RACCOLTA MARZO 2011 LAVORO

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L’apprendistato: una complicazione o un’opportunita’? il caso della provincia autonoma di bolzano 0 commenti Pubblicato in diritto del lavoro Data di pubblicazione 26/05/2011 Autore: Caruso Anna Rita Pagina: 1 2 3 4 di 4 In tema di apprendistato, come si evince dalle statistiche, sono molte le domande di apprendisti da parte delle aziende, ma il numero degli stessi negli ultimi anni è in costante diminuzione, segno che c’è alla base un problema di matrice culturale, dal momento che si tratta di uno strumento poco conosciuto e verso il quale c’è una generale diffidenza. Per questo l’apprendistato deve essere considerato soprattutto uno strumento di orientamento e placement per dare risposta a quei due milioni e mezzo di giovani che né studia né lavora. I numeri sono abbastanza sconfortanti: su una disoccupazione giovanile ormai arrivata al 30%, nel mondo degli occupati solo un’esperienza di stage su cinque si trasforma in contratto di lavoro, una donna su due non lavora e in questo scenario l’apprendistato si pone come uno strumento alternativo, che potrebbe essere anche impiegato dagli over quaranta per reimmettersi sul mercato del lavoro. Ma a fronte di questi dati, c’è un’isola felice, che è quella della provincia autonoma di Bolzano dove la disoccupazione è pressoché inesistente o comunque ridotta ai minimi termini. L’apprendistato deve porsi soprattutto come leva di placement in grado di soddisfare parte delle offerte di lavoro delle imprese che oggi rimangono inevase, ma soprattutto come mezzo per individuare le potenzialità dei giovani lavoratori e favorire il loro ingresso in azienda, costruendo percorsi di accrescimento delle competenze individuali, in grado di costruire figure tecniche specializzate e competitive. L’apprendistato può essere utilizzato per figure professionali eterogenee e questo dovrebbe rispondere alle richieste delle aziende, favorendo l’incontro fra domanda e offerta di lavoro. Gli apprendisti erano circa 650 mila nel 2008, con un calo di circa 80 mila unità negli ultimi due anni, questo non soltanto perché la crisi ha estromesso dal mercato del lavoro gli ultimi entrati, conservando le maestranza con più esperienza, ma anche perché c’è una generale disaffezione verso l’istituto. Al contrario, si registra un aumento progressivo degli stagisti, con circa 320 mila unità, mentre diminuiscono i contratti di apprendistato proprio nella fascia 18-24 anni che dovrebbe essere quella sulla quale investire maggiormente e nella quale il contratto di apprendistato dovrebbe trovare il suo maggior impiego.

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L’apprendistato deve porsi soprattutto come leva di placement in grado di soddisfare parte delle offerte di lavoro delle imprese che oggi rimangono inevase, Pagina: 1 2 3 4 di 4 Data di pubblicazione Pubblicato in diritto del lavoro

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  • Lapprendistato: una complicazione o unopportunita? il caso della provincia

    autonoma di bolzano

    0 commenti

    Pubblicato in

    diritto del lavoro

    Data di pubblicazione

    26/05/2011

    Autore: Caruso Anna Rita

    Pagina: 1 2 3 4 di 4

    In tema di apprendistato, come si evince dalle statistiche, sono molte le domande di

    apprendisti da parte delle aziende, ma il numero degli stessi negli ultimi anni in

    costante diminuzione, segno che c alla base un problema di matrice culturale, dal

    momento che si tratta di uno strumento poco conosciuto e verso il quale c una

    generale diffidenza. Per questo lapprendistato deve essere considerato soprattutto

    uno strumento di orientamento e placement per dare risposta a quei due milioni e

    mezzo di giovani che n studia n lavora. I numeri sono abbastanza sconfortanti: su

    una disoccupazione giovanile ormai arrivata al 30%, nel mondo degli occupati solo

    unesperienza di stage su cinque si trasforma in contratto di lavoro, una donna su due

    non lavora e in questo scenario lapprendistato si pone come uno strumento

    alternativo, che potrebbe essere anche impiegato dagli over quaranta per

    reimmettersi sul mercato del lavoro. Ma a fronte di questi dati, c unisola felice, che

    quella della provincia autonoma di Bolzano dove la disoccupazione pressoch

    inesistente o comunque ridotta ai minimi termini.

    Lapprendistato deve porsi soprattutto come leva di placement in grado di soddisfare

    parte delle offerte di lavoro delle imprese che oggi rimangono inevase,

    ma soprattutto come mezzo per individuare le potenzialit dei giovani lavoratori e

    favorire il loro ingresso in azienda, costruendo percorsi di accrescimento delle

    competenze individuali, in grado di costruire figure tecniche specializzate e

    competitive. Lapprendistato pu essere utilizzato per figure professionali eterogenee

    e questo dovrebbe rispondere alle richieste delle aziende, favorendo lincontro fra

    domanda e offerta di lavoro. Gli apprendisti erano circa 650 mila nel 2008, con un

    calo di circa 80 mila unit negli ultimi due anni, questo non soltanto perch la crisi ha

    estromesso dal mercato del lavoro gli ultimi entrati, conservando le maestranza con

    pi esperienza, ma anche perch c una generale disaffezione verso listituto. Al

    contrario, si registra un aumento progressivo degli stagisti, con circa 320 mila unit,

    mentre diminuiscono i contratti di apprendistato proprio nella fascia 18-24 anni che

    dovrebbe essere quella sulla quale investire maggiormente e nella quale il contratto di

    apprendistato dovrebbe trovare il suo maggior impiego.

  • LIsfol, lagenzia tecnica del Ministero del Lavoro, ha evidenziato come nel 2006 solo il

    20% degli apprendisti riceveva una formazione adeguata, circa un apprendista su

    cinque quindi, oggi questa percentuale si sposta al 26%, ma si tratta di numeri ancora

    irrisori. In Germania il maggior utilizzo

    [...]

    [...]

    dellapprendistato e dei contratti in deroga ha consentito di contenere la

    disoccupazione e incrementare loccupazione. Analogamente anche la provincia di

    Bolzano, sullesempio tedesco, utilizza lapprendistato di primo livello cercando di

    costruire delle figure tecniche, a differenza dellItalia, dove a fronte di 300 mila

    richieste di tecnici da parte delle aziende, solo 140 richieste vengono evase e permane

    una generale penuria di tecnici qualificati, specie nel settore dellindustria e dei servizi.

    Anche in Inghilterra e Francia si ricorre maggiormente allapprendistato di alta

    formazione, mentre in Italia, Spagna e Grecia lapprendistato di secondo livello

    utilizzato soprattutto per abbattere il costo del lavoro e perch al termine del rapporto

    non sono previsti i vincoli previsti dallart. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

    La riforma Biagi aveva disegnato tre tipologie di apprendistato: diritto-dovere di

    istruzione ex art. 48 del dlgs 276/2003, sul modello tedesco, di fatto non decollato,

    tranne in alcune regioni come la Lombardia e il Veneto; apprendistato

    professionalizzante, lunico operativo sul territorio e infine lapprendistato di alta

    formazione, sul modello francese, anche questo di fatto raramente applicato. Le

    applicazioni dei tre modelli sono fortemente ostacolate perch in alcune regioni non vi

    sono convenzioni che regolamentano listituto, in altre sono previste accordi fra

    le parti sociali, in taluni casi fra agenzia formativa e azienda, in ogni caso risulta

    altamente complicato realizzare intese a livello regionale e poi allinterno delle singole

    categorie, ne risulta quindi un quadro disomogeneo e frammentato. E proprio questa

    condizione territoriale altamente disarticolata in materia di regolamentazione

    dellapprendistato ad alimentare i dubbi delle aziende e a contribuire altres a

    determinare il mancato utilizzo del contratto.

    In Germania e Svizzera lapprendistato pagato intorno al 30%, ma altamente

    formativo, prevede addirittura che lapprendista ruoti attraverso pi aziende in modo

    da specializzarsi e acquistare maggior professionalit. In Italia lapprendista pagato

    quasi quanto una maestranza specializzata, linquadramento in genere al di sotto di

    due livelli e la formazione piuttosto scarsa. Il modello francese particolare,

    intermedio fra quello italiano e quello tedesco, perch prevede una retribuzione

    crescente, in funzione dellacquisizione progressiva delle competenze acquisite sul

    lavoro.

    In sintesi quindi lapprendistato poco appetibile perch non ha una disciplina

    omogenea nelle singole regioni, trattandosi di una materia a competenza bipartita

    Stato/Regioni, esiste il problema della formazione di fatto inattuata, vengono

    privilegiati canali alternativi come lo stage, il contratto a termine e a progetto, inoltre,

    non da ultimo, si consideri anche

  • [...]

    il problema legato alla durata, sei anni sono tanti, se un lavoratore inizia a 29 anni, si

    ritrover a 35 ancora apprendista. Dallaltra parte per, lapprendistato una leva di

    placement che consente lintegrazione fra il mondo della scuola e del lavoro, in grado

    di rilanciare il lavoro manuale, recuperare la dispersione scolastica e incidere sulla

    produttivit del lavoro, anche grazie a incentivi normativi ed economici. Recentemente

    la legge n. 183/2010 ha introdotto una maggior semplificazione dello strumento,

    prevedendo maggiori controlli su stage e lavori a progetto, per la formazione invece

    sono state introdotte apposite linee guida nel 2010.

    In questo scenario per c un isola felice che corrisponde alla provincia autonoma di

    Bolzano, dove la disoccupazione praticamente sconosciuta, infatti al pari della

    Svizzera, Germania e Austria, il fenomeno disoccupazione incide per circa il 4%,

    questo significa che circa 2/3 dei giovani acquisiscono una qualifica

    professionalizzante grazie allapprendistato e trova immediato sbocco nel mercato del

    lavoro. La legge principale la n. 3/55 che istituisce scuola professionali pubbliche con

    frequenza obbligatoria, quindi lo Statuto della provincia autonoma del 72 e la legge n.

    2/2006 che disciplina il contratto di apprendistato. Lapprendistato infatti volto

    allacquisizione di una qualifica professionale,

    in questo caso lazienda deve essere autorizzata alla formazione degli apprendisti, la

    provincia richiede precise condizioni tecniche ed organizzative che devono sussistere

    in capo alle aziende, cos come richiesta una adeguata competenza del formatore.

    La formazione scolastica intensa, lobiettivo la frequenza di 400 ore annue che

    possono essere frequentate a blocco oppure una volta alla settimana per 10-11

    settimane, nelle 400 ore, circa 1/3 dedicato alla cultura generale. Il ciclo di lezioni si

    chiude con un esame di fine apprendistato organizzato da una commissione desame

    costituita da rappresentanti delle parti sociali, lesame pratico e scritto, con un

    colloquio orale conclusivo. In Germania a differenza dellItalia c una diversa

    concezione dellapprendistato, mentre in Italia considerato uno strumento per

    collocare ragazzi con difficolt di apprendimento, in Germania, invece un sistema

    per creare professionalit tecniche e formare operatori specialistici.

    Si possono inoltre evidenziare i pro e i contro dellapprendistato nella provincia

    autonoma di Bolzano, fra i punti di forza, il fatto che in questa provincia esistono

    scuole professionali ben attrezzate, insegnanti con formazione tecnica e pedagogica

    ad alto livello, nonch concezioni didattiche orientate allazione. Si progressivamente

    proceduto ad una sostituzione delle materie scolastiche con materie

    [...]

    professionali, le aziende inoltre vedono nellapprendistato uno strumento per formare

    tecnici altamente specializzati, un modo di apprendere attraverso la pratica. Il modello

    tedesco dellapprendistato riserva per anche alcuni punti critici, in primis spesso

    connotato da unimmagine negativa, un vicolo cieco, per questo stato consentito

    recentemente agli apprendisti di poter sostenere lesame di maturit ed accedere

    eventualmente a percorsi formativi superiori.

  • Il problema fondamentale che in Italia manca un raccordo tra Universit e mondo

    del lavoro che possa dare maggior dignit alla figura dellapprendista, occorre invece

    orientare la domanda di lavoro per evitare che alcune professionalit strategiche non

    vengano coperte da personale qualificato, fermo restando che l85% delle imprese

    utilizza il contratto di apprendistato prevalentemente per motivi economici. In ogni

    caso noto che circa il 65% dei ragazzi con una qualifica di apprendistato trova lavoro

    nei 6 mesi successivi, si pone inoltre la necessit di introdurre un quinto anno

    scolastico che consenta di sostenere lesame di stato ed accedere eventualmente

    allUniversit, sullesempio di quanto realizzato nella provincia autonoma di Bolzano.

    Da pi parti si auspica inoltre lintervento di una riforma legislativa per rilanciare lo

    strumento dellapprendistato anche approfittando del momento di crisi occupazionale,

    al fine di coprire

    le domande delle imprese rimaste inevase. In questo quadro occorrono intervento

    legislativi volti a promuovere un costo del lavoro uniforme, questo al fine di evitare il

    dumping sociale ed evitare il ricorso a strumenti alternativi, come lo stage, che

    dovrebbe essere quindi utilizzato solo al termine del ciclo scolastico e non in maniera

    impropria. Per rilanciare lapprendistato, inoltre, si potrebbero utilizzare i fondi

    interprofessionali e attribuire un ruolo di maggior peso alle agenzie per il lavoro,

    quindi ridurre la durata dellapprendistato ad un massimo di tre anni e assicurare la

    totale decontribuzione per tutti e tre gli anni.

    Fondamentale anche il problema della formazione del contratto di apprendistato,

    spesso svolta in maniera superficiale e che invece rappresenta davvero un mezzo

    per assicurare una reale identit professionale a tutti gli apprendisti impegnati a

    costruirsi un percorso professionale, si auspica quindi un maggior impegno sul

    versante formativo anche attraverso lutilizzo dei fondi interprofessionali, contribuendo

    cos a rilanciare il contratto di apprendistato perch diventi finalmente una reale

    opportunit per inserire i giovani nel mercato del lavoro e non una mera

    complicazione.

    1 A. R. Caruso anche ispettore del lavoro presso la DPL di Cuneo, pertanto ai sensi

    della circolare del 18 Marzo 2004 del Ministero del Lavoro si precisa che le

    considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero

    dellautrice e non hanno carattere impegnativo per lAmministrazione di appartenenza.

    Dal mobbing al suicidio: il caso della guardia di finanza

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    diritto del lavoro

  • in data

    24/12/2009

    Autore: Pezzano Gabriele - Sardo Andrea

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    Recenti episodi ripresi anche dai principali mass media hanno portato allattenzione del grande pubblico un fenomeno che agli operatori professionali noto da diversi anni: lelevato rischio suicidario fra gli appartenenti alle Forze dellOrdine ed alla Guardia di Finanza in particolare.

    Elementi epidemiologici del suicidio in generale. LItalia considerata un paese a basso rischio di suicidio rispetto ad altri paesi. Mentre la Scandinavia ha un tasso di suicidi del 25 per 100mila persone, lItalia ferma a 9 suicidi per 100mila persone. La prevalenza del suicidio fra maschi e femmine di 4 maschi per 1 femmina, mentre se consideriamo il

    tentativo di suicidio la proporzione si inverte: 1 tentativo del maschio per 4 tentativi delle femmine.

    Considerando il modo utilizzato per togliersi la vita, le statistiche riportano che gli uomini utilizzano

    prevalentemente le armi da fuoco, mentre le donne si uccidono in genere per avvelenamento. Secondo la

    prevalenza dellet si osserva che gli uomini commettono il suicidio intorno ai 45 anni, mentre le donne intorno ai 55 anni. In ogni caso, sia per i maschi che per le femmine si osserva in questi ultimi anni un

    incremento del suicidio nella fascia det che va dai 15 ai 24 anni. Si osservato inoltre che la presenza di figli ed il matrimonio rappresentano dei fattori protettivi, mentre il celibato, la vedovanza e la separazione

    rappresentano dei fattori di rischio per lideazione suicidaria. Non infrequente il suicidio in occasione di un anniversario della vedovanza o della separazione. molto importante ai fini dellincremento del rischio, infine, avere una storia familiare di suicidi.

    Per quanto riguarda la stagione, il suicidio pi frequente in primavera ed in autunno. Aumenta nei periodi

    di recessione economica e diminuisce nelle fasi di sviluppo economico. Durante le guerre ed i conflitti bellici

    o civili si osservata una diminuzione del numero dei suicidi. Il lavoro in genere protegge dal rischio del

    suicidio: prevalente nei disoccupati.

    Secondo degli studi pubblicati negli Stati Uniti, le occupazioni maggiormente a rischio di suicidio sono i

    medici (per avvelenamento), gli avvocati (per arma da fuoco), le forze di polizia (per arma da fuoco), i

    musicisti (per impiccagione), gli assicuratori (tramite arma da fuoco).

    Il suicidio nelle Istituzioni Diversi studi hanno messo in evidenza che frequente il suicidio nelle Istituzioni caratterizzate da peculiarit

    come un elevato grado di controllo sul personale, un basso grado di autonomia decisionale ed un basso grado

    di libert di movimento. Istituzioni di questo tipo sono le istituzioni militari, militarizzate o ad impronta simil

    militare, come possono essere le forze di polizia e la Guardia di Finanza in particolare.

    Nelle Istituzioni cos rigidamente strutturate il suicidio non ha una valenza psicopatologica vera e propria,

    spesso rappresenta la rivendicazione del proprio status di uomo libero e autodeterminato di fronte alle

    coercizioni subite e ritenute ingiuste. Quando lappartenenza ad una Istituzione militare e la rigida vita di caserma opprime la persona con costrizioni ambientali, pretende il dominio del rigore formale, esige il

    rispetto gerarchico prevalente sulla libera espressione della personalit, ecco che per una persona gi in crisi

    di suo, il suicidio assume il significato di una fuga liberatoria.

    Le istituzioni totali, la caserma e la vita militare tuttavia possono solo funzionare da aumento del rischio, ma

    non sono una causa diretta in grado di condurre al suicidio. Considerando alcune peculiarit dellambiente e dellattivit operativa possiamo affermare che lattivit delle forze di polizia prevede un intervento professionale in situazioni ad intenso coinvolgimento emotivo, a contatto con persone in situazioni

    drammatiche (con intesi vissuti emotivi dansia, di paura o di disperazione). Intervenire sempre in situazioni ad alto contenuto emotivo conduce, a lungo andare, ad uno stress cronico ed un logoramento emotivo.

    Nei soggetti compaiono la critica continua su tutti e su tutto, un atteggiamento cinico verso gli altri ed una

    autovalutazione negativa del proprio lavoro. In queste condizioni psicologiche non pu essere che di bassa

    qualit il servizio svolto, con aumento del turnover, dellassenteismo per malattia ed un morale costantemente basso.

  • Gli operatori di polizia arrivano in questo modo a sommare al proprio disagio personale ed esistenziale il

    contatto con situazioni fortemente problematiche e la partecipazione ad episodi drammatici.

    Segni di stress cronico nellambiente del lavoro

    Alta resistenza ad entrare in servizio ogni giorno

    Sentimenti di rabbia e risentimento

    Guardare frequentemente lorologio Perdita di sentimenti positivi verso gli altri

    Rimandare il contatto con gli altri

    Negarsi al telefono

    Cinismo verso gli altri

    Atteggiamento colpevolizzante verso i problemi altrui

    Incapacit di ascoltare i problemi altrui

    Seguire procedure rigidamente standardizzate

    Problemi di insonnia

    Evitare le discussioni con i colleghi

    Preoccupazioni per s

    Frequenti raffreddori ed influenze

    Frequenti mal di testa e disturbi intestinali

    Rigidit di pensiero e resistenze al cambiamento

    Conflitti coniugali e familiari

    Alto assenteismo

    Unendo ai problemi personali il contatto quotidiano con situazioni in grado di produrre un logoramento

    emotivo si innesca un percorso evolutivo critico che pu condurre allideazione suicidaria[1]. Di questo percorso critico fanno parte le seguenti fasi:

    - fase dello stress lavorativo iniziale, con senso di inadeguatezza delle risorse disponibili rispetto alle

    richieste dellambiente lavorativo e sociale; - fase dello stress cronico, con eccessiva tensione emotiva, senso di fatica mentale e facile irritabilit;

    - fase della crisi personale, con distacco emotivo, ritiro dalle relazioni sociali, cinismo affettivo e rigidit di

    pensiero.

    Questo percorso evolutivo risente di alcuni fattori determinanti, come ad esempio latteggiamento psicologico verso il servizio svolto. Questo atteggiamento il risultato della motivazione che ha condotto

    allingresso in servizio, accompagnato dalla formulazione interiore di un obiettivo specifico da conseguire. Si crea nella persona, da subito dopo lincorporamento, una aspettativa personale, un obiettivo, e su quella aspettativa si investe una quota affettiva ed emotiva dei propri sentimenti. Se gli eventi del percorso del

    servizio inducono alla consapevolezza dellimpossibilit a raggiungere questo obiettivo personale, interiormente si vive una crisi personale, una ferita del s.

    Gli obiettivi di carriera che vengono messi a fuoco con lincorporamento riguardano sicuramente il conseguimento del grado pi elevato possibile, lavere degli incarichi desiderati e di prestigio, lavere delle prerogative dellimpiego, come ad esempio le sedi di lavoro desiderate. Quanto pi alta laspettativa iniziale tanto pi distruttive sono le frustrazioni vissute alla sua rinuncia, tanto pi profondo il vissuto di

    fallimento e di crisi personale.

    Se la professione, il servizio, la carriera arrivano a rappresentare il nucleo dellidentit personale ecco che il successo professionale, la carriera brillante, lavanzamento di grado, gli incarichi di prestigio divengono lunico simbolo della compiuta realizzazione. Per ottenere tutto questo la persona si gioca tutto. Sacrifica il proprio tempo, la propria salute, gli interessi extra-lavoro, gli affetti, la famiglia, gli amici, lo svago, un

    hobby personale. Se la professione rappresenta in modo esclusivo il proprio progetto di vita, possiamo dire

    che troppo, che si rischia troppo.

    Il sociologo Durkeim ha studiato il fenomeno del suicidio nelle forze armate e nella polizia e lo ha suddiviso

    in due forme:

  • - il suicidio egoistico, messo in atto in una situazione di crisi personale e per scarso interesse verso la

    comunit, come potrebbe avvenire in seguito a malattie, privazioni e lutti;

    - il suicidio altruistico, messo in atto per forte ed intenso legame con la comunit, segnato da un forte senso

    dellonore, dello spirito di corpo e di formazione morale, per cui ci si sacrifica per il bene ed il successo del gruppo di appartenenza.

    [...]

    Pagina: 1 2 di 2

    [1] Canavacci M., Il suicidio nelle forze di polizia, Centro Europeo di Psicologia Investigazione e

    Criminologia.

    Fattori specifici di rischio

    - lo sradicamento forzato dallambiente abituale (famiglia, amici), che viene vissuto come una perdita della propria sicurezza;

    - la forzata convivenza con altri sancita da regole rigide, che prevedono la perdita della privacy e

    rendono difficile lintegrazione; - la riattivazione di dinamiche relazionali conflittuali, nei confronti dellimmagine paterna, riproposta dai superiori, e di quella dei fratelli, riproposta dai colleghi pari grado;

    - il negativo adattamento alla gerarchia, se eccessivamente autoritaria e poco sensibile ai problemi del

    singolo.

    I fattori di rischio riportati nella tabella precedente sono solo dei fattori che aumentano la probabilit del

    rischio del suicidio, ma non sono assolutamente delle cause di suicidio. Possono agire cio come fattore di

    amplificazione di una crisi personale, ma di origine diversa.

    Rifacendoci a dei dati statistici sul fenomeno del suicidio nelle forze di polizia possiamo dire innanzi tutto

    che il suicidio sempre e comunque sottostimato nelle statistiche ufficiali (secondo studi dellOMS di Ginevra) per riserbo della famiglia, per errore con morti accidentali o incidenti e per errata causa di morte

    (arresto cardiaco) stilata da un sanitario poco attento.

    Il suicidio nelle Forze Armate Il tema non nuovissimo, pare, infatti, che gi dalla fine del secolo scorso un eminente neuropsichiatria

    italiano come Enrico Morselli abbia dedicato molta attenzione al suicidio tra i militari, arrivando ad alcune

    interessanti considerazioni. Innanzitutto esiste una correlazione tra attivit lavorativa e suicidio, al punto che

    i dati epidemiologici evidenziano una frequenza nettamente superiore nelle professioni che pi richiedono un

    impiego di energie mentali e negli appartenenti alla carriera militare.

    Per questi ultimi Morselli individua due determinanti del gesto suicida: da una parte la mobilit territoriale

    dei suoi appartenenti, dall'altra la disciplina dell'istituzione, spesso irrazionalmente perseguita. Ma lasciando

    da parte gli studi classici non mancano in tempi pi recenti ricerche approfondite, studi epidemiologici ed analisi che hanno cercato di esplorare il fenomeno nei suoi aspetti pi rilevanti.

    Gli studi pi recenti Gli operatori delle forze dell'ordine sono, secondo statistiche nazionali, demotivati, soli, oppressi dai mille

    rischi che quotidianamente si trovano ad affrontare.

    Cos cadono pi facilmente vittime di stati di stress distruttivi che, in casi estremi, portano addirittura al

    suicidio. I carabinieri e i finanzieri, in particolare, si suiciderebbero pi degli altri tutori dell'ordine, tanto che

    il 66% dei casi di suicidio nelle Forze Armate ha riguardato i soli carabinieri.

    Secondo uno studio epidemiologico che ha monitorato l'andamento del fenomeno suicidario tra gli

    appartenenti alle Forze Armate italiane dal 1976 al 1991 risultato che le morti per suicidio rappresentano la

    terza causa di decesso, con una frequenza percentuale del 7%, preceduta dai decessi causati da malattie e da

    quelli per incidenti automobilistici.

  • Un ulteriore dato significativo riguarda una frequenza maggiore dei decessi fuori dalle strutture militari,

    durante permessi o licenze.

    Se per i dati vengono comparati ai suicidi tra la popolazione generale maschile tra i 18 e i 60 anni, risultano

    meno allarmanti. Le frequenze maggiori, infatti, sono a carico della popolazione generale, al punto che si

    pu riscontrare una sostanziale omogeneit nelle linee di tendenza del comportamento suicidiario.

    Parlano chiaro del resto i numeri che riguardano le cause del gesto suicida fra i militari. Se per il 40,6% non

    stato possibile individuare la causa del gesto suicida, la rimanente percentuale si divide tra problemi di

    ordine psichico e/o di disadattamento (34,3%), motivi affettivi o di rapporti con l'altro sesso (12,5%),

    problemi familiari (6,2%) e tossicodipendenze da droghe o alcool (6,2%).

    Motivazioni non molto dissimili da quelle della popolazione nazionale di riferimento.

    La prevenzione Allo stato attuale tutte le attivit di prevenzione, limitate alle visite di controllo allatto della selezione psicoattitudinale, hanno dato risultati assolutamente insoddisfacenti. Per la prevenzione efficace nelle forze

    di polizia il primo passo da effettuare organizzare una conoscenza del fenomeno in atto (come

    losservatorio epidemiologico) ed assicurare un miglioramento dellhabitat psicologico attraverso una maggiore attenzione alla qualit delle relazioni e dei rapporti interpersonali. La selezione psicologica di tipo

    attitudinale rimane un punto valido per valutare lo stato di integrit psicologica al momento

    dellincorporamento, purtroppo non si pu avere alcuna predittivit tramite test psicologici sul rischio del suicidio, soprattutto se questo dovuto a situazioni che hanno avuto luogo dopo lincorporamento. E importante il monitoraggio delle tensioni emotive e dello stress del servizio in quanto gli eventi connessi al

    servizio possono modificare, alterare, squilibrare lo stato psicologico iniziale. E importante che ogni comandante possa saper vedere ed ascoltare ci che accade ai suoi sottoposti, che abbia degli adeguati sensori della camerata, tuttavia non sufficiente per capire quando una persona si trova in crisi ed quindi necessaria la presenza di una assistenza qualificata che non abbia la veste giuridica di togliere lidoneit al servizio. Lassenza di un supporto psicologico ha determinato nel personale la necessit di tenersi il malessere ed il disagio dentro di s, finch questo sia possibile. Lalternativa alla autorepressione finora stata la presenza dellamico che ti aiuta e ti capisce, ma di fronte ad una profonda crisi personale ed esistenziale lamico non basta.

    La sindrome del sottoufficiale Ad essere pi facilmente portato a mettere in atto comportamenti di tipo suicidiario risulta essere la figura

    del sottoufficiale. Una spiegazione pu risiedere nel ruolo intermediario tra l'area decisionale e progettuale

    dell'istituzione militare e l'area esecutiva. Un ruolo che risente di una doppia sollecitazione, dall'alto e dal

    basso, alla quale deve quotidianamente rispondere e che finisce per essere particolarmente stressogeno.

    Sulle dinamiche sociali e psicologiche di malessere, normalmente e cronicamente vissute dalla persona, si

    innesta un fattore nuovo, precipitante (uno stress, una frustrazione, una delusione affettiva, ) che innesca la crisi personale ed obbliga alla ricerca di una possibile via duscita. Il suicidio, alla fine della ricerca della soluzione, messo in atto perch in quel momento per la persona rappresenta lunica via duscita.

  • Mal di divisa e mobbing Sebbene si tratti di una questione ardua da affrontare, sono sempre maggiori i casi spinosi che vengono

    portati allattenzione dei media.. I suicidi nei comparti di Pubblica Sicurezza tendono inesorabilmente ad aumentare.

    Nel numero di episodi oggetto di indagini possibile individuare un dato che conduce a ritenere che in

    determinati casi di morte violenta sia possibile individuare episodidi "mobbing" quali espressioni di

    violenza psicologica attuati deliberatamente in un ambiente lavorativo, a scapito di uno o pi soggetti.

    Tali condotte, sole o congiunte alle condizioni del singolo militare, possono essere ritenute concorrenti o

    addirittura determinanti circa la realizzazione di condotte auto lesive.

    Konrad Lawrence, psicologo svedese fu il primo a parlare di "mobbing" e nei suoi studi di etologia

    espose la possibilit che esso si estendesse ad ogni settore della nostra vita.

    Cos stato anche per le forze armate. Al di l dei casi specifici che popolano le nostre cronache, ci

    troviamo di fronte ad un fenomeno diffusissimo e le statistiche sono (quando consultabili) un utile strumento

    di analisi di questo fenomeno.

    Dati ufficiali del Comando Generale dellArma dei Carabinieri chiariscono quanto sia drammatica la questione dei suicidi nellArma: dal 1978 al gennaio 2000 ben 293 militari si sono uccisi in ambienti appesantiti da comportamenti opprimenti e vessatori.

    Il quadro cos delineato porta inequivocabilmente a descrivere un fenomeno rilevante, non solo

    numericamente e statisticamente, ma soprattutto socialmente. Si tratta dunque di un problema che

    richiede una attenta analisi ed uno studio approfondito e multidisciplinare, attraverso il quale

    individuare le cause del fenomeno e proporre gli opportuni rimedi.

    Gravosit delle condizioni di lavoro e onere della prova. Insufficienti le

    deduzioni generiche

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    Pubblicato in

    diritto del lavoro

    in data

    23/09/2010

    Autore: Lodi Luca

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    Sicurezza sul lavoro - Denuncia di infortunio - Nesso di causalit tra servizio ed evento - Mancata prova

    della gravosit delle condizioni di lavoro - Fattispecie

    (Massima redazionale) In sede di giudizio per la domanda di equo indennizzo, la causa di servizio va dimostrata non gi con mero accertamento di C.T.U., bens con deduzioni specifiche, fatti e documenti di

    idonea ed adeguata rilevanza probatoria. Le circostanze generiche relative alla gravosit delle condizioni di

    lavoro non integrano laccertamento dellesistenza di un nesso causale tra levento lesivo e il servizio prestato dal lavoratore.

    (Cass., sez. lav., 18 giugno 2009, n. 14192, Pres. Roselli, Rel. Zappia)

  • A breve distanza dalla sentenza n. 13947 del 16/6/09, che verteva sullonere probatorio a carico del lavoratore per la dimostrazione del nesso causale tra malattia professionale e nocivit dellambiente di lavoro, la Suprema Corte ha approfondito, con la sentenza n. 14192 del 18 giugno 2009, il criterio del nesso di

    causalit tra servizio ed evento con riguardo al decesso di un ferroviere a seguito di infarto. Gli eredi di An.

    Vi. - queste le iniziali del de cuius - si rivolgevano nel 2002 al giudice del lavoro per accertare che il decesso

    fosse avvenuto a causa di servizio ai sensi dellart. 64 del d.p.r. n. 1092/73. Il positivo parere del tribunale veniva integralmente riformato nel 2005 dalla Corte di Appello di Napoli in quanto le circostanze relative alla gravosit delle condizioni di lavoro di An. () sarebbero state talmente generiche da non poter in alcun modo fondare laccertamento dellesistenza di un nesso causale tra levento morte e il servizio prestato alle dipendenze delle ferrovie, mentre le successive specificazioni modali riportate nella relazione del C.T.U. () non avrebbero costituito oggetto di prova.

    Rigettando quindi la domanda di equo indennizzo ed essendo possibile, in sede di legittimit, il controllo alla

    eventuale insufficienza o contraddittoriet delliter logico seguito dal giudice di merito nella motivazione della sentenza, senza invece alcuna competenza sui fatti in causa, la Suprema Corte conclude condannando i

    ricorrenti, in solido, alle spese.

    Interessante, tuttavia, tale sentenza poich, nel ribadire la necessit di prova del nesso di causalit di servizio

    ed evento, si sofferma sul giudicato n. 11353 del 2004 delle Sezioni Unite che chiarisce, una volta per tutti, il

    predetto principio del nesso di causalit nellonere della prova, superando i precedenti orientamenti (come, ad esempio, Cass. 5 agosto 2003, n. 11823 richiamata dai ricorrenti) che permettevano

    - in tema di onere della prova e in caso di mancata contestazione - la sola indicazione delle mansioni spiegate che hanno causato la menomazione della (omissis) integrit fisica (secondo le SS.UU., infatti, il nesso di causalit fra attivit lavorativa ed evento, in assenza di un rischio specifico - v. previgente d.lgs. n.

    626/94 ed attuale d.lgs. n. 81/2008 - non pu essere oggetto di presunzioni semplici, ma esige una

    dimostrazione, quanto meno in termini di probabilit, su concrete e specifiche situazioni di fatto, con

    riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata e intensit di esposizione a rischio).

    Lodi Luca

    Consulente privacy e sicurezza sul lavoro e Rspp in Modena, cultore di diritto del lavoro e diritto comparato

    del lavoro nell'Universit di Modena e Reggio Emilia

    Il decreto Brunetta sulla esenzione dalle visite fiscali: una nuova manna per lassenteismo?

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    diritto del lavoro

    in data

    21/10/2010

    Autore: DAngelo Luigi

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  • Il decreto Brunetta sulla esenzione dalle visite fiscali: una nuova manna per lassenteismo?

    Come noto il 4 febbraio 2010 entrato in vigore il decreto c.d. Brunetta (n. 206 del 18 dicembre 2009)

    relativo alla Determinazione delle fasce orarie di reperibilit per i pubblici dipendenti in caso di assenza per malattia; normativa che ha inasprito - rispetto alle pregresse previsioni normative - lampiezza delle fasce orarie in cui vige lobbligo di reperibilit per il dipendente assente per malattia (dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18 anche nei giorni non lavorativi e festivi).

    Ai fini di interesse lart. 2 di tale decreto, rubricato Esclusioni dall'obbligo di reperibilit. ai sensi del quale Sono esclusi dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilit i dipendenti per i quali l'assenza e' etimologicamente riconducibile ad una delle seguenti circostanze: a) patologie gravi che richiedono terapie

    salvavita1; b) infortuni sul lavoro; c) malattie per le quali e' stata riconosciuta la causa di servizio; d) stati

    patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidit riconosciuta.

    A quanto consta, talune amministrazioni patrocinano una esegesi estensiva della disposizione in parola - in

    particolare riguardo allipotesi di esenzione di cui alla trascritta lettera d), dellart. 2 - secondo cui dovrebbero intendersi per stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidit riconosciuta, non quelli riconducibili allattivit lavorativa (e riconosciuti come causa di servizio ed infortunio sul lavoro peraltro previsti dalle lettere b e c dellart. 2), bens quelle patologie alla stessa scollegate, ci in quanto lespressione invalidit riconosciuta, appunto, sarebbe riferibile allinvalidit civile ex L. n. 118/1971 e s.m..

    Il passaggio non di poco momento in quanto la patologia sottesa ad una invalidit civile non richiede un

    collegamento con lattivit di servizio - e rispettivo accertamento medico legale - a differenza delle cosiddette tecnopatie (causa di servizio, malattia professionale, infortunio sul lavoro ecc.).

    Vero che anche quei lavoratori invalidi civili e dunque aventi patologie non riconosciute come collegate al

    servizio meritano la massima considerazione, vero anche, tuttavia, che linterpretazione in parola potrebbe prestarsi a strumentalizzazioni ai fini dellassenteismo per malattia (in disparte ogni riferimento ai cosiddetti falsi invalidi).

    In effetti, qualora il certificato medico giustifichi la malattia del dipendente con riferimento ad una patologia

    gi oggetto di riconoscimento ai fini dellinvalidit civile - dunque del tutto svincolata da fatti di servizio -, opererebbe la disciplinata esenzione allobbligo di reperibilit. Del resto, si potrebbe affermare, essendo prevista la causa di servizio e linfortunio lavorativo nelle lettere b e c dellart. 2, la lettera d del medesimo articolo non potrebbe che far riferimento a stati patologici riconosciuti diversi dai precedenti.

    Ci si chiede: ma era proprio questo lo spirito dellintervento normativo de quo? Appare coerente limpostazione accennata alla luce dellinasprimento dellarco temporale di vigenza dellobbligo di reperibilit (il cui effetto deterrente per lassenteismo verrebbe in pratica compensato con una estensione rilevante dellesenzione)?

    O forse la lettera d), art. 2, quando parla di invalidit riconosciuta dovrebbe essere intesa come invalidit riferita (dice la norma, sottesa o connessa) a quegli stati invalidanti costituenti sviluppo di gi certificate patologie riferite a cause di servizio o infortuni sul lavoro?

    Se daltronde si fosse voluta estendere lesenzione in argomento a tutti i dipendenti colpiti da stati patologici purch oggetto di una invalidit riconosciuta ovvero certificata da strutture a ci deputate (ASL, Commissioni Medico Ospedaliere, INAIL, ecc.) - secondo linterpretazione rappresentata - non si comprenderebbe la ragione della distinzione operata dalla norma quanto a patologie connesse al servizio

    (infortunio sul lavoro, causa servizio) e patologie ad esso scollegato.

  • Sarebbe stata sufficiente, unicamente, infatti, la previsione di cui alla lettera d) dellart. 2 del Decreto proprio perch omnicomprensiva di ogni invalidit riconosciuta, ci secondo lindicata opzione esegetica.

    Di qui, allora, la conclusione circa la non condivisibilit della impostazione estensiva in argomento,

    dovendosi pi correttamente ritenere che lipotesi di cui allart. 2, lett. d), contempla unicamente quegli stati patologici sottesi o connessi a tecnopatie oggetto di apposito riconoscimento (ovvero esclusivamente quelle

    legate al servizio come linfortunio lavorativo e la causa di servizio) e, in definitiva, aggravamenti e sviluppi di queste debitamente certificati.

    Avv. Luigi DAngelo

    Il potere disciplinare del datore di lavoro: presupposti e limiti anche alla luce del

    dato giurisprudenziale

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    diritto del lavoro

    in data

    17/06/2010

    Autore: Salvioni Riccardo

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    Il rapporto di lavoro che si instaura tra datore di lavoro e dipendente determina il sorgere di diritti e obblighi,

    poteri e vincoli di subordinazione in capo alle parti.

    Generalmente viene fornita una classificazione tripartita dei poteri del datore di lavoro ovvero potere

    direttivo, potere di vigilanza e controllo e, infine, il potere disciplinare.

    La presente trattazione incentrata sullultimo dei poteri sopra indicati, disciplinato dagli art. 2106 c.c. e art. 7 Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970), ed il frutto della rielaborazione di un focus di approfondimento in

    quattro parti pubblicato sul blog del sito studiosalvioni.it (http://studiosalvioni.it/blog.html).

    Nel tentativo di trasformare ci che nato come post utile per i navigatori di Internet in un articolo di diritto con struttura pi delineata, sono state modificate alcune parti e aggiunte ex novo delle sezioni. Infine,

    il testo stato corredato da una breve rassegna di massime di recente formulazione.

    Fonti del potere disciplinare

  • La subordinazione del lavoratore al capo dellimpresa o al dirigente preposto corrisponde dal lato datoriale al potere direttivo e a quello disciplinare.

    Come noto, infatti, limprenditore posto (art. 2086 c.c.).

    Consegue, pertanto, che il datore abbia il potere di impartire direttive alle quali il lavoratore, di contro, deve

    prestare obbedienza (art. 2104 c.c.).

    In applicazione, inoltre, del principio generale di buona fede, il dipendente deve osservare lobbligo di fedelt previsto dallart. 2104 c.c.- e, dunque, astenersi da quelle condotte che possano arrecare pregiudizio allorganizzazione e/o alla produzione aziendale.

    Il potere direttivo rimarrebbe privo di concreto valore senza la previsione, in favore del datore di lavoro,

    della possibilit di sanzionare il dipendente che violi gli articoli sopra menzionati.

    Il datore di lavoro, infatti, autorizzato ex art 2106 c.c. a dare concreta attuazione al potere direttivo, sanzionando con il potere disciplinare le violazioni poste in essere dai lavoratori insubordinati e/o infedeli.

    In altre parole limprenditore pu sanzionare, entro limiti ben definiti, la mancanza di diligenza e i

    singoli inadempimenti del dipendente rispetto agli obblighi contrattuali, ma deve osservare alcuni

    criteri di tipo legale che attenengono al merito (sussistenza del fatto e proporzionalit della sanzione) e

    alla procedura da seguire.

    Necessit di pubblicazione del codice disciplinare

    Lart. 7 dello Statuto dei Lavoratori (legge 300 del 1970) regola, appunto, il procedimento per lirrogazione di provvedimenti disciplinari.

    In primis il datore deve predisporre e portare a conoscenza, con mezzi idonei, di tutti i lavoratori il c.d.

    codice disciplinare, mediante affissione in luogo .

    Il codice disciplinare consiste nel complesso delle norme che regolano la vita aziendale e deve prendere in

    considerazione le ipotesi di infrazioni che si possono concretizzare nell'ambiente di lavoro, le sanzioni

    collegate alle stesse e le procedure di contestazione delle mancanze.

    Si deve evidenziare, per, come la violazione del precetto di cui sopra non comporta sempre, per costante orientamento giurisprudenziale, la nullit della sanzione irrogata. Premesso, infatti, che laffissione del codice, cosi come imposta dalla norma, costituisce requisito essenziale per la validit della sanzione

    disciplinare, si deve osservare che la ratio di tale adempimento consiste nella necessit di portare a

    conoscenza il lavoratore di peculiari esigenze dellazienda che, se violate dai comportamenti dei dipendenti, possono condurre allesercizio del potere sanzionatorio dellimprenditore.

    La Suprema Corte, da ultimo con la sentenza n. 11250 del 10 Maggio 2010, ha -pertanto -confermato la

    validit delle sanzioni che, pur se inflitte in mancanza di codice disciplinare regolarmente affisso, riguardino

    violazioni di doveri omissisprevisti dalla legge o comunque appartenenti al patrimonio deontologico di qualsiasi persona onesta, ovvero dei doveri imposti al prestatore di lavoro dalle disposizioni di carattere

    generale proprie del rapporto di lavoro subordinatoomissis. Consegue che da tale forma di pubblicita' si possa prescindere allorche' il lavoratore si sia reso autore di comportamenti la cui illiceit possa essere

    conosciuta ed apprezzata dal singolo, senza bisogno di previo avviso.

  • Tipicit delle sanzioni disciplinari. Adeguatezza e proporzionalit

    Le sanzioni comminabili sono stabilite dalla legge e devono essere proporzionali allinfrazione posta in essere. Lo spettro delle misure sanzionatorie comprende quelle pi leggere quali il richiamo verbale e

    lammonizione scritta, per passare gradatamente a quelle pi gravi quali la multa, la sospensione e, extrema ratio, il licenziamento disciplinare.

    Come accennato la scelta della sanzione concreta da applicare alla specifica violazione del lavoratore non

    rimessa tout court alla discrezionalit del datore di lavoro ma, al contrario, deve essere conforme ai principi

    di adeguatezza e proporzionalit. Nella valutazione di tale caratteristica, dunque, lesercizio del potere disciplinare dovr essere necessariamente parametrato allinfrazione commessa dal dipendente.

    Il datore di lavoro dovr, dunque, scegliere la sanzione pi adeguata tra quelle previste dal legislatore

    (richiamo verbale, ammonizione scritta, multa, sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, licenziamento

    disciplinare).

    evidente che non ogni comportamento possa consentire il licenziamento che, infatti, deve

    considerarsi extrema ratio e, in quanto tale, validamente adottabile solo ove sia impossibile una

    prosecuzione, anche temporanea, del rapporto per essere venuto meno, ad esempio, il vincolo

    fiduciario. In applicazione di tale principio la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 8737

    del 13 Aprile 2010, ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato a causa di una baruffa tra colleghi

    durata qualche minuto. La considerazione delle circostanze del caso, infatti, ha condotto i giudici della

    Corte a ritenere eccessiva la sanzione inflitta ai due dipendenti.

    Tra le numerose sentenze in materia di proporzionalit del licenziamento c.d. disciplinare la N. 14586 del 22

    Giugno 2009 della Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, quella che meglio svolge la funzione

    nomofilattica. Per tale motivo ne viene riportata integralmente la massima :

    omissisIn caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalit fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravit, sia suscettibile di scuotere la

    fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio

    per gli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalit, l'influenza che sul

    rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete

    modalit e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza

    dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti,

    conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza. Spetta al giudice di merito

    valutare la congruit della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato,

    ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento

    unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravit rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di

    lavoro, assegnandosi a tal fine preminente rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia

    la contrattazione collettiva, ma pure all'intensit dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento

    richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalit di attuazione del rapporto (ed alla

    sua durata ed all'assenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia. (Nella specie, la

    S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto giustificato il licenziamento disciplinare intimato

    ad un lavoratore, la cui condotta aveva determinato il blocco di breve durata delle macchine e l'abbandono

    momentaneo del posto di lavoro in orario notturno, senza considerare la permanenza del lavoratore nei

    locali aziendali a breve distanza dalla postazione di lavoro, l'assenza di danno per l'attivit produttiva, la

    lunga durata del rapporto e la mancanza di precedenti disciplinari)omissis.

    La contestazione della violazione disciplinare

  • Laddebito deve essere contestato con atto scritto al lavoratore.

    La contestazione deve essere: immediata, specifica e immutabile.

    Il requisito dellimmediatezza, oltre ad essere fondamentale per garantire al lavoratore di difendersi adeguatamente da ci che viene contestato, rileva in quanto il decorso di molto tempo tra lintimazione della sanzione e la contestazione del fatto evidenzia una mancanza di interesse del datore di lavoro rispetto

    allapplicazione della sanzione.

    per possibile che, a causa della complessit degli addebiti ovvero della struttura organizzativa

    dellazienda, il datore di lavoro eserciti il proprio potere disciplinare a distanza di tempo dalla contestazione. In tale caso spetter al giudice valutare se sussiste una valida ragione per il ritardo e, laddove questa non sia

    presente, disapplicare la sanzione inflitta ( in tal senso Cassazione n. 2580 del 2 Febbraio 2009).

    La contestazione, come detto, deve inoltre essere specifica. Non ammissibile infatti una contestazione generica e non sufficientemente dettagliata. La mancata indicazione dei fatti materiali e concreti che hanno

    condotto alla contestazione rende nulla leventuale sanzione successivamente irrogata per violazione del diritto di difesa del lavoratore.

    La specificit della contestazione impone al datore di contestare, se sussistente, leventuale recidiva indicando gli specifici precedenti disciplinari che la integrino. In mancanza la recidiva non contestata non

    potr influire sulla determinazione della sanzione disciplinare.

    Sempre a tutela del diritto di difesa del lavoratore previsto il principio dellimmutabilit della contestazione. I fatti posti a fondamento del provvedimento sanzionatorio, dunque, dovranno coincidere con quelli

    contestati e sui quali il dipendente abbia fondato la propria difesa.

    Procedimento disciplinare

    Dopo lo step della contestazione, di cui si parlato, il legislatore ha previsto uno spatium riservato alle

    eventuali difese del lavoratore che preclude al datore ogni possibilit di irrogare subito la sanzione. Tale

    lasso di tempo, in assenza di una maggiore previsione della contrattazione collettiva, stabilito in 5 giorni.

    Sembra preferibile per- partire dal dato normativo e, in particolare, da due commi molto rilevanti dell'art. 7 Statuto dei Lavoratori.

    Il comma II recita:"...omissisIl datore di lavoro non pu adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua

    difesaomissis...".

    Il comma 3 "...omissisIl lavoratore potr farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandatoomissis...".

    Audizione orale

    Il lavoratore al quale venga contestata sanzione disciplinare ha diritto di difendersi nella pi ampia misura

    possibile. Tale principio rafforzato, come detto, dalla previsione di un termine (5 giorni) prima del quale

    non possibile irrogare alcuna sanzione essendo tale intervallo necessario al dipendente per approntare

    adeguata difesa. Il lavoratore pu presentare difese scritte e chiedere, al contempo, di essere ascoltato

    personalmente: nel caso in cui faccia espressamente tale richiesta la sua audizione diventa

    imprescindibile ai fini della corretta applicazione della sanzione. Il datore di lavoro, dunque, non pu

    decidere di applicare la sanzione senza la preventiva audizione per il solo fatto che il lavoratore si sia gi

    difeso con giustificazioni scritte (in questo senso la recentissima Cassazione 22 Marzo 2010 n. 6845), anche

    laddove la difesa scritta sia ritenuta esaustiva. necessario, per, che il lavoratore esprima chiaramente

  • la propria volont di essere sentito oralmente, non essendo sufficiente al riguardo la mera riserva di optare per laudizione.

    Assistenza tecnica del lavoratore

    Nellambito del procedimento disciplinare, cosi come previsto dallo Statuto dei Lavoratori, il ricorso allassistenza sindacale meramente facoltativa e rimessa alla discrezionalit del lavoratore. Nel procedimento ideato dal legislatore, infatti, il diritto di difesa e' garantito al lavoratore dalla

    contestazione dell'addebito, dal diritto che egli ha di essere sentito e dalla necessita' di attendere

    cinque giorni prima che il datore possa dar luogo a sanzioni piu' gravi del rimprovero verbale.

    Lassistenza del rappresentante sindacale deve essere espressamente richiesta dal lavoratore e, in tal caso il datore di lavoro non pu legittimamente opporsi a tale scelta. Con la recente ordinanza del 11 Dicembre

    2009 n. 26023, la Corte di Cassazione ha invece- escluso la possibilit di farsi assistere da un legale omissis non essendovi nella legge alcun riferimento all'assistenza cosiddetta tecnica, che e' normalmente prevista nell'ordinamento solo in giudizio (articolo 24 Cost. comma 2) e puo' essere

    riconosciuta o meno al di fuori di tale ipotesi in base a valutazione discrezionale del

    legislatoreomissis .

    Applicazione sanzione. termine

    Una volta esaurite le difese del lavoratore, il datore di lavoro dovr valutare alla luce di quanto emerso a seguito delle giustificazioni fornite dal dipendente - se applicare o meno la sanzione e, in caso di risposta

    affermativa, quale sia quella proporzionata ai fatti commessi.

    Successivamente, stabilita la sanzione da irrogare per la specifica violazione, il datore di lavoro ha lonere di comunicarla al lavoratore tempestivamente e, comunque, entro il termine indicato dalla contrattazione

    collettiva, laddove previsto. E evidente, infatti, che al fine di salvaguardare l'interesse del lavoratore a conoscere l'esito del contraddittorio e per evitare l'innaturale situazione di incertezza e di soggezione che

    l'esposizione all'esercizio del potere disciplinare determina, i tempi debbano essere contenuti.

    Qualora il CCNL preveda un termine per lapplicazione della sanzione, questo decorre dal momento in cui il lavoratore abbia presentato le sue giustificazioni o, se non lo ha fatto, dalla scadenza del termine a difesa

    (cinque giorni dal ricevimento della prima lettera di contestazione).

    In mancanza di applicazione della sanzione nel termine sopra descritto, le difese e le giustificazioni rese dal

    lavoratore si dovranno intendere come, implicitamente, accettate. Un eventuale esercizio tardivo del potere

    disciplinare, infatti, sarebbe soggetto alla declaratoria di nullit, per intervenuta decadenza.

    Impugnazione della sanzione disciplinare. alternative possibili

    A) Collegio di Conciliazione e Arbitrato.

    Il comma 6 dellart. 7 dello Statuto dei Lavoratori consente al dipendente al quale sia stata irrogata una sanzione disciplinare, fatta salva la sua facolt di adire lautorit giudiziaria, di chiedere la costituzione di un Collegio di Conciliazione e Arbitrato.

    Tale opzione deve essere esercitata nei 20 giorni successivi allapplicazione della sanzione tramite unistanza rivolta allUfficio Provinciale del Lavoro e della Massima Occupazione.

  • Il collegio, in tali casi, composto da tra arbitri: due scelti in rappresentanza delle parti contrapposte e uno

    scelto di comune accordo ovvero, in caso di mancato accordo, nominato dal Direttore dellUfficio del lavoro.

    Una volta esercitata la scelta, la sanzione disciplinare rimane sospesa fino allemissione del lodo.

    Ai sensi del settimo comma, qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito

    rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al

    comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto.

    Se il datore di lavoro adisce l'autorit giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione

    del giudizio.

    La giurisprudenza ha affermato che la decisione presa dal Collegio parificabile a quella emessa a seguito di

    arbitrato irrituale e, pertanto, il lodo non impugnabile dinanzi allAutorit Giudiziaria in ordine alle valutazioni di merito che sono state affidate alla discrezionalit degli arbitri. Rimane, invece, esperibile

    un azione volta a verificare lesistenza di vizi idonei ad inficiare la determinazione degli arbitri per alterata percezione o falsa rappresentazione.

    In altre parole se gli arbitri dovessero accertare, in via di fatto, i presupposti per l'applicazione di una

    sanzione disciplinare nei confronti di un dipendente e ci in conformit della previsione della

    contrattazione collettiva, non sar pi possibile rimettere in discussione tale apprezzamento di fatto

    con l'impugnazione del lodo, salva l'ipotesi in cui quest'ultimo - che ha natura strettamente negoziale -

    sia affetto da un vizio della volont, quale l'errore, la violenza o il dolo ( in tal senso Cass. 23 febbraio

    2006, n. 4025; Cass. 4 aprile 2002, n. 4841; Cass. 9 settembre 1988, n. 5118).

    Il lavoratore, inoltre, una volta scelta la via dellarbitrato ha possibilit di adire il Giudice del Lavoro sino a quando non sia iniziata la procedura arbitrale con l'accettazione dell'incarico da parte di tutti gli

    arbitri (Cass. 2 settembre 2003, n. 12798).

    Si ricorda, infine, che il termine di decadenza di venti giorni, decorrente dall'applicazione della sanzione

    disciplinare, previsto dall'art. 7, sesto comma, per la promozione di un collegio di conciliazione e di arbitrato,

    non si applica anche all'impugnazione della sanzione dinanzi all'autorit giudiziaria, che soggetta ai termini

    di prescrizione ordinaria (Cass. 23 aprile 1990, n. 3357; Cass. 13 giugno 1987, n. 5222).

    B) RICORSO AL GIUDICE DEL LAVORO.

    Unulteriore strada percorribile quella del ricorso allAutorit Giudiziaria finalizzata allannullamento della sanzione inflitta. competente il Tribunale in funzione di giudice del lavoro del luogo dove si svolge la

    prestazione lavorativa.

    In tal caso necessario, come per una normale causa di lavoro, esperire il tentativo obbligatorio di

    conciliazione presso la competente Direzione Provinciale del Lavoro.

    La causa seguir il normale iter di una vertenza di lavoro dal punto di vista procedurale e terminer con una

    sentenza del giudice incaricato che, in accoglimento o rigetto del ricorso introduttivo, decider sulla

    legittimit o meno della sanzione disciplinare applicata.

    C) ALTRE PROCEDURE ARBITRALI PREVISTE DAL CCNL

    Qualora siano previste dal contratto collettivo applicabile allo specifico rapporto di lavoro ulteriori procedure

    di impugnazione della sanzione disciplinare possibile farvi ricorso nelle modalit previste dallo stesso

    contratto.

  • Rassegna delle massime sul licenziamento disciplinare

    In tema di licenziamento disciplinare stato ritenuto pienamente legittimo il licenziamento del dipendente

    che utilizza per le proprie spese personali la carta di credito concessagli dall'azienda. Secondo i giudici luso improprio del mezzo lede il rapporto fiduciario, tanto pi che il beneficiario era ben consapevole di non aver

    circoscritto le proprie uscito ad occasioni inerenti la propria attivit lavorativa (sentenza n. 6956/2010).

    In tema di tempestivit del licenziamento: omissisL'intervallo temporale fra l'intimazione del licenziamento disciplinare e il fatto contestato al lavoratore, assume rilievo in quanto rivelatore di una

    mancanza di interesse del datore di lavoro all'esercizio della facolt di recesso; con la conseguenza che,

    nonostante il differimento di questo, la ritenuta incompatibilit degli addebiti con la prosecuzione del

    rapporto, pu essere desunta da misure cautelari (come la sospensione) adottate in detto intervallo dal

    datore di lavoro, giacch tali misure - specialmente se l'adozione di esse sia prevista dalla disciplina

    collettiva del rapporto - dimostrano la permanente volont datoriale di irrogare (eventualmente) la sanzione

    del licenziamento, con la precisazione che il requisito della immediatezza della contestazione deve essere

    inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo, pi o meno lungo, quando

    l'accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la

    complessit della struttura organizzativa dell'impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso,

    restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto

    giustificano o meno il ritardoomissis..: (Cassazione, 2 Febbraio 2009, n. 2580).

    Sulla valutazione delle diverse contestazioni disciplinari ai fini della sanzione licenziamento:

    omissis In tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, quando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, il giudice di merito non deve

    esaminarli atomisticamente, riconducendoli alle singole fattispecie previste da clausole contrattuali, ma

    deve valutare complessivamente la loro incidenza sul rapporto di lavoro. (Nella specie, la S.C. ha

    confermato la sentenza impugnata, la quale, esaminando complessivamente pi episodi contestati ad un

    direttore di filiale di banca - quali l'acquisizione di clientela, legata da rapporto personale allo stesso

    direttore, residente nel territorio di altre filiali e gravata da forti esposizioni debitorie, nonch l'effettuazione

    di operazioni bancarie in spregio alle procedure interne e al fine di far fronte ad esposizioni debitorie di

    taluni clienti - aveva respinto la domanda del lavoratore per la declaratoria di illegittimit dell'intimato

    licenziamento disciplinare)omissis (Cass. 27 Gennaio 2009 n. 1890).

    Sulla corrispondenza tra fatti contestati e fatti posti a fondamento del licenziamento: omissis Il principio di necessaria corrispondenza tra l'addebito contestato e l'addebito posto a fondamento della

    sanzione disciplinare vieta di infliggere un licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati, ma

    ci non si verifica quando, contestati i fatti capaci di integrare un'astratta previsione legale, il datore di

    lavoro alleghi nel corso del procedimento disciplinare circostanze confermative o ulteriori prove, su cui il

    lavoratore possa senza difficolt contro dedurreomissis (Cass. del 12 marzo 2010, n. 6091)

    Sulla necessit di specifica contestazione scritta delladdebito: omissisIn tema di licenziamento per giusta causa, comminato in seguito alla grave condotta illecita dal punto di vista disciplinare posta in essere

    dal lavoratore nello svolgimento delle proprie mansioni, onere del datore di lavoro contestare

    preventivamente e per iscritto (la contestazione orale, infatti, ammissibile per il solo rimprovero verbale,

    ai sensi dell'art. 7, comma 5 della L. n. 300/70) gli addebiti al lavoratore. Il mancato rispetto di siffatta

    formalit determina l'illegittimit del provvedimento espulsivo e la condanna del datore di lavoro,

    relativamente ai lavoratori tutelati ai sensi dell'art. 8 della L. n. 604 del 1966 (come novellato dall'art. 2

    della L. n. 108 del 1990), alla riassunzione del lavoratore o all'erogazione, a titolo di risarcimento, di una

    indennit come quantificata secondo quanto stabilito dallo stesso art. 8omissis (sentenza Tribunale di Trento, 18 Febbraio 2010, n. 30)

  • Avv. Riccardo Salvioni

    La riforma degli assetti contrattuali

    Il caso del nuovo contratto della mobilit

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    Pubblicato in

    diritto del lavoro

    in data

    03/02/2011

    Autore: Lopes Saverio

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    Lattuale contesto economico globale ha confermato la necessit, per il sistema economico italiano, di rivedere alcune rigidit che se da un lato hanno consentito di affrontare la crisi senza generare quella macelleria che avrebbe forse devastato lo stesso tessuto sociale ed economico della nazione - rischiano oggi di far perdere irrimediabilmente il treno della ripresa.

    Il contesto globale in cui operano le nostre imprese, e la recente operazione FIAT FABBRICA ITALIA ne rappresenta il caso forse pi evidente ed emblematico, non consente la conservazione di un sistema di

    diritto del lavoro e di relazioni industriali ancorato tuttora troppo spesso a posizioni squisitamente

    ideologiche finalizzate unicamente alla conservazione di garanzie oramai insostenibili laddove non, addirittura, ingiustificabili- per una parte del mondo del lavoro, e che, per contro, non riesce neppure a

    guardare (se non rifiutandone la stessa esistenza) verso quella nuova area di lavoratori dipendenti che, dalla

    fine degli anni 90, sta assumendo un ruolo sempre pi importante.

    A conferma indiretta di questo assunto, basti pensare che, il 15 aprile 2009, in un momento appena

    antecedente lesplosione della crisi economica (anche se direi, pi precisamente finanziaria) le parti sociali avevano sottoscritto, eccezion fatta per la CGIL, un importante accordo interconfederale

    1 sulla riforma degli

    assetti contrattuali che, pur ribadendo il sistema dualistico di contrattazione nazionale (di I livello) e

    territoriale/aziendale (di II livello) modificava sostanzialmente una seri di vincoli preesistenti, quali, tra gli

    altri, la durata dei contratti (triennale per tutti) e lindice di riferimento (IPCA in luogo dellinflazione programmata).

    Lo scenario di contesto complessivo in cui si era giunti alla sottoscrizione dellaccordo era caratterizzato in modo significativo, giova ricordarlo, dalla volont di ridurre il numero di contratti collettivi di categoria

    garantendone maggiormente la puntualit di rinnovo, nonch dalla proposta di disegno di legge2 relativo alla riforma dellesercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali.

    Dunque, da un lato una forte assunzione di responsabilit delle parti sociali nella semplificazione del sistema

    di contrattazione collettiva, dallaltra unimportante ridefinizione delle modalit di gestione del conflitto; almeno nelle intenzioni.

    Il disegno di legge sulla riforma dellesercizio del diritto di sciopero difatti rimasto, almeno ad oggi, alla fase della proposta (peraltro comprensibilmente vista la complessit degli interessi coinvolti) mentre

  • lauspicata riduzione del numero di contratti nazionali ha vissuto, forse, una vera e propria inversione di tendenza.

    Per chiarire meglio questa affermazione pu essere utile una breve analisi della complessa trattativa, ancora

    non conclusa, per il rinnovo del CCNL Autoferrotranvieri.

    Nellambito del trasporto di persone e merci per via terrestre o sulle acque interne e lagunari (.) nonch (nell) esercizio delle relative reti infrastrutturali3, sono individuabili pi o meno facilmente, tre contratti collettivi da categoria diversi; il CCNL Autoferrotranvieri e mobilit, il CCNL delle attivit ferroviarie ed il

    CCNL Noleggio con una sostanziale identit di Organizzazioni Sindacali (di seguito: OO.SS.4) e differenti

    Organizzazioni Datoriali (di seguito: OO.DD.)5.

    Contratti caratterizzati, naturalmente, da flessibilit diverse in relazione al settore merceologico di

    riferimento ed alla permeabilit al mercato che lo stesso rappresenta.

    In una estrema ed molto esemplificativa (nonch superficiale) comparazione, si potrebbe individuare il

    contratto del noleggio come quello caratterizzato dalla maggiore flessibilit ed economicit6, ed il contratto

    delle attivit ferroviarie, allestremo opposto, come quello meno competitivo; in mezzo il contratto degli autoferrotranvieri

    7.

    Va da se che una operazione di semplificazione e riduzione dei contratti collettivi nazionali dovrebbe,

    almeno in linea di principio, prendere le mosse dalla tendenza ad una maggiore competitivit cui legare poi

    leventuale evoluzione retributiva.

    Nel caso in questione, invece, loperazione di semplificazione contrattuale ha preso le mosse addirittura da uniniziativa legislativa del Governo Prodi che prevedeva lapplicazione del CCNL delle attivit ferroviarie quale condizione per il rilascio ed il mantenimento della licenza e del certificato di sicurezza

    8, con una

    conseguente ed evidente incidenza sulla effettiva concorrenza nel settore ferroviario, settore in cui si

    affacciava NTV, appunto uno degli attuali competitors nelle attivit di trasporto ferroviario.

    In questo contesto, nel 2008, scaduti sia il contratto degli autoferrotranvieri che il contratto della mobilit, la

    piattaforma di rinnovo presentata dalle Organizzazioni Sindacali prevedeva, di fatto, la richiesta di

    confluenza dei CCNL Autoferrotranvieri ed Attivit Ferroviarie nel Contratto Unico della Mobilit,

    lasciando sul campo, almeno nelle intenzioni iniziali, gran parte delle flessibilit del contratto degli autoferrotranvieri

    9.

    significativo ricordare come la piattaforma in parola sia stata presentata da tutte le OO.SS. del comparto

    Ferrovie, ovvero anche dal FAST e dallORSA che, pur presenti in talune realt locali, non avevano mai sottoscritto il CCNL Autoferrotranvieri e tantomeno presentato proposte di rinnovo congiuntamente a CGIL,

    CIS, UIL..

    Dalla presentazione della piattaforma sindacale stato quindi avviato un complesso confronto durato oltre

    sedici mesi, che ha visto una parziale definizione lo scorso 30 settembre con la sottoscrizione del Nuovo CCNL della mobilit.

    La trattativa de qua ha visto contrapposti, sostanzialmente due richieste che si potrebbero definire addirittura

    come inconciliabili; infatti, a fronte della piattaforma sindacali di cui sopra, le OO.DD.10

    proponevano il

    rinnovo dei due distinti contratti di categoria.

    Il risultato finale, o quasi, stata appunto la sottoscrizione del Nuovo Contratto della Mobilit11

    ovvero la

    parte normativa dello stesso, posto che la parte economica , paradossalmente, ancora in fieri. Lattuale stato della trattativa dimostra, di per se, la particolare complessit e, sia passato il termine, incoerenza della stessa.

  • Infatti, se il rinnovo della parte economica costituisce (dovrebbe costituire), soprattutto in costanza del nuovo

    protocollo sugli assetti contrattuali, la contropartita ad alcune acquisizioni datoriali sotto il profilo normativo

    e degli istituti contrattuali (su tutti flessibilit, e mercato del lavoro) piuttosto evidente come, una volta

    definito un aspetto, la determinazione dellaltro sia quantomeno priva della necessaria correlazione.

    Peraltro, anche sotto il profilo strettamente normativo il contratto della mobilit presenta alcune peculiarit significative. Infatti, a fronte delliniziale intenzione sindacale di raggiungere la sostanziale cessazione dei contratti degli autoferrotranvieri e delle attivit ferroviarie verso la definizione del costituendo contratto

    unico della mobilit, il verbale del 30 settembre u.s. realizza un (singolare) assetto contrattuale che

    garantisce lequivalenza di grado dei tre contratti.12

    Come opera nei fatti questa equivalenza questione alquanto complessa. Infatti, se da un lato la disciplina

    normativa contenuta nel Nuovo CCNL della Mobilit si applica al decorrere dalla data di sottoscrizione

    dellaccordo,13 dallaltra la stessa recepita integralmente in sede di rinnovo dei rispettivi CCNL di categoria (CCNL delle Attivit ferroviarie e CCNL Autoferrotranvieri).

    Sembrerebbe trattarsi, quindi, di una efficacia mediata del CCNL mobilit, che lascia in vita gli altri contratti collettivi di categoria ed anzi ne conferma le rispettive discipline contrattuali relative ad istituti non

    regolati, appunto, dal CCNL mobilit.

    Lefficacia mediata del nuovo contratto della mobilit confermata, a parere di chi scrive, oltre che dal necessario (pur se automatico) recepimento dei singoli contratti collettivi di categoria, anche e soprattutto da

    quanto previsto al Capo II, rubricato diritti sindacali.

    Infatti, fatta salva lautonomia delle parti14, il contratto collettivo in parola limita i diritti sindacali relativi a contributi sindacali15, affissione16, permessi sindacali17, rappresentanza sindacali18, assemblee di lavoratori19, referendum20 e locali21 alle sole organizzazioni sindacali stipulanti i singoli ccnl di categoria.

    Limitazioni che sarebbero in parte illegittime, ai sensi del titolo III della Legge 300/70, qualora si

    considerasse il CCNL mobilit come direttamente applicabile (e quindi, a breve, applicato) nelle singole

    aziende22

    .

    La particolare natura del ccnl mobilit resa ancora pi evidente dalla disciplina prevista per il secondo livello di contrattazione23 in cui lequivalenza e lautonomia dei singoli contratti nazionali confermata24 con lintegrazione della durata triennale della contrattazione, in linea con la durata triennale della contrattazione prevista dallaccordo interconfederale del 2009.

    Dunque, un assetto contrattuale complesso e farraginoso che si risolve in un evidente paradosso per il quale

    un tentativo di semplificazione contrattuale si risolto, nei fatti, in una architettura che ha aumentato il

    numero dei CCNL.

    1 Accordo interconfederale di attuazione dellaccordo quadro sula riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009

    2 Approvato dal Consiglio dei Ministri il 27 febbraio 2009.

    3 Cfr il capitolo: CAMPO DI APPLICAZIONE del nuovo ccnl della mobilit sottoscritto il 30 settembre 2009.

  • 4 Filt CGIL, Fit CISL, UILTRASPORTI, FAISA CISAL, UGL Trasporti e, per il ccnl delle Attivit

    ferroviarie pure ORSAe FAST.

    5 ASSTRA ed ANAV per il ccnl Autoferrotranvieri e mobilit, ANAV per il ccnl Noleggio, Federtrasporto

    ed ANCP per il ccnl delle Attivit ferroviarie.

    6 Un esempio su tutti: lorario di lavoro settimanale per il CCNL Noleggio 40 ore, per il CCNL Autoferrotranvieri 39 ore e per il CCNL Attivit ferroviarie 38 ore.

    7 Da una prima stima di ASSTRA ed ANAV, infatti, lapplicazione del contratto delle attivit ferroviarie al settore degli autoferrotranvieri comporterebbe un aumento del costo del personale di circa il 20%.

    8 Cfr. articolo 13 del disegno di legge 1644. A seguito dellintervento dellAntitrust lemendamento in parola stato ritirato.

    9 Occorre tener presente, peraltro, che parte del rapporto di lavoro del personale autoferrotranviere

    regolato dal R.D. 148/31 , norma speciale che prevede trattamenti in parte diversi, e comunque prevalenti,

    rispetto alla L.300/70 (su tutti il procedimento disciplinare e laffidamento a mansioni superiori).

    10 Con qualche distinguo tra Federtrasporto, ASSTRA ed ANAV

    11 Precedentemente il 14 maggio 2009- le Parti avevano sottoscritto un Protocollo che ha previsto quattro istituti comuni da definire entro 45 giorni: il campo di applicazione, la decorrenza e la durata, la disciplina

    del sistema delle relazioni industriali e dei diritti sindacali, il mercato del lavoro.

    12 Cfr Tullio Tulli, Il Sole 24 Ore Trasporti 22 novembre 2010.

    13 Nei fatti il ccnl mobilit, pur essendo stato sottoscritto il 30 settembre 2010, ancora non da

    considerare operativo, su espressa richiesta delle OOSS, in quanto non ancora stata definita la c.d. parte economica.

    14 Nel senso che, fermo restando quanto previsto dal ccnl mobilit, le singole aziende sono assolutamente

    libere di riconoscere organizzazioni sindacali che non abbiano sottoscritto i CCNL di settore (cfr. anche art.7,

    comma 1 ccnl mobilit).

    15 Cfr. art.6.

    16 Cfr. art.7.

    17 Cfr. art.8.

    18 Cfr. art.9.

    19 Cfr. art.11.

    20 Cfr. art.12.

    21 Cfr. art.13.

    22 Occorre ricordare, infatti, che attualmente sia ORSA che FAST non hanno sottoscritto il ccnl

    autoferrotranvieri.

    23 Cfr. art.4.

  • 24 Cfr. commi 1 e 6.

    Maxisanzione per lavoro sommerso e successione delle leggi nel tempo

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    Pubblicato in

    diritto del lavoro

    in data

    17/02/2011

    Autore: Pala Massimiliano

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    Lart. 4 della legge 4 novembre 2010 n. 183, c.d. Collegato Lavoro, modificando ancora una volta il testo dell'art. 3 del D.L. 12/2002 convertito con modificazioni dalla legge 23 aprile 2002 n. 73 (gi modificato

    dallart. 36 bis comma 7 del D.L. 223/2006 convertito nella legge n. 248/2006) ha introdotto una nuova disciplina (la terza) della c.d. "maxi sanzione" per il lavoro sommerso.

    Pertanto dal 24.11.2010, data di entrata in vigore della legge 183/2010, linterprete si trova a fare i conti con tre diverse discipline della maxisanzione, lapplicazione delle quali presuppone la risoluzione di problematiche complesse in merito alle varie fattispecie ricavate dalle norme succedutesi nel tempo.

    Ci perch, in materia di illeciti amministrativi, a differenza di quanto previsto per i reati dall'art. 2 del

    Codice penale, il comportamento illecito deve essere assoggettato alla legge del tempo del suo verificarsi,

    con conseguente inapplicabilit della disciplina posteriore pi favorevole, anche se abrogatrice della

    fattispecie prima sanzionata.

    Infatti secondo il principio di legalit di cui allart. 1, comma 1, della legge 689/81 Nessuno pu essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della

    commissione della violazione. 1

    Inoltre per il principio di irretroattivit della legge, sancito dallart.11 delle disposizioni preliminari al codice civile (La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo), nonch per i principi generali in materia di sanzioni amministrative, le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati (art. 1, comma 2, legge 689/81).

    La diverse disposizioni succedutesi contro il lavoro sommerso

    La prima disposizione in ordine cronologico contro il lavoro sommerso, contenuta nella originaria

    formulazione dellart. 3, commi 3, 4 e 5, del D.L. n. 12/2002 convertito nella legge n. 73/2002. Secondo tale norma, in vigore sino al 11.08.2006, ferma restando lapplicazione delle altre sanzioni, limpiego di

  • lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria era soggetto ad

    una sanzione amministrativa dal 200% al 400% dellimporto del costo del lavoro (calcolato sulla base dei CCNL), per ciascun lavoratore irregolare, per il periodo compreso tra linizio dellanno e la data di constatazione dellillecito.

    La Corte Costituzionale, con sentenza n. 144 del 12.04.2005, aveva successivamente dichiarato

    lincostituzionalit della norma nella parte in cui non prevedeva la possibilit per il trasgressore di provare che il rapporto di lavoro irregolare avesse avuto inizio successivamente al 1 gennaio dellanno in cui era stato accertato.

    La legge ha attribuito la competenza per lirrogazione di questa sanzione alla Agenzia delle Entrate che dovrebbe seguire le disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme

    tributarie contenute dal D.Lgs. 472/1997.2

    Recentemente per la Corte di Cassazione con sentenza nr. 356 del 13 gennaio 2010, stabilendo che la

    disciplina pi favorevole introdotta con il Decreto Bersani-Visco non applicabile retroattivamente, ha

    ritenuto che le sanzioni sul lavoro sommerso non hanno natura tributaria e, di conseguenza ad esse non si

    applica la disciplina posteriore pi favorevole, bens la norma che stabilisce il principio di stretta legalit e

    della disciplina vigente al momento del fatto.

    La competenza per l'adozione dei provvedimenti sanzionatori rimane dell'Agenzia delle Entrate per tutte le

    violazioni commesse prima del 12.08.2006 (data di entrata in vigore del cd. Decreto Bersani-Visco) anche se

    constatate (accertate) successivamente.3

    Inoltre la Corte di Cassazione con sentenza nr. 356 del 13 gennaio 2010 ha stabilito che la disciplina pi

    favorevole introdotta con il Decreto Bersani-Visco non applicabile retroattivamente ai fatti commessi sotto

    la vigenza della precedente legge.

    La secondo disciplina stata introdotta modificando il testo precedente con lart. 36 bis,comma 7, del D.L. 04.07.2006 n. 223, c.d. decreto Bersani-Visco, convertito con modificazioni nella legge 4 agosto 2006 n. 248, in vigore dal 12.08.2006.

    Ferma restando lapplicazione delle altre sanzioni gi previste dalla normativa in vigore, limpiego di lavoratori, (non soltanto subordinati) non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria,

    viene punito con una sanzione amministrativa da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore,

    maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo.

    Destinatari della sanzione sono tutti i datori di lavoro, sia pubblici che privati.

  • La competenza allirrogazione4 della nuova sanzione (o per meglio dire alla emanazione della ordinanza di ingiunzione) passa alle Direzioni Provinciali del Lavoro, organi periferici del Ministero del Lavoro che

    seguiranno le disposizioni generali previste per le sanzioni amministrative di cui alla legge 24.11.1981 n.

    689.5

    Per tale violazione la legge espressamente non ammette la procedura di diffida di cui allart. 13 del D.Lgs. 23.04.2004 n. 124.

    Oltre alla sanzione amministrativa, per il medesimo fatto, il decreto Bersani-Visco prevede che l'importo

    delle sanzioni civili connesse all'omesso versamento dei contributi e premi non pu

    essere inferiore a euro 3000 indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata.

    La terza disciplina, arriva con il c.d. Collegato lavoro contenuto nella legge 4 novembre 2010 n. 183 entrata in vigore il 24.11.2010, e presenta molte novit rispetto alle precedenti versioni.

    Sempre facendo salva lapplicazione delle sanzioni gi previste dalla normativa in vigore, secondo la nuova formulazione, la c.d. "maxi sanzione" sar applicata in caso di impiego di lavoratori subordinati senza

    preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro.

    La nuova fattispecie dellillecito risulta meglio delimitata rispetto alle precedenti -che si riferivano genericamente a scritture e documenti obbligatori- ma la specifica sanzione per la mancata comunicazione preventiva al Centro per l'Impiego di cui all'art. 19, comma 3, del D.Lgs n. 276/2003, risulta ora "assorbita"

    nella fattispecie pi grave in quanto indice rilevatore dell'impiego di lavoratori "in nero".

    Ad attenuare la rigidit del criterio scelto per riconoscere il lavoro sommerso, la nuova legge prevede che la

    sanzione non applicabile "qualora dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti (le

    denunce contributive Uniemens/DM10), si evidenzi comunque la volont di non occultare il rapporto, anche

    se trattasi di differente qualificazione" .

    Inoltre ora sanzionato il solo impiego irregolare di lavoratori subordinati mentre nel testo precedente,

    veniva sanzionato anche lutilizzo irregolare di lavoratori non subordinati (come co.co.co, collaboratori a progetto, associati in partecipazione, ecc.)

    Secondo lultima disciplina la sanzione riservata ai soli datori di lavoro privati con espressa esclusione dei datori di lavoro domestico per i quali pertanto non potr pi applicarsi la maxisanzione.

    Inoltre la nuova disciplina, a differenza delle precedenti, prevede due distinte ipotesi sanzionatorie. Ad una

    sanzione amministrativa (del medesimo importo della precedente previsione) da euro 1.500 euro 12.000 per

    ciascun lavoratore irregolare, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo, ne aggiunge

    una "attenuata" nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo

    successivo. Per questa nuova fattispecie la sanzione varia da euro 1.000 a 8.000 per ciascun lavoratore

    irregolare, maggiorata di euro 30 per ciascuna giornata di lavoro irregolare. Con tale sanzione attenuata il legislatore ha voluto punire meno severamente quei periodi c.d. "di prova" in nero che spesso i datori di

    lavoro fanno fare ai propri dipendenti prima di assumerli formalmente. Pertanto la norma va interpretata nel

    senso di considerare sanzionabile in forma attenuata solamente il periodo sommerso seguito da un periodo di

    lavoro regolare senza soluzione di continuit, altrimenti qualsiasi assunzione successiva, anche a distanza di

    molti giorni, giustificherebbero la applicazione della minor sanzione.

    Mentre la disciplina previgente non ammetteva espressamente l'illecito in esame alla procedura della diffida

    di cui all'art. 13 del decreto legislativo 23.04.2004 n.124, il testo modificato non dispone pi questa

    preclusione.

  • Infine, sempre l'art. 4 della legge 183/2010, stabilisce che l'importo delle sanzioni civili, previste dall'art. 116

    della legge n. 388/2000, connesse all'evasione dei contributi e dei premi riferiti a ciascun lavoratore

    aumentato del 50 per cento, senza pi alcun limite minimo. Si tratta di un importante "alleggerimento" delle

    precedenti sanzioni civili previste per il lavoro sommerso dal decreto Bersani-Visco se si pensa che, anche

    per pochi giorni di lavoro nero, queste non potevano essere di importo inferiore ai 3000 euro.

    Stesso illecito o pluralit di tipi di illecito?

    Preliminarmente, guardando alle diverse discipline succedutesi, linterprete deve chiedersi se si trova davanti a tre diversi tipi di illecito amministrativo, oppure al medesimo illecito, parzialmente modificatosi nel corso

    del tempo.

    Il dubbio nasce dalle notevoli diversit riscontrabili nelle diverse fattispecie sopra descritte, in particolare tra

    quella del c.d. decreto Bersani del 2006 e la nuova contenuta nel c.d. Collegato lavoro.

    La questione non di poco conto, infatti, se ci trovassimo di fronte a fattispecie relative a due illeciti del

    tutto diversi, i problemi interpretativi sarebbero risolti semplicemente applicando la legge del tempo in cui i

    fatti si sono verificati.

    Diversamente, se consideriamo le discipline succedutesi riferibili ad uno stesso illecito, sia pure con

    modificazioni successive, dovremmo stabilire quali norme applicare nel caso in cui la violazione si protragga

    sotto la vigenza di diverse leggi.

    Utilizzando i criteri adottati dalla dottrina penalistica, per distinguere quando vi sia abolitio criminis con

    creazione di nuova fattispecie o quando, al contrario, si sia in presenza di una modificazione della medesima

    fattispecie, possiamo arrivare alla conclusione che, nel caso in esame, ci troviamo di fronte ad una

    successione modificativa con una abrogazione parziale per alcune fattispecie contenute nella disciplina

    previgente.

    Infatti mettendo a confronto i beni-interessi tutelati dalla nuova e dalla vecchia normativa risulta che questi

    sono sempre gli stessi, cos come le modalit offensive della condotta (loccupazione di lavoratori totalmente sconosciuta alla Pubblica Amministrazione) mentre sono stati parzialmente modificati alcuni elementi

    strutturali della fattispecie.

    Tra le due fattispecie in esame esiste un rapporto di specialit 6 per cui la nuova norma ritaglia, allinterno

    della precedente, una nuova fattispecie incriminatrice, con la conseguenza che quanto non conservato del vecchio illecito dovr considerasi abrogato.

    In altre parole col passaggio dalla fattispecie contenuta nel c.d. decreto Bersani-Visco a quella del c.d. Collegato lavoro si verificata una abrogazione parziale con riguardo ai casi non rientranti nella nuova e pi specifica disciplina.

    Cos dal 24.11.2010, deve considerarsi abrogato lillecito amministrativo riguardante il datore di lavoro pubblico, il datore di lavoro domestico, e loccupazione in nero di lavoratori non subordinati.

    Perta