Raccontami la storia che ascolterò di nuovo al mio ritorno

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Terza raccolta di racconti - 2012

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Annibale Bianchini

http://bendabilili.blogspot.it/

Il titolo è preso da una canzone dell'autore.

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QUESTA AVVENTURA

“Ma la vuoi smettere di rimbrottarmi con tutte le tue riprovazioni?”“Be’, hai fatto una stupidaggine, per cui…”“Per cui, per cui… ti voglio ricordare che quella stupidaggine l’hai voluta tu!”“Anche questo è vero, ma… tu eri lì con me, non puoi sottrarti a questa responsabilità”“Io non mi sottraggo affatto, ammetto totalmente di avere sbagliato –sempre che di sbaglio si tratti – ma se avessi potuto fare altrimenti avrei provveduto; d’altronde ormai ho fatto quel che ho fatto e il tuo continuo rinfacciarmi la questione non porterà ad alcuna soluzione utile, tanto più che è il frutto delle tue incessanti e inconsistenti elucubrazioni. Purtroppo siamo indissolubilmente legati finché mortenon ci separi, ed è venuto il momento, finalmente il sacrosanto momento, che tu ti contenga!”“Io non capisco perché ti scaldi tanto, sai come sono fatto e non c’è modo che funzioni in altro modo”“Eh! E’ proprio perché so come sei fatto che posso finalmente, ripetofinalmente, fare in modo che tu limiti la tua azione al ruolo che ti compete, piuttosto che ergerti a giudice di qualsiasi atto quotidiano, ordinario o straordinario che sia. Tanto più che anche di fronte ad un evento positivo, tu non sai fare altro che andare a trovare la piccola sbavatura di due millimetri quadrati su un quadro di eccezionale valore di sette metri per nove!”“Adesso esageri… E’ colpa mia se sono perfezionista?”“No, tu non sei un perfezionista, tu sei un voltagabbana, sei quello che lancia il sasso e poi nasconde la mano. Anzi! Usi la stessa mano per puntare il dito e scaricare le tue difficoltà ad accettare la realtà, sudi me e su quell’altro povero cristo, che è quello che sembra rimetterci di più!”“Mah… credo che anche lui sapesse cosa significava fare questa esperienza insieme”“Ha saputo e ha capito solo da un certo punto in poi, perché tu

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dall’inizio di questa storia sei riuscito a prendere il sopravvento e approfittando della posizione che godi in questo mondo imbastardito,hai trovato il modo di relegarmi in una posizione di confinamento estremo, fino a che, finalmente, non certo per tua concessione o l’intervento di una buona stella, sono riuscito a far sentire la mia voce, una flebile voce fino a quel momento, al nostro concretissimo edelicatissimo amico che condivide con noi questa avventura – sempre che tu possa chiamarlo amico, visto che non hai mai saputo tenere in giusta, o minima, considerazione le sue evidenti e giustificate rimostranze – e da allora, solo da allora, le cose hanno cominciato a girare per il verso giusto. Tu hai dovuto ridimensionarti e l’equilibrio ha cominciato a diventare una caratteristica essenziale di questa convivenza forzata!”“Be’… perché chiamarla forzata?”“Perché è iniziata senza una libera scelta, o forse meglio per la scelta di qualcun altro, mosso sicuramente da buone e sante intenzioni, ma che ha deciso, a quanto pare, di non tenere conto di possibili ma inevitabili “difetti di fabbricazione”, visto che ha voluto a tutti i costi riproporre il suo spirito di vita, perfetto per quel che riguarda il suo regno, a persone che appartengono ad un mondo completamente diverso; il bello è che fin dall’inizio, nonostante si siano manifestati immediatamente problemi ed effetti collaterali, non è stata avviata nessuna azione correttiva, se non quello di dire alle persone di essere dotate di tutti gli strumenti necessari per trovare una soluzione, salvo poi non chiarire fino in fondo dove trovare e come usare questi strumenti. Sembra che, ancora oggi, nonostante interventi a dir poco divini, siano ben poche le persone (e tra questi mi ci metto anch’io) che trovano questi strumenti e imparano ad usarli adeguatamente; altri - molti… troppi! - credono di averli trovati o lo fanno credere agli altri, e vanno per il mondo brandendoli come una spada, minacciando e raggirando i più deboli. Il resto vive semplicemente d’impulso, se non d’istinto, come gli gira, tanto più nel nostro mondo progredito, secondo schemi di vita che fanno acqua da tutte le parti, e nonostante si evidenzino nel reale episodi personali e sociali che richiamano e richiedono un cambiamento di rotta, continuano a vivere i propri giorni come se

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fosse un semplice accatastare una cassetta di frutta sopra l’altra, lasciando che il tutto marcisca inevitabilmente, incuranti della puzza e delle pessime conseguenze che il mondo, soprattutto quello fatto delle persone che soffrono di più, è costretto a subire...”“Mi sembri un po’ catastrofico, non è da te…”“Quando l’ennesima goccia fa traboccare il vaso, nemmeno la persona più santa si esime dal manifestare a gran voce il proprio sdegno. Ma tornando a noi, ora è il momento che in questa avventura ogni membro prenda il suo giusto e sacrosanto spazio e non invada più quello altrui, semmai intervenga se uno degli altri ha maggior bisogno. E in conseguenza di ciò è necessario che finalmente, e ribadisco finalmente, mettiamo in luce le opportunità di interazione delle reciproche specificità, superando e mettendo da parte, una buona volta, giudizi schematici che hanno poco a che fare con la realtà, se non proprio nulla, e che non fanno altro che zavorrare e ritardare il realizzarsi pieno e totale del nostro progetto esistenziale, che ci permette di essere finalmente e incondizionatamente felici!”

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IL SALICE E LA BETULLA

Pioveva, pioveva come da un po’ di tempo non succedeva, da molto tempo, tanto che nessuno in paese seppe mai dire quando. E poi il vento, il vento era così forte che gli alberi quasisi piegavano a metà, da sembrare sul punto di spezzarsi. E il cielo? Mai visto un cielo come quello, era…giallo! Oh sì, esagera adesso! Eh sì, era…giallastro, via!…?Sì, insomma, all’orizzonte filtrava il sole di un tardo pomeriggio estivo che si avviava al tramonto e le nubi parevano gialle.In ogni caso metteva una certa ansia vedere tutta quella pioggia cadere obliqua, quasi orizzontale, spinta da un vento che pareva un animale ferito e infuriato desideroso solo di spazzare via qualsiasi ostacolo sul suo cammino.Mentre tenevo d’occhio l’evolversi della situazione guardando dalla finestra, il mio sguardo si fissò incuriosito sul salice piangente del mio vicino; mi rendo conto ora di aver provato anche un certo timore, poiché lo vedevo piegarsi come non avevo mai visto piegarsi un albero. Il vento era talmente forte che i rami spinti violentemente in un’unica direzione creavano un gioco di immagini alquanto sinistro: mi sembrava di vedere bocche di coccodrilli famelici che in gruppo assalgono la loro preda e la fanno a pezzi con gran foga, con morsi violenti, ripetuti e caricati di tutta la forza di cui ogni animale è capace…Potrei anche dire di aver provato angoscia nel guardare quella…scena.E d’altro canto ricordo di aver provato anche una certa attrazione per tutta quella violenza a cui stavo assistendo, una partecipazione che poteva arrivare fino all’incitamento a quei coccodrilli perché riducessero ulteriormente la loro preda in unammasso di poltiglia macinata all’inverosimile, e poi un morso,e poi un altro, e poi…!

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Certo, in fondo in fondo riuscivano solo ad addentare l’aria cheavevano davanti, e non fosse stato per quel vento forza nove, col cacchio che sarebbero riusciti a inveire in quel modo su quella povera bestia!Che strana la vita…! Più strana certo la mia mente che riesce a rendere dannatamente realistiche le allucinazioni derivate dall’osservazione di un cielo cupo che scarica pioggia peggio delle cascate del Niagara e un vento talmente forte da trasformare un’innocuo, tenero e giovane salice – quasi mi commuovo - in un branco di mostri famelici che… Ecco, vedete, non c’è niente da fare: fai vedere un piccolo fiore colorato alla mente e lei te lo trasformerà, detto fatto, in una tremenda pianta carnivora che potrebbe rendere la mano di chilo tiene…in mano, in un pezzo di formaggio con i buchi molto poco regolari.Eh, va be’, va così, d’altronde non è certo la fantasia che ci manca…Ora che ci penso: saranno più cattivi gli enormi e pesanti coccodrilli o i piccoli e agili piranha? (O si dice piranhas? Che alasciar risuonare la s…sento già i brividi!). Potrebbe essere interessante osservare un confronto. Magari la prossima volta che si scatena un temporale del genere, oltre al salice, terrò d’occhio anche la betulla che si trova giusto lì a fianco!

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NONNA MANDA

Era la nonnina più longeva del comune, tutti la ricordavano con simpatia e con gratitudine perché la porta della sua casa era sempre aperta e chiunque poteva entrare come e quando voleva, soprattutto le persone di passaggio che potevano trovare un giaciglio per la notte e rifocillarsi dopo lunghe ore diviaggio.“Andate da Nonna Manda!” rispondevano i suoi concittadini a chi chiedeva dove poter trovare una locanda. Anche le indicazioni per raggiungere la casa erano sempre le stesse e soprattutto molto semplici: “Percorrete il vicolo che passa dietro la chiesa e vi troverete davanti al cancello che si apre sul giardino di Nonna Manda”; il cancello naturalmente era sempre aperto e non c’era nemmeno una campanella con cui annunciarsi.Appena si oltrepassava l’entrata sembrava di entrare in un mondo senza tempo, e anche gli attimi appena vissuti sembravano ricordi lontanissimi e sfocati, come fossero successi decine e decine di anni prima. Si era avvolti da piante con fiori dai colori molto vivaci e con fronde tanto prosperose che in alcuni punti lasciavano appena lo spazio per il passaggiodi una sola persona.Man mano che si avanzava verso la casa era possibile sentire ogni sorta di profumi, a volte più intensi, a volte più dolci, ma sempre ben distinti l’uno dall’altro, tanto che ad ogni metro percorso poteva sembrare di essere passati attraverso luoghi molto diversi.Quando finalmente si poteva vedere la casa… si rimaneva un po’ delusi, perché con un giardino così rigoglioso, profumato e variopinto ci si aspettava una casa sontuosa, con tanti piani e tante stanze. Invece era una casa modesta, come quelle sparse per tutto il comune, con apparentemente poche stanze e fatta solo di due piani.Anche la porta della casa restava sempre aperta, proprio

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spalancata, al massimo socchiusa in inverno per evitare che entrasse troppo freddo. Forse era anche per questo che fin dall’entrata nel giardino si poteva sentire che qualcuno in casa stava cantando, una voce femminile molto aggraziata, che davanello stesso tempo sensazione di grande franchezza e di accogliente sicurezza, come se si fosse tornati alla propria casa più che essere di passaggio in quella di altri.Anche all’interno della casa era possibile sentire profumi moltopiacevoli e quasi familiari. Appena entrati, la sensazione di essere giunti in un luogo che non aveva niente a che vedere conil mondo lasciato fuori dal giardino era ancora più forte; eppure era tale il senso di pace e di tranquillità, che sembrava effettivamente di essere tornati a casa propria.Dopo alcuni istanti che si era in attesa in quello che poteva considerarsi un atrio, ecco che da una porta laterale si affacciava con un sorriso accogliente Nonna Manda e senza dire niente faceva cenno al viaggiatore, o viaggiatrice che fosse,di seguirla su per la scala che si trovava proprio di fronte alla porta d’entrata.Al piano superiore si potevano vedere, ad una prima occhiata, quattro…no, sei porte e ad una seconda occhiata potevano sembrare otto…forse dieci... Probabilmente ogni porta corrispondeva a una stanza. La particolarità di quelle porte era che erano una diversa dall’altra e colorate ognuna in modo diverso. Sempre silenziosa e sorridente Nonna Manda invitava il nuovo arrivato, con un gesto della mano che mostra tutte le possibilità, a scegliere quale aprire e quando l’ospite si avviava verso la porta prescelta scendeva le scale per tornare, presumibilmente, alle sue faccende. E’ facile immaginare che tutti coloro che giungevano per la prima volta in quella casa vivessero un po’ d’imbarazzo o di titubanza di fronte a quell’atteggiamento così… insolito.Quando poi si decidevano ad aprire la porta prescelta, tutti restavano qualche secondo fermi sulla soglia, increduli: si trovavano davanti una stanza del tutto simile negli spazi, negli arredi e nei colori, alla propria stanza lasciata qualche giorno prima, e nello stesso tempo completamente rinnovata, come se

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qualcuno durante la loro assenza si fosse preso la libertà di migliorarla un po’. Dopodiché tutti entravano lasciando la porta aperta, appoggiavano il bagaglio su una sedia e si sedevano sul letto guardandosi in giro con aria meravigliata e interrogativa. E restavano lì, nessuno sapeva dire per quanto tempo, finché non sentivano una campanella suonare e la voce che prima cantava annunciare che la cena stava per essere servita. Allora gli ospiti uscivano dalle stanze, lasciavano la porta aperta e scendevano facendosi guidare dai profumi del cibo preparato e ricordando improvvisamente di essere alquanto affamati.Una volta seduti a tavola, venivano serviti da Nonna Manda che alternava momenti di canto sommesso ad altri in cui si informava della provenienza e della meta di ogni commensale. Poi, anche lei si sedeva e mangiava con loro pienamente a suo agio, come se quelli che sedevano con lei facessero parte della sua famiglia. Il bello è che tutti coloro che si erano fermati in quella casa, sentivano ad un certo punto l’impellente bisogno o l’irrefrenabile desiderio di raccontare a Nonna Manda, e agli altri ospiti presenti, tutta la propria vita, da quando ricordavano di essere al mondo fino ai pochi istanti prima di entrare nella sua casa. E tutti – ma proprio tutti! – quando era il momento di ripartire e di salutare quella nonnina tanto accogliente, le rivolgevano più o meno la stessa domanda: “Com’è possibile che abbia scelto una stanza che è quasi del tutto simile alla mia e nello stesso tempo così diversa?”Lei, quasi cantando, rispondeva un po’ enigmatica:“La scelta che avete fatto è stata dettata da ciò che siete, dalle vostre esperienze, dai vostri incontri, anche dal vostro viaggio, e qui avete trovato ciò che più desiderate e probabilmente, al contrario di quanto si potrebbe pensare, avete trovato ciò che ancora non sapete di desiderare”E siccome tutti uscivano da quella casa afferrando la maniglia della porta per chiuderla dietro di sé, Nonna Manda con la sua voce aggraziata e rassicurante aggiungeva: “Lasciatela pure aperta”E quelli, rivolgendole un ultimo sorriso, si avviavano verso

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l’uscita del giardino con passo tranquillo e senza fretta, come per gustare ancora un po’ di quell’aria di famiglia che avevano respirato in quel luogo. E poi, appena varcato il cancello d’entrata, riprendevano senza indugi il cammino verso la loro meta.

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UNA COSA ALLA VOLTA

Un giorno, passeggiando fra le nubi del Luogo Santo con le mani dietro la schiena, il vecchio Simatro, angelo custode a riposo, incontrò il giovane Miro, che come al solito se ne andava in giro con passo frettoloso e lo sguardo intensamente pensieroso.“Ciao Miro!” salutò il vecchio angelo con voce calma.“Oh... ciao Simatro” rispose Miro senza quasi alzare la testa né accennare a fermarsi.Simatro si fermò, si voltò a guardare l'amico e dopo un lungo istante di osservazione disse tra sé: “Mah...”. E riprese la sua passeggiata con passo tranquillo.Il giorno dopo, più o meno alla stessa ora (che per quanto eterna era comunque un'ora precisa), il vecchio angelo faceva i suoi soliti quattro passi quotidiani.Ed ecco a pochi metri sopraggiungere Miro. Di nuovo, cordialmente, Simatro lo salutò con voce pacata. Miro, oltrepassato l'amico, si fermò di colpo, si girò di scatto e disse asciuttamente: “Ciao. Scusa ma ho delle cose da sbrigare” E poiriprese il suo cammino. Simatro rimase un po' perplesso di fronte all'atteggiamento del giovane angelo e dopo aver borbottato “Mah...!” si diresse verso la sua dimora.Una volta arrivato a casa ripensò a quegli strani incontri con Miro. Si chiedeva cosa gli fosse successo, era sempre stato immerso nei suoi pensieri, ma non si era mai comportato così. D'un tratto ebbe come un'illuminazione: si ricordò improvvisamente che il suo giovane amico teneva una mano nascosta all'interno della manica della veste. Il giorno dopo avrebbe indagato.Fu così che l'indomani, sempre alla solita ora, passeggiando tranquillamente per le nuvole del Luogo Santo, vide Miro e lo chiamò, ma il giovane alla vista di Simatro cambiò improvvisamente direzione. Deciso a comprendere cosa stesse mai succedendo a quell'angelo talentuoso, Simatro andò alla

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ricerca del suo supervisore. “Sono giorni e giorni che lo cerco anch'io,” gli disse quest'ultimo “dovrebbe farmi avere la sua relazione periodica, ma da quando l'ha chiamato l'Arcangelo Superiore, non riesco a rintracciarlo”'E che c'entra ora l'Arcangelo Superiore?' si chiese Simatro dopo aver lasciato il supervisore. “Mah...!” disse sottovoce mentre si avviava verso casa.Dopo alcuni minuti ecco Miro sbucare da un corridoio laterale;andava talmente di fretta che rischiò di buttare a terra Simatro e nell'urto tutto quanto sorreggeva con una sola mano finì per spargersi tutt'intorno.“Oh scusami, Simatro, non avrei voluto urtarti” disse Miro raccogliendo le sue cose ”ma vado di fretta e ho mille cose da fare”“Un momento angelo bello!” disse Simatro tenendo Miro per un braccio “Si può mai sapere che ti succede in questo periodo?E vuoi dirmi perché hai sempre quella mano nascosta nella manica?”Miro sorpreso da quella domanda non riuscì a far altro che ammutolirsi e tenere gli occhi fissi sull'amico.“Be'?” gli chiese Simatro ”Pensi che non me ne fossi accorto? Onon te n'eri accorto nemmeno tu?”Continuando a tenere la bocca chiusa Miro mostrò la mano: era piuttosto ingrossata e tumefatta. ”Oh per il cielo che mi accoglie!” borbottò Simatro vedendo com'era conciata quella mano. “Che é successo?”“Hai saputo...” cominciò a dire Miro con un filo di voce “che... l'Arcangelo Superiore mi ha affidato... un incarico speciale”.“Sì, ho saputo che ti aveva fatto chiamare, ma non per quale motivo” ribatté Simatro.“Dovevo occuparmi di un tipo che a breve si sarebbe messo nei guai...”Visto che il giovane angelo non continuava il suo racconto, Simatro lo incalzò: “Be'? Che è successo?”“E' successo che...” continuò l'altro un po' incerto “ci sono riuscito solo a metà: quando mi sono reso conto che il mio

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protetto, distratto a fare altro mentre guidava, sarebbe andato inevitabilmente a sbattere, ho avuto l'impulso di metterci la mano... perché non si facesse troppo male... e questo” aggiunseguardandosi la mano gonfia “è il risultato!“.“E perché lo vuoi nascondere?” chiese il vecchio amico.“Be', perché è il segno del fallimento della mia missione” rispose Miro dopo qualche istante.“Mio caro Miro,” disse Simatro mettendo un braccio attornoalle spalle del giovane angelo “il fatto che la tua mano siadiventata una specie di guantone appiattito e raddoppiato dimisura, non significa che hai fallito, anzi! Hai fatto il tuodovere fino in fondo! Ciò che devi ancora comprendere bene èche gli umani, per quanto attenti e presenti, sono degli esseriun po' particolari, perché finché non sbattono il naso noncapiscono che nella vita per far bene le cose bisogna farne unaalla volta”.

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IL DENTIFICIO (RIDE BENE…)

Arturo si presentò alle otto e quarantacinque, giusto quindiciminuti prima dell’ora concordata per l’appuntamento, volevaessere sicuro di arrivare puntuale. Ma fu talmente previdenteda non pensare affatto che potesse trattarsi di un’agenzia conun orario di apertura da negozio: infatti era chiusa. E visto cheera il dieci di gennaio, con tanto di neve in ogni dove e biancodappertutto, dovette aspettare al freddo fino al momentodell’apertura.“Io e la mia dannata voglia di arrivare sempre in anticipo!” sidisse Arturo battendo i piedi sull’asfalto del marciapiede. Aspettò un’ora buona prima che qualcuno arrivasse con unmazzo di chiavi fra le mani e aprisse finalmente serranda eporta dell’ufficio. Il fatto è che quell’ufficio si trovava in unazona industriale distante da qualsiasi agglomerato urbano (perevitare, si disse in fase di progettazione, di sovraccaricare lacittà di ulteriore traffico di automezzi leggeri e pesanti erelativi problemi di parcheggio, con la fastidiosissima e pocogradita aggravante di trovare multe infilate sotto iltergicristallo, auto rimosse o ganasciate e di buttare orepreziose a far code per sblocchi, pagamenti ed eventualiricorsi) ed essendo di recente costruzione era sprovvista di unpur ridottissimo bar dove rifugiarsi per bere qualcosa di caldo.Come dite? Avrebbe potuto aspettare in auto? Eh! Il punto èche Arturo non aveva neppure la patente e si era fatto lasciareda un amico che lavorava da quelle parti, a poche centinaia dimetri dal luogo dell’appuntamento.“Ah, per fortuna che è arrivato!” disse Arturo appena entrato“Ancora qualche momento e i miei piedi sarebbero diventati untutt’uno con il ghiaccio dell’asfalto”L’impiegato gli rivolse solo un’occhiata del tutto indifferente aquanto aveva ascoltato… ammesso che avesse ascoltato.Fu automatico per Arturo dirigersi verso un termosifone cheoccupava gran parte della parete alla destra del bancone, per

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cercare un po’ di tepore dopo aver rischiato di morirecongelato (esagerato…!).“L’impianto di riscaldamento non funziona” disse l’impiegatocon la voce di chi non si era alzato volentieri quella mattina.“Ah!” disse Arturo sconsolato “E come fa a star qui dentro tuttoil giorno senza riscaldamento?” chiese in seconda battuta.“Eh… Non fosse stato per il suo appuntamento dichiaratoimprorogabile, me ne sarei rimasto a letto” rispose l’impiegato.“Oh, mi spiace…” dichiarò Arturo un po’ sarcastico “Avrebbeanche potuto dirmelo l’altro giorno al telefono, almenoneanch’io sarei rimasto un’ora al freddo ad aspettarla!”“Be’, allora, mi dica” fece l’addetto dopo qualche momento diimbarazzo “di cosa aveva bisogno che non potevaassolutamente essere rimandato”“Ho inventato un dentificio!” annunciò Arturo orgoglioso.“E che novità sarebbe?” chiese l’impiegato un po’ scocciato“Non ce n’è già abbastanza di dentifrici a questo mondo perinventarne un altro?”“No, mi scusi” disse Arturo alzando una mano “non ho dettodentifricio, ma dentificio, senza la R”Dopo qualche secondo di totale immobilità interrogativa,l’addetto dell’agenzia chiese: “E cosa sarebbe?”“Sarebbe un macchinario con cui produrre denti” spiegòl’inventore.“E l’utilità, quale sarebbe?” insistette l’impiegato “Non esistegià chi pensa a produrli?”“Sì, ma questo è ad uso familiare. In pratica” continuò Arturo“quando qualcuno necessita di sostituire qualche denteirrecuperabilmente cariato, può produrre e applicare da sé laprotesi, senza dover ricorrere al dentista”L’impiegato, appoggiato al bancone con un gomito, rimase perqualche secondo dubbioso con il mento appoggiato nel palmodella mano e poi fece una serie di domande del tutto legittime acui Arturo rispose il più chiaramente possibile:“Ma… come fa a togliere il dente cariato?”“Tramite questo braccio da cui esce un raggio che lo liquefà”“E per l’impronta dentale?”

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“Vede quest’altro braccio? E’ una macchina fotograficatridimensionale a raggi X”“E il dente nuovo come nasce?”“Ah, basta pigiare questo bottone con scritto Crea e lamacchina fa da s锓E il materiale per produrlo… cos’è, dove si mette?”“Vede… il braccio con raggio liquefacente ha anche un foro perl’aspirazione del dente liquefatto”“E usa quello?”“S씓Lo ricicla?”“S씓Ma… prima di creare il nuovo dente…” accennò l’impiegatocon una smorfia di ribrezzo e il gesto dello spazzolino.“…il tutto viene purificato attraverso un rapido ma incisivoprocesso di depurazione e di sterilizzazione” “E se mancasse del materiale per completare il dente?”“Prima di mettere in funzione la macchina bisogna riempire ilpiccolo serbatoio sotto questo tappo con della semplice resinaliquida”“E poi fa tutto lui?” chiede l’addetto guardando l’inventore dasotto in su.“Fa tutto lui” confermò Arturo.“E funziona? L’ha provato?” chiese di nuovo l’altro.Arturo aprì la bocca in un ampio sorriso e poi con un ditoindicò in direzione dei propri denti.“Tutti?!” chiese l’impiegato esterrefatto.“Tutti” confermò Arturo.“Davvero?” chiese incredulo l’addetto di agenzia.Arturo annuì ampiamente, piegando avanti e indietro la testa.“Be’, allora qui… non c’è altro da fare che brevettare!” dissel’impiegato con tono entusiastico.“Eh sì” incalzò Arturo “e devo farlo assolutamente entro oggi!”“Perché? C’è qualche concorrente? Qualche spia industriale?”“Se le dico un segreto lei lo tiene per sé, vero?” disse l’inventoresottovoce.L’altro annuì con sguardo d’intesa.

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“Se non lo faccio oggi, poi non potrò più farlo” confidò Arturo.Il secondo “perché” l’impiegato lo chiese solo con un cennodella testa.“Perché da domani in poi” disse Arturo guardandosi intornocircospetto “qualcuno è già pronto ad acquistarlo…”“E chi sarebbe?”“Mia suocera!”“Ah…” fece l’impiegato “Già… la suocera… meglio cautelarsi dapettegolezzi che potrebbero giungere alle orecchie sbagliate…”“No, no, non è per quello” chiarì Arturo “è solo che… sa,bisogni materiali…” proseguì sfregando pollice e indice aindicare soldi.Con sguardo di chi non aveva capito del tutto, l’impiegatochiese: “Bisogni materiali… in che senso?”Arturo guardandosi in giro circospetto si avvicinò ancora di piùal suo interlocutore e gli sussurrò: “E’ taccagna… e l’unicomodo per spillarle un po’ di soldi è presentarle un acquisto dicui non può privarsi. Sa quanto tempo mi ci è voluto pergiungere a questo risultato che finalmente porterà fruttisecondo le aspettative di una vita?”L’altro chiese “Quanto?” con il solito cenno del capo.Arturo rispose facendo roteare mano e braccio in cerchisempre più ampi.“E il brevetto… a che le serve?” domandò l’impiegato.“Indice di serietà e garanzia di acquisto del progetto da parte diuna grande ditta internazionale” disse Arturo con un sorriso atutta bocca.“E quindi?” chiese l’addetto impaziente.“E quindi” continuò l’inventore “mettere in circolo dei capitaliche producano altri capitali per potersi godere la vita il megliopossibile. E’ il solo parametro di giudizio di mia suocera ed èquindi disposta a sganciare solo nella certezza di avere a chefare con un suo pari o nella prospettiva che chi le propone unaffare, in particolare il sottoscritto, lo diventi”“E sua moglie che dice?” chiese curioso l’impiegato.“Eh… che dice…” disse Arturo abbassando lo sguardo “inquanto moglie non dice niente, perché ancora non lo è. Ricorda

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del tempo che ci è voluto…”Il gesto ampio del braccio dell’impiegato chiarì la suacomprensione del ragionamento.“Ecco. In pratica, per sposarci” proseguì l’altro “non fosse statoper la folgorante intuizione di questa invenzione avremmodovuto attendere l’eterna dipartita della futura suocera”“Però” ribadì l’impiegato dopo qualche istante sopra pensiero“ancora non ho capito perché vuol depositare il suo brevettoproprio oggi”“Perché domani…” iniziò a dire Arturo facendo un sospiro“scade il termine del patto pre-matrimoniale fatto con la madredi mia moglie – futura, ma ancora per poco - secondo il qualeavrei potuto sposare la figlia solo se avessi dimostrato dipoterle garantire la stessa agiatezza di cui gode da quando ènata. Ma non essendo la mia futura suocera molto intelligente,non si renderà conto affatto che quel livello di possibilitàeconomica sarà lei stessa a mantenerlo, acquistando il brevettoche lei mi rilascerà oggi, essendo lei la titolare della ditta ‘Ridebene, chi ride ultimo’ – le pare questo il nome da dare a unaditta? – che acquisterà la mia invenzione!”Dopo aver espletato tutte le formalità necessarie per laregistrazione del brevetto, l’impiegato passò alcuni secondi asfregarsi il mento in atteggiamento meditabondo.“Tutto bene?” gli chiese Arturo.“Sì, sì” fece l’altro “Solo… un’ultima curiosità: lei è propriosicuro che la persona poco intelligente in tutta questa storia siaeffettivamente sua suocera?”

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DONNA

Erano le tre donne, madre e due figlie, che si occupavano della casa. Anzi, se consideriamo la piccola Katia, figlia della sorella minore, le donne erano addirittura quattro!Gli uomini? Sì, c’erano…, ma cosa volete, gli uomini di quella casa uscivano la mattina alle sette e lavoravano tutto il santo giorno; e alla sera avevano un irrefrenabile ed unico bisogno: quello di affondare nella poltrona più comoda del salotto a godersi almeno le notizie sportive della giornata, concedendosidi tanto in tanto qualche pisolino per riprendersi dalla fatica quotidiana.Quelle tre donne invece – oh… quattro, pardòn – sembravano davvero infaticabili: la casa in cui vivevano era di nuova costruzione e richiedeva ancora parecchie cure, dalla tinteggiatura delle pareti alla lustratura dei pavimenti, dalla posa dei battiscopa alla cucitura delle tende per le finestre, per non parlare del giardino ancora tutto da sistemare… E tutto questo da mattina a sera e da sera a mattina… si dormiva fortunatamente, ma si iniziava appena finita la colazione e subito dopo pranzo, un breve stacco per fare merenda insieme a Katia e poi via senza un attimo di respiro fino all'ora di cena. Finalmente si mangiava con tranquillità, tutti insieme, scambiando qualche chiacchiera e qualche volta ci si concedevail lusso di rimandare al giorno dopo la sistemazione di stovigliee fornelli.Anche Katia si dava da fare. Appena tornava dalla scuola materna si piazzava davanti a sua madre in attesa di ricevere istruzioni; per dare una mano alla mamma, alla nonna e alla zia, diceva sempre. Certo per lei era solo un gioco e le tre donne mettevano amorevole attenzione nella scelta delle mansioni da affidare a una bambina di cinque anni.Per lei era un grande orgoglio indossare la sua “tuta da lavoro” (una tuta da ginnastica appartenuta alla sua mamma) e il

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fularino per tenere raccolti i lunghi capelli mentre svolgeva i compiti che le erano stati affidati. Mamma, nonna e zia ogni tanto, senza farsi notare, interrompevano ciò che stavano facendo per ascoltare meglio ilcanto con cui Katia accompagnava le sue attività. Cantava canzoni diverse in base al diverso gioco-lavoro che stava svolgendo; alcune nascevano completamente dalla sua fantasia, altre erano composte dalle esatte parole di un brano famoso cantate con una melodia del tutto nuova; quando invece inventava parole su melodie conosciute, le tre adulte si univano al suo canto e le giornate passavano con molta più leggerezza. Ma anche il solo sentirla cantare era un toccasana per quelle settimane così intense.Dopo alcuni mesi di grande lavoro la casa era finalmente finita e rifinita in tutti i particolari. Ora la famiglia allargata che vi abitava poteva godersela totalmente. Katia non faceva che ripetere quanto fosse bella e quanto fosse bello abitarci. Secondo lei però mancava ancora qualcosa: avrebbero dovuto darle un nome. Prima di tutto perché una cosa così bella non poteva non avere un nome e, secondo, solo chiamandola per nome la casa avrebbe saputo di essere proprio la loro casa. Tutti le dissero che aveva avuto una magnifica idea, ma quandole chiesero come avrebbe voluto chiamarla pensarono che avrebbe scelto qualcosa tipo La casa di Katia o anche solo Katia. Restarono invece meravigliati quando la bambina disse che voleva chiamarla come la mamma, la nonna e la zia; e ancora più meravigliati quando all'obiezione che sarebbe stato un nome troppo lungo aveva risposto con semplicità che bastava chiamarla... Donna.

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LA POSTINA

In un paese molto simile a quello in cui vivo, la postina era diventata la confidente (o per meglio dire il confessore ...o si dirà confessora? Boh!) di tutti, ma proprio tutti i suoi concittadini. Non sempre era stato così: lei era conosciuta come una persona affabile, disponibile a scambiare quattro chiacchiere in caso di bisogno, soprattutto con le persone sole o in particolari difficoltà. Solo più recentemente si era sparsa lavoce che era una bravissima ascoltatrice, che non dava consigli e tanto meno esprimeva giudizi; tutt'al più se qualcosa aveva da dire - vuoi per confortare chi aveva di fronte, vuoi per suggerire una diversa lettura di ciò che le avevano raccontato - non proferiva più di una decina di parole. Tanto più era apprezzata perché non confidava a nessuno quanto ascoltava, fatto salvo forse quando trascriveva qualcosa che l'aveva colpita su un quadernetto che utilizzava a mo' di diario.Il tutto ebbe inizio quando il sindaco, in un giorno in cui era particolarmente affranto, incontrò la postina sulla porta di casa proprio mentre stava uscendo. Tale fu la sorpresa per entrambi che restarono a guardarsi attoniti per qualche istante, lei con un braccio a mezz'aria poiché stava già mettendo la posta nella cassetta, lui con un lieve sobbalzo che lo sbilanciò all'indietro. Dopo questo momento di sospensione lei si accorse subito che qualcosa non andava bene nella vita del primo cittadino (nessuno seppe mai bene cosa...) e con molta spontaneità gli chiese 'Come va?'. Il sindaco, che aveva abbassato lo sguardo e bofonchiato fra i denti una specie di saluto, la guardò con ulteriore stupore, perché quella domandatanto semplice e a volte inflazionata gli era stata rivolta con un tono di voce che rivelava vero interesse; per cui dopo un primo momento di farfugliamento imbarazzato raccontò per filo e persegno ciò che gli stava accadendo. Appena iniziò a parlare, la postina, senza quasi mai distogliere lo sguardo dai suoi occhi, posò la posta nella borsa, spense il motorino, si tolse il casco,

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liberando una tale massa di capelli riccioluti che c'era da chiedersi come avesse fatto a farceli stare tutti là sotto, e si giròleggermente per trovarsi di fronte al suo interlocutore. Dopo una ventina di minuti il sindaco finì il suo racconto con un leggero sospiro di sollievo, in effetti sentiva di essersi tolto un gran peso. La postina dal canto suo abbassò per qualche istante lo sguardo, come se stesse riflettendo su quanto aveva appena ascoltato. Poi, accennando un sorriso, consegnò al primo cittadino la sua posta, si rimise il casco dimostrando come fosse possibile farci stare tutti quei capelli e un attimo prima di mettere in moto e ripartire disse guardando l'altro negli occhi: 'Stia bene'. Che si fosse trattato di un invito o di un semplice augurio il sindaco non lo seppe dire, ma certo quelle due parole lo fecero sentire ulteriormente sollevato, tanto da trasformare il senso di liberazione di qualche istante prima in una gioiosa allegria. Tale fu questa gioia che quando arrivò nel suo ufficio in comune non poté fare a meno di raccontare alla sua segretaria - era la prima volta - quanto aveva appena sperimentato. E fu così... che da quel giorno in poi sempre più cittadini aspettavano l'arrivo della postina affacciati alla finestra, per poi al momento opportuno lanciarsi fuori di casa per farsi consegnare la posta e verificare personalmente quanto avevano sentito raccontare di lei. Nel caso la vedessero sfrecciare senza fermarsi al loro indirizzo le urlavano 'C'è niente per me?' e lei alzando un braccio faceva semplicemente segno di no con la mano. Ci fu chi, per ovviare a questo inconveniente, pensò bene di approfittare di un'eventuale fermata da un vicino pur di parlare con lei. E questo a volte, dato che più persone avevano avuto la stessa idea, comportava il crearsi in strada di insolite sale d'attesa dove ognuno aspettava diligentemente il proprio turno per essere ricevuto. Nel caso non ci fosse nulla di cui sfogarsi o su cui chiedere consiglio, qualcuno cominciò ad invitarla in casa per i motivi più disparati: per esempio farle assaggiare un caffè molto pregiato o una torta appena sfornata, per chiederle un'opinionesu un lavoro a maglia, o anche solo per mostrarle tutte le foto di moglie, figli, nipoti e parenti prossimi. Lei cercava sempre di

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declinare l'invito perché, diceva, aveva ancora molta posta da consegnare e avrebbe fatto tardi..., ma alla fine viste le continue insistenze si fermava nell'una o nell'altra casa per il tempo necessario. Se proprio proprio riusciva a spuntarla ecco che i cittadini rientravano in fretta in casa per portarle in strada ciò che le volevano sottoporre. Come puoi immaginare la vita della postina subì qualche cambiamento, a partire naturalmente dal suo orario di lavoro, poiché ora ogni giro di consegne poteva durare anche due o tre ore in più. In effetti nonostante le piacesse molto tutto quello che le stava accadendo cominciava ad essere stanca sia fisicamente che psicologicamente. Fortunatamente si avvicinava il tempo delle vacanze e altrettanto fortunatamente era stata accolta la sua richiesta di prendere ferie per un intero mese. Aveva già deciso dove sarebbe andata in vacanza, ma cascasse il mondo non l'avrebbe detto a nessuno, salvo informare i concittadini della sua partenza e per fare ciò bastava accennare la questione a poche persone perchè in breve tempo lo sapesse tutto il paese. Durante la settimana prima di partire furono molti quelli che le dicevano 'ho saputo che sta partendo, che starà via un mese', e altri che aggiungevano 'come farò senza di lei, con chi parlerò io!'; oppure, tanto per sottolineare il concetto: 'chissà che confusione sarà la consegna della posta'. A tutti rispose amabilmente che era necessario si prendesse un buon periodo di riposo, che un mese sarebbe passato in fretta e chi l'avrebbe sostituita avrebbe fatto sicuramente un buon lavoro.Il mese di vacanza finì, tutti aspettavano con trepidazione il ritorno della loro postina, tanto da aver organizzato una piccola festa di accoglienza nella piazza principale del paese proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto riprendere a lavorare. Già... avrebbe dovuto, ma la postina non arrivò. Dopo alcuni giorni i cittadini cominciarono a preoccuparsi, a chiedersi cosa fosse mai successo, a fare addirittura ipotesi su qualche evento tragico. Se ne parlò per giorni e giorni e per intere settimane, per strada, nei bar, davanti alla porta di casa... Dopo un po' quelli che sentivano maggiormente la mancanza della postina

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trovarono il coraggio di andare a suonare ai propri vicini per condividere con loro la nostalgia di una persona che molto aveva fatto per tutti. Col passare del tempo queste visite divennero reciproche e sempre più frequenti, ma il motivo non era più la mancanza di una persona cara; divenne piuttosto il desiderio di stare insieme, anche solo per scambiare quattro semplici chiacchiere, anche solo per una cena informale e a volte quasi senza preavviso. E alla fine la postina con la sua affabilità e disponibilità, senza la quale nessuno pensava di poter più vivere, divenne solo il lontano ricordo di un'amica che aveva lasciato una traccia indelebile nella vita di ciascuno, pur nel rammarico di non sapere che fine avesse fatto.

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SAMIRA

'Mai più!' si era ripromessa Samira dopo tutto quello che avevapassato, basta storie d'amore dopo essersi resa conto che l'uomo con cui pensava di trascorrere il resto della sua vita si era dimostrato un emerito stronzo. Aveva aspettato dieci anni lo smidollato per dirle che di fare viaggi su e giù per il mondo gliene fregava quanto un moccino di sigaretta acceso gettato fra l'erba di un parco cittadino; tutto quello che gli interessava era stare insieme a lei il maggior tempo possibile, non importava per fare cosa, non importava per andare dove , ma sinceramente sperava che col tempo quella passione per i viaggi sarebbe scemata fino a scomparire e finalmente avrebbe potuto condurre una vita tranquilla accanto alla donna che amava come sognava da sempre. 'Come fa una passione a scemare fino a scomparire?' gli chiese Samira quasi urlando; 'una passione ce l'hai o non ce l'hai e quando scopri di averla devi lasciarti guidare per evitare di farti bruciare dal fuoco che divampa dentro!'. Lui con voce spenta le disse che aveva fatto tutto questo per lei, per amor suo. 'Dì piuttosto che l'hai fatto solo per amor tuo, codardo egoista che non sei altro!'. Detto questo Samira gli chiese di andarsene da casa e di non farsi piùvedere...E invece adesso, a distanza di alcuni anni, eccola lì, mano nella mano con Roberto, seduti su una panchina di fronte al mare. L'aveva conosciuto quasi per caso, ma in quella come in altre occasioni il caso non se lo fece scappare. Durante una breve vacanza solitaria organizzata la sera prima per la mattina dopo,era entrata in un negozietto di artigianato locale per portarsi a casa un ricordo di quel viaggio improvvisato. Vedendo la titolare occupata con un altro cliente si mise a curiosare fra gli scaffali in attesa del suo turno. Non ci mise molto a rendersi conto che stava ascoltando una conversazione interessante, della quale non perdeva una sola parola. Ma più di tutto, ciò che la rendeva veramente interessante, era la voce di lui:

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nonostante a prima vista sembrasse un uomo pacato e per dirlatutta un poco scialbo, la sua voce rivelava una grande passione,la stessa di Samira, quella di conoscere i diversi popoli del mondo, i loro usi, le loro tradizioni e trarne insegnamento. E da ciò che raccontava sembrava proprio avesse visitato molti paesi, così come la padronanza con cui affrontava l'argomento in discussione. Perciò qualche minuto dopo, non le ci volle niente a lasciar perdere il souvenir e a seguire l'uomo appena uscito dal negozio; mentre ancora stava chiudendo la porta lo chiamò ad alta voce, per non farselo sfuggire - Senta! Mi scusi! - e gli propose di andare a bere un caffè insieme per continuarela conversazione che non proprio involontariamente aveva ascoltato poco prima.Restarono insieme tutto il resto della giornata, fu davvero molto piacevole, tanto da bilanciare la delusione di lei quando aveva scoperto che lui più che viaggiare leggeva molto; visitava assiduamente librerie e biblioteche, ma più di tutto si faceva spedire libri da ogni dove, molti in lingua originale che poi si faceva tradurre da amici e conoscenti anch'essi provenienti da ogni dove. Samira non avrebbe mai immaginato che qualcuno potesse parlare di ciò che aveva letto come se ne avesse fatto esperienza diretta. Quando si salutarono, si scambiarono numeri di telefono e indirizzi e-mail con la promessa di tenersi in contatto, ma grande fu la sorpresa quando scoprirono di vivere a non più venti chilometri l'uno dall'altra. Così cominciarono ad uscire insieme, ogni volta che era possibile, anche all'ultimo minuto. Andavano per ristoranti etnici, a vedere film ambientati in luoghi sconosciuti o inventati, in biblioteca a leggere insieme i loro autori preferiti. Finché ci scappò il primo bacio, poi il secondo, un terzo e il resto venne di conseguenza, senza tante dichiarazioni o promesse.Poi venne il momento del viaggio che Samira stava programmando già da un po', il primo da quando si erano conosciuti. Roberto naturalmente se ne rimase a casa, in attesatrepidante dell'appuntamento quotidiano per scambiare

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qualche chiacchiera con lei in video-chat o al telefono, per ascoltare con interesse le sue impressioni e sensazioni, e scaricare da un server le decine di fotografie che scattava ogni giorno. I racconti di Samira erano davvero appassionati e vividi, pieni di entusiasmo, ricchi di informazioni su luoghi e persone che sfuggivano ai più, ma che Samira sapeva scovare semplicemente seguendo il proprio istinto; costituiscono l'essenza di un viaggio, diceva sempre, e se li cerchi loro si fanno trovare.Rendendosi conto della preziosità dell'esperienza di Samira, quando il primo giorno chiuse la comunicazione, Roberto cercòdi trascrivere tutto quanto poteva ricordare e così fece ogni giorno; le avrebbe fatto una sorpresa: un diario di viaggio scritto con le sue parole e corredato delle immagini raccolte daisuoi occhi.Samira tornò dopo un mese, finalmente potevano rivedersi dal vivo, toccarsi, guardarsi negli occhi, indugiare l'uno nell'abbraccio dell'altra, senza dirsi niente. Nei giorni seguenti invece ci fu un continuo scambio fra loro, lei raccontando nuovamente quanto aveva sperimentato durante il viaggio, aggiungendo dettagli che man mano le tornavano alla mente, lui condividendo le sensazioni e le emozioni suscitate dai racconti e dalle fotografie della sua compagna. Samira si stupiva sempre della ricchezza del loro continuo scambio, non c'era disagio, non c'era distanza tra il suo girovagare e il restare di Roberto; c'era invece sintonia, desiderio reciproco di comunicare e di ascoltare, di essere partiopposte che si completano a vicenda per dare vita all'unico tao.E il diario di viaggio che Roberto aveva abbozzato divenne ancor più ricco e appassionante, tanto che, avendolo Samira presentato di nascosto a un editore per fare a sua volta una sorpresa al suo uomo, venne pubblicato e venduto con un certosuccesso. Ci furono in seguito altri viaggi e altri diari trasformati in libri e ogni volta in Samira si rinnovava la meraviglia e la gratitudine di aver incontrato un uomo apparentemente molto diverso da lei, ma che la amava profondamente, senza riserve,

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senza pretendere che cambiasse. E lei amava lui allo stesso modo, consapevole del fatto che il loro amore si rinnovava nella misura in cui ognuno restava coerente a se stesso e l'incontro con l'altro diveniva motivo per crescere continuamente.

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ERA ALTA

Era alta... be', non proprio alta; alta semmai quanto me seduto sulla mia poltrona preferita, quella con i braccioli ergonomici, lo schienale alto con tanto di poggiatesta e le rotelle che mi permettevano di aggirarmi per la casa senza quasi mai alzarmi.A metterci fanali e frecce avrei potuto considerarla una di quelle minicar che al giorno d'oggi vanno tanto di moda tra giovani e meno giovani. Ma questo è un altro discorso e il protagonista di questa storia non sono io.Dicevo, lei era... come potrei dire... ah ecco! Lei era una donna slanciata verso il basso (dove l'ho già sentita questa?...) ma sprigionava un' energia vitale inversamente proporzionale alla sua statura. Era una persona che sapeva guardare al lato comico della vita, che si trattasse delle sue esperienze, belle o brutte che fossero, di ciò che le aveva raccontato questo o confidato quest'altra o che aveva sentito da tizia e caia alle sue spalle mentre al mercato faceva spesa di frutta e verdura. Ogni volta che la incontravo mi salutava con grande entusiasmo e subito dopo, mettendomi un braccio attorno alle spalle, mi rendeva partecipe di due o tre episodi fra i moltissimi - diceva sempre - che avrebbe potuto raccontarmi. In effetti aveva anche la straordinaria capacità di ricordare nei minimi dettagliqualsiasi evento avesse vissuto o le avessero raccontato. E questo non faceva che arricchire la sua abilità narrativa.Aperta parentesi: immagino che qualcuno si stia chiedendo come possa una donna 'slanciata verso il basso' riuscire a mettere un braccio attorno alle spalle di un uomo alto più di unmetro e ottanta... La cosa si spiega col fatto che, data la sua estrema comodità, uscivo sempre di casa seduto sulla mia poltrona preferita, tanto più che tra casa mia e la strada non c'erano gradini e in giro per il paese ormai non erano che un lontano ricordo. Chiusa parentesi.

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"Non si rendono conto" mi diceva spesso "di quanto sia buffa lavita. E nemmeno si rendono conto che non bisognerebbe prendersi troppo sul serio, anzi, non ci si dovrebbe prendere sul serio per niente! La vita è già molto difficile di per sé". Dopodiché mi salutava con un leggero abbraccio e mi dava appuntamento al nostro prossimo incontro che come al solito sarebbe avvenuto senza programmarlo.Ogni volta che ognuno tornava alle proprie faccende, io riprendevo il mio cammino come se fossi più leggero e ripensando a quanto avevo appena ascoltato mi era impossibilenon sorridere fra me e me. A volte mi capitava anche di ridere di gusto, a voce alta, suscitando in chi mi incontrava le reazionipiù disparate: c'era chi mi guardava con occhi allibiti, chi passandomi in fianco si spaventava, chi improvvisamente taceva se stava parlando con qualcuno e con il solo cenno del capo diceva 'questo è tocco!'.Un giorno mi capitò di incontrare la nostra spumeggiante narratrice (mi credi se ti dico che non ricordo come si chiamava? sempre che l'abbia mai saputo...) dopo averla incontrata solo poche ore prima; mai successo, anche perché difficilmente uscivo due volte nello stesso giorno. Quella volta dopo avermi raccontato qualche nuova chicca, peraltro senza troppo entusiasmo, restò per qualche minuto in silenzio e la cosa mi parve alquanto strana. Dopo avermi rivolto un paio di sguardi di sottecchi mi disse lentamente: "Senti...". Altra pausa. Poi dopo aver messo una mano sul fianco e l'altra appoggiata al bracciolo della mia poltrona continuò con un leggero sbotto: "Mi spieghi perché un uomo grande e grosso come te se ne va in giro per il paese seduto su una poltrona?". Io la guardai basito senza riuscire a dire niente. Vedendo il miosconcerto lei aggiunse ridendo: "Be' potresti almeno metterci un fanalino di posizione per evitare di farti travolgere, visto chea volte te ne vai in giro anche di sera!". Non potei fare a meno di ridere anch'io e poi dissi: "Il punto è che questa poltrona è talmente comoda che non mi accorgo di uscire di casa seduto su di essa". "E la cosa" aggiunse lei "non ti sembra un tantino ridicola?".

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Allora risi nuovamente e risposi: "Sì, in effetti mi pare un tantino ridicola". "Ah... per fortuna!" disse lei sospirando platealmente "Sinceramente ero preoccupata per la tua salute mentale". Poi mentre accennava un abbraccio per salutarmi aggiunse: "Di' la verità che in fondo in fondo sei solo un pigrone!"Nei giorni seguenti ripensai molto a ciò che lei mi aveva detto, soprattutto quando mi rendevo conto di essere uscito di nuovo seduto sulla mia poltrona preferita, o perché per parlare con qualcuno alzavo un po' troppo la testa o perché vedevo riflessi in una vetrina i miei piedoni che avanzavano un passo dopo l'altro trascinandosi dietro tutto il resto. Col passare del tempo trovai la cosa sempre più ridicola e ridevo di cuore di me stesso, fino al giorno in cui finalmente uscii di casa senza la mia poltrona. Fu proprio il giorno in cui rincontrai lei. La vidi dall'altra parte della strada e pensando mi avesse visto la salutai con la mano, ma continuò a camminare senza notarmi. Allora andandole incontro la chiamai (...questo vuol dire che sapevo come si chiamava!); lei mi guardò di sfuggita, ma fece ancora qualche passo... prima di fermarsi di colpo, lasciar cadere le borse che aveva in mano e poi girarsi verso di me quando ormai le ero di fronte. Con un'espressione di grande stupore e mettendosi una mano sulla fronte esclamò: "Ma sei tu! Non ti avevo riconosciuto! Cosa è successo?". "È successo che sono uscito sulle mie gambe!" risposi io."Eh lo vedo! Finalmente! Ma come mai questo cambiamento?"."Mi sono reso conto che la cosa era veramente ridicola ed era necessario darci un taglio"."Sappi" disse lei "che l'importante non è cosa stai facendo, quali emozioni manifesti o con chi sei; e neppure essere o, tantomeno, sembrare ridicolo: ciò che conta è rendersene conto e poi eventualmente riderci su".Poi squadrandomi dall'alto verso il basso e ritorno mi disse mettendosi le mani sui fianchi: "Ma lo sai che sei proprio un bel vedere?". Al che io non resistetti all'impulso di prenderla inbraccio, farla volteggiare un paio di volte e darle un bacio sulla guancia. Appena messa a terra, un po' intontita e forse

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disorientata, mi disse: "Certo che... tu sai come far girare la testa a una donna!".

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SINOSSI

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MA MI GUARDANO

Non ricordo se fossi in vacanza o se vivessi proprio sul mare, certo è che andavamo in spiaggia tutti i giorni, al mattino solo per qualche ora e il pomeriggio solo da una certa ora in poi. Questo perché, se al mattino potevo fare il bagno, come ritenuto saggio, almeno un’ora dopo aver fatto colazione per non rischiare un’indigestione (chissà perché io sì e mia madre no…), al pomeriggio bisognava assolutamente evitare le prime ore appena dopo mezzogiorno perché ci si poteva ustionare la pelle. E poi, essendo ancora piccolo, era necessario che ogni pomeriggio facessi il mio sonnellino.Tutto filò liscio quell’estate, sole tutti i giorni, mare molto calmo, niente scottature e nessun contrattempo. I giorni passavano tra castelli di sabbia, raccolta di sassi colorati e di conchiglie, bagni non oltre un metro dalla riva (forse anche meno…), con tanto di salvagente non troppo largo per evitare di scivolare sott’acqua.Tutto filò liscio, fino a quel maledetto pomeriggio e giusto all’ora di tornare a casa, perché il sole cominciava ad arrossire (e forse lo fece un po’ anche per me…). Come ogni giorno mia madre mi tolse prima di tutto il costumino da bagno, ma invece di infilarmi le mutandine subito dopo, si mise a trafficare con la borsa da spiaggia, lasciandomi lì senza nulla addosso. Iniziai ad agitarmi... e mi agitai ancora di più vedendo avvicinarsi quella bambina, lei vestita o quantomeno con il costume, che pareva molto interessata al mio… stato naturale. Si teneva a qualche metro di distanza, disegnando coi suoi piccoli passi un arco attorno alla nostra postazione, ma il suo sguardo era perennemente puntato su di me, poteva vedere tutto dato che mia madre se ne stava piegata in avanti con le gambe dritte. Io cominciai a supplicare mia madre di mettermi le mutande, lei disse ‘un minuto’, la bambina camminava e guardava, io rifeci la richiesta di essere coperto, intendendo…lì, perché lì fissava la

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bimba, mia madre ‘adesso’, io aggiunsi ‘ma mi guardano’, lei girandosi da un lato ‘ma non c’è nessuno, dai!’… sì, nessuno perché la guardona era passata dall’altro lato… Io non ebbi più la forza di dire altro, continuai a seguire con lo sguardo quella bambina che mi guardava senza mai staccare gliocchi da me, da lì, mentre mia madre stava ancora trafficando con la borsa nella stessa posizione. Mi sentii indifeso e, oltretutto, offeso per non essere stato creduto, e nudo, completamente nudo solo all’altezza del mio piccolo pene al vento… E finalmente mia madre, dopo un tempo che mi era sembrato non finire mai, si decise a mettermi le mutandine e a vestirmi di tutto punto. Finiti i preparativi mi prese per mano e ci avviammo verso casa. Girandosi vide la bimba lì vicino e la guardò come fosse lì da poco più di un secondo, mentre io, non riuscendo a staccaregli occhi dalla mia osservatrice, le urlavo mentalmente: ‘è lei, lavedi adesso? è lei che mi guardava!’.

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LA BAMBINA

Non ricordo se vivessi sul mare e se mio fratello fosse già venuto al mondo, certo è che quell'estate io ero molto piccolo e andavo in spiaggia con la mia mamma tutti i giorni, sia al mattino che nel pomeriggio. In ogni caso potevo fare il bagno solo dopo che fossero passate le fatidiche tre ore per la digestione (anche al mattino?! eh sì, anche al mattino!).Raramente piovve durante quella stagione calda, almeno nel periodo in cui eravamo al mare. Fu perciò un'estate passata a fare castelli di sabbia, a giocare con secchiello e paletta, a fare ilbagno con il salvagente e solo fin dove potevo toccare. Una volta mi successe di finire un po' troppo lontano dalla spiaggia e di sentire che i miei piedi non avevano appoggio. Allora urlai a mia madre di fare qualcosa; lei senza muoversi dal bagnasciuga (non sapeva nuotare!) mi disse di muovere le gambe e di andare verso di lei. Solo che nonostante gli sforzi ionon riuscivo a spostarmi di un centimetro. Poi non so più comeandò. Di certo trovammo una soluzione se oggi sono qui a scriverne.A parte questo piccolo episodio, fu un'estate che potrei definirenormale... almeno fino a quello strano giorno, al tramonto del quale avvenne una cosa curiosa.Essendo quasi l'ora di cena iniziammo a prepararci per tornarea casa e come al solito la prima operazione che fece mia madre fu quella di togliermi il costumino. Stavolta invece di infilarmi subito le mutandine iniziò a trafficare con il borsone da spiaggia, lasciandomi per qualche minuto senza niente addosso. Non è che mi sentissi a disagio in quello stato naturale, forse non ne avevo ancora l'età, ma mi accorsi che a pochi metri da noi c'era una bambina che mi guardava. Se non ricordo male era un po' più grande di me, ma di sicuro lei il costume ce l'aveva. Camminava facendo un arco attorno a noi eintanto mi guardava dall'alto in basso e dal basso in alto, fino ache fissò il suo sguardo all'altezza del mio pisellino. E intanto

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continuava a camminare. Mamma” dissi sottovoce “c'è una bambina che mi guarda”. Miamadre alzò lo sguardo e vide la bambina dietro di sé e disse: “Be' lascia che guardi”. Dopo qualche istante le chiesi: “Ma perché mi guarda così?”. Lei rispose: “Forse non ha mai visto un bambino nudo”. Quando la bambina (finalmente) alzò il suo sguardo per guardarmi negli occhi, io le sorrisi. Sorrise anche lei e continuòa camminare. Io le feci segno di avvicinarsi, lei fece no con la testa e continuò a camminare. Allora la invitai di nuovo. Lei si fermò, titubante, e dopo essersi guardata intorno per qualche istante venne verso di me, tenendo timidamente le mani dietro la schiena. Appena mi fu accanto le sorrisi di nuovo e poi le offrii la mia mano; lei, dopo averla guardata, la prese nella sua e restammo così, guardandoci negli occhi, in attesa che la mia mamma mi mettesse mutandine e pantaloncini.Quando fui rivestito anche di maglietta e sandaletti, mia madre, mentre si caricava la borsa in spalla, disse: “Andiamo?”. Io senza girarmi feci sì con la testa. Dopo qualche istante lasciai la mano della bambina e poi le dissi: “Ciao”. Mia madre mi prese per mano e iniziò ad avviarsi verso casa, io mi lasciai trascinare senza opporre resistenza, ma con la mano libera salutai ancora la bambina. Mi salutò anche lei con la mano dicendo “Ciao”, e poi rimase ferma a guardarmi fino a che potei tenere la mia testa girata verso di lei.

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L’INCUBO

Erano ormai mesi che ogni notte facevo lo stesso sogno, anzi era un incubo! Era talmente spaventoso e così verosimile che lasera avevo paura a mettermi a letto.Non passava molto tempo dopo essermi addormentato, o almeno così mi sembrava, che iniziavo a sognare di dover andare a fare la pipì. E per fare questo dovevo alzarmi dal letto,scendere le scale, uscire in cortile e andare in bagno…Forse perl’epoca chiamarlo bagno è un po’ troppo: era giusto…un gabinetto, con la “turca” al posto del water, largo un metro per un metro (quantomeno fatto di mattoni e cemento) ed esterno alla casa. Non c’era nemmeno la carta igienica, forse non potevamo permettercela, e quindi si usavano fogli di giornale. In ogni caso per espletare i bisogni corporali era più che sufficiente.Tornando al mio sogno - anzi al mio incubo! - ricordo che la fase di risveglio, discesa dalle scale e uscita all’aperto, la saltavo completamente e quindi la prima vera immagine che mi si presentava era quella di trovarmi, io bambino di quattro o cinque anni, in cortile al buio. E fin qua niente di così pauroso, a parte il fatto che i bambini avendo paura del buio cercano con tutte le loro forze di trovare una fonte di luce. La situazione cambiava molto, invece, quando ad un certo punto sentivo ringhiare e una volta che la vista si era adattata all’oscurità – forse c’era un po’ di luna a rischiarare la notte – mi rendevo conto che non si trattava solo di un cane che ce l’aveva con me, ma di quattro o cinque lupi famelici – da che parte entrassero non l’ho mai capito – che si avvicinavano a mecon fare molto minaccioso. Io mi bloccavo nel punto in cui ero arrivato, proprio al centro del cortile, agghiacciato da quei suoni così spaventosi da farmi tremare le budella e da quegli occhi arrabbiati che vedevo sempre più vicini; il peggio è che ero circondato da quei bestioni neri e quindi era del tutto impensabile che provassi a scappare. Così restavo lì

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terrorizzato, in attesa dell’inevitabile, sperando che fosse il più tardi possibile.Ed ecco che ad un certo punto i lupi mi erano intorno, vicinissimi, tanto da sentirne il fiato, pronti ad avventarsi su di me; io chiudevo gli occhi sempre più spaventato e…No, non mi svegliavo: il brutto sogno continuava! E continuava sentendo affondare le zanne di quelle brutte bestie nella mia carne, prima in un braccio, poi in una gamba, subito dopo al fianco, l’altro braccio… ma tutto senza foga, tenendo la morsa, quasi con delicatezza, come al rallentatore, senza strappare…e i miei occhi negli occhi dei miei assalitori…quasi dispiaciuti, direi ora, di quello che stavano per farmi…E poi, dopo aver sentito il calore del sangue che sgorgava da tutti quei morsi e la sensazione che la mia vita se ne stesse andando, mi svegliavo…tirando un gran sospiro di sollievo, perché finalmente il supplizio era finito…Mi riaddormentavo dopo pochi minuti, tenendo lo sguardo fisso sulla lampada accesa tutta la notte – luna piena a farmi compagnia – che potevo vedere bene senza cercarla, girando solo un po’ la testa, poiché era posizionata sulla credenza che faceva angolo retto con il mio letto…divano-letto; a dividerli la porta d’entrata del nostro appartamento. La mattina dopo mi svegliavo col pensiero che la notte successiva la brutta esperienza si sarebbe ripetuta, con la consapevolezza oltretutto che non potevo fare niente per evitarla.

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SEMBRAVA UN INCUBO

Anche quella sera, quando la mamma mi mise a letto, ero piuttosto irrequieto, pronto ad essere svegliato di soprassalto dal mio solito incubo, quello di essere assalito e azzannato da un branco di lupi famelici. Cercai naturalmente di non pensarci portando il pensiero su qualche bel ricordo e, guardando la lampada che mi faceva compagnia per la notte, ben presto mi addormentai.Ed ecco che puntualmente sognai di alzarmi nel cuore della notte, scendere le scale della vecchia casa e uscire nel cortile per andare a fare la pipì.Stavolta però uscivo dalla porta di casa con un certo timore, come se già mi aspettassi qualcosa di poco piacevole. Così mi avviai verso il bagno (uno sgabuzzino con gabinetto alla turca) con passo lento e sguardo perso nel buio per cercare di scorgere qualche movimento anomalo. Dopo aver mosso i primi passi sulla ghiaia sentii una sorta di lamento gutturale, profondo, alternato da mugolii prolungati e sottili: l'insieme di quei suoni mi spaventò anche di più del ringhio che sentivo di solito. Se qualcosa avevano in comune i due suoni è che erano emessi da più di un...essere...in effetti ancora non capivo se fossero lupi o qualcos'altro. In ogni caso mi bloccai in mezzo al cortile, nuovamente terrorizzato; chiusi gli occhi, serrai i pugni e mi dissi sussurrando: ecco ci siamo, no, no, ci siamo di nuovo! Visto però che passavano i secondi e ancora non succedeva niente, ebbi il coraggio di aprire un occhio e guardarmi intorno, e poi aprii anche l'altro. Una volta che la vista si abituòall'oscurità intravidi le forme di quelli che, ormai senza altro dubbio, capivo essere i soliti quattro o cinque lupi che mi circondavano. Anche se mi stupì il fatto che non stavano a testabassa, minacciosi e digrignando i denti, ma... scondinzolavano,continuando ad emettere quelli che effettivamente sembravanodei semplici mugolii. Ed ecco che da dietro i lupi adulti sbucarono dei piccoli lupacchiotti non più alti di una spanna

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che mi vennero incontro. Arrivati vicini alle mie gambe cominciarono in un primo tempo a leccarmi e poi ad appoggiarsi a me con le zampe anteriori, come se volessero essere presi in braccio. Guardai negli occhi il lupo che avevo di fronte, come a chiedere il permesso di sollevare uno dei cuccioli festanti; dopo alcuni istanti intensi, quel lupo, forse la mamma, forse il capo-branco, fece un passo verso di me e, abbassando la testa, diede un buffetto col naso al piccolo appoggiato alle mie gambe, poi ritornò al suo posto e alzò la testa con sguardo calmo. Capii che potevo chinarmi e sollevare il lupacchiotto. Aveva il pelo folto e molto morbido, era davvero tenero; mentre lo sollevavo mi guardò con gli occhi un po' lacrimosi cercando di leccarmi il viso. Nel momento in cui lo appoggiai sul mio petto, vidi i cinque lupi adulti muoversi verso di me, lentamente. Io mi irrigidii un po', ma subito mi resi conto che tutto ciò che volevano fare era strusciarsi contro di me, sembrava proprio volessero coccolarmi. Spinto da uno e poi dall'altro, con i cuccioli che mi passavano in mezzo alle gambe, mi ritrovai a terra circondato da quel branco di lupi ammansiti che continuavano, i grandi, a strusciarsi sul mio corpo e, i piccoli, a leccarmi il viso o a mordicchiarmi le mani per invitarmi al gioco.Il mattino mi svegliai ben riposato e molto sereno, con addossoancora quella sensazione di morbidezza e un senso di protezione e di giocosità che non mi abbandonò mai più, per sempre.

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ANIMALI

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SULL’ANGOLO DI GRONDAIA

Il sole era già tramontato, ma la luce era ancora abbondante. ‘Eppure è strano…che a quest’ora ci sia ancora tanto chiaro…’ rifletteva il merlo mentre saltava qua e là sul tetto su cui era. Riflessione giusta quella del merlo, non poteva sapere che gli uomini avevano inventato l’ora legale per risparmiare energia…almeno così dicevano. E quindi, pur essendo la solita ora, è come se il sole fosse tramontato un’ora più tardi.‘Mah…sarà solo la mia impressione, non è che sia molto presente ultimamente’ si rincuorò il merlo. Si era messo, quella sera, sull’angolo della grondaia di una delle case più alte del quartiere che era solito frequentare e stava lì a guardarsi intorno, zufolando sommessamente.Si accorse subito che dietro di lui era atterrato un altro uccello, forse un passero, si disse il merlo ascoltando lo sbatter d’ali. Girò la testa per assicurarsene, ma lo fece in modo che sembrasse un gesto quasi distratto. In effetti era un passero, uno come tanti ad una prima occhiata. Continuando a stare sullo spigolo della grondaia scelta – gli sembrava un buon punto d’osservazione per quella sera – il merlo stava a sentire dietro di sé il passero che saltellava di quae di là, senza fretta, picchiettando ogni tanto il suo becco…a raccogliere cosa poi, lo sapeva solo lui; su un tetto…cosa vuoi trovare su un tetto? E per giunta a quell’ora della sera? Mentre si faceva queste domande, il merlo fece un balzo per girarsi su se stesso e un altro per saltare sul tetto. Fece appena in tempo ad atterrare sulle tegole che il passero prese il suo posto sull’angolo di grondaia e cominciò a guardarsi intorno, a destra e a sinistra, cambiando ogni tanto la sua posizione per vedere meglio di qua e di là. Il merlo lo osservava un po’ incuriosito chiedendosi cosa stesse mai facendo…e d’un tratto il piccoletto lo guardò fisso negli occhi. Il merlo poteva aspettarsi di tutto, tranne di trovarsi addosso gli occhi di un passero. Dopo qualche istante di titubanza il passero disse con

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voce chiara: “Ciao!”. E il merlo, un po’ sorpreso di quel saluto, rispose senza molta convinzione: “Ciao.”“Che fai?” chiese il passero. La prima risposta che venne in mente al merlo fu ‘E a te cosa importa, piccolo ficcanaso?!’; però poi disse: “Niente di particolare, mi godo la serata e fra unpo’ andrò a dormire.”“Ah…” fece il passero alzando la testa.“E tu?” chiese a sua volta il merlo.“Oh, be’… niente…” rispose evasivo il passero “passavo di qua per tornare al nido e mi sono fermato per riprendere un po’ di fiato.”“Ah!” disse il merlo facendo un balzello. Poi riprese: “E dov’è il tuo nido?”“Oh, qui vicino” indicò il passero alzando un’ala “qualche tetto più in là.”“E come mai sei ancora in giro a quest’ora?” chiese il merlo. Stavolta fu il passero a pensare ‘Ma che t’importa di me?’, ma disse: “Sono andato in visita ai parenti che stanno verso il monte ed è venuto tardi. E adesso è anche ora che mi riavvii, perché se no si fa ancora più tardi. Ciao!”. E spiccò il volo senzadare tempo all’altro di ricambiare il saluto. ‘Strano incontro’ pensò il merlo, rimanendo un po’ interdetto di fronte al comportamento del passero.Il giorno dopo si chiudeva di nuovo con una sera serena e con un po’ più di luce della sera precedente.Il merlo si mise di nuovo sul solito angolo di grondaia e guardava distrattamente il panorama di fronte a sé.Pochi istanti dopo sentì atterrare sul tetto un uccello. Stavolta si girò a vedere chi fosse, senza pensare di indovinare. Era il passero della sera precedente. “Buonasera” gli disse. “Ciao…” fece il passero.“Ancora di ritorno dai parenti?” chiese il merlo.“No.” rispose l’altro guardandosi in giro. Vedendo che ogni tanto portava i suoi occhietti su di lui, il merlo gli chiese: “Vuoi venire sul mio angolo?”Il passero fece sì con la testa senza dire altro. Allora il merlo saltò sul tetto cedendo il posto al piccolo uccello, ma il passero

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non si mosse.Il merlo gli chiese: “Be’, non hai più voglia di guardare il mondo dal mio angolo?”“Ma se è il tuo… io non te lo voglio rubare” disse il passero con un filo di voce.“Il mio…” rispose il merlo iniziando a ridere “Ma non è propriomio! Ho detto ‘mio’ solo perché mi ci ero messo io, ma non è mio! E’ solo un modo di dire! Accomodati, su!”Il passero non se lo fece ripetere e aiutandosi con un colpo d’alisi mise su quel punto tanto desiderato. Ah, era proprio felice!“Ma non è che invece sei tu” chiese ad un certo punto il merlo con voce bonaria “a considerare quell’angolo tuo?”Il passero girò la testa verso il merlo un paio di volte prima di rispondere: “Sì, sono intere settimane che vengo su questo tetto e mi metto proprio su questo angolo, mi pare di vedere il mondo intero da qui!” E girandosi di nuovo continuò a guardare con frenetica curiosità tutto ciò che si poteva vedere.“E quindi” aggiunse il merlo con tono scherzoso “io sarei un ruba-angoli, visto che ci vengo da soli due giorni!”Il passero girandosi solo per un attimo fece sì con la testa e poi tornò alla sua osservazione.“E che c’è di così bello da vedere da lì?” chiese il merlo.“Tutto c’è di bello!” esultò il passero saltando verso il tetto “Mi sembra di vedere il mondo per la prima volta, un sacco di mondo per la prima volta!”. E con un altro balzo tornò sulla grondaia.Ma solo un secondo dopo tornò accanto al merlo e gli chiese dubbioso: “E tu perché sei venuto qui nelle ultime due sere?”Il merlo fece un sospiro e poi disse: “Mi sembrava un buon posto per riflettere.”“Riflettere su cosa?” lo incalzò il passero.“Sulla mia vita” rispose l’altro.“In che senso?” chiese il passero dopo qualche secondo pensieroso.“Effettivamente non lo so” ribatté il merlo “ma sento che è giusto cos씓E su quell’angolo rifletti meglio?” domandò curioso il passero.

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“Mi pare proprio di sì” disse il merlo dopo aver detto sì con la testa.“Ma…” chiese il passero titubante “ti fa niente se facciamo un po’ per uno?”“Certo che no!” rispose il merlo dopo un istante di estremo stupore “Non è mica il mio nido! E’ solo un posto carino dove stare qualche momento in pace prima di andare a dormire!”“Bene!” disse il passero soddisfatto girandosi verso il nuovo…compagno d’angolo “perché per me qui è molto meglio che stare nel mio nido!”“Ok!” disse il merlo divertito da quella strana situazione “Io oravado a dormire. Allora…ci vediamo domani sera?”“Ok!” disse il passero tutto gongolante “Non preoccuparti se ritardo, domani è giornata di trasloco e avrò molte cose da fare. Ciao!”“Trasloco?” chiese meravigliato il merlo “E dove ti trasferisci?”“Ah, non sono io che mi trasferisco, ma i miei parenti” rispose il passero continuando a guardare giù dal tetto.“E dove andranno ad abitare?” chiese curioso l’altro.“Nel mio nido!” disse sempre trepidante il piccolo.“E tu? Dove andrai?” domandò il merlo pensieroso.“Io?”. Dopo una breve pausa di silenzio il passero si portò vicino all’amico e continuò: “Su questo tetto! Qui non ci vive quasi nessuno ed è un posto fantastico! Perché non ti trasferisci qui anche tu? Staremmo bene insieme!”“No, non è proprio possibile” rispose il merlo “ho il mio nido e la mia famiglia, e nel posto dove siamo, stiamo molto bene, sarebbe un cambiamento troppo grande per noi, siamo in tanti e con tante bocche da sfamare.”Il passero non parve granché dispiaciuto, ma nonostante ciò disse: “Ok, in ogni caso, quando vuoi passa di qui e magari diamo un’occhiata di sotto insieme”“Va bene” disse il merlo ancora sorpreso dall’atteggiamento dell’altro uccello. E visto che il passero se ne era già tornato sulsuo angolo senza aggiungere altro, si guardò intorno per un’ultima volta, fece un sospiro e si diresse verso il suo nido.

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DIVENTARE PAPA’

‘Chissà che fine ha fatto il mio amico merlo…sono giorni che non lo vedo’ pensava il passero mentre se ne stava in osservazione dall’angolo di grondaia della casa più alta del quartiere.In effetti dopo avergli annunciato il doppio trasloco, quello dei suoi parenti nel suo nido e il suo in un nido nuovo su quel tetto, non l’aveva più visto.‘E sì che mi sembrava avessimo fatto una certa amicizia…’ continuava a pensare il passero ‘di fatto però non si è più fermato su questo tetto’.Stava per saltare sulla tegola sotto cui aveva costruito il suo nido, quando ecco atterrare inaspettatamente l’amico merlo.“Sono arrivato giusto in tempo per darti il cambio sul nostro angolo, eh?” disse che ancora non aveva chiuso le sue ali.“Ben trovato!” esclamò felice il passero “Ma che fine avevi fatto? Sono giorni che mi sono trasferito e non avevo ancora rivisto il tuo becco giallo.”“In effetti sono stato molto indaffarato” rispose il merlo con uno sguardo lucente. Dopo una breve pausa disse con voce gioiosa: “Sono diventato papà!”“Oh, congratulazioni!”“Eh sì, non è la prima volta, ma” disse il merlo “ogni volta è come se fosse la prima volta, tanta è l’emozione di vedere i pulcini che escono dal loro uovo e subito cercano cibo spalancando i loro piccoli becchi!”Il passero, dopo qualche secondo perso a guardare sognante il cielo, sospirò: “Eh…spero anch’io presto di avere dei passerotti da guardare, accudire e insegnar loro a volare…”“Be’…” disse il merlo “capiterà sicuramente, il nido ce l’hai, la compagna…”“…c’è già…” anticipò il passero, peraltro poco convinto.Il merlo rimanendo sorpreso di quel tono un po’…titubante, disse all’amico: “E allora? Questa è una grande notizia! Cos’è

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quel becco spiovente?”Il passero alzò la testolina e rimase a guardare l’altro uccello per qualche secondo prima di dire: “E’ più vecchia di me.”“Be’, meglio, sa già a cosa va incontro” disse il merlo cercando di fare forza al compagno di osservazioni “i tuoi pulcini saranno seguiti meglio.”“E se invece” disse il passero “fossi io che non sono in grado…?”“Ma cosa dici?” disse il merlo. “Essendo giovane potrei non sapere cosa fare” spiegò il passero“e magari fare qualche madornale errore…”“Tu non farai nessun madornale errore” lo rincuorò l’amico “ti basterà seguire il tuo istinto e quando vedrai schiudersi le uovadiventerà tutto più facile.”“Sì…” sussurrò il passero “ma io mi riferivo…ehm…”“A cosa?” chiese il merlo allungando il collo verso l’altro.“Al momento prima della cova…” disse il passero dopo essersi guardato intorno “per fare in modo che le uova diventino pulcini…”“Ah…ora capisco…” disse il merlo sorridendo di sottecchi “Nemmeno di quello ti devi preoccupare, segui l’istinto, sii te stesso e lasciati andare, andrà benissimo!”“Dici, eh?” chiese il piccoletto un po’ più rilassato.“Dico!” ammiccò il merlo.“Be’…mi hai tolto un gran peso.” sospirò il passero.Stava finendo di dire queste parole, quando si accorse che la sua compagna stava atterrando sul tetto, e appena atterrata chiese: “Che peso ti ha tolto?”.I due maschi si guardarono un po’ imbarazzati e poi il passero disse: “Oh, niente. Il mio amico mi confermava che il nostro nido è perfetto.”“E’ sicuramente perfetto, l’ho curato personalmente!” affermò con sicurezza la passerotta.“Lui è l’amico di cui ti avevo accennato, cara, è appena diventato papà.” disse il passero per fare le presentazioni.“Congratulazioni!” esclamò lei “Mi pare però non sia la prima volta?” aggiunse dopo averlo squadrato dalla testa alla coda.

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“In ogni caso è come se lo fosse, come ben sai” disse il merlo pensando di farle un complimento.La passerotta rimase un po’ stupita da quell’affermazione e guardò sconcertata il proprio compagno. Vedendo che stava per esplodere il passero le andò incontro e disse: “Voleva dire che sei una madre esperta, avendo già avuto figli, e che quindi ifuturi pulcini avranno tutte le cure necessarie” e mentre diceva ciò la accompagnava verso il nido.“C’è mancato poco che ti facesse una scenata.” disse una volta riavvicinatosi all’amico merlo.“Be’, non era mia intenzione offenderla” spiegò quest’ultimo “volevo solo mettere in evidenza che la meraviglia di veder nascere dei piccoli è sempre la stessa”.“Niente di grave, le passerà” lo rincuorò il passero “E’ un po’ in tensione perché si avvicina il momento.”“Be’, forse è meglio che torni dalla mia famiglia.” disse il merlo dopo qualche istante di silenzio.“D’accordo” ribatté l’amico “ci vediamo fra qualche giorno.”Passarono almeno dieci giorni prima che i due amici potessero rivedersi. E capitò quasi per caso perché si trovarono entrambi nei pressi di un orto con grandi zolle piene di semi appena interrati.“Ehi! Bentrovato!” salutò gioioso il merlo.“Bentrovato a te” disse più sommesso il passero.“Che succede?” chiese l’amico nero “C’è qualcosa che non va?”“No, va tutto a meraviglia.” rispose l’altro con tono tutt’altro che gioviale.“E lo dici con quel tono che va tutto bene?” fece notare il merlo.“Eh…prova tu a stare vicino a quella là!” disse il passero riferendosi alla sua compagna “E’ praticamente isterica! Non mi permette di avvicinarmi al nido e le uova vuol covarle solo lei!”“Oh, caro amico…!” sospirò il merlo comprensivo.“Dice che non saprei farlo, che sono troppo nervoso e rischiereiaddirittura di rompere le uova! Be’ che se le covi lei le sue uova!” esplose il passero.

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“Eh, caro mio…va così con le femmine” disse il merlo poggiando un’ala sulla spalla dell’amico “Sono imprevedibili. Ma vedrai che una volta schiuse le uova tutto cambia…”“…in meglio, spero.” anticipò il passero.“Mmh…alcune cose sì e altre no…” disse evasivo il merlo.“Che intendi?” chiese l’altro uccello.“Che la vita di coppia non è semplice!” rispose l’amico.“Be’, allora meglio restare da soli!” disse il passero ingobbendosi.“Su su” sollecitò il merlo “è solo una fase critica, poi con i pulcini sarà tutto diverso, avrai anche molto da divertirti.”“Sempre che la mia amata me lo lasci fare” bofonchiò il piccolo uccello.“Va be’, ora vedi tutto nero” concluse il merlo “ed essendo anch’io piuttosto scuro è meglio che mi tolga di mezzo. Ci rivediamo!” E detto questo spiccò il volo.Il passero rimase dov’era, un po’ pensieroso, ma rivalutando ciò che gli aveva detto l’amico merlo si sentì rilassare e gli venne spontaneo fare un gran sospiro.Qualche giorno dopo, il merlo si recò sul tetto dove viveva il passero e la sua compagna. Appena atterrò sentì dei teneri pigolii: erano nati i pulcini!“Ciao!” disse l’amico che l’aveva sentito atterrare “Sono nati! Sono nati! Tutte quante le uova si sono aperte! Oh, che emozione è stata!”“Sono veramente felice per te!” esclamò il merlo “E…come vanno le cose con l’amata?”“Oh benissimo!” rispose il passero “Quando sono tornato al nido, dopo che ci siamo incontrati, abbiamo fatto quattro chiacchiere e ci siamo resi conto che eravamo tutti e due un po’nervosi, forse io lo ero un po’ di più, visto che era la prima volta che diventavo papà.”“Sì, era chiaro fosse così” confermò il merlo “Io ci sono già passato e quindi sapevo che si trattava di una crisi passeggera. Non ricordo chi mi disse una volta che crisi significa anche opportunità…”“E questo che vuol dire?” chiese il passero.

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“Vuol dire” spiegò l’amico “che si presenta l’occasione per diventare più saggi e quindi di affrontare ogni esperienza, piccola o grande che sia, con più calma, più chiarezza e più di tutto con maggior pazienza.”Il passero restò colpito da quanto gli aveva detto il merlo e rimase meditabondo.“Tutto ok?” gli chiese l’amico.“Sì, sì, tutto ok” rispose l’altro “Sono cose a cui non ho mai pensato e adesso che me le hai dette è come se tutto avesse più senso. Grazie!”“Non c’è di che!” ribatté il merlo “Felice di esserti stato d’aiuto!”

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AH ECCO!

Ciao. Mi chiamo Draghetto. E tu?... Ehi tu..., tu che leggi, come ti chiami?... Ah ecco! Io sono un lucertolino. Come dici? Si dice lucertolina? Anche se sono un maschietto?... Ah ecco! Io di questioni linguistiche non ci capisco niente. Tu cosa fai?... Ah ecco! Io sto girando in lungo e in largo questo mondo fantastico dove sono nato da poche settimane; ogni giorno scopro cose nuove e tutto davvero mi sembra fantastico! A te non sembra fantastico?... Ah ecco! Sarà che sono nato in una stagione calda con tanta luce e tanto sole, e per uno col sangue freddo come me un sole bello caldo è davvero una grande consolazione. Anche se poi devo stare attento a non arrostirmi e quindi ogni tanto devo mettermi all'ombra per raffreddarmi. Anche tu devi raffreddarti ogni tanto?... Ah ecco! Uno dei pochi consigli che mi ha dato la mia mamma appena sono nato è stato proprio questo: stare sempre vicino a qualche luogo dove ripararmi, non solo dal sole cocente, ma anche da animali più grandi di me che potrebbero farmi molto male... Io però non ne ho ancora incontrati. Sei fortunato, mi dice il mio vecchio amico Sauro che ogni tanto incontro qua e là. Lui dice che ho tutto il tempo per fare questo tipo di incontri. Sarà. Io spero proprio che non succeda mai. Tu hai mai incontrato animali più grandi di te?... Ah ecco! A essere sincero qualche volta ho paura, soprattutto quando devo per forza attraversare degli spazi senza ripari. E allora sai cosa faccio? Prima di tutto cerco di individuare dalla parte opposta un punto dove mi possa infilare; poi guardo bene di qua e di là e anche di su e di giù perché non si sa mai; dopodiché faccio qualche respiro profondo e poi corro corro corro corro a perdifiato continuando a guardarmi intorno fino a quando giunto nel nuovo riparo crollo terra con un gran fiatone e il cuore che batte talmente forte che sembra voglia

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saltarmi fuori dal petto! A te ti è mai saltato fuori il cuore dal petto?... Ah ecco! Io per mangiare devo andare a caccia e nonostante sia ancora una lucertolina me la cavo già abbastanza bene, sai? Quando ho fame mi apposto da qualche parte nascondendomi ben bene, dietro una pietra o un ciuffo d'erba, e ogni ragnetto o formica che mi capita a tiro, gnam!, ne faccio un solo boccone. Prendo anche moscerini mentre sono in volo, sai? Faccio di quei salti che quasi neanch'io ci credo! E tu cosa fai per mangiare?... Ah ecco! Io a volte mi riempio talmente la pancia che mi sembra che possa scoppiare e allora devo sdraiarmi da qualche parte a fare un pisolino finché non si sgonfia. Tu lo fai il pisolino dopo mangiato?... Ah ecco! È quello che farò adesso io, mi metto qui in questo bel posto ombreggiato, largo, non troppo basso, e quindi buon riposo. Oh là, ecco qua! Ah... E adesso cos'è questo soffio d'aria calda che va e viene? E cos'è che mi fa solletico sulla schiena? E cos'è questo strano suono (mieouuu...) che sembra qualcuno col mal di pancia come me? (mieouuu...) Anzi forse sta più male di me (mieouuu) eh eh eh... Ancora? Adesso voglio proprio vedere cos... AAAAAHHHH!!! Cos'è questo coso con gli occhi grandi il doppio della mia testa?! E con quei dentoni aguzzi che spuntano dalla bocca! Vai via! lasciami sta...AAAHHH!!!! Mi ha bloccato con la sua zampaccia pelosa e mi tira verso di sé!! E adesso...AAAHHH mi ha preso in bocca! E mi solleva! AAAHHH... oddio svengo... oddio muoio!! E adesso dove mi porti?! Lasciami andareee!! Zitti, zitti che adesso mi sta mettendo giù... ecco, ecco, finalmente... Adesso mi riposo un attimo e poi vado eh... E adesso cosa vuole che continua a darmi buffetti con la zampa? Vuoi che me ne vada? Ok, va bene, me ne vad... ma come?! Adesso che me ne vado mi blocchi di nuovo? E ancora AAAHHH...! mi prende in bocca! AAAHHH...! E poi mi molla... O mamma! E di nuovo mi dà buffetti... Allora decidi cosa vuoi fare! Toh guarda... adesso si è girato, qualcuno lo sta chiamando... E allora io adesso... me la batto a gambe levate e mi infilo sotto questo coso bucherellato, qui di sicuro le sue zampe non ci passano anche se ci prova.

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'Nina!'. Ah, a quanto pare si tratta di una lei. 'Niiinaa!'. Ecco, finalmente si allontana e mi lascia in pace. Qualche istante ancora per riprendere fiato e poi me ne vado... Guarda, più in là c'è un riparo un po' più grande, cosi potrò riprendermi meglio. Eccomi dentro, ah... sono al sicuro. 'Ciao Draghetto' sento dire nel buio appena sono entrato e quando gli occhi si abituano all'oscurità riconosco il mio vecchio amico: Oh sei tu Sauro...ciao. 'Dalla tua espressione capisco che hai avuto una brutta avventura' dice lui con la sua voce pacata. Eh sì, dico io. 'E chi avresti incontrato che ti ha spaventato in quel modo?' chiede lui. Una bestia con due occhi enormi, rispondo io, delle zampe pelose e che faceva miaooo! miaooo!! 'Ah, hai incontrato un gatto!' ribatte lui. Allora si tratta di una gatta, correggo io. 'Be', comunque sei stato fortunato' aggiunge lui. E perchè secondo te?, chiedo io che ho ancora il fiatone. 'Perchè i gatti a volte si divertono a fare i cacciatori e quella gatta voleva solo giocare. Ti devi piuttosto augurare di non incontrare qualche cornacchia...'E perchè secondo te? chiedo io con un filo di voce. 'Perchè con una cornacchia altro che giocare, finisci direttamente nel suo stomaco!'Ah sì? chiedo ancora mentre un brivido mi percorre la schiena.'Eh sì' conferma Sauro.Ah... ecco! sussurro un attimo prima di... ronf... ronf...

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DRAGHETTO

Ciao, sono Draghetto. Ti ricordi di me? Esatto, quello che faceva un sacco di domande e che poi commentava ogni risposta con quel 'Ah ecco!'. Ogni tanto mi capita ancora di dirlo, sai, ma solo quando sto pensando ad altro.Come stai?... Ah... ecco!...Come? L'ho detto? Sì, in effetti stavo pensando al mio nome: Draghetto... I genitori a volte non si rendono conto di appioppare ai propri figli dei nomi che li segneranno per tutta la vita: sono una lucertola di mezza età e mi ritrovo un nome da uovo appena schiuso... Li vedono piccoli appena nati e sembra proprio che non riescano a pensare che cresceranno. Mah!Be', torniamo a noi.Io come sto? No, niente male, caccio, mangio, mi riposo, contribuisco come posso al rinnovo della specie... Tutto bene direi.Come? Cosa ho fatto a quest'occhio? È stata colpa di una cornacchia che, come mi aveva detto il mio vecchio amico Sauro, voleva fare di me il suo pasto di mezzogiorno, ma gli è andata male. Dopo l'esperienza con la gatta (ti ricordi?), sono diventato molto più guardingo e ho affinato i miei sensi; ma quel giorno, quando ho incontrato quell'uccellaccio, avevo proprio bisogno di stare al sole per scaldarmi un po', i giorni precedenti erano stati stracarichi di pioggia. Come al solito, essendo in campo aperto, stavo bene all'erta, guardavo di qua, guardavo di là, dietro di me e ogni tanto anche sopra di me. Maad un certo punto stavo talmente bene al sole che mi sono rilassato e ho chiuso gli occhi. Dopo pochi istanti, o cosí mi è sembrato, ho sentito qualcosa che sventolava, o come un fruscio che si ripeteva; pur essendo un rumore insolito, non mi sono allarmato e con una certa calma ho aperto un occhio e guardato in su: prima ancora di rendermene conto ho fatto uno

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scatto in laterale e subito dopo ho sentito un dolore lancinante all'occhio che avevo appena aperto. Quando mi sono trovato al riparo ho visto la cornacchia ed ho capito cosa mi aveva fatto scattare: la vista di un grosso artiglio che si abbatteva su di me.Me lo sono sognato per parecchie notti quell'artiglio, ma di certo la cosa mi ha dato una grande lezione, fidarmi ciecamente del mio istinto, cosa che mi ha aiutato a restare vivo, finora...Come dici? Ho avuto sangue freddo? Ho sentito ancora quest'espressione umana, ma non ho mai ben capito cosa volesse dire, anche perché io il sangue freddo ce l'ho sempre, eh eh eh... Forse per voi umani è diverso, siete esseri a sangue caldo e quando ne avete bisogno lo fate diventare freddo, per riuscire a prendere le decisioni giuste in momenti difficili... Però se devo essere sincero, da ciò che ho osservato, il sangue vi diventerà anche freddo, ma vi scaldate un bel po' visto quanto sudate in certi casi, mentre vi dimenate in modo frenetico e scomposto...Ora che ci penso c'è un'altra espressione umana che non capisco, quella che dice 'l'ha ucciso a sangue freddo'... Cosa noncapisco? Eh, se si riferisce a chi è stato ucciso o a quello che l'ha fatto. Se si tratta di chi è morto, posso capire che, a uno che ce l'ha sempre caldo, il sangue gli diventi freddo se non si può più muovere... Se invece si tratta di chi ha ucciso un suo simile, faccio un po' più fatica a comprendere. Io sono un cacciatore, uccido altri esseri per mangiare, ma uccidere per uccidere e basta... perché questo mi pare il senso di quel modo di dire... A meno che voglia dire che ci sono esseri umani che riescono a raffreddare il proprio sangue per riuscire a fare cose che altrimenti non farebbero... Forse lo raffreddano proprio per non capire più cosa è giusto o sbagliato... e gli sembra normale uccidere un proprio simile! Come dici? È normale fra di voi? Ah ecco! E succede anche a sangue caldo!? Ah... ecco... Sì..., mi sono accorto di aver detto 'Ah ecco!', ma stavolta non stavo pensando ad altro... o meglio, pensavo che in fin dei contipreferisco provare a difendermi da animali più che grandi di me che dovermi guardare dai miei simili... benché non si possa

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mai sapere che a qualche lucertola un giorno o l'altro friggendogli il cervello... Mah!Be', ora ti saluto, ho fame e devo andare a caccia. Alla prossima!

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INVERNO

Come sono simpatici i passeri che si posano su Reti, Ringhiere e gRondaie, con i loro movimenti rApidi e frenEtici della testa a guidare gli occhi naturalmente OppOsti nella ricerca di una MINIMA traccia di cibo; cosi un lui e una lei, appasserati a debita_________distanza, apparentemente solo per guardarsi in giro, facendo finta di NoN vedersi, e poi uno dei due (lui) che plana in fretta-e-furia-tipo-finalmente-si-mangia-! immaginandosi di trovare chissachè, e l'altro (lei) cheresta imperturbabile e sembra pensare 'dove corre quello che làdi sicuro non c'è niente' e alla fine dopo qualche secondo decide di volarsene da tutt'altra parte...

INVERNO 2

Per fortuna la neve si scIoglie che i pOveri passerotti non potevano fermarsi che pochi secondi aPPollaiati su reti, ringhiere e grondaie, né più vedevano il cibo sotto tutto quel bianco!!...

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DIALOGO TRA PASSERI

- Hey ciao!- Ciao...- È un po' che non ci vediamo!- G...già... - Ma...sei ingrassato o cosa?- Co-osa.- Però mi sembri alquanto rotondo...- Ho solo arruffato p-p-piume e pe...enne.- E perchè?- Per ripararmi dal fre-e-e-eddo! Tu non hai fred-d-do?- Be' siamo in inverno, per forza fa freddo, non lo sapevi?- No, mi sa che la mia ma-ma-mamma non me l'ha raccontata tu-tu-tu-tutta...

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FRA PASSERI

- Ehi ragazzi, guardate Frallo che razza di boccone tiene nel becco!- Ehi Frallo, dovresti dividere con noi quel gran boccone, ti pare?- Come no? Non farai altro che ingozzarti.- Su non fare l'egoista, facci almeno assaggiare!- No no, pare che voglia tenersi tutto per sé, eh Frallo?- E allora qui bisogna intervenire...- Se non vuoi darcelo tu ce lo prendiamo noi.- Frallo... Fralluccio... vieni qua...- No attenti, scappa!- Inseguiamolo!- Ci prenderemo ciò che è nostro Frallo!- Addossooo!!- Ehi che succede qua?- Occhio il merlo!- Via via via!!- To' guarda qua, sembrava una giornata persa ed invece guarda qua che razza di boccone! Stasera si cena alla grande!

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FRA PASSERI (PRIMO FINALE)

- Ehi ragazzi, guardate Frallo che razza di boccone tiene nel becco!- Ehi Frallo, dovresti dividere con noi quel gran boccone, ti pare?- Come no? Non farai altro che ingozzarti.- Su non fare l'egoista, facci almeno assaggiare!- No no, pare che voglia tenersi tutto per sé, eh Frallo?- E allora qui bisogna intervenire...- Se non vuoi darcelo tu ce lo prendiamo noi.- Frallo... Fralluccio... vieni qua...- No attenti, scappa!- Inseguiamolo!- Ci prenderemo ciò che è nostro Frallo!- Addossooo!!

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VOLARE (FRA PASSERI)

- Ma perché a te ti manca la coda?- Non lo so, sono nato così.- E come fai a volare senza?- ...Boh, volo e basta.- Sì, ma farai fatica a salire in alto, a virare?- Sì, un pochino, ma non più di tanto, per quello che mi serve è più che sufficiente.- Certo ti verrà bene scendere in picchiata, ma se devi frenare di colpo...?- Eh... ci riesco.- Io non so come farei se non avessi la mia coda... sarebbe proprio brutto!- Ma no, è questione di abitudine, poi ad un certo punto diventa una cosa normale e non ci fai più caso.- Normale?! Ma sei fuori?! Tu non sei normale!! Io fossi in te smetterei di volare senza pensarci due volte!!- Be'... contento tu eventualmente. Io preferisco continuare a volare piuttosto che pensare di essere... un pollo.