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1/47 RACCONTI BREVI PER RAGAZZI (… ma anche per adulti …) Brevi racconti pensati per accompagnare i ragazzi nella preparazione al Natale, ma validi comunque in ogni occasione. Il loro carattere “naif” li rende più appetibile a dei lettori giovani, ma non solo …! Tutto il materiale è stato reperito in rete. Noi abbiamo solo provveduto ad assemblarlo. PRIMO RACCONTO – Tema: Aspettare La storia: Una luce alla finestra SECONDO RACCONTO – Tema: Cercare La Storia: Le tre chiavi del cielo TERZO RACCONTO – Tema: Vigilare La storia: Arrivarono solo in tre QUARTO RACCONTO – Tema: Vedere La storia: L’antenna ribelle QUINTO RACCONTO – Tema: Preparare la via La storia: Peppino e la montagna nera SESTO RACCONTO – Tema: Donare La storia: Il pacchetto misterioso SETTIMO RACCONTO – Tema: Accogliere La storia: Nel paese dei coccoloni OTTAVO RACCONTO – Tema: Povertà La storia: Perché alla grotta c'erano l'asino e il bue NONO RACCONTO – Tema: Gioia La storia: La leggenda del pastore cattivo ALTRI RACCONTI… NON C'È POSTO NELLA LOCANDA SIGNORA SI CHIUDE LA STORIA DEL TRONCHETTO I REGALI NELLO SGABUZZINO I TRE AGNELLINI NATALE AL FRONTE IL PIÙ BEL CANTO DI NATALE ELIOGABALO E MATUSALEMME Riferimenti

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RACCONTI BREVI PER RAGAZZI

(… ma anche per adulti …)

Brevi racconti pensati per accompagnare i ragazzi nella preparazione alNatale, ma validi comunque in ogni occasione. Il loro carattere “naif” lirende più appetibile a dei lettori giovani, ma non solo …!Tutto il materiale è stato reperito in rete. Noi abbiamo solo provvedutoad assemblarlo.

PRIMO RACCONTO – Tema: AspettareLa storia: Una luce alla finestra

SECONDO RACCONTO – Tema: CercareLa Storia: Le tre chiavi del cielo

TERZO RACCONTO – Tema: VigilareLa storia: Arrivarono solo in tre

QUARTO RACCONTO – Tema: VedereLa storia: L’antenna ribelle

QUINTO RACCONTO – Tema: Preparare la viaLa storia: Peppino e la montagna nera

SESTO RACCONTO – Tema: DonareLa storia: Il pacchetto misterioso

SETTIMO RACCONTO – Tema: AccogliereLa storia: Nel paese dei coccoloni

OTTAVO RACCONTO – Tema: PovertàLa storia: Perché alla grotta c'erano l'asino e il bue

NONO RACCONTO – Tema: GioiaLa storia: La leggenda del pastore cattivo

ALTRI RACCONTI…

NON C'È POSTO NELLA LOCANDASIGNORA SI CHIUDELA STORIA DEL TRONCHETTOI REGALI NELLO SGABUZZINOI TRE AGNELLININATALE AL FRONTEIL PIÙ BEL CANTO DI NATALEELIOGABALO E MATUSALEMME

Riferimenti

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PRIMO RACCONTO

Tema: Aspettare

La storia: Una luce alla finestra

La strana epidemia si abbatté sulla città all'improvviso. Iniziava come unraffreddore: i colpiti cominciavano a starnutire, poi prendevano unostrano colore grigiastro, finché la malattia esplodeva in tutta la suavirulenza e i colpiti diventavano prima avidi, poi prepotenti e arraffatori,perfino ladri. E tremendamente sospettosi gli uni degli altri. Il pensierodel denaro intaccava e annullava tutti gli altri pensieri.«Ciò che conta, nella vita, sono i soldi. Con i soldi si fa tutto»,sostenevano. Insieme al pensiero dei soldi arrivava anche la paura. Ivenditori di casseforti e porte blindate non riuscivano a star dietro agliordini. In certi alloggi la porta d'ingresso arrivava ad avere diciottoserrature a prova di tutto, anche di bazooka. Nelle famiglie, i papà e lemamme rubavano i soldi dai salvadanai dei bambini. I bambinirispondevano solo più: «Quanto mi dai?». Non solo per asciugare i piattio per fare i compiti; anche per andare nei giardinetti a giocare. E ibambini di prima elementare imparavano a scrivere sul conto in banca.Il farmacista provò a distribuire ai malati libri che parlavano digenerosità e bontà. Ma quelli scuotevano il capo e correvano a vendere ilibri sulle bancharelle. Un sabato pomeriggio, nella via principale,scoppiò un tremendo tafferuglio per una moneta da cinquecento lire.Perfino il dottore fu contagiato e cominciò a vendere le medicinescadute, che prima buttava via con molta attenzione. La vita in cittàdivenne insopportabile. Quasi tutti viaggiavano armati e i più ricchi sipagavano le guardie del corpo. I malati avevano lo sguardo torvo ederano infelici. E soprattutto rendevano infelici tutti quelli che vivevanocon loro. Si sentivano solo più parlare di soldi, cambi, tassi di interesse eazioni che andavano su o giù. Nessuno voleva più pagare le tasse. Ilsindaco e i suoi consiglieri decisero di recarsi per un consulto dal famosoBarbadoro, che era un po' eremita (…), per chiedere una medicina oalmeno un consiglio.

Il virus «Sgrinfiacchiappa»L'eremita dalla lunga barba bianca li ascoltò con attenzione, poilisciandosi la barba disse: «Conosco la malattia che ha colpito il vostrovillaggio. E’ dovuta ad un virus che si chiama "sgrinfiacchiappa" ed èterribile, perché chi è colpito diventa sempre più insensibile, il suo cuore

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si indurisce fino a diventare di pietra e al posto del cervello si forma unpallottoliere. Si può sfuggire al contagio per un po' di tempo compiendoatti di bontà e di generosità, ma per debellare veramente la malattia c'èun solo rimedio: l'acqua della Montagna-Che-Canta. Dovete trovare ungiovane forte e coraggioso, completamente disinteressato. Deveaffrontare questo impegno solo per amore della gente. Perché l'acquadella generosità funziona solo se è veramente voluta, aspettata, accolta. Elogico, no? Perciò se troverete il giovane adatto in grado di affrontare ledifficoltà dell'impresa (e non è cosa da poco) la medicina farà effetto solose ci sarà qualcuno ad aspettarla».«Noi aspetteremo. Tutti», giurarono il sindaco e i consiglieri.«Dobbiamo assolutamente uscire da questa epidemia che rende infelicela nostra città». «...e vuota le casse comunali», aggiunse l'assessore allefinanze, che aveva la pelle grigia di chi veniva colpito dalla malattia delvirus «sgrinfiacchiappa».Il giorno dopo su tutti i muri della città era affisso un bando: «Cercasigiovane coraggioso per impresa eroica». Si presentarono in duemila. Maappena gli aspiranti eroi venivano a sapere che non ci avrebberoguadagnato niente, si ritiravano. Tutti, meno uno. Era un giovanerobusto e simpatico, preoccupato dalla malattia che colpiva i suoiconcittadini e che rendeva infelici tante persone. Si chiamava Giosuè.Il sindaco e i consiglieri spiegarono a Giosuè quello che doveva fare,anche se non avevano alcuna idea di dove si trovasse la Montagna-Che-Canta. «La cercherò», disse tranquillamente Giosuè. «Noi tiaspetteremo», promise la gente. «Metteremo una luce sulla finestra tuttele notti, così saprai che ti aspettiamo».Giosuè mise un po' di biancheria e pane e formaggio in una bisaccia,baciò la mamma e il papà, abbracciò Mariarosa, la sua fidanzata, che glisussurrò: «Anch'io ti aspetterò». Salutò tutti e partì.

Il gigante SoffionePer tre giorni Giosuè camminò risolutamente verso le montagne, chetremolavano nella luce azzurrina dell'orizzonte. «Una volta là, mi basteràcercare la Montagna-Che-Canta. Non deve essere difficile», pensava. Masi illudeva.Dopo dieci giorni di marcia, le montagne continuavano ad apparirelontane, come profili di giganti dormienti, all'orizzonte. Ma Giosuè nonsi fermava. Pensava agli abitanti della città che certamente siricordavano di lui e lo aspettavano, ai suoi genitori e a Mariarosa e, ognimattina, anche se i piedi gli dolevano ricominciava la marcia.Passarono altri dieci giorni, poi dieci mesi. Nella città, le prime nottierano state un vero spettacolo. Sui davanzali di quasi tutte le finestrebrillava una luce. Era il segno della speranza: aspettavano l'acqua della

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generosità portata da Giosuè. Ma con il passare del tempo, moltelampade si spensero. Alcuni se ne dimenticarono semplicemente, altri,colpiti dalla malattia, si affrettarono a spegnerle per risparmiare.La maggioranza dei cittadini, dopo qualche mese, scuoteva la testadicendo: «Non ce l'ha fatta. Non tornerà più». Ogni notte, c'era qualcheluce in meno alle finestre.Ma Giosuè, dopo un anno, arrivò alle montagne. Le prime eranomontagnole da poco e le valli che le dividevano larghe e facili. Poi sifecero sempre più aspre, rocciose, disseminate di ostacoli. Giosuè stavacon le orecchie tese per individuare la Montagna-Che-Canta. Qualchepicco, grazie al vento, fischiava. Qualche montagna, grazie ai ghiacciai eai torrenti, rombava. Ma nessuna cantava.In una piccola baita, aggrappata al fianco di una montagna, incontrò unvecchio pastore e gli chiese qualche informazione. Il pastore gli regalòuna scodella di latte fresco e poi gli disse: «La Montagna-Che-Canta?Certo che so dov'è. Non mi fa dormire quando porto le mie pecore apascolare da quelle parti. Ma è un accidenti di montagna! Ripida elevigata come un obelisco e con il gigante Soffione». «Chi è?». «Ungigante burlone che si diverte a soffiare giù chi cerca di salire sullamontagna». «Pazienza, ma io devo salire lassù», disse Giosuè.Il vecchio pastore lo accompagnò fino ai piedi della montagna e lo salutò:«Buona fortuna!». La montagna cantava davvero, con un vocione allegroe un po' stonato. Giosuè cominciò subito ad arrampicarsi. Le pareti dellamontagna avevano pochi appigli e il povero giovane si ritrovò presto conle mani rovinate dalla roccia. Era quasi a metà della salita, quando unsoffio di vento violento lo staccò dalla parete e lo fece rimbalzare in giùper parecchi metri. Mentre cadeva sentiva la risata del gigante Soffione,felice per lo scherzo che gli aveva giocato.Neanche questa volta Giosuè si scoraggiò. Si riempì le tasche e la camiciadi sassi e ricominciò a salire. Pesante com'era, ogni centimetro glicostava una fatica terribile, ma il gigante Soffione aveva un bel soffiare.Non riusciva neanche a farlo vacillare. Dopo un po' il gigante cominciò atossire e infine smise di soffiare. Quando Giosuè arrivò sulla vetta e videla sorgente cristallina dell'acqua della generosità, la montagna intonòl'Alleluia di Händel a quattro voci.

Tutto inutile?Il ritorno di Giosuè fu molto più rapido. Aveva compiuto la missione chegli era stata affidata e il suo cuore era leggero e lieto: la gente della cittàsarebbe tornata felice come prima. Portava sulle spalle una botticelladella preziosa acqua. Se non fosse bastata per tutti, ormai sapeva lastrada.Una notte senza luna e senza stelle, Giosuè arrivò sulla collina da cui si

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vedeva la città. Guardò giù ansimando perché aveva fatto di corsa gliultimi metri. Quello che vide gli riempì gli occhi di lacrime e il cuore diamarezza. La città era completamente avvolta dal buio. Non c'erano lucisui davanzali delle finestre. Nessuno lo aveva aspettato.«E’ stato tutto inutile... Se nessuno mi ha aspettato, l'acqua non faràeffetto... Tutta la mia fatica è stata inutile».Si avviò mestamente. Aveva voglia di buttar via l'acqua che gli era costatatanto. Stava per farlo, quando qualcosa lo fermò. C'era una luce, laggiù!Un lumino, piccolo, tremante, lottava con la notte, in mezzo ai muri neridelle case. «Qualcuno mi ha aspettato!».Giosuè rise forte per la felicità e partì di corsa. Riconobbe la finestra e lacasa. In fondo al cuore non ne aveva mai dubitato. Bussò forte e chiamò:«Mariarosa!». I due giovani si abbracciarono.«Io ti ho sempre aspettato», disse Mariarosa, semplicemente.

La riflessioneL'acqua della generosità che può guarire la città, caduta in predaall'egoismo, ha effetto soltanto se è veramente attesa. Chi non si aspettanulla, di solito non riceve nulla. Sono le nostre attese che ci tengono vivie ci danno la forza di sperare e orientano la nostra vita. Mariarosa è statal'unica a continuare ad aspettare Giosuè, perché gli voleva bene. Bisognaamare qualcuno per aspettarlo davvero. Che cosa si aspettano gli uominidi oggi? Attendono ancora la salvezza che Dio vuole donare? O vivononella loro città buia accontentandosi di quello che trovano? In questigiorni che cosa attendiamo? Le vacanze, i regali, le feste, i veglioni, latredicesima? Qui, nella nostra città, ci sono persone che attendono Gesù,proprio lui, e il suo messaggio? Attendere una persona importante eamata significa prepararsi all'incontro. Come ci stiamo preparandoall'incontro con Gesù?

La preghieraVieni, Signore Gesù! Forse molti non ti aspettano più, non hanno postonel loro cuore; eppure tu, Signore, Immenso Padrone dell'Universo, ti seifatto così piccolo. Vieni tranquillo, anche se non ci fosse nessun altro, cisono io qui ad aspettarti. Vieni, Signore Gesù!

Il fiorettoAspettare, con un saluto o qualche piccolo gesto significativo, la mammao il papà quando tornano dal lavoro.

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SECONDO RACCONTO

Tema: Cercare

La Storia: Le tre chiavi del cielo

C'era una volta un grande re, il più grande del suo tempo. Un tempo nelquale gli uomini conoscevano ancora il posto dove si trovava il cancellodel Cielo. Il re aveva conquistato tutto quello che c'era da conquistare,ma voleva ancora una cosa, la più importante: voleva le chiavi cheaprivano il cancello del Cielo. Ma nessuno riusciva ad accontentarlo.Il re aveva speso gran parte del suo enorme tesoro per pagare gente cheesplorasse ogni angolo della Terra per trovare quelle benedette chiavi,ma senza esito. Aveva inviato i suoi coraggiosi paladini nelle zone piùnascoste. Invano.Così un giorno, il re arrivò a cavallo davanti al cancello, che sembravasfidarlo, solido, inaccessibile. Agitò il pugno verso gli angeli che facevanola guardia e gridò: «Non avrò pace, finché non avrò le chiavi che apronoquesto cancello!».Un angelo lo guardò con una luce divertita negli occhi, perché i re dellaTerra non sono poi così importanti per un angelo del Cielo, e rispose:«Sulla Terra ci sono migliaia di chiavi che possono aprire il cancello delCielo, fioriscono proprio sotto i loro piedi, ma gli uomini continuano acalpestarle. Le potrai trovare anche tu, se le saprai cercare. Sono trequelle destinate a te. Se le troverai, potrai aprire il cancello del Cielo».Il re scese da cavallo e cominciò immediatamente la ricerca. Per parecchianni frugò con gli occhi il suolo dove posava i piedi, ma nessuna chiavefiorì mai sotto i suoi piedi.

La prima chiaveUn giorno, mentre camminava, quasi inciampò in un alberello rachitico equasi secco. Gli anni trascorsi nella ricerca della chiavi del Cielo loavevano reso meno orgoglioso e più attento alle cose piccole e deboli.Raccolse l'alberello e lo portò a casa. Preparò un letto di terra soffice,piantò l'alberello e lo innaffiò con cura. Poi provvide a sostenere i piccolirami e il tronco con dei tiranti.Un passante che assisteva alla scena gli disse: «Lascia perdere quellosgorbietto d'albero. Anche se lo salvi, sei troppo vecchio per poter goderedella sua ombra e dei suoi frutti. Che te ne importa?».«Un giorno qualcuno si siederà qui e benedirà l'ombra di questo albero ei suoi frutti e quindi un po' anche me», rispose il re. «Posso esserne felice

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già adesso».In quel momento vide la prima chiave. Era proprio sotto il suo piededestro e sembrava spuntata dalla terra. Era una chiave forgiata in unostrano metallo: verde come lo smeraldo.

La seconda chiavePassò dell'altro tempo. Il re continuò la sua ricerca.Un pomeriggio d'inverno, durante un forte temporale, vide una bambinalacera e scalza, che tremava rannicchiata in un portone della cittàvecchia. Il re si fermò, si tolse il mantello e lo avvolse attorno allabambina, poi la prese in braccio e la portò nel palazzo reale. Le preparòun pasto caldo e cercò dei vestiti che le andassero bene.Proprio in quel momento si accorse che sotto il suo piede sinistro c'era laseconda chiave. Era anche quella una chiave forgiata in un metallospeciale, color rosso rubino.

La terza chiavePassarono altri anni. Il re era diventato un pellegrino vecchio e stanco.Camminava a fatica, appoggiandosi ad un bastone, ma non aveva smessodi cercare la chiave che gli mancava.Giunse, una notte, in una piccola città dell'Oriente. Cercava un posto perriposare, quando una strana animazione tra la gente lo incuriosì. Vide uncurioso corteo di persone eccitate che uscivano dalla città.«Che ci vanno a fare in campagna a mezzanotte?», si chiese il re. E liseguì. Arrivò davanti ad una baracca malandata che fungeva da stalla. Lagente che aveva camminato più in fretta di lui se stava già tornando incittà, quando lui si affacciò alla stalla. Alla scarsa luce di una fiaccolafumosa, scorse una giovane mamma che cullava il suo bambino. In quelmomento il bambino aprì gli occhi.Il vecchio re si sentì tutto illuminato da quello sguardo e, per la primavolta nella sua vita, piegò le ginocchia davanti a qualcuno. Mentre il suocuore si riempiva di gioia, perché davanti a lui, fiorita dal nulla, c'era laterza chiave. Una chiave tutta d'oro.Aveva trovato le tre chiavi e ora poteva aprire il cancello del Cielo.

La riflessioneIl re del nostro racconto trovò le chiavi del Regno dei Cieli non con laricchezza, la forza o il potere, ma quando cominciò a vivereconcretamente la Fede, la Speranza e la Carità, simboleggiate dallachiave d'oro, verde e rossa. Tutti noi vorremmo trovare le chiavi delCielo, la soluzione a tutte le domande più importanti. Tutti abbiamodentro il desiderio di trovare Dio. La prima domanda che Gesù rivolge aidue discepoli di Giovanni Battista che l'hanno seguito è: «Chi cercate?».

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Il Natale ci dice che Dio è venuto ad abitare la nostra terra e che si fatrovare da chi lo cerca con sincerità. Cercare significa che si è per strada,che si cammina verso una mèta. Cercare è sempre un atto di fiducia e dicoraggio. Per questo sono pochi quelli che cercano veramente le chiavidel Cielo. Cercare è anche fatica, forza di volontà, prezzo da pagare,com'è accaduto al re della nostra storia. «Cercare Dio» significasoprattutto incominciare dall'attenzione verso ciò che è piccolo, debole,nascosto. Il Natale ci vuole insegnare proprio che è il che si trovano letracce capaci di portarci a Dio. Molti non riescono a trovare Dio, che pergran parte dei nostri contemporanei rimane uno sconosciuto. «In mezzoa voi sta uno che non conoscete», ammonisce Giovanni Battista. Perchécercano in modo sbagliato o non cercano affatto.

La preghieraGesù, ti prenderò per mano come un amico aspettato da tanto tempo.Anche se sarai di un altro colore, anche se verrai da un paese straniero,anche se si burleranno di te, anche se sarai solo, anche se piangerai, io tiriconoscerò.

Il fiorettoMettere in ordine la propria camera e le proprie cose.

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TERZO RACCONTO

Tema: Vigilare

La storia: Arrivarono solo in tre

Come tutti sanno, un tempo, quando non esistevano i computer, tutto ilsapere del mondo era concentrato nella mente di sette persone. Erano ifamosi Sette Savi. I sette sapienti che conoscevano le grandi ragioni, iperché, i come, i quando e i rimedi di tutto quello che accadeva. Eranocosì importanti che erano considerati re del paese in cui si trovavano,anche se in effetti molti non lo erano. Per questo i Sette Savi, eranoanche chiamati Re Magi.Ora, nell'anno O, studiando le loro pergamene segrete, tutti e sette iMagi giunsero ad un'unica strabiliante conclusione. Proprio in una nottedi quell'anno sarebbe apparsa una stella straordinaria che li avrebbeguidati alla culla del Re dei Re. Da quel momento, passarono ogni nottefebbrilmente a scrutare il cielo e ogni giorno a fare preparativi per laspedizione. Finché, una notte, sul velluto nero del cielo apparve la stelladiversa da tutte le altre. Senza esitare, dai sette angoli del mondo doveabitavano, i Sette Savi partirono. La stella indicava loro la strada. Tuttoquello che dovevano fare era non perderla mai di vista. Ognuno dei reMagi cavalcava in testa al proprio seguito. Tutti e sette tenevano gli occhifissi sulla stella, che essi solo potevano vedere di giorno e di notte.Indossavano mantelli di panno dorato e ogni mantello valeva un tesoro.Dietro di loro venivano i loro emiri, i loro paladini, i loro scudieri, i lorosultani. I cavalli e i cammelli erano carichi di molti abiti, moltevettovaglie e, soprattutto, di doni preziosi per il Divino Bambino.Lentamente le sette carovane si mossero verso il Monte delle Vittorie,dove la stella aveva stabilito che i Sette Savi si dovevano incontrare, performare una sola carovana.

Sette destiniOlaf, re della fredda e inospitale Terra dei Fiordi, attraversò l'immensasteppa e le catene dei monti di ghiaccio, e arrivò in una valle calda everde, dove gli alberi erano carichi di frutta squisita e il clima dolce,carico di profumi. Olaf e i suoi uomini non avevano mai visto nulla di piùbello e decisero di fermarsi per un po' di tempo. Invano la stella, dalcielo, palpitava e lampeggiava per invitare il saggio re a riprendere lamarcia. Olaf nuotava nell'acqua tiepida dei laghi della valle incantata e siabbronzava al sole e cominciò a costruirsi un grande castello. Si

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dimenticò completamente della stella.Igor, re Mago del Paese dei Fiumi, era un giovane forte e baldanzoso,abile con la spada e generoso. Era partito al primo apparire della stella ecavalcava circondato dai suoi paladini, biondi e con gli occhi azzurricome lui. Tutti indossavano elmi d'argento ornati di piume rosse earmature intarsiate di rame e di bronzo dorato. Avevano attraversato lepianure e i campi arati, finché erano arrivati nel regno del re Rosso, unsovrano malvagio e crudele. I suoi sgherri frustavano e giustiziavanosenza pietà i sudditi, che erano ridotti come schiavi. Il nobile cuore diIgor e dei suoi paladini si accese d'ira contro le ingiustizie cheavvenivano ad ogni angolo di strada e decisero di intervenire. Unmattino incontrarono uno squadrone di guardie del re che trascinavanouna dozzina di poveri contadini, laceri, affamati e coperti di catene. Igorsguainò la spada e si gettò sulle guardie seguito dai suoi paladini. E fu laguerra. Una guerra lunga e sanguinosa. Igor divenne il difensore deipoveri e dei deboli, ma perse di vista la stella e, dopo un po', non la cercòpiù.Yen Hui era il re del Celeste Impero. La sua mente era nitida come undiamante e tagliente come una lama d'acciaio. I suoi compagni di viaggioerano tutti scienziati e filosofi. E, mentre camminavano guidati dallastella, discutevano di matematica e risolvevano indovinelli difficilissimi.Arrivarono in una splendida città, ricca di monumenti di marmo, digiardini, stadi e una famosa università dove insegnavano celebri maestri.Yen Hui non seppe resistere. «Mi fermerò solo qualche ora», si disse.Proprio quel giorno uno scienziato di gran fama teneva una lezione sulleorigini dell'Universo. Yen Hui lo sfidò ad un dibattito pubblico, che fumemorabile. Durò un'intera settimana, durante la quale, Yen Hui e loscienziato si confrontarono su tutti i campi del sapere e terminò con unapartita a scacchi che ancora oggi viene analizzata dagli esperti per lagenialità delle mosse del re mago Yen Hui. Fu proprio lui il vincitore, maquando si ricordò della stella era troppo tardi: non riuscì più a ritrovarla.Lionei era un principe e poeta, veniva dalle terre dell'Ovest, e seguiva lastella insieme ai suoi amici più cari, che non portavano armi ma solostrumenti musicali. Lionei aveva composto un canto dolcissimo in onoredella stella e del Re dei Re venuto sulla terra a portare amore e pace pertutti gli uomini. Tutti coloro che lo sentivano si commuovevano fino allelacrime. La carovana di Lionel attraversò due grandi foreste, e, una sera,chiese ospitalità alla gente di un popoloso villaggio di contadini sereni eoperosi. Il giovane re e i suoi compagni furono invitati ad un banchettoofferto dal borgomastro. Al termine del banchetto, la figlia delborgomastro, una graziosa fanciulla, danzò e cantò per gli invitati. Fucosì che Lionei se ne innamorò perdutamente. Invano i suoi compagni gliricordarono la importante missione che aveva intrapreso. Tutti i pensieri

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di Lionei erano assorbiti dalla figlia del borgomastro. Nel suo cielo,lentamente la stella miracolosa impallidì e scomparve.Melchior, re dei Persiani, cavalcava in testa al suo corteo, senza perderemai di vista la stella. Era abituato alla fatica e ai sacrifici, e non diederiposo ai suoi occhi né di giorno né di notte. Non voleva correre il rischiodi perdere di vista la stella che gli segnava il cammino.Gaspar re degli Indi, aveva con sé pochi uomini fidati, il suo viaggio eralunghissimo, e non voleva mancare all'appuntamento. «Lo so concertezza, non posso ingannarmi. E’ nato un uomo del tutto simile a noi,che sarà Signore di tutta la terra e regnerà in eterno attraverso i secoli.Con animo trepidante mi getterò ai suoi piedi... E’ la cosa più grandedella mia vita», pensava.Balthasar, re degli Arabi, era già anziano, viaggiava su un cammello checon la sua andatura dondolante lo faceva assopire. Per questo eraaffiancato da un paggio che aveva il compito di tenerlo sveglio, anche conqualche brusco strattone, perché non gli accadesse la disgrazia di perderdi vista la stella che lo guidava.

Il Monte delle VittorieAll'appuntamento al Monte delle Vittorie, così, giunsero soltanto tre reMagi. Scesi dalle loro cavalcature videro aprirsi nel cielo un'immensaporta, ed apparire angeli splendenti, i quali reggevano nelle loro mani lastella cometa, e tutto il monte ne splendeva. Al piedi del monte siunirono per purificarsi presso una fonte, che stava alle sue falde, eintorno alla quale si levavano sette alberi: olivo, vite, mirto, cipresso,limone, cedro, abete. Ma quattro alberi stavano seccando e Melchior,Gaspar e Balthasar capirono che gli altri quattro Savi non sarebbero maiarrivati. Dopo la purificazione, formarono una sola carovana. «E’ tempodi mettersi in marcia», disse Balthasar, che dei tre era il più vecchio e ilpiù saggio. E la stella ricominciò a precederli, indicando loro il cammino.Verso Betlemme.

La riflessioneSoltanto i re Magi che hanno davvero vigilato non hanno persol'appuntamento più importante della loro vita. Il cristiano, come unasentinella, deve stare all’erta e non lasciarsi prendere dal torpore e dallapigrizia. Essere cristiani richiede anche attenzione e capacità di resisterealle tentazioni. Celebrare la vigilanza significa vivere ben coscienti edesti. Significa rimanere padroni della propria vita, senza lasciarsisempre trasportare dalle decisioni degli altri. Vivere è un 'avventuraimportante. Per questo dobbiamo essere vigili e attenti e non rischiare diperdere ciò che conta veramente nella vita: quello che Gesù è venuto adirci e a portarci. In questo tempo gli uomini partecipano a tante veglie e

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veglioni, ma corrono il rischio di mancare la veglia più importante:quella di chi aspetta Gesù.

La preghieraTu sei grande, Signore, e sei venuto in mezzo a noi come un fratello,come uno uguale a noi. Sei venuto a cercarci, a chiamarci uno per uno. Ioti seguirò e a tutti i miei amici dirò: È venuto Colui che il nostro cuoreaspettava!

Il fiorettoSaltar giù dal letto prontamente all'ora stabilita.

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QUARTO RACCONTO

Tema: Vedere

La storia: L’antenna ribelle

C'era una volta, sui tetti rossi di un grande condominio, un'antenna dellatelevisione che faceva con molta diligenza il suo dovere. Era un'antennacentralizzata e doveva quindi trasmettere le immagini sui televisori ditutti gli alloggi. Erano anni che si trovava lassù e ormai conosceva tutti.Ogni giorno mandava nei televisori del condominio le immagini checatturava nell'aria, quelle immagini che lei sola vedeva e sentiva. Erainfatti circondata da un turbinio continuo di colori e suoni invisibili atutti, ma non a lei. Li ordinava e li trasmetteva agli apparecchi televisivi.La sua giornata cominciava prestissimo. Il commendator Bepoli delsecondo piano si svegliava alle sei e voleva vedere un telegiornale. Nico eMario, i fratellini del terzo piano volevano i cartoni animati alle otto e liguardavano standosene beatamente a letto. Quanto li invidiava la buonaantenna! Specialmente d'inverno, quando fischiava un vento gelido e ighiaccioli l'appesantivano e doveva aggrapparsi con tutte le sue forze alletegole per rimanere ben dritta e non rovinare le immagini. Poi venivano itelefilm e le telenovele che commuovevano tanto anche lei. «Matrimonioproibito» per le sorelle Bellotti del terzo piano, «Perla Nera» perl'abbondante signora Sirano del piano terra e «Dolore, lacrime esconquassi» per il ragioniere in pensione Russo, che guardava letelenovele, ma non voleva farlo sapere a nessuno. Poi Beautiful eKaraoke per Lilli, la figlia ventenne dei signori Dolcetti del quinto piano.E così via, per tutto il giorno e buona parte della notte: partite, film,documentari, videoclip, varietà, e perfino «tribune politiche» (le piùpericolose, perché rischiava sempre di addormentarsi).

La più bella trasmissione della vitaOgni volta che c'era un televisore acceso, l'antenna entrava in unappartamento e non si limitava a mandare le immagini richieste, maapprofittava degli occhi elettronici del televisore per dare una sbirciatinaall'interno.Molti lasciavano il televisore acceso mentre facevano altro e la nostraantenna imparò a conoscere le persone del suo palazzo, anche oltre igusti televisivi di ciascuno. Così si accorse che c'erano tante cose che nonandavano. «E se non ci penso io», si disse «non troveranno mai unrimedio. Non se ne accorgono neppure, questo è il vero guaio!».

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Prese la sua decisione. Raccolse tutte le forze, si concentrò fino a cigolarecome una banderuola arrugginita, e realizzò la più bella trasmissionedella sua vita. Invece di prendere le immagini all'esterno, cominciò aprenderle in un appartamento e a trasmetterle in un altro. Con un suoprogetto.

La vecchietta del quarto pianoCominciò dalle sorelle Bellotti. Invece della telenovela preferita videroimprovvisamente sullo schermo del loro televisore una vecchietta, chefissava una fotografia, con infinita tristezza. «Sarà una nuovatelenovela», disse la sorella maggiore. «Ma quella è la vecchietta delquarto piano!», esclamò la minore. «E’ una diva della tv?». «Ma no,quella è proprio la sua casa. Guarda le finestre». Si misero a guardarecon attenzione. La vecchietta aveva gli occhi pieni di lacrime. Si asciugògli occhi con un angolo del grembiule. Mangiò qualche cucchiaiata diminestrina, controvoglia, sempre guardando la fotografia appoggiata allabottiglia dell'acqua. «Io non l'ho mai neanche salutata», disse lamaggiore delle sorelle Bellotti. «Deve essere tremendamente sola», feceeco la minore. «Perché non la invitiamo a prendere il caffè?», disse lamaggiore. «E due biscotti», aggiunse la minore. «Andiamoci subito»,disse la maggiore. Le due sorelle si alzarono e per la prima volta in tantianni dimenticarono la loro telenovela.

In quattro si litiga meglioNico e Mario si stavano dedicando al loro sport preferito che consistevanel litigare per tutto. Il televisore trasmetteva un documentario suglianimali, che improvvisamente si interruppe. «Guarda», disse Nico. «C'èuna nuova pubblicità». Erano apparsi due ragazzini che giocavano nellaloro stanza. «Ma... ma...», balbettò Mario. «Quelli sono i figli delportinaio!». «E quello è il gioco rotto che abbiamo buttato nellaspazzatura ieri». «E quelli sono i miei giornalini vecchi». Nico e Mariorimasero in silenzio. «Giocano con quello che noi buttiamo via...», disseNico. «Chiamiamoli a giocare con noi!», replicò Mario. «In quattro silitiga meglio che in due», concluse Nico. «Mamma, saremo in quattro amerenda», gridarono insieme e uscirono.

Un amico per il pranzo di NataleLa graziosa Lilli si pettinava e sospirava per Fiorello, il divo della tv chele faceva battere il cuore. Insieme a Ridge di Beautiful. Com'eranoscintillanti loro, altro che quei brufolosi ragazzi del gruppo parrocchiale.Così noiosi. Meglio zitella che sposare uno di quelli. Ma ecco che la suatrasmissione preferita si interruppe e sui teleschermo apparve unastanzetta semplice ma ordinata. Con qualche cosa di familiare. Chino sul

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tavolo, un ragazzo con i capelli cespugliosi studiava su un grosso libro digiurisprudenza. Si intuiva chiaramente che cascava dal sonno, mastringeva i pugni e leggeva e rileggeva. «Oh cielo!», fece Lilli. «Quello è ilragazzo del quinto piano, che fa il fattorino ai Grandi Magazzini... Digiorno... Mi saluta tutte le volte che lo incrocio sulle scale... e io non l'homai degnato di uno sguardo... Ma quanto sono stupida... Mamma», gridòall'improvviso «posso invitare un amico per il pranzo di Natale?».In tutti gli appartamenti del condominio succedeva la stessa cosa.Persone che vivevano nella stessa casa, che si incrociavano tante volte algiorno su scale, pianerottoli e ascensori, che magari vivevano nello stessoappartamento, improvvisamente «si vedevano» per la prima volta.E in alto sul tetto, l'antenna spossata, ma felice, gongolava, preparandosia fare di nuovo il suo dovere e trasmettere la puntata di «Sentieri».

La riflessioneC'è una malattia misteriosa che colpisce molte persone. Si chiama la«Sindrome dell'uomo invisibile». Ci sono delle persone che vivono connoi, mangiano con noi, stanno con noi magari tutto il giorno, eppure«non le vediamo». Quante persone soffrono proprio perché «non sonoviste», sono come la tappezzeria dei muri o dei mobili, sono lì, benvisibili, ma non ci interessano. L'antenna ribelle ci insegna a vederel'«invisibile». Si vede bene solo con il cuore e con l'anima. Ma gli uominiche non sanno vedere neppure chi sta tutto il giorno sotto il loro naso,sapranno vedere Dio nel Bambino di Betlemme?

La preghieraTutto ci parla di te, Signore, da quando sei venuto in mezzo a noi. Aiutacia vedere la tua immagine nel volto degli altri.

Il fiorettoScrivere gli auguri di Natale a qualcuno della città che probabilmentenon se l'aspetta o a qualcuno che quasi certamente non ne riceverà.

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QUINTO RACCONTO

Tema: Preparare la via

La storia: Peppino e la montagna nera

C'era una volta un villaggio costruito in una valle lunga e stretta, inmezzo a montagne alte e rocciose, che si spalancavano qua e là in distesedi prati e di pascoli. Gli abitanti del villaggio erano moderatamentesoddisfatti: le loro mucche e le loro pecore erano ben pasciute, latte eformaggio si vendevano bene, anche se il mercato era lontano.Ma sulla loro felicità aleggiava un'ombra nera. L'ombra nera della TorreMaledetta. La Torre Maledetta era una ruvida formazione rocciosa chechiudeva la valle e incombeva sul villaggio impedendogli di essereilluminato dal sole, se non pochi minuti all'alba e altrettanto pochi altramonto.Per il resto del giorno il sole illuminava solo i fianchi più alti della valle.Così il villaggio passava la sua giornata all'ombra. Per colpa della TorreMaledetta.

Un villaggio senza fioriA Peppino, un giovane dall'aria sveglia e dal carattere aperto e deciso, lacosa non andava proprio giù. Gli sarebbe tanto piaciuto avere ungiardino davanti alla casa, con i fiori e un ciliegio e due albicocchi e unmelo. Ma non sbocciavano fiori nel villaggio, né ortaggi, perché c'eratroppo poco sole. Chi voleva un orto doveva andare a coltivarlo lontanodal villaggio. Per questo molti andavano ad abitare altrove e, pianopiano, il villaggio perdeva abitanti. Il villaggio rischiava di morire percolpa della Torre Maledetta. Era l'unica cosa che riusciva a guastare ilbuonumore di Peppino. Ogni mattino, mentre si stirava sul balcone dellasua camera e si lasciava accarezzare dai raggi del sole, prima che fosseroinghiottiti dall'ombra, fissava la superba roccia nera con gli occhi chemandavano lampi di dispetto. «Accidenti, accidentaccio», brontolava.«Un villaggio senza fiori, senza farfalle e senza canzoni è un villaggiosenza bambini, un villaggio che muore...».Girava gli occhi sui tetti d'ardesia che avevano riflessi d'argento e suicamini che con il loro fumo facevano propaganda alla fragrante polentache borbottava nei paioli di rame, pensava agli abitanti che conoscevatutti per nome, cognome e soprannome e si diceva: «Devo assolutamentefare qualcosa... Sono il più giovane del villaggio e quindi tocca a me!».Un mattino, appena il sole si nascose dietro la parete nera della Torre

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prese la decisione. Si mise sulle spalle il piccone nuovo che avevacomprato alla fiera e si incamminò, con passo risoluto verso lamontagna. «Dove vai?», gli chiese la mamma. «Vado a buttare giù laTorre Maledetta», rispose semplicemente Peppino. «Ma cosa dici? Seidiventato matto? Non ce la farai mai!». «Qualcuno deve incominciareuna buona volta!», ribadì caparbio.Arrivato ai piedi della Torre, alzò lo sguardo verso l'immensa paretescura che incombeva su di lui con un vago senso di minaccia. «A noidue!», disse Peppino. Gli rispose un rombo cupo, come una grassa risatasussultante, che terminò nel sibilo maligno del vento. «Cominceròdall'alto», si disse e cominciò a salire. La vetta della Torre aveva qualchechiazza di neve, ma Peppino non degnò di uno sguardo il panorama. Alzòil piccone e lo abbatté con tutte. le sue forze contro la roccia. «Tò, beccatiquesto!». Con un po' di sorpresa, si accorse che il suo colpo di picconeaveva staccato un grosso blocco di pietra che lentamente rotolò giù dallavetta, trascinandosi dietro un corteo di sassi più piccoli. «Allora si può!»,esultò. Moltiplicò i colpi, con rabbia, con gioia. «Aprirò la strada alsole!».Dopo qualche ora si buttò a terra, sudato, spossato. E guardò il risultatodella sua opera. Aveva buttato giù un bel po' di sassi, ma non avevaabbassato la Torre neanche di un millimetro. «Dovessi impiegarci tuttala vita ce la farò!», si disse.

Una vocina nella rocciaMa gli sembrò di riudire il rombo sussultante che era la risata di schernodella Torre. Si rialzò e riprese a picchiare con il piccone. «Beccati questo!E anche questo!», gridava sbrecciando, scheggiando, frantumando lerocce della vetta. Passò quel giorno e quello dopo. Così per un mese.Ogni mattina, Peppino rinnovava la sua sfida alla Torre Maledetta. Ma ilrisultato non era granché: l'immane picco sembrava più alto e saldo chemai. «Lascia perdere», gli dicevano i concittadini, che cominciavano acrederlo un po' matto. «Tanto ci siamo abituati».Scuotendo la testa, Peppino insisteva: «Farò arrivare il sole sul vostrobalcone tutto il giorno... E sbocceranno i fiori nella piazza». Tornavalassù e ricominciava a picconare. Dopo qualche mese, il «pic... pic...» delsuo piccone divenne un rumore familiare per le pecore e le mucche deglialti pascoli. Ma era così grande e solida quella roccia...Un mattino, però, successe una cosa straordinaria. Peppino stavaspingendo giù dalla Torre un grosso masso che aveva appena staccato,quando udì chiaramente una vocina che lo chiamava. «Peppino,Peppino». Si guardò intorno sorpreso. La voce riprese a chiamare. Lacosa più strana era che la voce proveniva da dentro la montagna. «Dovesei?», chiese Peppino. «Qui, sotto i tuoi piedi, dentro la roccia!».

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Peppino si inginocchiò e scrutò con attenzione nel buco lasciato dalmasso. Sul fondo si apriva una fessura e, dentro la fessura, piccolapiccola si agitava una manina bianca.«Liberami», implorò la vocina. Impugnò il piccone e in poco temposcavò fino ad arrivare alla mano, poi continuò con attenzione e infine sitrovò davanti una bambina dagli occhi color lago alpino e vestito colorspuma di torrente.«Grazie», disse la bambina, mentre Peppino la guardava con l'ariastralunata. «Sono la fata delle sorgenti, ma il maligno architetto dellaTorre mi ha imprigionata. Ma ora che mi hai liberata, il tuo desiderio siavvererà». «E come farai? Sei così piccola e fragile». «Con la pazienza,un po' di tempo e la forza dell'acqua», sorrise la fatina.Alzò la mano, come fosse il cenno di attacco di un direttore d'orchestra.Mille gorgoglii, saltelli, risatelle, sciacquii riempirono l'aria. Millesorgenti sbocciarono sulla Torre Maledetta. Piccole all'inizio, si riunironoa formare ruscelli, torrenti, cascate. E ognuno di essi incideva,smerigliava, scavava, trasportava a valle ghiaia, sassi, detriti.«Stanno facendo a pezzi la Maledetta!», gridò Peppino e fece volare inaria il cappello. Voleva ringraziare la fata delle sorgenti, ma quella nonc'era più. Corse a dare la notizia al villaggio, che adesso era fiancheggiatoda un torrente giovane e forte che scendeva dalla Torre Maledetta.Oggi quel villaggio è inondato dal sole dal mattino alla sera, ed è pieno difiori, farfalle e bambini. Al posto della Torre c'è una serie di roccettesmozzicate, coperte dal muschio e dai cespugli. Ci vanno i vecchietti acercare i funghi.

La riflessioneChe tristezza vivere nell'ombra! Se ci fosse qualcosa che impedisce al soledi arrivare fino a noi, faremmo come Peppino: cercheremmo di abbatterel'ostacolo, perché il sole è importante: è la vita. Anche per l'arrivo di unpersonaggio importante, per la visita di un capo di stato, si fanno tantipreparativi: si studiano i percorsi, le soste, gli incontri. Vengono toltitutti i possibili intralci. Giovanni Battista ci invita a fare altrettanto per lavenuta di Gesù, che è più importante del sole e di qualsiasi altropersonaggio. Ma gli ostacoli che dobbiamo togliere e abbattere sonodentro di noi: le cattive abitudini, i peccati, le pigrizie, le parole cattive.Sono tutte queste cose che fanno ombra nella nostra anima. Peppino èriuscito nella sua impresa perché si è fatto aiutare dalla fata dellesorgenti. Anche noi dobbiamo farci aiutare dalla Grazia, cioè dalla forzache Dio dona a tutti coloro che decidono davvero di accoglierlo nella lorovita. Per questo esistono i Sacramenti e, in modo particolare ilSacramento della Riconciliazione.

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La preghieraVieni, Signore, non ci sono ostacoli sulla strada che porta al mio cuore.Risplendi come luce nelle mie tenebre, le mie labbra proclameranno iltuo nome; tutta la terra conoscerà il tuo amore e tutti gli uomini la tuasalvezza.

Il fiorettoEliminare per una giornata ogni tipo di capriccio.

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SESTO RACCONTO

Tema: Donare

La storia: Il pacchetto misterioso

Alla piccola Elena piaceva tantissimo andare a far commissioni con lanonna. Specialmente nei giorni prima di Natale. Soprattutto perché lanonna era molto sensibile alle sue richieste. Così ogni volta che uscivacon la nonna, Elena tornava a casa con un bel regalo: un nuovo libro, unalbum da colorare, l'ovetto kinder con la sorpresa.Ad Elena sarebbe piaciuto tanto giocare con gli altri bambini, mentre lanonna faceva la spesa dal panettiere e dal droghiere, ma tutti i bambiniche incontrava avevano la faccia annoiata e nessuna voglia di giocare.Perfino la nonna finiva in fretta di fare la spesa, perché nei negozi nonc'era nessuno di buon umore che si fermasse a scambiare duechiacchiere, proprio nessuno che avesse tempo per qualche parolagentile. Sulla strada del ritorno, nonna e nipote tacevano, tenendosi permano, mentre lemme lemme cominciava a scendere la neve.

«Uno solo basta»Arrivata a casa, la nonna si sedette nella sua poltrona preferita. Lachiamava il suo pensatoio. Rimase a riflettere un po', poi si alzò decisa eandò nello sgabuzzino. Tornò dopo un po' tenendo in mano un magnificopacchetto-regalo avvolto in carta dorata e legato con un nastro rosso.Elena avrebbe voluto aprirlo per sapere che cosa c'era dentro, ma lanonna le fece capire che il pacchetto era in realtà un segreto. Il mattinodopo, nonna e nipote uscirono presto di casa portando il pacchettoluccicante per la carta dorata e il nastro rosso. Il primo che incontraronofu Pasquale, la burbera guardia con i baffoni a manubrio. Era un tipo chenon dava confidenza a nessuno e viveva da solo.La nonna gli si avvicinò e gli porse il pacchetto. «Che debbo farne?»,domandò Pasquale colto di sorpresa. «E’ per lei», disse Elena. La guardiaera piena di stupore. «Che cosa contiene?», chiese. «Amicizia e felicità»,disse la nonna e gli strinse la mano. «Hai visto com'era contento,nonna?», disse Elena. «Torniamo a casa a preparare altri pacchetti daregalare?». La nonna scosse la testa: «No, Elena», spiegò, «uno solobasta».«Finalmente ho anch'io degli amici in paese», pensò Pasquale, e ripreseil cammino con più baldanza e il cuore più caldo. Per la strada incontròSebastiano, l'operatore ecologico, che poi significa spazzino. Sebastiano

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era timido e i bambini lo prendevano in giro. Quando vide arrivare laguardia, lo spazzino si nascose dietro al carrettino. Ma Pasquale gli porseil pacchetto dicendo: «E per te!». «Grazie», mormorò Sebastianoincredulo e felice. Così la guardia e lo spazzino divennero amici.Ma Sebastiano non aprì il pacchetto. «Farò un regalo a Dolores», pensò.Dolores era una bambina magra magra con le treccine bionde, l'unicache gli diceva sempre «Buongiorno». Dolores era a letto con l'influenzae, un po' imbarazzato, Sebastiano affidò il regalo alla mamma di Dolores,che gli offrì il caffè.Quando Dolores ebbe il bellissimo pacchetto, si sentì subito meglio.Accarezzò la bella carta dorata e il nastro rosso e pensò: «Deve essere unregalo bellissimo. Lo manderò a Susi, per fare la pace». Susi era lamigliore amica di Dolores, ma a scuola due giorni prima avevano litigatoe si erano dette «strega» e anche «antipatica-smorfiosa».Quando Susi ebbe il pacchetto, corse da Dolores e l'abbracciò, poiinsieme decisero che un regalo così bello poteva far felice la maestra, cheda un po' di tempo sembrava così triste.La maestra si illuminò quando trovò sulla cattedra il pacchettoscintillante e quel giorno non le pesò far scuola e le ore passarono unapiù radiosa dell'altra.Tornando a casa, la maestra portò il regalo alla signora Ambrosetti, cheaveva i figli lontani e piangeva spesso.Neanche la signora Ambrosetti si tenne il regalo, ma lo portò aLucianone, che era sensibile e garbato, ma, siccome faceva il macellaio,tutti lo credevano senza cuore.Neanche Lucianone si tenne il pacchetto... Che continuò così a passare dimano in mano e tutti quelli che se lo scambiavano si sorridevano e siparlavano.Qualche giorno dopo, quando Elena e la nonna tornarono a fare lecommissioni, si sentivano chiacchiere allegre venire dai negozi, mentre ibambini avevano voglia di giocare. Un uomo salutò la nonna e leraccontò che cosa era successo qua e là e di come la gente da qualchetempo era più felice grazie ad un misterioso pacchetto.Mentre la nonna trafficava nella borsa alla ricerca delle chiavi della portadel suo appartamento, le venne incontro la signora Amalia, che abitavaal piano di sotto, e che non le aveva mai rivolto la parola. «Vorreiaugurarle Buon Natale», disse e le offrì... il bellissimo pacchetto con lacarta dorata e il nastro rosso. «Grazie», rispose la nonna sorridendo.«Perché non viene dentro a far due chiacchiere di tanto in tanto?».«Evviva», gridò Elena, quando furono soli in casa. «Il pacchetto ètornato da noi! Ma ora mi dici cosa c’è dentro?». «Niente di particolare»,rispose la nonna. «Solo un po' d'amore».

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La riflessioneSaper donare è la capacità più importante che possiamo imparare: ècome imparare a diventare seminatori di felicità. In questi giorni c'è undono per tutti, anche per coloro che sembrano dimenticati. Ma ogni festao ricorrenza possono essere occasione per fare un dono a coloro cheamiamo. Non si regalano solo cose: si può donare vita, gioia, bontà, unsorriso, una parola... Possiamo così sperimentare ciò che afferma laBibbia: «C'è più felicità nel dare che nel ricevere» (At 20,35). Un donofatto col cuore è gratuito, non ha secondi fini. Dice all'altro il nostroamore, il nostro desiderio di entrare in comunione con lui. Così diventasegno della bontà di Dio che, ogni giorno, fa sorgere il suo sole sui buonie sui cattivi e non aspetta nulla in cambio. I regali che in questi giorni cifacciamo sono segno che c'è una sorgente all'origine di ogni dono: ilcuore di Dio, che ha voluto donare tutto se stesso a noi nel mistero delNatale e continua a farlo ogni giorno nell'Eucaristia.

La preghieraTu ci hai donato tutto te stesso, Signore, e quel dono meraviglioso che èla vita. Per ricambiarti voglio viverla alla grande ed essere anch'io undono di bontà per tutti quelli che metterai sulla mia strada.

Il fiorettoImpegno e attenzione nelle ore di scuola.

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SETTIMO RACCONTO

Tema: Accogliere

La storia: Nel paese dei coccoloni

«Stai dritto con la schiena. Quante volte te lo devo dire?», gli disse ilpapà. «Muoviti o facciamo notte!», gli disse la mamma. «E piantala difar domande su tutto: sei stressante», gli disse la sorella. «Guarda comehai ridotto lo zainetto! Se lo dovessi pagare tu...», continuò il papà. «Nonmi stare sempre intorno», continuò la mamma. «Sei un mentecatto»,continuò la sorella.Matteo credeva di essersi abituato alle parole che scandivano le suegiornate. Si svegliava di solito al suono di: «Sbrigati, sei in ritardo, lavatibene, hai messo tutto nello zaino? Ma quanto sei imbranato...». Finiva legiornate al suono di: «Hai gli occhi che ti cadono nel piatto: ora te ne vaia dormire e non far storie come tutte le sere! Quanto hai preso initaliano? E spegni subito la luce!».Ma quel giorno tutto prese una cattiva piega. Alessandro, il suo miglioreamico, gli aveva buttato in faccia: «Ma sei diventato scemo?». Che poisignifica: «Ti stai comportando come uno scemo». Titti, la maestra,l'aveva definito un «poltronaccio» e, durante la partita, Walter l'avevachiamato «schiappa». Così quella sera due grossi lacrimoni gli corserolungo le guance e finirono nel puré. «Uh, ué la lagna…», fece la sorella.Matteo corse nella sua cameretta e si buttò sul letto. Almeno lì potevasinghiozzare in pace.

Dolce come biscotti e NutellaUn discreto picchiettare alla finestra attirò la sua attenzione. Corse avedere e si trovò di fronte una creatura stranissima, ma piacevolissima.Non si capiva bene come era fatta, ma tutto in lei era soffice, morbido,luminoso, sorridente e carezzevole. «Chi sei?».La risposta sbocciò come un trillo di campanelli, dolce come biscotti eNutella: «Sono un coccolone... E ho visto che hai bisogno di noi. Dammila mano e vieni con me».Matteo si mosse come in un sogno. La morbida creatura lo prese permano e lo fece volare oltre la finestra nel cielo. «Dove mi porti?», chieseMatteo. «Nel paese dei coccoloni». «Dov'è?». «Dietro l'arcobaleno».Dopo un volo leggero attraversarono tutti i colori dell'arcobaleno, chehanno un gusto squisito (il verde è alla menta, l'arancione sa diaranciata, l'indaco è tamarindo e così via), atterrarono in un paese fiorito

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e pieno di allegria. Matteo vide che c'erano i bambini coccoloni e igenitori coccoloni, i nonni coccoloni e perfino i maestri coccoloni,naturalmente nelle scuole coccolone. I bambini coccoloni furono i primia invitarlo a giocare.

«L'importante è volersi bene e... dirselo»Matteo ci si mise d'impegno, anche perché l'atmosfera era piacevole eamichevole. E decisamente diversa da quella a cui era abituato. Quandoqualcuno sbagliava, c'era sempre qualcun'altro che diceva: «Coraggio. Laprossima volta andrà meglio», e quando Matteo riuscì a fare gol, perfinoil portiere avversario gli disse: «Bravo!». Matteo, invece di esultare,constatò amaramente che probabilmente quello era il primo «bravo»della sua vita.Dopo la partita, i suoi nuovi amici coccoloni fecero a gara per invitarlonelle loro case. Matteo accettò l'invito del portiere avversario, quello chegli aveva detto «bravo». Era una famiglia come la sua: mamma, papà,sorella e fratellino. Solo che questi erano tutti coccoloni... A tavola,Matteo ebbe il posto d'onore. La mamma coccolona lo baciò e Matteo sisentì venire le lacrime agli occhi, perché era tanto tempo che la suamamma non lo baciava più e lui non sapeva come fare a dirglielo. «Hoanch'io una sorella più grande», disse Matteo. «Allora sai anche tu checos’è una rottura», disse il piccolo coccolone: «Ma è così comoda per icompiti e per giocare». Tutti risero.Poi tutti fecero il gioco «Racconta la tua giornata». Il papà, la mamma, lasorella e il fratellino raccontarono quello che avevano fatto, gliavvenimenti belli e meno belli della loro giornata. Matteo fu colpitosoprattutto da una cosa: nella famiglia coccolona tutti si ascoltavano. Siascoltavano davvero, non si interrompevano a vicenda, non dicevano:«Smettila un po', mi fai venire il mal di testa». Si ascoltavanosemplicemente.Poi tutti gli occhi si puntarono su Matteo. «E la tua giornata com'èstata?», disse papà coccolone.Matteo raccontò tutto quello che aveva dentro e che fino a quel momentoaveva confidato solo al cuscino. Lo ascoltarono comprensivi. Alla fine ilpapà coccolone gli disse: «Vedi, l'importante è volersi bene e... dirselo».Gli diede un sacchetto di polvere rosa. «Quando sarai a casa prova conquesta polverina. Soffiane un po', qua e là. E polvere coccolona...», glispiegò.In quel momento Matteo si svegliò. «Che razza di sogno ho fatto», pensò.Ma... Spalancò gli occhi e si rizzò a sedere sul letto. Perché il suo pugnostringeva una manciata di polvere rosa. «Ma allora è vero!».Mise la polverina dentro una scatoletta e poi si alzò. «Voglio provare sefunziona». Vide sul tavolo di cucina il caffè del papà. Furtivamente fece

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cadere nella tazzina un pizzico di polverina. Il papà, come al solito, era dicorsa. Bevve il caffè e poi disse soddisfatto: «Buono!». Questo nonl'aveva mai fatto. Anche la mamma se ne accorse. Poi, incredibilmente,prima di uscire il papà fece una carezza affettuosa sulla testa di Matteo:«Passa una bella giornata, ometto! E dacci dentro a scuola perché staserati sfido a Scarabeo». «Urrà, funziona!», pensò Matteo, felice. «Nemetterò una razione doppia nel caffè della maestra».

La riflessioneQuanta polvere coccolona avremmo bisogno anche noi? E così facile farsoffrire quelli che ci stanno intorno. E così facile essere sgarbati,prepotenti, sbraitoni. E così facile dare spintoni, insultare, essere volgari,rispondere di malagrazia, essere maleducati. Il messaggio del Natale è unaltro. Il Natale è la manifestazione della tenerezza di Dio. Nel Bambinodi Betlemme si manifestano la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini.Gli uomini hanno bisogno di tenerezza come gli alberi hanno bisogno diacqua e di luce. Senza di essa appassiscono e muoiono. I cristiani sonochiamati a imitare Dio proprio in questo: portare la tenerezza, che è ladelicatezza dell'amore, in mezzo agli uomini.

La preghieraDio, tu ci hai affidati gli uni agli altri, aiutaci ad essere fedeli a questafraternità. Donaci la tua tenerezza per essere gli uni per gli altri luce,calore, speranza, amore, grazia, perdono.

Il fiorettoSotto il piatto di ogni familiare un bigliettino con la scritta: «Grazie,perché ci sei» e la firma.

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OTTAVO RACCONTO

Tema: Povertà

La storia: Perché alla grotta c'erano l'asino e il bue

Mentre Giuseppe e Maria erano in viaggio verso Betlemme, un angeloradunò tutti gli animali per scegliere i più adatti ad aiutare la SantaFamiglia nella stalla.er primo, naturalmente, si presentò il leone. «Solo un re è degno diservire il Re del mondo», ruggì. «Io mi piazzerò all'entrata e sbraneròtutti quelli che tenteranno di avvicinarsi al Bambino!». «Sei troppoviolento», disse l'angelo.Subito dopo si avvicinò la volpe. Con aria furba e innocente insinuò: «Iosono l'animale più adatto. Per il Figlio di Dio ruberò tutte le mattine ilmiele più profumato e il latte più ricco di panna. Porterò a Maria eGiuseppe, tutti i giorni, un pollo grasso!». «Sei troppo disonesta», dissel'angelo.Tronfio e sfolgorante arrivò il pavone. Dispiegò la sua magnifica ruotacolor dell'iride e proclamò: «Io trasformerò quella povera stalla in unareggia più bella del palazzo di Salomone!». «Sei troppo vanitoso», dissel'angelo.Passarono, uno dopo l'altro, tanti animali. Ciascuno magnificava il suodono, invano. L'angelo non riusciva a trovarne uno che andasseveramente bene per il compito delicato di custodire e aiutare il Re dei Re.Si accorse però di un paio di animali che continuavano a lavorare, con latesta bassa, nel campo di un contadino, nei pressi della stalla diBetlemme. Erano l'asino e il bue.L'angelo li chiamò: «E voi non avete niente da offrire?». «Niente»,rispose l'asino e afflosciò mestamente le lunghe orecchie. «Noi nonabbiamo niente oltre l'umiltà e la pazienza. Tutto quello che abbiamo inpiù sono le bastonate!».Ma il bue, timidamente, senza alzare gli occhi, disse: «Però potremmo ditanto in tanto cacciare le mosche con le nostre code».L'angelo finalmente sorrise: «Voi siete quelli giusti!».

La riflessioneOrmai tutti abbiamo fatto il presepio. Chi rappresentano le statuine cheabbiamo collocato intorno alla grotta? Gesù è nato nella povertà, tragente semplice e generosa. Perché questa scelta? Anche Maria eGiuseppe erano poveri e semplici, proprio per questo sono totalmente

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disponibili alla chiamata di Dio. Coloro che hanno l'anima soffocata dalpeso delle ricchezze e del potere, come Erode, non sentiranno mai lavoce del Signore. Sono troppo occupati a difendere quello che hanno.Così rischiano addirittura di intralciare i piani di Dio. I ricchi e i superbihanno tutto, i poveri invece non hanno niente. Per questo sannoattendere dagli altri e da Dio. Sono capaci di ricevere e quindi di dare.Sono gli occhi dei poveri e dei semplici che vedono Gesù Bambino esoltanto le loro orecchie sentono il canto degli Angeli. Se vogliamosentire e vivere il messaggio eterno del Natale dobbiamo anche noiliberarci dalle troppe cose che ci distraggono e impediscono la nostra vitaspirituale.

La preghieraSignore Gesù, riempi tu il nostro cuore. Con Maria, con gli angeli e con ipastori noi ti adoriamo. Ti sei fatto povero per farci ricchi con la tuapovertà: concedi a noi di non dimenticarci mai dei poveri e di tutti coloroche soffrono.

Il fiorettoRinunciare a qualcosa per darlo a qualcuno più povero, o fare un'offertaalla Caritas parrocchiale prendendo il denaro dal proprio salvadanaio.

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NONO RACCONTO

Tema: Gioia

La storia: La leggenda del pastore cattivo

C'era una volta un pastore che aveva un gran brutto carattere e duecagnacci anche peggiori di lui. Viveva da solo con le sue pecore e i suoicani, perché anche gli altri pastori lo temevano. Era un uomo ringhioso evendicativo, perennemente arrabbiato contro qualcuno o qualcosa. I suoiocchi erano solitamente accesi d'ira e la sua barba incolta e irsuta. Le sueparole erano sempre amare e nessuno lo aveva mai visto sorridere. Imendicanti che bussavano alla sua porta dovevano scappare di corsa,inseguiti dai cani e dalle minacce del pastore.Quando, nella notte santa, agli altri pastori apparve l'angelo cheannunciava la nascita del santo Bambino, il pastore burbero brontolò:«Uno stupido trucco per i gonzi», e si avvolse con rabbia nel suomantello, nero come il suo cuore. Ma proprio quella notte avvennequalcosa di straordinario.Poco lontano di là, nella notte, uno straniero camminava per cercare delfuoco. Bussava a tutte le porte. «Aiutatemi, brava gente», diceva, «miamoglie ha appena avuto un bambino e io devo accendere un fuoco perriscaldarli, lei e il piccolo». Ma era notte fonda, tutti dormivano enessuno gli rispondeva. L'uomo cercava e cercava. Era San Giuseppe.Il buio lo avvolgeva da tutte le parti, ma ad un tratto vide il bagliore di unfuoco. Si avvicinò quasi correndo. Era il fuoco del pastore scontroso eiracondo che faceva la guardia al suo gregge. I cani dormivano accucciatiai suoi piedi e tutt'intorno le pecore dormivano una addossata all'altra.Quando San Giuseppe arrivò, i cani si destarono. Aprirono le fauci perabbaiare, ma non ne uscì nessun suono. Il pastore li incitò ad attaccarel'intruso. Con il pelo ritto e le zanne appuntite che luccicavano ai baglioridel fuoco, i cani si scagliarono su San Giuseppe, ma quando gliarrivarono vicino, come costretti da una mano invisibile, si accucciaronouggiolando ai suoi piedi.Il pastore sorpreso e contrariato strinse più forte il suo nodoso bastone,poi, con un impulso improvviso lo lanciò con tutta la sua forza contro lostraniero. Ma il bastone, arrivato davanti allo straniero, deviò dalla suatraiettoria e sibilando finì lontano nel campo.Il nuovo arrivato aveva l'aria mite e inoffensiva e si avvicinò al pastorecamminando tranquillamente sulle pecore addormentate, sfiorandoleappena, senza svegliarle.

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«Amico, dammi un po' di fuoco per scaldare il mio bambino e la suamamma», chiese San Giuseppe. Il pastore stava per risponderemalamente, quando si ricordò che i cani non lo avevano morso, ilbastone non lo aveva colpito e le pecore non si erano svegliate. Un po'inquieto, non osò rifiutare. «Prendine quanto ne vuoi!», fece brusco.

Come una manciata di mele rosseNon c'erano quasi più fiamme, rami e tizzoni erano completamenteconsumati. C'era solo un mucchio di braci e lo straniero non aveva nésecchio né pala per portarle via. Il vecchio pastore se ne accorse emalignamente ripeté: «Prendine quanto ne vuoi... Se puoi».San Giuseppe si chinò, prese con le mani un po' di braci ardenti, leavvolse in un lembo del suo mantello e, dopo aver ringraziato, se neandò. E il fuoco non bruciò nè le sue mani nè il suo mantello. Se lo portòvia come fosse una manciata di mele rosse.Il pastore era rimasto di sasso. «Ma che notte è mai questa», pensava«che i cani non mordono, i bastoni non colpiscono, le pecore non sispaventano e il fuoco non brucia?». Richiamò lo straniero, a voce alta:«Che notte è questa? Perché sono tutti buoni?». L'uomo rispose con lasua voce gentile: «Lo devi capire da solo. Con il cuore. Io non possodirtelo».Il vecchio pastore decise di non perdere di vista lo straniero e incominciòa seguirlo da lontano. Così scoprì che quell'uomo non aveva neppure unabaracca per ripararsi e che sua moglie e il bambino stavano in una speciedi grotta, senza difesa per il freddo.Quando il pastore vide il bambino, il suo cuore freddo e inacidito siriscaldò un po'. Il buio, cupo e scontroso, che abitava la sua animaimprovvisamente cominciò ad illuminarsi. Aprì la sua bisaccia edestrasse un vello di pecora, bianco e morbido, e lo porse alla donnaperché avvolgesse il bambino. Poi prese pane e formaggio e li offrì ai duesposi.In quel momento i suoi occhi si aprirono e vide ciò che prima non avevapotuto vedere e udì ciò che prima non aveva potuto udire. Si accorse diessere circondato da schiere di angeli che cantavano in coro che il Messiaera nato in quella notte, il Messia che avrebbe liberato il mondo interodal male. Allora comprese perché in quella notte di gioia niente enessuno poteva fare del male. E gli angeli non erano soltanto intorno alui ma dappertutto, nella grotta e sulle rocce, nel cielo e sulle colline:avanzavano in processione per contemplare il Divino Bambino.Dappertutto si respirava felicità, gioia, canti e danze.E il pastore vide tutto questo in quella notte che gli era sembrata nera evuota prima che i suoi occhi fossero davvero aperti. Allora un'ondata difelicità lo travolse e una gioia incontenibile vibrò in tutto il suo essere,

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fibra per fibra. Come se tutto in lui si fosse trasformato in una di quellearpe che suonavano gli angeli. Si buttò in ginocchio e ringraziò ilSignore. E per la prima volta nella sua vita, i suoi occhi si riempirono dilacrime di felicità.

La riflessioneNon dimenticatelo mai, perché tutto questo è vero. Questa è la notte deimiracoli. Non sono le candele e le lampade che contano, nè la luna o ilsole. Ciò che importa, è che noi abbiamo degli occhi capaci di vedere lagloria di Dio. E in questa grande notte gli occhi degli uomini, anche diquelli che hanno dentro rabbia e amarezza, si possono aprire acontemplare quello che dalla notte dei secoli gli uomini volevano vedere:il volto di Dio. Dio ha deciso di farsi conoscere. Lui, l'OnnipotenteCreatore del cielo e della terra, si è mostrato in Gesù. Possiamo toccarlo,parlargli, mangiare con lui e scaldarci alla sua amicizia. Dio è vicino: si èfatto uomo! Annunciate questa incredibile notizia! Dio è con noi. Ditelo atutti i vostri amici, ai vostri genitori riuniti intorno al presepio oall'albero. Questa è una notizia da diffondere, perché nel cuore degliuomini si metta a brillare una gioia luminosa più di tutti i solidell'Universo. Perché si faccia strada anche negli angoli più bui dellanostra storia questa sconvolgente certezza: Dio vive in mezzo a noi.

La preghieraOggi la notte è luminosa e il giorno risplendente. Perché lui è il bambinoche cambia il mondo. Sul suo viso danza il sorriso di Dio. Egli c'è e restacon noi e la gioia degli uomini diviene la gioia di Dio. Egli c'è e resta connoi e la sofferenza degli uomini diviene la sofferenza di Dio. Egli sichiama Emmanuele: Dio con noi.

Il fiorettoUna preghiera con tutta la famiglia davanti al presepio o a un'immaginenatalizia.

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ALTRI RACCONTI…

NON C'È POSTO NELLA LOCANDA

Guido Purlini aveva 12 anni e frequentava la prima media. Era già statobocciato due volte. Era un ragazzo grande e goffo, lento di riflessi e dicomprendonio, ma benvoluto dai compagni. Sempre servizievole,volenteroso e sorridente, era diventato il protettore naturale dei bambinipiù piccoli.L'avvenimento più importante della scuola, ogni anno, era la recitanatalizia. A Guido sarebbe piaciuto fare il pastore con il flauto, ma lasignorina Lombardi gli diede una parte più impegnativa, quella dellocandiere, perché comportava poche battute e il fisico di Guido avrebbedato più forza al suo rifiuto di accogliere Giuseppe e Maria.

La sera della rappresentazione c'era un folto pubblico di genitori eparenti. Nessuno viveva la magia della santa notte più intensamente diGuido Purlini. E venne il momento dell'entrata in scena di Giuseppe, cheavanzò piano verso la porta della locanda sorreggendo teneramenteMaria. Giuseppe bussò forte alla porta di legno inserita nello scenariodipinto. Guido il locandiere era là, in attesa.“Che cosa volete?” chiese Guido, aprendo bruscamente la porta.“Cerchiamo un alloggio”.“Cercatelo altrove. La locanda è al completo”. La recitazione di Guido eraforse un po' statica, ma il suo tono era molto deciso.“Signore, abbiamo chiesto ovunque invano. Viaggiamo da molto tempo esiamo stanchi morti”.“Non c'è posto per voi in questa locanda”, replicò Guido con facciaburbera.“La prego, buon locandiere, mia moglie Maria, qui, aspetta un bambino eha bisogno di un luogo per riposare. Sono certo che riuscirete a trovarleun angolino. Non ne può più”.

A questo punto, per la prima volta, il locandiere parve addolcirsi eguardò verso Maria. Seguì una lunga pausa, lunga abbastanza da farserpeggiare un filo d'imbarazzo tra il pubblico.“No! Andate via!” sussurrò il suggeritore da dietro le quinte.“No!” ripeté Guido automaticamente. “Andate via!”.

Rattristato, Giuseppe strinse a sé Maria, che gli appoggiòsconsolatamente la testa sulla spalla, e cominciò ad allontanarsi con lei.Invece di richiudere la porta, però, Guido il locandiere rimase sulla

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soglia con lo sguardo fisso sulla miseranda coppia. Aveva la bocca aperta,la fronte solcata da rughe di preoccupazione, e i suoi occhi si stavanoriempiendo di lacrime.

Tutt'a un tratto, quella recita divenne differente da tutte le altre. “Nonandar via, Giuseppe” gridò Guido. “Riporta qui Maria”. E, con il voltoilluminato da un grande sorriso, aggiunse: “Potete prendere la miastanza”.

Secondo alcuni, quel rimbambito di Guido Purlini aveva mandato apallino la rappresentazione. Ma per gli altri, per la maggior parte, fu lapiù natalizia di tutte le rappresentazioni natalizie che avessero mai visto.

Per vivere diversamente

Il racconto è un invito a ritrovare il senso vero del Natale. Per troppagente quello che succede in questi giorni è solo una specie di “teatrino”,una commedia recitata da tutti per antica tradizione. Guido doveva farel'attore e recitare una parte stabilita. Invece ha trasformato in vita lospirito autentico dei Natale.Quali sono gli elementi che fanno veramente il Natale?Sono le decorazioni, l'atmosfera creata da luci e musiche, i regali?È solo un po' di sentimentalismo o qualcosa di molto concreto?

Lavoro di gruppo: scrivi su un grande cartellone: QUESTO È ILMESSAGGIO DEL NATALE.Passalo ad altri amici, e ognuno poi scriva quello che pensa. Alla finediscutete le frasi scritte.

Proposta di lettura: dalla Bibbia, Isaia 11,1-9.Gesù viene ad inaugurare un regno di pace, e giustizia e bontà.Vivere veramente il senso del Natale è diventare con Gesù costruttori delnuovo regno.

PreghieraTu lo sai Signore: dietro la maschera della nostra indifferenza c'è uncuore che ti aspetta.Dietro la maschera del nostro orgoglio c'è il volto di uno che ha pauradi proclamare la sua fede. Tu, Signore, sei colui che smaschera.Tu togli i travestimenti e fai apparire la verità nascosta nel cuore degliuomini.

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SIGNORA SI CHIUDE

Era la Vigilia di Natale e la commessa non vedeva l'ora di andarsene.Pensava in continuazione alla festa che l'attendeva appena finito illavoro. Sentiva già i mormorii di ammirazione che l'avrebberoaccompagnata mentre entrava vestita con l'abito da sera di velluto, con ilcavaliere che la scortava... Quando arrivò l'ultima cliente. Mancavanosolo cinque minuti alla chiusura.“Non è possibile che venga proprio al mio banco” pensò.Finse di non sentire quando quella si schiarì la voce e disse piano:“Signorina, signorina quanto costano quelle calze?”.“Credo che sul cartellino ci sia scritto 8 euro” rispose brusca.“Non ne avete di meno care?”.“Quattro euro e mezzo” scattò guardando l'orologio.“Mi faccia vedere quelle meno care”.“Spiacente signora, stasera chiudiamo alle 18,30 perché, se non lo sa,oggi è la Vigilia di Natale”.Siccome non apriva bocca si decise a guardarla. Era pallida, aveva l'ariaaffaticata, le occhiaie profonde… non doveva avere neanche 30 anni. “Mai miei figli non hanno neanche un regalo” disse alla fine tutta d'un fiato.“Fino a stasera non avevo soldi”.“Mi dispiace per lei signora” disse la commessa e se ne andò.Non giunse fino al fondo del banco. La donna non aveva detto una parolama non le riuscì di fare un passo in più. Quando si voltò notò nei suoiocchi l'espressione più triste che avesse mai visto.Si ritrovò dietro al banco: “D'accordo, signora, ma faccia presto”.Un sorriso le illuminò il volto, e si mise a correre dai calzini ai nastri poiai lettori portatili. Alla commessa quei pochi minuti sembravano lunghicome l'eternità.Finalmente si decise per alcune paia di calze, per dei nastri colorati, ungiradischi portatile e due CD di fiabe natalizie.La commessa gettò gli acquisti in un sacchetto e le diede il resto. Ormainon c'era più nessuno. Andò di corsa negli spogliatoi e si infilò in fretta ilvestito e corse fuori dal negozio incontro al suo “cavaliere” chel'attendeva in macchina, con il motore acceso.Fu al terzo semaforo rosso che vide la donna del negozio: camminava infretta tenendo stretto contro il suo esile corpo il pacco dei doni per i suoifigli. Il suo volto, che aveva perduto la patina di stanchezza, era ancorailluminato dal sorriso.In quel breve istante qualcosa avvenne dentro di lei.Non vide solo una donna: vide i suoi quattro bambini che, il mattinodopo, si sarebbero infilati felici le calze nuove, messi i nastri nei capelli e

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avrebbero ascoltato le favole natalizie sul lettore portatile nuovo.

Per vivere diversamente

Sovente basta poco per fare felice chi ci sta accanto. La commessa delracconto quel poco lo fa anche mal volentieri.Il Signore, che non trascura neppure il dono di un bicchiere d'acqua, nonlascia senza risultato i nostri gesti di amore, anche i più poveri di sensoper noi.

Proposta di discussione: è vero o meno il proverbio: “Una cosa buona vasempre fatta anche a costo di essere mal fatta”.Personalmente, cosa ti impedisce di fare bene il bene che fai.Natale è tempo di compere. Perché non aiutare i commessi dei negozi afare bene quello che devono fare?

PreghieraOggi la notte è luminosa e il giorno risplendente.Perché lui è il bambino che cambia il mondo.Conoscete il suo nome?Sul suo viso danza il sorriso di Dio.Egli c'è e resta con noi e la gioia degli uomini diviene la gioia di Dio.Egli c'è e resta con noi e la sofferenza degli uomini diviene la sofferenzadi Dio.Egli si chiama Emanuele, Dio con noi.

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LA STORIA DEL TRONCHETTO

Ogni sera, quando il padre di Nellina rientrava dal bosco, scuoteva laneve dagli stivali e brontolava: “Oh, là là! Che caldo fa, qui! Sembra unforno! Guarda, Nellina, i vetri delle finestre sono tutti appannati! E poi,sempre questo odore di dolci e creme bruciacchiate! Toh, guarda tuamadre, coperta di farina dalla testa ai piedi! Che idea che ho avuto disposare una fornaia!”.Naturalmente la mamma di Nellina non era contenta. I suoi occhibrillavano di collera. Gridava: “Che cosa? Dolci bruciacchiati? lo? I mieipanettoni farciti sono i migliori dei mondo! E poi io faccio delle cose conle mie mani. Tu, grand'uomo, non fai che demolire dei poveri alberi chenon t'hanno fatto niente. Guardalo, Nellina, tutto coperto di segaturadalla testa ai piedi!”.Nellina ne aveva abbastanza di questi litigi. Si arrotolava le trecce biondeforte forte intorno alle orecchie e non sentiva più niente. Ma il papàcontinuava a gridare: “Questa sedia è tutta appiccicosa. È ancora la tuacrema!”. E la mamma urlava: “Crema? Ma quale crema: è la resina deituoi maledetti alberi. La spiaccichi dappertutto!”.Quella sera, Nellina piangeva nel suo lettino. Amava tanto il papà e lamamma. Ma ora esageravano. Due giorni dopo era Natale e loro nonfacevano nessuno sforzo per andare d'accordo e passare una bella festainsieme. Il papà si era rifiutato di ridipingere l'insegna della pasticceria.La mamma non aveva voluto rammendare il gilet del marito. I grossilacrimoni di Nellina bagnavano la sua bambola preferita. Il giorno dopoNellina raccontò tutto al cugino Gianni.“Non serve a niente piangere” le disse Gianni.“Devi fare qualcosa. I tuoi genitori ti vogliono bene. Prepara tu la festa.Fabbrica un regalino, addobba la casa e Natale sarà una festafantastica!”.Nellina tornò a casa di corsa. Aprì le finestre, spazzò fuori farina esegatura. Pulì e lucidò. Decorò la casa con rametti di agrifoglio e cartacrespa, aggiustò il gilet del papà e stirò il nastro che la mamma siannodava nei capelli.Poi si disse: “E adesso preparo una bella sorpresa! Almeno a Natale nonlitigheranno”. E mentre mamma e papà erano al lavoro, Nellina preparòla sua sorpresa, ridendo da sola.Quando il padre rientrò, non riuscì a trattenere un fischio di sorpresa:“Oh, là, là! Che bella casa! E il mio gilet riparato per Natale”. La madre asua volta: “La casa addobbata e il mio nastro lavato e stirato. Chemeraviglia!”.Il giorno di Natale, andarono a Messa tutti insieme e poi tornarono per il

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pranzo. Al momento del dolce, Nellina portò la sua sorpresa. Mamma epapà aggrottarono le sopracciglia.La mamma domandò: “Che cos'è? Sembra un tronco d'albero, con lacorteccia scura e un po' di neve. È disgustoso!”.Il papà annusò e disse: “Sa di biscotti, cioccolato e zucchero in polvere. Èdisgustoso!”Poi, tutto d'un colpo, la mamma scoppiò a ridere e disse: “È un dolce, èper me. Grazie Nellina!”Il papà scoppiò a ridere anche lui: “È un tronchetto d'albero, è per me.Grazie Nellina!”.Nellina, felice, gridò: “È per tutti e tre. E lasciatene un po' anche perme!”.

Per vivere diversamente

“Prepara tu la festa, fabbrica un regalino, addobba la casa e Natale saràuna festa fantastica”: è questo il consiglio che Gianni dà a Nellina. Nataleè senza dubbio anche la festa della famiglia ed è l'occasione giusta perrivedere o anche 'ritoccare' l'atmosfera familiare.Succedono, a volte, dissapori o contrasti nella tua famiglia?Che cosa ne è più spesso la causa? Che cosa puoi fare tu per appianarli?Organizza la festa di Natale della tua famiglia: raduna i tuoi genitori, faiin modo che si conoscano, parlate di cose serie, scherzate e giocateinsieme.

Lavoro di gruppo: aiutandovi gli uni gli altri preparate ornamenti eaddobbi per le vostre case.Organizzate nella parrocchia il concorso per il presepio più bello (maricordatevi di premiarli tutti).

PreghieraTi sei presentato all'umanità come umile germoglio di un alberocresciuto lungo i secoli.Sei nato fra gli uomini.Come me, Signore, hai conosciuto gli affanni della vita, la tenerezza diuna famiglia unita, l'angoscia per le difficoltà, la dolcezza dell'amicizia.Tu sei diventato segno di unità.Come te, Signore, che io sappia donare a chi mi vive accanto unaragione per essere felice.

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I REGALI NELLO SGABUZZINO

Il postino suonò due volte. Mancavano cinque giorni a Natale. Aveva frale braccia un grosso pacco avvolto in carta preziosamente disegnata elegato con nastri dorati.“Avanti”, disse una voce dall'interno.Il postino entrò. Era una casa malandata: si trovò in una stanza pienad'ombre e di polvere. Seduto in una poltrona c'era un vecchio.“Guardi che stupendo pacco di Natale!” disse allegramente il postino.“Grazie. Lo metta pure per terra”, disse il vecchio con la voce più tristeche mai.“Non c'è amore dentro”.Il postino rimase imbambolato con il grosso pacco in mano. Sentivabenissimo che il pacco era pieno di cose buone e quel vecchio non avevacerto l'aria di spassarsela male. Allora, perché era così triste?“Ma, signore, non dovrebbe fare un po' di festa a questo magnificoregalo?”.“Non posso... Non posso proprio”, disse il vecchio con le lacrime agliocchi. E raccontò al postino la storia della figlia che si era sposata nellacittà vicina ed era diventata ricca. Tutti gli anni gli mandava un pacco,per Natale, con un bigliettino: “Da tua figlia Luisa e marito”. Mai unaugurio personale, una visita, un invito: “Vieni a passare il Natale connoi”. “Venga a vedere”, aggiunse il vecchio e si alzò stancamente.Il postino lo seguì fino ad uno sgabuzzino. il vecchio aprì la porta.“Ma ... ” fece il postino. Lo sgabuzzino traboccava di regali natalizi.Erano tutti quelli dei Natali precedenti. Intatti, con la loro preziosa cartae i nastri luccicanti.“Ma non li ha neanche aperti!” esclamò il postino allibito.“No”, disse mestamente il vecchio. “Non c'è amore dentro”.

Per vivere diversamente

Natale è diventata la festa del regalo. Non è una brutta cosa, dopotutto!Natale è la festa del grande dono fatto da Dio all'umanità: lui stessoviene a vivere tra noi per insegnarci la strada della Vita Eterna.Scambiarsi regali è un po' partecipare alla grande generosità di Dio. Ilregalo però, dice il racconto, può trasformarsi in una usanza senza amoredentro, cioè in una triste ipocrisia.

Proposta di discussione: perché la gente si scambia regali a Natale?Quali sono le motivazioni 'reali' che spingono la maggior parte della

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gente a fare regali vistosi?Che cosa significa un regalo “con amore dentro”?Prepara dei regali speciali, che abbiano un vero significato, per i tuoiamici.

Lavoro di gruppo: organizzate una visita all'Ospedale o al Ricovero dellepersone anziane della vostra zona. Fate loro il dono più bello: un po' delvostro tempo.

PreghieraO Signore, che ti sei fatto dono per l'uomo; che non hai lasciato solo ilricordo di te come tanti che sono passati.Ci insegni che i nostri gesti d'amore sono vuoti se non portano agli altriun poco di noi stessi.Fa' che i miei doni non abbiano il sapore della circostanza, dell'obbligo,della buona creanza, ma siano un modo d'andare incontro ai fratellinella gioia di un cuore aperto.

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I TRE AGNELLINI

Lassù sulle montagne del Tirolo, c'era un piccolo villaggio dove tuttisapevano scolpire santi e Madonne con grande abilità. Ma giunse iltempo in cui non ci furono più ordinazioni per le loro belle statuinereligiose. Un pomeriggio Dritte, uno dei maestri intagliatori, entrandonella sua bottega trovò un fanciullo biondo, che giocava con le statuinedel presepio. Dritte gli disse con fare burbero che le statuine del presepionon erano giocattoli.Il bambino rispose: “A Gesù non importa, Lui sa che non ho giocattoliper giocare”.Maestro Dritte commosso gli promise un agnellino di legno con la testache si muoveva.“Vienilo a prendere domani pomeriggio, però, strano che non ti abbiamai visto, dove abiti?”“Là”, rispose il fanciullo indicando vagamente l'alto.Il giorno dopo, prima di mezzogiorno, l'agnellino era pronto, bello dasembrare vivo. Ad un tratto si affacciò alla porta della bottega di Dritteuna giovane zingara con un bambino in braccio. Il bambino appena videl'agnellino protese le braccine e l'afferrò. Quando glielo vollero togliere dimano si mise a piangere disperato. Dritte, che non aveva nulla da darealla povera donna, disse sospirando: “Tienilo pure. Intaglierò un altroagnellino”.Nel pomeriggio tardi Dritte aveva appena terminato il secondo agnellinoquando Pino, un povero orfanello, venne a salutarlo.“Oh! che meraviglioso agnello”, disse. “Posso averlo per piacere?”.“Sì tienilo pure, Pino, io ne intaglierò un altro”.E così fece. Ma il bambino dai capelli d'oro non ritornò, e l'agnellinorimase abbandonato sullo scaffale della bottega. La situazione delvillaggio continuava a peggiorare e Dritte cominciò ad intagliaregiocattoli per i bambini del villaggio per far loro dimenticare la fame. Ungiorno un mercante di passaggio si offrì di comperare tutti i giocattoliche Dritte riusciva ad intagliare. Dritte rifiutò di intagliare giocattoli perdenaro.“Sono alla locanda”, disse il commerciante, “in caso cambiate idea”.La piccola Marta era molto malata e Dritte, per farla sorridere, le regalòl'agnellino che aveva conservato sullo scaffale della sua bottega. Mentretornava dalla casa di Marta, incontrò il bambino dai capelli d'oro.“Ho tenuto l'agnellino fino ad oggi, ma tu non sei venuto. Ne farò subitoun altro”.“Non ho bisogno di un altro agnellino” disse il fanciullo scuotendo ilcapo, “quelli che hai donato al piccolo zingaro, a Pino e a Marta li hai

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donati anche a me. Fare un giocattolo può servire alla gloria di Dioquanto intagliare un santo”.Un attimo dopo il fanciullo era scomparso. Quella notte Dritte si recòalla locanda.“Costruirò giocattoli per voi”, disse.“Allora avete cambiato idea” sussurrò il mercante.“No”, rispose Dritte con gli occhi scintillanti, “ma ho ricevuto un segnoda Dio!”

Per vivere diversamente

La gioia di una festa è veramente piena solo quando la si condivide. Ilracconto è un simpatico commento al detto di Gesù: “C'è più gioia neldonare che nel ricevere”. Dritte, il maestro intagliatore, ha avuto anche lasoddisfazione di contribuire alla rinascita dell'economia del suo villaggio.La nostra gioia-ricompensa sta invece nel sorriso degli altri.Proposta di lettura: Atti degli Apostoli 4,32-37.Il rendere partecipi gli altri dei nostri doni è il mezzo migliore pertogliere dal nostro cuore ciò che impedisce di accogliere il Signore cheviene.Proponiti prima della festa dei Natale un gesto, concreto, di generosità.Sarà ancora più ricco di significato se lo farai ad uno che non ti puòricambiare oppure ad una persona che ti è poco simpatica.

PreghieraTu sei grande Signore e sei venuto in mezzo agli uomini.Come un fratello, come uno uguale a noi, io ti dico, con tutta la miatenerezza:Tu sei colui che amo e come te, Signore, passerò tra i miei fratelliportando la tenerezza.Lo dirò a mio fratello, come un messaggero che corre sui monti eannunzia la pace da un estremo all'altro della terra, che l'uomo devesperare.Dio è vicino, egli viene per la tenerezza.

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NATALE AL FRONTE

Nel dicembre 1914 inglesi e tedeschi si fronteggiavano dalle trinceeseparate da una striscia di terra brutta e piatta, divisa al centro da filospinato. Di tanto in tanto alcune sagome si avventuravano nella terra dinessuno, ma la maggior parte dei soldati rimanevano nel fango enell'acqua che stagnavano nelle trincee, intenti solo ad evitare il fuocodei nemico.La Vigilia di Natale, l'aria era fredda e piena di nebbia. Improvvisamentealcuni soldati inglesi stupefatti videro delle luci avanzare lungo le trinceenemiche. Poi venne l'incredibile suono di un canto. I soldati tedeschicantavano Stille Nacht. Quando il canto cessò i soldati inglesi risposerocon First Christmas. Il canto da entrambe le parti durò per un'ora. Poiuna voce invitò tutti a superare le linee.Un tedesco con grande coraggio uscì dalla trincea, attraversò la terra dinessuno e scese nella trincea inglese. Altri commilitoni lo seguirono conle mani in tasca per dimostrare che erano disarmati.“Io sono un sassone e voi degli anglosassoni. Perché mai cicombattiamo?” chiese.Nell'alba limpida e fredda del giorno di Natale non ci fu nessunasparatoria. Gli uomini avevano autonomamente stabilito un giorno dipace.“Uno spirito più forte della guerra era all'opera”, commentò unosservatore.I comandanti di entrambe le parti non approvarono. Sapevano chel'amicizia fra nemici dichiarati avrebbe impedito la guerra. Ma la treguacontinuò. Perfino gli uccelli selvatici, che tanto tempo prima occupavanoil rumoroso campo di battaglia, ritornarono e furono nutriti dai soldati.Sarebbero stati salvati 9 milioni di uomini, se quei soldati avesseropotuto obbedire al loro desiderio di amicizia e di pace e la tregua nonfosse finita subito dopo Natale.Un soldato inglese, che aveva preso parte a quella memorabile pacenatalizia, morì all'età di 85 anni. Fino alla fine dei suoi giorni non potevasentire Stille Nacht senza che le lacrime gli rigassero le guance. Siricordava degli amici tedeschi che aveva avuto in quel giorno di Natale eche, per quanto ne sapeva, aveva poi ucciso nei giorni che seguirono.

Per vivere diversamente

“Pace in terra agli uomini di buona volontà” cantavano gli angeli aBetlemme.

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Anche quest'anno però in molte parti della Terra non c'è vera pace. Learmi continuano a mescolare la loro micidiale canzone di morte allecanzoni natalizie. Segnate su una carta geografica tutti i paesi in cui c'èguerra, cercando notizie sui giornali.“Perché mai combattiamo?” Chiede un soldato del racconto.Perché oggi c'è gente che combatte? Quali sono le cause più frequenti diuna guerra? Perché si costruiscono tante armi?L'Italia ha dei nemici, secondo voi?Potremmo eliminare dalla nostra vita il concetto di “nemico”? Come?Leggete insieme il libro del profeta Isaia 2,2-5 e cercate di capire qual è ilsogno del profeta.

PreghieraTu hai fatto tutto con tenerezza e niente di ciò che esiste nell'immensitàdell'universo è stato fatto senza di essa.In te Signore c'è la tenerezza e la tenerezza è la vita degli uomini.Senza di essa nulla può crescere.Essa è il sole di Dio.A causa della tenerezza tu hai abbandonato i centomila splendori deltuo trono.In Gesù, tuo amato figlio, ti sei trovato adagiato in una mangiatoia,avvolto in fasce, senza alcuna difesa, e attorniato da persone senzaimportanza.

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IL PIÙ BEL CANTO DI NATALE

Nel piccolo paese di Obendorf, in Austria, un giovane sacerdote, padreMohr, stava dando le ultime istruzioni ai bimbi e ai piccoli pastori perprovare il canto da eseguire nella notte di Natale. Tra le navate silenziosesi spandeva l'eco di un vocio allegro e di piccole risatine.“Buoni, silenzio! Incominciamo!”.Ma come padre Mohr appoggiò il dito sulla tastiera dall'internodell'organo uscì uno strano rumore, poi un altro e un altro ancora.“Strano”, pensò il giovane prete. Aprì la porticina dietro l'organo e dieci,venti topi schizzarono fuori inseguiti da un gatto.Povero padre Mohr. Si voltò a guardare il mantice: completamenterosicchiato e fuori uso.“Pazienza”, pensò, “faremo a meno dell'organo”.Ma anche i piccoli cantori all'apparire dei topi e del gatto si eranoscatenati in una furibonda caccia. Ed ora non c'era più nessuno. Conl'organo in quelle condizioni e il coro dileguato dietro ai topi, addio cantodi Natale.Fu un momento di grande sconforto per padre Mohr. Mentre, davantiall'altare maggiore si chinava nella genuflessione gli venne in mentel'amico Franz Gruber il maestro elementare che, oltre ad essere undiscreto organista, se la cavava bene nel pizzicare le corde della chitarra.Quando padre Mohr giunse a casa sua, Gruber stava correggendo icompiti degli scolari al debole chiarore di una lucerna.“Bisogna inventare qualche cosa di nuovo per la messa di mezzanotte, uncanto semplice che accompagnerai con la chitarra. Qui ho scritto leparole: sta a te vestirle di musica... Ma in fretta mi raccomando!”Uscito padre Mohr, Gruber prese subito in mano la chitarra e dopo averscorso il testo lasciatogli dal prete cominciò a cercare tra le corde le notepiù semplici.A mezzanotte in punto, del 24 dicembre 1818, la chiesa parrocchialetraboccava di fedeli. L'altare maggiore era tutto sfolgorante di lumi e dicandele accese. Padre Mohr celebrava la S. Messa. Dopo aver proclamatoil vangelo di Luca che narra la nascita del Salvatore si avvicinò, con ilmaestro Gruber al presepio e con la voce tremante intonarono: “StilleNacht, Heilige Nacht (Notte silenziosa, Notte santa) ... ”. Dalle navate sipersero nel silenzio le ultime parole del canto.Un attimo dopo l'intero villaggio le ripeteva davanti a Gesù, come laschiera degli angeli del vangelo di Luca. E da allora non si è più smessodi cantarlo, non solo ad Obendorf ma in tutto il mondo. È diventata unadelle musiche più care del Natale.E di padre Mohr e di Franz Gruber che ne è stato? Nessuno dei due ha

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avuto il tempo di rendersi conto di quanto hanno donato al mondo senzaaver avuto in cambio nulla.

Per vivere diversamente

Il mondo senza la musica sarebbe un mondo senz'anima. I canti natalizisono una delle componenti più simpatiche e suggestive della festa. Lastoria, vera, della nascita del canto “Stille Nacht” rivela che quando uncanto nasce da un cuore generoso diventa un mezzo formidabile percomunicare bontà e gioia.Provate a preparare un canto da eseguire nella festa di Natale, davanti alpresepio; semplice e che sia l'espressione più genuina dei vostrisentimenti.Se ne avete l'occasione, offrite a chi è nella sofferenza, malati e anziani,un poco della vostra gioia con qualche canto natalizio.

PreghieraSignore, sei diventato un uomo con le preoccupazioni e le gioiedell'uomo.Signore, Dio, grandissimo, tu hai preso un cuore e un viso come ilnostro, per questo una grande gioia si leva dal viso e dal cuore di tuttigli uomini.

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ELIOGABALO E MATUSALEMME

Il piccolo e zoppo Matusalemme ed Eliogabalo (detto Gabalo) erano dueragazzi poveri della città. Avevano sempre vissuto, dalla nascita, nelcollegio dei ragazzi poveri.“Sai che domani è Natale?” chiese Gabalo, un giorno che tutti e duestavano spalando la neve dall'ingresso dell'istituto.“Ah, davvero?” rispose Matusalemme. “Spero proprio che la signoraPynchurn non se ne accorga. Diventa particolarmente antipatica neigiorni di festa!”L'antipatica signora Pynchum era la direttrice dell'istituto dei poveri, edera temuta da tutti.Matusalemme proseguì: “Gabalo, tu credi che Babbo Natale ci siadavvero?”.“Certo che c'è”.“E allora perché non viene mai qui alla casa dei poveri?”.“Beh”, rispose Gabalo, “noi stiamo in una strada tutte curve, lo sai no?Forse Babbo Natale non riesce a trovarla”.Gabalo cercava sempre di mostrare a Matusalemme il lato bello dellecose, anche quando non c'era!Proprio in quel momento un'automobile investì un povero cane checadde riverso sulla neve. Gabalo corse subito in suo aiuto e vide cheaveva una zampa rotta. Fece una stecca e fasciò strettamente la zampadel cane. Gabalo lesse sul collare che il cane apparteneva al dottorCarruthers, un medico famoso nella città. Lo prese in braccio e si avviòverso la casa del dottore.Il dottore aveva una gran barba bianca e lo accolse con un sorriso e glichiese chi aveva immobilizzato e steccato così bene la zampa dei cane.“Perbacco, io, signore”, rispose Gabalo e gli raccontò di tutti gli altrianimali ammalati che aveva guarito.“Sei un ragazzo davvero in gamba!” gli disse alla fine il dottor Carruthersguardandolo negli occhi. “Ti piacerebbe venire a vivere da me e studiareper diventare dottore?”.Gabalo rimase senza parole. Andare lontano dalla signora Pynchum enon essere più uno “della Casa dei Poveri”, diventare un dottore! “Oh, ohs-s-sì, signore! Oh ... ”.Improvvisamente la gioia svanì dai suoi occhi. Se Gabalo se ne andava,chi si sarebbe preso cura del piccolo e zoppo Matusalemme?“Io... io vi ringrazio, signore” disse, “ma non posso venire, signore! Eprima che il dottore scorgesse le sue lacrime corse fuori dalla casa”.Quella sera, il dottor Carruthers si presentò all'istituto con le bracciacariche di pacchetti. Quando Matusalemme lo vide cominciò a gridare: “è

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arrivato Babbo Natale!”.Il dottore scoppiò a ridere e, mentre consegnava al ragazzo un pacchettodai vivaci colori, notò che zoppicava e gli fece alcune domande.Dopo un attimo, il dottor Carruthers disse: “Conosco un ospedale in cittàdove potrebbero guarirti. Hai parenti o amici?”.“Oh, sì”, rispose subito Matusalemme, “ho Gabalo!”.Il dottore lanciò uno sguardo penetrante a Gabalo. “È per lui che non haivoluto venire a stare da me, figliuolo.”“Beh, io... io sono tutto quello che lui possiede”, rispose Gabalo.Il dottore, profondamente commosso, disse: “E se prendessi ancheMatusalemme con noi?”.Questa volta a Gabalo non importò che tutti vedessero le sue lacrime, eMatusalemme si mise a battere le mani dalla gioia. Naturalmente nonsapeva che sarebbe guarito e che un giorno Gabalo sarebbe diventato unchirurgo famoso. Tutto quello che sapeva era che Babbo Natale avevatrovato la strada per la casa dei poveri e che lo portava via con Gabalo.

Per vivere diversamente

“Io sono tutto quello che lui possiede” dice Gabalo di se stesso pensandoal suo più caro amico. L'amicizia è un tesoro prezioso.Celebrando la festa dell'amicizia tra Dio e gli uomini è giusto ricordarsidei propri amici.Proposta di discussione: qual è il segreto per avere amicizie autenticheed arricchenti?Che cosa apprezzi di più in un amico?

PreghieraSi dice che Mosè non ti poteva guardare faccia a faccia e che si levò isandali per parlarti, e questo è vero. Che Isaia profeta si purificò lelabbra con un carbone acceso per pronunciare il tuo nome, e questo èvero. Si dice che il tuo popolo ha curvato davanti a te la fronte nellapolvere, davanti a te Dio grandissimo per pregarti, e questo è vero. Matu sei il Dio che ama e ti rifiuti di vedere l'uomo tremare davanti a te. Eper farti veramente conoscere, hai preso posto in mezzo agli uomini.Tu sei venuto in Gesù Cristo, tuo amato Figlio, a mostrare il tuo verovolto lucente di sudore, corrugato per le preoccupazioni, inquieto per lafame, illuminato da mille soli per l'amicizia, spezzato dal dolore.Io so che questo è vero.Io non ho più paura perché Dio è con me.Dio tra gli uomini, Dio così vicino. Dio. Uomo. Io so che questo è vero.

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Riferimenti

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