’utero e della mammella attivati secondo le indicazioni della Commissione Oncologica Nazionale. Al consultorio può essere assegnata la competenza dell’offerta attiva, mediante chiamata e verifica della non rispondenza. Il consultorio deve collaborare per il supporto psicologico alla donna con patologia oncologica prima o dopo la terapia, anche attraverso la promozione di gruppi di auto aiuto. Inoltre, il consultorio deve svolgere funzioni di presa in carico e di indirizzo verso i servizi specialistici di diagnosi e cura, facilitando i percorsi e gli accessi.

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Condizione essenziale per tale obiettivo di salute è la collaborazione continua, secondo le linee operative dipartimentali, con i servizi di II e III livello (citologia, colposcopia, mammografia, ecc.) accreditati e con controllo di qualità. Azioni

– Tumore del collo dell’utero offerta attiva del pap-test a tutte le donne di età compresa tra 25 e 64 anni, con periodicità triennale ove non sussistano condizioni di rischio (secondo le indicazioni della Commissione Oncologica Nazionale)

– Tumore della mammella il CF offre consulenza e indirizza la donna verso i centri di diagnosi precoce per la prevenzione del tumore della mammella e, per le donne di fascia di età 50-69 anni, indirizza verso il programma di screening, secondo i le indicazioni della Commissione Oncologica Nazionale.

Interventi per l’età post-fertile Pur essendo sufficientemente chiarito il rapporto causale tra carenza estrogenica, patologie degenerative e sintomatologia soggettiva, la sostituzione ormonale in menopausa non risulta comunque essere l’unica possibilità di prevenzione e cura. Uno stile di vita caratterizzato da dieta adeguata, attività fisica regolare e riduzione del fumo di tabacco e dell’uso di alcool, si è infatti dimostrato efficace nella prevenzione sia delle malattie cardiovascolari che dell’osteoporosi. Risulta pertanto necessario selezionare prioritariamente le donne in rapporto alle esigenze individuali e alle prospettive di prevenzione di patologie degenerative. I Consultori Familiari devono promuovere la sensibilizzazione delle donne in età post-fertile alla prevenzione e al trattamento delle malattie degenerative proprie dell’età, anche mediante la discussione, l’informazione e l’indirizzo a soluzioni personalizzate. Tale attività può anche essere svolta in modo complementare con l’offerta attiva del pap-test. Inoltre, per le donne in corso di trattamento con terapia ormonale sostitutiva, il CF può facilitare e organizzare gli opportuni controlli strumentali periodici. Azioni

– Promuovere l’aggiornamento professionale di ginecologi, medici di base, ostetriche, fisioterapisti sulle problematiche del climaterio e della menopausa e sulla possibilità di trattarla.

– Incentivare la consapevolezza delle donne circa la possibilità di migliorare il proprio stile di vita e la sessualità per la qualità della vita post-fertile.

Vaccinazioni Il Consultorio Familiare, in sinergia con il DP e con il Distretto, può intervenire nell’offerta attiva delle vaccinazioni per il conseguimento degli obiettivi del P.S.N. secondo le azioni e priorità indicate dal “Piano nazionale vaccini 1999-2000” (provvedimento 18 giugno 1999, Supp. Ord. n. 144 alla Gazzetta Ufficiale n. 176 del 29.7.1999). In particolare, in collegamento con i servizi responsabili dei programmi vaccinali potrebbe svolgere le indagini domiciliari nei casi in cui il bambino non sia stato portato alla seduta vaccinale e, con i suddetti servizi potrebbe collaborare alla realizzazione di campagne di educazione sanitaria e campagne vaccinali.

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CONSULTORI FAMILIARI

OBIETTIVI AZIONI INDICATORI

Completamento della rete dei CF in applicazione della L 34/1996

- Adeguamento, da parte della ASL, delle strutture logistiche e delle attrezzature alle funzioni da compiere

- Presenza di CF per area geografica - % CF con strutture adeguate

Disponibilità di profili professionali richiesti dal lavoro di équipe

- Reclutamento dei profili professionali necessari in rapporto alle risorse disponibili e agli obiettivi

- % CF con organici adeguati - % profili professionali dei ruoli

laureati con rapporto a tempo pieno

Massima integrazione del CF nell’organizzazione dipartimentale attraverso l’afferenza al Distretto e lacollaborazione con i servizi sociali e socio-assistenziali ad esso afferenti

- Piano di integrazione sanitario-sociale-socioassistenziale con coinvolgimento di tutti i servizi territoriali interessat e suo finanziamento

- % CF che sono inseriti in programmi strategici di integrazione

- % CF che hanno attivato programmi di prevenzione della salute

Migliorare le competenze degli adolescenti per quanto attiene scelte consapevoli per garantire il benessere psicofisico

- Offerta attiva di corsi di informazione ed educazione alla salute nelle scuole

- Offerta attiva dello spazio giovani nel consultorio

- Offerta attiva di incontri con i genitori degli alunni

- Presa in carico dei casi di disagio adolescenziale segnalati e/o individuati

- n. classi coinvolte sul totale delle classi

- n. insegnanti coinvolti sul totale degli insegnanti,

- n. incontri con i genitori sul totale dei plessi scolastici,

- n. accessi di adolescenti nell’ambito spazio giovani del consultorio;

- incremento delle conoscenze sulla fisiologia della riproduzione e sull’igiene (su base campionaria);

- n. IVG in età minorile, - % gravidanze in minorenni

Migliorare il benessere psicofisico e relazionale del singolo, della coppia e della famiglia

- Su segnalazione dei servizi vaccinali attivare ricerca attiva e valutazione dei casi di grave ritardo o evasione vaccinale

- Su segnalazione delle scuole ricerca attiva e valutazione dei casi di grave basso profitto o abbandono scolastico

- Offrire consulenza, in collegamento con i pronto soccorsi, in caso di lesività domestica in cui necessita un approfondimento sull’ambiente familiare

- Offrire supporti al singolo e alla famiglia per superare le difficoltà relazionali

- Garantire il collegamento con l’autorità giudiziaria per le situazioni più a rischio

- Presa in carico delle segnalazioni dell’autorità giudiziaria competente

- % casi presi in carico (investigati e assistiti) sul totale dei casi segnalati e/o individuati, nelle varie azioni

segue

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continua

OBIETTIVI AZIONI INDICATORI

Migliorare l’informazione e l’educazione alla salute per l’espressione di una sessualità rispondente ai bisogni del singolo e di una maternità e paternità responsabili

- Garantire l’offerta attiva a tutte le coppie di un colloquio prematrimoniale sulla fisiologia della riproduzione, sulla procreazione responsabile, sulla salute riproduttiva, sulla responsabilità genitoriale, sulle dinamiche relazionali, sull’accertamento di condizioni di rischio per consulenza genetica e indirizzo al servizio specifico, sulla prevenzione immunitaria e non immunitaria sulla diagnosi prenatale precoce

- n. coppie che aderiscono agli inviti individuali sul totale delle coppie che si sposano, nell’unità di tempo;

- n. coppie che partecipano a incontri di gruppo;

- n. coppie che utilizzano la consulenza genetica sul totale di coppie individuate essere a rischio.

- n. accertamenti sullo stato immunitario rispetto alla rosolia,

- n.vaccinazioni per rosolia sul totale delle suscettibili,

- n.accertamenti sullo stato immunitario rispetto alla toxoplasmosi;

- incremento di % di conoscenze sulla fisiologia della riproduzione (su base campionaria),

- riduzione del tasso di IVG e, in particolare della sua ripetitività, valutata per fascia d’età con particolare riferimento alla fascia minorile o alle situazioni di maggior disagio sociale.

Migliorare l’informazione e l’educazione alla salute delle donne sulla gravidanza e sulla gestione della stessa

- Offrire colloqui informativi sulla gravidanza

- Offrire attivamente i corsi di preparazione al parto, alla nascita, al ruolo genitoriale e all’assistenza post-parto, con particolare riferimento alla promozione dell’allattamento al seno

- Favorire la prevenzione delle mal-formazioni congenite, l’assistenza alla gravidanza fisiologica e l’individuazione delle gravidanze problematiche e a rischio

- Adottare una cartella ostetrica ambulatoriale orientata da linee guida condivise

- Monitorare la crescita e il benessere fetale

- Operare in stretto collegamento con i centri di diagnosi prenatale per i casi che lo richiedano;

- Offrire sostegno psicologico indi-viduale e di coppia e alle gestanti

Perseguire e mantenere contatti permanenti con i reparti ospe-dalieri in cui le donne andranno a partorire, privilegiando l’integra-zione degli operatori dei CF e ospedalieri per quanto attiene il percorso nascita

- n. donne che accettano il colloquio sul totale delle donne in gravidanza nell’unità di tempo

- n. donne che partecipano al corso di preparazione alla nascita

- n. donne allattanti al seno sul totale delle donne che hanno partorito, nell’unità di tempo (su base campionaria)

- n. donne che seguitano ad allattare al seno dopo un mese dalla nascita (su base campionaria)

- % parti con taglio cesareo, - % nati prematuri, - % nati di basso peso per l’età

gestazionale - percentuale di morti endouterine, - mortalità perinatale, - % CF messi in rete con i servizi

ospedalieri - % casi cui è stato offerto sostegno e

presa in carico sul totale dei casi individuati e/o segnalati

segue

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continua

OBIETTIVI AZIONI INDICATORI

Migliorare l’informazione e l’educazione

(segue)

- Offrire sostegno e presa in carico sanitario, psicologico delle minorenni che affrontano la maternità senza reti familiari e parentali di appoggio o che intendono affrontare l’IVG predisponendo la relazione per il giudice tutelare.

Migliorare il benessere psicofisico della puerpera e del neonato

- Offerta attiva di visite domiciliari, con particolare riferimento al caso di dimissioni precoci e/o in situazioni di rischio sociale

- n. donne che accettano il colloquio sul totale delle donne che hanno partorito nell’unità di tempo,

- n. donne coinvolte nel progetto aziendale di promozione dell’allattamento al seno,

- n. puerpere che hanno richiesto e/o concordato la dimissione precoce e n. di controlli domiciliari.

- Tempo medio dalla nascita all’iscrizione al P.L.S.

- percentuale di bambini vaccinati entro un mese dal termine indicato dalla schedula vaccinale per le prime dosi delle vaccinazioni obbligatorie (su base campionaria);

- conoscenze sulla fisiologia della riproduzione e sulla procreazione responsabile (su base campionaria)

- percentuale di donne che allattano esclusivamente al seno sino al momento della dimissione ospedaliera e che seguiteranno ad allattare al terzo mese e al sesto mese ;

- n. incidenti domestici nel 1° anno di vita; accessi al P.S. nel primo anno di vita,

- ricoveri ospedalieri successivi alla dimissione precoce nel 1° mese di vita..

Prevenire il ricorso all’IVG

- offrire il colloquio; - garantire il supporto psicologico e

sociale - assumere la presa in carico della

donna che richiede l’IVG - offrire interventi finalizzati alla

consulenza per la procreazione consapevole post IVG, per la prevenzione del ripetuto ricorso all’IVG

- percentuale di certificazioni IVG rilasciate dai consultori;

- tempo di attesa tra certificazione e intervento

- riduzione della percentuali di ripetuto ricorso all’IVG.

- Percentuale di donne che tornano al CF dopo l’IVG

segue

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continua

OBIETTIVI AZIONI INDICATORI

Riduzione dell’incidenza dei tumori femminili e della mortalità ad essi associata

- Tumore del collo dell’utero: offerta attiva del pap-test a tutte le donne di età compresa tra 25 e 64 anni.

- Tumore della mammella: offrire consulenza e indirizzare la donna verso i centri di diagnosi precoce per la prevenzione del tumore della mammella e, per le donne di fascia di età 50 – 69 anni, indirizza verso il programma di screening

- numero di donne che hanno effettuato pap-test sul totale delle donne appartenenti alla popolazione bersaglio;

- percentuale di ritorni di vetrini per inadeguatezza;

- numero di donne indirizzate e che si sono realmente rivolte ai servizi di diagnosi precoce sul totale della corrispondente popolazione bersaglio;

- numero di donne seguite nel percorso diagnostico terapeutico sul totale delle donne con problema.

- riduzione di incidenza del tumore del collo dell’utero

- diagnosi tempestiva e migliore prognosi delle neoplasie adeguatamente trattate con riduzione del numero dei casi avanzati per il tumore della mammella.

Migliorare il benessere psicofisico nell’età postfertile

- Promuovere l’aggiornamento professionale sulle problematiche del climaterio e della menopausa e sulla possibilità di trattarla.

- Incentivare la consapevolezza delle donne circa la possibilità di migliorare gli stili di vita e la sessualità per la qualità della vita post-fertile

- Percentuale di personale che frequenta i corsi

- Percentuale di donne che hanno cambiato stile di vita, su base campionaria

Migliorare le coperture vaccinali

- Collaborare, con i servizi responsabili dei programmi vaccinali, alla realizzazione di campagne di educazione sanitaria e campagne vaccinali.

- In collegamento con i servizi responsabili dei programmi vaccinali svolgere indagini domiciliari nei casi in cui il bambino non sia portato alla seduta vaccinale

- Livelli di conoscenza, attitudini e competenze pratiche in tema di vaccinazioni (su base campionaria)

- Percentuale di bambini investigati sul totale dei bambini segnalati in condizioni di grave ritardo vaccinale

Si riportano di seguito i requisiti e gli standard di fabbisogno indicativi per i CF che possono essere presi come riferimento nelle attività di programmazione regionale.

REQUISITI E STANDARD DI FABBISOGNO INDICATIVI PER I CONSULTORI FAMILIARI La legge n. 34/1996 prevede un consultorio familiare ogni 20.000 abitanti. Sarebbe opportuno distinguere tra zone rurali e semiurbane (1 ogni 10.000 abitanti) e zone urbane-metropolitane (1 ogni 20.000-25.000 abitanti).

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Per lo svolgimento delle sue funzioni il consultorio si avvale, di norma, delle seguenti figure professionali:

– ginecologo, pediatra, psicologo, dei quali si può prevedere un impiego corrispondente al carico di lavoro determinato dalle strategie di interventi di prevenzione e dalla attività svolta per l’utenza spontanea;

– ostetrica, assistente sociale, assistente sanitario, infermiere pediatrico (vigilatrice di infanzia), infermiere (infermiere professionale);

Devono essere previste, in qualità di consulenti, altre figure professionali quali il sociologo, il legale, il mediatore linguistico-culturale, il neuropsichiatra infantile, l’andrologo e il genetista presenti nella ASL a disposizione dei singoli consultori. Se a livello di distretto (o per un insieme di distretti) si prevede, come è auspicabile, la presenza di servizi specialistici ambulatoriali ginecologici, pediatrici, di psicologia clinica e di psicoterapia, gli stessi operatori consultoriali potrebbero essere impegnati anche in detti servizi, per il completamento dell’orario, al fine di una migliore continuità assistenziale. Nella rete degli ambulatori ginecologici afferenti all’organizzazione dipartimentale Aziendale, sia a livello distrettuale, sia a quello ospedaliero, dovrebbero essere previsti il servizi di colposcopia e di ecografia, disponibili alle segnalazioni provenienti dal consultorio. Il Consultorio Familiare deve essere facilmente raggiungibile e possibilmente in sede limitrofa ai servizi sanitari e socio-assistenziali del distretto, preferibilmente a pianoterra e senza barriere architettoniche, in ambienti accoglienti, nel rispetto della normativa per l’edilizia sanitaria e delle diverse esigenze della popolazione di ogni età maschile e femminile, in particolare dei bambini e degli adolescenti. Considerate le varie afferenze e le tipologie di intervento il Distretto dovrà predisporre dei set di attrezzature adeguati per le attività specifiche e generali del consultorio e dovrà altresì identificare, ai fini della rendicontazione correlata all’attribuzione del budget di finanziamento, il centro di costo competente.

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Allegato 2

Estratto dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) Gazzetta Ufficiale - Supplemento Ordinario n.19 del 23 gennaio 2002

Prestazioni Assistenza sanitaria e socio-sanitaria alle donne, ai minori, alle coppie e alle famiglie; educazione alla maternità responsabile e somministrazione dei mezzi necessari per la procreazione responsabile; tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento, assistenza alle donne in stato gravidanza; assistenza per l’interruzione volontaria della gravidanza, assistenza ai minori in stato di abbandono o in situazione di disagio; adempimenti per affidamenti e adozioni

Fonti Legge 405 del 29 luglio 1975; Legge 194 del 22 maggio 1978; DM 24 aprile 2000 "P.O. materno infantile" DPCM 14 febbraio 2001 DL 1° dicembre1995, convertito nella Legge 34 del 31 gennaio 1996

Modalità organizzative

e standard

Il P.O. individua modalità organizzative nell’ambito del "percorso nascita", trasporto materno e neonatale, assistenza ospedaliera (compresa urgenza ed emergenza) ai bambini, riabilitazione, tutela salute della donna. Lo stesso P.O. individua requisiti organizzativi e standard di qualità delle U.O. di ostetricia e neonatologia ospedaliere, inclusa la dotazione di personale. La legge n. 34/1996 prevede 1 CF ogni 20 mila abitanti

Liste di prestazioni Le prestazioni erogabili sono diffusamente elencate nel P.O. materno-infantile e nel DPCM 14 febbraio 2001.

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DONNE IMMIGRATE IN ITALIA

Angela Spinelli (a), Graziella Sacchetti (a, b), Giovanni Baglio (a), Laura Lauria (a) (a) Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute,

Istituto Superiore di Sanità, Roma (b) Centro Crinali, Cooperativa sociale Onlus, Milano

Introduzione

Negli ultimi 20 anni uno dei grandi cambiamenti osservati nel nostro Paese è la trasformazione da Paesi di emigranti a centro di immigrazione. A tal punto che oggi la presenza di immigrati in Italia non può più essere considerata come un fenomeno transeunte, ma è una dimensione strutturale della nostra società. All’inizio del 2010 i cittadini stranieri residenti, in base alla rilevazione sui bilanci anagrafici dei comuni (1), erano 4.235.059, pari al 7% del totale dei residenti. Rispetto al gennaio 2009 l’aumento è quantificabile in 344 mila unità. Appena 10 anni fa il numero dei cittadini stranieri regolarmente presenti era pari a 781.138 (2) e nel 2000 il valore era salito a 1.388.153 (3). Se si includono tutte le persone regolarmente soggiornanti, secondo la stima del Dossier Statistico immigrazione Caritas/Migrantes, nel 2010 le persone straniere presenti in Italia erano 4 milioni e 919 mila (4), pari a poco meno di un decimo della nostra popolazione (Figura 1).

Figura 1. Presenza di immigrati in Italia: trend 1986-2009

Con questa percentuale l’Italia si colloca per presenza di stranieri al 59° posto nel mondo e se si considera la numerosità dei residenti al 4° posto tra i Paesi europei, dopo la Germania (7 milioni), la Spagna (5,4 milioni) e la Gran Bretagna (4,3 milioni). Il fenomeno si caratterizza

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Fonte dei dati: Caritas, Dossier Statistico Immigrazione

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anche per il suo notevole dinamismo: l’aumento è stato di circa tre milioni di persone nel decennio e di quasi un milione nell’ultimo biennio.

La popolazione straniera si distribuisce sul territorio italiano in modo fortemente disomogeneo. Questa caratteristica si applica al complesso degli stranieri, e soprattutto alle singole collettività distinte per cittadinanza. Sin dalle origini del fenomeno migratorio in Italia le zone metropolitane del Nord e Centro hanno rappresentato le aree di principale polarizzazione dei flussi.

Al 1° gennaio 2010 nel Nord del Paese si concentrava il 61,6% delle presenze (35% nel Nord-Ovest e 26,6% nel Nord-Est), il 25,3% nel Centro, il 9,3% nel Sud e il 3,8% nelle Isole (4). La Lombardia risultava la prima regione per numero di stranieri residenti (23,2% del totale), seguita dal Lazio (11,8%), dal Veneto (11,3%) e dall’Emilia Romagna (10,9%).

Queste differenze territoriali si riflettono ovviamente anche sul peso, in termini di incidenza percentuale, della popolazione straniera sul complesso della popolazione residente nelle diverse aree del Paese. Nelle regioni del Nord-Est l’incidenza ha un valore medio del 9,8%, il che significa che poco meno di un residente su dieci è straniero. Nelle Isole, invece, dove l’incidenza media è molto più bassa, poco più di due residenti su cento sono stranieri. L’incidenza nelle altre aree è rispettivamente: 9,3% nel Nord-Ovest, 9% al Centro e 2,8% al Sud. La regione con la maggiore incidenza di stranieri sulla popolazione totale residente è l’Emilia Romagna con il 10,5%, mentre la provincia con la quota più alta è Brescia con 12,9% (4).

Negli anni, oltre all’incremento dell’incidenza della popolazione straniera pressoché generalizzato su tutto il territorio, si è osservato il coinvolgimento di regioni inizialmente meno interessate al fenomeno (come la Calabria e la Sardegna) e l’arrivo di nuove comunità. A seguito dell’ingresso di Romania e Bulgaria nell’Unione Europea avvenuto il 1° gennaio 2007 e alla più o meno contemporanea entrata in vigore della nuova normativa sulla libera circolazione e il soggiorno nell’Unione Europea dei cittadini dei Paesi membri, si è determinata una vera e propria esplosione della comunità dei romeni. Qualche anno prima, in seguito alla regolarizzazione dedicata ai servizi, alle famiglie e al lavoro dipendente del 2002, si era registrato un consistente incremento dei flussi dall’Ucraina e dalla Moldova.

All’inizio del 2010 circa la metà dei residenti stranieri (2.088.000 individui, pari al 49% di tutti gli stranieri) proveniva da Paesi dell’Est Europa, il 22% da Paesi africani (principalmente dall’Africa settentrionale e in primo luogo dal Marocco), il 16% dall’Asia e l’8% dall’America (quasi esclusivamente dall’America Latina). La comunità straniera più numerosa è quella rumena che con 888.000 residenti costituisce da sola il 21% del totale degli stranieri in Italia, seguita dalla comunità albanese, marocchina, cinese e ucraina (4).

Per quanto riguarda la composizione per età, ben il 70% degli stranieri ha meno di 40 anni (tra gli italiani solo il 43%), mentre gli ultrasessantacinquenni sono appena il 2,2% (il 20,2% tra gli italiani). Per questo motivo l’incidenza media dei residenti stranieri (7%) diventa più consistente tra i giovani (9,2% per la classe 0-17 anni e 12,1% per la classe 18-39 anni).

Di pari passo con l’aumento della popolazione straniera, si è osservato negli anni un incremento dei matrimoni in cui almeno un coniuge è straniero. Particolarmente consistente è l’aumento delle unioni miste. Nel periodo 1996-2008, infatti, sono stati celebrati complessivamente 236.405 matrimoni misti, con una crescita del 148,6% che è risultata pressoché continua. Si stima che oggi in Italia vivano circa 600mila coppie miste sposate (oltre un terzo del totale; nel 1991 se ne contavano soltanto 65 mila) o conviventi (4). Nella gran parte dei casi si tratta di coppie in cui l’uomo è italiano e la donna proviene dall’estero in prevalenza dall’Europa dell’Est o dall’America Latina, ma non mancano matrimoni con donne provenienti da Paesi asiatici come la Thailandia, le Filippine e, più recentemente, la Cina.

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Immigrazione al femminile

Più della metà della popolazione straniera regolarmente presente in Italia, ormai da diversi anni, è costituita da donne, anche se con notevoli differenze per Paese di provenienza. Ad esempio la componente femminile è molto maggiore tra gli immigrati provenienti dall’Europa Orientale rispetto a quelli di origine africana o asiatica. Anche il tipo di migrazione si differenzia in base alla provenienza. Tra le cittadine dell’Est Europa, prevalgono donne sole o con figli che migrano individualmente piuttosto che raggiungere le proprie famiglie, come invece capita per le donne del Maghreb. Le donne sudamericane, invece, sono spesso il primo anello della catena migratoria e vengono raggiunte dai loro connazionali di sesso maschile.

Alla fine del 2008, le donne straniere residenti in Italia erano 2.171.652 pari al 51,3% del totale (4). La distribuzione territoriale è simile a quella di tutta la popolazione migrante: 34% risiede nelle regioni del Nord-Ovest, 26% in quelle del Nord-Est, 26% nel Centro, il 10% al Sud e il 4% nelle Isole. Il continente da cui proviene la maggior parte delle donne immigrate in Italia è l’Europa (58,3%), in prevalenza l’Europa dell’Est, seguita dall’Africa (17,4%), prevalentemente Nord Africa, dall’Asia (14,4%), e dall’America centro-meridionale (9,4%). Nella Tabella 1 sono riportati i primi 10 Paesi di provenienza della popolazione femminile e la percentuale sul totale delle straniere. La Figura 2 mostra la distribuzione per regione delle donne immigrate e la loro percentuale di impatto sul totale della popolazione femminile residente in ciascuna regione (1).

Tabella 1. Primi 10 Paesi di provenienza della popolazione femminile immigrata in Italia (2009)

Provenienza della popolazione femminile % sul totale delle straniere

1. Romania 22,0 2. Albania 9,8 3. Marocco 8,6 4. Ucraina 6,4 5. Cina 4,2 6. Polonia 3,4 7. Filippine 3,3 8. Moldavia 3,2 9. Perù 2,4

10. Ecuador 2,3

Figura 2. Popolazione straniera femminile (%) e impatto sulle donne residenti (2009)

0-3,03,1-7,57,6-9,0> 9

% impattoNord Ovest 34%

Centro 26%

Sud 14%

Nord Est 26%

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Le donne straniere e la nascita

In conseguenza dell’aumento della popolazione immigrata e della loro stabilizzazione nel nostro Paese, si è osservato un incremento delle nascite di bambini stranieri. Nel 1986 i nati da genitori entrambi stranieri erano l’1% del totale dei nati in Italia e nel 1996 il 4,5%, mentre nel 2009 la percentuale si assesta al 13,6%, con 77.000 nati (1, 4). Considerando le coppie in cui almeno la madre è straniera, questi valori raggiungono circa 94.000 nascite, pari al 16,5% del totale dei nati. La Figura 3 illustra l’aumento registrato nel tempo (5).

Naturalmente laddove la presenza straniera è più stabile e radicata si osserva una maggiore incidenza delle famiglie straniere presenti e delle nascite di bambini stranieri. Emilia Romagna, Veneto e Lombardia sono le regioni che nel corso del 2009 hanno mostrato il numero di nati stranieri più elevato, con più di 20 ogni cento nati residenti (4). Al Centro spiccano i valori elevati delle Marche e dell’Umbria (circa 18 nati stranieri ogni 100) e della Toscana (17,3%), regione che ospita la provincia con la quota più elevata di nascite straniere: quasi una su tre a Prato (29,4%). Nel Sud Italia i valori sono molto più bassi (3-4%), con un massimo in Abruzzo (10%).

Figura 3. Percentuale di nati da cittadini stranieri – Italia 1999-2008

Il tasso di fecondità totale (n. medio di figli per donna) delle straniere è stimato intorno a 2,41 contro 1,24 delle cittadine italiane. La forte eterogeneità della migrazione fa sì che i livelli medi di fecondità varino in base alla comunità straniera: ad esempio marocchine ed egiziane

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1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Almeno madre straniera Almeno padre straniero Entrambi genitori stranieri

%

Fonte dei dati: ISTAT; http://demo.istat.it. Anno 2010

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hanno in media 4-5 figli per donna, mentre rumene, peruviane e filippine si attestano su 1,7 e polacche e ucraine su valori simili alle italiane (6).

La giovane età della popolazione immigrata e il suo modello di fecondità tende anche ad anticipare l’età al parto rispetto alle donne italiane, con proporzioni di nascite più elevate in più giovani età e più contenute tra le trentenni. Dall’analisi dell’evento nascita attraverso i certificati di assistenza al parto (7) si evidenzia, ad esempio, che oltre il 65% di parti da madri dell’Est Europa è sotto i 30 anni di età, contro il 28% delle italiane (Figura 4).

Figura 4. Distribuzione dei parti secondo la provenienza e l’età della madre. Anno 2007

Proprio per queste loro caratteristiche demografiche e di fecondità, oltre che per la persistenza del cosiddetto “effetto migrante sano”, cioè le persone che migrano sono prevalentemente in buona salute, più della metà dei ricoveri delle straniere residenti in Italia riguardano gli aspetti della salute riproduttiva, come la gravidanza, il parto, il puerperio, le interruzioni volontarie di gravidanza e l’aborto spontaneo (8-10).

Per quanto riguarda la nascita, le fonti informative disponibili a livello nazionale sono i Certificati di Assistenza al Parto (CeDAP), rispetto ai quali permane un problema di copertura insufficiente a livello nazionale, sebbene ci sia stato un miglioramento nel tempo, e le Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO), che contengono poche informazioni sulla gravidanza. Per esplorare più in profondità ambiti non rilevabili attraverso i flussi correnti, sono state condotte dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) delle indagini campionarie di popolazione. Da questi dati si evidenzia che, sebbene l’assistenza al percorso nascita tra le straniere sia complessivamente migliorata, anche grazie alle normative che hanno esteso il diritto all’assistenza socio-sanitaria in area materno-infantile alle donne prive di permesso di soggiorno (11), permangono delle differenze tra straniere e italiane.

Complessivamente gli indicatori di qualità dell’assistenza alla nascita tra le donne straniere sono leggermente peggiori se paragonati a quelli delle donne italiane e permangono, specie per

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Africa AmericaCentro-Sud

America del Nord

Asia Oceania

<20 20-29 30-39 40+<20 20-29 30-39 40+

%

Fonte dei dati: Ministero della Salute - Sistema Informativo Sanitario - CeDAP - Anno 2007 (7)

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alcune etnie, problemi di accesso ai servizi e di fruizione di alcune opportunità assistenziali. Tuttavia, il percorso nascita appare meno medicalizzato tra le donne straniere rispetto alle italiane. Ad esempio, nelle due indagini sull’assistenza al percorso nascita coordinate dall’ISS, la prima nel 1995-1996 e l’altra nel 2000-2001 (12), il 16% delle donne immigrate dichiarava di aver effettuato la prima visita oltre il terzo mese di gravidanza (Tabella 1), rispetto al 10% delle italiane intervistate nel 1996 (in quello stesso anno, tale valore era pari al 25% per le immigrate regolari e al 42% per le irregolari). Per quanto riguarda gli esiti, nel 2001 il 9% dei nati da donne straniere era pretermine (12% nel 1996), rispetto al 5% tra le italiane.

L’assistenza in gravidanza tra le donne immigrate avviene per lo più (circa 70%) ad opera del servizio pubblico (ginecologo di una struttura pubblica e/o ginecologo dei consultori familiari) mentre il 75% delle donne italiane riceve assistenza in gravidanza da parte di unl ginecologo privato (12-14).

Tra le straniere risulta maggiore la proporzione di donne che non vengono assistite in gravidanza e la percentuale di quelle che entrano tardivamente in contatto con un operatore sanitario (oltre la 12 settimana di gestazione), entrambi indicatori di ridotta assistenza in gravidanza (Tabella 2). Nell’indagine realizzata nel 2000-2001 dall’ISS, il 17% del campione ha riferito di aver avuto difficoltà nell’essere assistito durante la gravidanza, difficoltà principalmente collegate a problemi di comunicazione, di tempo, economici e di accesso alle strutture sanitarie (12).

Tabella 2. Principali indicatori di assistenza alla nascita: confronto tra donne immigrate e italiane come emerso da indagini ISS, dati ISTAT e CeDAP

Indicatore ISS 1995-1996 (13)

ISS 2000-2001(12)

ISTAT 2005 (17)

CeDAP 2007 (7)

IT IMM irregolari

IMM regolari

IMM IT IMM IT IMM

Non assistite in gravidanza

0,5% – 3% 4% – – 1,1% 2,6%

1ª visita dopo il 1° trimestre

10% 42% 25% 16% 5% 12% 4% 16%

Numero medio di ecografie

5 2 3 3 5,6 4,4 – –

Mese 1ª ecografia

3° 4° 4° 3° 3° 3° – –

IT: italiane; IMM: immigrate

Inoltre, solo il 15% delle straniere aveva frequentato un corso di preparazione alla nascita, rispetto al 23% delle italiane nel 1996. I dati della regione Piemonte evidenziano forti differenze tra le diverse etnie: le donne musulmane e cinesi disertano i corsi mentre le donne provenienti dai Paesi dell’Est Europa li frequentano in percentuali analoghe alle italiane (15). Tra i motivi riferiti per la mancata partecipazione, il 42% delle intervistate nell’indagine ISS 2000-2001 ha riferito di non essere a conoscenza della loro esistenza (12).

Rispetto agli accertamenti in gravidanza le donne straniere effettuano in media meno ecografie delle donne italiane (vedi Tabella 2), con valori superiori a 5 per le italiane e di 4 o meno per le straniere; questi valori sono entrambi aumentati nel tempo e superano il numero di 3 ecografie raccomandato dal protocollo ministeriale attualmente in vigore (16). Anche l’ultima indagine multiscopo dell’ISTAT “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari” (17) e i dati del CeDAP (7) confermano la persistenza di tali differenze (vedi Tabella 2).

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Per quanto riguarda le modalità di espletamento del parto, a livello nazionale la proporzione di taglio cesareo nelle donne straniere rispetto alle italiane era 19,7% vs 21,2% nel 1990 (18) e 27,8% vs 39,3% nel 2007 (7). Nella Regione Lazio è stata condotta un’interessante analisi sulla differenza presente tra donne italiane e straniere sulla proporzione di parti con taglio cesareo nel 2000 (35,6% per le italiane e 29,4% per le straniere) che ha evidenziato che tale differenza è imputabile principalmente alla ridotta proporzione di taglio cesareo elettivo tra le donne straniere (8,3%) rispetto alle italiane (16,2%) (19).

Gli aspetti critici relativi all’assistenza al post-partum ed durante il puerperio rilevati tra le donne straniere riguardano le stesse aree critiche identificate tra le italiane: scarsa promozione e sostegno dell’allattamento al seno esclusivo e prolungato, insufficienti informazioni circa la ripresa dei rapporti sessuali e la contraccezione dopo il parto e scarso sostegno domiciliare in puerperio (12, 13). L’indagine ISS 2000-2001 (12) ha evidenziato anche una ridotta conoscenza degli aspetti normativi relativi al percorso nascita tra le donne immigrate (conoscenza dei consultori familiari, della legge che regolamenta i diritti delle donne lavoratrici in gravidanza, della legge che permette di partorire anonimamente in ospedale). Un progetto recentemente conclusosi, coordinato dall’Agenzia di Sanità Pubblica del Lazio e dall’ISS, in cui si è valutato l’impatto delle visite domiciliari post-partum a donne straniere, ha mostrato numerosi risultati positivi in particolare su ciò che riguarda il benessere psicologico, il grado di conoscenza dei servizi presenti sul territorio (valutato in termini di iscrizione tempestiva del bambino al pediatra di libera scelta e vaccinazioni), della pratica e contraccettiva e dell’allattamento al seno (20).

Per quanto riguarda la salute del neonato, i risultati delle indagini ISS relativi a una maggiore proporzione di parti pretermine tra le donne straniere (12), sono stati confermati da uno studio italiano condotto dai pediatri su oltre 14.000 neonati (21), in cui sono stati osservati oltre a una maggiore incidenza di prematurità, di basso peso alla nascita e di asfissia, alti tassi di natimortalità (2,5/1000 nati) e mortalità neonatale precoce (5,7/1000 nati vivi) nei figli di persone immigrate, specie nelle famiglie composte da genitori entrambi immigrati e in particolare tra i nomadi (8,6/1000 nati vivi).

Anche in altri Paesi sono stati studiati gli esiti alla nascita delle donne straniere. Un articolo di Bollini et al., recentemente apparso su Social Science & Medicine (22), ha presentato i risultati di una revisione sistematica della letteratura internazionale riguardante i principali esiti di salute alla nascita tra le donne straniere rispetto alle donne autoctone, in 12 Paesi europei. La ricerca condotta sulla banca dati Medline ha permesso di identificare 65 studi, pubblicati tra il 1966 e il 2004, per un totale di 18 milioni di gravidanze analizzate. Gli esiti considerati hanno riguardato il basso peso alla nascita (<2500 g), i parti pretermine (<37 settimane di gestazione), la mortalità perinatale (entro la prima settimana di vita) e le malformazioni congenite. In generale, emerge un profilo di salute peggiore per la popolazione immigrata: il rischio di basso peso alla nascita tra i figli di donne immigrate risulta incrementato del 43% (Odds Ratio=1,43), il rischio di parto pretermine del 24%, la mortalità perinatale del 50% e le malformazioni congenite del 61% (Tabella 3).

Un aspetto interessante del lavoro ha riguardato l’analisi delle differenze di salute tra donne straniere e autoctone, in relazione alle diverse politiche di accoglienza e di inserimento della popolazione immigrata nel tessuto sociale del Paese ospite. A tal fine, è stato utilizzato come indicatore sintetico di integrazione il tasso di cittadinanza, desunto dalle pubblicazioni dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD).

Per i diversi esiti esaminati, sono stati confrontati i Paesi con politiche forti di integrazione (Belgio, Danimarca, Norvegia, Olanda e Svezia) e quelli con politiche di integrazione più deboli (Austria, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna e Svizzera). I risultati mostrano, nel primo gruppo, condizioni di salute simili tra madri immigrate e autoctone; mentre nel secondo blocco di Paesi, gli esiti di salute a carico delle immigrate risultano decisamente peggiori (Tabella 3).

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Tabella 3. Risultati di una revisione sistematica sui principali esiti di salute alla nascita tra donne straniere e autoctone in 12 Paesi europei. Anni 1966-2004

Confronto donne immigrate vs autoctone Odds Ratio (IC 95%)

Esiti di salute alla nascita

Donne immigrate

(%)

Donne autoctone

(%) totale paesi a forte

integrazione paesi a debole

integrazione

Basso peso (<2500 g) 8,6 6,2 1,43 (1,42-1,44)

0,98 (0,96-1,01)

1,54 (1,52-1,55)

Parto pretermine (<37 settimane)

7,7 6,0 1,24 (1,22-1,26)

1,16 (1,14-1,18)

1,47 (1,43-1,52)

Mortalità perinatale (entro 1a settimana di vita)

1,7 1,1 1,50 (1,47-1,53)

1,41 (1,37-1,46)

1,56 (1,52-1,60)

Malformazioni congenite 1,0 0,8 1,61 (1,57-1,65)

0,94 (0,87-1,00)

1,78 (1,74-1,84)

Fonte dei dati: Bollini et al. (22)

Questa valutazione di health impact assessment evidenzia, da una parte, l’importanza del contesto sociale nel condizionare le dinamiche di salute delle persone, soprattutto in condizioni di particolare fragilità; e dall’altra, indica le linee di un percorso programmatico, incentrato sull’integrazione e sull’accessibilità dei servizi sanitari, potenzialmente in grado di ridurre i differenziali di salute esistenti all’interno delle popolazione, e di contrastare le sacche di disuguaglianze che ancora oggi persistono in molti Paesi europei.

Diventare madre in immigrazione

La migrazione introduce elementi di grande complessità per tutti i migranti, ma è particolarmente difficile per le donne nel frangente della maternità. La donna si trova a partorire in un contesto che non corrisponde a quello che le è famigliare, i messaggi culturali trasmessi da chi la circonda e l’assiste per lei sono indecifrabili. La spesso giovane madre straniera affronta questa insicurezza, definita da M.R. Moro come “solitudine elaborativa” (23, 24) con grande difficoltà e questo determina in lei una sofferenza profonda e l’incertezza su che cosa trasmettere al bambino. Il mondo esterno è sconosciuto e spesso è vissuto come minaccioso, d’altra parte il bambino vivrà in Italia, la mamma non sa se parlargli in italiano o nella sua lingua, tutto il processo di trasmissione viene segnato da una grande insicurezza.

Spesso le donne che provengono da Paesi dove la gravidanza fisiologica non è considerata una malattia, non sono abituate a tanti controlli medici in strutture sanitarie – consultorio o ospedale. A volte non sanno neanche il perché vengono consigliati ed eseguiti esami ematochimici o altri accertamenti e hanno difficoltà a comprendere i suggerimenti o i consigli del personale sanitario, che propone modalità di cure diverse da quelle che loro utilizzavano nei loro Paesi; spesso provano smarrimento, paura, ansia per il neonato; hanno a volte il problema della mancanza o della precarietà nel lavoro: tranne le donne maghrebine, che di solito hanno dei figli dopo un ricongiungimento familiare e sono generalmente casalinghe, le altre sono spesso anche donne sole o comunque donne sposate ma che lavorano quasi tutto il giorno (molto frequente tra le donne cinesi). Al momento della dimissione dall’ospedale molte donne si sentono perse, sono insicure perché non comprendono, sia dal punto di vista linguistico che

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culturale, i consigli della pediatra o delle ostetriche sul modo di lavare il bambino, su come medicare il moncone del cordone ombelicale e così via. Le donne immigrate che diventano mamme per la prima volta in un conteso migratorio, sentono fortemente la mancanza della famiglia allargata, che nel loro Paese le fa sentire sicure e ‘potenti’.

Alla difficoltà di comprendere ed esprimersi in italiano si aggiunge la difficoltà di capire l’organizzazione dei servizi per poterli utilizzare. Inoltre spesso gli impiegati di front-office delle istituzioni ospedaliere non sono sufficientemente formati a una buona accoglienza nei confronti di popolazioni che arrivano da Paesi terzi. Queste condizioni non favoriscono l’accesso alle cure e non rappresentano esperienze positive che incoraggiano l’accesso.Il personale sanitario non è formato a sufficienza all’incontro con persone che vengono da altre culture. Al di là di attitudini personali di accoglienza e ascolto, sono frequenti gli episodi di svalorizzazione della cultura “altra” e della persona che a quella cultura appartiene. La consapevolezza della necessità di imparare un atteggiamento di decentramento culturale è ancora ridotta e spesso, pur con buone intenzioni, gli operatori sanitari non riescono ad aumentare il senso di sicurezza della popolazione migrante.

Così testimoniano alcuni operatori di servizi ospedalieri nel loro incontro ormai quotidiano con le donne straniere (25):

“Mi ricordo di alcune arrabbiature perché non sono puntuali e fanno finta di non capire… Preferirei che non venissero (gli stranieri) perché devi concedere del tempo in più e poi hanno sempre con loro mille fogli, mille esami, svuotano le borse, mettono lì le carte che poi tu devi leggere una ad una…”

E ancora:

“Se dai loro una terapia non la fanno. È tutto molto difficile con loro: con le africane è già più facile, il problema grossissimo sono le cinesi... E poi le nomadi, le rom che vengono qui solo quando hanno un problema urgente, una minaccia d’ aborto, dei dolori in gravidanza, ma per il resto non riesci proprio ad agganciare, a legare ad un discorso continuativo di cura e prevenzione. Forse, se ci fosse una mediatrice linguistico culturale…. sarebbe più facile sia per noi operatori che per le pazienti!”

Oppure è importante sapere quanto siano ‘pietre’ le parole che noi usiamo in modo consuetudinario nel colloquio con le pazienti. Dice Alexandra, donna egiziana, gravida al V mese:

“Oggi sto male perché non riesco a togliermi di mente le parole di una dottoressa durante l’ecografia; mi ha detto che questo bambino è cattivo (si muoveva molto e lei faceva fatica a vedere bene la morfologia dei suoi organi e a prendere le misure). Non riesco a non pensarci e vorrei fare un’altra ecografia perché non riesco a capire perché la dottoressa ha detto così”.

A queste difficoltà, spesso si aggiungono quelle della complessità dell’ offerta che i nostri servizi materno infantili hanno, soprattutto per chi non conosce la loro collocazione all’ interno della rete sia territoriale che ospedaliera.

Nel momento in cui una famiglia immigrata decide di mettere al mondo un figlio, quello è un momento ‘privilegiato’ per ritessere i legami tra le rappresentazioni interne, legate alla cultura d’origine, e quelle della cultura della società d’accoglienza, per evitare che dall’esperienza traumatica della frattura fra i due mondi nasca una situazione psicologica di sofferenza per l’individuo. Prendersi cura di questo momento della gravidanza, del parto e del dopo parto diventa un obiettivo con un grande risvolto in termini di prevenzione del malessere nelle nuove generazioni: infatti spesso succede che se i genitori non hanno elaborato il trauma migratorio,

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questo può determinare nei figli una costruzione insicura della propria identità. Nella scissione tra il mondo di qui e il mondo del Paese di origine è facile che avvenga un disturbo nella trasmissione da una generazione all’altra.

Una madre ben accolta e rispettata sarà più aperta e disponibile all’incontro rispetto a una che si è sentita emarginata, stigmatizzata, compatita o infantilizzata nei giorni in cui è stata degente in ospedale.

In questo senso è importante pensare a modelli diversi di organizzazione dei nostri servizi materno-infantili e dei nostri reparti di ostetricia, nel senso di creare momenti di accoglienza, di ascolto e di presa in carico delle pazienti e dei loro bambini da un’équipe di operatori che comunicano tra loro e pensano ad una strategia comune di cura e sostegno.

Per esempio nell’organizzare dei corsi di accompagnamento alla nascita per donne immigrate, si deve creare uno spazio un po’ diverso a quello pensato in questi anni per donne italiane; si deve pensare a un luogo fisico e psichico dove l’involucro culturale della donna si consolidi, involucro che è diventato più fragile nella migrazione e dove le donne straniere trovino un’occasione per uscire dall’isolamento, incontrare altre donne, parlare la propria lingua e l’italiano, conoscere l’ospedale e familiarizzare con le operatrici. Nei vari incontri ci si sofferma su alcune parole chiave, si discute sul significato di queste parole e si osserva come rimandino alle rappresentazioni che evocano nelle diverse culture (embrione, feto, gravidanza, parto, placenta, liquido amniotico, colostro, latte materno sono esempi di queste parole); si crea uno spazio destinato al racconto degli usi, tradizioni, sapori dei Paesi di origine. E infine, si organizza almeno due volte l’anno una festa di benvenuto ai neonati con un “rito” in cui si ribadisce che benché siano nati qui, le loro radici sono nel Paese dei nonni e si raccomanda alle mamme di nutrire e consolidare queste radici con molti racconti sulla famiglia e sul Paese d’origine e con l’uso della loro lingua madre nel rapporto con i bambini.

Un’ostetrica che ha una lunga esperienza di conduzione di gruppi di accompagnamento alla nascita per donne immigrate scrive (26):

… Dopo alcuni incontri il gruppo è diventato un vero gruppo e si è dato un nome ‘Le Regine’: abbiamo organizzato una festa con musica, incensi, dolci, tè alla menta. E in questi incontri hanno trovato spazio le ninne nanne dei Paesi di provenienza, i racconti dei riti di protezione dei neonati, dei massaggi che vengono fatti alle donne in travaglio quando il travaglio stenta a procedere o quando la donna è stanca e sfiduciata. Ma tutto questo inframmezzato a informazioni che vengono date sull’organizzazione delle nostre sale parto, su come si sta con il neonato dopo il parto e su tutto quello che c’è fuori dall’ospedale, per sostenere la mamma e il neonato, quando si ritorna a casa. E questo crea uno spazio di scambio di emozioni, di paure, di aspettative che mettono insieme il mondo di qui, dove la donna sta per mettere al mondo un figlio, con il Paese da cui proviene e dove stanno le sue radici che non vanno dimenticate ma solo adattate, ‘meticciate’, per la trasmissione al proprio bambino. Così Pablita, donna ecuadoriana, che ha partorito tre giorni prima e sta per essere dimessa dall’ospedale, racconta alle compagne di corso la sua esperienza: “È stato bellissimo: ho perso le acque… poi dopo un po’ ho cominciato ad avere i dolori, che poi sono diventati più forti, ma le ostetriche mi lasciavano fare tutto, muovermi come volevo, in piedi, andare avanti e indietro, gridare…E poi è arrivata Mercedes, la mia bambina, la bambina più bella del mondo. Non vedo l’ora di mandare in Ecuador la sua foto alla mia mamma e alle mie sorelle!” La gioia e la serenità di Pablita è contagiosa: altre donne del gruppo le chiedono se allatta e lei ridendo, conferma che la bimba succhia moltissimo! Le raccomandiamo di tornare al gruppo perché ‘Le Regine’ vogliono conoscere la sua bimba. Mi torna in mente che ai primi incontri era Pablita la più spaventata del dolore del parto e del dover partorire senza la sua mamma o altra figura parentale femminile.

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Conclusioni

Dai dati fin qui illustrati, è evidente che la presenza di donne straniere, provenienti in particolare dalle aree povere del mondo, rappresenta una realtà del nostro Paese. Dal punto di vista sanitario emerge chiaramente il profilo di una popolazione di donne immigrate prevalentemente giovani e in buona salute, che nel corso della loro esperienza di immigrazione si trovano esposte a tutta una serie di fattori di rischio per la salute, in gran parte riconducibili alle condizioni di emarginazione e di fragilità sociale in cui molte di loro vivono.

A tal proposito, emblematico è il quadro relativo all’assistenza sociosanitaria in gravidanza, che ripropone una sorta di perversa concatenazione causale: la marginalità sociale, vissuta come estraneità ai consueti circuiti dell’informazione e scarsa conoscenza dei percorsi sanitari, si traduce in difficoltà di accesso alle strutture; tale difficoltà è causa a sua volta di sorveglianza prenatale ritardata e/o ridotta, che finisce per accrescere il rischio di esiti negativi per la salute della donna e del bambino (rischio già reso elevato dalle condizioni di marginalità).

Rispetto a questa situazione, si riafferma da più parti la necessità di uno sforzo del Sistema Sanitario verso una maggiore accessibilità dell’assistenza sociosanitaria (27). Questo passa attraverso un complessivo “ri-orientamento” dei servizi (28) in termini di organizzazione interna, da ridisegnare sulla base delle dimostrate esigenze della potenziale utenza (come l’apertura di alcuni servizi in giornate e fasce orarie in cui le donne straniere sono più libere, in particolare, la disponibilità di servizi di mediazione culturale o interpretariato, lo sviluppo del lavoro di gruppo multidisciplinare e lo stimolo all’integrazione sociosanitaria).

Occorre inoltre che il ripensamento dei servizi in funzione di un’utenza multietnica si traduca in un nuovo modo di fare sanità pubblica, che riconosca nell’offerta attiva e nell’integrazione pubblico-privato sociale i due pilastri portanti su cui rifondare il diritto all’assistenza delle persone immigrate.

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NORMATIVA SULL’ASSISTENZA IN GRAVIDANZA E NEL PUERPERIO PER LE STRANIERE

Salvatore Geraci (a, b), Manila Bonciani (a, b) (a) Area sanitaria Caritas Roma (b) Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, Roma

Felix, Giorgina e Joy e il diritto alla tutela sanitaria

Felix Omolido, filippina di 42 anni, in Italia per lavorare e poter sostenere il marito e i due figlioletti nel suo Paese, muore nel 1985 per un’ulcera complicata non curata dice la cronaca, per paura di perdere il lavoro ed esser rimandata a casa da “sconfitta”, dicono gli amici.

Giorgina Yaboah, ragazza ghanese, muore per gestosi all’inizio del 1995. Era venuta in Italia per raggiungere il marito, falegname nell’opulento nord est, ma lei non aveva il permesso di soggiorno; per paura di essere denunciata e di esporre anche il marito all’espulsione, pur sentendosi male, non va in ospedale, non chiama il medico, non dice nulla nemmeno al marito... e poi è troppo tardi.

Storie vecchie, riprese da giornali ingialliti, persone di cui abbiamo voluto ricordare il nome per sottolineare come dietro slogan, sigle, etichette esistono donne e uomini che sperano, vivono, soffrono.

Partendo anche da questi fatti drammatici, l’Italia nel tempo si è data leggi e politiche che hanno cercato di non escludere nessuno dal diritto alla salute. Non è casuale che meno di un anno dopo la morte della signora Omolido, nel 1986 viene approvata, su proposta di un medico neuropsichiatra, l’on. Franco Foschi, la prima legge sull’immigrazione che non entrava nel merito di norme sanitarie, ma colmava un gap nei diritti dei lavoratori stranieri rispetto agli italiani, garantendo percorsi di emersione dal lavoro nero e tutele previdenziali e sindacali. Un primo passo.

Non è altrettanto casuale che alla fine del 1995, anche sulla spinta emotiva di quel successivo drammatico fatto di cronaca, ma con l’azione consapevole di una parte della società civile che nel frattempo aveva maturato esperienza e competenza, per la prima volta, grazie all’opera di un altro medico, il prof. Elio Guzzanti, Ministro della Sanità, viene “sdoganato” il diritto alla tutela sanitaria per gli immigrati in condizione di maggiore fragilità, quelli senza permesso di soggiorno irregolari e clandestini (1).

Joy Johnson, giovane nigeriana irregolare di 24 anni, sognando una vita migliore ma calata in un oggi di sfruttamento e dannazione (faceva la prostituta), all’inizio del marzo 2009 muore in Italia di tubercolosi perché, probabilmente per paura, si tiene lontano da una sanità “nascosta” da polemiche e notizie contrastanti.

È una storia più recente, all’indomani dell’approvazione in Senato del Disegno di legge sulla sicurezza (febbraio 2009) che prevedeva l’abrogazione del divieto di segnalazione per gli immigrati irregolari e clandestini soccorsi in ospedale o negli ambulatori. Una vasta mobilitazione nazionale fa ritirare quell’articolo di legge, ma ormai l’accessibilità ai servizi sanitari era stata resa incerta e insicura, non sul piano del diritto, ma certamente sul piano della percezione di un pericolo (2, 3).

La storia del diritto alla tutela sanitaria degli immigrati è segnata da storie di donne come quelle citate, ricordate dalla cronaca in maniera più o meno scarna, e che in alcuni casi risultano vittime di politiche distorte, in altre protagoniste del riscatto sociale di una società civile e di un

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mondo professionale che non ha accettato di subire approcci ideologici ad un tema di grande valore etico come è quello della tutela sanitaria universalistica (4).

Norme e politiche nazionali

L’assistenza sanitaria al cittadino straniero è regolata da alcune norme nazionali e condizionata, come vedremo, da politiche locali. La Legge n. 40 del marzo 1998, poi confluita nel DL.vo n. 286 del luglio 1998, dal titolo: “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, d’ora in poi indicato come Testo Unico, ha gettato le basi per il diritto assistenziale degli immigrati provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione Europea, attraverso tre articoli che sanciscono tale diritto. L’articolo n. 34, dal titolo “Assistenza per gli stranieri iscritti al Servizio Sanitario Nazionale (SSN)”, contiene le norme per gli immigrati ‘regolarmente soggiornanti’ sul nostro territorio, cioè con una titolarità giuridica di presenza testimoniata da un regolare permesso o carta di soggiorno; l’articolo 35, dal titolo “Assistenza sanitaria per gli stranieri non iscritti al Servizio Sanitario Nazionale”, affronta il tema della tutela sanitaria “a salvaguardia della salute individuale e collettiva” anche nei confronti di coloro “non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno”, i cosiddetti irregolari e/o clandestini; infine l’articolo 36, dal titolo “Ingresso e soggiorno per cure mediche”, definisce le condizioni necessarie perché un cittadino straniero possa venire in Italia per sottoporsi a cure mediche e chirurgiche.

Disposizioni sanitarie e dettagli operativi sono contemplati anche negli articoli 42, 43 e 44 del Regolamento d’attuazione (il DPR n. 394 del 31 agosto 1999) e ulteriori chiarimenti al riguardo sono stati inoltre forniti dal Ministero della Sanità con la Circolare n. 5 del 24 marzo 2000 (Indicazioni applicative del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” - Disposizioni in materia di assistenza sanitaria, Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 126 del 1.6.2000).

Obiettivo dichiarato di questa impostazione politico-normativa è quello di includere a pieno titolo gli immigrati in condizione di regolarità giuridica nel sistema di diritti e doveri per quanto attiene all’assistenza sanitaria, a parità di condizioni e a pari opportunità con il cittadino italiano: sono stati così rimossi dei requisiti che nel passato erano ostativi (la residenza, il limite temporale, le aliquote diversificate per l’iscrizione all’SSN, ecc.) e introdotti principi di equità (obbligatorietà estesa all’iscrizione al di là del perfezionamento formale delle pratiche, esenzione per situazioni di maggior disagio – richiedenti asilo, detenuti, ecc.). Il diritto all’assistenza è stato esteso anche a coloro presenti in Italia in condizione di irregolarità giuridica e clandestinità, garantendo loro oltre alle cure urgenti anche quelle essenziali, continuative e i programmi di medicina preventiva. Per non ostacolare l’accesso alle cure, è stato inoltre vietato, da parte delle strutture sanitarie, la segnalazione all’autorità di polizia la presenza di immigrati clandestini che richiedono aiuto medico (5).

A supporto di questa impostazione avanzata e lungimirante, quasi tutte le Regioni hanno diramato delibere, circolari e note per facilitare l’applicazione diffusa della normativa in vigore, sebbene con tempi e modalità diverse, come vedremo nei successivi paragrafi. Ciò ha prodotto, soprattutto sul piano organizzativo, delle diversità e alcune volte delle disuguaglianze nell’accesso ai servizi in ambiti territoriali diversi.

Si presentano di seguito alcuni dettagli della normativa nazionale a tutela dell’assistenza sanitaria per gli immigrati. L’articolo 34 del Testo Unico, con l’intento di sostenere i percorsi di integrazione e di cittadinanza, si è proposto di favorire al massimo la possibilità di iscrizione all’SNN per tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti e per i loro familiari. In sintesi, il

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presente articolo di legge prevede che pressoché tutti gli stranieri legalmente e stabilmente presenti siano obbligatoriamente iscritti all’SSN. Tale indirizzo è affermato nel riconoscimento della piena uguaglianza di diritti e di doveri con i cittadini italiani, perseguita secondo modalità che ne garantiscano la parità di trattamento. Per favorire, rispetto al passato, una maggiore stabilità del diritto all’assistenza, sono stati inseriti correttivi quali il permanere della validità dell’iscrizione all’SSN nel periodo in cui sono in corso le procedure per il rinnovo del permesso di soggiorno. Il Testo Unico (art. 34, comma 1, lettera a) dirime, inoltre, la questione della possibilità e delle condizioni di iscrizione all’SSN per i lavoratori disoccupati stranieri e (comma 2) per i loro familiari a carico, sancendone la piena parità di trattamento e la piena uguaglianza di diritti e di doveri con i cittadini italiani. Rispetto alla normativa precedente, il requisito della residenza non è più condizione indispensabile ai fini dell’iscrizione all’SSN (art. 34, comma 7). Nel Regolamento di attuazione (art. 42, commi 1 e 2) viene precisato che, in mancanza di residenza, il cittadino straniero è iscritto, unitamente ai familiari a carico, negli elenchi degli assistibili dell’Azienda sanitaria locale nel cui territorio ha effettiva dimora; per luogo di effettiva dimora si intende quello indicato nel permesso di soggiorno. Tale innovazione è volta a favorire l’iscrizione di quanti, a causa di una precarietà economica e/o lavorativa, sono costretti a continui spostamenti sul territorio nazionale, con corrispondenti cambiamenti di alloggio.

L’articolo 35 del Testo Unico affronta (comma 1) le condizioni di assistibilità di alcune tipologie di stranieri caratterizzati da un breve periodo di permanenza in Italia (es. per affari o turismo), nonché (commi 3, 4, 5 e 6) il tema della tutela sanitaria “a salvaguardia della salute individuale e collettiva” anche nei confronti di coloro “non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno” (i cosiddetti irregolari o clandestini). Permangono poi validi (comma 2) i trattati e gli accordi internazionali di reciprocità sottoscritti dall’Italia. Al comma 3 di questo articolo, il Testo Unico riprende alcune disposizioni già contenute nell’articolo 13 del Decreto Legge 489/1995 e nei successivi telex esplicativi e ordinanze ministeriali, prevedendo la necessità di assicurare anche “ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno [...], le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia e infortunio” e di estendere “i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva”. In particolare si garantiscono: “la tutela sociale della gravidanza e della maternità, a parità di trattamento con le cittadine italiane [...]” [lettera a)], “la tutela della salute del minore [...]” [lettera b)], “le vaccinazioni secondo la normativa e nell’ambito di interventi di campagne di prevenzione collettiva autorizzati dalle Regioni” [lettera c)], “gli interventi di profilassi internazionale” [lettera d)], e “la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie infettive ed eventuale bonifica dei relativi focolai” [lettera e)].

La Circolare n. 5 del 24 marzo 2000 chiarisce, fornendone le definizioni, cosa si debba intendere per “cure urgenti” e cosa per “cure essenziali”: cure urgenti sono “le cure che non possono essere differite senza pericolo per la vita o danno per la salute della persona”; cure essenziali sono “le prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell’immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita (complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti)”.

Relativamente all’organizzazione dell’offerta assistenziale, il Regolamento di attuazione – in coerenza con l’ottica federalista – prevede (art. 43, comma 8) che “le regioni individuano le modalità più opportune per garantire che le cure essenziali e continuative previste dall’articolo 35, comma 3, del Testo Unico, possano essere erogate nell’ambito delle strutture della medicina del territorio o nei presidi sanitari, pubblici e privati accreditati, strutturati in forma poliambulatoriale od ospedaliera, eventualmente in collaborazione con organismi di volontariato aventi esperienza specifica”. Per la registrazione e rendicontazione delle prestazioni erogate agli

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immigrati illegali e per le eventuali prescrizioni diagnostico-terapeutiche, il Regolamento di attuazione (art. 43, comma 3) prevede l’utilizzo di un codice regionale a sigla STP (Straniero Temporaneamente Presente). Tale codice, rilasciabile da parte di tutte le strutture sanitarie pubbliche, è riconosciuto su tutto il territorio nazionale e identifica l’assistito per tutte le prestazioni previste. Nella consapevolezza che la condizione di irregolarità – che la legge nel suo complesso si propone di combattere – si può facilmente accompagnare a condizioni di forte precarietà economica, al comma 4 dell’articolo 35 del Testo Unico si prevede che le prestazioni citate siano erogate “senza oneri a carico dei richiedenti qualora privi di risorse economiche sufficienti, fatte salve le quote di partecipazione alla spesa a parità con i cittadini italiani”. Il Regolamento di attuazione (art. 43, comma 4) specifica che lo stato di indigenza può essere attestato attraverso autodichiarazione presentata all’ente sanitario erogante le prestazioni. L’articolo 35 del Testo Unico precisa inoltre, al comma 5, che “l’accesso alle strutture sanitarie da parte del cittadino non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”. Tale divieto era già in vigore dal 1995, in quanto compreso nel decreto 489; negli anni successivi, però, si è ripetutamente e diffusamente assistito ad una sua palese violazione, forse per un malinteso senso del ruolo e delle funzioni del sistema sanitario pubblico. Il riaffermare tale impostazione mira in realtà ad evitare che, innestando dinamiche di perseguibilità del soggetto portatore di un bisogno di salute sulla base del suo status giuridico, se ne possa determinare una condizione di ‘clandestinità sanitaria’, che di fatto impedirebbe la tutela della salute dell’intera collettività. L’introduzione del codice STP, come si evince dall’articolo 43, comma 5 del Regolamento di attuazione, permette di rispettare l’anonimato del soggetto anche nelle comunicazioni effettuate a fini di rimborso con il Ministero dell’Interno.

Al comma 6, l’articolo 35 del Testo Unico distingue i soggetti finanziatori delle prestazioni erogate a tali soggetti sulla base della natura delle stesse prestazioni. Come precisato dall’articolo 43, comma 5 del Regolamento di attuazione, nonché dalla Circolare n. 5 del 2000, le spese inerenti le prestazioni ospedaliere urgenti o essenziali spettano al Ministero dell’Interno (che procederà ad un tentativo di rimborso attraverso la sede diplomatica del soggetto ricoverato, o, in caso negativo, a rimborsare direttamente le prestazioni alla struttura che le ha erogate attingendo ad un fondo speciale per indigenti di cui è affidatario). Alla Azienda sanitaria competente spettano invece gli oneri per le prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35, comma 3 del Testo Unico, comprese le quote di partecipazione alla spesa eventualmente non versate.

L’articolo 36 del Testo Unico definisce, infine, le condizioni che lo straniero deve ottemperare per ottenere un visto d’ingresso e relativo permesso di soggiorno per cure mediche, nel caso che intenda effettuarle in Italia. Tali requisiti, ulteriormente precisati nel Regolamento di attuazione (art. 44, comma 1), consistono essenzialmente: nella presentazione di una dichiarazione della struttura sanitaria italiana prescelta che indichi il tipo di cura e la sua presumibile durata; nell’attestazione dell’avvenuto deposito – presso la stessa struttura – di una cauzione, stabilita nella misura del 30% del costo complessivo presumibile delle prestazioni richieste; nella documentazione comprovante la disponibilità di risorse sufficienti per il pagamento integrale delle spese sanitarie, nonché per quelle di vitto e alloggio fuori dalla struttura sanitaria e di rimpatrio per l’assistito e il suo eventuale accompagnatore.

Vi è poi la questione particolare dell’assistenza sanitaria agli stranieri detenuti, che viene affrontata dal DL.vo n. 230 del 22 giugno 1999. L’articolo 1, al comma 5, prevede che “gli stranieri, limitatamente al periodo in cui sono detenuti o internati negli istituti penitenziari, sono iscritti al Servizio Sanitario Nazionale. Tali soggetti hanno parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai cittadini liberi, a prescindere dal regolare titolo di permesso di soggiorno in Italia”. In altri termini tutti i detenuti stranieri, con o senza permesso di soggiorno, compresi – come precisa la Circolare n. 5 del 2000 – i detenuti in semilibertà o con forme

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alternative di pena, sono assistiti dall’SSN. Al comma 6 dello stesso articolo viene inoltre precisato che “i detenuti e gli internati sono esclusi dal sistema di compartecipazione alla spesa delle prestazioni sanitarie erogate dal Servizio Sanitario Nazionale”, che, in termini più elementari, significa che sono esentati dal pagamento del ticket.

Quanto detto vale chiaramente anche per le donne straniere provenienti da Paesi non dell’Unione Europea, ma vorremmo sottolineare due situazioni specifiche che, a partire da una condizione di irregolarità giuridica e clandestinità, permettono di acquistare un permesso di soggiorno che garantisce loro il diritto all’iscrizione obbligatoria all’SSN:

- donne irregolari che decidono di uscire dalla tratta per prostituzione possono ottenere un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, ai sensi dell’articolo 18, comma 1, del DL.vo n. 286/1998, che, pur essendo temporaneo, può essere convertito in seguito in uno di più lunga durata se, ad esempio, studiano o se trovano lavoro;

- donne senza permesso di soggiorno in stato di gravidanza e di puerperio possono ottenere un permesso di soggiorno fino ad un massimo di sei mesi dopo il parto, ai sensi dell’articolo 19, comma 2, lettera d) del DL.vo n. 286/1998.

Tutte le donne in gravidanza, regolarmente iscritte all’SSN e STP, hanno l’esenzione dal pagamento ticket per tutti gli accertamenti di diagnostica strumentale e di laboratorio e per tutte le altre prestazioni specialistiche ai fini della tutela della maternità di cui al Decreto Ministero della Sanità del 10 settembre 1998 «Aggiornamento del Decreto ministeriale del 14.4.84 recante: Protocolli di accesso agli esami di laboratorio e di diagnostica strumentale per le donne in stato di gravidanza e a tutela della maternità». Le prestazioni in esenzione sono suddivise in 3 allegati: A per quelle in funzione preconcezionale, B per quelle di controllo e monitoraggio della gravidanza, C per quelle di diagnosi prenatale. Il legislatore ha voluto indicare le settimane di gestazione alle quali sono correlati singoli accertamenti.

È evidente che alla donna straniera, che si presenta al primo controllo in fase avanzata di gravidanza, verranno prescritti anche gli esami, ritenuti necessari dal medico, che erano previsti per le settimane precedenti e che non sono stati eseguiti. In questi casi, quindi, tali esami sono da considerarsi in esenzione (si dovrà indicare nella ricetta le settimane di gestazione e che si tratta di un primo controllo).

Le prestazioni specialistiche correlate all’IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza) sono in esenzione, a parità delle cittadine italiane (6).

Il “pacchetto sicurezza” e l’assistenza sanitaria

Dal 2000 il succedersi di Governi con orientamenti politici diversi non ha modificato la struttura giuridica della garanzia di accessibilità ai servizi sanitari da parte degli immigrati, regolari e non, ma la sanità non è stata indenne da alcune iniziative inerenti il cosiddetto “pacchetto sicurezza” tra il 2008 e 2009. Le proposte che si è cercato di inserire nella legge, quali l’abrogazione del divieto di segnalazione, o l’obbligatorietà di esibire documenti di soggiorno per accedere ai servizi sanitari, o la diversificazione della partecipazione alla spesa da parte degli immigrati irregolari, hanno provocato una reazione diffusa e dirompente: mai il mondo socio-assistenziale è stato così compatto nel prendere una posizione chiara non per rivendicare condizioni salariali o di lavoro, ma per affermare un diritto nei confronti di persone in condizione di estrema fragilità sociale. Gli ordini professionali dei medici, degli assistenti sociali, degli psicologi, i collegi degli infermieri e delle ostetriche, le società scientifiche e le facoltà universitarie, i sindacati tutti unitariamente, le organizzazioni non governative, le

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organizzazioni religiose e laiche, le singole aziende sanitarie, le Regioni di cui 10 con atti formali, e perfino 101 parlamentari appartenenti alla stessa maggioranza che aveva approvato il testo, hanno chiesto il ritiro di queste proposte che palesemente avrebbero ostacolato la tutela del diritto alla salute degli immigrati. Da segnalare in particolare l’azione della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM), che fin dall’inizio ha definito il provvedimento in esame “inutile, dannoso e pericoloso” (2, 7). Il 27 aprile 2009 l’articolo del disegno di legge contenente le suddette proposte viene stralciato.

La vicenda purtroppo non si è conclusa, poiché l’approvazione finale della Legge n. 94 del 15 luglio 2009 introduce nell’ordinamento italiano il reato di ingresso e soggiorno illegale e pertanto obbliga, essendo questo un reato perseguibile d’ufficio ai sensi di due articoli del codice penale (artt. 361 e 362), i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio alla denuncia. Ciò non vale per la sanità proprio per la persistenza della validità del divieto di segnalazione, ma questa situazione di “doppia norma” ha prodotto confusione e discrezionalità (a volte pretestuosa) tra gli operatori e diffuso timore da parte degli immigrati. Ancora una volta c’è stata una reazione e 14 Regioni (Toscana, Piemonte, Puglia, Lazio, Umbria, Marche, Liguria, Campania, Valle d’Aosta, Veneto, Calabria, Emilia Romagna, Molise, Sicilia) ed 1 Provincia autonoma (Alto Adige) hanno emanato circolari di chiarimento a sostegno del “divieto di segnalazione”.

A seguito di queste iniziative locali e della specifica richiesta della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (congiuntamente a Medici Senza Frontiere, Osservatorio Italiano sulla Salute Globale, Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) il Ministero dell’Interno - Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, a firma del Prefetto Morcone, il 27 novembre 2009, ha emanato una circolare, la numero 12, che ha fornito chiarimenti riguardo l’attualità del divieto di segnalazione alle autorità degli stranieri irregolarmente presenti nel territorio italiano che chiedono assistenza presso le strutture dell’SNN, previsto dal comma 5 dell’articolo 35 del Testo Unico, pur essendo entrata in vigore la Legge n. 94 del 15 luglio 2009. La circolare ricorda, infatti, che la legge sulla Sicurezza pubblica non ha abrogato l’articolo 35 e di conseguenza continua a trovare applicazione per i medici e per il personale che opera presso le strutture sanitarie il divieto di segnalare alle autorità lo straniero irregolare che richiede le prestazioni sanitarie, salvo il caso in cui il personale stesso sia tenuto all’obbligo del referto, ai sensi dell’articolo 365 del codice penale, a parità di condizioni con il cittadino italiano. Poiché l’obbligo di referto – precisa la circolare – sussiste solo nel caso di delitti per i quali si deve procedere d’ufficio, esso non ricorre riguardo al reato di immigrazione clandestina, trattandosi di un reato contravvenzionale e non di un delitto. La circolare ricorda, infine, che per quanto riguarda la questione dell’esibizione dei documenti inerenti il soggiorno per l’accesso alle prestazioni della pubblica amministrazione, anche in questo caso restano escluse le prestazioni di carattere sanitario, che lo straniero irregolare può chiedere senza alcun bisogno di esibire i documenti comprovanti la regolarità del suo soggiorno in Italia. Tale impostazione è stata, a fine 2010, riconfermata dal Governo in una risposta ad una specifica interpellanza parlamentare (8).

Norme e politiche sui comunitari

Costituiscono un caso a parte i cittadini di Stati appartenenti all’Unione Europea. Essi, a seguito dell’entrata in vigore della Direttiva 2004/38/CE, possono circolare liberamente nell’Unione Europea (e non possono essere espulsi se non in casi eccezionali) e possono lavorare in Italia anche senza entrare nei decreti flussi. A livello sanitario i cittadini comunitari, come specificato dalla Circolare del Ministero della Salute DG RUER I/II/12712 del 3 agosto 2007 e dalla Comunicazione del Ministero della Salute del 19 febbraio 2008, nel caso di

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soggiorno di breve durata, hanno diritto ad accedere “alle prestazioni in natura che si rendono necessarie dal punto di vista medico richieste dal proprio stato di salute per consentire di continuare il soggiorno in condizioni sicure sotto il profilo medico”, dietro esibizione della Tessera Europea di Assicurazione Malattia (TEAM) rilasciato dal proprio stato di origine, o da stato europeo dove stabilmente lavorano.

Nel caso di soggiorno di durata superiore ai tre mesi, il cittadino dell’UE che soggiorna sul territorio nazionale, è tenuto all’iscrizione anagrafica al Comune di riferimento e all’SSN se rientra in uno dei seguenti casi:

– è un lavoratore subordinato o autonomo dello Stato; – è familiare, anche non cittadino dell’Unione, di un lavoratore subordinato o autonomo

dello Stato; – è familiare di cittadino italiano; – è in possesso di una attestazione di soggiorno permanente, maturato dopo almeno 5 anni

di residenza in Italia; – è un disoccupato iscritto nelle liste di collocamento o iscritto ad un corso di formazione

professionale; – è titolare di uno dei seguenti formulari comunitari: E106, E109 (o E37), E120, E121 (o

E33). Nelle circolari del Ministero della Salute sono riportate ulteriori specificazioni riguardanti: i

formulari sopra ricordati, la durata dell’iscrizione, la sua decadenza, i diritti dei cittadini dell’Unione Europea, il significato di “familiare” e la documentazione necessaria per l’iscrizione all’SSN. Nei casi non citati (soggiorni superiori ai tre mesi, ad esempio, per studio o per residenza elettiva), il cittadino comunitario deve comunque provvedere ad una assicurazione privata o ad altro titolo idoneo.

Infine è da considerare che in alcuni casi i cittadini comunitari, provenienti in particolare da Romania e Bulgaria, soprattutto se in condizioni di fragilità sociale, non avendo lavorato negli ultimi tempi nel proprio Paese e quindi non in possesso della TEAM, o non lavorando regolarmente in Italia o non formalmente residenti, si trovano in condizione di estrema debolezza nel diritto all’accesso ai servizi sanitari. A fronte di indicazioni nazionali, tardive e incerte rispetto all’assistenza sanitaria per tali soggetti (9), alcune regioni hanno previsto percorsi di tutela diversificati più o meno inclusivi attraverso l’attribuzione di un codice specifico (codice ENI: Europeo non iscritto o analogo) che li paragona agli STP (ma con obbligo di rendicontazione separata).

Il Ministero della Salute, con la citata comunicazione del 19 febbraio 2008, specifica che tra le prestazioni indifferibili e urgenti previste per questa categoria di cittadini comunitari:

“si intendono incluse anche le prestazioni sanitarie relative: - alla tutela della salute dei minori, ai sensi della Convenzione di New York sui diritti

del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176;

- alla tutela della maternità, all’Interruzione volontaria di gravidanza, a parità di condizione con le donne assistite iscritte all’SSN, in applicazione delle leggi 29 luglio 1975, n. 405, 22 maggio 1978 n. 194, e del decreto ministeriale 10 settembre 1998.

[...] E devono essere attivate, nei confronti di queste persone, anche per motivi di sanità pubblica nazionale, le campagne di vaccinazione, gli interventi di profilassi internazionale e la profilassi, diagnosi e cura delle malattie infettive, ai sensi della vigente normativa nazionale”.

Alla fine del 2010 ancora cinque regioni e una provincia autonoma non hanno, trasmesso le disposizioni ministeriali del 2008 che garantiscono l’erogazione di cure essenziali e urgenti

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anche a queste persone, mentre altre cinque hanno dimostrato di avanzare la stessa politica nazionale, con atti che hanno anticipato quanto disposto dal Ministero della Salute oppure che hanno incluso anche l’iscrizione volontaria al Servizio Sanitario Regionale come ulteriore opportunità per i comunitari di essere tutelati nell’assistenza sanitaria (Figura 1). Sia nei tempi e nell’organizzazione della risposta si assiste però ad una forte disomogeneità locale (10).

Figura 1. Atti normativi locali sull’assistenza ai comunitari senza copertura sanitaria

Infine anche le donne comunitarie vittime della tratta o vittime di schiavitù hanno diritto all’assistenza sanitaria, con iscrizione all’SSN ai sensi della legge n. 17/2007, dell’art. 18 del DL.vo 286/1998, dell’art. 13 della legge 228/2003.

Politiche locali

L’excursus sulla normativa nazionale per la tutela sanitaria degli immigrati ha bisogno di essere seguito da un’attenta analisi delle politiche locali per completare l’inquadramento sul diritto alla salute degli stranieri e verificare come questo si concretizzi sul piano della prassi.

CTA Comunitario Temporaneamente AssistitoCSCS Comunitario senza copertura sanitariaSTP Straniero Temporaneamente Presente

Atto più restrittivo delle indicazioni ministeriali

del 2008

Codice CSCS

Codice CTA

Solo trasmissione delle indicazioni ministeriali

del 2007

**

*Codice ENI

(europeo non in regola)Codice ENI(europeo non iscritto)

Codice STP

AssentiPresenti (riferimento ai neocomunitari)Presenti (riferimento ai comunitari)

* Codice non specificato nell’atto** Rilasciato 1 solo codice ENI

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Perché il diritto alla salute non rimanga un diritto di carta per gli immigrati, ma venga effettivamente goduto da loro (11), è necessario infatti che le autorità regionali sanciscano i meccanismi operativi che permettano che questo diritto formale diventi anche sostanziale, attraverso un’adeguata programmazione sanitaria e delle indicazioni sull’organizzazione dei servizi sanitari che, in maniera coerente con la normativa nazionale, garantiscano un pieno accesso e un’equa fruizione dei servizi da parte della popolazione migrante.

Si tratta di un passaggio critico perché la tutela della salute degli immigrati si colloca nell’interstizio tra l’ambito della normativa sull’immigrazione, che è materia di pertinenza nazionale sulle quale lo Stato mantiene la piena potestà legislativa (legislazione “esclusiva”), e quello dell’erogazione dell’assistenza sanitaria che è invece prerogativa delle Regioni, che ne assumono la potestà legislativa (legislazione “concorrente”) in seguito al processo di decentramento che ha interessato negli ultimi due decenni il settore sanitario in particolare (12).

Oltre alla criticità della traduzione a livello locale di quanto sancito dal Testo unico sull’immigrazione per quel che concerne l’assistenza sanitaria, se ne determina un’altra, ricollegabile all’autonomia decisionale del livello regionale, in termini di eterogeneità dell’offerta sanitaria per gli immigrati tra un contesto locale e l’altro, legata alla rilevante differenziazione territoriale, alle disparità di sviluppo dei sistemi sanitari regionali e alla variabilità di approccio e applicazione di espedienti organizzativi che rendano fruibili i servizi per i quali viene stabilito formalmente l’accesso alla popolazione immigrata.

L’analisi delle politiche sanitarie locali permette di verificare l’ampiezza di questa eterogeneità, di descrivere come le Regioni e le Province autonome definiscono e articolano l’offerta sanitaria in riferimento alla popolazione immigrata, valutandone l’efficacia e il potenziale impatto in termini di inclusione sociale, e di segnalare così quali sono le scelte che favoriscono meglio la tutela sanitaria degli immigrati, nell’ottica di fornire stimoli per il miglioramento continuo delle politiche stesse.

Un aspetto cruciale, ma anche critico, è la definizione dei confini della politica da analizzare, cioè stabilire cosa viene incluso nell’oggetto di analisi. Nell’analisi delle politiche pubbliche, infatti, si prendono in considerazione solitamente l’insieme delle azioni svolte da attori diversi, pubblici o privati, dotati di potere legale oppure no, per trattare un problema che richiede un intervento pubblico, e quindi si osserva come questi attori abbiano interagito per risolvere questioni di pubblica rilevanza.

Data la complessità dell’analisi che deriva da un’accezione così inclusiva di politica pubblica, si è ritenuto necessario nell’analisi delle politiche sanitarie locali rivolte agli immigrati circoscrivere l’attenzione sulla sola emanazione di volontà legislative formali delle Regioni e Province autonome, anche per assicurare un adeguato livello di oggettività nella comparazione tra i diversi contesti territoriali. In questo caso, quindi, le considerazioni che vengono di seguito presentate in merito alle politiche regionali sulla salute e l’immigrazione fanno riferimento ad un corpus normativo definito congiuntamente con referenti locali competenti in materia, nell’ambito del progetto “Migrazione e salute” promosso e finanziato dal Ministero della Salute e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (10), nell’ambito del quale sono stati esaminati più di 700 atti formali, tra leggi regionali, piani sanitari e altri piani locali, nonché delibere, circolari o altri documenti emanati dalle autorità pertinenti a livello regionale su questi temi dal 1995 all’inizio del 2010, con un focus specifico relativo agli ultimi 8 anni.

Tra gli aspetti rilevanti ed essenziali per caratterizzare le politiche inerenti l’immigrazione e la salute, ne è stato identificato un set ristretto che permette di dare una lettura complessiva delle politiche stesse, mettendone in luce l’impegno nel garantire il diritto alla salute degli immigrati.

In primis si è osservato la presenza di indicazioni per uniformare l’offerta sanitaria in base alla normativa vigente, contenute in atti singoli o in linee guida che raccolgono in maniera completa chiarimenti sulla normativa nazionale e locale relativa a tutte le tipologie di potenziali

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assistiti tra la popolazione straniera (immigrato regolare e non, appartenente o non alla Comunità Europea, richiedente asilo e rifugiato). Nonostante l’importanza di questo aspetto per superare le disuguaglianze di trattamento tra strutture diverse, come passaggio chiave nella promozione dell’accesso all’assistenza sanitaria per gli immigrati, è stata rilevata una bassa attenzione a riguardo: soltanto cinque regioni hanno sviluppato vere e proprie linee guida volte a fornire indicazioni operative per l’assistenza agli immigrati (Lazio, Puglia, Sicilia, Umbria, Veneto), e in altre realtà locali sono state emanate negli anni solo delibere, circolari o note finalizzate a chiarimenti su aspetti specifici (Campania, Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Piemonte, Provincia autonoma di Bolzano e quella di Trento). Rimangono poi ben nove regioni che non sembrano essersi poste la questione di garantire l’omogeneità di applicazione delle norme per l’assistenza sanitaria agli immigrati, non avendo prodotto atti a riguardo.

Riveste un maggior rilievo all’interno delle politiche sanitarie locali l’analisi del bisogno di salute degli immigrati. Questo aspetto è importante perché la raccolta di simili informazioni è funzionale alla programmazione e valutazione degli interventi e dell’assistenza erogata alla popolazione immigrata e sono pochi i contesti che non hanno formalizzato negli atti normativi la necessità di dotarsi e di utilizzare strumenti di monitoraggio sistematico del bisogno di salute degli immigrati (Abruzzo, Calabria, Sicilia, Valle d’Aosta, Provincia autonoma di Bolzano). La quasi totalità delle restanti regioni italiane, invece, ha persino sancito, all’interno della propria legge regionale sull’immigrazione, la costituzione di Osservatori dedicati allo studio del fenomeno migratorio nei suoi molteplici aspetti e delle sue ricadute in termini di impatto in ambito sanitario o almeno è stata formalmente attribuito ad altri osservatori esistenti nel territorio l’onere di svolgere tali compiti, incluso quello di valutazione della programmazione e degli interventi realizzati nell’ambito dell’immigrazione. Il Friuli Venezia Giulia sarebbe tra queste regioni, con un’eccellente attività di ricerca svolto dall’Osservatorio regionale, se non fosse stata abrogata da ormai due anni la legge sull’immigrazione e il relativo piano triennale.

Un’ulteriore dimensione chiave della tutela della salute contemplata nell’analisi è quella relativa alla prevenzione e promozione della salute, che spesso è più difficilmente garantita e perseguita nei confronti della popolazione immigrata. Si è osservato, invece, che metà delle regioni e una provincia autonoma hanno prodotto delle indicazioni normative specifiche sul tema, in particolare all’interno dei vigenti piani sanitari e piani sull’immigrazione (Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria, Provincia autonoma di Trento). È interessante notare che generalmente all’interno di queste politiche sembra essere superata una visione meramente di tipo preventivo, magari legata all’attenzione verso le malattie infettive, mentre viene dato maggiore rilievo rispetto al passato agli interventi di promozione della salute, intesi come azioni di educazione sanitaria, ma anche di rafforzamento delle capacità degli immigrati al fine di consolidare il controllo sui determinanti di salute, in particolare con riferimento alla salute materno-infantile.

La formazione degli operatori è solitamente indicata come asse di intervento delle politiche sanitarie locali: solo la Calabria, la Campania e la Provincia autonoma di Bolzano non hanno riferimenti su quest’aspetto negli atti emessi. Si è consolidata negli anni, infatti, una diffusa consapevolezza dell’importanza dello sviluppo di competenze specifiche del personale sanitario per garantire un’efficace presa in carico dei migranti, considerato il ruolo chiave che svolge la relazione tra operatori e utenti nel processo di assistenza sanitaria, in modo particolare quando questa è rivolta alla popolazione immigrata. Le politiche sanitarie, quindi, hanno progressivamente riconosciuto il bisogno di formare il personale sanitario sugli aspetti inerenti la salute degli stranieri, la medicina delle migrazioni e l’approccio transculturale. Tuttavia, spesso le indicazioni sono di tipo generico, perché non vengono esplicitati negli atti le modalità con cui tale formazione dovrebbe essere realizzata, rispetto ai temi da trattare, alla tipologia degli operatori da coinvolgere, né tanto meno al tipo di metodi didattici da privilegiare.

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Analoga situazione è rilevata anche per quanto riguarda la mediazione di sistema, espressione che vuole indicare un insieme di aspetti che riguardano la possibilità di rendere maggiormente accessibili e fruibili i servizi e le prestazioni sanitarie da parte degli immigrati, per i quali le difficoltà linguistiche e culturali, nonché quelle legate ad una scarsa health literacy e ad una conoscenza limitata dello stesso sistema sanitario italiano e del suo funzionamento diventano degli ostacoli consistenti al godimento del proprio diritto di salute e assistenza. Soltanto la Calabria e la Provincia autonoma di Bolzano non hanno inserito alcun riferimento alla mediazione negli atti normativi, mentre oltre la metà delle realtà locali le riservano un alto livello di attenzione (Abruzzo, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Provincia autonoma di Trento). Tuttavia c’è un’ampia variabilità dei meccanismi che si stabilisce siano necessari per facilitare l’accesso e la fruizione dell’assistenza sanitaria agli immigrati: si indicano, infatti, a vario modo l’utilizzo di materiale informativo multilingue, l’introduzione dei mediatori culturali nei servizi, il riorientamento o adeguamento organizzativo e procedurale dei servizi. Pur dando dimostrazione così che il tema è riconosciuto centrale per la garanzia del diritto alla salute degli immigrati a livello di documentazione normativa e programmatica, in questo caso sembra non bastare l’analisi degli atti, ma bisognerebbe verificare l’effettiva applicazione delle indicazioni fornite per realizzare interventi di mediazione di sistema e la loro concreta declinazione nell’offerta dei servizi.

Un altro aspetto da analizzare per poter caratterizzare la politica sanitaria locale in relazione al tema dell’immigrazione riguarda le modalità con cui i territori regionali o provinciali tutelano l’assistenza agli immigrati irregolari, che sono soggetti per i quali spesso è più difficile garantire la tutela del diritto di salute. Nonostante, infatti, il Testo Unico sull’immigrazione assicuri agli irregolari, come abbiamo visto precedentemente, le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia e infortunio ed estenda anche a loro i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva (art. 35), viene demandato alle Regioni e Province autonome di definire le forme organizzative che i servizi sanitari devono assumere per assisterli. Si osserva la persistenza ancora in tre realtà regionali di un livello non adeguato di assistenza, fornita attraverso il solo pronto soccorso (Lombardia), o da ambulatori di volontariato non convenzionato, ambulatori pubblici e privati o ambulatori convenzionati con le aziende sanitarie (Basilicata, Calabria), ma comunque senza una direttiva regionale che uniformi l’assistenza e ne garantisca livelli essenziali adeguati. Ci sono, tuttavia, anche situazioni di eccellenza, dove si è stabilito che siano i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta a prendersi in carico anche gli immigrati irregolari (Friuli-Venezia Giulia, Puglia, Umbria, Provincia di Trento; il Molise fa riferimento ai soli pediatri di libera scelta per i minori).

Un altro gruppo di stranieri in condizioni di particolare fragilità per quanto riguarda la tutela del diritto alla salute è quello dei comunitari sprovvisti di copertura sanitaria e l’assistenza a questi soggetti è diventata una questione di grande rilevanza all’interno delle politiche sanitarie locali, come abbiamo già esaminato, in seguito all’entrata della Romania e Bulgaria all’interno dell’Unione Europea e della conseguente emergenza di gravi criticità relative alla presenza consistente di cittadini diventati quindi comunitari, ma che non rientrano nei requisiti per l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, né sono nelle condizioni di procurarsi delle polizze assicurative private. Si osserva un discreto livello di impegno delle politiche locali rispetto a questo aspetto: infatti solo l’Abruzzo, la Basilicata la Calabria e la Valle d’Aosta non hanno emesso alcun atto a riguardo, il Veneto si è limitato a trasmettere le disposizioni nazionali precedenti e più svantaggiose di quelle vigenti che garantiscono l’erogazione di cure essenziali e urgenti anche a queste persone e la Provincia autonoma di Trento ha emanato un atto più restrittivo delle indicazioni ministeriali del 2008, prevedendo per esempio che le interruzioni volontarie di gravidanza debbano essere pagate dagli utenti non iscritti al servizio sanitario. Ci sono, tuttavia, altre cinque regioni (Campania, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana) che hanno

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dimostrato di avanzare la stessa politica nazionale, con atti che hanno anticipato quanto disposto dal Ministero della Salute oppure che includono anche l’iscrizione volontaria al sistema sanitario regionale come ulteriore opportunità per i comunitari di essere tutelati nell’assistenza sanitaria.

I sette indicatori selezionati per l’analisi delle politiche sanitarie locali (linee guida, analisi del bisogno, prevenzione e promozione della salute, formazione, mediazione in sanità, assistenza agli irregolari, assistenza ai comunitari) sono stati composti in due indici di sintesi sul livello di avanzamento (Figura 2) e sull’impatto delle politiche sanitarie locali (Figura 3), che rendono possibili confronti nel tempo, e quindi permettono di misurare gli effetti di specifiche scelte politiche nazionali e locali, e nello spazio, cioè in ambiti territoriali diversi (10).

Figura 2. Indice sintetico sul livello di avanzamento delle politiche sanitarie locali

Figura 3. Indice di impatto delle politiche sanitarie locali

basso

Se legge e piano immigrazione non fosserostati abrogati, sarebbe alto

medioalto

eccellenteottimobuonosufficientescarsominimo

eccellenteottimobuonosufficientescarsominimo

Se legge e piano immigrazione non fossero

stati abrogati, sarebbe ottimo

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Nonostante l’elevata eterogeneità delle situazioni locali in termini di politiche su immigrazione e salute quando si considerano separatamente le singole variabili, dalla lettura della composizione dei due indici sintetici, tra cui il secondo sull’impatto riesce a mettere in evidenza maggiormente le differenze locali grazie all’articolazione in sei categorie, emerge un alto livello di attenzione verso il tema della salute degli immigrati da parte di quasi metà delle regioni italiane. Non viene a delinearsi un quadro compatto né una contrapposizione netta tra realtà centro-settentrionali rispetto a quelle meridionali, anche se è presente un ritardo nel sud, con l’eccezione della Puglia, da una parte, che negli ultimi anni ha saputo disegnare specifiche politiche di eccellenza rispetto alla questione dell’immigrazione e con la situazione particolarmente critiche, dall’altra, della Calabria e della Basilicata che hanno un livello molto basso di impatto delle politiche sanitarie per gli immigrati. Tuttavia anche alcune regioni del nord non mostrano una massima attenzione delle politiche sanitarie alla questione della tutela della salute degli immigrati, essendo frenate, probabilmente, nella pianificazione di interventi avanzati in quest’ambito da approcci più di tipo ideologico che tecnico. Il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, per esempio, che hanno costituito in passato esperienze regionali di rilievo e fortemente innovative nell’ambito dell’assistenza sanitaria agli immigrati, si trovano attualmente ad avere rispettivamente un livello buono e sufficiente di impatto, per un’inversione di tendenza o un rallentamento delle politiche rispetto ai temi dell’immigrazione. In altri casi, invece, la buona capacità di formalizzazione della politica locale in atti normativi e programmatici potrebbe non trovare diretto riscontro a livello applicativo: è il caso della Sardegna, che ha un livello alto di avanzamento della politica locale, ma presenta molte criticità rispetto all’applicazione di tali direttive, come emerge attraverso l’esperienza dei Gruppi Immigrazione e salute – GrIS locali (unità territoriali della SIMM), che offrono uno sguardo dal basso sulle politiche sanitarie.

Nell’analisi delle politiche sanitarie locali, uno sguardo particolare è rivolto a quanto viene sancito per l’assistenza alle donne immigrate, poiché è possibile considerare la salute della donna e dell’età evolutiva come la cartina di tornasole della qualità dell’assistenza e dei sistemi socio-sanitari stessi (13). Il rilievo attribuito alle indicazioni su come tutelare la salute delle donne immigrate presenti nei documenti di programmazione sanitaria, innanzitutto nel piano sanitario locale, può essere quindi significativamente utilizzato per segnalare quale sia il modello di assistenza per gli immigrati che la politica locale assume e promuove. Si osserva che le Regioni e Province autonome riservano un’attenzione differenziata rispetto a questa tematica e spesso di carattere limitato: la metà delle realtà locali, infatti, non presenta nessun focus specifico nei propri atti normativi o si limita a pochi cenni in riferimento ai temi della prevenzione, promozione e tutela della salute materno-infantile. Dall’altra parte, l’Emilia Romagna, le Marche, la Puglia, la Sardegna, la Toscana e la Provincia autonoma di Trento attribuiscono una particolare rilevanza a quest’ambito e l’affrontano in maniera approfondita attraverso sezioni dedicate all’interno dei documenti di programmazione sanitaria o progettualità specifiche (Figura 4).

Solitamente vengono promossi interventi volti alla tutela della maternità, con l’indicazione di espedienti organizzativi che facilitino l’accesso delle donne straniere al percorso nascita, quali la produzione di materiale multilingue sui temi legati alla gravidanza, al parto e al puerperio, l’utilizzo di mediatrici culturali che permettano una migliore fruizione delle donne migranti in particolare dei servizi consultoriali e la sensibilizzazione degli operatori sugli aspetti culturali relativi alla nascita e alla cura dei figli. Le politiche sanitarie riconoscono inoltre le problematiche relative alla prevenzione delle interruzioni volontarie di gravidanza tra le donne immigrate come un ulteriore aspetto centrale su cui intervenire.

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Figura 4. Focus sulla salute delle donne immigrate

Nell’analisi non abbiamo voluto affrontare il tema delle mutilazioni genitali femminili, che a seguito dell’entrata in vigore della Legge n. 7 del 9 gennaio 2006, della pubblicazione delle linee guida sul tema (Decreto Ministero Salute del 17 dicembre 2007) e di cospicui finanziamenti dedicati, sta entrando di fatto nelle agende delle politiche locali.

Conclusioni

L’analisi che abbiamo riferito disegna un Paese a forti chiaro-scuri nel merito del tema della tutela sanitaria degli immigrati con particolare riferimento alla componente femminile. Uno scenario normativo specifico certamente avanzato, ma con incertezze locali a volte anche molto pronunciate e con una visione politica offuscata da particolarismi ideologici sull’immigrazione che sembrano contraddire un fenomeno ormai strutturato e necessario.

Eppure, come affermano i ministri europei della salute, “le misure sanitarie per i migranti che siano ben gestite, inclusa la salute pubblica, promuovono il benessere di tutti e possono facilitare l’integrazione e la partecipazione dei migranti all’interno dei Paesi ospitanti promuovendo l’inclusione e la comprensione, contribuendo alla coesione, aumentando lo sviluppo” (14).

Questa impostazione, non originale ma certamente di impatto, ci fa affermare che per garantire una buona salute alla popolazione, servono politiche che siano eque e giuste (15), che garantiscano cioè pari opportunità di accesso e fruibilità a quegli ambiti della popolazione, quali sono gli immigrati e in particolare le donne straniere, che si trovano per motivi sociali, culturali, ma anche a causa di scelte ideologiche, in condizioni di svantaggio rispetto ad altri. Non dimenticando, infatti, che la salute di ciascuno è salute di tutti.

Non previsto/cenniTrattato in modo genericoApprofondito

NOTA: sono esclusi dalla valutazione i progetti sulle Mutilazioni Genitali Femminili ai sensi della Legge 7/2006 e relative Linee Guida del 17 dicembre 2007

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Bibliografia

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2. Geraci S. Immigrati. La nuova legge sulla sicurezza è ingiusta, dannosa e pericolosa. Saluteinternazionale.info 2009. Disponibile all’indirizzo: http://saluteinternazionale.info/2009/07/ immigrati-la-nuova-legge-sulla-sicurezza-e-ingiusta-dannosa-e-pericolosa/; ultima consultazione 15/03/2011.

3. Geraci S. Politiche sanitarie e immigrazione: crisi ed opportunità. In: Immigrazione Dossier Statistico 2009. XIX Rapporto sull’immigrazione. Roma: Caritas/Migrantes, Idos; 2009. p, 223:8.

4. Geraci S. Etica medica interculturale. In: Camurri MT (Ed.). Atti Convegno di Bioetica “Dignità del malato e dignità del medico.” Modena, 6-7 maggio 2005. Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e Cultura e Salute. Modena; 2007. p. 43-50.

5. Geraci S, Marceca M. La promozione della salute per gli stranieri: normativa nazionale sull’accesso ai servizi e politiche locali. In: Atti della Conferenza nazionale “Migrazioni e salute”; Bari, 3-4 maggio 2002. Lecce; 2002; p. 36-51.

6. Geraci S. Immigrazione femminile: quale assistenza sanitaria? Percorsi di donne. Roma: Carocci editore; 2001.

7. Società Italiana di Medicina delle Migrazioni. Dossier emendamento sicurezza 2008-2009. Roma: SIMM; 2009. Disponibile all’indirizzo: http://www.simmweb.it/index.php?id=358. Ultima consultazione 15/03/2011.

8. FNOMCeO. Interrogazione parlamentare. Medici. Risposta del Governo inerente al divieto di segnalazione degli stranieri irregolari che chiedono assistenza sanitaria. Comunicazione n. 86. 2010. Disponibile all’indirizzo: http://www.ordinemedici.bz.it/it/fnomceo/download=69; ultima consultazione 22/06/2011.

9. Geraci S. La salute degli immigrati: luci ed ombre. Agenzia Sanitaria Italiana (ASI) 2007; 44:2:14.

10. Geraci S, Bonciani M, Martinelli B. La tutela della salute degli immigrati nelle politiche locali. Roma: Inprinting srl; 2010.

11. Geraci S. (Ed.). Immigrazione e salute: un diritto di carta? Viaggio nella normativa internazionale, italiana e regionale. Roma: Edizioni Anterem; 1996.

12. Marceca M. Immigrazione, un’occasione per riorientare i servizi. Quaderni della Professione. Medicina, scienza, etica e società 2008;(2):201-5.

13. Grandolfo M. La salute della donna e dell’età evolutiva, Sicurezza sanitaria 2006;(3):43-7.

14. Council of Europe. 8th Conference of european health ministers. People on the move: human rights and challenges for health care systems. Bratislava Declaration on health, human rights and migration. 23 November 2007. Strasbourg: Council of Europe; 2007. Disponibile all’indirizzo: http://www.coe.int/t/dc/files/ministerian_conferences/2007_health/20071123_declaration_en.asp; ultima consultazione 22/06/2011.

15. Geraci S. Per una buona salute servono politiche giuste. In: Immigrazione Dossier Statistico 2010. XX Rapporto sull’immigrazione. Roma: Caritas/Migrantes, Idos; 2010. p. 227-32.

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SECONDA PARTE

Le indagini del 2009 sul percorso nascita

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INDAGINI SUL PERCORSO NASCITA DELLE DONNE STRANIERE

Laura Lauria, Emanuela Forcella, Anna Lamberti, Mauro Bucciarelli, Silvia Andreozzi, Michele E. Grandolfo Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma

Introduzione

La valutazione dell’assistenza al percorso nascita rappresenta un aspetto di sanità pubblica di fondamentale importanza per le implicazioni dovute alla presenza di modelli assistenziali alternativi nei principi di base, negli aspetti organizzativi e di conseguenza negli obiettivi di sanità pubblica che si intende perseguire e nelle modalità con cui tali obiettivi vengono perseguiti (1).

È ben noto come in tutti i settori della salute pubblica, le criticità assistenziali emergano con maggiore forza nelle fasce di popolazione più deboli dal punto di vista socio-economico.

Questo è tanto più vero per le donne immigrate che oltre ad appartenere tendenzialmente alle categorie sociali più deboli hanno un ulteriore elemento di difficoltà nell’interazione con i servizi assistenziali dovuto alla non conoscenza della lingua e più in generale all’appartenenza a modelli socio-culturali diversi (2, 3).

A questo si aggiunga l’incertezza di una chiara politica sulla migrazione e una discontinuità applicativa con conseguente percezione di insicurezza da parte dei cittadini stranieri sul diritto alla tutela della propria salute e all’accesso ai servizi assistenziali (4).

Nel nostro Paese gli studi sulla maternità e sulle scelte riproduttive tra le donne immigrate hanno mostrato alcuni aspetti critici legati alla difficoltà di accesso ai servizi sanitari che, spesso, offrono risposte unilaterali a una domanda di per sé diversificata per lingua, modelli culturali e contesto sociale.

Da questi studi sono emerse aree di maggiore criticità tra le donne immigrate rispetto alle donne italiane, in particolare: maggiore abortività volontaria; difficoltà di accedere ai servizi durante il periodo prenatale; minore esposizione alle pratiche antenatali raccomandate; mortalità perinatale più alta; maggiore prevalenza di parti pretermine e di basso peso alla nascita (5-11).

L’immigrazione femminile in età fertile è un fenomeno molto rilevante e in costante evoluzione in Italia, come già descritto nelle sezioni precedenti (12).

Da qui l’importanza di queste indagini sul percorso nascita delle donne straniere, una qualitativa e una quantitativa, che sono state condotte nel 2009 nell’ambito del progetto “Il percorso nascita: promozione e valutazione della qualità dei modelli operativi” finanziato dal Ministero della Salute.

Le indagini sono state condotte dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in collaborazione con 18 centri nascita presenti sul territorio nazionale che hanno una elevata prevalenza di nascite da donne immigrate.

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Indagine qualitativa

Obiettivo

Lo scopo dell’indagine è valutare il vissuto delle donne straniere in tema di percorso nascita attraverso interviste approfondite.

Metodologia

L’indagine qualitativa è stata realizzata attraverso la conduzione di interviste semi-strutturate a donne straniere che avevano appena partorito presso gli ospedali selezionati.

Per la conduzione delle interviste sono state selezionate antropologhe, ostetriche e assistenti sociali presenti nelle strutture partecipanti al progetto.

Le interviste hanno avuto luogo nelle stanze di degenza, o, su richiesta delle donne, in stanze appartate. Un breve colloquio per descrivere lo studio, spiegarne le finalità e raccogliere il consenso ha preceduto le interviste.

L’intervista è stata condotta seguendo una griglia di domande definite in precedenza, che prevedeva approfondimenti sul vissuto e l’esperienza della gravidanza e del parto.

I risultati, presentati attraverso estratti delle narrazioni, sono relativi a 60 interviste, effettuate nei centri nascita di Roma, Mestre, Trento, Torino, Bari e Foggia.

Caratteristiche delle donne intervistate

Sebbene l’intervista non prevedesse domande specifiche sulle caratteristiche socio-demografiche e sul percorso migratorio, si è spesso verificato che le informazioni emergessero nel corso del colloquio; è stato dunque possibile tracciare un profilo delle donne intervistate, riportato in Tabella 1.

Tabella 1. Caratteristiche socio-demografiche delle donne intervistate nell’indagine qualitativa

# Luogo di nascita

Cittadinanza In Italia da (anni)

PS Età Stato civile

Occupazione

1 Brasile Italia 18 sì 38 coniug. baby sitter 2 Santo Domingo Italia 1 26 coniug. – 3 Albania Albania 1 e 1/2 sì 33 coniug. tuttofare, ristorante 4 Cuba Cuba 5 sì 36 conviv. no (interrotto contratto

quando rimasta incinta) 5 Romania Romania 4 e 1/2 sì 29 coniug. infermiera 6 Macedonia Macedonia 1 e 1/2 sì 30 coniug. no 7 Albania Albania 5 sì 24 coniug. pulizie 8 Brasile Italia 2 sì 27 coniug. cameriera 9 Perù Italia 5 sì 27 coniug. assistenza anziani

10 Tunisia Tunisia 6 sì 37 coniug. casalinga 11 Tunisia Tunisia 3 sì 22 coniug. casalinga 12 Romania Romania 6 34 coniug. domestica 13 Bosnia, rom Bosnia 18 – 20 coniug. no, mai 14 Marocco Marocco 9 – 39 conviv. impresa pulizie 15 Romania Romania 5 – 29 coniug. commessa 16 Romania Romania 4 – 24 coniug. casalinga 17 Marocco Marocco 5 sì 43 no part. badante

segue

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continua

# Luogo di nascita

Cittadinanza In Italia da (anni)

PS Età Stato civile

Occupazione

18 Romania Romania 2 sì 23 coniug. disoccupata 19 Perù Italia 9 sì 34 coniug. mediatrice 20 Marocco Marocco 3 sì 27 coniug. casalinga 21 Moldavia Moldavia – – 27 coniug. sì, non specificato 22 Ucraina Italia 4 – 23 coniug. non in gravidanza 23 Moldavia Moldavia 5 – 24 coniug. impresa pulizie 24 Albania Albania 5 – 26 coniug. no 25 Romania Romania 4 – coniug. – 26 Colombia Italia – – 38 coniug. architetto 27 Moldavia Moldavia – – 37 coniug. – 28 Moldavia Moldavia 9 32 coniug. estetista 29 Perù Perù 9 sì 40 coniug. baby sitter 30 Romania Romania 4 no 22 coniug. pulizie 31 Filippine Filippine – sì coniug. domestica 32 Sri Lanka Sri Lanka 4 – 25 coniug. domestica 33 Ecuador Ecuador nascita sì 20 fidanz. studentessa 34 Romania rom Romania 1 no 25 conviv. domestica 35 Filippine Filippine 11 sì 29 coniug. domestica 36 Albania Albania 2 mesi no 23 – casalinga 37 Romania, rom Romania 6 no 26 coniug. no 38 Albania Italia 15 * 24 conviv. – 39 Etiopia Etiopia 9 sì 33 – domestica 40 Cuba Italia 8 sì 26 coniug. casalinga 41 Georgia Italia 1 e 1/2 * 31 nubile badante/domestica 42 Albania Albania 7 sì 33 coniug. casalinga 43 Brasile Italia 1 sì 25 coniug. casalinga 44 Filippine Filippine 6 sì 30 coniug. domestica 45 Romania Italia 6 sì 27 coniug. casalinga 46 Croazia Italia 6 no 27 coniug. casalinga 47 Romania Italia 1 e 8 no 33 conviv. casalinga 48 Romania Italia 2 sì 20 conviv. bracciante agricola 49 Macedonia/rom Macedonia 16 sì 17 – casalinga 50 Romania Romania 4 – 31 – cameriera 51 Ucraina Ucraina 7 – 35 coniug. barista 52 Senegal Senegal 1 no 41 coniug. casalinga 53 Romania Romania 5 – 31 coniug. domestica 54 Romania Romania 5 sì 35 coniug. baby sitter 55 Cina Cina 3 no 29 coniug. casalinga 56 Romania Romania 7 sì 29 coniug. barista all’ospedale 57 Nigeria Nigeria 10 mesi sì 24 no part. no 58 Polonia Polonia 7 – 34 coniug. assistente sanitaria 59 Slovacchia Italia 10 – 31 coniug. infermiera 60 Bulgaria Polonia 5 anni – 23 coniug. pasticciera

PS: permesso di soggiorno; * scaduto; –: dato non disponibile

Si tratta in prevalenza di donne coniugate, in possesso di permesso di soggiorno; molte svolgono un’attività lavorativa, altre sono casalinghe, in particolare le donne provenienti dal Nord-Africa e dall’Europa dell’Est. Per i dati mancanti, non si tratta di informazioni omesse dalle donne, ma di mancata richiesta da parte dell’intervistatrice.

I risultati emersi dalle interviste sono presentati in forma integrata con i risultati dell’indagine quantitativa nelle sezioni dedicate denominate “Le mamme si raccontano”.

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Indagine quantitativa

Obiettivi

I principali obiettivi dell’indagine sono stati: valutare:

- le conoscenze e le attitudini riguardo a gravidanza, parto e puerperio da parte delle donne, - i fattori che favoriscono e impediscono l’accesso alle procedure e ai servizi raccomandati, - le conoscenze sui servizi sanitari esistenti, - il grado di soddisfazione delle donne immigrate per quanto riguarda l’assistenza alla

nascita, - la percezione delle donne sul percorso nascita in base alle aspettative e al proprio

vissuto;

confrontare: - il percorso nascita delle donne immigrate con quello delle donne italiane;

tratteggiare: - il profilo di salute e sociale delle donne immigrate che hanno recentemente partorito.

Metodologia

Il disegno dello studio ha previsto la conduzione di una indagine campionaria di tipo trasversale attraverso la somministrazione di un questionario standard e validato (Appendice A).

La popolazione in studio è costituita dalle donne immigrate provenienti da Paesi a Forte Pressione Migratoria (PFPM) che hanno partorito, in un definito periodo (orientativamente 5/6 mesi), presso i centri nascita partecipanti e dalle donne italiane che hanno partorito, in un definito periodo, presso gli stessi centri nascita.

Il protocollo di studio ha previsto la raccolta di circa 1700 interviste a donne di nazionalità straniera e circa 500 di nazionalità italiana.

È stato effettuato un campionamento di tipo pseudo probabilistico in quanto sono state intervistate tutte le donne di nazionalità straniera corrispondenti ai criteri di inclusione, che hanno partorito nel periodo di tempo definito fino al raggiungimento della quota stabilita.

L’arruolamento delle donne italiane è stato pianificato con ciascun centro: preferibilmente si sono arruolate tutte le donne italiane corrispondenti ai criteri di inclusione, che hanno partorito in quel centro a settimane alternate.

Le donne sono state arruolate poco prima della dimissione dalla struttura e mediatrici culturali/intervistatrici precedentemente formate hanno somministrato il questionario previo consenso informato.

Sono state escluse dallo studio donne con gravi situazioni patologiche, a carico della stessa o del bambino, tali da non permettere la somministrazione del questionario.

In particolare, sono state escluse donne e neonati con le seguenti complicanze: donne con perdita ematica > 1000 cc; donne con infezione della sutura episiotomica o della sutura laparotomica da Taglio

Cesareo (TC), da endometrite, da infezione pelvica, con febbre ≥ 38°C; donne con patologie a loro carico o del neonato tali da rendere improponibile la

somministrazione del questionario. Il questionario utilizzato ha previsto prevalentemente domande con risposte chiuse, ossia

risposte già previste e precodificate, ed è articolato in 3 sezioni:

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Prima sezione: gravidanza; Seconda sezione: parto e puerperio; Terza sezione: stato di salute della madre, del neonato

e informazioni socio-demografiche. L’ISS ha fornito il supporto metodologico attraverso la preparazione del materiale per la

conduzione del progetto (questionari, manuale per la somministrazione e la codifica del questionario), selezione dei centri nascita, formazione delle mediatrici culturali e/o intervistatrici, analisi e divulgazione dei dati.

I dati rilevati dal questionario sono stati archiviati su un database creato ad hoc presso l’ISS. Tutte le analisi, descrittive e di associazione multivariata, sono state effettuate con il software STATA versione 11.

Risultati delle due indagini

I risultati delle due indagini sono organizzati per argomento e presentati in forma integrata. Nelle Tabelle si ritrovano i dati dell’indagine quantitativa mentre quelli emersi dallo studio qualitativo sono riportati nei riquadri “Le mamme si raccontano” con stralci delle interviste su fondo grigio e le informazioni salienti della donna (numero di intervista, paese di origine ed età).

Centri nascita partecipanti all’indagine quantitativa e rispondenza

All’indagine quantitativa hanno partecipato 18 centri nascita, selezionati per l’alta presenza di cittadine straniere che vi affluiscono, concentrati soprattutto in città del centro-nord Italia.

In dettaglio i centri nascita che hanno partecipato sono stati: – Piemonte Ospedale Maria Vittoria, Torino – Lombardia Ospedale Pesenti Fenaroli, Alzano Lombardo (Bergamo)

Spedali Civili, Brescia Ospedale Vittore Buzzi, Milano Istituto Luigi Mangiagalli, Milano Ospedale San Gerardo il Vecchio, Monza

– Trentino-Alto Adige Ospedale Santa Maria del Carmine, Rovereto (Trento) Ospedale Santa Chiara, Trento

– Veneto Ospedali di Bassano del Grappa e Thiene (Vicenza) Ospedale Villa Salus, Mestre (Venezia)

– Friuli-Venezia Giulia Area Vasta Materno-infantile (3 centri nascita), Pordenone – Emilia Romagna Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia – Lazio Ospedale Grassi, Ostia (Roma)

Ospedale San Pietro Fatebenefratelli, Roma – Abruzzo Ospedale Civile dello Spirito Santo, Pescara – Puglia Ospedale Di Venere, Bari

Ospedali Riuniti, Foggia – Sicilia Policlinico universitario G. Martino, Messina

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Sono state contattate complessivamente 2213 donne delle quali 2090 hanno accettato l’intervista, con un tasso di rispondenza del 94,4%, variabile dall’80% di Messina al 100% di Bassano/Thiene, Reggio Emilia, Milano (Mangiagalli) e Trento.

Aspetti socio-demografici, geografici e di integrazione delle rispondenti

Delle donne intervistate nell’indagine quantitativa, 1564 erano di cittadinanza straniera e 526 erano italiane. Nella Tabella 2 viene presentata, per ciascun centro nascita, la composizione delle donne intervistate per area geografica di provenienza.

Tabella 2. Area geografica di provenienza per centro nascita nell’indagine quantitativa

Straniere n.

Italiane TotaleCentro nascita Est Europa

%

Asia

%

Africa

%

Centro-Sud

America% rispondenti missing totale n. n.

Torino 53,1 2,0 36,7 8,2 98 0 98 30 128 Bergamo 31,5 10,1 50,6 7,9 89 0 89 30 119 Brescia 22,7 31,8 37,3 8,2 100 0 100 30 130 Milano (Buzzi) 12,0 42,0 16,0 30,0 100 0 100 31 131 Milano (Mangiag.) 7,8 15,7 20,6 55,9 102 0 102 28 130 Monza 33,7 8,4 29,5 28,4 95 4 99 41 140 Rovereto 42,9 17,1 31,4 8,6 70 0 70 0 70 Trento 50,6 7,6 32,9 8,9 79 0 79 45 124 Bassano/Thiene 50,7 8,7 34,7 6,0 150 0 150 39 189 Mestre 44,0 32,0 12,0 12,0 50 0 50 30 80 Pordenone 53,8 6,6 33,0 6,6 106 0 106 30 136 Reggio Emilia 14,1 44,6 41,3 0,0 92 0 92 34 126 Ostia 73,7 10,1 10,1 6,1 99 1 100 29 129 Roma 55,5 13,6 16,4 14,6 110 2 112 30 142 Pescara 58,1 12,9 21,5 7,5 93 0 93 20 113 Bari 63,4 12,2 14,6 9,8 41 2 43 26 69 Foggia 81,4 4,7 9,3 4,7 43 0 43 27 70 Messina 51,5 24,2 21,2 3,0 33 5 38 26 64 Totale 42,4 16,6 27,6 13,4 1550 14 1564 526 2090

La maggioranza delle donne, il 42,4%, proviene dai Paesi dell’Est Europa, il 27,6% dai Paesi

africani, il 16,6% da Paesi asiatici e il 13,4% da Paesi del Centro-Sud America. I Paesi più rappresentati sono nell’ordine la Romania (267 donne), il Marocco (191 donne), l’Albania (139 donne), la Cina (105 donne), la Polonia (58 donne), il Perù (52 donne) e l’Ecuador (52 donne) (Tabella 3). I centri nascita che si distinguono per una diversa composizione dell’area geografica di provenienza sono Bergamo con una maggioranza di donne africane, Milano (Buzzi) e Reggio Emilia con una maggioranza di donne asiatiche e Milano (Mangiagalli) con una maggioranza di donne centro-sudamericane.

Le donne provenienti dall’Est Europa e dall’Asia sono tendenzialmente le più giovani: il 59,3% ha un’età inferiore ai 30 anni verso il 22,0% delle italiane, il 47,4% delle africane e il 42,8% delle centro-sudamericane. Tendenzialmente le straniere sono 4 anni più giovani delle italiane con una età media di 29 anni verso i 33 anni delle italiane (Tabella 4).

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Tabella 3. Nazionalità prevalenti per area geografica di provenienza nell’indagine quantitativa

Area n. Nazionalità prevalenti

Est Europa 661 Romania (267), Albania (139), Polonia (58), Moldova (42), Serbia (34), Ucraina (32) Macedonia (22)

Asia 252 Cina (105), Filippine (40), Bangladesh (30), Sri Lanka (21)

Africa 428 Marocco (191), Egitto (50), Tunisia (39), Algeria (27), Nigeria (27), Senegal (28)

Centro-Sud America 209 Perù (52), Ecuador (52), Brasile (29), Cuba (23)

Tabella 4. Caratteristiche socio-demografiche (%) di tutte le donne intervistate

Variabili Est Europa n. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Età < 30 59,3 60,3 47,4 42,8 54,0 22,0 30-34 27,8 25,8 35,8 33,7 30,5 41,8 > 34 12,9 13,9 16,8 23,6 15,6 36,3 Età media 28 29 30 30 29 33

Stato civile Coniugata 75,6 83,3 91,1 55,5 78,4 79,5 Nubile 20,8 15,5 7,9 40,7 19,0 18,8 Separata/divorziata/vedova 3,6 1,2 0,9 3,8 2,5 1,7

Anni di studio 8 21,1 32,9 26,0 12,1 23,2 17,7 9-15 61,4 55,4 57,4 67,2 60,1 53,3 > 15 17,4 11,7 16,6 20,8 16,7 29,0

Parità Primipara 54,5 41,7 40,8 44,0 47,2 54,5 Pluripara 45,5 58,3 59,3 56,0 52,8 45,5 % con 2 o più figli 10,9 16,5 28,3 18,0 17,4 14,6

Occupazione Non occupata 37,4 47,0 68,1 22,8 45,5 20,1 Occupata 62,6 53,0 31,9 77,2 54,5 79,9

Il 78,4% delle donne risulta coniugata, tale percentuale sale al 91,1% per le africane mentre

scende drasticamente al 55,5% per le donne provenienti dal Centro-Sud America. Tra le straniere, le centro-sudamericane risultano essere quelle con un maggior numero di anni di studio effettuati, solo il 12,1% ha non più di 8 anni di studio verso il 17,7% delle italiane e il 32,9% delle asiatiche, il gruppo di donne che risulta meno istruito. In generale la maggioranza delle donne ha dichiarato di avere un impiego al momento dell’intervista con percentuali variabili da 53,0% per le asiatiche a 77,2% delle sudamericane e 79,9% delle italiane, l’unica eccezione riguarda le africane che risultano occupate solo nel 31,9% dei casi. Circa il 41% delle donne asiatiche e africane e il 44,0% delle sudamericane sono primipare verso il 54,5% di primipare tra le italiane e le donne dell’Est Europa. Questo ultimo dato, così diversificato per area di provenienza, appare ancora più estremo se letto alla luce della più giovane età delle donne straniere rispetto alle italiane.

Il 31,1% e il 53,7% delle donne centro-sudamericane e africane rispettivamente dichiarano di risiedere in Italia da meno di 5 anni; da meno di 1 anno le percentuali sono rispettivamente

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4,9% e 19,1%. Il flusso migratorio dal Sud America appare quindi quello di più lunga data mentre quello dall’Africa risulta essere il più recente e attivo (Tabella 5).

Tabella 5. Caratteristiche (%) legate all’immigrazione delle donne straniere intervistate

Variabili Est Europan. 661

Asia n. 252

African. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Permanenza in Italia < 1 anno 7,4 14,0 19,1 4,9 11,4 1-4 anni 35,6 33,2 34,6 26,2 33,7 5-9 anni 40,8 34,0 31,8 42,7 37,4 10 anni 16,3 18,8 14,6 26,2 17,6

Ragione della migrazione Lavoro 44,0 43,7 22,7 48,6 38,6 Politica 0,9 0,4 1,4 1,4 1,0 Famiglia 44,6 51,6 71,7 35,6 52,0 Altro 10,6 4,4 4,2 14,4 8,3

Situazione legale Cittadina italiana 5,9 2,4 4,7 14,4 6,1 Permesso di soggiorno 80,9 83,7 83,6 79,3 81,9 In attesa di permesso di soggiorno 3,6 6,3 8,7 2,4 5,3 STP 9,6 7,5 3,0 3,8 6,7

Iscrizione SSN Sì, permesso di soggiorno 80,8 86,5 89,4 83,0 84,4 Sì, per gravidanza 10,7 6,3 6,6 12,1 9,0 No, STP 6,0 6,3 2,4 2,4 4,6 No, non sapeva 2,5 0,8 1,7 2,4 2,0

Conoscenza lingua Buona/sufficiente 87,3 44,1 51,3 92,3 70,9 Scarsa/no 12,7 56,0 48,7 7,7 29,1

Per il 52,0% delle donne straniere la ragione principale della migrazione è il

ricongiungimento familiare; per il 38,6% è il lavoro. Le ragioni della migrazione sono in ugual misura il lavoro e il ricongiungimento familiare

per le donne dell’Est Europa, circa 44%; per le donne asiatiche e africane la ragione principale è il ricongiungimento familiare, 51,6% e 71,7% rispettivamente; mentre per le donne centro-sudamericane è il lavoro, 48,6%. La grande maggioranza delle donne, dall’86,1% (Asia) al 93,7% (Centro-Sud America) ha un regolare permesso di soggiorno o ha la cittadinanza italiana. Sono donne STP (Straniero Temporaneamente Presente), sigla che nasconde condizioni in generale di minore tutela, il 9,6% delle donne dell’Est Europa, il 7,5% delle donne asiatiche e il 3-4% delle donne africane e centro-sudamericane. Non sono iscritte al Servizio Sanitario Nazionale perché STP o perché non sapevano il 7-8% delle donne dell’Est Europa e dell’Asia e il 4-5% delle donne asiatiche e centro-sudamericane.

Dichiarano di avere problemi di comunicazione soprattutto le donne provenienti dalle aree geografiche dove i flussi migratori sono più recenti e attivi, in particolare, dichiarano una scarsa o nulla conoscenza della lingua italiana il 56,0% delle donne asiatiche e il 48,7% delle donne africane. Queste percentuali scendono al 12,7% per le donne dell’Est Europa e al 7,7% per le donne del Centro-Sud America.

Per quanto riguarda le difficoltà incontrate nell’essere assistita in gravidanza (Tabella 6), le straniere citano oltre alle difficoltà di comunicazione (23,9%) anche i problemi economici

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(16,1%) e di tempo (19,5%); i rispettivi valori per le italiane sono 5,0%, 5,7% e 14,1%. Le donne asiatiche e le africane, che hanno dichiarato una minore conoscenza della lingua italiana, citano con maggiore frequenza le difficoltà di comunicazione, 40,6% e 36,0% rispettivamente. Complessivamente le donne che hanno dichiarato di aver avuto almeno una difficoltà sono state il 46,2% delle straniere e il 29,3% delle italiane.

Tabella 6. Difficoltà incontrate (%) nell’essere assistita in gravidanza

Tipo di difficoltà Est Europa n. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Accesso a strutture pubbliche 11,2 15,9 10,8 22,5 13,4 11,6 Comunicazione 12,1 40,6 36,0 15,8 23,9 5,0 Problemi economici 15,2 12,4 17,5 20,6 16,1 5,7 Problemi di tempo 15,4 21,5 22,4 24,4 19,5 14,1 Altro 3,0 4,9 2,7 2,4 3,2 5,6 % donne che dichiarano 1 o più difficoltà

35,5 58,7 52,7 50,7 46,2 29,3

Per le donne straniere il fattore più significativo associato con l’aver incontrato almeno una

difficoltà è il tipo di assistenza, con un rischio ridotto per chi è assistito da privato rispetto al pubblico (OR=0,60, IC 95%: 0,45-0,80) ma anche per chi è assistito da Consultorio Familiare (CF) (OR=0,68, IC 95%: 0,53-0,88); si rileva una riduzione del rischio con l’aumentare degli anni di permanenza in Italia; rispetto alle donne dell’Est Europa tutte le altre straniere hanno un rischio tendenzialmente raddoppiato o più che raddoppiato. Le donne senza permesso di soggiorno sono a maggior rischio di incontrare difficoltà (OR=1,71, IC 95%: 1,10-2,65) (Tabella 7).

Tabella 7. Fattori associati con almeno una difficoltà incontrata in gravidanza – straniere

Fattori n. ≥1 difficoltà OR IC 95%

Anni di istruzione <16anni 1209 47,3 1 ≥16anni 253 41,9 0,87 0,65-1,17

Permesso soggiorno sì 1303 44,1 1 in attesa 77 63,6 1,64 0,98-2,73 no 101 57,4 1,71 1,10-2,65

Assistita da: pubblico 622 54,0 1 privato 370 36,2 0,60 0,45-0,80 CF 502 43,8 0,68 0,53-0,88

Anni in Italia <5 663 54,5 1 5- 9 550 41,5 0,67 0,52-0,85 ≥10 266 36,1 0,49 0,35-0,67

Area geografica Europa Est 626 35,5 1 Asia 247 58,7 2,54 1,85-3,49 Africa 404 52,7 2,01 1,53-2,64 Centro-Sud America 207 50,7 2,24 1,60-3,13

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LE MAMME SI RACCONTANO

L’immigrazione

Il motivo principale dell’emigrazione si conferma essere la ricerca di migliori condizioni di vita e di maggiori opportunità, anche se non sempre il percorso migratorio sembra essersi svolto secondo le aspettative: molte le delusioni rispetto a ciò che si desiderava, alle condizioni che si sperava di trovare nel nostro Paese.

Come mai sei venuta in Italia? Per lavorare, perché si guadagna di più. (Int 54, Romania, 35 anni)

Da quanto tempo sei in Italia? Sono venuta 6 anni fa da sola con la mia prima figlia, aveva 2 anni, poi dopo è venuto mio marito e la famiglia. Come mai sei venuta in Italia? In Romania non ci stavano le condizioni, volevo provare una vita nuova. Ti piace stare in Italia? Sì, ma io giro. Abiti con la tua famiglia? In una casa? Abitiamo tutti insieme in un campo. Lavori? No, faccio da mangiare, pulisco, guardo i bambini. E tuo marito? Che lavoro fa? Mio marito fa il guardiano alle macchine. (Int 37, Romania, rom, 26 anni)

Cosa hai studiato in Romania? Sono diplomata, scuola di disegno tecnico poi ho fatto una specializzazione di due anni, poi la commessa per dieci anni. Pensi di cambiare lavoro? Sì, anche in ospedale o guardare i bambini; quando sono arrivata in Italia ho visto corsi di parrucchiere, estetista ma costavano molto… voglio cambiare perché ma fino a quando posso pulire? Non sono più tanto giovane: non è bello e è faticoso. (Int 12, Romania, 34 anni)

Ma tu lavori qui in Italia o hai lavorato? No. Neanche in Tunisia lavoravi? No perché in Tunisia solo a università e dopo quando matrimonio, io non ho compiuto l’università, tre anni solo. Lasciato un anno, che quasi finito. […] Ti dispiace un po’ che non hai finito l’università? Sì (sospirando). Sembri nostalgica. Mi manca. Sì perché… quando ha fatto matrimonio ho detto che forse in Italia c’è altra cose, altra opportunità. Non trovare niente (ride). Invece non hai trovato niente. Tu pensavi di avere qualcosa di più qui? Sì, sì, sì. […] Non ho fatto perché cultura a Tunisia è meglio, tutto meglio perché c’è, tante lingue. Noi: francese, l’inglese, l’italiano, l’arabo, il mare… tutto! Ci sono tante università in Tunisia? Tante opportunità. (Int 10, Tunisia, 37 anni)

Tu lavoravi nel tuo Paese? Sì. E questo ti manca? Sì. Vorresti fare la stessa cosa che facevi al tuo Paese o non lo sai, qual è la tua idea? Non so perché sono in un Paese che non è il mio. Posso fare un’altra cosa. Cosa ti piacerebbe e cosa pensi invece che riuscirai a fare? Non lo so. Adesso sono in una scuola per imparare l’italiano. Però dopo non so che lavoro trovare. Il tuo desiderio quale sarebbe? Qualcosa che possa fare, lo faccio. Qualsiasi cosa? No, qualsiasi cosa che io possa fare. (Int 2, Santo Domingo, 26 anni)

Tu che lavoro fai adesso? Cioè, in Albania faceva insegnante, mi sono diplomata per insegnante di matematica. Qua siccome no mi riconoscono la diploma perché in Albania è un Paese extracomunitario eccetera, eccetera, faccio lavoro di pulizie allora, all’università di Trento. Per adesso. E come ti vivi questa cosa? All’inizio… Male? Malissimo diciamo. Ma ho da due anni circa che lavoro, e adesso so che sono occupata. E quello che devo fare devo fare. Sai che almeno hai un lavoro sicuro. Sì. Ecco. (Int 7, Albania, 24 anni)

Primi contatti con il sistema assistenziale

Ai primi sospetti di essere incinta, la maggioranza delle donne, 66,5% delle straniere e 86,7% delle italiane, ricorre al test di gravidanza acquistato in farmacia per averne conferma (Tabella 8). Il 7,7% delle straniere effettua una visita ginecologica e il 6,9% (12,9% delle africane) ricorre invece al pronto soccorso. Usufruisce del CF il 5,4% delle straniere verso l’1,1% delle italiane.

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Tabella 8. Prime strutture di riferimento e l’assistenza durante la gravidanza (%)

Variabile Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Cosa ha fatto quando ha pensato di essere incinta Ho acquistato un test di gravidanza 75,0 62,6 53,6 70,3 66,5 86,7 Sono andata al consultorio 4,2 6,4 7,0 4,8 5,4 1,1 Sono andata al Pronto Soccorso 4,2 6,0 12,9 4,3 6,9 1,5 Sono andata all’ambulatorio per straniere 0,8 4,8 1,9 1,4 1,8 0,0 Ho fatto una visita di medicina generale 3,2 5,6 8,0 3,3 4,9 0,2 Ho fatto una visita ginecologica 7,9 4,4 9,4 7,7 7,7 4,6 Altro 4,7 10,4 7,3 8,1 6,8 5,9

Qual è stata la prima struttura a cui si è rivolta per essere seguita durante la gravidanza Ospedale 24,1 37,7 34,8 30,6 30,2 24,3 Consultorio familiare 28,8 28,6 34,4 31,6 30,7 7,2 Pronto soccorso 4,1 2,4 4,7 4,8 4,1 0,4 Altra struttura pubblica 11,4 17,9 8,2 8,6 11,2 6,1 Struttura di volontariato 0,9 1,2 0,7 1,9 1,0 0,0 Struttura privata 28,9 11,5 12,9 20,6 20,5 62,0 Struttura nel proprio Paese 1,8 0,8 4,4 1,9 2,4 0,0

Da chi è stata seguita principalmente durante la gravidanza Medico di famiglia 2,9 6,3 4,0 2,4 3,7 0,8 Ambulatorio di volontariato 0,6 1,2 0,9 1,9 1,0 0,2 Consultorio familiare 33,7 31,8 39,6 28,7 34,3 6,3 Ostetrica di struttura pubblica 4,7 25,0 7,5 5,3 8,9 2,7 Ostetrica di struttura privata 0,8 0,8 0,2 0,0 0,5 1,0 Ginecologo/a privato 19,0 10,3 8,2 14,4 14,0 38,8 Ginecologo/a privato in ospedale 12,1 4,0 8,4 11,0 9,6 38,0 Ginecologo/a di una struttura pubblica 24,3 20,6 27,4 36,4 26,2 12,2 Operatore del proprio Paese 2,0 0,0 3,7 0,0 1,9 0,2

Per il 30,7% delle donne straniere la prima struttura di riferimento è stato il CF, circa la stessa

percentuale di donne, 30,2%, si è rivolta ad una struttura ospedaliera. Il 20,5% delle straniere verso il 62,0% delle italiane si è rivolto invece ad una struttura privata. Questo primo contatto con le strutture assistenziali si diversifica tra italiane e straniere quando consideriamo la struttura/figura professionale che ha seguito tutta la gravidanza. In particolare, delle donne straniere che si sono rivolte in prima istanza alla struttura ospedaliera, il 66,2% si fa seguire successivamente da ostetrica o ginecologo di struttura pubblica e il 14,3% da privati mentre per le italiane tali percentuali sono rispettivamente 39,9% e 55,5%. Rispetto all’area geografica di provenienza, risulta particolarmente alta la percentuale di gravidanze seguite da ostetrica di struttura pubblica per le asiatiche, 25,0%.

Il 42,3% delle straniere verso il 28,9% delle italiane preferirebbe essere assistita da una donna a fronte di un 5,5% e 11,4% rispettivamente che dichiara invece una preferenza per il personale di sesso maschile (Tabella 9). Se consideriamo l’area di provenienza, la preferenza per una donna viene indicata dal 50,8% delle donne asiatiche e dal 56,8% delle donne provenienti dall’africa, quindi una preferenza che sembra rappresentare una caratterizzazione di tipo culturale o religioso.

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Tabella 9. Preferenza dichiarata nell’assistenza in gravidanza (%)

Preferenza Est Europa n. 661

Asia n. 252

Africa n. 428

Centro-Sud American. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Uomo 7,3 3,2 3,3 7,2 5,5 11,4 Donna 30,6 50,8 56,8 39,2 42,3 28,9 Indifferente 62,1 46,0 40,0 53,6 52,2 59,7

LE MAMME SI RACCONTANO

Scelta tra il servizio pubblico e il privato

I risultati dello studio qualitativo confermano le diverse scelte relative ai servizi sanitari in gravidanza e approfondiscono le motivazioni che possono esserci alla base di tali decisioni. Come già emerso dai risultati del questionario, anche nel campione di donne intervistate ci sono state coloro che hanno scelto di essere seguite dal servizio pubblico e quelle che hanno preferito il ginecologo privato. È interessante, indipendentemente dalle scelte effettuate, indagare le ragioni di tali preferenze: in generale, sembra che le scelte siano dettate dal desiderio di avere una persona unica di riferimento, che si “prenda cura di te” durante l’intero periodo.

Hai avuto mai bisogno di qualcosa che non hai chiesto? Volevo che il ginecologo fosse più presente, invece non lo era. Che vuol dire? Io leggevo sempre le riviste delle donne incinte. In italiano? Sì. Che dicevano che il ginecologo gli dava pure il numero di telefono. Lui non te l’ha dato? No. Tu non gliel’hai mai chiesto? No, forse per quello. Forse perché lui era maschio, io sono femmina. Perciò un po’ di insoddisfazione ti è rimasta. Sì. Tu avresti voluto il numero di telefono, che lui ti dicesse: “Mi chiami quando c’è qualcosa che non va”. Sì. Ecco, per esempio, quando ti sono venute le contrazioni tu non hai potuto chiamarlo. No. (Int 33, Ecuador, 20 anni)

Ma tutte le volte che venivi e trovavi le persone diverse… In consultorio, era sempre diversa. Sempre diverso. Dottoressa diversa, sempre. Questa cosa di non avere una persona ti è dispiaciuto? Sì, un po’ sì. Un po’ sì. Perciò se ti… Perché sempre aveva un po’ de problema, sai? Un pochettino. No sempre, però... Por esemplo: io devo repetire sempre tutto quando vengo, al medico. Per esemplo, alla fine no, però a metà de gravidanza devo reccontare tutto perché devo raccontare tutto un’altra volta. Anche dò la cartela, però devo repetire tutto. (Int 2, Santo Domingo, 26 anni)

Perché deve venire ogni volta che viene un medico diverso? Alla fine della gravidanza nessuno sa niente e tu non sai neanche niente. Io se devo fare un’altra gravidanza scelgo un altro ginecologo, privato, perché non me fido del sistema così. Tranne partorire. […] Perché non è uguale. Quando tu ti scegli un medico dall’inizio fino alla fine ti conosce già, come persona. Sa le tue cose, non che ogni volta che tu vieni devi spiegare tutto di nuovo a quel ginecologo. Vedono quello che c’è scritto punto e basta. Tu sei un oggetto, tu non sei un paziente, una persona, sei un oggetto. Perché c’è scritto così, e quest’oggetto ha queste caratteristiche e allora io devo fare questo. Troppo meccanico, non ha niente di umano. Troppo lontano dalla persona… È una cosa meccanica, non è una cosa umana. […] No, no, no. È un problema questo. È che comunque noi siamo essere umani, non siamo macchine. (Int 4, Cuba, 36 anni)

Cosa significa per voi scegliere un privato? Secondo me un po’ di… no?... un privato tu lo sai… come che tutti… tu poi tutta la tua… e poi c’è tutta… come un dottore che lo sa quale è tuo bisogno tutto… di te... Cioè più attenzione a te, dici, mentre un pubblico… Lui lo sa tutto di quale è il tuo bisogno… Perché è più vicino a te, perché secondo te un ginecologo qui è differente? No, solo che… è... Cioè ti senti più… come si dice… è come se prendessero cura di te “take care” meglio... Sì. (Int 31, Filippine) A 3 mesi dal concepimento il 12,8% delle straniere e il 5,4% delle italiane non ha ancora

effettuato una prima visita di controllo. Per le asiatiche tale percentuale sale al 17,8% (Tabella 10). Per quanto riguarda la frequenza delle visite di controllo nel primo trimestre di gravidanza,

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il 59,2% delle straniere e il 67,9% delle italiane ha effettuato almeno una visita al mese. Nel secondo e terzo trimestre le differenze per cittadinanza si attenuano.

Tabella 10. Visite di controllo in gravidanza per trimestre (%)

Visita Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Prima visita di controllo Oltre i tre mesi 11,7 17,8 10,9 14,6 12,8 5,4

Frequenza delle visite di controllo durante la gravidanza

Primo trimestre Mai 7,1 13,2 11,0 12,9 10,0 2,1 Meno di una volta al mese 31,6 23,1 31,5 36,4 30,8 30,0 Una volta al mese 51,6 53,4 46,5 40,7 49,0 60,1 Più di una volta al mese 9,7 10,4 11,0 10,1 10,2 7,8

Secondo trimestre Mai 2,1 1,6 2,3 0,5 1,9 0,8 Meno di una volta al mese 22,1 16,7 21,4 13,9 19,9 23,4 Una volta al mese 61,7 68,9 58,0 74,2 63,6 65,5 Più di una volta al mese 14,0 12,8 18,3 11,5 14,7 10,3

Terzo trimestre Mai 0,9 1,6 1,6 0,5 1,2 0,4 Meno di una volta al mese 19,9 12,7 17,6 8,1 16,5 21,8 Una volta al mese 60,6 69,4 55,9 67,0 61,6 61,7 Più di una volta al mese 18,6 16,3 24,9 24,4 20,8 16,1 Ritardare la prima visita in gravidanza oltre i 3 mesi dal concepimento può nascondere

situazioni di criticità per la donna che hanno riflessi in tutto il percorso nascita. Per le straniere, sono stati indagati con un modello logistico i fattori potenzialmente associati con l’effettuazione della prima visita oltre il terzo mese di gravidanza. Il rischio di ritardare la prima visita è risultato più alto per le donne con istruzione inferiore rispetto a chi ha almeno 16 anni di scolarità, OR= 1,88 (IC 95%: 1,05-3,38), per le pluripare, OR=1,62 (IC 95%: 1,20-2,18), per chi non ha il permesso di soggiorno, OR=3,00 (IC 95%: 1,46-6,20), per le cittadine asiatiche rispetto alle donne provenienti dall’est Europa, OR=1,66 (IC 95%: 1,14-2,44) (Tabella 11).

Tabella 11. Fattori associati con prima visita >3 mesi per le donne straniere intervistate

Fattore n. % prima visita >3 mesi OR IC 95%

Istruzione medio alta 260 7,3 1 Istruzione medio bassa 1222 13,4 1,88 1,05-3,38 Est Europa 642 11,6 1 Asia 242 17,8 1,66 1,14-2,44 Africa 414 10,9 0,97 0,65-1,45 Centro-Sud America 206 14,6 1,43 0,88-2,34 Primipare 714 10,4 1 Pluripare 797 14,9 1,62 1,20-2,18 Con permesso di soggiorno 1320 11,4 1 In attesa permesso di soggiorno 78 15,4 1,50 0,69-3,26 Senza permesso di soggiorno 101 28,7 3,00 1,46-6,20

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LE MAMME SI RACCONTANO

Le prime re-azioni

Una parte considerevole dell’intervista mirava ad approfondire il tema della gravidanza. Oltre ad affrontare la descrizione dell’iter intrapreso dalle donne al momento della scoperta dello stato di gravidanza, è stato a volte possibile indagare sui sentimenti e le emozioni che hanno accompagnato questo evento, inclusa la reazione alla notizia e le conseguenti riflessioni. Emerge in modo evidente che molto spesso la gravidanza viene vissuta come una scelta non facile, perché affrontata in un Paese diverso dal proprio, in un contesto di fragilità lavorativa ed economica. E così, molto spesso in queste donne convivono sentimenti diversi: dalla gioia per la maternità alle preoccupazioni per il presente, ai dubbi sul futuro.

E la gravidanza come è stata? Bella come il parto? Sì... solo che ho lavorato fino a settembre e alla fine ero un po’ stanca... Non è stato possibile stare in maternità prima? No... il contratto non è definito e ho dovuto lavorare... (Int 19, Perù, 34 anni)

E hai smesso (di lavorare) quando sei rimasta incinta? Avevo un contratto a termine, finito il contratto, basta (ride). Hai finito il contratto e non te l’hanno rinnovato. Ma prima di rimanere incinta o…? Al momento stesso. Nel momento in cui sei rimasta incinta ti è finito il contratto e non te l’hanno rinnovato. Cos’è che facevi? Barista. Vivi col tuo compagno… Sì. E lui lavora? Mhm. Quindi insomma riuscite bene o male a… A sopravvivere sì (ride). Ma niente altro. Adesso è un periodo difficile perché sai, lavorando solo uno. Avendo affitto e tutti i conti da pagare… E un bambino. Eh, questa è dura. (Int 4, Cuba, 36 anni)

Una volta scoperto di essere incinta, cosa ha fatto? Detto mio marito... Non voleva altro figlio... Troppi soldi... Subito arrabbiare lui... Poi no! (Int 20, Marocco, 27 anni)

Cosa hai pensato quando hai scoperto di essere incinta? Non lo so, mi sono spaventata, ero preoccupata per il lavoro ma è bello avere un figlio, i primi mesi non sono stata tanto bene e non l’ho detto subito alla signora, poi quando la pancia si vedeva gliel’ho detto. Avevi paura che ti mandasse via? Sì. (Int 41, Georgia, 31 anni)

Tu lavoravi durante la gravidanza? Eh... no, ho lasciato. Hai lasciato il lavoro? Non ce la facevo. Appena sei rimasta incinta? Quando ho scoperto che... quando ho scoperto perchè dopo non riuscivo io... dai vomiti dai... Sì sì sì e hai lasciato o sei... No, entrata in maternità anticipata… E che lavoro facevi? Pulizie. Pulizie. E poi ritornerai? Sì (ride) se no come facciamo? Con questa crisi ci mancherebbe... E per il lavoro adesso sei preoccupata? Per me no, perché io ce l’ho il lavoro, lui... è da dicembre che... Sta cercando... Cerca... (Int 23, Moldavia, 24 anni)

Essere madri in un Paese diverso dal proprio significa anche vivere un momento così importante in mancanza del supporto di familiari e amici.

Ti trovi bene? Sì sì, mi trovo bene... solo che mi mancano i miei genitori, mia mamma perché... anche lei soffre perché vuole... Eh sì... potrà venire a vedere la piccola, potrà stare...? Mah... verrà più tardi... adesso per il momento no... (triste) è questo che mi fa un po’… Eh sì... Star male... perché vorrei tantissimo che... Eh certo... riesci a sentirla abbastanza spesso? Sì sì, mi ha chiamato anche stamattina, ieri sera... Anche per lei sarà difficile pensare che sei qua... Eh sì, anche lei... cioè lo so che ha sofferto anche lei... Eh sì... Per questo motivo che non... secondo me una mamma... cioè sapere che tua figlia sta al proprio... da un altro... in un altro Paese che sta per partorire... allora... lei... Eh... Soffre, sta male perché sa che non… non può starmi vicino, darmi una mano diciamo anche moralmente. (Int 22, Ucraina, 23 anni)

Quindi in Romania la famiglia è di supporto alla donna che ha partorito. Molto. La mamma aiuta sempre. E anche le sorelle. In Italia noi stranieri siamo soli e non abbiamo tanti aiuti. (Int 18, Romania, 23 anni)

E ci sono anche i tuoi qui? Qua vivono i miei suoceri. I miei no, che mi mancano loro tanto. Questa è un’altra cosa che sono preoccupata. Perché sono disperata perché non… mi sento da sola. Vorresti che fossero qui. Ecco. Voleva tanto che fossero qua, vicino a me, così. Mi sentiva più… Soprattutto in questo momento. Soprattutto in questo momento. (Int 7, Albania, 24 anni)

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Problemi di salute della donna, ricorso all’assistenza ospedaliera, prevenzione in gravidanza e tecniche di diagnosi prenatale

La prevalenza di patologie presenti durante la gravidanza è simile tra straniere e italiane per quanto riguarda obesità (4,9% vs 3,8%), diabete (7,0% vs 6,1%), ipertensione (6,8% vs 5,5%), problemi alla tiroide (3,0 vs 2,7) e malattie infettive (2,0% vs 1,9%) (Tabella 12).

La prevalenza di anemia e di infezioni delle vie urinarie risulta più alta tra le straniere rispetto alle italiane, (18,6% vs 14,3%) e (12,9% vs 7,3%) rispettivamente.

Se guardiamo all’area geografica di provenienza si rileva come tendenzialmente le donne africane abbiano in generale maggiori problemi di salute. Le più alte prevalenze di anemia e di infezioni delle vie urinarie si rilevano comunque per le donne provenienti dal Centro-Sud America, 24,4% e 20,6% rispettivamente.

Tabella 12. Problemi di salute in gravidanza (%)

Problema Est Europa n. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italiane n. 526

Obesità 2,7 3,2 8,9 5,3 4,9 3,8 Diabete 5,3 7,6 10,5 4,3 7,0 6,1 Ipertensione 4,2 8,4 9,4 7,7 6,8 5,5 Problemi alla tiroide 2,7 0,8 3,8 5,3 3,0 2,7 Anemia 17,7 12,3 20,9 24,4 18,6 14,3 Malattie infettive 2,4 1,2 2,3 1,0 2,0 1,9 Infezioni vie urinarie 11,1 8,0 14,8 20,6 12,9 7,3

Durante la gravidanza hanno fatto ricorso al pronto soccorso il 48,7% delle donne straniere e il

40,4% delle donne italiane (Tabella 13). La motivazione prevalente del ricorso al pronto soccorso è stata “perché stavo male” per il 39,4% delle straniere e il 31,6% delle italiane. Nel 5,5% dei casi, percentuale simile per straniere e italiane, la motivazione è stata per “eseguire controlli in gravidanza” (% calcolate sul totale delle donne). Sono ricorse con maggiore frequenza al pronto soccorso le donne africane e centro-sudamericane, 55,4% e 59,3% rispettivamente. Hanno avuto un ricovero in ospedale durante la gravidanza il 17,4% delle straniere e il 13,5% delle italiane. Come per il ricorso al pronto soccorso si rileva una maggiore frequenza di ricoveri ospedalieri per le africane e le centro-sudamericane, 21,5% e 19,1% rispettivamente.

Tabella 13. Ricorso al pronto soccorso e ricoveri in ospedale durante la gravidanza (%)

Motivo richiesta assistenza Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Ricorso al pronto soccorso Sì, per eseguire controlli 5,1 6,7 7,0 2,4 5,5 5,3 Sì, perché stavo male 35,1 31,7 44,4 52,2 39,4 31,6 Sì controlli e perché stavo male 3,5 3,2 4,0 4,8 3,7 3,4 No 56,3 58,3 44,6 40,7 51,3 59,6

Ricoveri in ospedale Sì, per eseguire controlli 2,4 3,2 3,3 2,4 2,8 3,2 Sì, perché stavo male 9,8 4,8 12,4 12,4 10,1 7,6 Sì controlli e perché stavo male 3,3 5,6 5,9 4,3 4,5 2,7 No 84,4 86,5 78,5 80,9 82,6 86,5

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Durante la gravidanza hanno effettuato il rubeo-test il 37,8% delle cittadine straniere e il 72,0% delle italiane (Tabella 14). Questo dato però va letto considerando che tra le straniere è alta la percentuale di donne che non sanno se il test sia stato fatto, 52,5% verso il 11,2% delle italiane. Le percentuali sono particolarmente alte per le asiatiche e le africane; il 73,0% e il 62,2% rispettivamente non sono a conoscenza dell’effettuazione del test. Dichiarano di avere una storia di vaccinazione contro la rosolia il 36,4% delle straniere, con una prevalenza maggiore tra le cittadine sudamericane (48,3%), verso il 56,6% delle italiane. Tra le donne che ricordano di aver effettuato il test sono risultate negative il 64,1% delle donne straniere con valori più elevati, pari a circa il 71%, per le africane e le centro-sudamericane, e il 50,3% delle italiane. Se consideriamo soltanto le donne con storia di vaccinazione risultano negative al test il 69,1% delle straniere e il 42,8% delle italiane. Sebbene il dato delle straniere appaia di difficile lettura in quanto probabilmente minato da una distorsione determinata dall’alta percentuale di donne che non sanno dell’effettuazione del test, le percentuali di negatività risultano comunque eccessivamente alte e probabilmente sono la conseguenza dell’utilizzo di una soglia critica discriminante del test troppo elevata. Il test negativo quindi potrebbe non implicare necessariamente assenza di immunità (suscettibilità alla rosolia). Questo risultato indica l’opportunità di effettuare approfondimenti sull’argomento che esulano però dagli obiettivi di questo rapporto.

Il toxo-test è stato effettuato dal 58,0% delle straniere e dal 97,7% delle italiane (Tabella 14). Non ricordano di averlo effettuato il 36,3% delle straniere e lo 0,6% delle italiane. Tra le donne che ricordano di avere effettuato il toxo-test, il 74,0% delle straniere (in particolare le centro-sudamericane: 85,4%) e il 79,2% delle italiane sono risultate negative. Queste alte percentuali di test negativi confermano la ragionevolezza delle politiche sanitarie che escludono la necessità di effettuare lo screening della toxoplasmosi e l’importanza invece di effettuare attività di counselling per evitare di incorrere nell’infezione, come raccomandato nella recente linea guida sulla gravidanza fisiologica (17).

Sempre nella linea guida sulla gravidanza fisiologica viene raccomandato lo screening sierologico per l’epatite B per tutte le donne in gravidanza al fine di consentire, per le donne risultate positive, la programmazione di interventi risultati efficaci nel ridurre il rischio di trasmissione dell’infezione da madre a figlio. Ricordano di aver effettuato il test per la ricerca di antigene di superficie HBsAg il 51,9% delle straniere e l’82,5% delle italiane; non sanno il 40,0% e il 12,6% delle straniere e delle italiane rispettivamente (Tabella 14). Le asiatiche e le africane sono quelle meno informate. Hanno avuto una storia di vaccinazione contro l’epatite B il 24,1% delle straniere e il 33,0% delle italiane. È simile la prevalenza di donne HBsAg+ tra coloro che ricordano di aver effettuato il test, 5,2% e 3,2% per straniere e italiane; tra coloro che sono anche state vaccinate il 3,4% e il 5,5% di straniere e italiane rispettivamente sono risultate positive.

Come per i test, anche per gli screening su herpex simplex, sifilide e citomegalovirus sono alte le percentuali di donne che non sanno se sono stati eseguiti, circa il 56% delle straniere e circa il 20-30% delle italiane (Tabella 15). Le donne sembrano essere più informate sullo screening per l’HIV: non sanno se è stato eseguito il 39,6% delle straniere e il 7,1% delle italiane, sanno invece di averlo eseguito il 49,5% delle straniere e l’81,7% delle italiane. La non informazione sugli screening è sempre maggiore per le donne asiatiche e africane. Per l’interpretazione di questi risultati, si ricorda che la recente linea guida sulla gravidanza fisiologica (17) raccomanda gli screening dell’HIV e della sifilide per tutte le donne in gravidanza. Non è invece raccomandato lo screening dell’herpex simplex e, rispetto al citomegalovirus, lo screening non deve essere offerto in quanto non ci sono prove di efficacia a supporto dell’intervento.

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Tabella 14. Test e vaccinazioni prima e durante la gravidanza (%)

Test Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italiane n. 526

Rubeo-Test Rubeo-test durante la gravidanza

non so 41,3 73,0 62,2 43,5 52,5 11,2 no 13,6 5,2 7,3 7,7 9,7 16,8 sì 45,1 21,8 30,5 48,8 37,8 72,0

Dichiarano di essere state vaccinate contro la rosolia 38,3 27,4 32,9 48,3 36,4 56,6 Risultati negativi fra donne: che hanno eseguito il test 58,7 63,6 70,8 71,6 64,1 50,3 che hanno eseguito il test

e sono state vaccinate 61,1 69,6 77,6 79,6 69,1 42,8

Toxo-test Toxo-test durante la gravidanza

non so 26,6 52,0 47,2 25,4 36,3 0,6 no 7,0 2,0 6,1 5,7 5,7 1,7 sì 66,4 46,0 46,7 68,9 58,0 97,7

Risultati negativi fra le donne che hanno eseguito il test 71,5 73,3 71,5 85,4 74,0 79,2

HBV (epatite B) Test HBV durante la gravidanza

non so 31,3 52,0 50,0 32,5 40,0 12,6 no 9,5 4,4 8,9 6,7 8,1 5,0 sì 59,2 43,7 41,1 60,8 51,9 82,5

Dichiarano di essere state vaccinate contro l’epatite B 26,8 24,4 18,8 26,0 24,1 33,0 Risultati HBsAg+ fra le donne: che hanno eseguito il test HBV 6,4 10,9 1,7 1,6 5,2 3,2 donne che hanno eseguito il test

e sono state vaccinate 3,7 8,1 0,0 2,4 3,4 5,5

Tabella 15. Screening (%) durante la gravidanza

Screening Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italiane n. 526

Herpes simplex no 27,1 17,9 14,4 20,0 21,3 37,0 sì 27,3 17,0 16,5 22,0 22,1 33,1 non so 45,6 65,0 69,1 58,0 56,6 29,9

Sifilide no 23,6 12,1 11,8 20,0 18,2 33,7 sì 33,9 22,9 18,8 28,0 27,3 40,6 non so 42,5 65,0 69,4 52,0 54,5 25,8

HIV no 12,3 7,2 13,1 6,5 10,9 11,2 sì 57,5 36,6 36,5 63,5 49,5 81,7 non so 30,2 56,2 50,4 30,0 39,6 7,1

Citomegalovirus no 18,1 9,0 12,3 10,5 14,1 14,0 sì 36,3 23,4 19,0 34,5 29,4 64,8

Non so 45,6 67,6 68,7 55,0 56,8 21,1

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La tecnica di diagnosi prenatale più utilizzata è il bi-test più translucenza nucale (12,6% straniere e 38,1% italiane) (Tabella 16). Se consideriamo solo le donne con età maggiore di 34 anni, la tecnica citata più di frequente è l’amniocentesi (straniere 24,7% e italiane 40,5%). Nel complesso le donne straniere, e in particolare le asiatiche e le africane, ricorrono a tecniche di diagnosi prenatale in misura nettamente inferiore rispetto alle italiane sia per quanto riguarda le tecniche invasive che quelle meno invasive.

Tabella 16. Tecniche di diagnosi prenatale (%)

Tecnica Est Europa

Asia

Africa

Centro-Sud America

Totale straniere

Totale italiane

Tutte le donne n. 661 n. 252 n. 428 n. 209 n. 1550 n. 526

no 84,0 94,8 90,1 83,7 87,4 61,9 Bi-test+translucenza nucale sì 16,0 5,2 9,9 16,4 12,6 38,1

Tri-test no 83,8 93,6 89,9 88,4 87,7 83,6 sì 16,2 6,4 10,1 11,6 12,3 16,4

Amniocentesi no 90,1 94,4 93,9 89,4 91,8 77,2 sì 9,9 5,6 6,1 10,6 8,3 22,8

no 97,7 98,8 97,4 98,6 97,9 92,9 Prelievo villi coriali (villocentesi) sì 2,3 1,2 2,6 1,4 2,1 7,1

Donne di età >34 anni n. 85 n. 35 n. 72 n. 49 n. 241 n. 190

no 88,0 97,1 94,4 89,8 91,6 73,2 Bi-test+translucenza nucale sì 12,1 2,9 5,6 10,2 8,4 26,8

Tri-test no 88,1 97,1 91,6 93,9 91,6 89,0 sì 11,9 2,9 8,5 6,1 8,4 11,1

Amniocentesi no 66,7 82,9 87,3 67,4 75,3 59,5 sì 33,3 17,1 12,7 32,7 24,7 40,5

no 95,2 94,3 98,6 95,9 96,2 83,6 Prelievo villi coriali (villocentesi) sì 4,8 5,7 1,4 4,1 3,8 16,4

Per quanto riguarda le fonti informative sulle tecniche di diagnosi pre-natale, il medico è

citato dal 35,8% delle straniere verso l’84,2% delle italiane (Tabella 17). Tutte le fonti sono riferite dalle donne straniere con frequenze più basse rispetto alle italiane ad eccezione del CF citato dal 10,1% delle straniere verso il 3,9% delle italiane.

Tabella 17. Fonti informative sulle tecniche di diagnosi prenatale (%)

Fonti Est Europa n. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Libri/riviste 13,2 5,6 7,7 12,5 10,3 33,3 Amiche/familiari 12,7 9,2 11,3 14,4 12,0 26,6 Medico 41,8 23,1 26,8 50,2 35,8 84,2 Ostetrica/infermiera 6,7 4,0 8,5 4,8 6,5 6,7 Consultorio familiare 11,5 5,2 13,6 4,8 10,1 3,9 Struttura di volontariato 0,5 0,4 0,2 0,0 0,3 0,4 Altro 2,4 1,6 1,7 2,9 2,1 5,8

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Storia riproduttiva

Hanno avuto una storia di precedente aborto spontaneo il 20,1% delle donne straniere e il 19,1% delle donne italiane (Tabella 18), mentre hanno avuto una precedente IVG il 16,1% delle donne straniere e il 5,8% delle italiane. Per quanto riguarda le precedenti IVG, le donne africane hanno valori leggermente più elevati delle italiane mentre tutte le altre hanno valori nettamente più elevati.

Tabella 18. Precedenti interruzioni di gravidanza (%)

Interruzioni di gravidanza Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Solo spontanee 15,0 16,4 18,9 23,1 17,4 18,7 Solo IVG 15,0 17,6 6,4 17,8 13,4 5,4 Spontanee e IVG 2,1 3,2 2,8 3,8 2,7 0,4 No 67,9 62,8 71,9 55,3 66,5 75,6

Le donne con precedente TC sono il 20,3% delle straniere e il 27,9% delle italiane (Tabella

19). Le donne provenienti dall’Est Europa e dall’Asia hanno fatto minore ricorso al TC nella gravidanza precedente, 15,6% e 18,5% delle donne rispettivamente. Risulta particolarmente elevato il ricorso a TC elettivo per le donne centro-sudamericane, 20,5%.

Tabella 19. Tipo di parto precedente (%)

Tipo parto Est Europan. 292

Asia

n. 130

Africa

n. 230

Centro-Sud America n. 113

Totale straniere

n. 765

Totale italianen. 229

Spontaneo 81,3 79,5 73,0 69,2 76,7 70,0 Operativo 3,0 2,1 4,4 0,9 2,9 2,1 Cesareo urgente 11,3 10,3 11,9 9,4 11,0 14,6 Cesareo elettivo 4,3 8,2 10,7 20,5 9,3 13,3

Hanno allattato al seno l’ultimo figlio per più di 3 mesi il 73,2% delle straniere e il 67,6%

delle italiane (Tabella 20). Per le donne africane la percentuale di allattamento al seno oltre i 3 mesi sale all’85,7% mentre per le cinesi si rileva il valore più basso, 55,1%.

Tabella 20. Allattamento al seno ultimo figlio (in %)

Allattamento Est Europan. 292

Asia

n. 130

Africa

n. 230

Centro-Sud America n. 113

Totale straniere

n. 765

Totale italianen. 229

Sì >3 mesi 69,5 54,9 83,8 78,6 72,7 68,1 Sì <3 mesi 23,8 27,1 12,7 15,4 19,7 22,0 No 6,7 18,1 3,6 6,0 7,6 9,9

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Acido folico

L’assunzione di acido folico in gravidanza è un tema di grande interesse per la sanità pubblica date le evidenze scientifiche emerse in anni relativamente recenti sulla utilità di questa vitamina per ridurre il rischio di alcune importanti malformazioni congenite (13). È un fenomeno in costante evoluzione, solo pochi anni fa, la prevalenza di assunzione di acido folico in periodo periconcezionale era stimata in circa il 4%. I risultati di questa indagine sulle straniere, relativamente all’acido folico, vanno quindi interpretati alla luce di quanto detto.

La maggioranza delle donne ha assunto acido folico a gravidanza iniziata, 58,5% delle straniere e 66,9% delle italiane (Tabella 21). L’acido folico è stato assunto nel periodo periconcezionale dal 6,4% delle straniere e dal 22,1% delle italiane. Tra le straniere l’assunzione di acido folico in periodo periconcezionale varia dal 5,3% delle sud-americane all’8,0% delle asiatiche.

Tabella 21. Assunzione di acido folico (%)

Assunzione Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Sì, in periodo periconcezionale 6,6 8,0 5,6 5,3 6,4 22,1 Sì, a gravidanza iniziata 66,2 50,2 47,4 67,0 58,5 66,9 No 27,2 41,8 47,0 27,8 35,1 11,1

Alcuni fattori potenzialmente associati con l’assunzione di acido folico (istruzione,

occupazione, parità e gravidanza attesa o programmata), sono stati indagati attraverso un’analisi multivariata con modello logistico separatamente per straniere e italiane.

Tra le donne straniere fattori associati sono risultati l’istruzione superiore, OR=1,80 (IC 95%: 1,13-2,86) e la gravidanza attesa, OR=1,81 (IC 95%: 1,08-3,03). Non si evidenzia alcuna associazione invece con l’occupazione e con la parità. Il modello per le italiane fornisce sostanzialmente gli stessi risultati con l’eccezione dell’occupazione che risulta un fattore fortemente associato, OR=3,14 (IC 95%: 1,50-6,57) (Tabella 22). Una possibile lettura di questo risultato è che lo stato di occupata rispetto all’essere casalinga per le italiane può connotarsi come elemento di socializzazione, di integrazione e di veicolazione delle informazioni (di empowerment) mentre per le straniere può non avere questa connotazione. Anche la mancata associazione, soprattutto per quanto riguarda le donne italiane, tra assunzione di acido folico e parità è un risultato che merita qualche considerazione. La scelta di assumere acido folico prima del concepimento costituisce infatti un indicatore di empowerment della donna. Per le donne italiane possiamo ragionevolmente ipotizzare che le pluripare siano state già esposte in passato all’assunzione di acido folico, e che forti della precedente esperienza, avrebbero dovuto farne un maggiore uso rispetto alle primipare. Questa ipotesi però non è supportata dai dati qui presentati. Rimane quindi aperta la questione del perché non emerga l’attivazione del processo di empowerment che sottende l’assunzione di acido folico tra le pluripare rispetto alle primipare. D’altra parte si può ipotizzare che le primipare, più giovani, abbiano una propensione maggiore alla ricerca autonoma di informazioni, anche tramite internet dove sono tanti i siti dedicati alla gravidanza e gli effetti che ne derivano in termini di empowerment potrebbero equivalere a quelli derivanti dalla esperienza di una precedente gravidanza annullando di fatto l’effetto della parità.

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Tabella 22. Fattori associati con assunzione di acido folico in periodo periconcezionale

Fattori Straniere Italiane

n. % peric OR IC 95% n. % peric OR IC 95%

Istruzione <16 anni 1255 6,0 1 361 18,3 1 Istruzione ≥16 anni 262 10,7 1,80 1,13-2,86 148 31,8 1,89 1,21-2,96

Non occupate 697 6,0 1 102 8,8 1 Occupate 838 7,2 1,18 0,78-1,79 409 25,4 3,14 1,50-6,57

Primipare 727 7,2 1 286 24,1 1 Pluripare 822 6,1 0,97 0,64-1,47 238 19,3 0,95 0,61-1,49

Gravidanza non programmata

459 4,1 1 112 13,4 1

Gravidanza programmata

1086 7,7 1,81 1,08-3,03 410 24,6 1,64 0,89-3,01

Ecografie in gravidanza

Da questa indagine è risultato che il numero medio di ecografie effettuate dalle donne straniere è pari a 4,6 (DS=2,3), circa 2 ecografie in meno rispetto alle italiane che ne effettuano in media 6,5 (DS=2,6) (Tabella 23). La percentuale di gravidanze con un numero di ecografie maggiore di 4 è invece pari al 39,8% per le straniere e 74,4% per le italiane. Le donne di cittadinanza asiatica effettuano meno ecografie rispetto alle altre pur rimanendo al di sopra dei valori raccomandati. La stessa analisi è stata effettuata dopo aver escluso le donne che hanno dichiarato la presenza di importanti patologie durante la gravidanza e i risultati sono rimasti sostanzialmente uguali.

Tabella 23. Ecografie in gravidanza

Indicatori Est Europa

Asia

Africa

Centro-Sud America

Totale straniere

Totale italiane

Tutte le gravidanze n. gravidanze 637 247 408 207 1499 512 n. medio ecografie 4,9 3,9 4,6 4,9 4,6 6,5 DS ecografie 2,3 1,9 2,4 2,3 2,3 2,6 % ecografie >4 46,5 24,3 37,3 43,0 39,8 74,4

Gravidanze senza patologie n. gravidanze 365 162 188 85 800 294 n. medio ecografie 4,7 3,9 4,3 4,9 4,5 6,2 DS ecografie 2,2 1,8 2,3 2,3 2,2 2,3 % ecografie >4 43,6 24,1 33,5 42,4 37,1 73,1

Tra le donne straniere, il rischio di effettuare più di 4 ecografie è risultato associato in modo

statisticamente significativo con: la parità, più basso per le pluripare: OR=0,69 (IC 95%: 0,54-0,87); con il tipo di assistenza, più elevato per assistenza privata: OR=3,07 (IC 95%: 2,30-4,09) e più basso per CF rispetto all’assistenza pubblica: OR=0,49 (IC 95%: 0,38-0,65); e con la cittadinanza, rischio più basso per le asiatiche rispetto alle donne dell’Est Europa: OR=0,45 (IC 95%: 0,31-0,64) (Tabella 24). La tendenza delle associazioni risulta simile nel modello applicato alle donne di cittadinanza italiana.

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Tabella 24. Fattori associati con numero di ecografie in gravidanza >4

Fattori Straniere Italiane

n. % ecog ≥ 5

OR IC 95% n. % ecog ≥ 5

OR IC 95%

Primipare 706 45,5 1 276 80,0 1 Pluripare 803 35,2 0,69 0,54-0,87 235 69,4 0,55 0,35-0,85

Assistenza pubblica 615 37,1 1 79 62,0 1 Assistenza privata 374 67,7 3,07 2,30-4,09 402 79,1 2,37 1,39-4,04 Consultorio familiare 521 23,8 0,49 0,38-0,65 31 45,2 0,55 0,23-1,31

<30 anni 810 37,8 1 112 72,3 1 30-34 anni 461 42,7 1,24 0,95-1,62 212 77,8 1,47 0,83-2,61 >34 237 42,6 1,35 0,96-1,90 186 71,5 1,16 0,65-2,08

Patologie no 807 37,2 1 275 75,6 1 Patologie sì 645 43,4 1,24 0,98-1,56 195 76,9 1,15 0,75-1,76 Est Europa 637 46,5 1 Asia 247 24,3 0,45 0,31-0,64 Africa 408 37,3 0,82 0,62-1,09 Centro-Sud America 207 43,0 0,90 0,63-1,27

La struttura di riferimento più utilizzata per l’effettuazione delle ecografie è la struttura

ospedaliera per le straniere, 73,0%, e la struttura privata per le italiane, 72,0%. Il CF viene citato con frequenza maggiore dalle donne asiatiche, 27,4% (Tabella 25).

La maggioranza delle ecografie in struttura privata sono state effettuate a pagamento, 92,4% per le straniere e 95,7% per le italiane. Delle ecografie effettuate in ospedale, quelle a pagamento sono state il 13,4% e il 14,8% rispettivamente per straniere e italiane, mentre per quelle effettuate in CF le ecografie a pagamento sono state 7,4% e 11,1% rispettivamente.

Tabella 25. Strutture di riferimento per le ecografie e conoscenza diritto gratuità (%)

Variabili Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Luogo

Ospedale 68,2 73,9 77,1 78,6 73,0 58,6 Consultorio familiare 13,4 27,4 18,5 13,1 17,1 3,6 Struttura privata 42,7 22,5 23,0 33,5 32,7 72,0

Ecografie a pagamento

Ospedale 18,5 15,8 7,7 8,0 13,4 14,8 Consultorio familiare 5,9 7,4 5,1 18,5 7,4 11,1 Struttura privata 94,6 94,6 90,6 84,3 92,4 95,7

Conoscenza diritto gratuità Sì 74,1 64,7 69,2 68,4 70,4 86,7 No 25,9 35,3 30,8 31,6 29,6 13,3

La conoscenza del diritto ad avere alcune visite, analisi ed ecografie gratuitamente è stata

indicata dal 70,4% delle donne straniere e dall’86,7% delle italiane. Tra le straniere, le asiatiche sono quelle meno informate di questo diritto, 64,7%.

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Partecipazione ai corsi di accompagnamento alla nascita

I Corsi di Accompagnamento alla Nascita (CAN) costituiscono uno strumento importante di empowerment della donna cui si fa esplicito riferimento nel POMI. L’attivazione dei CAN è stato identificato come un obiettivo operativo specifico che è in linea con un modello assistenziale meno direttivo e medicalizzato e che promuove al contrario le conoscenze e la consapevolezza della donna per aiutarla a fare scelte responsabili.

La partecipazione ai CAN è comunque ancora molto bassa in particolare per le donne straniere, 14,8% verso il 43,2% delle italiane, se consideriamo solo l’attuale gravidanza (Tabella 26). Considerando anche le gravidanze precedenti le percentuali salgono a 19,6% e 64,0% rispettivamente per straniere e italiane. Tra le straniere, la partecipazione è minore per le donne asiatiche e africane ed è più alta per le centro-sudamericane.

Tabella 26. Partecipazione ai Corsi di Accompagnamento alla Nascita (CAN) (%)

Partecipazione Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italiane n. 526

Nell’attuale gravidanza 15,9 10,0 11,0 24,9 14,8 43,2 Nell’attuale o precedente gravidanza 21,3 12,0 14,3 34,0 19,6 64,0

Con un modello logistico sono stati analizzati per le primipare i fattori potenzialmente

associati con la partecipazione ai CAN (Tabella 27).

Tabella 27. Fattori associati con la partecipazione ai CAN nell’attuale gravidanza – primipare

Fattori Straniere Italiane

n. % CAN OR IC 95% n. % CAN OR IC 95%

Istruzione <16 anni 586 20,1 1 197 62,4 1 Istruzione >16 anni 134 39,6 1,99 1,29-3,05 86 81,4 2,13 1,12-4,06

Non occupate 291 16,5 1 36 36,1 1 Occupate 429 29,1 1,56 1,03-2,37 246 72,8 3,38 1,53-7,44

<30 anni 490 18,6 1 92 52,2 1 30-34 anni 183 34,4 1,88 1,25-2,80 116 70,7 1,47 0,79-2,72 >34 anni 55 34,6 1,86 0,97-3,57 77 83,1 2,88 1,34-6,19

Assistenza pubblica 297 18,9 1 42 61,9 1 Assistenza privata 215 28,8 1,35 0,85-2,13 226 69,9 1,44 0,69-3,00 CF 219 25,6 1,52 0,97-2,37 18 61,1 1,34 0,40-4,54

Est Europa 359 23,7 1 Asia 104 15,4 0,64 0,34-1,20 Africa 174 19,5 0,87 0,53-1,42 Centro-Sud America 92 40,2 2,10 1,26-3,50

Sia per le straniere che per le italiane, la probabilità di partecipazione ad un CAN è

significativamente maggiore per le donne più istruite, occupate, di età più avanzata. La probabilità di partecipazione è maggiore anche per le donne seguite da privati e dal CF rispetto a chi è stata seguita dall’assistenza pubblica e, relativamente alle straniere, per le donne centro-sudamericane rispetto alle donne dell’Europa dell’Est.

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I motivi principali della mancata partecipazione ad un CAN nell’attuale o in una precedente gravidanza sono per le straniere la non conoscenza dell’esistenza dei corsi, 29,3%, mentre per le italiane sono i problemi di tempo, 39,2% (Tabella 28). Per le asiatiche e le africane la non conoscenza sale a 40,7% e 37,3% rispettivamente e sono inoltre stati citati con frequenze più elevate i problemi di lingua, asiatiche 16,3% e africane 15,0%.

Tabella 28. Motivi della non partecipazione ai CAN (%)

Motivi Est Europan. 520

Asia

n. 221

Africa

n. 367

Centro-Sud America n. 138

Totale straniere n. 1246

Totale italianen. 189

Non sapeva che esistessero 22,5 40,7 37,3 15,2 29,3 2,6 Non utili 31,2 4,1 15,8 25,4 21,2 23,8 Non ha trovato struttura disponibile 3,1 2,7 0,5 3,6 2,3 5,8 Problemi di tempo 20,0 25,8 14,2 34,8 21,0 39,2 Problemi di lingua 3,8 16,3 15,0 0,7 9,0 0,0 Perché a pagamento 1,2 0,0 0,3 0,7 0,6 1,1 Altro motivo 18,3 10,4 16,9 19,6 16,6 27,5

Fumo di sigaretta prima e durante la gravidanza

Delle partorienti intervistate il 16,8% delle straniere e il 25,1% delle italiane hanno dichiarato di essere fumatrici prima della gravidanza (Tabella 29). Si rileva una maggiore frequenza di fumatrici tra le donne dell’Europa dell’Est (30,2%) mentre tra le asiatiche e le africane la frequenza di fumatrici è notevolmente più bassa, 3,6% e 4,7% rispettivamente. Dichiarano di aver fumato durante la gravidanza il 6,3% delle straniere e il 9,5% delle italiane.

Tabella 29. Fumo in gravidanza (%) – tutte le donne

Fumo Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Fumo prima della gravidanza No 69,9 96,4 95,3 84,7 83,2 74,9 Sì 30,2 3,6 4,7 15,3 16,8 25,1

Fumo durante la gravidanza No 70,0 96,4 95,3 84,7 83,3 74,9 Ha smesso 17,0 2,8 3,0 14,4 10,5 15,6 Sì 13,1 0,8 1,6 1,0 6,3 9,5 Se consideriamo solo le donne fumatrici prima della gravidanza, continuano a fumare anche

durante la gravidanza il 37,5% delle straniere e il 37,9% delle italiane (Tabella 30). Tra le donne straniere il range di variabilità della frequenza di fumatrici è molto ampio e va dal 6,3% per le centro-sudamericane al 43,4% per le donne dell’Europa dell’Est.

Tra le straniere, il rischio di abitudine al fumo prima della gravidanza è risultato minore per le donne più istruite, OR=0,75 (IC 95%: 0,51-1,09) e per le pluripare, in particolare per le donne che hanno allattato al seno per più di 3 mesi durante la gravidanza precedente, OR=0,53 (IC 95%: 0,39-0,73) (Tabella 31). Il rischio di fumo è più elevato per le donne occupate, OR=2,55 (IC 95%: 1,88-3,45). Tra le italiane si evidenzia un ruolo diverso dello stato occupazionale, il rischio è infatti minore per le donne occupate, OR=0,49 (IC 95%: 0,29-0,82).

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Tabella 30. Fumo durante la gravidanza (%) – solo donne fumatrici prima della gravidanza

Fumo durante la gravidanza

Est Europa n. 199

Asia

n. 9

Africa

n. 20

Centro-Sud America

n. 32

Totale straniere

n. 260

Totale italiane n. 132

Sì 56,6 77,8 65,0 93,8 62,6 62,1 No 43,4 22,2 35,0 6,3 37,5 37,9

Tabella 31. Fattori associati con il fumo prima della gravidanza

Fattori Straniere Italiane n. % CAN OR IC 95% n. % CAN OR IC 95%

Istruzione <16 anni 1264 17,3 1 362 30,1 1 Istruzione >16 anni 262 14,9 0,75 0,51-1,09 148 14,9 0,37 0,22-0,63 Non occupate 701 10,3 1 103 34,0 1 Occupate 843 22,4 2,55 1,88-3,45 409 23,5 0,49 0,29-0,82 Primipare 733 21,3 1 286 32,2 1 Pluripare all<3m* 226 15,0 0,66 0,43-0,99 74 20,3 0,49 0,26-0,94 Pluripare all>3m* 596 12,3 0,53 0,39-0,73 157 15,3 0,33 0,19-0,56

* Pluripare che hanno allattato il figlio precedente al seno per meno (all<3m) o più (all>3m) di tre mesi.

Se consideriamo solo per le straniere fumatrici il rischio di continuare a fumare in gravidanza, questo risulta più basso per le donne di istruzione superiore, per le occupate e per le donne che hanno partecipato ad un CAN, mentre è più elevato per le pluripare. Per quanto riguarda le italiane, si hanno le stesse tendenze con l’eccezione del livello di istruzione, il rischio di continuare a fumare in gravidanza è infatti maggiore per le più istruite (Tabella 32).

Tabella 32. Fattori associati con il fumo durante la gravidanza tra le donne fumatrici prima della gravidanza

Fattori Straniere Italiane

n. % fumo OR IC 95% n. % fumo OR IC 95%

Istruzione <16 anni 218 40,8 1 109 37,6 1 Istruzione >16 anni 39 18,0 0,38 0,16-0,95 22 40,9 1,89 0,67-5,32

Non occupate 71 40,9 1 35 48,6 1 Occupate 189 35,5 0,83 0,45-1,91 96 34,4 0,61 0,27-1,38

Primipare 155 31,0 1 82 33,7 1 Pluripare 106 46,2 2,05 1,20-3,49 40 47,5 1,68 0,76-3,72

CAN no 207 41,6 1 63 47,6 1 CAN sì 55 21,6 0,50 0,24-1,05 69 29,0 0,42 0,20-0,91

Complessivamente si sottolinea l’effetto protettivo dell’allattamento prolungato al seno

durante la gravidanza precedente sul rischio di essere fumatrice prima della gravidanza attuale e l’effetto protettivo della partecipazione ai CAN tra le fumatrici sul rischio di continuare a fumare. Le primipare sembrano avere una maggiore propensione a ridurre l’abitudine al fumo una volta in stato di gravidanza mentre solo tra le italiane si rileva per le donne più istruite, a fronte di una minore frequenza di fumatrici, una minore propensione a rinunciare a questa abitudine.

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LE MAMME SI RACCONTANO

Percorso in gravidanza

Per affrontare il tema del percorso intrapreso in gravidanza, l’intervista prevedeva innanzitutto la domanda “come si è accorta di essere incinta e cosa ha fatto una volta accertato?”, alla quale la maggior parte delle donne ha risposto raccontando l’iter intrapreso, incluso il modo in cui la gravidanza è stata accertata, l’accesso ai servizi, fino alla scelta dell’ospedale dove partorire. Dai racconti emerge chiaramente come le fonti di informazione più significative siano le conoscenze personali, le amiche, le conoscenti, ma anche gli stessi datori di lavoro. Questi contatti sono molto importanti in particolare all’inizio della gravidanza, quando le donne devono decidere dove effettuare le prime visite e come affrontare l’intero percorso. Le donne sembra si orientino verso i centri “più comodi”, più vicini a casa, quelli di cui si è sentito già parlare, dove magari si sono già rivolte altre conoscenti. Una volta identificato il centro presso il quale farsi seguire, non emergono particolari difficoltà di accesso.

Quando sei rimasta incinta cosa è successo, come te ne sei accorta? Quando non ho avuto le mestruazioni. Dopo quanti giorni? Dopo un mese di ritardo. Cosa hai fatto per essere sicura? Il test. Quale, il test in farmaci o l’esame del sangue? Quello della farmacia. Senti, come hai deciso mi devo andare a controllare, vado da qualche medico, cosa hai fatto, chi hai scelto, dove sei andata? Sono venuta qui. Perché? Perché era vicino. E quando sei venuta? Subito dopo il test oppure dopo? Ho prenotato, sono andata dal medico e lui ha detto vai in ospedale. Ti ha detto lui di venire qui... No, ho scelto io. Perché qui, avevi avuto qualche amica che ha partorito qua, o non sapevi niente? Perché è vicino a casa mia. C’ho tanti amici che hanno partorito qua. (Int 39, Etiopia, 33 anni)

Quando sei rimasta incinta cosa hai pensato? Io e mio marito abbiamo visto se potevamo avere un bambino; poi sono andata in farmacia a prendere il test e poi sono venuta in ospedale per fare l’ecografia e dopo sono andata al consultorio perché è vicino a casa. Chi ti ha consigliato il consultorio? Me l’ha detto un’amica italiana che c’era il consultorio. Quante visite hai fatto durante tutta la gravidanza? Una visita ogni mese. (Int 45, Romania, 27 anni)

Mi vuoi raccontare come è andata la gravidanza? A chi ti sei rivolta quando hai saputo di essere incinta? Io lavoro a casa di una signora io l’ho detto a lei e mi ha portata dal dottore. In ospedale o in uno studio privato? In uno studio, lui è stato molto gentile perché è amico della signora. (Int 44, Filippine, 30 anni)

Chi ti ha consigliato di venire qui? La figlia della signora dove lavoravo, io ho detto che aspettavo un bambino e lei mi ha detto cosa dovevo fare. (Int 41, Georgia, 31 anni)

Senti, dopo la farmacia, che hai pensato di fare quando hai scoperto di essere incinta? Di andare dal medico. E come hai fatto? Ho chiesto alle persone della famiglia dove lavoravo. Cioè tu gli hai detto: “Sono incinta, potete aiutarmi?” Sì, mi hanno portato dal suo dottore. Era un privato? No. Era un ospedale? Sì. Questo? No, un altro, più vicino di casa mia. (Int 30, Romania, 22 anni)

Poi (dopo aver fatto il test) sono andata vicino a casa mia a un consultorio. Sapevi però che c’era un ambulatorio o te l’aveva detto qualcuno? Sì, sapevo perché… Chi te l’aveva detto? Ma... si sa! Si sa... ma come l’hai saputo secondo te? Le tue amiche... C’ho tante amiche che hanno partorito qua e sono state seguite qua. (Int 12, Romania, 34 anni)

E poi dove sei andata, dopo che il test era positivo? Sono andata al consultorio. Al consultorio. Vicino a casa? Per essere sicura l’ho portato alla farmacia, subito. Ho detto "vede che cosa ho visto" e tutto quanto. Ha detto "sì, sei incinta" e poi sono andata al consultorio della zona. Al consultorio. Lo conoscevi? Sì, le amiche sono andate... Ok. E al consultorio come è stato il percorso? Che cosa ti hanno detto? Una dottoressa mi ha detto "va bene", poi mi ha registrato; mi ha dato gli appuntamenti, li ho seguiti; quando mi scrive gli esami, io lo faccio; quando mi scrive medicine, io lo compro... eh…(Int 14, Marocco, 39 anni)

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Le uniche situazioni di mancato accesso ai servizi prenatali sono riportate da donne rom, per le quali non è necessario effettuare visite durante la gravidanza in quanto questa rappresenta uno stato “normale” della vita della donna, e non una situazione di “malattia” che richiederebbe il controllo medico.

Come l’ha saputo (di essere incinta)? Marito: Sanguinamento… Quando non ti sono venute le mestruazioni. Però quando hai visto che non ti venivano, sei andata a fare un test? Visita medica? No, niente. Tutto bene. Niente? Perché non parlo italiano, no... Durante la gravidanza non hai fatto niente? Io messa bene… […] Perciò mai, mai hai fatto delle analisi del sangue? No. Se ti fossi sentita un po’ male, che facevi? Marito: Stata incinta, tutto bene… Però se succedeva? Una notte ti mettevi a dormire e avevi dei dolori, che facevi in quel caso? Marito: Ambulanza… (Int 34, Romania, rom, 25 anni)

Hai fatto delle visite mediche? Delle ecografie? In Albania solo una volta a 2 mesi, in Italia una volta a 4 mesi. Mi ha portata mio marito, lui conosceva il dottore. (Int 36, Albania, 23 anni)

Cosa hai fatto (un volta incinta)? Ti sei fatta controllare? Sono andata dal dottore e mi ha guardato e con l’ecografia mi ha detto che stavo a 2 mesi, poi mi ha dato gli esami ma io non li ho fatti. Ti sei fatta controllare sempre dallo stesso dottore? Sì, sempre in ospedale (si è rivolta al medico che nel nostro ospedale segue l’ambulatorio delle donne straniere). Una volta mi ha visto un altro e mi ha detto che è maschio mentre il dr… mi ha visto due volte e mi ha detto che è femmina. Quante ecografie hai fatto durante tutta la gravidanza? Ho fatto 3 ecografie. E gli esami su sangue e urine li hai fatti? Non ho fatto esami di sangue, solo ecografie per guardare se è femmina. (Int 49, Macedonia, rom, 17 anni)

Assistenza aI parto, percezione dolore e preferenze della donna

Circa il 40% delle donne straniere e italiane preferirebbe essere assistita durante il parto da una donna (Tabella 33). Queste percentuali sono decisamente più alte per le donne asiatiche, 54,8%, e per le donne africane, 56,3%, riconfermando le preferenze già emerse sull’assistenza durante la gravidanza. La grande maggioranza dei parti è stata seguita da personale ostetrico di sesso femminile, straniere 79,1% e italiane 83,4%. Circa il 10% dei parti, senza distinzione per cittadinanza, è stato seguito da personale medico di sesso maschile. Le donne straniere rispetto alle italiane, sono state seguite con frequenza maggiore da personale medico 18,9% verso 14,3% rispettivamente.

L’analisi del tipo di parto viene presentata distinguendo i parti spontanei a seconda che sia stata usata o meno l’anestesia epidurale o spinale (Tabella 34). Complessivamente, hanno partorito con taglio cesareo il 27,3% delle straniere e il 26,7% delle italiane. Tendenzialmente i TC si dividono a metà tra elettivi e urgenti. Considerando l’area geografica di provenienza delle straniere si evidenzia l’alta percentuale di TC, 35,4%, tra le donne centro-sudamericane. Il forcipe o la ventosa (parti operativi) sono stati usati nel 2-3,5% dei parti senza differenze per cittadinanza. Il 5,9% dei parti tra le straniere e l’11,6% dei parti tra le italiane è stato spontaneo con anestesia epidurale/spinale. Le asiatiche e le africane sono quelle che fanno meno uso di anestesia epidurale/spinale (circa 2-3%).

Considerando solo i parti vaginali, il travaglio è stato indotto nel 19,0% dei casi tra le straniere e nel 20,3% dei casi tra le italiane (Tabella 35). La percentuale di parti indotti appare particolarmente bassa per le asiatiche, 13,4% ma per questa area di provenienza è più alta la percentuale di donne che non sanno, 8,0%. Anche l’episiotomia è stata analizzata solo per i parti vaginali. È stata praticata al 42,0% delle donne straniere e al 39,2% delle donne italiane. Tra le straniere sono più alte le percentuali di donne che non sanno se sono state esposte a questa pratica.

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Tabella 33. Preferenza di genere e assistenza durante il parto (%)

Genere Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Preferenza Uomo 2,4 0,4 2,8 4,3 2,5 2,5 Donna 31,4 54,8 56,3 29,7 41,8 39,2 Indifferente 66,2 44,8 40,1 66,0 55,7 58,3

Assistenza Ostetrica donna 82,6 77,1 77,4 74,0 79,1 83,4 Ostetrico uomo 2,3 2,8 1,4 1,5 2,0 2,3 Ginecologa donna 5,2 13,7 12,1 10,3 9,2 5,0 Ginecologo uomo 9,9 6,4 9,0 14,2 9,7 9,3

Tabella 34. Tipo di parto e anestesia (%)

Tipo parto Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Spontaneo senza anestesia 61,0 65,9 61,6 51,2 60,6 56,5 Spontaneo con epidurale/spinale 8,9 2,8 1,9 8,6 5,9 11,6 Spontaneo (non sa anestesia) 3,8 3,6 4,0 2,4 3,6 2,3 Operativo 2,3 2,0 3,5 2,4 2,6 3,0 Totale vaginali 76,0 74,3 71,0 64,6 72,7 73,4

Cesareo urgente 13,2 11,9 16,2 17,7 14,4 12,4 Cesareo elettivo 10,9 13,9 12,9 17,7 12,9 14,3 Totale cesarei 24,1 25,8 29,1 35,4 27,3 26,7

Tabella 35. Insorgenza travaglio e episiotomia (%)

Interventi praticati Est Europan. 500

Asia

n. 187

Africa

n. 302

Centro-Sud America n. 134

Totale straniere n. 1123

Totale italianen. 384

Insorgenza travaglio Indotto 18,4 13,4 20,9 24,6 19,0 20,3Non indotto 79,2 78,6 73,5 71,6 76,7 78,9Non sa 2,4 8,0 5,6 3,7 4,4 0,8

Episiotomia Sì 40,1 47,6 39,6 46,7 42,0 39,2No 51,3 41,7 46,5 61,4 48,4 56,9Non so 8,6 10,7 13,9 7,2 9,6 3,9

Alle donne è stato chiesto di indicare su una scala (valore minimo 0=assente; valore

massimo 5=atroce), quale fosse il dolore percepito dopo 24 ore dal parto. Le risposte sono state dicotomizzate e analizzate per tipo di parto. Il dolore è stato percepito come terribile/atroce dal 18,4% delle straniere e dal 12,2% delle italiane. Le straniere percepiscono un dolore maggiore per tutti i tipi di parto eccetto il TC elettivo (Tabella 36). Tra le straniere la percezione del dolore, come terribile/atroce per i parti spontanei con anestesia epidurale è più elevata rispetto alla stessa modalità di parto senza anestesia, 18,5% vs 14,7%.

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Tabella 36. Percezione del dolore come terribile/atroce a 24 ore dal parto (%) per tipo di parto

Tipo parto Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Spontaneo senza anestesia 12,7 13,9 18,3 15,1 14,7 8,4 Spontaneo con epidurale/spinale 20,3 0,0 25,0 16,7 18,5 4,9 Spontaneo (non sa anestesia) 28,0 44,4 29,4 40,0 32,1 25,0 Operativo 13,3 0,0 33,3 20,0 20,0 12,5 Cesareo urgente 29,9 30,0 18,8 32,4 26,9 21,5 Cesareo elettivo 25,0 20,0 18,2 21,6 21,6 22,7

Per le donne primipare sono stati indagati i fattori potenzialmente associati con

l’effettuazione di un TC elettivo confrontato con tutti gli altri tipi di parto. Tra le straniere, il ricorso a TC elettivo è risultato più frequente all’avanzare dell’età, per le donne più istruite, per le donne per le quali erano presenti patologie durante la gravidanza e per le donne asiatiche e centro-sudamericane (Tabella 37). Il rischio di TC elettivo pur non raggiungendo la significatività statistica, è invece inferiore per le donne assistite da CF e per quelle che hanno partecipato ad un corso di accompagnamento alla nascita. Per le italiane, risulta particolarmente protettiva la partecipazione ai corsi di accompagnamento alla nascita.

Tabella 37. Fattori associati con taglio cesareo elettivo – primipare

Fattori Straniere Italiane

n. % TC

elettivo OR IC 95% n. % TC

elettivo OR IC 95%

<30 anni 489 5,7 1 92 12,0 1 30-34 anni 183 10,9 2,07 1,07-4,01 116 6,0 0,69 0,22-2,15 >34 anni 55 14,6 2,71 1,06-6,88 77 10,4 2,00 0,63-6,31

Assistenza pubblica 297 8,1 1 42 16,7 1 Assistenza privata 213 9,4 0,97 0,48-1,96 226 8,4 0,56 0,20-1,60 Consultorio familiare 219 5,0 0,64 0,30-1,38 18 0,0 – –

Istruzione <16 anni 585 7,0 1 197 11,2 1 Istruzione >16 anni 134 10,5 1,60 0,80-3,20 86 4,7 0,36 0,10-1,31

CAN no 555 7,8 1 91 16,5 1 CAN si 174 7,5 0,77 0,37-1,59 195 5,6 0,31 0,20-0,82

Patologie no 390 5,1 1 174 6,9 1 Patologie sì 304 10,5 1,89 1,03-3,46 105 10,5 1,52 0,62-3,74

Est Europa 358 5,9 1 Asia 105 11,4 1,95 0,85-4,47 Africa 173 8,1 1,16 0,53-2,52 Centro-Sud America 92 9,8 1,37 0,58-3,24

È stato chiesto alle donne come avrebbero preferito partorire se avessero potuto scegliere.

Tra le primipare che hanno partorito con parto spontaneo, l’89,2% delle straniere e l’87,1% delle italiane confermano la scelta del parto spontaneo (Tabella 38).

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Tabella 38. Preferenza dichiarata per parto spontaneo per tipo di parto attuale/precedente effettuato (%)

Tipo parto effettuato Est Europa

Asia

Africa

Centro-Sud America

Totale straniere

Totale italiane

Primipare Spontaneo 87,9 83,3 92,2 96,6 89,2 87,1 Cesareo 69,8 76,0 83,0 77,4 75,4 74,3

Pluripare Spontaneo/spontaneo 93,9 93,4 94,2 91,3 93,6 89,5 Spontaneo/cesareo 60,0 100,0 87,5 100,0 83,3 90,9 Cesareo/spontaneo 63,3 92,3 70,0 58,3 69,3 84,6 Cesareo/cesareo 51,2 84,6 71,4 48,4 63,3 71,2

La preferenza per lo spontaneo tra le straniere varia dall’83,3% delle asiatiche al 96,6% delle

centro-sudamericane. Tra le primipare che hanno partorito con TC, avrebbero preferito il parto spontaneo il 75,4% delle straniere e il 74,3% delle italiane. Per quanto riguarda le donne con un parto precedente, la preferenza per lo spontaneo è stata analizzata per ciascuna combinazione di tipo di parto effettuato attuale/precedente. Per tutte le combinazioni, la grande maggioranza delle donne dichiara la preferenza per lo spontaneo. I valori più bassi di preferenza per lo spontaneo si riferiscono alle donne che hanno effettuato sia il parto attuale che quello precedente con TC ma rimangono comunque valori elevati, straniere 63,3%, italiane 71,2%.

LE MAMME SI RACCONTANO

Il parto

Di seguito vengono riportati frammenti delle narrazioni delle donne sul vissuto del parto, che comprendono le aspettative, gli eventuali motivi di soddisfazione e di delusione. Sembra unanime la preferenza delle donne per il parto spontaneo, per il parto “secondo natura” anche se accompagnato da dolori; quando comunque la donna si sottopone a un parto cesareo, l’averlo effettuato con un buon esito sembra attenuare la delusione iniziale.

Il parto spontaneo

Volevo che mi raccontassi com’è andato il tuo parto. Intanto hai partorito naturalmente? Sì, naturalmente. E com’è andato, dovessi raccontarmelo? Bene… (ride) un po’... normale, con fatica, però bene. Preferivi naturale… Sì, un po’. Si fatica sì, però meglio così. (Int 6, Macedonia, 30 anni, spontaneo, 2° figlio)

Ha partorito spontaneamente vero? Sì, da sotto. È andato tutto bene. Ho fatto veloce. Se avesse potuto scegliere, avrebbe partorito spontaneamente? Certo. Mia mamma ha avuto cinque figli tutti senza taglio. (Int 18, Romania, 23 anni, spontaneo, primipara)

Come è andata, rispetto a come se lo immaginava lei? Cioè, io non me lo immaginavo un’esperienza così forte, per niente. Invece quando la vivi, sei lì "Boh, se tutte le donne ce l’hanno fatta..." Poi non senti, magari... Perché nel momento che tu partorisci, ti danno il bambino in braccio, tu dimentichi tutto, non hai più niente! Boh, ho sofferto, però vedi il bambino in braccio e ti... ti passa tutto (convinta e poi commossa). Ti passa tutto… Sì, sì. Quindi, lei non se lo immaginava così. Come se lo immaginava? Me lo immaginavo un’esperienza un po’ meno traumatizzante, diciamo; tu ti fai un’idea, senti da un’amica, senti da un parente... va beh, è stato così. Però nel momento che la vivi tu è diversa, cioè, non mi immaginavo che fosse così tanti dolori, queste cose... non mi immaginavo. Cioè, un po’ di dolore sì... (Int 15, Romania, 29 anni, spontaneo, primipara)

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Allora... intanto come stai? Eh adesso meglio, ieri... stamattina mi faceva ancora male... perché avevo dolori, e adesso invece... è passato, sto meglio. Ah quindi... abbastanza insomma. Sì sì... ho sofferto tantissimo. Hai sofferto tantissimo... Eh sì, perché non riuscivo… È la tua prima bambina... È la mia prima bambina... allora... non riuscivo ad alzarmi bene… non so... posso fare anche errori, non riuscivo ad alzarmi bene. Eh, ma figurati... E come è andato il travaglio, come è stato? È stato più duro... perché... credevo di... che non ce la faccio perché… avevo così tanto dolore, stavo malissimo, gridavo... di tutti colori (ride) invece... (Int 22, Ucraina, 23 anni, spontaneo, primipara)

Ha avuto un parto naturale? Naturale sì... Sì? E ha dovuto fare l’episiotomia? Hanno dovuto tagliare? No no. E il travaglio com’è andato? Eh... come un travaglio (ride)... lungo. Lungo sì? Sì... E il parto è stato doloroso? Sì... Tanto? Sì tanto… tanto. E su una scala da uno a cinque? Nove! (ride) (Int 23, Moldavia, 24 anni, spontaneo, primipara)

Ti aspettavi che andasse così il parto o te lo immaginavi diverso? L’ho immaginato un po’ diverso, non con tanti dolori. Ti immaginavi che facesse un po’ meno male... [annuisce] Avresti voluto partorire così o avresti preferito in modo differente? No, normale, volevo partorire normale, sì. (Int 25, Romania, spontaneo, primipara)

Era il tuo primo parto, come ti senti, che diresti? È stata l’esperienza più bella della mia vita. Però è stata troppo forte, ho sentito troppo male. (Int 33, Ecuador, 20 anni, spontaneo, primipara)

E oggi come ti senti? Insomma, ho dei doloretti ma sono contenta, hai visto come è bello il mio bambino? […] Com’è andato il parto? Sono arrivata qui con dolori molto forti, avevo la contrazione. E poi? E poi sono passate molte ore, tutta la notte e poi ho partorito. E tu come ti sei sentita? Boh, quando stai così pensi solo che fa male e vuoi che tutto finisce presto. (Int 41, Georgia, 31 anni, spontaneo, primipara)

Che cosa hai provato durante il parto? È stato dolorosissimo. Ti sei sentita aiutata dal personale? Tutti sono stati vicino. Quando e arrivato il bimbo è passato. (Int 47, Romania, 33 anni, spontaneo, primipara)

Il travaglio come è stato? Bruttissimo. Doloroso? Molto. In quanto tempo hai partorito? Cinque o sei ore. Hai avuto punti? Sì. […] Sono rimasta traumatizzata. Al momento della nascita del bambino cosa hai provato? Gioia, ho dimenticato tutto. (Int 56, Romania, 29 anni, spontaneo, primipara)

Il parto con taglio cesareo

Che tipo di parto hai fatto? Il taglio. Il taglio, come mai? Doveva essere fatto. Tu sapevi che sarebbe stato un cesareo? No. Tu avevi un desiderio, di partorire in un modo o in un altro? Io volevo un parto normale. Perché? Mi piace di più normale. Come mai? Perché è la natura. Ti hanno comunque convinta o ci sei rimasta male... Troppo dolore e allora io ho detto fate come volete e cosa si deve fare. Quando è successo che hai capito che sarebbe stato un cesareo... Quando sono arrivata qua. Te lo hanno spiegato i medici? Sì, esce tanto sangue. Io stava bene, ma tanto dolore e loro mi hanno detto che per me e per bambino era meglio il taglio. E tu come ti sei sentita in quel momento? Normale, c’era tanto dolore. (Int 39, Etiopia, 33 anni, TC, primipara)

Come va oggi? Bene, ho ancora male. Com’è andato il parto? Ho fatto il cesareo, il bambino non stava bene. Hai avuto qualche problema? No, il bambino non stava nella posizione giusta. È stato doloroso fare il cesareo? Un poco sì, e poi fa ancora tutto male. Quindi tu già sapevi di dover fare il parto cesareo? Sì, lo avevano detto. Chi te lo aveva detto? Il dottore quando ho fatto l’ecografia mi ha detto che dovevamo decidere quando far nascere il bambino, perché non stava in una posizione giusta. Cosa hai pensato quando il dottore ti ha detto che dovevi fare il cesareo? Lui mi ha spiegato tutto bene, perché quando me lo ha detto io mi sono spaventata e ho pianto, non avevo capito bene, credevo che il bambino non stava bene, allora lui mi ha fatto vedere come stava il bambino e che così non poteva nascere, poi io ho pensato che lui è bravo e mi aiutava bene. Quindi tu non ti aspettavi di fare il cesareo, come ti immaginavi il parto? Normale, come fanno tutti (fa un piccolo sorriso e mostra un po’ di imbarazzo). (Int 44, Filippine, 30 anni, TC, primipara)

È stato tutto uguale a come te lo aspettavi? Ma io no, non avevo idea di quello che mi aspettava. Cioè, tutti hanno un’immagine di quello che leggi, del corso parto… Tu sapevi di dover fare un cesareo? No! Perché lei (ride e indica la bambina) questa signorina qua, si è messa prima normale come se dovesse uscire. E poi si è messa di traverso e poi si è messa podalica. Tre volte si è girata. E all’ultima settimana, la 39°, cioè praticamente la penultima, hanno deciso per il cesareo

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perché non c’era la possibilità che lei… poi insomma, anche come peso, cioè era previsto quasi 4 chili, però infatti dopo, era un po’ “grandina” allora si è deciso per il cesareo. Ma io se potessi avrei fatto anche il parto normale, insomma, naturale. Però la preferenza ce l’avevi? Naturale. Naturale. E ci sei rimasta male? No, no. Ho messo per prima cosa lei (guarda la piccola). Cioè: lei era la prima cosa assolutamente. Per la salute, per la mia salute ovviamente anche. Il rischio… qualcosa se dovesse succedere qualcosa… è importante anche quello (ride). No, certo. Ma è stata lei la prima. Ci siamo parlati anche con mio marito… […] Come ti sei sentita? Tranquilla. Perché se è stata presa questa decisione è perché c’era un motivo. Potevano essere anche delle cause. E io potrei anche essere incosciente e dire: a me non me ne frega niente, voglio aspettare, voglio fare… Siccome non era una cosa che davo la priorità assoluta, sia io che mio marito abbiamo detto che la priorità è la bambina. (Int 1, Brasile, 38 anni, TC, primipara)

Prima di partorire la tua idea era? Come partorire? Naturalmente o fare un cesareo? Cosa ti sarebbe piaciuto? Normale. Avresti preferito normale. Nel momento in cui si è deciso cesareo come ti sei sentita? Bene, perché non era perché non volevo io, né la dottoressa ma perché no se podeva. Com’è andata? Più o meno… Più o meno che vuol dire? (ridiamo) Bene e male? Sì perché… Spiegamelo un po’. Sì perché ho sufferto multo. Prima le contrazione son cominciate alle cinque… Le cinco de la tarde? Alle cinque de la tarde. Alle cinque del pomeriggio. Hasta las dos de la manana (fino alle due della mattina). Di contrazioni? Sì. E poi che è successo? Dopo viene la dottoressa a farme la visita per vedere como va. È rotto il sacco, la bursa si è rotto. Entonces la dottore me ha fatto la visita e me ha detto “Andiamo a la sala de parto perché ha quattro centimetri”. E andiamo di là. Me pone el monitoraggio che el batito è un po’ lento. Entonces me dice “Ah, facciamo entonces el cesareo perché è lento. Il battito è molto lento”. Così. […] Ti ha dato dolore il dopo… Sì, me dava dolore però dopo va via con un po’ di tempo. È normale che me fa male. (Int 2, Santo Domingo, 26 anni, TC, primipara)

È andata come te l’aspettavi? Il parto no, sinceramente, perché pensavo un parto naturale. Invece è stato tutto deciso nel giro di dieci minuti, quindi è stato completamente fuori previsto. Ho capito. Però, grazie a Dio, lei sta bene, io sto bene, quindi è andata bene, tutto bene (ride). […] E quindi hai fatto il parto cesareo. Sì. E com’è andata? È andata abbastanza bene. Ti hanno fatto un’anestesia locale? Sì, locale, non del tutto. Quindi ero sveglia con la mente. Sentivo tutto, tutto, meno che il dolore (ridiamo). E quindi… è andata bene! Poi, che poteva andare meglio con un parto naturale, però non era nelle mani di nessuno (sorride). Era colpa della bambina che non voleva uscire (ride). (Int 3, Albania, 33 anni, TC, primipara)

E com’è andato il cesareo? Il cesareo molto bene. Sì? Non ho avuto problemi perché... erano dopo tanti dolori, tante sofferenze, il cesareo non l’ho neanche sentito... era la felicità di vederlo lui. […] Era da fare, non è che dai dolori, era da fare perché la testolina non era al posto giusto. E come te lo immaginavi il parto, visto che è il primo? Sì, come primo pensavo che sono giovane, ho 27 anni e lo... senza tanti problemi. Sapevo che è doloroso perché mi hanno spiegato che bisogna soffrire però più corto, è stato lunghetto. […] ma siccome io volevo naturale, spontaneo, perché mi diceva il mio dottore che “sei giovane, farai tutto con tanta tranquillità, calma, perché l’età è giusta per un bambino” … E io pensavo che farò tutto spontaneo perché volevo vivere questi momenti. […] Avresti preferito il parto naturale? Sì, naturale... infatti sono venuta per quello. (Int 21, Moldavia, 27 anni, TC, primipara)

Why did you have a caesarian section this time? Perché un’urgenza. Io sentita male, poi mio bimbo… la testa non è... Sei arrivata qui e non era messo bene? Sì, poi vista l’ecografia, la testa sta sopra... E hanno fatto il cesareo? Sì, hanno fatto un cesareo. Come hai preso la cosa, volevi fare uno spontaneo? Qual era il tuo desiderio? No, io volevo fare uno spontaneo, perché io volevo esperienza come una madre, come ti senti... come sento dolore. Io mi piace come esperienza quello. Solo che vabbè... eh, cesareo, io non sento niente e visto l’ecografia è troppo alto la testa. Ah, cioè te sapendo la motivazione ti sei convinta… come dire hai accettato. Eri un po’ triste, meno triste, indifferente? Triste, però... Ti hanno spiegato abbastanza o no? Eh sì, mi ha spiegato, perché come faccio a partorire in piedi e testa giù! E così… spiegato tutto, per me, ho capito. (Int 31, Filippine, TC, 2° figlio)

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Esiti della gravidanza

Il peso iniziale medio delle donne straniere nel complesso è simile a quello delle italiane, intorno ai 60 kg e l’incremento medio a fine gravidanza è circa 13 kg per entrambi i gruppi (Tabella 39). Tra le straniere si differenziano le asiatiche per un peso medio iniziale più basso, pari a 55,2 kg e le africane per il peso iniziale medio più alto, 67,0 e per l’incremento di peso più basso, 11,0 kg.

Tabella 39. Incremento di peso in gravidanza

Indicatori madre Est Europan. 604

Asia

n. 226

Africa

n. 376

Centro-Sud America n. 205

Totale straniere n. 1411

Totale italianen. 517

Peso iniziale medio in kg 60,3 55,2 67,0 60,2 61,3 60,0 DS 9,8 9,4 12,0 10,8 11,2 10,5

Peso finale medio in kg 74,2 67,1 78,0 72,9 73,9 73,3 DS 10,1 9,7 12,9 11,1 11,3 11,2

Incremento medio peso in kg 14,0 12,5 11,0 12,7 12,8 13,3 DS 5,2 5,3 5,6 6,7 5,7 4,8 Nella valutazione degli indicatori di esito del parto qui riportati va ricordato che i dati sono

selezionati in quanto fanno riferimento solo a gravidanze che hanno avuto un esito positivo e per le quali le neo-mamme sono state disponibili ad essere intervistate, non sono comprese quindi le gravidanze con esiti fortemente negativi. Nonostante ciò, tutti gli indicatori riportati nella Tabella 40 relativi alla settimana gestazionale precoce, al basso peso alla nascita e all’indice di Apgar a 5 minuti dalla nascita evidenziano esiti peggiori per le straniere rispetto alle italiane. Tra le straniere, le asiatiche sembrano avere gli indicatori migliori, con l’eccezione della percentuale di nati di basso peso che è la più alta. Questo dato si può spiegare anche con la diversa struttura fisica delle asiatiche che sono tendenzialmente più piccole rispetto alle donne provenienti dalle altre aree geografiche.

Tabella 40. Nati per età gestazionale, peso alla nascita e Apgar 5’

Indicatore nato Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

<37 settimana 7,0 5,6 7,1 9,3 7,1 6,4 <2500 grammi 5,7 8,6 8,1 5,6 6,8 6,3 Apgar 5’ ≤8 7,9 2,8 5,3 3,8 5,8 3,5 Apgar 5’ =10 58,8 69,3 64,4 68,9 63,3 66,0

Indicatori post-partum

Gli indicatori ospedalieri post-partum tendenzialmente sono simili per straniere e italiane (Tabella 41). Si rileva una certa differenza nel rooming-in che viene effettuato con una frequenza leggermente inferiore per le straniere, 59,2% vs 64,1%. Per quanto riguarda le informazioni ricevute in reparto in relazione all’allattamento al seno, sono fornite con frequenza minore alle straniere rispetto alle italiane, 66,2% verso il 78,0%. L’attuazione delle pratiche indicate costituisce un obiettivo intermedio specifico del POMI in quanto ci sono evidenze scientifiche che tali pratiche favoriscano l’allattamento al seno. Se l’attuazione del rooming-in

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può essere più problematico per le implicazioni di carattere logistico-strutturale legate alle strutture ospedaliere, altre pratiche quali il contatto pelle-pelle o l’attaccamento al seno entro 2 ore dal parto o l’osservazione della poppata dovrebbero e potrebbero invece essere praticate nella quasi totalità dei casi. Questi aspetti comunque non costituiscono una specifica criticità per le donne straniere ma riguardano l’organizzazione ospedaliera relativamente al percorso nascita di tutte le donne partorienti.

Tabella 41. Indicatori ospedalieri post-partum (in %)

Variabili ospedaliere Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Quanto tempo bimbo con lei Quanto desiderato dalla madre 74,4 71,4 65,3 63,6 70,0 69,1

Contatto pelle pelle Sì 80,8 79,4 73,1 73,7 77,5 74,7

Rooming in 24 ore Sì 60,0 52,8 61,9 59,3 59,2 64,1

Avrebbe voluto bimbo sempre con lei Sì 66,6 56,0 70,3 75,6 67,1 64,0

Allattamento entro 2 ore dal parto Sì 56,1 50,8 55,0 58,4 55,2 59,1

Info in reparto su allattamento al seno Sì 70,7 67,5 57,9 67,5 66,2 78,0

Effettuata osservazione poppata Sì 74,3 67,9 67,1 60,3 69,4 71,3

Allattamento al seno

La classificazione qui riportata sul tipo di allattamento distingue l’allattamento esclusivo al seno dall’allattamento predominante che include oltre al latte materno anche acqua, tisane o altri liquidi. Il complementare implica invece l’assunzione sia di latte materno che di latte artificiale. Nelle analisi successive si fa spesso riferimento all’allattamento completo, definito come la somma di esclusivo più predominante. Le ragione di ciò è che spesso la donna non è in grado di dire con certezza se al bambino siano state date acqua o tisane all’interno della struttura ospedaliera. I risultati mostrano come allattino in modo esclusivo al seno il 76,1% delle donne straniere e il 73,5% delle italiane (Tabella 42).

Tabella 42. Tipo di allattamento al seno (%)

Allattamento Est Europan. 584

Asia

n. 227

Africa

n. 360

Centro-Sud America n. 200

Totale straniere n. 1371

Totale italianen. 495

Esclusivo 77,1 63,9 81,4 77,5 76,1 73,5 Predominante 11,0 6,2 6,7 6,0 8,3 8,7 Complementare 9,4 18,1 8,9 11,5 11,0 13,7 Artificiale 2,6 11,9 3,1 5,0 4,6 4,0

Missing 77 25 68 9 179 31

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Se consideriamo l’allattamento completo, le percentuali salgono a 84,4% e 82,2% rispettivamente per straniere e italiane. A livello di area geografica di provenienza si distinguono le asiatiche per l’alto ricorso ad allattamento complementare e artificiale.

Sia per le straniere che per le italiane, il tipo di allattamento risulta associato con il tipo di parto; in particolare, il tipo di allattamento complementare o artificiale è più frequente tra chi effettua un parto con TC rispetto a chi partorisce in modo spontaneo (Tabella 43).

Tabella 43. Allattamento per tipo di parto e cittadinanza (%)

Tipo parto Esclusivo Predominante Complementare Artificiale Totale

% n.

Straniere 1381 Spontaneo non sa anestesia 87,8 6,1 4,1 2,0 100 49 Spontaneo senza anestesia 79,4 8,4 8,3 4,0 100 835 Spontaneo epidurale/spinale 76,5 3,7 17,3 2,5 100 81 Operativo 87,1 3,2 9,7 0,0 100 31 Cesareo urgente 63,8 10,7 18,4 7,1 100 196 Cesareo elettivo 69,8 8,5 14,8 6,9 100 9

Italiane 495 Spontaneo non sa anestesia 100,0 0,0 0,0 0,0 100 11 Spontaneo senza anestesia 78,8 7,3 9,7 4,2 100 288 Spontaneo epidurale/spinale 78,2 10,9 9,1 1,8 100 55 Operativo 80,0 0,0 20,0 0,0 100 15 Cesareo urgente 52,6 21,1 22,8 3,5 100 57 Cesareo elettivo 59,4 5,8 27,5 7,2 100 9

In generale, la grande maggioranza delle donne ha dichiarato che, al momento del parto, aveva già deciso o almeno aveva una preferenza per l’allattamento al seno, 94,2% delle straniere e 94,3% delle italiane (Tabella 44). Tra le straniere, si distinguono ancora le asiatiche per l’alta percentuale di donne, 13,2%, che hanno dichiarato invece la non intenzione di allattare al seno. Questo dato può essere l’espressione diretta di una specificità culturale già nota delle popolazioni asiatiche, secondo la quale si preferisce che i nuovi nati crescano nel proprio Paese di provenienza e quindi vengono presto separati dalla propria madre per essere consegnati alle famiglie di origine.

Tabella 44. Preferenza per allattamento al seno (%)

Preferenza allattamento seno Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Sicuramente 87,3 71,3 84,3 86,1 83,7 77,2 Preferibilmente 8,2 10,8 13,6 11,5 10,5 17,1 Non al seno 1,5 13,2 0,0 0,5 2,8 3,2 Non sa 3,0 4,8 2,1 1,9 2,9 2,5

I fattori potenzialmente associati con l’allattamento completo al seno sono stati analizzati

con un modello logistico. Oltre al tipo di parto e all’esperienza di allattamento al seno nella precedente gravidanza, sono state prese in esame le pratiche ospedaliere riconosciute come

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favorenti l’allattamento al seno. È stata inoltre costruita una nuova variabile chiamata “sostegno all’allattamento” data dalla combinazione delle variabili “osservazione della poppata” e “informazioni ricevute” in reparto relativamente all’allattamento al seno.

I fattori che risultano significativamente associati sono tutte le pratiche ospedaliere già riconosciute come favorenti l’allattamento al seno: il sostegno (OR=1,79 IC 95%: 1,34-2,39), il contatto pelle-pelle (OR=1,95 IC 95%: 1,44-2,64), l’attaccamento al seno entro 2h dal parto (OR=2,25 IC 95%: 1,72-2,95), il rooming-in (OR=2,20 IC 95%: 1,70-2,85) (Tabella 45). Altri fattori significativamente associati sono l’aver allattato al seno per più di 3 mesi in una precedente gravidanza rispetto alle donne primipare (OR=1,39 IC 95%: 1,04-1,84:) e l’area geografica di provenienza, in particolare le asiatiche rispetto alle donne dell’Est Europa hanno una probabilità più bassa di allattare al seno (OR=0,51 IC 95%: 0,36-0,72). Il modello applicato alle italiane fornisce sostanzialmente gli stessi risultati.

Solo per le straniere ne esce ridimensionato il ruolo del tipo di parto che sembra non essere così importante come evidenziato dall’analisi descrittiva sopra riportata.

Tabella 45. Fattori associati con allattamento completo al seno

Fattori Straniere Italiane

n. % allatt. compl al seno

OR IC 95% n. % allatt. compl. al seno

OR IC 95%

Tipo di parto spontaneo 1031 77,8 1 322 84,2 1 Spontaneo con epidurale 99 70,7 0,85 0,51-1,41 63 77,8 1,22 0,57-2,60 TC 427 68,9 1,06 0,79-1,44 140 62,1 0,52 0,30-0,89

Parità e allattamento al seno parto precedente

Primipare 731 73,2 1 286 74,5 1 Pluripare all <3 mesi 225 68,4 0,93 0,65-1,34 74 66,2 0,63 0,34-1,18 Pluripare all >3 mesi 597 79,2 1,39 1,04-1,84 157 87,9 2,47 1,35-4,52

Sostegno all’allattamento

No 320 61,9 1 69 56,5 1 Sì 1233 78,1 1,79 1,34-2,39 456 80,7 1,94 1,06-3,54

Contatto pelle pelle No 355 59,7 1 132 59,9 1 Sì 1204 79,3 1,95 1,44-2,64 392 83,4 1,71 1,00-2,91

Primo allattamento >2 ore 694 62,4 1 215 61,9 1 <2 ore 864 84,8 2,25 1,72-2,95 310 88,4 2,81 1,70-4,64

Rooming-in No 634 61,8 1 189 66,1 1 Sì 925 83,8 2,20 1,70-2,85 336 83,9 2,03 1,25-3,32

Area di appartenenza Est Europa 659 78,0 1 Asia 251 63,4 0,51 0,36-0,72 Africa 428 74,1 0,81 0,60-1,11 Centro-Sud America 209 80,0 1,22 0,81-1,85

Le donne straniere hanno citato come fonte di informazioni e di consigli sull’allattamento

soprattutto le amiche e i familiari, 57,9%, a seguire il personale sanitario non medico, 32,2%, e libri/riviste, 29,7% (Tabella 46). Anche se con un ordine diverso, queste fonti sono le prime 3 indicate anche dalle italiane. Un dato che richiederebbe ulteriori approfondimenti è quello del

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CF. Questa struttura, come fonte di informazione, viene citata infatti solo dall’11,4% delle straniere, percentuale leggermente inferiore rispetto alle italiane (13,6%) nonostante il CF sia la struttura di riferimento più importante per l’assistenza in gravidanza per il 34,3% delle donne straniere e il 6,3% delle donne italiane. Il dato relativo ai CAN, citati dall’8,6% delle straniere e dal 39,6% delle italiane, risulta invece coerente con la frequenza di partecipazione ai CAN, straniere 14,8%, italiane 43,2%.

Tabella 46. Da chi ha ricevuto informazioni e consigli sull’allattamento (%)

Fonte informativa Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Amiche/familiari 51,8 60,0 62,0 65,9 57,9 48,5 Ostetrica/infermiera 34,1 29,3 25,1 44,2 32,2 53,0 Libri/riviste 34,4 20,1 24,2 37,5 29,7 52,4 Altro 13,5 10,2 13,4 10,1 12,5 8,4 Consultorio familiare 11,9 8,8 12,4 11,1 11,4 13,6 Medico pubblico 9,5 14,1 9,6 10,6 10,4 9,4 Can 8,7 5,6 5,6 18,3 8,6 39,6 Medico privato 8,1 4,0 3,8 6,2 6,0 16,2 Struttura di volontariato 1,2 2,0 0,5 6,7 1,9 1,3

LE MAMME SI RACCONTANO

L’allattamento

È pressoché unanime il desiderio di allattare al seno: le donne sono consapevoli che nutrire i propri figli con il proprio latte sia più sano e corretto, e molto spesso tale consapevolezza è anche sostenuta da tradizioni culturali e familiari.

Senti, come sta andando l’allattamento dopo il cesareo? Riesci ad allattare? Sì, ma lei è un pochettino pigra, non vuole, dorme, dorme sempre… Per il primo come è andata? Undici mesi l’ho allattato. Undici. Ma sei arrivata con quell’idea o qualcuno ti ha detto che era meglio…? No, no, sono arrivata. Da secoli fa che il più buono latte è quello di mamma! (Int 12, Romania, 34 anni)

Vedo che stai allattando… Con fatica però. Per quanto tempo pensi di allattare? Fino a quando avrò latte perché è peccato buttarlo. È più sano di quello comprato. (Int 59, Slovacchia, 31 anni)

Vedo che la stai allattando: pensi di allattarla, va tutto bene? Sì, sì. Pensi di continuare a darle il tuo? Sì, sì, perché se viene latte sì che l’allatto. Per quanto tempo? Finché non cresce. Finché non cresce… cioè? (allarga la mano) da noi nella cultura quando dai il latte puoi dare anche se ce l’ha quattro anni… Ah sì? Sì, finché non smette lei. Quindi è una cosa che fa bene… È normale! È un piacere! (Int 13, Bosnia, rom, 20 anni)

In questo momento stai dando il latte tuo alla bambina? Sì… io non sono quella che rimane lì all’angolo a non fare niente (ride). E cosa pensi, quando tornerai a casa, pensi di continuare a darle il tuo? Sì, sì, e questa centrale chi la leva, scusami eh!?! (ride, indicando le mammelle in piena montata). Quanto vorresti allattare al seno? Fino a quando mi stanco. Io ho l’attenzione di rimanere a casa un anno per la mia bambina. Un anno… Così la faccio crescere bene… (Int 14, Marocco, 39 anni)

Ha intenzione di continuare ad allattare? Sì, sì, perché mi piace tanto… (ride, un po’ imbarazzata). Quando lo vedo mangiare è… proprio bello. Quanto ha intenzione di continuare a dargli il latte? Non lo so, quanto vuole, quanto ce l’ho latte. (Int 16, Romania, 24 anni)

Tu come pensavi di allattare? Di darle il tuo…? Ma no, io ho lasciato tutto come dicono “al destino”. Ho ditto “quello che arriva arriva”. Ora come ti senti? Le vuoi dare il tuo o no? No, no, va meglio il mio, perché l’altro per comprarlo costa tanto. E se fosse gratis? Ma anche gratis, se ce l’ho gli do il mio. Se non ce l’ho pazienza, però se io ce l’ho adesso, l’unica cosa la do a mia bambina. (Int 17, Marocco, 43 anni)

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Avevi qualcosa in mente sull’allattamento? C’erano delle regole, c’erano... No, mia mamma ha allattato cinque figli! Per cui era una cosa per me normale, sentivi dire che l’allattamento era una cosa normale (ride). E lo volevi fare... Certo. Io non ho mai pensato di dare il latte artificiale. Se non avessi la possibilità è un altro conto di... non avessi potuto... Però ce l’ho, non vedo perchè... (Int 1, Brasile, 38 anni)

Poche le eccezioni: una donna che non desidera allattare a causa del dolore al seno, un’altra che prevede di effettuare l’aggiunta con il latte artificiale perché prova imbarazzo ad allattare al seno fuori casa, e altre che forse in seguito a qualche difficoltà iniziale non se la sentono di insistere.

E la dottoressa quando le ha fatto vedere il suo bambino? Dopo bagno… prima tutto sporco e io no voglio vedere… E quando ha visto il bambino cosa ha fatto? L’ha allattato? No allattare… troppo male mie tette… Quindi non sta allattando al seno in questo momento? No. Io no voglio. (Int 20, Marocco, 27 anni)

C’è qualcosa che ti ha disturbata durante questo ricovero? La comportamento di chi lavora nel nido, non mi piace, grida che devi attaccare il bambino al seno ma se esce il sangue io che devo fare? Non hai latte? No, non viene e il bambino ha fame. Io gli ho detto di darmi il latte ma solo oggi me lo hanno dato perché mi sono arrabbiata, il bambino deve mangiare. Sono un po’ antipatiche. (Int 35, Filippine, 29 anni)

Per te era la prima volta... è andato tutto bene? Sì, sì. La tua idea qual era? Non volevo dare il seno. Non volevi. No. Come mai? Perché no, no, perché non volevo (la voce si affievolisce). Ho pochito tempo, poi non ce l’ho latte. Non avevi latte? Non ce l’ho ancora. Lei ha molta fame, tanta... (ridiamo, e la bambina scoppia a piangere) Ti ha sentito, ha capito che non le vuoi dare il latte! Ce l’ho domandato, se mi può dare il latte per la bimba, o lo compro, qualcosa. Ma dice che devo aspettare... Per avere il tuo... Sì. Per questo non volevi dare latte... No, io volevo dare il latte, se avevo pronto. Però se no avevo, la bimba suffre multo. La notte fa (sospiro forte) nervosa... Allora per non farla stare nervosa vorresti dare il latte anche se non tuo... Perché adesso ha bajato molto de peso. Certo. Il dottore ha detto che oggi le danno un po’ di glucosata. Per esempio se in mio Paese io partorisco e io le digo "voglio darle il latte a mi nina". Subito. Il latte artificiale, intendi? Sì. Lo posso trovare e darcelo alla bimba. Senza problemi. E qui? Qua no. qua devo aspettare. Senti, ma adesso che torni a casa, come pensi di allattarla? No, io non... (voce flebile) (Int 2, Santo Domingo, 26 anni)

Io mi sono un po’ arrabbiata perché il bambino non beve il latte e le infermiere quando piange non gli danno quello in polvere. Tu non riesci ad allattarlo? Lui vorrebbe, cerca il seno, ma il latte non viene, hanno detto di avere pazienza ma io sento il bambino che grida, allora mi sono arrabbiata e gli hanno dato il latte. Ti preoccupa questa cosa? Sì, io voglio dargli il latte. L’ostetrica cosa ti ha detto? Che dobbiamo provare e avere pazienza. (Int 42, Albania, 33 anni)

Senti l’allattamento com’è andato, come sta andando? Io sto andando bene, per adesso c’è poco, ha ditto l’infermiera…devi… Di insistere? Sì, di insistere. Dieci minuti, così, loro insegna come si fa. Ti hanno insegnato? Sì, tutto è grande però, perché la prima volta la verità... Il primo bambino? No, il secondo... Perché la prima volta non l’hai allattato? No, solo un mese. Adesso invece vuoi farlo di più? Sì. Il latte artificiale glielo vuoi dare, non glielo vuoi dare, glielo darai in aggiunta? Come vuoi fare? Artificiale... artificiale nel latte sì, però devi sempre aggiungere. Per esempio fuori… vai fuori per esempio io non posso fare latte seno perché… Eh, come mai? Perché mi sento imbarazzata. Ah, ecco allattare davanti ad alter persone ti imbarazza? A me sì. Invece in casa per esempio? In casa lo fai? Sì, certo. (Int 31, Filippine)

Contraccezione

L’attuale gravidanza era attesa dalla grande maggioranza delle donne, 70,3% delle straniere e 78,6% delle italiane (Tabella 47). L’8,1% e il 3,1% delle donne rispettivamente stava facendo uso di un metodo contraccettivo quindi per queste donne il concepimento è avvenuto a causa del fallimento del metodo contraccettivo utilizzato. Per le donne provenienti dal Centro-Sud America rispetto alle altre aree di provenienza è più alta la frequenza di fallimento del metodo contraccettivo, 22,0%, ed è più alta la frequenza di donne che pensava di essere sterile, 5,7%.

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È elevata la percentuale di donne straniere che ritiene non sia possibile rimanere incinta durante l’allattamento al seno, 29,0% verso il 7,8% delle italiane. Tale percentuale sale al 45,8% per le donne provenienti dall’Asia.

Il periodo della degenza ospedaliera potrebbe essere un momento opportuno per fornire alle donne informazioni sulla contraccezione ma solo il 17,1% delle straniere e il 14,3% delle italiane dichiara di aver ricevuto tali informazioni. La percentuale è leggermente più alta per le donne provenienti dall’Europa dell’est, 20,0%.

L’importanza di dare informazioni sulla contraccezione emerge anche dalla valutazione dell’intenzione di utilizzo di un metodo contraccettivo alla ripresa dei rapporti sessuali. Il 69,3% delle straniere e il 75,9% delle italiane dichiara questa intenzione. Le donne centro-sudamericane sono quelle maggiormente propense ad una procreazione responsabile, 85,6%. Tra i motivi per i quali non si vuole utilizzare metodi di contraccezione, solo in percentuali minori vi sono il desiderio di avere altri figli o ragioni etico/religiose/culturali. Il motivo principale è la paura o non conoscenza dei contraccettivi, straniere 20,4%, italiane 14,0%. Questi risultati trovano un ulteriore riscontro ed elementi di coerenza con quella che è la storia riproduttiva dichiarata dalle donne, in particolare per quanto riguarda il ricorso alle interruzioni volontarie di gravidanza, 16,1% delle straniere verso 5,8% delle italiane.

Tabella 47. Contraccezione (%)

Variabili Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Si aspettava questa gravidanza? Sì 73,0 75,2 70,8 55,0 70,3 78,6 No, usavo un contraccettivo 4,4 5,2 8,7 22,0 8,1 3,1 No, era un periodo non fertile 20,2 17,6 17,7 17,2 18,7 15,9 No perché sterile 2,4 2,0 2,8 5,7 2,9 2,5

È possibile rimanere incinta durante l’allattamento al seno? No 13,1 45,8 43,9 17,3 29,0 7,8

Ha ricevuto in reparto informazioni sulla contraccezione? Sì 20,0 13,2 16,4 13,9 17,1 14,3

Intende usare un contraccettivo alla ripresa dei rapporti sessuali Sì 62,5 71,7 70,3 85,6 69,3 75,9 No, vuole altri figli 7,7 4,5 7,7 2,4 6,4 7,9 No ha paura/non li conosce 26,6 21,1 16,0 9,6 20,4 14,0 No per motivi culturali/religiosi 3,3 2,8 6,0 2,4 3,8 2,2

Assistenza al rientro a casa

Una volta uscita dall’ambiente protetto della struttura assistenziale ospedaliera in cui ha partorito, la donna deve affrontare una fase nuova caratterizzata dalle cure da dedicare al proprio bambino. In questa fase diventa importante la capacità del sistema stesso di garantire continuità assistenziale al percorso nascita nel passaggio alla fase del puerperio. Diventano altrettanto importanti, specialmente per le donne straniere, la sua conoscenza e la sua capacità di cogliere le opportunità assistenziali offerte sul territorio e il divario di conoscenze e capacità tra le donne si riduce quanto più il sistema assistenziale adotta una politica di “offerta attiva”.

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Quando e da chi sono state informate le donne su come affrontare le cure del bambino al rientro a casa? Durante la gravidanza sono stati soprattutto amiche e familiari a fornire tali informazioni per il 60,5% delle straniere verso il 50,6% delle italiane (Tabella 48). Sono stati citati poi i libri/riviste (26,3% vs 43,9%) e il personale sanitario non medico (25,2% vs 43,1%). La ricerca autonoma di informazioni su libri/riviste è meno frequente tra le donne asiatiche (19,3) e africane (16,9%). Per le italiane spicca anche il ruolo dei CAN come fonte informativa citata dal 32,8% delle donne verso il 7,4% delle donne straniere. Durante la degenza sono state date informazioni in relazione alle cure del bambino al 60,9% delle straniere e al 70,3% delle italiane, mentre informazioni sui servizi assistenziali a cui rivolgersi sono state date al 49,9% delle straniere e al 46,5% delle italiane. Questi dati sono probabilmente l’espressione di un differente bisogno di informazioni tra donne straniere e italiane. Per le prime è maggiore la necessità di ricevere informazioni relative ai servizi assistenziali esistenti sul territorio piuttosto che su come prendersi cura del proprio bambino, anche perché le straniere rispetto alle italiane sono più frequentemente al secondo o terzo figlio.

Tabella 48. Informazioni (%) ricevute durante la gravidanza e in reparto per affrontare le cure del bambino al rientro a casa

Variabili Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Fonte informativa Amiche/familiari 55,7 63,9 60,8 70,7 60,5 50,6 Libri/riviste 32,6 19,3 16,9 34,1 26,3 43,9 Ostetrica/infermiera 27,6 18,8 21,4 33,2 25,2 43,1 Medico 16,7 14,1 11,7 12,9 14,4 20,0 Consultorio familiare 11,9 9,2 10,3 4,8 10,1 11,7 Altro 9,8 7,8 10,4 7,3 9,3 8,1 Can 7,5 4,0 5,9 14,4 7,4 32,8 Struttura di volontariato 1,2 0,4 0,5 5,8 1,5 0,6

Ha ricevuto informazioni in reparto sulle cure del bambino

Sì 63,4 61,0 60,5 54,1 60,9 70,3 Ha ricevuto informazioni in reparto sui servizi a cui rivolgersi

Sì 47,7 52,0 47,2 60,3 49,9 46,5

Il 48,0% delle straniere e il 51,8% delle italiane farà seguire il proprio bambino dal Pediatra di

Libera Scelta (PLS); il 30,8% e il 33,1% rispettivamente lo faranno seguire da pediatra di struttura pubblica (Tabella 49). Tra le straniere è maggiore la frequenza di donne che non hanno preso una decisione in merito, 10,9% verso il 5,1% delle italiane. Le donne asiatiche citano con maggiore frequenza il medico di famiglia, 9,6%, e il CF, 6,0%. A fronte della maggiore frequenza di donne straniere che non sanno da chi faranno seguire il proprio bambino, risulta anche una maggiore frequenza di donne che non sa di poter iscrivere il bambino al PLS, 3,4% verso 1,3% delle italiane, o che non sa a chi rivolgersi, 22,2% delle straniere verso il 13,7% delle italiane.

La quasi totalità delle donne prevede di effettuare un controllo ginecologico dopo il parto, 94,6% delle straniere e 97,9% delle italiane (Tabella 50). Gradirebbe una visita domiciliare di un’ostetrica il 73,5% delle straniere e il 75,9% delle italiane. Le asiatiche sono quelle che gradirebbero di meno, 63,8%. Non sono a conoscenza della presenza di un CF nel proprio ambito di vita il 24,7% delle straniere e il 5,7% delle italiane.

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Tabella 49. Assistenza sanitaria bambino (%)

Variabili Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Da chi farà seguire il bambino Medico di famiglia 1,7 9,6 0,9 1,9 2,8 1,1 Consultorio familiare 4,5 6,0 3,3 2,4 4,1 1,9 Pediatra libera scelta 50,1 47,4 45,8 46,9 48,0 51,8 Pediatra struttura pubblica 30,1 21,9 35,1 34,9 30,8 33,1 Pediatra struttura privata 3,0 1,2 0,9 3,3 2,2 6,3 Pediatra struttura volontariato 0,3 0,0 0,7 0,5 0,4 0,0 Nessuno 0,2 0,0 0,0 0,0 0,1 0,2 Non so 9,5 11,6 13,1 9,6 10,9 5,1 Altro 0,6 2,4 0,2 0,5 0,8 0,4

Conoscenza iscrizione PLS Sì 74,4 72,6 72,1 81,3 74,4 85,0 No, non sapevo che si potesse 3,3 4,4 2,6 4,3 3,4 1,3 No, non so a chi rivolgermi 22,3 23,0 25,3 14,4 22,2 13,7

Tabella 50. Controlli, visita domiciliare e conoscenza dei consultori familiari (%)

Variabili extra-ospedaliere e fonti informative

Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italianen. 526

Prevede di effettuare un controllo ginecologico dopo il parto

Sì 95,4 94,4 92,0 97,6 94,6 97,9 Gradirebbe visita domiciliare gratuita di un’ostetrica

Sì 77,2 63,8 72,4 75,6 73,5 75,9 È a conoscenza della presenza di CF nel proprio ambito di vita

Sì, so dove trovarli 66,5 62,7 61,2 77,0 66,3 86,3 Sì,non so dove trovarli 10,3 9,5 8,6 5,2 9,0 8,0 No 22,2 27,8 30,1 17,7 24,7 5,7

Da chi è stata informata dell’esistenza dei CF

Amiche/famiglia 50,5 54,2 53,9 63,2 53,8 61,6 Personale sanitario 20,7 15,8 21,9 15,9 19,6 23,7 Libri/riviste 6,2 4,5 5,9 5,8 5,8 22,6 Altro 6,0 3,8 4,8 3,4 5,0 9,3 Internet 4,0 1,2 2,4 2,4 2,9 11,5 CAN 2,9 1,6 2,4 2,4 2,5 16,3 Struttura volontariato 2,2 2,8 1,9 1,9 2,2 1,5

Donne dell’Est Europa e africane sono le meno informate. Come fonte informativa

sull’esistenza dei CF le straniere indicano amiche e familiari, 53,8% e a seguire il personale sanitario, 19,6%. Tali percentuali per le italiane sono rispettivamente 61,6% e 23,7%. Costituiscono una fonte informativa importante per le italiane, ma non per le straniere, i libri/riviste (5,8% vs 22,6%), internet (2,9% vs 11,5%) e i CAN (2,5% vs 16,3%).

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LE MAMME SI RACCONTANO

L’accesso ai servizi in puerperio

Le donne straniere intervistate hanno rivelato una buona conoscenza dell’iter da seguire nel periodo del puerperio: grazie alle informazioni ottenute dalle amiche e i consigli ricevuti in ospedale, sanno a chi rivolgersi per la loro salute e per quella del proprio bambino. Anche le donne più incerte si affidano molto ai suggerimenti del personale ospedaliero. C’è da notare comunque che la grande attenzione è rivolta ai neonati, molto meno alla propria salute.

Pensi di farti visitare? Sì, il dottore mi ha detto che devo fare delle visite, devo venire all’ospedale. In questo ospedale? Sì. E tu che ne pensi? Va bene. E il bambino? Sai che visite deve fare lui? L’infermiera mi ha detto che poi scrivono tutto loro. Ma tu hai un’idea? Non tanto, ma bisogna andare dal dottore. (Int 44, Filippine, 30 anni)

Ti farai visitare presto? Non ho ancora parlato con il dottore, mi dirà lui. E per quanto riguarda il bambino? Hai già un pediatra? Sì, lo porterò a quello di mia figlia, ma prima di uscire dall’ospedale mi daranno un foglio e mi diranno cosa fare nei prossimi giorni. (Int 40, Cuba, 26 anni)

Pensi di farla visitare la bambina, quando andrete a casa? Certo. Sai già a chi? Non ancora devo vedere, il pediatra. Rispetto alle cose che dovrà fare la bambina quando sarà a casa: di vaccinazioni... Non mi hanno spiegato ancora ma prima che vado via mi spiegano come hanno fatto con tutte le mamme. (Int 14, Marocco, 39 anni)

Quando uscirà di qui, pensa che farà visitare la bambina? Certo! Abbiamo già il foglio con quello che dobbiamo fare, la prima visita pediatrica, a parte che deve andare mio marito a iscriverla a ufficio... a tutto: INPS, pediatro, c’è tutta una lista lì attaccata al muro che deve fare lui, perché in questi giorni si è preso un po’ di giorni di ferie così mi viene incontro perché da sola non ce la faccio, con una bambina in giro. (Int 15, Romania, 29 anni)

E per quanto riguarda, non so, il pediatra tu sai già, ti hanno informato qui. Qua mi informeranno ancora me hanno detto. Ti han detto che ti informeranno. Sì, loro mi spiegano cosa devo fare. Dicono loro poi. Hai fiducia. E se no chiedo, io chiedo! Non hai paura a chiedere. Io, mai. E si vede, si vede. Sì ma perché, anzi se non mi dicono lo porto dal giudice! (ride) E per quanto riguarda tipo le vaccinazioni e queste cose qua, anche tu sei tranquilla di aspettare quello che dirà il tuo pediatra? Io voglio fare quello che si deve. Se il pediatra dice: “Sì devi fare questo.”, io lo vorrei fare. (Int 4, Cuba, 36 anni)

Le ostetriche ti hanno informata sulle visite da fare dopo la dimissione? Non mi hanno detto niente. Tu farai visite ginecologiche? Se c’è bisogno, ma se non ci sono problemi perché devo andare? Per dei controlli, per sapere se stai bene... Ora ho i punti, poi mi dirà il dottore. E il bambino, lo farai visitare? Lui sì. Sai a chi rivolgerti? Non ancora, poi vedrò, devo chiedere. (Int 42, Albania, 33 anni)

Ti farai visitare? Non lo so, solo se c’è bisogno lo dirò al medico. E il bambino? Sai quali vaccini deve fare? Mi dirà tutto il medico e poi si certe cose le so. (Int 35, Filippine, 29 anni)

Che visite farai fare alla bambina? Non lo so, poi mi diranno loro. Chi, i medici? Sì, chiederò a loro cosa devo fare. E tu ti farai visitare? Se è necessario sì. (Int 36, Albania, 23 anni)

Lavoro e gravidanza

Il 45,1% delle donne straniere intervistate ha dichiarato di non lavorare prima della gravidanza verso il 16,0% delle italiane (Tabella 51). Per le donne africane tale percentuale sale al 70,3%. La percentuale di donne non lavoratrici tra le straniere appare quindi particolarmente elevata. Probabilmente questo dato riflette una caratteristica del fenomeno della immigrazione femminile che è diversa da quella maschile in quanto è motivata molto spesso dal bisogno di ricongiungimento familiare.

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Tabella 51. Occupazione prima della gravidanza (in %)

Stato occupazionale Est Europan. 661

Asia

n. 252

Africa

n. 428

Centro-Sud America n. 209

Totale straniere n. 1550

Totale italiane n. 526

Sì, tempo pieno 41,8 40,2 16,4 45,2 35,0 65,4 Sì, part-time 23,4 12,9 13,4 31,3 20,0 19,6 No 34,8 47,0 70,3 23,6 45,1 16,0

Delle donne che hanno dichiarato di lavorare, la maggiore frequenza di interruzione del

lavoro per le straniere avviene entro i 3 mesi di gravidanza, 36,9%; mentre per le italiane la maggiore frequenza di interruzione avviene a 7-8 mesi, 44,5%. È alta la percentuale di donne asiatiche che continuano a lavorare fino alla fine della gravidanza, 12,1% a 9 mesi.

Il motivo principale per il quale la donna ha smesso di lavorare è stato il termine di legge per il 21,9% delle straniere e il 37,0% delle italiane (Tabella 52). Rispetto alle italiane, le donne straniere citano con maggiore frequenza la stanchezza (21,9% vs 11,9%) e “per prepararsi” al parto (14,9% vs 9,6%). Questo dato può essere in parte l’espressione di condizioni di vita in generale per le straniere più disagiate e con meno supporto anche familiare che implicano quindi la necessità di un maggiore sforzo organizzativo. È alta la percentuale di donne che dichiara di essere stata licenziata tra le africane, 7,1% e tra le sud-americane, 8,8%.

Tabella 52. Se lavorava prima, mese di gravidanza di interruzione lavoro e motivo (%)

Periodo e motivo fine lavoro Est Europan. 427

Asia

n. 131

Africa

n. 124

Centro-Sud America n. 158

Totale straniere

n. 840

Totale italianen. 438

Quando ha smesso ≤3 mesi 39,2 16,7 48,8 38,4 36,9 28,5 4-6 mesi 24,7 25,8 28,0 22,0 24,9 18,3 7-8 mesi 31,0 45,5 18,4 35,9 32,3 44,5 9 mesi 5,1 12,1 4,8 3,8 5,9 8,7

Motivo principale Termine di legge 20,1 31,1 17,3 23,1 21,9 37,0 Malattia 20,1 5,3 15,0 19,4 16,9 16,7 Stanchezza 19,6 24,2 30,7 19,4 21,9 11,9 Licenziata 3,3 1,5 7,1 8,8 4,6 0,9 Per prepararmi 14,7 25,0 9,4 11,3 14,9 9,6 Altro 22,4 12,9 20,5 18,1 19,8 24,0

Non ha intenzione di riprendere a lavorare il 29,7% delle donne straniere vs il 12,6% delle

italiane; non sa se riprenderà il 17,3% delle straniere e l’11,3% delle italiane (Tabella 53). Le donne africane sono quelle più decise a non riprendere a lavorare, 42,3% al contrario delle donne sud-americane per le quali tale percentuale è pari al 16,8%.

Delle donne che riprenderanno a lavorare, il 32,3% delle straniere e il 57,0% delle italiane affiderà il bambino a familiari presenti in Italia; il 27,6% e il 19,1% rispettivamente lo affideranno al nido pubblico. Tra le asiatiche sono alte le percentuali di donne che faranno accudire il bambino da familiari all’estero,8,2% e che porteranno il bambino con se al lavoro, 23,1%. I diritti legali delle donne lavoratrici relativamente ad una gravidanza sono conosciuti dal 43,5% delle donne straniere verso l’83,6% delle donne italiane. Tale conoscenza risulta particolarmente bassa per le donne africane, 29,2%.

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Tabella 53. Ripresa del lavoro, accudimento bambino, conoscenza diritti (%)

Variabili Est Europa

Asia

Africa

Centro-Sud America

Totale straniere

Totale italiane

Intende riprendere il lavoro Sì, tempo pieno 22,6 34,9 13,7 24,9 22,5 42,3 Sì, part-time 35,1 18,9 23,9 44,0 30,6 33,7 No 24,9 31,3 42,3 16,8 29,7 12,6 Non so 17,4 14,9 20,1 14,4 17,3 11,3

Se sì, chi accudirà bambino Familiari Italia 38,2 29,1 22,1 31,3 32,3 57,0 Familiari estero 3,0 8,2 5,2 0,0 3,7 0,3 Baby-sitter 3,8 11,2 11,0 5,6 6,7 5,1 Amici 1,4 0,7 3,2 4,9 2,2 0,0 Nido pubblico 31,4 10,5 36,4 24,3 27,6 19,1 Nido privato 5,7 2,2 1,9 2,1 3,7 8,1 Con sé al lavoro 2,2 23,1 1,3 9,0 6,7 4,8 Struttura volontariato 0,3 0,0 0,0 0,0 0,1 0,0 Non so 14,1 14,9 18,8 22,9 16,7 5,6

Conosce la legge sui diritti delle donne lavoratrici in gravidanza e puerperio

Sì 48,8 43,6 29,2 55,8 43,5 83,6

LE MAMME SI RACCONTANO

L’organizzazione del rientro a casa

Alla domanda su come immaginano il rientro a casa e il periodo che segue il parto, emergono due diversi profili di madri: chi è più serena, che vive questo periodo con naturalezza e tranquillità, e chi invece manifesta preoccupazioni legate alla gestione dei figli. Ai fini del nostro studio, è importante ascoltare le donne quando esprimono le preoccupazioni legate alla condizione di immigrate: la mancanza di supporto, dovuta alla lontananza della famiglia di origine, la solitudine durante la giornata, la necessità di lasciare i bambini molto piccoli per esigenze lavorative.

Come si sente quando pensa ai giorni prossimi? Serena, perché qui m’ha imparato a tenerlo al seno, ho imparato a mettere il pannolino e c’avevo paura perché è piccolo; quando mi ha detto a mettere il pannolino ha detto: "Ma come si fa? a me sembra piccolo ancora". E loro mi hanno spiegato, mi hanno fatto vedere mi hanno imparato e sono contenta. Va a casa tranquilla? Proprio tranquilla. Come deve trascorrere questo periodo a casa? Cosa farà? Stare con lui a giocare, passeggiare, andare in giro con lui. C’è qualcosa che deve o non deve fare in questo periodo, qualche tradizione? A non uscire per 40 giorni perché non è battezzato il bambino, come si dice, tradizione ma …(alza le spalle) a me non importa tanto. Deve essere lui sano e basta. (Int 16, Romania, 24 anni)

Quando pensi di riprendere (a lavorare)? La signora mi ha detto che devo cominciare dopo tre mesi, non lo so forse vado prima, posso portare il bambino con me ma poi deve andare all’asilo. Sai già a che asilo? Li conosci? Devo decidere, ho visto qualcuno. Tuo marito ti aiuterà con lui? La mamma pensa al bambino, lui è contento. Cosa farai in questo periodo di riposo a casa? Normale, la mamma, devo pensare al bambino, poi quando vado a lavorare e lui all’asilo lo vedo poco. (Int 44, Filippine, 30 anni)

Io ho l’attenzione di rimanere a casa un anno per la mia bambina. Con il lavoro?... come pensi di fare? Ma dicono che ti pagano poco... però penso la bambina è prima del pagare. Una scelta di mantenere maternità fino a un anno… Sì sì, se legge permette per quello, va bene per la bambina. (Int 14, Marocco, 39 anni)

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È spaventata dal rientro a casa? Un po’. Spero mio marito mi aiuti. In Romania la mamma ti aiuta. Se arriva mi aiuta. Ma poi sono senza. Spero mio marito mi aiuti. E non si arrabbi se la bambina piange e non dorme. (Int 18, Romania, 23 anni)

Sei contenta, hai qualche preoccupazione Sei una mamma molto giovane, straniera... Come ti senti? Spero di farcela con la bambina. Il fatto di vivere con il tuo ragazzo e i tuoi genitori, ti dà forza o preferiresti stare per conto tuo? No. Mi dà forza. Durante la giornata, starai sola o ci sarà qualcuno? No, ancora non lo so. Lavorano tutti. E le tue amiche? No, loro non possono venire. Allora starai un po’ sola. Questo ti mette paura o starai tranquilla? No, mi mette paura. Non so se ce la farò, ma io lo spero. Di che hai paura? Paure stupide. Che se lei piange, mi dispero e non so come farla smettere. Sta tranquilla, basta che l’abbracci. Comunque tuo marito lo puoi contattare? Sì sì. (Int 33, Ecuador, 20 anni)

Tu quando esci? Non lo so. Magari domani. Come ti senti? Hai qualche preoccupazione? Si, certo perché adesso restiamo solo noi due. Il papà lavora, torna la sera. Le tue sensazioni come sono? Forse mi potrà mancare qualcosa per portarla avanti sta bambina. Cosa? Non lo so. Diciamo la maniera di come capire questa bambina. A volte ci sono delle cose che non le capisci… È una cosa diciamo della natura. Però vorrei proprio capire, tu, donna peruviana in Italia, secondo te, c’è qualche preoccupazione in più? Per potermi sistemare magari, per l’orario di lavoro. Perché devo continuare a lavorare. La mia preoccupazione è inserire la bambina all’asilo nido. Mi sono informata di un po’ di cose. (Int 29, Perù, 40 anni)

Perché sei preoccupata? Cos’è che ti dà preoccupazione? Nessuno da aiutare. Non c’è nessuno ad aiutarti. Amiche? C’è, ma tutte andate a lavorare. Tutte a lavorare? Sì, a lavorare. Cioè sei proprio sola sola? Sì, c’è sorelle mio marito, però loro lavorare. Finito alle sei di pomeriggio e viene a casa alle sette, sette e mezzo. Chi tua cognata, o tuo marito? Anche mio marito. Vengono a quell’ora? Sì. Cioè tu pensi di stare con qualcuno, solo verso le sette? Sì. (Int 32, Sri Lanka, 25 anni)

Nei prossimi giorni ritornerà a casa con il suo bambino... È serena di ritornare a casa? Sì... E come pensa di organizzarsi anche con l’altra bambina?... Ha qualche aiuto? Mio marito... E oltre a lui? Qualche amica? Parente? Nesuno... mia famiglia in Marocco... qui sola... Vorrebbe qualche aiuto in più…? Sì… ma no puoi. In Marocco ci si aiuta tra donne, vero? Sì… ma qui sola… solo mio marito. Non ha delle amiche che possono aiutarla un po’? Tutte sole co’ bambini… (Int 20, Marocco, 27 anni)

Si sente abbastanza serena rispetto a questo momento? Mi sento serena però io sono un tipo che mi preoccupo subito di qualsiasi cosa, nel senso che "Ce la farò a fare la mamma brava (sottolinea brava)? A non stare sempre lì attaccata al figlio, a lasciarlo respirare, all’educazione?" Penso al suo futuro... però mi metto sempre la domanda "Ce la farò a fare la mamma brava?" La domanda di tutte le mamme... Sì, sì, sì...(ride) Rispetto alla sua cultura, ha qualche idea rispetto a questo periodo? Deve riposarsi, deve stare più tranquilla...? Posso fare tutto quello che devo fare, anche perché i miei genitori non sono qua vicino, i suoi neanche, siamo tutti e due quindi ci dobbiamo aggiustare (ride). Non mi permetto di far dare una mano da qualcuno, mia sorella abita in Veneto... Per adesso abbiamo pensato di iscriverla subito all’asilo perché se un domani devo riprendere a lavorare, come faccio? Da un’altra parte penso che devo aspettare ancora un pochettino, perché la bambina ha 8-9 mesi, così, perché, andando all’asilo, pago un casino di soldi, si paga un casino di soldi, quindi non so se mi conviene. Tanto tre mesi di maternità li ho e poi… Poi può prolungare eventualmente… Speriamo solo di farcela. Un po’ di soldini per i giorni più difficili li abbiamo messi da parte, però non si sa mai cosa succede il giorno dopo! (ride) (Int 15, Romania, 29 anni)

Lavori su turni? Sì, io lavoro su turni. Qua è anche un altro problema, adesso non so se più avanti forse lo risolvo, se mi danno un altro orario. Perché come faccio: sei fino alle dieci di notte con la bimba piccola è un po’ un problema questa cosa. Ma a casa c’è tuo marito? Comunque a casa mi danno… ci sono i miei suoceri... Loro sono qua, mi danno una mano. (Int 7, Albania, 24 anni)

Quanto vuoi stare a casa con la bambina? Tre o quattro mesi. Dopo tre o quattro mesi secondo te puoi già iniziare a lavorare metterla in questo asilo nido? Sì perché io faccio sempre otto ore, sette, al giorno e così se sta al nido dalle nove alle quattro alle cinque va benissimo. L’asilo nido lo conosci o lo conoscono alla cooperativa? Sì, io lo conoscevo già. Come mai lo conoscevi già? Sai, le donne, una spiega all’altra, dato che quello dato che l’altro, sono andata. (Int 17, Marocco, 43 anni)

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Conclusioni

L’indagine qui descritta rappresenta, per ampiezza dei temi trattati, per numerosità dei soggetti intervistati e per livello della copertura territoriale, il primo studio sul percorso nascita effettuato specificamente sulle donne straniere. Il fenomeno della immigrazione femminile è in costante evoluzione e il suo peso nell’ambito dell’assistenza al percorso nascita è rilevante se si considera che la maggioranza delle donne immigrate è in età riproduttiva e che la causa principale per la quale si trovano in Italia è il ricongiungimento familiare, cioè il perseguimento di un progetto di vita familiare. Per l’anno 2007 dall’analisi dei Certificati di Assistenza al Parto (CeDAP) si è stimato che il 15,9% dei parti è relativo a cittadine straniere (14). La presenza di vari aspetti sociali, economici e culturali specifici per le diverse aree geografiche di provenienza delle donne straniere presenti in Italia giustificano una valutazione comparativa del percorso nascita anche rispetto alle donne italiane. Da un punto di vista socio-demografico le partorienti straniere rispetto alle italiane sono più giovani e con più figli e hanno un livello di istruzione più basso, anche se una buona quota (16,7%) ha un livello di istruzione elevato avendo effettuato almeno 16 anni di studio. Inoltre poco più della metà di loro dichiara di avere un’occupazione, meno delle italiane quindi. Circa un terzo delle donne straniere intervistate ha una conoscenza scarsa o nulla della lingua italiana ma sono soprattutto le donne provenienti dalle aree asiatica e africana ad avere problemi di comunicazione. Lo stato di salute generale delle donne straniere durante la gravidanza appare simile a quello delle italiane tranne che per una maggiore presenza di problemi di anemia e di infezioni delle vie urinarie, soprattutto tra le donne africane e sud-americane, confermando quanto già rilevato in indagini precedenti (15). Per quanto riguarda i vari aspetti legati alla prevenzione e cioè vaccinazioni effettuate nel corso della vita e test e screening effettuati in gravidanza, appare evidente come le straniere siano poco informate, subiscano quindi passivamente le decisioni di carattere assistenziale preventivo e non vengano messe nelle condizioni di partecipare ad una scelta consapevole, soprattutto quando sono possibili più soluzioni alternative.

Fondamentalmente da questa indagine emerge come, a fronte di una assistenza ospedaliera tendenzialmente omogenea per cittadinanza, si differenzi invece l’assistenza extra-ospedaliera cioè quella in gravidanza e nel post-partum, come si evidenzia osservando i principali indicatori di processo. Le donne che effettuano la prima visita oltre il terzo mese di gravidanza, mettendo così in luce la presenza di una prima criticità nel percorso assistenziale, sono il 12,8% delle straniere e il 5,4% delle italiane. Questi valori non sono molto diversi da quelli rilevati dall’analisi dei CeDAP del 2007, straniere 16,2%, italiane 3,6% (14). È importante sottolineare come tra i fattori associati con l’effettuazione della prima visita oltre il terzo mese di gravidanza vi sia la mancanza del permesso di soggiorno. Condizioni di svantaggio e di disagio sociale si riflettono immediatamente quindi nella capacità o possibilità di usufruire delle opportunità assistenziali esistenti. Altro aspetto messo in evidenza dalle interviste approfondite, è una specificità delle donne rom che, per cultura e tradizione, non ritengono necessarie le visite prenatali, considerando la gravidanza un evento naturale che deve seguire il suo corso. Tutto questo ripropone per i servizi assistenziali l’importanza di lavorare nell’ottica dell’offerta attiva con particolare attenzione agli aspetti della comunicazione e dell’informazione. Uno dei più importanti indicatori di appropriatezza dell’assistenza alla gravidanza è costituito dal numero di ecografie effettuate. Il Ministero della Salute ne indica 3 come numero adeguato per una gravidanza non a rischio, e sono 3 quelle che vengono offerte gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale a tutte le donne che affrontano una gravidanza (16). La Linea Guida sulla gravidanza fisiologica prodotta recentemente ne raccomanda invece 2 (17). I risultati mostrano come si sia molto lontani dai valori raccomandati. Il numero medio di ecografie effettuate in gravidanza risulta per le straniere inferiore rispetto alle italiane, 4,6 verso 6,5. Questi valori

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diversi, si spiegano probabilmente con la diversa tipologia di assistenza ricevuta. In particolare, ben il 34,3% delle straniere verso il 6,3% delle italiane è stata seguita da un CF a fronte di un 23,6% verso il 76,8% seguita da ginecologo privato. Un altro indicatore che mostra un diverso livello assistenziale tra straniere e italiane è rappresentato dal ricorso alle tecniche di diagnosi prenatale. Questo indicatore, infatti, risulta decisamente più basso nelle straniere per tutte le tecniche considerate. Se leggiamo questo dato insieme con quello relativo agli esiti del parto, cioè maggiore prevalenza di nati pretermine tra le straniere, di nati con basso peso e di punteggio Apgar a 5’ <8, si delinea meglio un’area di criticità rappresentata appunto dall’assistenza prenatale.

Uno degli indicatori più importanti per valutare la qualità dell’assistenza in gravidanza è la prevalenza di donne che hanno partecipato ad un corso di accompagnamento alla nascita. La partecipazione ai CAN è stata identificata nel POMI, come un obiettivo operativo specifico nell’ottica dell’empowerment della donna e, più in generale del raggiungimento degli obiettivi di promozione della salute. Attraverso una offerta attiva dei CAN è possibile ridurre le disuguaglianze sociali nell’assistenza dovute alle maggiori difficoltà che le categorie di donne più svantaggiate, come sono le donne straniere provenienti dalle aree geografiche ad economia meno avanzata, incontrano nel cogliere le opportunità assistenziali esistenti. Questo indicatore è forse quello più sensibile alle disuguaglianze sociali. Solo il 14,8% delle donne straniere ha partecipato ad un CAN durante l’attuale gravidanza verso il 43,2% delle italiane. Da notare che anche tra le donne italiane il basso livello di istruzione e lo stato di non occupata sono associati a una minore partecipazione ai CAN, come rilevato in altre indagine (1, 9), dal che si può dedurre che è il disagio sociale ad essere associato a peggiori indicatori di salute e la condizione di immigrata è una delle caratteristiche del disagio, rispetto al quale il servizio sanitario pubblico ha una assoluta obbligazione, che ne giustifica l’esistenza: ridurre gli effetti sulla salute delle diseguaglianze sociali.

Le ragioni di queste differenze sono da ricercare in buona parte nelle difficoltà di comunicazione e nella difficoltà di riuscire a conciliare l’impegno di partecipare ad un corso con le proprie esigenze di vita e con quelle lavorative. Ma a queste ragioni bisogna aggiungere anche una reale minore conoscenza dei servizi esistenti sul territorio e dei percorsi di accesso. Emerge l’opportunità che gli operatori sanitari dedichino una maggiore attenzione nel soddisfare potenziali bisogni conoscitivi della donna, in particolare quella straniera, anche se non esplicitamente espressi; non a caso la fonte informativa più citata è tendenzialmente la famiglia o gli amici.

Il principale indicatore di risultato del percorso nascita e cioè la prevalenza di parti con taglio cesareo ha un valore simile per straniere e italiane, 27,3% e 26,7% rispettivamente ed è al di sotto del valore stimato dall’analisi dei CeDAP pari al 34,3% solo per gli ospedali pubblici. Sempre dall’analisi dei CeDAP si è inoltre stimato che per le donne straniere il ricorso al TC è minore che per le italiane e pari al 27,8% verso il 39,3%. Quindi viene confermato il dato delle straniere mentre per le italiane la nostra indagine registra un valore più basso. Va ricordato però che l’indagine è stata condotta in punti nascita selezionati per l’alto numero di donne straniere che vi afferiscono, presenti prevalentemente al Nord dove il ricorso al TC è molto più contenuto rispetto al Centro e soprattutto al Sud, quindi non sono necessariamente rappresentativi dell’assistenza pubblica sull’intero territorio italiano. Nonostante il ricorso al parto con taglio cesareo sia inferiore rispetto a quanto rilevato a livello nazionale, va sottolineato come sia comunque molto superiore rispetto alla percentuale che rappresenta il valore appropriato (15-20%) secondo varie istituzioni (18, 19). A tal proposito è stata recentemente prodotta la Linea Guida sul Taglio Cesareo come scelta appropriata e consapevole (20). Tendenzialmente gli indicatori di assistenza ospedaliera sono simili tra straniere e italiane; anche per l’assistenza ospedaliera però, così come per gli aspetti che riguardano l’assistenza ricevuta in gravidanza, si

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rileva una minore conoscenza da parte delle donne straniere delle pratiche cui sono state sottoposte. Ad esempio, più delle italiane le donne straniere non sanno se il travaglio è stato indotto o se è stata praticata l’episiotomia.

Per quanto riguarda gli altri indicatori assistenziali ospedalieri, in particolare quelli predisponenti l’allattamento al seno, secondo quanto pubblicato congiuntamente dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e UNICEF (United Nations Children’s Fund) (21), si rilevano valori simili per cittadinanza ma comunque più bassi rispetto ai livelli ottimali, mettendo in evidenza un aspetto dell’assistenza migliorabile ma che non rappresenta una criticità specifica per le donne straniere.

L’allattamento esclusivo al seno fino ad almeno 6 mesi di vita del bambino costituisce un obiettivo di primaria importanza di salute pubblica, come indicato dal Ministero della Salute (22), e viste le evidenze scientifiche sulle implicazioni che tale pratica ha in termini di salute sia del bambino che della madre (23). La maggioranza delle donne straniere e italiane, più dell’80%, entro pochi giorni dal parto, dichiara di allattare al seno in modo completo e, anche se in generale non ci sono differenze per cittadinanza, si rileva però una specificità delle donne asiatiche per l’alta percentuale di donne che allatta in modo artificiale, 11,9%. Come già osservato in altre sedi, questo dato può trovare una spiegazione nell’ambito di una scelta di tipo socio-culturale, la popolazione cinese, infatti, sembra preferire far crescere i propri figli, da appena nati, nel Paese di origine con nonni e/o parenti rimasti a casa. Si preferisce quindi distaccare subito la madre dal bambino, il che, paradossalmente, mostra quanto sia importante per la relazione l’allattamento al seno (24).

Un aspetto che emerge in modo abbastanza costante sui vari argomenti trattati per le straniere, è la carenza di informazioni ricevute da personale/strutture sanitarie assistenziali. Molto spesso, infatti, alla domanda da chi abbiano ricevuto informazioni su aspetti specifici legati al percorso nascita, sono indicati soprattutto gli amici e i familiari. Questo dato emerge chiaramente anche dalle interviste approfondite attraverso le quali si evince che c’è una ulteriore fonte informativa personale che è il datore di lavoro. L’esperienza di una gravidanza e di un parto mette la donna in contatto con il sistema assistenziale in vari momenti e sedi ma spesso questo contatto, in particolare per le donne straniere, si configura certamente come un intervento assistenziale ma anche come una mancata occasione per fornire attivamente informazioni e attivare così processi di empowerment. Non solo quindi carenza di informazioni sugli interventi/analisi cui sono state sottoposte nella struttura ospedaliera come già detto sopra, ma anche sui diritti delle donne in gravidanza e nel puerperio, sulla presenza di strutture assistenziali sul territorio, sull’allattamento al seno, sulla contraccezione, su come affrontare il rientro a casa, confermando bisogni e criticità già rilevati in altre indagini (7-11). Una considerazione particolare va fatta per quanto riguarda l’importanza di ricevere una adeguata informazione sulla contraccezione. È questo un tema che è stato molto approfondito in passato e di cui si è sempre ribadita l’importanza e l’efficacia nel prevenire eventi traumatici come l’interruzione volontaria di gravidanza (25). Da questa indagine è emerso come le donne straniere rispetto alle italiane, siano ricorse in passato più frequentemente all’interruzione volontaria di gravidanza, come più frequentemente abbiano fallito l’uso di un metodo contraccettivo, come alla ripresa dei rapporti sessuali intendano usare di meno un metodo di procreazione responsabile e come sia alta la percentuale di donne che giustifica tale scelta con la non conoscenza dei metodi e/o con la paura. Solo una minima parte dichiara di non volerli usare per motivi religiosi-culturali. Tutto questo esprime un chiaro bisogno di informazioni e uno spazio enorme di miglioramento e di promozione della salute e il sistema assistenziale dovrebbe guardare al percorso nascita come una grande opportunità per dare una risposta a questo bisogno.

Il miglioramento dell’assistenza al percorso nascita delle donne che affrontano una gravidanza e più specificamente delle donne straniere può passare attraverso una organizzazione dei servizi che garantisca una continuità assistenziale soprattutto nel servizio pubblico. Una

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delle cause di disagio emersa dalle interviste, in particolare per donne che si sono rivolte in prima istanza ad un CF, è stato il dover far riferimento a operatori sanitari ogni volta diversi anche se appartenenti alla stessa struttura. Emerge quindi il bisogno di una figura professionale di riferimento costante o quantomeno di una continuità della presa in carico durante il percorso assistenziale come viene garantita nell’assistenza privata.

Gli strumenti e gli interventi che possono aiutare nel migliorare l’assistenza al percorso nascita delle donne straniere e che possono agire nel senso del superamento delle disuguaglianze nell’assistenza dovute alle maggiori difficoltà economiche, di comunicazione, di tempo incontrate dalle donne straniere sono dunque sintetizzabili nei seguenti punti:

la presa in carico globale della donna in gravidanza e fino al puerperio da parte del sistema assistenziale non come atto di passivo affidamento ma sempre in un’ottica di attivazione dei processi di empowerment;

il potenziamento dei servizi assistenziali pre- e post-partum con una struttura organizzativa flessibile che vada incontro alle esigenze delle donne straniere in particolare in termini di giorni e orari di apertura e garantendo sempre la presenza di personale assistenziale femminile;

un’adeguata formazione del personale con particolare attenzione agli aspetti dell’informazione e della comunicazione che metta in grado di lavorare nell’ottica “dell’offerta attiva”;

la presenza di mediatori culturali che permettano di superare le difficoltà di comunicazione e di comprendere e superare difficoltà legate ad aspetti di tipo religioso-culturale;

la riflessione costante sui possibili effetti negativi del disagio sociale, che riguardi le italiane o le straniere non fa differenza (la condizione di straniere può essere assunta come cartina di tornasole), testimonianti difetti programmatori, operativi ed esecutivi del servizio sanitario pubblico.

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10. Loghi M, D’Enrico A, Spinelli A. Abortività volontaria da donne straniere. In: Rapporto Osservasalute 2008. Milano: Prex S.p.A.; 2008. p. 288-292.

11. Spinelli A, Forcella E, Di Rollo S, Grandolfo ME. L’interruzione volontaria di gravidanza tra le donne straniere in Italia. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2006. (Rapporti ISTISAN 06/17).

12. Istituto Nazionale di Statistica. La popolazione straniera residente in Italia al 1° gennaio 2009. Statistiche in breve. Roma: ISTAT; 8 ottobre 2009. Disponibile all’indirizzo: http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20091008_00/ ultima consultazione 15/03/2011.

13. Taruscio D, Morciano C. Strategie di prevenzione primaria di difetti congeniti mediante acido folico: un workshop presso l’Istituto Superiore di Sanità. Not Ist Super Sanità 2006;19(1):9-10.

14. Boldrini R, Di Cesare M, Tamburini C (Ed.). Certificato di Assistenza al Parto (CeDAP). Analisi dell’evento nascita - Anno 2007. Roma: Ministero della Salute. 2010. Disponibile all’indirizzo: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1338_allegato.pdf. Ultima consultazione 15/03/2011.

15. Medda E, Spinelli A. La salute riproduttiva: nati vivi, interruzioni volontarie di gravidanza e aborti spontanei. In: Baglio G, Cacciano L, Materia E, Guasticchi G. (Ed.). Rapporto sull’assistenza ospedaliera a cittadini stranieri nel Lazio. Anno 2000. Roma: Monografie Agenzia di Sanità Pubblica della Regione Lazio;2002. p. 35-53.

16. Ministero della Sanità. Decreto ministeriale 10/09/1998, aggiornamento del decreto ministeriale 06/03/1995 concernente l’aggiornamento del decreto ministeriale 14/04/1984 recante i protocolli di accesso agli esami di laboratorio e di diagnostica strumentale per le donne in stato di gravidanza ed a tutela della maternità. Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 245 del 20/10/1998.

17. SNLG-ISS. Gravidanza fisiologica. Linea guida 20. Roma: Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Centro per la valutazione dell’efficacia dell’assistenza sanitaria; 2010. Disponibile all’indirizzo: http://www.snlg-iss.it./lgn_gravidanza_fisiologica_2010; ultima consultazione 15/03/2011.

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19. Fortino A, Lispi L, D’Ippolito F, Ascone G. L’eccessivo ricorso al taglio cesareo – analisi dei dati italiani. Roma: Ministero della Sanità; 2002. Disponibile all’indirizzo: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_ pubblicazioni_1000_allegato.pdf; ultima consultazione 15/03/2011.

20. SNLG-ISS. Taglio cesareo: una scelta appropriata e consapevole. Linea guida 19. Roma: Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità; 2010; Disponibile all’indirizzo: http://www.snlg-iss.it./lgn_taglio_cesareo_assistenza_donne; ultima consultazione 15/03/2011.

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24. Pittau F, Di Sciullo L, Ricci A. L’immigrazione cinese nell’era della globalizzazione. La presenza in Italia e nell’area romano-laziale. In: Geraci S, Maisano B. (Ed.). Una porta aperta. La salute come occasione d’incontro con la comunità cinese. Bologna:Lombar Key; 2010.

25. Grandolfo ME, Spinelli A, Donati S, Pediconi M, Timperi F, Stazi MA, Andreozzi S, Greco V, Medda E, Lauria L. Epidemiologia dell’interruzione volontaria di gravidanza in Italia e possibilità di prevenzione. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 1991 (Rapporti ISTISAN 91/25).

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ATTIVITÀ DEI CENTRI NASCITA PARTECIPANTI ALLE INDAGINI

Gruppo di lavoro sul percorso nascita tra le donne straniere (a), Laura Lauria (b), Sonia Rubimarca (b), Manuela Andreozzi (b), Marta Buoncristiano (b), Sabrina Senatore (b) (a) I componenti del gruppo di lavoro sono elencati in Appendice B (b) Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto Superiore di

Sanità, Roma In questo capitolo viene data una sintesi descrittiva dell’attività e dell’organizzazione dei

singoli centri nascita che hanno partecipato alle indagini del 2009, con particolare riferimento ai servizi dedicati alle donne straniere. In Allegato si riportano per ciascun centro e per cittadinanza i principali indicatori socio-demografici e di assistenza al percorso nascita rilevati nell’indagine quantitativa.

Ospedale Maria Vittoria, Torino

Nel corso del 2010 sono stati seguiti 1721 parti di cui 1016 riferiti a donne italiane e 705 a donne straniere.

Nel centro nascita non sono stati attivati sevizi specifici per le donne immigrate. Mediatori culturali sono presenti solo se contattati dalla struttura complessa.

L’équipe per l’assistenza al parto è costituita dalle seguenti figure professionali: ostetrica, medico ginecologo, Operatore Socio Sanitario (OSS).

Sulla base dei bisogni formativi del personale vengono organizzati corsi di aggiornamento a carico del Dipartimento aziendale materno infantile.

Si organizzano corsi di accompagnamento alla nascita tenuti dall’ostetrica e dalle operatrici del nido per quanto concerne la salute del neonato. I corsi prevedono 6 incontri della durata di un paio di ore ciascuno, rivolti solo alla gestante. Ai corsi di accompagnamento alla nascita partecipano anche donne straniere che possiedono una discreta conoscenza della lingua. Non sono previsti servizi dedicati alle straniere.

Dall’ottobre 2009 è a disposizione di tutte le donne in gravidanza del Piemonte l’agenda di gravidanza. L’agenda, disponibile sul sito http://www.regione.piemonte.it/sanita/cms/ pubblicazioni/category/12-agenda-di-gravidanza.html, permette una continuità assistenziale tra territorio (consultori familiari che seguono la gravidanza) e punto nascita. A 36-37 settimane di gravidanza, il consultorio prenota presso il punto nascita il bilancio di salute (valutazione del decorso della gravidanza, compilazione della cartella clinica e richiesta di eventuali esami mancanti ai fini del parto), primo contatto della donna con il punto nascita stesso.

Sul sito sopra citato, è presente una versione dell’agenda tradotta in varie lingue (al momento arabo, rumeno, spagnolo, francese) che viene utilizzata dagli operatori per garantire informazioni precise alle donne straniere durante la gravidanza e dopo.

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Ospedale Pesenti Fenaroli, Alzano Lombardo (Bergamo)

Nel corso del 2009 sono stati seguiti 1145 parti di cui 237 (20,7%) di donne immigrate. In caso di necessità viene garantita la presenza di intermediatori culturali sia per le pazienti

ambulatoriali sia per le gravide ricoverate. Presso l’Unità Operativa Complessa (UOC) di Ginecologia e Ostetricia dell’Ospedale

Alzano Lombardo è attivo già da qualche anno l’Ambulatorio ostetrico-ginecologico, gratuito, aperto anche alle immigrate, a cui accedono per appuntamento le donne che lo richiedono o che vi vengono indirizzate per la gestione della gravidanza dopo un primo accesso in Pronto Soccorso.

Il percorso di accompagnamento alla nascita delle donne immigrate è discreto, sia perché è buona la loro integrazione con il tessuto sociale ed economico della nostra provincia sia per la loro disponibilità ad effettuare con regolare frequenza visite e controlli.

Nel 2004 abbiamo stampato un manuale informativo sulla gravidanza e il parto nelle lingue più diffuse nel nostro bacino di utenza correlato da una ricca iconografia esplicativa.

Nel 2006 abbiamo organizzato un convegno sui temi sociali e medici delle gravide immigrate intitolato “ Il sorgere dell’onda” a cui hanno partecipato anche i responsabili dei Consultori Familiari di zona.

Alla dimissione della mamma e del bambino vengono date, come per le italiane e compatibilmente con la loro capacità di comprensione, tutte le notizie utili e il percorso da seguire per le ulteriori visite di controllo, anche per l’allattamento.

Spedali Civili, Brescia

L’Azienda Spedali Civili di Brescia è un centro Ostetrico Ginecologico e Pediatrico di III livello e sede della Clinica Ostetrica Ginecologica dell’Università degli Studi di Brescia, nonché ente accreditato con il Corso di Laurea in Ostetricia. Nel corso del 2009 sono stati seguiti 3939 parti di cui 3197 riferiti a donne italiane e 742 (19%) riferiti a donne straniere.

Presso il punto nascita viene assicurata la presenza di mediatori/mediatrici linguistico-culturali, su richiesta, in particolare durante l’accettazione, al momento del parto, nel puerperio o nel caso della compilazione dell’attestazione di nascita e riconoscimento del bambino secondo le normative vigenti. I mediatori culturali sono garantiti dal Servizio di Assistenza Sociale dell’Ospedale.

Un’importante risorsa sono le studentesse straniere del corso di laurea in ostetricia provenienti da diversi Paesi (Africa, Asia, Est Europa) le quali garantiscono una comunicazione efficace con le gravide ricoverate. Le studentesse nel corso di studi vengono formate nella presa in carico della gravida/partoriente/puerpera straniera e dei loro bambini secondo un approccio olistico delle cure.

Sono a disposizione delle donne straniere, una serie di brochure tradotte in diverse lingue: inglese, francese, arabo e cinese, per poterle facilitare nella comprensione delle procedure necessarie al riconoscimento del bambino nel nostro Paese

L’azienda di appartenenza, nel corso degli ultimi anni, si è impegnata attivamente nella organizzazione dei Corsi di formazione/aggiornamento del personale ostetrico su tematiche specifiche.

Il percorso specifico di accompagnamento alla nascita delle donne immigrate non è attivo all’interno della struttura ospedaliera ma è disponibile sul territorio grazie ad una importante

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rete di servizi socio-sanitari in cui è previsto un servizio particolarmente attivo oramai da anni e dove le ostetriche territoriali svolgono un importante ruolo. I Corsi di accompagnamento alla nascita sono organizzati in modo da sostenere la donna/coppia in tutto il periodo prima e dopo la nascita.

Nel territorio bresciano è attiva da anni una rete consultoriale molto efficiente, composta da strutture pubbliche e private, a cui afferisce gran parte della popolazione straniera; in particolare viene garantita la sorveglianza materno/fetale prenatale, l’assistenza domiciliare da parte del personale socio-sanitario in particolare dalle ostetriche per la presa in carico della madre e del bambino dopo la nascita. Tale organizzazione è garantita da una oramai consolidata collaborazione sinergica tra ospedale e territorio attraverso il modello di “dimissione protetta” che include anche le cure rivolte alle puerpere straniere.

Ospedale Vittore Buzzi, Milano

L’Ospedale Vittore Buzzi di Milano, Presidio Ospedaliero degli Istituti Clinici di Perfezionamento (ICP), è un centro Ostetrico Ginecologico e Pediatrico di III livello.

L’Ospedale è da lungo tempo impegnato nel migliorare l’accesso delle pazienti straniere alla struttura e nel fornire sempre più servizi che vengano incontro alle diverse culture e sensibilità. Nel 2009 i parti di donne straniere sono stati: 890 su un totale di 3531, che corrisponde al 25,2%.

All’Ospedale V. Buzzi, data la sua collocazione limitrofa al quartiere cinese di Milano, i parti di pazienti cinesi sono stati: 205, il 5,8% del totale delle nascite; le donne cinesi rappresentano, quindi, il 23,0% dei parti delle donne straniere avvenuti nella nostra struttura nel 2009.

Nel servizio di Ostetricia Ginecologia è garantita 3 giorni alla settimana la presenza della mediatrice culturale di lingua cinese. Per 2 giorni alla settimana: giovedì-venerdì mattina dalle 9 alle ore 13 è impegnata in 2 ambulatori specificamente dedicati alle pazienti cinesi; un giorno con prenotazione tramite Centro Unico di Prenotazione (CUP) e l’altro con lista interna. Nella giornata restante: lunedì mattina dalle 9 alle 13 segue le donne ricoverate in reparto ostetrico, in puerperio, in ginecologia o per interruzione volontaria di gravidanza.

Grazie al progetto Pleiadi della Provincia di Milano, abbiamo la possibilità di usufruire di una seconda mediatrice culturale di lingua cinese (giovedì mattina dalle 10 alle 12) e di altre due mediatrici (araba: lunedì mattina dalle 10 alle 12; e latino-americana: mercoledì mattina dalle 10 alle 12).

In Reparto, in Pronto Soccorso, in sala parto è presente una mediazione multilingue telefonica di 24 ore su 24. Qualora fosse necessaria una particolare mediazione culturale questa viene sempre garantita grazie al Servizio di Assistenza Sociale dell’Ospedale.

In sala parto esistono delle linee guida per cui se non c’e deviazione della linea guida dalla fisiologia è presente l’ostetrica con la puericultrice e l’infermiera. Il medico è sempre presente se c’è deviazione dalla linea guida per la fisiologia. È sempre presente una persona di fiducia della partoriente anche qualora il parto fosse distocico e anche durante il taglio cesareo.

Regolarmente vengono istituiti corsi di aggiornamento e formazione. A dicembre abbiamo partecipato ad un incontro all’Ospedale San Carlo di Milano promosso

da ISA (Interreligious Studies Academy) e COREIS (Comunità Religiosa Islamica) che dovrebbe portare all’istituzione di corsi di aggiornamento per buone pratiche nella relazione con donne Islamiche a cui parteciperemo come ospedale Buzzi.

L’Ospedale è promotore da molti anni di corsi di aggiornamento e promozione per l’allattamento al seno, tanto presso consultori che presso ospedali dell’interland milanese.

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L’Ospedale Vittore Buzzi ha un rapporto privilegiato con i Poliambulatori sul territorio, che fanno parte anch’essi degli Istituti Clinici di Perfezionamento e un rapporto non codificato ma fitto con la rete dei consultori familiari.

Per quanto riguarda i corsi di accompagnamento alla nascita, nella nostra struttura si svolgono con regolarità, anche se la percentuale di donne straniere che li frequenta è limitata. Nel 2010, grazie ad un residuo di fondi dati dall’Istituto Superiore di Sanità per il “Percorso Nascita Donne Straniere”, abbiamo potuto organizzare un corso di accompagnamento al parto dedicato alle donne cinesi.

Il corso ha determinato la preparazione e la divulgazione di materiale tradotto su gravidanza, allattamento al seno e contraccezione.

Istituto Luigi Mangiagalli, Milano

Nel corso del 2009 sono stati seguiti complessivamente 6499 parti di cui 1550 (23,8%) riferiti a donne straniere (Europa Est 19,0%, Europa Occidentale 10,3%, Asia 23,0%, Africa 13,9%, Centro-Sud America 31,7%, altro 2,1%).

Ci si avvale di una convenzione con un’associazione che garantisce la presenza di mediatori culturali a giorni fissi per l’attività ambulatoriale e la reperibilità per le urgenze.

Negli ambulatori ostetrici, la diagnosi prenatale è effettuata con la presenza di un mediatore. Il mediatore culturale è presente ai colloqui e nelle varie tappe del percorso nascita intra-ospedaliero. Se necessario si richiede la presenza del mediatore anche in sala parto.

Non ci sono servizi né vengono organizzati corsi di formazione al parto specifici per donne immigrate.

Ospedale San Gerardo il Vecchio, Monza

Nel corso del 2009 ci sono stati 2812 parti di cui 579 (20,6%) riferiti a donne di cittadinanza non italiana.

Il centro nascita dispone di un servizio di mediazione culturale ospedaliero strutturato e ben integrato, coordinato dall’associazione il Mosaico a cui i vari servizi fanno richiesta di mediazione culturale. È inoltre dedicata al percorso nascita un’ostetrica e mediatrice culturale di lingua araba che svolge la propria attività all’interno della clinica supportando gli operatori sanitari e fornendo un valido servizio per la popolazione straniera durante l’accesso agli ambulatori ostetrici, ai reparti di degenza (ostetricia e area materno-neonatale), in sala parto e al domicilio. Organizza e conduce corsi di accompagnamento alla nascita in lingua araba e francese, in collaborazione con altri operatori.

In particolare il centro offre alle donne di cittadinanza non italiana: - corsi di accompagnamento alla nascita dedicati a donne straniere o misti con la presenza

di un’équipe di operatori tra cui la mediatrice culturale; - ambulatori di contraccezione, con la presenza di una ginecologa e della mediatrice

culturale; - in forma sperimentale è presente a partire da dicembre 2010 un servizio di visite

domiciliari nel puerperio svolto da ostetriche ospedaliere e territoriali in collaborazione con le mediatrici culturali;

- disponibilità del servizio di mediazione in tutti i casi lo si ritenga necessario;

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- disponibilità di materiale informativo in diverse lingue, rispetto all’organizzazione della struttura, ai servizi offerti e all’integrazione ospedale-territorio.

All’interno del programma di aggiornamento professionale del personale dedicato al percorso nascita sono previsti incontri formativi su tema (l’accoglienza del paziente straniero, ecc.).

Ospedale Santa Maria del Carmine, Rovereto (Trento)

Nel corso del 2009 ci sono stati 949 parti di cui 750 da donne italiane e 199 da donne straniere (27 dall’Asia, 71 dall’Africa, 88 dall’Est Europa e 13 dal Sud Ameria).

È disponibile a richiesta la presenza delle mediatrici culturali o del servizio di traduzione telefonica con il “viva voce” in poco tempo (entro mezzora).

L’équipe medica, ostetrica e infermieristica per l’assistenza al parto è composta da 1 medico, 1 ostetrica, 1 persona di supporto (infermiera generica o OSS). Al momento della nascita del bimbo l’ostetrica del nido prende in carico il neonato. Il pediatra è reperibile su chiamata 24ore/24 all’interno dell’ospedale.

In passato (2007/2008) l’ufficio formazione ha organizzato un percorso per operatori sanitari dedicato al paziente straniero.

Il consultorio organizza corsi di accompagnamento alla nascita per tutte le gravide italiane e straniere che comprendono la lingua italiana insieme. I corsi sono tenuti dalle ostetriche del consultorio e ospedaliere (1 ostetrica per corso).

Da anni la dimissione è segnalata con un modulo cartaceo compilato dalla puerpera, alle ostetriche del consultorio che provvedono a prenderla in carico. Le ostetriche oltre ad accogliere le puerpere negli spazi del consultorio, effettuano anche visite a domicilio.

L’ufficio rapporto con il pubblico dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari (APSS), ha predisposto opuscoli nelle lingue straniere più diffuse (inglese, francese, spagnolo, arabo, rumeno), per informazioni riguardo a gravidanza e corsi di preparazione alla nascita. Sono disponibili e distribuiti alla dimissione opuscoli solo in italiano sull’allattamento al seno.

Ospedale Santa Chiara, Trento

L’Ospedale Santa Chiara di Trento è un centro di III livello a cui afferisce buona parte della patologia ostetrica della Provincia. Ha a disposizione un ambulatorio per la diagnosi prenatale, un ambulatorio per la gravidanza a rischio, un ambulatorio per la gravidanza a termine, un centro per le ecografie di II livello, un ambulatorio per il controllo in puerperio patologico o da gravidanza a rischio. È anche il centro in cui si svolgono la maggior parte delle consulenze di Pronto soccorso in ambito ginecologico-ostetrico della provincia (oltre 7000 accessi nel 2010, il 24.7% richiesto da donne straniere) essendo presente un servizio di guardia attiva ostetrico-ginecologica 24 ore al giorno.

Nel corso del 2009 sono stati seguiti 1680 parti di cui 1283 relativi a donne italiane e 397 (23,6%) a donne straniere.

Attualmente non c’è presso il nostro centro un ambulatorio per la gravidanza fisiologica e quindi le pazienti in gravidanza a basso rischio sono seguite o presso gli ambulatori di libera professione o presso il consultorio o i poliambulatori dell’APSS.

Tra i consultori e il nostro centro nascita è stata individuata una modalità di presa in carico dei soggetti che presentano fragilità psico-sociali attraverso interventi multi professionali che

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prevedono il coinvolgimento dell’assistente sociale, l’ostetrica, il ginecologo e la psicologa in base alle necessità della donna e della sua famiglia e che può prevedere anche l’intervento della mediatrice culturale se se ne ravveda la necessità.

L’équipe medica e ostetrica può avvalersi del contributo sia dell’assistente sociale presente quotidianamente presso il nostro ospedale che dell’équipe degli psicologi del consultorio che svolgono attività di consulenza anche presso il nostro centro nascita al fine di poter assicurare una continuità e una presa in carico delle situazioni di maggior fragilità e favorendo così l’integrazione ospedale/territorio.

A fronte del numero di accessi in pronto soccorso delle donne di recente immigrazione in orari pomeridiani e serali e nei giorni festivi (momenti in cui sono maggiormente presenti i mariti al ritorno dal lavoro) si sta valutando l’opportunità di organizzare un ambulatorio in questi orari con la presenza della mediatrice culturale e con percorsi che possano rendere maggiormente accessibile il servizio.

L’APSS ha attivato una convenzione con due cooperative di mediatrici linguistico-culturali con lo scopo di garantire la possibilità dell’intervento della mediatrice presso i Servizi Ospedalieri e presso gli ambulatori territoriali e i Consultori tutte le volte che se ne ravvisi la necessità, sia per interventi urgenti che per attività programmata (ad esempio dimissione madre e neonato) sia con modalità di telefonata a tre.

La richiesta dell’intervento può essere effettuata dall’operatore sanitario o dalla paziente stessa nel momento della prenotazione dell’appuntamento al CUP. Non è previsto dalla convenzione stipulata la presenza di mediatrici “dedicate” all’area materno-infantile, né nel Consultorio Familiare né all’Ospedale. È stato organizzato un solo corso di formazione dal Servizio Provinciale per i progetti UE rivolto alle mediatrici linguistico-culturali nell’ambito sanitario a cui hanno aderito una quindicina di persone. Non è previsto un percorso di formazione congiunta con gli operatori socio-sanitari, e non è prevista la possibilità di richiedere una supervisione degli interventi di mediazione più complessi da parte di personale esperto.

Attualmente non esistono servizi specifici per donne immigrate ma si è cercato di lavorare creando, nei servizi presenti, delle modalità di presa in carico che permetta un’adeguata accoglienza delle donne immigrate, sia attraverso una formazione e sensibilizzazione degli operatori che con l’attivazione delle mediatrici culturali.

La percezione dell’importanza che può avere l’attenzione alla tematica della multiculturalità che coinvolge anche l’organizzazione e l’erogazione delle prestazioni nelle istituzioni sanitarie ha visto l’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari protagonista nella promozione diretta di momenti di formazione rivolti ai propri operatori secondo i programmi sotto elencati:

L’operatore dei servizi sanitari di fronte alla sfida del pluralismo culturale (2006); L’operatore dei servizi sanitari di fronte alla sfida del pluralismo culturale. Analisi e

riflessioni sul punto di vista degli operatori (2007); Per una efficace interazione tra operatore sanitario e paziente/cittadino immigrato.

Migliorare l’accesso ai servizi sanitari e l’appropriatezza delle cure (2008); Novità della disciplina normativa per l’assistenza sanitaria agli stranieri rivolto a

operatori amministrativi (2010). Nel 2007 il Gruppo Immigrazione e Salute (GrIS) Trentino, in collaborazione con la Facoltà

di Sociologia dell’Università di Trento ha organizzato un corso articolato in tre giornate sulla salute delle donne immigrate, con la partecipazione di circa 80 operatori socio-sanitari a ogni incontro.

I corsi di accompagnamento alla nascita vengono organizzati presso i consultori ma prevedono anche la visita presso i nostri centri nascita. Nel caso di partecipazione di donne straniere può partecipare al gruppo anche la mediatrice culturale. Il numero delle donne straniere che partecipano ai corsi di preparazione alla nascita risulta ancora esiguo (il 16.5% nel

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2009) possiamo ipotizzare che anche in questo caso la situazione geografica e le difficoltà di collegamento con i mezzi pubblici renda difficile la partecipazione ai corsi che si svolgono prevalentemente in orario mattutino essendo i mariti occupati in attività lavorativa in questi orari.

È a disposizione materiale informativo tradotto nelle varie lingue sui diritti delle lavoratrici madri edito dalla Giunta Provinciale e altro materiale è a disposizione tradotto da Cinformi (Centro informativo per l’immigrazione) sui Servizi Sociali della Provincia a cui le donne in gravidanza possono rivolgersi. È stato tradotto nelle varie lingue un opuscolo informativo sui corsi di preparazione alla nascita con le informazioni dei recapiti dei vari distretti.

Attualmente è in distribuzione la Guida bambine e bambini del mondo realizzata, tradotta e distribuita dalla Cooperativa Candelaria. La modalità di distribuzione della guida è in discussione nel gruppo di lavoro interdisciplinare ospedale-territorio, al fine di utilizzare lo strumento di comunicazione nella maniera più efficace.

Ospedali di Bassano del Grappa e di Thiene (Vicenza)

Nell’ospedale di Bassano, nell’anno 2009, ci sono stati 1410 parti di cui 1023 da mamme italiane e 387 da mamme straniere (10 dall’Ovest Europa; 149 dall’Est Europa; 163 dall’Africa; 43 dall’Asia; 22 dalle Americhe).

Sono presenti mediatori/mediatrici linguistico-culturali (mediante convenzione dell’ULSS con l’Associazione Il Quarto Ponte di Bassano); gli interventi di mediazione, interpretariato e traduzione possono essere richiesti da tutti i servizi e reparti dell’ULSS, per tutti gli utenti stranieri (non solo per le donne e non solo per l’area materno-infantile).

Nella nostra Azienda a livello distrettuale è stato istituito dal Coordinamento dei Distretti un Ambulatorio medico per migranti - stranieri irregolari/clandestini (vi accedono anche donne gravide) con sede presso il Consultorio Familiare. Collaborano alla gestione di questo ambulatorio: Medici volontari della Croce Rossa, Ostetriche del Consultorio Familiare, Assistente Sociale del Consultorio Familiare e saltuariamente anche le Infermiere del Consultorio Familiare.

La ULSS 3 di appartenenza, nel corso degli ultimi anni, si è impegnata attivamente nella organizzazione di numerosi Corsi di formazione/aggiornamento sui seguenti argomenti:

Mutilazioni genitali femminili – una vita serena per tutte le bambine; La prevenzione delle scelte difficili. Consensus-conference sulla bozza di Protocollo

Provinciale per la prevenzione dell’Interruzione Volontaria di Gravidanza e per l’assistenza alle donne che la richiedono;

Maternità: le scelte sofferte delle donne; Interazione madre/bambino nella fase pre e post natale, monitoraggio delle gravide e

puerpere a rischio psicosociale: modalità di intervento; I corsi di preparazione alla nascita; Corso di formazione di II livello Immigrazione e Salute; Corso di formazione di II livello sulla Medicina delle Migrazioni Area Materno-Infantile; Corso di Formazione e aggiornamento per il personale socio-sanitario coinvolto con

persone di culture diverse. I nostri Corsi di accompagnamento alla nascita sono organizzati in modo da accompagnare la

donna/coppia in modo continuativo in tutto il periodo prima e dopo la nascita. Nelle varie fasi del percorso si incontrano le ostetriche del Consultorio Familiare e dell’Ospedale, la psicologa,

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l’assistente sociale, l’assistente sanitaria, il pediatra e il personale del Nido ospedaliero, che affrontano diverse tematiche relative alla gravidanza e al parto.

Dopo la nascita del bambino vengono proposti 3 incontri, a cadenza settimanale, aperti anche alle mamme che non hanno frequentato gli incontri durante la gravidanza, dove è possibile condividere con altre partecipanti la propria esperienza. Si incontrano le ostetriche del Consultorio Familiare e dell’Ospedale, l’assistente sanitaria e la psicologa del Consultorio, per riflettere insieme sulle tematiche relative al dopo parto, all’allattamento, alle cure del neonato, all’essere genitori.

È stato inoltre creato uno spazio di consulenza telefonica e ambulatoriale gestito dalle ostetriche dei Consultori Familiari per sostenere la neo-mamma dopo la dimissione dall’Ospedale.

Esiste ed è già in atto un Protocollo condiviso (territorio-Ospedale) sulla gestione della gravidanza fisiologica da parte delle ostetriche consultoriali in autonomia.

Il reclutamento delle donne partorienti è stato effettuato anche nell’Ospedale di Thiene (ULSS 4) dagli operatori della ULSS 3. In questo ospedale, nell’anno 2009 ci sono stati 2147 parti di cui 1661 da mamme italiane e 486 da mamme straniere (12 dall’Ovest Europa; 186 dall’Est Europa; 180 dall’Africa; 89 dall’Asia; 18 dall’America; 1 dal Kosovo).

Sono presenti mediatrici linguistico- culturali il cui intervento di mediazione, interpretariato e traduzione possono essere richiesti da tutti i servizi e reparti dell’ULSS, per tutti gli utenti Stranieri.

Le donne gravide straniere sono indirizzate e prevalentemente prese in carico dai Consultori Familiari presenti nel territorio (Thiene, Schio, Malo, Arsiero, Piovene).

Anche la ULSS 4, nel corso degli ultimi anni, si è impegnata nell’organizzazione di Corsi di Formazione/aggiornamento, convegni e seminari su vari argomenti.

I Corsi di preparazione alla Nascita sono organizzati in modo da garantire alla donna/coppia, anche straniere, tutte le informazioni utili per il decorso sereno e consapevole della gravidanza, del parto e della gestione del bambino.

Sono tenuti da vari professionisti: ostetrica, ginecologo, psicologo, pediatra, assistente sanitaria e i vari conduttori, qualora riscontrino problematicità, segnalano i casi ai Consultori Familiari e alla coordinatrice infermieristica del Reparto di Ostetricia per la presa in carico.

È stato predisposto anche un libretto informativo, “Percorso Nascita” sulla fisiologia della gravidanza del parto e del puerperio, in italiano e in inglese, che è consegnato a tutte le gestanti in occasione della prima visita ostetrica o della prima ecografia.

Dopo la nascita del bambino è prevista l’accesso presso l’Ambulatorio Neonatale di follow-up di tutte le neomamme. Questo momento rappresenta un’opportunità per le coppie per ottenere tutte le informazioni e rassicurazioni per la gestione del lattante e per offrire ulteriore supporto qualora si rendesse necessario (possono essere programmati o richiesti più accessi). Anche in questa occasione se si riscontrano problematicità il caso viene segnalato (mediante apposita scheda e percorso informatizzato) ai Servizi preposti (Distretto e Consultori).

L’Ambulatorio Neonatale e le Assistenti Sanitarie dei distretti hanno istituito delle linee telefoniche dedicate in cui un operatore risponde ai quesiti delle neomamme.

Ospedale Villa Salus, Mestre (Venezia)

Il reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’Ospedale Villa Salus svolge attività completa di assistenza alla donna per tutto il percorso gestazionale. Una serie di servizi permette il controllo della gravidanza sia in presenza che in assenza di patologie e/o rischi.

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La struttura del reparto può contare in attrezzature e locali, definiti "Spazio Nascita", dove sono applicate tutte le più innovative metodologie di assistenza al travaglio e al parto (Birth mate, Maya, parto in acqua, anestesia peridurale, ecc.).

Oltre all’assistenza ostetrico-ginecologica, il reparto mette a disposizione la possibilità di seguire un percorso nascita, in modo da accompagnare la coppia in modo continuativo in tutto il periodo prima e dopo la nascita, con un’équipe che prevede la presenza dell’ostetrica, del ginecologo, del neonatologo e di una psicologa.

Nell’anno 2009 sono stati seguiti 1087 parti di cui 790 relativi a donne italiane e 297 a donne straniere.

Quando necessario sono presenti mediatori/mediatrici linguistico-culturali. L’équipe medica, ostetrica e infermieristica per l’assistenza alla nascita è composta da 10

medici, 11 ostetriche a tempo pieno e 3 a tempo parziale, 5 infermiere a tempo pieno e 3 operatrici socio-sanitarie addette alla sala parto.

Durante la degenza tutti i genitori possono partecipare al “Salotto delle mamme”, un ora di incontro al giorno, in cui è presente il neonatologo per riflettere insieme sulle tematiche relative al dopo parto, all’allattamento, alle cure del neonato, all’essere genitori.

I nostri Corsi di accompagnamento alla nascita sono organizzati in modo da accogliere anche le coppie straniere, con incontri in piccoli gruppi, in cui ci si confronta sia prima che dopo la nascita sugli aspetti della genitorialità, con una metodologia formativa attiva e coinvolgente.

È stato inoltre creato uno spazio di consulenza telefonica dai neonatologi per sostenere la neo-mamma dopo la dimissione dall’Ospedale.

L’ospedale Villa Salus si è impegnato attivamente nella organizzazione dei seguenti Corsi di formazione/aggiornamento del personale, denominati Giornate di Ostetricia e Ginecologia a Mestre:

La transizione menopausale Ambulatorio della gravidanza a termine Tumori e gravidanza La violenza contro le donne Percorso nascita e donne straniere.

Area Vasta Materno-infantile (3 punti nascita), Pordenone

L’offerta globale dei servizi pubblici e privati in provincia di Pordenone è costituita da: 5 Consultori Familiari pubblici con quattro sedi staccate; 2 Consultori Familiari privati convenzionati (AIED e Noncello); 3 Punti Nascita:

- Presidio Ospedaliero di San Vito al Tagliamento (nel 2009 n. parti 657 di cui 206 da donne straniere);

- Presidio Ospedaliero di Pordenone “Santa Maria degli Angeli” (nel 2009 n. parti 1157 di cui 358 da donne straniere);

- Casa di Cura privata convenzionata “San Giorgio” (nel 2009 n. parti 919 di cui 359 da donne straniere).

Complessivamente nell’anno 2009: 2733 totale parti (straniere 923).

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Dal 1° gennaio 2011 i due Presidi Ospedalieri appartengono alla nuova Azienda Sanitaria “Ospedali Riuniti”. Sinteticamente offrono alla donna gravida e al suo compagno nella loro complementarietà i seguenti servizi:

In ospedale - Monitoraggio completo della gravidanza fisiologica e a rischio come da protocolli

ministeriali e regionali; - Assistenza al travaglio e al parto come da protocolli ministeriali e regionali (guardia

ostetrica attiva 24 ore su 24, disponibilità di parto con analgesia epidurale, assistenza ostetrica one to one tutte le volte che ciò è possibile in relazione al numero delle pazienti in travaglio, monitoraggio cardiotocografico continuo nelle situazioni che lo richiedono… trasferimento della gravida e del neonato per patologie materno-fetali per le quali è previsto il trasferimento al III livello, dimissione mamma-neonato dopo 48-72 ore da parto spontaneo se lo permettono le condizioni di madre e neonato in terza /quinta giornata dopo TC);

- Assistenza alla donna e al neonato secondo le direttive OMS-UNICEF Ospedale Amico del Bambino: presenza del partner in sala parto e anche in sala operatoria su richiesta per i TC programmati, bonding alla nascita, attacco precoce al seno, valorizzazione dell’allattamento materno, roaming-in;

- Possibilità di accesso ad un sostegno psicologico materno in puerperio a richiesta in reparto e successivamente nel territorio.

Nel territorio - Monitoraggio della gravidanza fisiologica nelle 5 sedi dei Consultori Familiari

pubblici e privati, ecografie anche morfologiche nel Consultorio Familiare AIED; - Corsi di accompagnamento alla nascita nelle 5 sedi dei Consultori Familiari pubblici

e nella Casa di Cura San Giorgio; - Controlli ostetrici nei primi 10-15 giorni dopo il parto; - “Spazio mamma” presente nelle 5 sedi dei Consultori Familiari pubblici per

informazioni sulla cura del neonato… con possibilità di pesare il bambino avendo come obiettivo la valorizzazione delle naturali capacità materne nel rispondere ai bisogni del figlio, facilitare e supportare l’allattamento al seno favorendo la conoscenza e l’utilizzo dei servizi territoriali dell’area materno-infantile, individuare precocemente le situazioni a rischio;

- Corsi di massaggio del neonato: finalizzati a favorire l’empowerment delle funzioni genitoriali promuovendo la conoscenza da parte del genitore delle competenze che il bambino presenta fin dalla nascita favorendo, in tal modo, la relazione adulto-neonato, individuare precocemente le situazioni a rischio;

- Incontri dopo parto.

Continuità delle cure - Visite domiciliari proposte a tutte le puerpere in dimissione tramite consenso

informato acquisito dai Punti Nascita e trasmesso ai Consultori Familiari aventi come obiettivo l’empowerment alle funzioni genitoriali, il sostegno dell’allattamento al seno nonché l’individuazione delle situazioni di rischio al fine di poter attuare una prevenzione primaria;

- Segnalazione dai Punti Nascita ai Consultori Familiari e viceversa delle situazioni che necessitano una continuità di assistenza sia sul piano sanitario che psicologico assistenziale;

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- Convocazione dell’Unità di Valutazione Distrettuale per le situazioni che presentano una patologia conclamata sul piano sanitario o psicologico o che richiedono un programma di intervento oltre che dai Punti Nascita e dai Consultori Familiari anche con la collaborazione di altri servizi quali: il Medico di Famiglia, il Pediatra di Libera Scelta, Servizio Sociale dei Comuni,il Servizio Tossicodipendenze, il Dipartimento di Salute Mentale, il Servizio di Neuropsichiatria Infantile.

Questi servizi vengono offerti in Area Vasta Materno-infantile a tutti i cittadini. Alle cittadine straniere, nelle situazioni one to one, se la loro conoscenza della lingua italiana

è scarsa o nulla o nel caso fattori di stretta pertinenza dei tecnici lo richiedano, tutti i servizi vengono erogati per mezzo di mediatori culturali. Tutti i Servizi di Area Vasta Materno Infantile per le donne straniere sono garantiti, a richiesta e su prenotazione, dalla convenzione con la Cooperativa “Associazione onlus Circolo Aperto L.P.T.”che conta Mediatori rispondenti alle esigenze delle principali etnie presenti nella provincia di Pordenone. La Casa di Cura San Giorgio dispone di una referente per le problematiche di accettazione (documenti, pratiche di dichiarazione).

Relativamente alle attività di gruppo quali i Corsi di Accompagnamento alla nascita al momento non sono organizzati corsi di accompagnamento alla nascita dedicati alle straniere.

Negli anni sono state approntate sperimentazioni per verificare la fattibilità di offrire servizi specifici per gruppi di immigrate (es. Corsi di accompagnamento alla nascita, interventi su richiesta di alcune Comunità straniere dopo i riti religiosi), ora, in alcune realtà, su richiesta e in collaborazione con i Comuni che organizzano corsi di lingua italiana, vengono organizzati incontri di promozione alla salute anche su tematiche relative a gravidanza e puerperio.

In distribuzione a tutte le donne straniere da parte non solo di tutti i Servizi di Area Vasta Materno Infantile, ma anche degli Uffici Cassa degli Ospedali e dei Distretti, dei Medici di Medicina Generale (MMG) e dei Pediatri di Libera Scelta (PLS), vi sono locandine e pieghevoli tradotti nelle principali lingue presenti in provincia con contenuti relativi alla pianificazione familiare, alla gravidanza, all’allattamento materno, all’offerta dei servizi materno infantili, compreso il privato sociale,

Nel 2010 sono in Regione sono stati organizzati alcuni eventi formativi cui hanno partecipato operatori dei Servizi di Area Vasta Materno-infantile, quali: il Congresso “La mutilazione dei genitali femminili fra tradizione, diritti umani e salute. Una pratica da abbandonare” organizzato dall’Azienda per i Servizi Sanitari n. 1 “Triestina”; il corso di aggiornamento “Concepire, Nascere e Crescere. I percorsi della maternità nei colori delle culture delle donne” organizzato dal Collegio IPASVI di Pordenone; il Congresso “Donne e Bambini Stranieri: realtà e progetti condivisibili, aspetti sanitari e sociali dell’area materno-infantile” organizzato dall’Azienda ospedaliero-universitaria di Udine.

Da una decina di anni sono presenti accordi formalizzati tra servizi ospedalieri e Consultori Familiari, nonché convenzioni con i Consultori Familiari privati come sopra descritti.

Ora l’Azienda per i Servizi Sanitari n. 6 “Friuli Occidentale” sta attuando un Progetto di Area Vasta Materno Infantile avente come obiettivo un’offerta attiva omogenea alla gravida e alla puerpera di tutti i servizi pubblici e privati che intervengono dalla fase preconcezionale fino all’anno di vita del bambino. Tale Progetto prevede l’integrazione tra i servizi, Consultori Familiari pubblici e privati, Punti Nascita, Dipartimenti di Prevenzione e di Salute Mentale, Servizio Tossicodipendenze, Servizio di Neuropsichiatria Infantile, Farmacie, Medici di Famiglia e Pediatri di Libera Scelta, a mezzo di linee guida, protocolli operativi, agende elettroniche condivisi.

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Arcispedale Santa Maria Nuova, Reggio Emilia

Nel corso del 2009 nel centro nascita ci sono stati 2550 parti di cui 1667 da donne italiane e 883 da donne straniere.

La presenza di mediatrici culturali viene garantita da una cooperativa esterna convenzionata con l’AUSL di RE, amministrazione diversa dall’azienda Ospedale. Una mediatrice, alternata di lingua araba, cinese, albanese e russa, è presente in postazione fissa la mattina all’interno dell’ospedale. Per urgenze, l’operatore sanitario può attivare una prestazione telefonica o di persona. Complessivamente il servizio si avvale della prestazione di 15 mediatrici culturali di 9 lingue diverse.

È presente in AUSL un Centro Famiglia Straniera dedicato a Straniere Temporaneamente Presenti (STP) e cinesi senza capacità linguistiche.

L’équipe per l’assistenza al parto fisiologico è costituita dalla sola ostetrica e, in caso di bisogno, da Operatore Tecnico Assistenziale (OTA) e medico; per il parto patologico da ostetrica, OTA e medico.

Nel 2008 e 2009 sono stati organizzati corsi di formazione/aggiornamento con mediatori rivolti al personale di Ostetricia e Pronto Soccorso. Nel 1998 è stato organizzato un corso di formazione gestito da antropologo dell’Università di Modena.

Vengono organizzati regolarmente corsi per gravide dal VII mese gestiti dalle ostetriche e senza mediatrici. Questi corsi sono rivolti essenzialmente a donne italiane o con buona comprensione della lingua.

Nell’AUSL 2 vengono organizzati corsi di preparazione al parto dedicati alle donne cinesi e arabe.

Esiste un accordo (no procedura) tra servizi territoriali per garantire la continuità assistenziale al parto fisiologico.

È stato preparato materiale informativo/divulgativo sui servizi assistenziali in lingua italiana rivolto alle straniere.

Ospedale Grassi, Ostia (Roma)

Presso l’Unità Operativa Complessa (UOC) di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale nel corso del 2009 sono stati effettuati 1816 parti.

Le pazienti che afferiscono all’UOC hanno provenienze diverse: dal consultorio familiare, che gestisce la gravidanza fisiologica e la patologia di primo livello, agli specialisti privati del territorio.

L’assistenza alla gestante è offerta con le seguenti modalità: – Sul territorio sono presenti:

- Ambulatorio di gravidanza fisiologica e patologica di I livello (con la figura di ginecologo, ostetrica, infermiere professionale);

- Corsi di accompagnamento alla nascita dedicati alle donne con la presenza di un’équipe multidisciplinare (tra cui ostetrica, ginecologo, psicologo, assistente sociale);

- Ambulatori di contraccezione (ginecologo e ostetrica); - Disponibilità di materiale informativo in diverse lingue, rispetto all’organizzazione

della struttura, ai servizi offerti e all’integrazione ospedale-territorio. - Non esiste un percorso differenziato di accompagnamento alla nascita per le donne

immigrate;

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- È in corso di stampa materiale informativo sulla gravidanza e il parto in tutte le lingue.

– Presso la Casa di maternità (ubicata nelle adiacenze dell’ospedale): - Ambulatorio di gravidanza fisiologica (a basso rischio) gestito unicamente dalla

figura dell’ostetrica, con possibilità di prescrizione degli esami di laboratorio previsti dal Decreto Bindi del 1998;

- Ambulatorio di gravidanza alla 35 settimana, gestito dalla figura dell’ostetrica. - Presso la sala parto/reparto dell’UOC: - Ambulatorio di sorveglianza ostetrica, gestito dalla figura del medico specialista e

ostetrica gratuito, dedicato alle gestanti oltre la 40° settimana, aperto tutti i giorni feriali, escluso il sabato;

- Ambulatorio di patologia ostetrica, gestito dalla figura del medico specialista, gratuito, dedicato allo specifico della patologia della gravidanza (ipertensione, diabete, ecc.) con équipe multidisciplinare, attivo 2 volte a settimana, che segue protocolli ministeriali e regionali;

- Ambulatorio per parto-analgesia, gestito dalla figura del medico specialista in Anestesiologia e rianimazione e da un’ostetrica, a pagamento (ticket);

- Assistenza al travaglio e al parto fisiologico e patologico di II livello (come da protocolli ministeriali e regionali) con un servizio di guardia attiva 24 ore su 24;

- Disponibilità di parto con analgesia epidurale, attiva 24 ore su 24, per la presenza in sala parto di un medico anestesista;

- Al momento del parto il pediatra è reperibile all’interno dell’ospedale a chiamata, a tale figura viene affidato il neonato dopo il parto;

- È previsto il rooming durante le ore diurne; - Il puerperio viene gestito dalla figura dell’ostetrica di reparto, servizio presente dalle

8 alle 20, tutti i giorni, supportata dal personale infermieristico del reparto, successivamente per urgenze interviene il personale della sala parto.

Per le donne straniere, quando degenti, è garantita la presenza di intermediatori culturali che sono reperibili su chiamata presso la Direzione Sanitaria. Alla dimissione alla mamma vengono fornite tutte le indicazioni utili e il percorso da seguire per le ulteriori visite di controllo, per le quali si rimanda ai servizi territoriali.

Ospedale San Pietro Fatebenefratelli, Roma

L’Ospedale San Pietro Fatebenefratelli è un Ospedale Classificato, inserito nella rete regionale come Dipartimento di Emergenza e Accettazione (DEA) di I livello e come Unità Operativa Perinatale di III livello.

Sono dedicati all’assistenza della gravidanza e del parto: - un pronto soccorso ostetrico/ginecologico distinto anche strutturalmente dal Pronto

Soccorso Generale; - un reparto di ostetricia con nido per neonati fisiologici; - un reparto di UTIN/Sub UTIN/Patol. Neonatale per le cure intensive; - ambulatori dedicati all’attività di ostetricia, ginecologia (visite specialistiche, visite per

gravidanze a rischio, monitoraggi cardiotocografici, ecc.); - ambulatori di pediatria e neonatologia (visite specialistiche, follow-up dei prematuri ecc.).

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Nel corso dell’anno 2010 sono stati registrati 4190 parti di cui 798 (19%) riferiti a donne straniere.

Le donne straniere sono inserite parimenti alle donne italiane nel percorso nascita dell’Ospedale San Pietro con particolare attenzione alla prevenzione, alle gravidanze a rischio, all’allattamento al seno.

Il Servizio Sociale/Servizio di mediazione linguistica e il Servizio Psicologico affrontano in modo diretto o con il coinvolgimento di istituzioni e servizi esterni le problematiche di natura psicologica e/o sociale manifestate dalla donna e/o segnalate dal personale sanitario.

La collaborazione con il territorio si avvale di un accordo tra il Servizio Sociale dell’Ospedale e il Centro di prima accoglienza per le gestanti in difficoltà territorialmente competente al fine di facilitare l’accesso della donna straniera ai percorsi di cura.

Alle gestanti viene offerta la Carta dei Servizi dell’Unità materno-infantile tradotta in tutte le lingue compreso l’arabo.

I corsi di preparazione al parto sono tenuti da un ginecologo e da una psicologa con la partecipazione del pediatra, dell’ostetrica e dell’anestesista.

Alla dimissione della mamma e del bambino vengono fornite alle donne straniere, come alle donne italiane, notizie utili per il percorso da seguire nell’accudire il bambino e per le visite di controllo.

È possibile la registrazione della nascita del bambino presso il Centro di Nascita dell’Ospedale.

In questa sede vengono date alla mamme straniere tutte le informazioni utili anche a fini amministrativi (codice fiscale, aggiornamento o richiesta del permesso di soggiorno, assistenza sanitaria, ecc.).

Ospedale Civile dello Spirito Santo, Pescara

Il nostro è un Servizio territoriale di Coordinamento delle Attività Consultoriali distinto sia strutturalmente che funzionalmente dai Centri nascita presenti presso la nostra AUSL. Ciò detto, le donne che hanno partorito presso il Centro nascita del Presidio Ospedaliero di Pescara nel corso dell’anno 2009 sono state 2270 di cui 230 sono state le straniere. L’équipe di sala parto prevede la presenza durante il parto di Medico Ginecologo, Ostetrica e Infermiere generico.

Nel territorio della nostra AUSL vi è la presenza di un Ambulatorio Immigrati (medico, infermiere e assistente sociale) che fornisce prestazioni di medicina di base per gli immigrati in possesso di tessera Straniera Temporaneamente Presente (STP) e che ha svolto interventi di educazione sanitaria in collaborazione con alcune comunità di immigrati presenti sul territorio e sviluppato una proposta di screening del cervicocarcinoma rivolta alle donne immigrate che ha coinvolto circa 150 donne di varie nazionalità (nigeriane, ucraine, russe, senegalesi, ecc.). Attualmente presso la AUSL non c’è disponibilità di mediatori culturali (nel corso dell’anno 2010, in virtù di due progetti svolti dall’Ambulatorio Immigrati c’è stata però la disponibilità temporanea di queste figure) e il nostro servizio ha in progetto l’attività di un servizio di mediazione a chiamata che ci auguriamo di attivare nei prossimi mesi.

Relativamente alla formazione, è in cantiere una attività di formazione rivolta al personale dell’Ambulatorio e dei Consultori Familiari, attraverso seminari specificamente centrati sulle problematiche di salute delle popolazioni immigrate.

I Consultori Familiari, soprattutto dell’area urbana di Pescara e Montesilvano, dove è maggiormente concentrata la popolazione straniera, hanno una significativa utenza di donne immigrate che spesso frequentano i corsi di accompagnamento alla nascita. Rimane la

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problematicità della mancanza attuale di mediatori interculturali che rende difficile l’attivazione di servizi specificamente dedicati.

Ospedale Di Venere, Bari

Nel corso del 2009 sono stati seguiti 1469 parti di cui 1402 riferiti a donne italiane e 67 a donne immigrate.

Viene garantita la presenza di intermediatori culturali solo durante le visite ambulatoriali programmate con il Centro di prima accoglienza CARA.

La collaborazione con il territorio si avvale dell’accordo fra il Centro di prima accoglienza e l’Ospedale e fra questo e il gruppo di volontariato Giraffa che svolge la sua opera soprattutto nei casi di prostituzione forzata e organizzata, purtroppo molto presente nella Regione. L’attività di formazione è stata realizzata negli ultimi tre anni con tre Corsi rivolti a personale medico e paramedico interessato su argomenti quali “Salute riproduttiva nelle donne immigrate”, “Gravidanza e parto nelle donne immigrate”, “MGF e patologie correlate”.

Presso l’UOC di Ginecologia e Ostetricia dell’Ospedale Di Venere di Bari è attivo già da qualche anno l’Ambulatorio ostetrico-ginecologico, gratuito, dedicato alle immigrate, a cui accedono per appuntamento le donne inviate dal Centro di prima accoglienza o dal gruppo Giraffa, o da associazioni di volontariato.

Il percorso di accompagnamento alla nascita delle donne immigrate è carente, sia perché è difficile una loro regolare frequenza alle visite e controlli, sia per la difficoltà della lingua, mancando il più delle volte l’interprete.

È in corso di stampa un manuale informativo sulla gravidanza e il parto in tutte le lingue. Alla dimissione della mamma e del bambino vengono date, come per le italiane e

compatibilmente con la loro capacità di comprensione, tutte le notizie utili e il percorso da seguire per le ulteriori visite di controllo.

Ospedali Riuniti, Foggia

Nel nostro Punto Nascita nell’anno 2009 ci sono stati 2802 parti, di cui 2631 da donne italiane e 171 da donne straniere.

Sebbene esiste un ambulatorio per seguire la gravidanza nelle donne straniere, non esiste un’attività di mediazione formalmente costituita ma esiste un elenco di persone straniere che si rendono disponibili a fare attività di mediazione su chiamata.

Ad oggi non sono mai stati organizzati eventi formativi che abbiano centrato l’attenzione sull’assistenza a gravidanze di donne straniere, tranne per qualche intervento specifico all’interno di alcuni convegni (come quello organizzato dal Collegio delle Ostetriche della Provincia di Foggia alcuni anni fa).

Nell’anno 2009 è stato realizzato un Protocollo d’intesa tra l’Azienda Ospedaliero-Universitaria e l’Azienda Sanitaria Locale di Foggia in cui è stato concordato di seguire modalità uniformi e condivise di obiettivi (come il contenimento dei TC e l’assistenza al puerperio a domicilio), anche se si sta ancora lavorando per una completa realizzazione.

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Policlinico universitario G. Martino, Messina

Nel nostro Punto Nascita nell’anno 2009 ci sono stati 1245 parti, di cui 1162 da donne italiane e 83 da donne straniere.

Nella nostra struttura è presente un ambulatorio dedicato alle donne straniere che è aperto il mercoledì mattina dalle ore 08.30 in poi. Le pazienti possono essere ricevute senza appuntamento, non è stabilito un orario di chiusura in modo da rendere più agevole alle donne lavoratrici la possibilità di accedere ai servizi.

Non esiste un’attività di mediazione formalmente costituita ma il ruolo di “mediatore” è spesso ricoperto dalle stesse donne straniere, che oltre ad usufruire loro stesse dell’ambulatorio, vi accompagnano altre connazionali fungendo da tramite con il personale sanitario.

Una delle attività dell’ambulatorio è stata quella di redigere degli opuscoli in diverse lingue (arabo, inglese, francese, rumeno) contenenti le informazioni basilari sulla gravidanza, anticoncezionali, e modalità per usufruire dei servizi dell’ambulatorio.

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Allegato

Sintesi degli indicatori del percorso nascita per centro nascita

Sono riportati i principali indicatori socio-demografici e dell’assistenza al percorso nascita per cittadinanza e per centro nascita.

Tabella A1. Indicatori socio-demografici per centro nascita

Centro nascita Età Primipare Istruz. >15 anni

Occupate Scarsa conosc. lingua

Senza permesso soggiorno

Totale*

media % % % % % n.

Straniere

Torino 29 56,7 20,4 46,9 13,3 22,7 98 Bergamo 29 38,2 20,5 34,8 27,0 7,9 89 Brescia 29 48,0 16,3 38,0 40,0 15,0 100 Milano - Buzzi 30 36,0 20,2 73,7 25,3 5,1 100 Milano - Mangiagalli 30 42,2 14,7 72,3 23,0 10,0 102 Monza 30 39,4 18,6 54,6 45,5 3,0 99 Rovereto 28 46,4 23,2 32,9 30,0 2,9 70 Trento 28 53,2 17,3 40,5 30,4 5,1 78 Bassano-Thiene 29 44,0 17,1 49,3 34,0 8,0 150 Mestre 28 60,0 38,8 46,9 32,0 12,0 50 Pordenone 29 50,0 13,5 59,0 24,8 12,7 106 Reggio Emilia 28 39,1 5,7 36,3 73,6 23,1 92 Ostia 29 55,0 16,2 73,7 9,1 15,3 98 Roma 30 47,3 19,8 77,8 9,0 9,0 112 Pescara 28 50,5 14,4 58,1 29,0 7,5 93 Bari 30 57,5 7,3 37,5 22,5 38,1 42 Foggia 26 48,8 12,2 79,1 11,6 34,9 43 Messina 29 52,6 16,2 67,6 39,5 0,0 38

Totale 29 47,0 17,2 54,6 28,9 11,9 1560 n. missing 1 1 31 15 10 18

Italiane Torino 31 48,3 17,2 76,7 30 Bergamo 33 63,3 23,3 93,3 30 Brescia 33 66,7 44,8 89,7 30 Milano - Buzzi 35 58,1 56,7 93,3 31 Milano - Mangiagalli 34 57,1 0,0 80,0 28 Monza 34 43,9 51,2 75,6 41 Trento 33 46,7 37,8 82,2 45 Bassano-Thiene 32 56,4 20,5 87,2 39 Mestre 34 56,7 23,3 96,7 30 Pordenone 33 46,7 23,1 92,3 30 Reggio Emilia 33 50,0 26,7 86,7 34 Ostia 32 65,5 20,7 72,4 29 Roma 33 73,3 30,0 93,3 30 Pescara 32 55,0 36,8 75,0 20 Bari 32 34,6 25,0 52,0 26 Foggia 30 63,0 11,1 40,7 27 Messina 32 46,2 30,8 57,7 26 Totale 33 54,5 29,0 79,9 526 n. missing 2 1 15 13

* Ciascun indicatore, in caso di dati mancanti, è stato calcolato sul totale effettivo di donne con informazione presente

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Tabella A2a. Indicatori del percorso nascita per centro nascita e cittadinanza

Centro nascita 1a visita

>3 mesi

Ecografie Partecipazione CAN attuale gravidanza

Parto cesareo

Allattamento completo al seno **

Totale*

% n. medio % % % n.

Straniere

Torino 16,3 3,8 8,2 14,3 88,8 98 Bergamo 8,0 4,0 10,1 18,0 37,1 89 Brescia 22,9 4,3 10,0 24,0 70,0 100 Milano - Buzzi 16,3 4,5 22,0 19,0 80,0 100 Milano - Mangiagalli 15,8 4,4 31,4 45,1 70,6 102 Monza 5,1 4,9 16,2 20,2 88,9 99 Rovereto 11,8 4,5 13,0 22,9 91,4 70 Trento 9,1 4,9 16,5 25,6 81,0 78 Bassano-Thiene 8,9 4,3 16,7 30,7 72,7 150 Mestre 4,1 6,0 14,0 30,0 100,0 50 Pordenone 7,6 5,0 14,2 29,3 92,5 106 Reggio Emilia 11,4 3,9 9,8 25,0 72,8 92 Ostia 19,8 4,8 25,0 28,6 66,3 98 Roma 14,4 5,1 12,5 34,8 64,9 112 Pescara 13,0 5,8 9,7 31,2 72,0 93 Bari 11,9 5,3 11,6 47,6 88,1 42 Foggia 19,1 5,0 2,3 14,0 46,5 43 Messina 14,3 4,2 13,2 39,5 65,8 38

Totale 12,7 4,7 15,0 27,4 74,9 1560 n. missing 40 0 0 0 1

Italiane

Torino 13,8 4,9 30,0 26,7 82,2 30 Bergamo 3,3 6,2 56,7 26,7 50,0 30 Brescia 20,0 4,7 43,3 30,0 76,7 30 Milano - Buzzi 0,0 8,3 61,3 9,7 96,8 31 Milano - Mangiagalli 0,0 7,3 67,9 28,6 92,9 28 Monza 12,2 5,6 34,2 12,2 87,8 41 Trento 0,0 5,7 51,1 31,1 84,6 45 Bassano-Thiene 5,1 5,9 51,3 18,0 79,5 39 Mestre 0,0 7,9 53,3 33,3 93,3 30 Pordenone 3,3 6,2 36,7 23,3 93,3 30 Reggio Emilia 3,0 7,5 38,2 23,5 85,3 34 Ostia 17,9 7,0 34,5 20,7 48,3 29 Roma 0,0 7,3 40,0 30,0 56,7 30 Pescara 0,0 8,1 55,0 40,0 65,0 20 Bari 3,8 8,0 20,0 46,2 84,6 26 Foggia 7,7 6,1 18,5 25,9 63,0 27 Messina 0,0 4,2 38,5 42,3 64,0 26

Totale 5,4 6,5 43,2 26,6 77,5 526 n. missing 11 1 1 0 1

* Ciascun indicatore, in caso di dati mancanti, è stato calcolato sul totale effettivo di donne con informazione presente ** Allattamento completo al seno: solo latte materno o latte materno più acqua/tisane

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Tabella A2b. Indicatori del percorso nascita per centro nascita e cittadinanza

Centro nascita Assume acido folico*

Conosce diritto a visite e analisi gratuite

Seguita da Consultori Familiari

Incontra almeno

una difficoltà

Preferenza per parto

spontaneo

Al parto avuto vicino

persona fiducia

Tot**

% % % % % % n.

Straniere

Torino 4,1 55,1 70,1 37,8 87,2 76,3 98 Bergamo 3,4 86,5 62,9 20,5 93,3 79,8 89 Brescia 10,0 74,0 37,0 44,0 88,0 82,0 100 Milano - Buzzi 1,0 67,0 30,0 40,0 84,0 95,0 100 Milano - Mangiagalli 8,8 62,8 17,7 66,7 78,2 87,3 102 Monza 4,0 58,6 27,3 48,5 92,9 87,9 99 Rovereto 17,4 87,1 5,7 39,6 88,2 82,9 70 Trento 6,3 75,6 30,8 55,7 92,4 77,2 78 Bassano-Thiene 6,0 78,7 34,0 49,3 83,3 78,7 150 Mestre 10,0 72,0 20,0 40,0 90,0 100,0 50 Pordenone 0,9 77,4 45,3 31,3 84,7 78,3 106 Reggio Emilia 1,1 59,8 55,4 58,7 83,7 81,5 92 Ostia 10,0 77,0 40,0 41,4 84,6 70,4 98 Roma 5,4 69,6 18,8 62,5 88,2 55,4 112 Pescara 14,0 69,9 21,5 41,3 77,4 71,7 93 Bari 4,8 79,1 35,7 51,4 76,9 45,2 42 Foggia 0,0 51,2 18,6 0,0 88,4 12,5 43 Messina 30,0 47,4 10,5 92,1 72,2 2,6 38

Totale 6,7 70,3 34,1 46,2 85,6 74,9 1560 n. missing 6 0 0 63 28 4

Italiane

Torino 30,0 90,0 6,7 36,7 86,7 72,4 30 Bergamo 33,3 96,7 16,7 3,3 96,7 83,3 30 Brescia 30,0 86,7 6,7 23,3 86,7 93,3 30 Milano - Buzzi 19,4 93,6 0,0 48,4 90,3 93,6 31 Milano - Mangiagalli 21,4 100,0 7,1 7,1 85,7 96,4 28 Monza 26,8 85,4 12,2 17,1 87,8 95,1 41 Trento 31,1 93,2 2,2 11,1 90,9 84,4 45 Bassano-Thiene 15,4 92,3 7,7 41,0 89,7 97,4 39 Mestre 33,3 76,7 3,3 53,3 80,0 96,7 30 Pordenone 26,7 90,0 13,3 3,6 84,0 96,7 30 Reggio Emilia 5,9 88,2 5,9 17,7 76,5 85,3 34 Ostia 13,8 82,8 3,4 51,7 82,1 86,2 29 Roma 13,3 86,7 0,0 50,0 89,7 75,0 30 Pescara 25,0 75,0 0,0 35,0 70,0 84,2 20 Bari 7,7 84,6 0,0 12,5 75,0 56,0 26 Foggia 0,0 74,1 7,4 0,0 77,8 4,5 27 Messina 40,0 65,4 11,5 100,0 68,0 19,2 26

Totale 22,1 86,7 6,3 29,3 84,3 80,2 526 n. missing 1 1 0 4 11 10

* Assunzione corretta in periodo periconcezionale ** Ciascun indicatore, in caso di dati mancanti, è stato calcolato sul totale effettivo di donne con informazione presente

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Tabella A2c. Indicatori del percorso nascita per centro nascita e cittadinanza

Centro nascita Ricevuto info

allatt. al seno

Ricevuto info cura bambino

Ricevuto info

contracc.

Intende usare contraccettivi

Gradisce visita

domiciliare

Totale*

% % % % % n.

Straniere Torino 55.2 59,2 6,1 73,6 86,7 98 Bergamo 48.3 57,3 12,4 64,7 62,9 89 Brescia 59.0 77,0 16,0 69,0 77,0 100 Milano - Buzzi 47.0 55,0 14,0 72,5 59,0 100 Milano - Mangiagalli 64.7 55,9 21,6 92,2 45,1 102 Monza 82.8 74,8 17,2 72,7 82,8 99 Rovereto 67.1 67,1 22,9 64,3 74,3 70 Trento 82.3 83,5 20,3 64,6 82,1 78 Bassano-Thiene 68.0 66,0 16,7 66,0 69,3 150 Mestre 95.8 61,2 12,2 58,5 79,6 50 Pordenone 90.5 77,4 25,0 61,8 77,4 106 Reggio Emilia 66.3 73,9 6,5 92,4 68,5 92 Ostia 76.8 60,6 26,3 72,7 86,7 98 Roma 46.4 17,9 5,4 74,5 72,1 112 Pescara 62.4 50,5 34,4 60,9 73,1 93 Bari 92.9 85,7 39,0 21,4 100,0 42 Foggia 27.9 4,7 2,3 64,1 93,0 43 Messina 86.8 50,0 5,3 57,9 44,7 38

Totale 66.5 60,7 17,0 69,4 73,2 1560 n. missing 3 0 3 35 2

Italiane

Torino 73.3 73,3 16,7 76,0 76,7 30 Bergamo 63.3 76,7 10,0 92,6 73,3 30 Brescia 76.7 76,7 30,0 80,0 80,0 30 Milano - Buzzi 74.2 64,5 6,5 82,6 80,7 31 Milano - Mangiagalli 89.3 96,4 25,0 78,6 96,4 28 Monza 97.6 85,4 39,0 78,1 68,3 41 Trento 93.3 84,4 6,7 88,4 71,1 45 Bassano-Thiene 79.5 79,5 5,1 71,8 76,9 39 Mestre 96.7 80,0 3,3 83,3 80,0 30 Pordenone 83.3 86,7 23,3 80,0 66,7 30 Reggio Emilia 76.5 70,6 5,9 82,4 76,5 34 Ostia 82.8 58,6 20,7 78,6 89,7 29 Roma 53.3 23,3 3,3 73,1 66,7 30 Pescara 80.0 60,0 5,0 68,4 60,0 20 Bari 88.5 88,5 34,6 54,2 69,2 26 Foggia 18.5 3,7 0,0 40,7 85,2 27 Messina 80.8 65,4 3,8 69,2 73,1 26

Totale 78.0 70,3 14,3 75,9 75,9 526 n. missing 0 0 0 32 0

* Ciascun indicatore, in caso di dati mancanti, è stato calcolato sul totale effettivo di donne con informazione presente

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Appendice A

Questionario “Percorso nascita tra le donne immigrate”

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Appendice B Gruppo di lavoro sul percorso nascita

tra le donne straniere

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Il Gruppo di lavoro sul percorso nascita tra le donne straniere è costituito per ogni centro nascita dal referente, dai collaboratori/trici e dalle mediatrici culturali.

Piemonte

Ospedale Maria Vittoria, Torino Referente: Paola Serafini Collaboratori/trici: Flavio Armellino, Carla Margherita Baima, Sara Cantoira, Rossana Chiolero,

Patrizia Di Lenordo, Chiara Ferrero, Giovanna Guala, Maria Leonelli, Elena Maria Mollo, Angela Mondelli, Annalisa Monni, Marta Montagna, Daniela Ricci, Roberta Risu, Antonella Tripputi, Roberta Maria Zizzo

Mediatrici culturali: Meres Alida, Laradji Zoulirha

Lombardia

Ospedale Pesenti Fenaroli, Alzano Lombardo (Bergamo) Referente: Patrizia D’Oria Collaboratori/trici: Giada Allegrini, Claudia Rota

Spedali Civili, Brescia Referente: Miriam Guana Collaboratori/trici: Florance Bertulli, Luigina De Franceschi, Orietta Foresti, Galavich Ghosseiri,

Maria Chiara Giusteri, Lucia Grassi, Veronica Mella, Nives Peli, Raffaella Russo, Amanda Tangi, Enrica Vitali

Ospedale Vittore Buzzi - Milano Referente: Fausta Gramellini Collaboratori/trici: Federico Cirillo, Drusilla Rollo Mediatrici culturali: Huang Su Ping, Aziza Zerouali

Istituto Luigi Mangiagalli, Milano Referente/i: Maria Maddalena Ferrari Collaboratori/trici: Diana Del Prato, Irene Spreafico, Silvia Vigo Mediatrici culturali: Maria Fabiana Gazze, Manga Domnica, Angelina Rodriguez, Manla Tawfik

Ospedale San Gerardo il Vecchio, Monza Referente: Anita Regalia Collaboratori/trici: Francesca Bella, Consuelo Casaniga, Samanta Cavallo, Amal Faik, Laura

Fumagalli, Daniela Gelosa, Mara Ghezzi, Margherita Milani, Elisabetta Nelli, Sara Parmognan, Emanuela Sensacqua, Marzia Serafini

Trentino-Alto Adige

Ospedale Santa Maria del Carmine, Rovereto (Trento) Referente: Marco Ioppi Collaboratori/trici: Cecilia Bonifazi, Gabriella Callegari Mediatrici culturali: Aicha Mensar

Ospedale Santa Chiara, Trento Referente: Emilio Arisi Collaboratori/trici: Elisabetta Cescatti, Laura Manica, Caterina Masè, Francesca Mazza Mediatrici culturali: Laura Ndrita

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Veneto

Ospedali di Bassano del Grappa e di Thiene (Vicenza) Referenti: Francesca Busa, Mario Zerilli Collaboratori/trici: Adriana Fabris, Silvia Marchetto, Caterina Marin, Simonetta Marinangeli,

Adalberta Moreno Mediatrici culturali: Asare Joyce, Cesar Da Silva Janaina, Chimix Antonia, Costacurta Paola,

Djebnoun Lebia Zakia, Elmsadder Hajar, Fernando Pryangeika, Ghartey Rebecca, Marhani Amina, Mullick Sharmin, Ratoshnyuk Lyudmyla, Samrani Bouchra, Sandu Valentina, Sirotnjak Marinka, Sucea Juliana, Tito Adriana, Xhyheri Hedie

Ospedale Villa Salus, Mestre (Venezia) Referente: Roberto Fraioli Collaboratori/trici: Marta Azzolini, Maria Isabella Robbiani, Roberta Terribile Mediatrici culturali: Rockeya Kadir

Friuli-Venezia Giulia

Area Vasta Materno-infantile, Pordenone Referente: Tiziana Martuscelli Collaboratori/trici: Walli Bianchini, Alessandra Centazzo, Rita Gius, Annamaria Palcic, Enza

Scarpino Mediatrici culturali: Olga Homovska, Nabila Khalil, Lucie Maulisova, Maria Oprea, Narinder Singh

Ratia, Sonila Xhafferi

Emilia Romagna

Arcispedale Santa Maria Nuova, Reggio Emilia Referente: Angela Venturini Collaboratori/trici: Sonia Zani Mediatrici culturali: Rabha Karaoui, Silvana Shabani, Sun Shu Yan, Ophelia Wong

Lazio

Ospedale Grassi, Ostia (Roma) Referente: Rita Gentile Collaboratori/trici: Anna Rita Bochicchio, Loredana Cortese, Lucia Covino, Fabiana Cungi, Lucia

D’Aiuto, Nicolina Fiscante, Eliana Fraioli, Teresa Giovanniello, Daniela Iandoli, Angela Magliulo, Cristina Miotto, Patrizia Mortera, Gabriela Nobile, Francesca Nuzzo, Pierluigi Palazzetti, Maria Parisi, Silvana Rei, Elisabetta Romano, Laura Salemme, Francesca Sulli, Maria Teresa Todari

Ospedale San Pietro Fatebenefratelli, Roma Referente: Rosalia Fiore Collaboratori/trici: Tiziana Caseri, Ilaria Maruccio, Angela Massimo, Albena Mladenova, Claudia

Roberti

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Abruzzo

Ospedale Civile dello Spirito Santo, Pescara Referente: Minna Maria Carmela Collaboratori/trici: Maurizio Antonella, Rita Campanelli, Carmine D’Incecco, Edy Carriera, Maria

Rosaria D’Addamio, Maria Assunta De Angelis, Lorella Di Pietro, Concetta Feriozzi, Anna Lisa Mancini, Rita Molinari, Federica Salvemme, Damiana Spera

Mediatrici culturali: Flutura Condili, Kateryna Alerhush, Ndiaye Ndeye Nor, Ohumumiwen Edokpayi, Yulan Jin

Puglia

Ospedale Di Venere, Bari Referente: Filippo Maria Boscia Collaboratori/trici: Patrizia Bellomo, Emanuella De Palma, Mariapia Gogoli, Cristina Maremonti,

Ippolita Satriani, Mattia Terrone, Angela Lacalamita

Ospedali Riuniti, Foggia Referente: Angiola Giustina Savastio Collaboratori/trici: Marianna Consiglio, Pantaleo Greco, Alessandra Leonardi, Deni Procaccini,

Antonio Scopelliti Mediatrici culturali: Negmije Biljurova, Mabibi

Sicilia

Policlinico universitario G. Martino, Messina Referente: Francesco Cancellieri Collaboratori/trici: Fatima Zahra Abdeddine

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Roma, luglio-settembre 2011 (n. 3)