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Raccolta di giurisprudenza “La pubblicità sulla strada” PUBBLICITÀ: CAMION SU AREA PRIVATA NECESSITA AUTORIZZAZIONE CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sezione II, 13 giugno 2007, n. 13842 SENTENZA sul ricorso proposto da: AUTONOLEGGI BEVILACQUA DI BEVILACQUA ROBERTO & C SNC, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DONATELLO 23, presso lo studio dell'avvocato VILLA PIERGIORGIO, che lo difende unitamente all'avvocato DELLA ROSA DANILO, giusta delega in atti; - ricorrente contro ANAS SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore; - intimata avverso la sentenza n. 267/04 del Giudice di Pace di UDINE, depositata il 26/02/04; udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 17/04/07 dal Consigliere Dott. Francesco Paolo FIORE; udito l'Avvocato VILLA Piergiorgio, difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato il 15 aprile 2003, l'A. B. di B. Roberto e C. s.n.c., proponeva opposizione avverso il verbale n. 2151 del 20 dicembre 2002 e la successiva diffida di rimozione dell'impianto, con cui l'Azienda Nazionale Autonoma delle Strade- Compartimento Regionale della Viabilità per il Friuli e Venezia Giulia le aveva contestato la violazione dell'art. 23 C.d.S., commi 4 e 11, in relazione agli adempimenti previsti dal successivo comma 13 bis, per avere abusivamente collocato in vista della strada statale 54 un impianto pubblicitario, costituito da un autocarro, che, lasciato in sosta su area privata, per più giorni, esponeva un ciclomotore sul tetto, nonché sui lati e sul retro cartelli pubblicitari, con scritte "omissis … Revisione veicoli... Officina autorizzata...". A ragione dell'opposizione, deduceva: a) che l'accertamento della violazione era stato abusivamente operato; b) che il verbale di contestazione della violazione aveva confuso i mezzi pubblicitari con l'autocarro e che la diffida alla rimozione era indeterminata nell'oggetto; c) che il fatto accertato non realizzava l'illecito contestato, di cui all'art. 23 C.d.S., comma 4; d) che la responsabilità di essa opponente era comunque esclusa dai documenti comprovanti il funzionamento dell'autocarro, adibito a mezzo pubblicitario, ed il pagamento sia della tassa di circolazione sia della tassa di pubblicità. L'ANAS s.p.a. si costituiva e resisteva alla opposizione. Con sentenza del 26 febbraio 2004, il Giudice di Pace di Udine rigettava l'opposizione, argomentando l'infondatezza dei dedotti motivi d'illegittimità dei provvedimenti opposti. Per la cassazione di tale sentenza, l'A. B. di B. Roberto e C. s.n.c. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi. L'ANAS s.p.a. non ha svolto difese. MOTIVI DELLA DECISIONE Col primo motivo, la ricorrente denuncia omessa motivazione in ordine alla seconda ragione di opposizione, innanzi riassunta, in narrativa, sub b). Il motivo non ha pregio. Ed invero, diversamente da quanto assunto, il Giudice di Pace ha motivato sul punto, rilevando in particolare che "la lettura del verbale opposto non può ingenerare confusione

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Raccolta di giurisprudenza “La pubblicità sulla strada”

PUBBLICITÀ: CAMION SU AREA PRIVATA NECESSITA AUTORIZZAZIONE CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sezione II, 13 giugno 2007, n. 13842 SENTENZA sul ricorso proposto da: AUTONOLEGGI BEVILACQUA DI BEVILACQUA ROBERTO & C SNC, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DONATELLO 23, presso lo studio dell'avvocato VILLA PIERGIORGIO, che lo difende unitamente all'avvocato DELLA ROSA DANILO, giusta delega in atti; - ricorrente – contro ANAS SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore; - intimata – avverso la sentenza n. 267/04 del Giudice di Pace di UDINE, depositata il 26/02/04; udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 17/04/07 dal Consigliere Dott. Francesco Paolo FIORE; udito l'Avvocato VILLA Piergiorgio, difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato il 15 aprile 2003, l'A. B. di B. Roberto e C. s.n.c., proponeva opposizione avverso il verbale n. 2151 del 20 dicembre 2002 e la successiva diffida di rimozione dell'impianto, con cui l'Azienda Nazionale Autonoma delle Strade-Compartimento Regionale della Viabilità per il Friuli e Venezia Giulia le aveva contestato la violazione dell'art. 23 C.d.S., commi 4 e 11, in relazione agli adempimenti previsti dal successivo comma 13 bis, per avere abusivamente collocato in vista della strada statale 54 un impianto pubblicitario, costituito da un autocarro, che, lasciato in sosta su area privata, per più giorni, esponeva un ciclomotore sul tetto, nonché sui lati e sul retro cartelli pubblicitari, con scritte "omissis… Revisione veicoli... Officina autorizzata...". A ragione dell'opposizione, deduceva: a) che l'accertamento della violazione era stato abusivamente operato; b) che il verbale di contestazione della violazione aveva confuso i mezzi pubblicitari con l'autocarro e che la diffida alla rimozione era indeterminata nell'oggetto; c) che il fatto accertato non realizzava l'illecito contestato, di cui all'art. 23 C.d.S., comma 4; d) che la responsabilità di essa opponente era comunque esclusa dai documenti comprovanti il funzionamento dell'autocarro, adibito a mezzo pubblicitario, ed il pagamento sia della tassa di circolazione sia della tassa di pubblicità. L'ANAS s.p.a. si costituiva e resisteva alla opposizione. Con sentenza del 26 febbraio 2004, il Giudice di Pace di Udine rigettava l'opposizione, argomentando l'infondatezza dei dedotti motivi d'illegittimità dei provvedimenti opposti. Per la cassazione di tale sentenza, l'A. B. di B. Roberto e C. s.n.c. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi. L'ANAS s.p.a. non ha svolto difese. MOTIVI DELLA DECISIONE Col primo motivo, la ricorrente denuncia omessa motivazione in ordine alla seconda ragione di opposizione, innanzi riassunta, in narrativa, sub b). Il motivo non ha pregio. Ed invero, diversamente da quanto assunto, il Giudice di Pace ha motivato sul punto, rilevando in particolare che "la lettura del verbale opposto non può ingenerare confusione

atteso che il tutto è descritto in modo chiaro e circostanziato", a significazione - quindi - della ritenuta infondatezza di quella ragione di opposizione, che, ingiustificatamente, pretendeva esservi confusione nel verbale di contestazione della violazione tra cartelli pubblicitari non autorizzati ed autocarro, che li esponeva, con correlata indeterminatezza della diffida a rimuoverli. Col secondo motivo, la ricorrente denuncia omessa o insufficiente motivazione in ordine alla terza ragione di opposizione, innanzi riassunta, in narrativa sub c). Il motivo non ha pregio. Ed invero, il Giudice di Pace ha specificamente argomentato sul punto, ritenendo che l'accertata collocazione di cartelli pubblicitari su autocarro, in sosta per più giorni, su area privata, in vista di strada pubblica, è riconducibile alla previsione del D. Lgs. n. 285 del 1992, art. 23 C.d.S., comma 4. Tale sussunzione, che la ricorrente sostiene esclusa per la mobilità del mezzo (autocarro) su cui i cartelli erano collocati, è corretta. Il citato art. 23, infatti, al comma 4, prevede che "la collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse è soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte dell'ente proprietario", non distinguendo a tal fine le concrete modalità di collocazione di tali mezzi, che, in effetti, può essere operata in svariate forme, quale quella - appunto - accertata nella specie, con l'installazione di cartelli pubblicitari sui lati e sul retro di un autoveicolo, lasciato fermo per più giorni su area privata, in vista di strada pubblica; e ciò, senza interferenze con la precedente previsione del medesimo art. 23, che, al secondo 2, disciplina la diversa ipotesi della circolazione dei veicoli con scritte o insegne pubblicitarie. Col terzo motivo, la ricorrente denuncia insufficiente motivazione in ordine alla quarta ragione di opposizione, innanzi riassunta, in narrativa, sub d). Il motivo non ha pregio. Il Giudice di Pace, invero, ha sufficientemente argomentato sul punto, rilevando che "da quanto esposto appaiono evidenti gli elementi di responsabilità in capo alla opponente..." con riguardo all'illecito accertato, di cui all'art. 23 C.d.S., comma 4, a significazione - appunto - che il dedotto pagamento della tassa di circolazione dell'autocarro della tassa di pubblicità non avevano rilievo, necessitando allo scopo l'autorizzazione dell'ente proprietario della strada. Conclusivamente, quindi, per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere rigettato. In difetto di difese dell'intimata non v'è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di Cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 aprile 2007. Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2007. SANZIONE DELLA RIMOZIONE DEGLI IMPIANTI ABUSIVI: GIUDICE COMPETENTE E’ QUELLO ORDINARIO. TAR LAZIO - ROMA, SEZ. III - sentenza 11 dicembre 2006 n. 14046. Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, e non in quella del giudice amministrativo, la controversia riguardante un provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa della rimozione di impianti pubblicitari stradali, prevista dall'art. 23 comma 3, congiuntamente alla sanzione pecuniaria. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Roma - Terza Sezione nelle persone dei magistrati:

Dott. Stefano Baccarini Presidente Dott. Alessandro Tomassetti Componente Dott. Giovanni Tulumello Componente, relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA Sul ricorso n. 2880/1995, proposto dalla s.n.c. Mercurio Servizi di Franco D’Amico & c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato difeso dagli Avvocati Vito De Vito e Antonio Campagnola, ed elettivamente domiciliato in Roma, Corso Trieste n. 88, presso lo studio dell’avvocato Campagnola contro l’Azienda Nazionale Autonoma Strade (A.N.A.S.) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui ope legis domicilia in Roma, Via dei Portoghesi n. 12; e nei confronti del Comune di Boville, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito per l’annullamento, previa sospensione dell’atto di diffida del 10 gennaio 1995, prot. n. 914, con cui è stata ordinata la rimozione di cartelli pubblicitari siti lungo la S.S. Appia n. 7, nonché di ogni altro provvedimento ad esso presupposto, preliminare, conseguente e comunque connesso. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’A.N.A.S. s.p.a; Letti ed esaminati gli scritti difensivi ed i documenti prodotti dalle parti; Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 447/1995 in data 12 aprile 2005, e l’ordinanza n. 1556/1995 della IV sezione del Consiglio di Stato, che ha respinto l’appello proposto avverso la predetta ordinanza cautelare. Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza dell’8 novembre 2006 - giudice relatore il dott. Giovanni Tulumello – i procuratori delle parti come da verbale di udienza; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: FATTO Con ricorso notificato il 18 febbraio 1995, e depositato il successivo 11 marzo, la s.n.c. Mercurio Servizi di Franco D’Amico & c. ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, deducendone l’illegittimità. Il ricorso risulta affidato alle seguenti censure: "Incompetenza. Violazione di legge: D. Lgs. 30.4.1992 n. 285, art. 23, comma 13 e 211. Eccesso di potere per sviamento". "Incompetenza. Violazione di legge: D. Lgs. 30.4.1992 n. 285, art. 23, comma 4. Eccesso di potere per sviamento. Secondo profilo". "Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta". Si è costituita in giudizio, per resistere al ricorso, l’ANAS, eccependo preliminarmente i difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Con ordinanza cautelare n. 447/1995 in data 12 aprile 2005, è stata accolta la domanda di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, attesa l’irreparabiluità del pregiudizio derivante dalla sua esecuzione. Con ordinanza n. 1556/1995 della IV sezione del Consiglio di Stato, è stato respinto l’appello proposto avverso la predetta ordinanza cautelare. Alla pubblica udienza dell’8 novembre 2006, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Con il provvedimento impugnato, l’ANAS ha diffidato la società ricorrente a rimuovere il cartello pubblicitario installato al km. 19.400 della via Appia. La società resistente ha sollevato eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

L’eccezione è fondata. Come recentemente ribadito da questa Sezione, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, e non in quella del giudice amministrativo, la controversia avente ad oggetto il provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativ a della rimozione di impianti pubblicitari stradali, prevista dall'art. 23 comma 3, d.lg. 30 aprile 1992 n. 285 congiuntamente alla sanzione pecuniaria (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 30 gennaio 2006 , n. 613) Sempre la giurisprudenza di questa Sezione aveva altresì affermato, in precedenza, che qualora il g.o., per espressa disposizione di legge quale l'art. 211 comma 7, d.lg. 30 aprile 1992 n. 285, possa conoscere della legittimità delle sanzioni accessorie che conseguono di diritto alla violazione del codice della strada, sussiste la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria non solo quando l'opposizione investa una ordinanza-ingiunzione che applica congiuntamente la sanzione pecuniaria e quella accessoria, ma anche quando l'ordinanza riguardi la sola sanzione accessoria (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 09 agosto 2005 , n. 6116). Siffatto orientamento è del resto conforme all’indirizzo sia del giudice del riparto (Cassazione civile , sez. un., 19 novembre 1998 , n. 11721), che del giudice amministrativo d’appello (Consiglio Stato, sez. VI, 21 luglio 2003 , n. 4205). Il ricorso dev’essere pertanto dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione. Sussistono giusti motivi per la compensazione fra le parti delle spese del giudizio. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Terza Sezione di Roma, dichiara il ricorso in epigrafe inammissibile per difetto di giurisdizione. Dispone la compensazione delle spese di giudizio tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Depositata in data 11 dicembre 2006. RILASCIO AUTORIZAZIONI: NO ALLA PROCEDURA DI GARA. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza 10 gennaio 2007 n. 44 Non si può ritenere che le autorizzazioni a collocare impianti pubblicitari nelle strade debbono essere rilasciate previo esperimento di una gara pubblica, da svolgere ai sensi del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157 o di altre norme regolatrici dell’attività della P.A. per l’acquisizione di servizi; infatti, la pubblicità stradale non si configura come servizio reso ad un ente locale, ma come forma di svolgimento di un’attività economica, soggetta ad autorizzazione, sia perché gli enti locali hanno la funzione di salvaguardare il decoro delle strade, sia perché ne traggono delle entrate per loro specificamente previste, come è l’imposta regolata dal d.lgs. n. 507 del 1993. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la seguente DECISIONE sul ricorso in appello n.r.g. 1027 del 2005, proposto dalla s.r.l. LA PUBBLICISTA.IT, in liquidazione, e dalla s.r.l. SPONSOR GROUP, rappresentate e difese dall’avv. Federico Mannucci ed elettivamente domiciliate presso il suo studio, in Roma, via G.D. Romagnosi, n. 20, contro l’ANACS – Associazione naz. Aziende di cartellonistica stradale, la s.a.s. Abbiati & Company, la s.a.s. Affissi Standard, la s.p.a. AVIP, la s.p.a. IPAS, rappresentate e difese dagli avv. Andrea Manzi e Francesco Laruffa ed elettivamente domiciliate presso lo studio del primo, in Roma, via Confalonieri, n. 5,

e nei confronti del comune di Legnano, non costituito, per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Milano, IV Sezione, n. 6396/2004, pubblicata il 14 dicembre 2004 e notificata il 27 dicembre. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti indicate sopra; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visto il dispositivo di decisione n. 398 del 26 giugno 2006; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore, alla pubblica udienza del 23 giugno 2006, il consigliere Giuseppe Farina ed uditi, altresì, i difensori delle parti, avv. Mannucci e Di Mattia, per delega Manzi, come da verbale d’udienza; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO 1. Il ricorso n. 1027 del 2005 è proposto dalle due società indicate in epigrafe. È stato notificato in data 22/28 gennaio 2005 ed è stato depositato in data 8 febbraio 2005. 2. È chiesta la riforma della sentenza n. 6396 del 2004 del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, Sez. IV, con la quale è stata annullata la deliberazione del consiglio comunale di Legnano n. 72 del 25 marzo 2003, recante approvazione della convenzione con la prima delle società appellanti, per la posa di tabelloni pubblicitari integrati con pannelli per l’informazione istituzionale del cittadino. 2. Le due società – la seconda delle quali è cessionaria dell’azienda della prima, con subingresso nella titolarità della convenzione – propongono tre censure nei riguardi della decisione del primo giudice. 4. Si sono costituite in giudizio l’associazione e le quattro società intimate, per contestare analiticamente le doglianze delle appellanti. 5. All’udienza pubblica del 23 giugno 2006, dopo la chiamata per la discussione, il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1.1. Con deliberazione di giunta n. 72 del 25 marzo 2003, il comune di Legnano ha approvato la convenzione, poi stipulata in data 19 maggio 2003, "per la posa di tabelloni pubblicitari integrati con pannelli per l’informazione istituzionale sul territorio cittadino" ed ha consentito la collocazione di 19 impianti pubblicitari alla prima delle società appellanti. 1.2. Si tratta, in particolare, di impianti pubblicitari, autorizzati per nove anni, da collocare in prefissati luoghi – come da progetto, pure approvato dalla giunta– da utilizzare, in parte, per inserti pubblicitari dell’impresa (art. 8 convenzione) ed, in parte, per "fornire alla cittadinanza informazioni di pubblica utilità inerenti alla viabilità, al livello di inquinamento, alle manifestazioni culturali e ad ogni altro evento/informazione di interesse generale": così è stabilito nella premessa sub e) della convenzione. 1.3. Lo strumento informativo pubblico è stato previsto come gratuito: così nella premessa d) della convenzione. 1.4. La società, oltre, ovviamente, al pagamento dell’imposta di pubblicità (art. 8), ha assunto l’obbligazione di fornire la Comune sei biciclette elettriche ed uno scooter elettrico. 2.1. Con l’impugnata sentenza n. 6396 del 14 dicembre 2004, il Tribunale amministrativo regionale ha annullato la deliberazione suddetta, su ricorso delle attuali appellate. Esse sono una associazione di imprese del settore dei cartelloni pubblicitari e quattro imprese singole del medesimo settore. 2.2. Il T.A.R. ha ritenuto fondata ed assorbente la censura di illegittimo ricorso alla trattativa privata, perché:

2.2.1. ha escluso che si potesse ricondurre la fattispecie ad "un’autorizzazione cumulativa per l’esposizione di cartellonistica privata", 2.2.2. perché forma e sostanza "del procedimento seguito e l’atto conclusivo" – vale a dire la convenzione – "fanno ritenere che sia stato affidato … un servizio senza" che il Comune abbia "seguito le procedure dell’evidenza pubblica". 2.2.3. Ha desunto la necessità di seguire tali regole: a) dalla installazione di cartelli su aree pubbliche "senza un’esplicita autorizzazione" [deliberata, invece, con lo stesso atto al n. 2 del dispositivo] senza la fissazione di un canone per l’occupazione di suolo pubblico [non escluso dalla convenzione, però]; b) dalla durata di nove anni, "quanto meno anomala in rapporto all’autorizzazione pubblicitaria" [senza chiarire in forza di quale criterio fosse configurabile l’anomalia]; c) dalla esistenza di "messaggi di pubblica utilità con un effetto trainante per il messaggio pubblicitario" [elemento questo che può comportare un’entrata o un risparmio di spesa per il Comune]; d) da una "contropartita – extra ordinem – della fornitura delle biciclette e dello scooter", e cioè, ancora, da un’entrata. 3. Con il ricorso in appello, le due società lamentano, in sintesi, che il Tribunale amministrativo regionale ha omesso la pronuncia sulla carenza di interesse delle ricorrenti: 3.1. perché la posa di impianti è attività libera, ex art. 53 d.p.r. 495/92, che non pregiudica altri concorrenti; 3.2. perché le autorizzazioni in questione non si rilasciano con gara; 3.3. perché non è stato affidato un servizio alla società che ha stipulato la convenzione, dato che gli impianti sono di proprietà della stessa e gli spazi offerti al Comune, con la cosiddetta "sponsorizzazione", senza nessun onere per esso, non esigono gara pubblica, e dato, infine, che la fornitura dei mezzi di trasporto per il Comune, se fosse un servizio quello concordato, non è onerosa; 3.4. perché, l’accordo è riconducibile fra quelli consentiti dall’art. 11 della l. 7 agosto 1990, n. 241, in quanto sostitutivo di un provvedimento amministrativo, l’autorizzazione a collocare gli impianti, e con contemporanea sponsorizzazione, consistente della fornitura dei predetti mezzi di trasporto elettrici. 4. La complessa censura è fondata. Preliminarmente, va precisato che la deliberazione si articola nell’autorizzazione a collocare impianti pubblicitari nel territorio comunale, e quindi in un provvedimento amministrativo, e nell’approvazione di una convenzione con la quale la società autorizzata assume obbligazioni di dare (i suddetti mezzi di trasporto) e di riservare una parte dei cartelloni ad uso del Comune per informazioni di pubblica utilità (pati). 4.1. Sia se si ha riguardo all’art. 53 del regolamento di esecuzione del codice della strada (d.p.r. 16 dicembre 1992, n. 495), sia se si ha riguardo al decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, che all’art. 3 contempla i regolamenti comunali sulle modalità di effettuazione della pubblicità ed un piano generale degli impianti, non si può asserire che le autorizzazioni a collocare impianti pubblicitari sia no da rilasciare mediante gare, da svolgere ai sensi del d. lgs. 17 marzo 1995, n. 157 o di altre norme regolatrici dell’attività della p.a. per l’acquisizione di servizi. Invero, la pubblicità stradale non si configura come servizio reso ad un ente locale, in particolare, ma come forma di svolgimento di un’attività economica, soggetta ad autorizzazione sia perché gli enti locali hanno la funzione di salvaguardare il decoro delle strade, sia perché ne traggono delle entrate per loro specificamente previste, come è l’imposta regolata dal d. lgs. n. 507 del 1993. Nella specie, l’art. 10 del regolamento del Comune di Legnano emanato in base al predetto d. lgs. n. 507/1993, esibito dalle parti intimate, richiama l’art. 43 del d.p.r. 495 del 1992, per quanto riguarda le autorizzazioni in parola, e non pone vincoli di luoghi, ma solo esige,

al comma 5, l’acquisizione di pareri tecnici interni. Stabilisce, poi, l’assenso tacito (ultimo periodo del comma 5) al decorso di sessanta giorni dalla presentazione della richiesta di installazione, se non interviene un diniego motivato di autorizzazione. Con riguardo alle autorizzazioni consentite, la tesi dei ricorrenti, accolta dal T.A.R., che si dovesse procedere ad una selezione per la scelta del privato contraente, non ha fondamento. 4.2. Neppure per la parte della convenzione che si può configurare come un contratto di sponsorizzazione, si può ritenere che il Comune fosse tenuto a procedere ad una qualsiasi selezione. Invero, quell’accordo si è risolto nella acquisizione gratuita di sette mezzi di trasporto e nella facoltà di inserire nei cartelloni pubblicitari dello "sponsor" messaggi di pubblica utilità, diretti, vale a dire, alla cittadinanza. Appare evidente che una fornitura ed un servizio gratuiti per la p.a. possono essere offerti da chiunque, e che perciò la loro acquisizione non esige che la stessa amministrazione metta in competizione, per garantire l’attuazione del principio della concorrenza, coloro che intendano operare in tal senso. In termini concreti, riferiti al caso di specie, nulla poteva impedire alle imprese pubblicitarie ricorrenti in primo grado di offrire anch’esse gli stessi od altri beni e la stessa od altra "ospitalità" nei propri impianti pubblicitari siti nel Comune. 4.3. Ne segue che né il prov vedimento di autorizzazione, né il contratto di sponsorizzazione, nei quali si può scomporre la deliberazione sopra descritta ed analizzata, si configurano come lesivi della posizione di altre imprese pubblicitarie operanti nel Comune interessato. Da qui l’assenza di interesse delle imprese pubblicitarie concorrenti, per mancanza di una posizione pregiudicata, ad impugnare la deliberazione stessa. 4.4. In tal senso deve essere riformata la sentenza impugnata, con assorbimento di ogni altra questione e con pronunzia di condanna alle spese delle parti costituite resistenti, secondo l’ordinaria regola della soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara inammissibile il ricorso introduttivo. Condanna le parti resistenti al pagamento, in favore delle appellanti, delle spese del giudizio, che liquida in quattromila euro. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 23 giugno 2006, con l'intervento dei Signori: Sergio Santoro Presidente Giuseppe Farina rel. est. Consigliere Corrado Allegretta Consigliere Aldo Fera Consigliere Aniello Cerreto Consigliere L’Estensore Il Presidente f.to Giuseppe Farina f.to Sergio Santoro DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 10 gennaio 2007. INSEGNA: NON E’ DI SOLO ESERCIZIO SE E’ CONTENUTO ANCHE ALTRO ELEMENTO TAR VENETO, SEZ. III - sentenza 21 settembre 2007 n. 3134 E’ legittimo il provvedimento con il quale l’ente proprietario della strada nega il rilascio dell'autorizzazione richiesta ai sensi dell'art. 23, 7° comma, del D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285 e s.m.i. per l'istallazione di una insegna c.d. di esercizio, nel caso in cui l’insegna stessa non contenga (solo) il nome della

ditta, ma anche un elemento ultroneo, non essenziale e non funzionale alla individuazione dello stabilimento della società, destinato ad evidenziare la tipologia del prodotto o del settore nel quale l’azienda opera. TAR VENETO, SEZ. III - sentenza 21 settembre 2007 n. 3134 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, costituita da: Angelo De Zotti Presidente, relatore Rita De Piero Consigliere Angelo Gabbricci Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. 2284/2003 proposto da ASI ROBICON S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti Mario Furno e Andrea Bernardi con elezione di domicilio presso lo studio dell'avv.to Marco Giacomini in Venezia-Mestre, Galleria Teatro Vecchio n. 15, come da mandato a margine del ricorso; CONTRO il COMUNE DI MONTEBELLO, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio; l’AUTOSTRADA BRESCIA VERONA VICENZA PADOVA S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Bertolissi e Paolo Piva ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Francesco Curato in Venezia Piazzale Roma 468/B; per l’annullamento della nota prot. n. 4236 della società concessionaria del 17 giugno 2003, con la quale viene rigettata la richiesta della ricorrente di nulla osta tecnico all'installazione di una insegna di esercizio luminosa posta al Km. 99+100 carr. Ovest dell'Autostrada A4 Brescia-Padova; nonchè della nota dell'Ufficio A.N.A.S., emanata dall'Ufficio Speciale Autostrade di Bologna in data 4.6.2033 prot. n. 1963. Visto il ricorso notificato il 29 settembre 2003 e depositato in segreteria il 21 ottobre 2003, con i relativi allegati; visto l’atto di costituzione della società Autostrade, depositato in segreteria il 30 ottobre 2003 con i relativi allegati; viste le memorie depositate dalle parti; visti gli atti tutti della causa; uditi, nella pubblica udienza del 21 giugno 2007, (relatore il Presidente Angelo De Zotti), l’avv. Bernardi per la parte ricorrente e l’avv. Pretin in sostituzione degli avv.ti Bertolissi e Piva per la società Autostrade; ritenuto in fatto e considerato in diritto: FATTO La ricorrente ASI ROBICON è società con sede in Milano e con stabilimento in Montebello, posto fronte Autostrada all'altezza del km 99-100 carr. Ovest A. Brescia-Padova ed individuabile da un'insegna di servizio posta sui tetto del medesimo, recante la dicitura ASI ROBICON Industrial Power Control. In data 28.02.2003 la ricorrente faceva istanza alla convenuta Autostrada BS VR VI PD spa per l'autorizzazione ad esporre detta insegna di eserciz io. Con nota del 17 giugno 2003, qui impugnata, la resistente, richiamato il parere preventivo di ANAS individuato in epigrafe, rigettava l'istanza. Tanto premesso, la ricorrente impugna gli atti indicati in epigrafe per i seguenti motivi di diritto:

1) violazione dell'articolo 23 comma 7 del c.d.s. (d. lgs. 30.04.1992 n. 285 come modificato dall'art. 30 della l. 07.12.1999 n. 472) e per illegittima applicazione della circolare ANAS n. 41/98 dell’11.05.1998. Si sostiene che la società concessionaria Autostrada ha ritenuto di non potere rilasciare il parere favorevole di nulla osta tecnico all'esposizione dell'insegna di esercizio "Asi Robicon" applicando la prescrizione di cui all'art. 23 comma 7 del codice della strada ed avuto riguardo alla circolare n. 41/98 emanata dalla Direzione generale dell'Anas perché " a) non è collocata all'ingresso principale dell'azienda o nelle sue vicinanze, ma sul tetto dell'edificio e b) non indica, pertanto, a chi percorre la viabilità ordinaria gli accessi all'azienda"; che Autostrada esclude inoltre che l'insegna proposta rientri tra le insegne d'esercizio e la riconduce alle insegne con finalità pubblicitaria per le quali vale il divieto opposto alla richiesta; che, al contrario, per la giurisprudenza amministrativa l'insegna di esercizio, ammessa lungo le autostrade dall'art. 23 comma 7^ c.d.s., può essere collocata anche lontano dall'ingresso principale dello stabilimento, ad esempio sul tetto, sulla facciata laterale o presso l'ingresso secondario dell'edificio sede dell'impresa, e può dunque essere visibile da coloro che percorrono l'autostrada ed anche da chi si trova a circolare sulla viabilità ordinaria; che tale collocazione non costituisce di per sè indice di intervento pubblicitario avendo invece lo scopo di agevolare l'individuazione della sede della ditta proprio da parte di chi, cliente o fornitore, debba raggiungerla pur non conoscendo l'esatta ubicazione della medesima"; che anche il richiamo formulato nella nota alla circolare ANAS n. 41/98, deve considerarsi del tutto inconferente perché, sempre per giurisprudenza costante, detta circolare deve ritenersi implicitamente abrogata dalla successiva legge 472/1999, che ha modificato l'art. 23 c.d.s. citato. 2) violazione di legge (art.3 l. 241/1990) ed eccesso di potere per motivazione insufficiente e contraddittoria e carenza di istruttoria. Si sostiene che in ogni caso la determinazione impugnata non è adeguatamente e sufficientemente motivata e denota profili di carenza di istruttoria; che in particolare la parte conclusiva del provvedimento (disturbo visivo agli utenti e pericolo alla sicurezza) appare frutto di un'arbitraria conclusione dell’amministrazione resistente, poiché una valutazione in tal senso non risulta né nella parte motiva del provvedimento né è stata oggetto esplicito delle valutazioni effettuate nel corso dei sopralluoghi dagli accertatori preposti. Si è costituita in giudizio la Societa Autostrada Brescia- Verona- Vicenza-Padova S.p.a. che in via preliminare ha eccepito l’irricevibilità del ricorso e nel merito la sua completa infondatezza, chiedendone la reiezione con vittoria di spese. Alla pubblica udienza del 21 giugno 2007, previa audizione dei difensori delle parti, il ricorso è stato posto in decisione. DIRITTO L’eccezione di irricevibilità o, più precisamente, di inammissibilità del ricorso, per omessa notifica all'ANAS, è fondata. La società ricorrente ha, infatti, impugnato, unitamente alla comunicazione del provvedimento di diniego dell’autorizzazione, anche la nota dell'ANAS S.p.a., Ufficio Speciale Autostrade di Bologna datata 4 giugno 2003, che contiene il c.d. nulla osta negativo in ordine alla collocazione dell’insegna emesso dal proprietario della strada, che la società concessionaria ha pedissequamente recepito e riportato nella nota impugnata, atteso che, quantunque la comunicazione del provvedimento sia demandata, per le tratte autostradali in concessione alla società concessionaria, ai sensi dell’art. 53 del D.P.R. 495/1992, il titolare effettivo dell’attribuzione prevista dall’art. 23 comma 7 del codice della strada è "il proprietario della strada interessata dalla richiesta di autorizzazione" e quindi, nella specie, trattandosi di insegna in fregio ad autostrada, l’ANAS (cfr. sul punto T.A.R. Veneto sez. 3^ n. 1645/2002).

Né del resto poteva sussistere dubbio sulla titolarità del potere di autorizzazione in capo ad ANAS poiché è la stessa nota impugnata che nel denegare il nulla osta alla collocazione dell’insegna invita testualmente la società Autostrade a portare "a conoscenza della ditta interessata, ai sensi dell’art. 53 del D.P.R. 495/92, il soprastante diniego tenendone informato lo scrivente ufficio". Peraltro, anche nell’ipotesi che il diniego dell’autorizzazione fosse imputabile ad ambedue le amministrazioni, l'ANAS, nella veste di amministrazione da cui promana il provvedimento impugnato avrebbe dovuto essere certamente evocata in giudizio, atteso che il diniego di nulla osta emesso da ANAS costituisce espresso oggetto di gravame e che i motivi di censura sono tutti rivolti contro tale atto, giacchè la nota di Autostrade in altro non consiste che nella mera comunicazione alla società richiedente del provvedimento negativo di ANAS. Né l’atto avrebbe potuto essere diverso poiché il concessionario non può rilasciare l’autorizzazione se non con il nulla osta del proprietario della strada, e dunque, se di provvedimento si tratta e non di mera comunicazione, esso è del tutto vincolato dall’atto presupposto, come d’altronde la nota di Autostrada ha chiaramente evidenziato al richiedente. Il Collegio non ritiene, pertanto, di poter condividere, sul punto della irrilevanza della notifica ad ANAS, il precedente invocato (cfr. T.A.R. Friuli n. 1209/05), peraltro isolato, né ritiene che il ricorso possa essere assoggettato alla previa integrazione del contraddittorio, posto che ANAS non è controinteressato ma amministrazione decidente e quindi che il vizio originario del contraddittorio non sia suscettibile di essere sanato attraverso quel rimedio. Ed in ogni caso ammetterlo sarebbe inutilmente gravatorio perché il ricorso appare, nel merito infondato. La società Asi Robicon ha infatti chiesto di essere autorizzata ad esporre un’insegna, visibile dall’autostrada, che tuttavia non contiene (solo) il nome della ditta, cioè la c.d. insegna di esercizio, ma anche un elemento ultroneo, non essenziale e non funzionale alla individuazione dello stabilimento della società, rappresentato dalla scritta "Industrial Power Control", destinato ad evidenziare la tipologia del prodotto o del settore nel quale l’azienda opera, che l’art. 23 del d. lgs. 285 del 1992 vieta in assoluto "lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi", indipendentemente dalla collocazione dell’insegna (all’ingresso principale dell’azienda o nelle sue immediate vicinanze). Ne consegue che poiché per "insegne d'esercizio", devono intendersi quelle che recano solo il nome dell’azienda (ed il logo che le identifica), mentre tali non sono quelle contenenti elementi sovrabbondanti rispetto alla indicazione del nome dell'impresa (cfr. Tar Veneto Sez. 3^ n. 469/2001; id. TAR Emilia Romagna Sez. 1^, 19 settembre 2003, n. 1544) l’autorizzazione richiesta dalla ricorrente è stata legittimamente denegata, sia in forza del divieto generale relativo alle insegne pubblicitarie (comma 7^), sia (comma 1^) perché ritenuta idonea ad arrecare disturbo visivo agli utenti dell'autostrada e a distrarne l'attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile. Le spese di causa seguono, come d’ordine, la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe. Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della Società Autostrade intimata, delle spese e delle competenze di causa che liquida in € 2000,00 (duemila/00) oltre ad iva e c.p.a. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio del 21 giugno 2007. Il Presidente estensore SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 21 settembre 2007. INSEGNA: NON DEVE CONFIGURARSI QUALE MEZZO PUBBLICITARIO CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - sentenza 28 giugno 2007 n. 3782 Ai sensi dell’art. 23, commi 1, 7 e 13 bis del CdS, il nulla osta favorevole dell’ente proprietario della strada riguardante l’installazione di una insegna di esercizio lungo il tracciato stradale è subordinato alla condizione che l’insegna non si configuri, in effetti, per le sue caratteristiche, quale mezzo essenzialmente pubblicitario; inoltre, anche nel caso in cui si tratti, effettivamente, di insegna di esercizio, essa può essere autorizzata purché non pregiudichi la sicurezza della circolazione. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente DECISIONE sul ricorso in appello n. 8001/2002, proposto dalla società Autostrada Brescia, Verona, Vicenza, Padova s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. Alberto Cartia ed elettivamente domiciliata in Roma, via del Viminale 43, presso l’avv. Fabio Lorenzoni, contro la società VR Metalli s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Osvaldo Pettene e Manilio Franchi e presso il secondo elettivamente domiciliata in Roma, via Gramsci 28, appellante incidentale e nei confronti dell’A.N.A.S. - Ente nazionale per le strade - in persona del legale rappresentante p.t., non costituitosi in giudizio, per la riforma della sentenza del TAR del Veneto, Sezione III, 3 maggio 2002, n. 1645; visto il ricorso in appello con i relativi allegati; visto il controricorso con appello incidentale prodotto dalla società appellata; viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; visti gli atti tutti della causa; relatore, alla pubblica udienza del 15 maggio 2007, il Consigliere Paolo Buonvino; uditi, l’avv. Fabio Lorenzoni, per delega dell’avv. Alberto Cartia, per l’appellante e l’avv. Manilio Franchi per la società appellata. Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue: F A T T O e D I R I T T O 1) - Con la sentenza impugnata il TAR ha accolto il ricorso proposto dalla società odierna appellata per l’annullamento della nota della società concessionaria autostradale qui appellante in data 27 maggio 1999, nonché della nota ivi richiamata del 6 marzo 1999, n. 1347, con la quale l'Ufficio speciale autostrade di Bologna dell'A.N.A.S. ha rigettato la richiesta di autorizzazione all'esposizione di insegne d'esercizio. Hanno esposto in fatto i primi giudici che la società VR Metalli s.p.a. aveva presentato, in data 16 marzo 1999, all'Autostrada Brescia, Verona, Vicenza, Padova s.p.a. (concessionaria dell'autostrada Serenissima), un’istanza volta ad ottenere l'autorizzazione per continuare ad esporre le proprie insegne d'esercizio, in corrispondenza del km. 73+500, carreggiata ovest dell'autostrada A/4 Brescia Padova, in Comune di S. Martino Buon Albergo, sul fabbricato di sua proprietà; ma che con nota del 27 maggio 1999 la società concessionaria aveva comunicato che, con precedente lettera del 6 marzo 1999, n. 1347, l'Ufficio speciale autostrade di Bologna dell'A.N.A.S. aveva rigettato la richiesta di nulla osta affermando che

le scritte rivestivano connotazione prettamente pubblicitaria e come tale vietata ai sensi dell'art. 23, commi 1 e 7, del D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285. Il diniego, ha rilevato il TAR, era motivato dalla considerazione che si trattava non di insegne d'esercizio, bensì di scritte di carattere pubblicitario (in quanto non risultavano apposte sull'ingresso principale dell'azienda o nelle sue immediate vicinanze), nonché dal disturbo visivo arrecato agli utenti dell'autostrada, tale da distrarne l'attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione. Rigettate le eccezioni di inammissibilità ed irricevibilità del gravame, il TAR ha osservato, quanto al merito del ricorso, che, per ciò che riguardava la prima parte della motivazione del provvedimento impugnato, veniva in rilievo la distinzione fra insegna d'esercizio, come ritenuto dalla società ricorrente, e mezzo pubblicitario, come ritenuto dall'A.N.A.S.; e che, al riguardo detto Ente aveva ritenuto prevalente, nel caso di specie, l'aspetto pubblicitario avuto riguardo non già alle dimensioni od al contenuto dell'insegna, esplicitamente ritenuti perfettamente regolari, bensì per il fatto che le stesse scritte non risultavano collocate sull'ingresso principale dell'azienda ovvero nelle sue immediate vicinanze. Per il TAR il criterio seguito dall’ANAS non era ricavabile direttamente dall'art. 23, comma 7, del D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285, né dal relativo Regolamento approvato con D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 (facente esclusivo riferimento, agli artt. 47 e seguenti, alle dimensioni dell'insegna per potere essere considerata mezzo pubblicitario), bensì era stato introdotto dalla circolare della Direzione generale dell'A.N.A.S. n. 41/98 datata 11 maggio 1998; e che, ciò premesso, era da ritenere che la disciplina di fonte ministeriale da ultimo detta dovesse armonizzarsi non tanto e non solo con le disposizioni di rango superiore, contenenti le disposizioni sopra indicate, ma anche alle disposizioni del Codice civile disciplinanti il regime dell'insegna (artt. 2563 e ss). Alla stregua di queste ultime disposizioni, ha rilevato, ancora, il TAR, dovendosi ritenere l’insegna come la rappresentazione visiva della ditta (essendovi accomunata nel regime giuridico) e, pertanto, come strumento attraverso il quale l'imprenditore rende noto il nome e l'attività, innanzitutto, che la ditta svolge, appariva del tutto consequenziale che ad essa fosse naturalmente correlato un grado di visibilità corrispondente agli scopi cui la stessa era preordinata; donde il giusto riferimento, da parte del legislatore, al criterio oggettivo delle sue dimensioni e degli elementi da contenere in essa. Per quanto riguardava, poi, l’elemento ulteriore, rappresentato dalla collocazione dell’insegna in corrispondenza dell'ingresso principale dell'azienda o nelle sue immediate vicinanze, avuto riguardo alle specificità proprie dell'insegna d'esercizio, che appariva, comunque, consentita anche nelle sue forme luminescenti dalla normativa in vigore, era da dire, ad avviso dei primi giudici, che esso doveva costituire un criterio succedaneo tale da poter rappresentare il dato capace di attribuire carattere di mezzo di pubblicità all'insegna d'esercizio e non quello di mera indicazione circa il luogo sede della ditta, la sua attività e la sua denominazione; con la conseguenza che il mero riferimento al dato della collocazione rispetto all'ingresso principale non appariva di per sé sufficiente in assenza di ulteriori argomentazioni volte a dimostrare come questo dato fosse tale da far ritenere il carattere di mezzo di pubblicità e non di mera indicazione della peculiarità e del sito della ditta come proprio dell'insegna d'esercizio. Ebbene, hanno osservato, ancora, i primi giudici, nel caso di specie non solo non veniva riportato alcun dato esplicativo al riguardo (quale, per esempio, se il capannone fosse facilmente raggiungibile dall'autostrada o meno), ma non veniva neppure individuato l'ingresso principale della ditta (e quindi tanto meno la vicinanza con lo stesso) né la sua dislocazione rispetto alla principale strada di approccio al capannone in questione. Quanto alla seconda argomentazione esplicitata nel diniego impugnato, relativa ad un preteso pericolo per la circolazione stradale, essa, secondo il TAR, palesava il medesimo vizio argomentativo appena enunciato: in via derivata, per quanto appena affermato, ed in via autonoma in quanto l'Ente resistente non aveva in alcun modo dimostrato come il suo

carattere di mezzo pubblicitario avesse caratteristiche tali da ingenerare confusione ovvero da distogliere dall'attenzione nella guida in modo tale da costituire un pericolo per la circolazione stradale. In definitiva, ha concluso il TAR, correva l'obbligo, per l'A.N.A.S., di motivare congruamente in ordine al carattere di esclusivo mezzo pubblicitario di un'insegna finalizzata ad indicare la posizione dove si svolge una determinata attività economica, nonché di esplicitare l'attitudine dello stesso ad ingenerare confusione o a distogliere dall'attenzione nella guida, costituendo pericolo per la sicurezza della circolazione stradale; donde l’accoglimento del ricorso in riferimento al difetto di motivazione dedotto con il secondo mezzo di gravame, mentre era da respingere il primo, in quanto il provvedimento non stabiliva una equiparazione fra insegna d'esercizio e mezzo pubblicitario (con assorbimento, infine, dei restanti mezzi di gravame per l'evidente carattere prodromico di quello accolto). 2) – Impugna la sentenza la società Autostrada BS – VR – VI – PD s.p.a., che ne chiede la riforma, anzitutto, laddove ha rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di notifica nei riguardi dell’ANAS, nonché quella di irricevibilità dello stesso per tardività. Nel merito, deduce che il TAR, nella risoluzione della controversia, avrebbe dovuto non solo qualificare le insegne apposte dall’originaria ricorrente quali insegne di esercizio, ma avrebbe anche dovuto, a norma dell’art. 23 del d.lgs. n. 285 del 30 aprile 1992 (come novellato dall’art. 30, comma 1, della legge n. 472 del 1999), soffermarsi sulla pericolosità delle medesime, dette norme vietando qualsiasi forma di pubblicità lungo e in vista, tra l’altro, delle Autostrade; con la conseguenza che l’applicazione delle norme in tema di assenso o diniego di insegne d’impresa o pubblicitarie non deve che soggiacere ad una valutazione teleologica e probabilistica, volta a verificare la loro concreta pericolosità. E, in tal senso, il legislatore avrebbe rimesso in capo all’ente proprietario della strada o al suo concessionario l’esercizio di un potere discrezionale di valutazione tecnica in merito all’impatto del mezzo pubblicitario richiesto nei suoi riflessi sulla sicurezza stradale. Ebbene, nella specie, l’insegna di cui si tratta avrebbe avuto caratteristiche tali da risultare concretamente lesive dell’interesse generale alla corretta circolazione stradale (tenuto anche conto del disposto della circolare ANAS n. 41 dell’11 maggio 1998 che consente l’installazione di un’unica insegna nelle immediate vicinanze dell’ingresso dell’impresa); l’insegna, infatti, tenuto conto delle sue caratteristiche e collocazione avrebbe costituito non un’insegna di esercizio ma un non consentito messaggio pubblicitario, pericoloso per la circolazione autostradale. 3) – Resiste la società appellata che insiste, nelle proprie difese, per il rigetto dell’appello. Svolge, ad ogni buon conto, anche appello incidentale con il quale contesta la sentenza appellata nella parte in cui ha rigettato una delle censure svolte in primo grado; insiste, poi, per l’accoglimento, se del caso, delle censure assorbite dal TAR. Con memorie conclusionali le parti hanno ribadito i rispettivi assunti difensivi. 4) – L’appello è fondato. L’appellante società concessionaria ribadisce, in questa sede, l’accezione di tardività dell’originario ricorso svolta in primo grado e disattesa dal TAR nel presupposto che spettasse alla resistente fornire la prova della tardività. In verità, tale prova circa l’immediata comunicazione del diniego e del ricevimento della comunicazione stessa era chiaramente presente agli atti di giudizio di primo grado prodotti dalla stessa originaria ricorrente. Con nota del 17 giugno 1999 diretta alla società odierna appellante lo Studio legale Pettene, per conto della VR Metalli s.p.a., scriveva quanto segue: "in relazione alla Vostra nota del 27.05.1999, con la quale è stato comunicato a VR Metalli s.p.a. il rigetto della domanda di nulla osta all’esposizione di due insegne di esercizio, richiedo, in nome e per conto della

mia assistita, copia semplice non certificata conforme all’originale, della nota n. 1347 del 06.05.99 dell’ANAS, Ufficio Speciale Autostrade di Bologna". Ne consegue che il termine di sessanta giorni per la notificazione del ricorso ha iniziato a decorrere, al più tardi, dalla data di invio della predetta richiesta documentale da parte dello Studio legale Pettine alla società autostradale e, quindi, dal 17 giugno 1999; con la conseguenza che il termine stesso è andato a scadere, tenuto conto del periodo feriale, il 2 ottobre 1999, mentre il ricorso di primo grado è stato consegnato per la notificazione e notificato solo il 2/3 novembre 1999; donde la manifesta tardività del gravame, direttamente desumibile dagli stessi atti di causa prodotti dalla ricorrente. Né si dica che la nota della società concessionaria intimata in data 27 maggio 1999 non era tale, per i suoi contenuti, da poter costituire oggetto di immediata impugnazione. Al contrario, essa si esprimeva in termini direttamente e pienamente negativi rispetto all’istanza autorizzatoria avanzata dall’interessata e richiamava anche e puntualmente, quale atto presupposto, il parere negativo al riguardo espresso dall’ANAS, che veniva riportato nei suoi contenuti letterali. Ne consegue che la società odierna appellata era pienamente in grado di apprezzare, quanto meno a partire dal 17 giugno 1999, la piena capacità lesiva della propria sfera giuridica della ripetuta nota del 27 maggio 1999 della società qui appellante, nonché del parere dell’ANAS in essa testualmente riportato; vero che quest’ultimo non era riportato nella sua interezza, ma ciò non rileva ai fini della doverosa impugnabilità immediata dei provvedimenti negativi oggetto di gravame, salva la proponibilità, se del caso, di successivi motivi aggiunti una volta conosciuto il detto parere presupposto nella sua interezza. 5) – Per completezza e nel merito può, comunque, rilevarsi come l’originario ricorso fosse comunque, privo di fondamento. Il parere negativo espresso dall’ANAS con nota n. 1347 del 13 aprile 1999, cui ha fatto seguito l’impugnato diniego della società appellante, è (nella sua ultima parte, che fa seguito alla discip lina di riferimento ed alla circolare n. 41/1998 anzidetta) del seguente tenore letterale: "rilevato dalla documentazione prodotta che le insegne per la quale viene richiesta l’autorizzazione non rispondono ai requisiti stabiliti perché non sono collocate sull’ingresso principale dell’azienda, ma sul tetto dell’edificio e rivolta al tracciato stradale, l’insegna recante la scritta VR Metalli e sulla facciata dell’edificio che è rivolta all’autostrada, l’insegna recante la scritta centro servizi inox; ritiene che la richiesta di che trattasi non possa essere accolta in quanto l’insegna riveste connotazione prettamente pubblicitaria e quindi in violazione del citato art. 23, comma 7, nonché del comma 1, in quanto arreca disturbo visivo agli utenti dell’autostrada e ne distrae l’attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione". A tale parere negativo si è pienamente conformata, con il diniego impugnato in primo grado, la società concessionaria, "in quanto l’insegna riveste connotazione prettamente pubblicitaria e quindi è in violazione dell’art. 23, comma VI°, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, nonché del comma I°, in quanto arreca disturbo visivo agli utenti dell’Autostrada e ne distrae l’attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione". Ritiene la Sezione che il rigetto dell’istanza ed il parere dell’ANAS ad esso presupposto siano, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, pienamente legittimi. Al riguardo, va rilevato, anzitutto, che, ai sensi dell’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 285/1992, "lungo le strade o in vista di esse è vietato collocare insegne, cartelli, manifesti, impianti di pubblicità o propaganda, segni orizzontali reclamistici, sorgenti luminose, visibili dai veicoli transitanti sulle strade, che per dimensioni, forma, colori, disegno e ubicazione possono ingenerare confusione con la segnaletica stradale, ovvero possono renderne difficile la comprensione o ridurne la visibilità o l'efficacia, ovvero arrecare disturbo visivo agli utenti della strada o distrarne l'attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione; …….".

A mente dell’art. 23 comma 7, del citato d.lgs. n. 285 del 1992, poi, "è vietata qualsiasi forma di pubblicità lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi. Su dette strade è consentita la pubblicità nelle aree di servizio o di parcheggio solo se autorizzata dall'ente proprietario e sempre che non sia visibile dalle stesse. Sono consentiti i cartelli indicanti servizi o indicazioni agli utenti purché autorizzati dall'ente proprietario delle strade. Sono altresì consentite le insegne di esercizio, con esclusione dei cartelli e delle insegne pubblicitarie e altri mezzi pubblicitari, purché autorizzate dall'ente proprietario della strada ed entro i limiti e alle condizioni stabilite con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti". Il comma 13 bis dello stesso art. 23 (comma aggiunto dall'art. 30 della legge 7 dicembre 1999, n. 472) prevede, quindi, tra l’altro, che "in caso di collocazione di cartelli, insegne di esercizio o altri mezzi pubblicitari privi di autorizzazione o comunque in contrasto con quanto disposto dal comma 1, l'ente proprietario della strada diffida l'autore della violazione e il proprietario o il possessore del suolo privato, nei modi di legge, a rimuovere il mezzo pubblicitario a loro spese entro e non oltre dieci giorni dalla data di comunicazione dell'atto……". L’47, comma 1, del D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, inoltre, definisce "insegna di esercizio la scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell'attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa. Può essere luminosa sia per luce propria che per luce indiretta". Dal combinato disposto delle norme che precedono discende, quindi, che il nulla osta favorevole dell’ente proprietario della strada riguardante l’insegna di esercizio è subordinato alla condizione che la stessa non si configuri, in effetti, per le sue caratteristiche, quale mezzo essenzialmente pubblicitario; in secondo luogo, che, pur trattandosi, effettivamente, di insegna di esercizio, essa può essere autorizzata purché non pregiudichi la sicurezza della circolazione. Nel caso in esame l’ANAS, da un lato, ha ritenuto che l’insegna di cui si tratta, per le sue caratteristiche (in quanto non collocata in prossimità dell’ingresso dell’azienda), non potesse – anche tenuto conto di una precedente circolare emanata dall’ente stesso – essere riguardata come semplice insegna di esercizio, bensì essenzialmente quale mezzo pubblicitario; dall’altro, ha ritenuto che la stessa potesse costituire fonte di pericolo per la circolazione autostradale. Ritiene la Sezione che, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, l’operato dell’ANAS (recepito dalla società autostrade) debba ritenersi conforme alla disciplina normativa sopra riportata. Vero è, infatti, che la circolare ANAS del 1998, citata negli atti impugnati, costituisce atto interno, privo di forza cogente per gli amministrati; non di meno, essa costituisce espressione di un apprezzamento di carattere generale che, ove conforme alla disciplina primaria di riferimento, può costituire utile elemento di giudizio per ciò che attiene al rilascio delle autorizzazioni di cui si tratta. E, al riguardo, rileva il fatto che l’insegna non fosse collocata in prossimità dell’accesso all’impresa ma (come appare, in effetti, incontestato e come emerge, del resto, con chiarezza dagli atti di causa) in un diverso ambito e, in particolare, su di una parte del tetto del capannone di produzione dell’impresa stessa, situato in una lato differente rispetto a quello di acceso agli uffici aziendali e da tale lato visibile solo parzialmente e in posizione rovesciata; ancorché, quindi, il sito di collocazione facesse capo all’impresa stessa, non di meno detta collocazione lascia intendere che, in effetti, non si trattasse di semplice insegna di esercizio, necessaria ai fini della normale attività aziendale (in quanto atta a consentire alla clientela di individuare agevolmente il punto di accesso ai locali dell’impresa), bensì di elemento in grado di svolgere una funzione promozionale dell’attività imprenditoriale e,

quindi, di carattere essenzialmente pubblicitario, dal momento che l’accesso agli uffici aziendali non poteva certamente avvenire direttamente dalla sede autostradale. Ne consegue che ragionevolmente l’impianto di cui si tratta non è stato ritenuto destinato ad indirizzare la clientela presso gli accessi agli uffici, quanto, essenzialmente, a svolgere una funzione pubblicitaria del marchio e dell’attività svolta; e, quale impianto con funzione pubblicitaria, lo stesso, del pari correttamente, è stato ritenuto, con valutazione discrezionale che non appare manifestamente irragionevole, in grado di arrecare disturbo visivo agli utenti dell’autostrada, potendone distrarre l’attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione. Le considerazioni sin qui svolte valgono anche a disattendere il primo dei motivi d’appello incidentale volto a far constare la piena conformità dell’impia nto di cui si tratta alla disciplina del codice della strada e l’inadeguatezza, per converso, della motivazione addotta a giustificazione del diniego. Quanto, infine, alla dedotta violazione della disciplina di cui all’art. 53, comma 5, del regolamento al codice della strada (D.P.R. n. 495/1992) ed all’art. 2 della legge n. 241/1990, la mancata osservanza del termine di sessanta giorni previsto dalla citata disciplina settoriale (comma 5 dell’art. 53 cit.) non solo non è tale da produrre ex se l’illegittimità dell’eventuale statuizione tardiva, ma dà soltanto modo all’interessato di promuovere l’azione giudiziale per la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dalla P.A. ai sensi dell’art. 21 bis della legge n. 1034 del 1971, il semplice decorso del termine non privando l’amministrazione della capacità di provvedere sull’istanza (e non senza considerare, poi, che, se ritardo – peraltro di soli dodici giorni - vi è stato rispetto al termine anzidetto, ciò è dovuto al fatto che la società concessionar ia ha correttamente ritenuto di sottoporre all’ente concedente la richiesta avanzata dall’odierna appellata). 6) - Per i suesposti motivi l’appello in epigrafe appare fondato e va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va dichiarato irricevibile per tardività il ricorso di primo grado; l’irricevibilità dell’originario ricorso porta, poi, alla declaratoria di improcedibilità dell’appello incidentale svolto dalla società appellata. Le spese dei due gradi di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. il Consiglio di Stato, Sezione sesta: a) - accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, dichiara irricevibile il ricorso di primo grado; b) - dichiara improcedibile l’appello incidentale. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15 maggio 2007 con l’intervento dei sigg.ri: CLAUDIO VARRONE – Presidente PAOLO BUONVINO – Consigliere est. DOMENICO CAFINI - Consigliere FRANCESCO CARINGELLA– Consigliere BRUNO ROSARIO POLITO – Consigliere Presidente CLAUDIO VARRONE Consigliere PAOLO BUONVINO DEPOSITATA IN SEGRETERIA il.....28/06/2007 INSEGNA: NO ALLA VISIBILITA’ DALLA AUTOSTRADA SE CONNOTAZIONE PUBBLICITARIA TAR VENETO, SEZ. III - sentenza 20 novembre 2007 n. 3713

E’ legittimo il provvedimento con il quale è stata negata l’autorizzazione al mantenimento di una insegna di uno stabilimento visibile dall’autostrada, nel caso in cui l’insegna rivesta connotazioni prettamente pubblicitarie e quindi sia stata collocata in violazione dell’art. 23, commi 1 e 7, del CdS; ai sensi di quest'ultima disposizione una insegna deve considerarsi pubblicitaria e non "di esercizio" non solo nel caso in cui sia collocata non già in prossimità dell’accesso all’impresa, ma su di una parte del tetto del capannone di produzione dell’impresa stessa, ma anche nel caso in cui sia collocata non già dal lato d’ingresso allo stabilimento e presso la strada attraverso cui vi si ha effettivamente accesso, ma che sia rivolta invece verso l’autostrada, dalla quale soltanto la stessa insegna può essere letta con chiarezza. FATTO E DIRITTO 1.1. Ambrosi S.p.A. è la titolare di un’impresa nel settore alimentare, e possiede uno stabilimento, nei pressi di Brescia, la cui insegna "Ambrosi latte burro formaggi" è visibile dall’autostrada A4. 1.2. Nel giugno 1999 Ambrosi domandò all’Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova S.p.A. di essere autorizzato al mantenimento in essere dell’insegna; la risposta fu però sfavorevole, conformemente alle indicazioni dell’ANAS, che – come si legge nella nota Autostrade 4 novembre 1999, qui impugnata – «con nota n. 3060 del 06 settembre 1999 ha comunicato alla scrivente Concessionaria che "la richiesta di che trattasi non possa [sic] essere accolta in quanto l’insegna riveste connotazione prettamente pubblicitaria e quindi in violazione dell’ art. 23 – comma 7 del d.l. 30 aprile 92, n. 285, nonché del comma 1, perché arreca disturbo visivo agli utenti dell’autostrada e ne distrae l’attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione». 1.3. Il diniego, e l’atto preparatorio presupposto, sono stati impugnati con il ricorso in esame. Si sono costituiti in giudizio sia Autostrade che ANAS, concludendo per la reiezione. Il Tribunale ha sospeso il provvedimento impugnato con ordinanza cautelare 181/00. 2.1. Prima di esaminare le censure proposte è utile rammentare come l’art. 23, VII comma, del codice della strada prescriva che è vietata "qualsiasi forma di pubblicità lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi"; sono tuttavia consentite, "le insegne di esercizio, con esclusione dei cartelli e delle insegne pubblicitarie e altri mezzi pubblicitari, purché autorizzate dall’ente proprietario della strada"; e per insegna d’esercizio s’intende "la scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa" (art. 47 d.P.R. 495/92). 2.2. Il ricorso prende anzitutto in esame, del provvedimento gravato, il capo di motivazione relativo alla "connotazione pubblicitaria": sotto tale profilo, il diniego violerebbe intanto il citato art. 23, VII comma, e sarebbe altresì affetta da eccesso di potere per travisamento dei fatti e contraddittorietà. Infatti, anche tenendo conto di quanto prescritto in materia dall’art. 47 del d.P.R. 495/92, non sarebbe dubbio che l’insegna de qua, individuando la sede aziendale, sarebbe d’esercizio e non pubblicitaria: il riferimento all’attività, contenuto nella stessa, non ne modificherebbe la funzione, poiché l’insegna, come segno distintivo dell’azienda, ben può contenere altri elementi, oltre alla ragione sociale. 2.3. Sempre con riferimento allo stesso capo, la determinazione sarebbe viziata da eccesso di potere per carenza di motivazione, irragionevolezza, illogicità e carenza d’imparzialità. Se anche non si accogliesse il primo mezzo, opponendo che esso confligge con poteri discrezionali dell’Amministrazione, il provvedimento impugnato sarebbe in ogni caso affetto da carenza di motivazione circa la conclusione per cui l’insegna de qua sarebbe pubblicitaria e non d’esercizio.

3. Per quanto invece attiene al distinto profilo, secondo il quale l’insegna della ricorrente arrecherebbe disturbo visivo agli utenti (art. 23, I comma) egualmente sarebbe stata enunciata ma non adeguatamente giustificata la pericolosità dell’insegna; inoltre (violazione dell’art. 23, I comma, d. lgs. 285/92 ed eccesso di potere per travisamento dei fatti) da nessun atto del procedimento risulterebbe che l’insegna sia pericolosa. 4.1. Per quanto poi concerne il provvedimento nella sua interezza, esso sarebbe intanto affetto da violazione dell’art. 3, IV comma, della l. 241/90, poiché non esplicita la possibilità d’impugnarlo, né indica innanzi a quale giudice il ricorso andrebbe proposto. 4.2. Ancora, la ricorrente osserva come Autostrade S.p.A. abbia assunto la sua decisione conformandosi al parere ANAS: tuttavia, l’art. 53, I comma, lett. b) del d.P.R. 495/92 disporrebbe che titolare del potere di assenso è soltanto la concessionaria: il parere sarebbe stato dunque posto indebitamente a base della propria determinazione. 4.3. Sempre con riguardo all’art. 3 l. 241/90, si osserva come, nell’istanza per il mantenimento dell’insegna, fosse stato rilevato che l’insegna di esercizio aveva funzione d’indicazione per gli utenti autostradali: ma nessuna motivazione sarebbe stata fornita nell’atto di diniego, in relazione al rigetto di tale prospettazione, senza che sia dunque possibile comprenderne le ragioni. 4.4. Infine, in una diversa interpretazione, per il combinato disposto dell’art. 23, IV comma, del d. lgs. 285/92 e dell’art. 53, I comma, d.P.R. 495/92, a regime autorizzatorio sarebbe soggetta soltanto la collocazione di cartelli ed altri mezzi pubblicitari, e non delle insegne d’esercizio. Le autorità, pertanto, anziché istruire un procedimento autorizzatorio, avrebbero dovuto negare, perché non dovuta, tale autorizzazione, o, al più, "ricorrere ad un procedimento dichiarativo in ordine alla pericolosità per la circolazione dell’insegna in parola"; salvo ordinare la rimozione dell’impianto, dopo la sua realizzazione, ex art. 23, XIII comma. 5.1. Il precedente orientamento della Sezione, la quale ha in passato accolto una nozione assai estensiva d’insegna d’esercizio, a detrimento di quella d’insegna pubblicitaria, va opportunamente rimeditato dopo che, con sentenza 28 giugno 2007, n. 3782, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha riformato la sentenza di questo Tribunale 3 maggio 2002, n. 1645, emessa in una fattispecie per più versi analoga a quella in esame. Segnatamente, anche in quel caso l’insegna non era collocata presso l’ingresso principale dell’azienda, ma sul tetto dell’edificio ed era rivolta al tracciato autostradale; negando l’autorizzazione, anche allora Autostrade ed Anas avevano affermato che l’insegna stessa rivestiva connotazione prettamente pubblicitaria, arrecando inoltre disturbo e distrazione ai conducenti. 5.2. Orbene, secondo il giudice d’appello, rileva il fatto "che l’insegna non fosse collocata in prossimità dell’accesso all’impresa ma … su di una parte del tetto del capannone di produzione dell’impresa". Benché il sito di collocazione facesse capo all’impresa stessa, "non di meno detta collocazione lascia intendere che, in effetti, non si trattasse di semplice insegna di esercizio, necessaria ai fini della normale attività aziendale (in quanto atta a consentire alla clientela di individuare agevolmente il punto di accesso ai locali dell’impresa), bensì di elemento in grado di svolgere una funzione promozionale dell’attività imprenditoriale e, quindi, di carattere essenzialmente pubblicitario, dal momento che l’accesso agli uffici aziendali non poteva certamente avvenire direttamente dalla sede autostradale". 5.3. Ne consegue, conclude la decisione, che "ragionevolmente l’impianto di cui si tratta non è stato ritenuto destinato ad indirizzare la clientela presso gli accessi agli uffici, quanto, essenzialmente, a svolgere una funzione pubblicitaria del marchio e dell’attività svolta; e, quale impianto con funzione pubblicitaria, lo stesso, del pari correttamente, è stato ritenuto, con valutazione discrezionale che non appare manifestamente irragionevole, in grado di arrecare disturbo visivo agli utenti dell’autostrada, potendone distrarre l’attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione".

6.1. Orbene, come è evidente, la fattispecie in esame è del tutto sovrapponibile a quella ora esaminata. In altre parole, cioè, anche in questo caso l’insegna in questione non svolge in via esclusiva, o almeno preponderante, la funzione di consentire l’individuazione dei locali dell’impresa a chi, trovandosi in prossimità della stessa, la deve raggiungere: sul punto, la determinazione della Società Autostrade, letta in correlazione con il parere ANAS, fornisce una motivazione più che adeguata. Come confermato dalla documentazione fotografica in atti, l’insegna non è, infatti, collocata dal lato d’ingresso allo stabilimento e presso la strada attraverso cui vi si ha effettivamente accesso, ma è rivolta invece verso l’autostrada, dalla quale soltanto la stessa insegna può essere letta con chiarezza, sebbene non ne possano certo provenire direttamente gli autoveicoli di passaggio. 6.2. Escluso dunque che l’insegna "Ambrosi latte burro formaggi" sia d’esercizio, essa non può che ritenersi pubblicitaria, per il disposto dell’art. 47, VIII comma, del d.P.R. 495/92 («Si definisce "impianto di pubblicità o propaganda" qualunque manufatto finalizzato alla pubblicità o alla propaganda sia di prodotti che di attività e non individuabile … come insegna di esercizio»): da ciò la legittimità, sotto un primo profilo, del diniego. 6.3. D’altro canto, per quanto concerne il disturbo alla guida procurato dall’impianto, è da ricordare come il ripetuto art. 23, I comma, vieti di collocare insegne ed impianti di pubblicità o propaganda, visibili dai veicoli transitanti sulle strade, che, per dimensioni, forma, colori, disegno e ubicazione possono "arrecare disturbo visivo agli utenti della strada o distrarne l’attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione". Orbene, è evidente che la norma deve trovare un’applicazione molto rigorosa nelle autostrade, dove l’alta velocità dei veicoli richiede un grado di concentrazione costante e molto elevato; sicchè l’Amministrazione deve selezionare con particolare severità l’ambito delle possibili fonti di disturbo da escludere. Tra queste, sulla base di tali premesse, si può allora agevolmente far rientrare, secondo ragionevolezza ed esperienza, un’insegna pubblicitaria composta, come nel caso, da quattro parole e da un logo. Il fatto che un messaggio così articolato essa sia presumibilmente idoneo ad attirare l’attenzione dei conducenti, è sufficiente a giustificare, senza necessità di una particolare motivazione, la decisione assunta e qui gravata. 7.1. Per quanto ancora concerne le censure sintetizzate al precedente §4, è anzitutto fuori questione che la mancanza del termine e dell’autorità cui ricorrere, non inerendo al provvedimento per tale, costituisce mera irregolarità dell’atto che può al più giustificare la rimessione in termini, ove il ricorso sia proposto tardivamente. Quanto poi alla violazione dell’art. 53 del d.P.R. 495/92, la norma non vieta alla concessionaria di richiedere un parere ad ANAS e di uniformarsi alle indicazioni così ricevute. Non appare ben chiaro il tenore della censura sub 4.3: è d’altronde evidente che, qualificando come pubblicitaria l’insegna, si è implicitamente ed univocamente escluso che questa avesse funzione d’indicazione agli utenti autostradali (tra l’altro, ben poco utile, per chi transita su di una strada ad accessi prestabiliti). 7.2. Infine, è vero che l’art. 23, IV comma, prevede l’obbligo d’autorizzazione soltanto "per la collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse", senza riferirsi alle insegne di esercizio. Peraltro, l’estensione a queste ultime contenuta nell’art. 53, I comma, del regolamento – dopo la modificazione disposta dall’ art. 43 del d.P.R. 16 settembre 1996, n. 610 - non appare contrastare con alcuna prescrizione contenuta nella fonte primaria, la quale viene così opportunamente integrata con riguardo ad una fattispecie simile a quelle da essa espressamente disciplinate.

8. Il ricorso, in conclusione, è infondato in tutti i suoi motivi e va perciò rigettato. Peraltro, l’incertezza degli orientamenti giurisprudenziali in materia conduce all’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. P.Q.M. il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta. Compensa integralmente le spese di giudizio tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 11 ottobre 2007. Il Presidente l’Estensore Il Segretario SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 20 novembre 2007. PUBBLICITÀ: NECESSITA AUTORIZZAZIONE ANCHE SE PAGATA TASSA CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sezione II, 13 giugno 2007, n. 13842 SENTENZA sul ricorso proposto da: AUTONOLEGGI BEVILACQUA DI BEVILACQUA ROBERTO & C SNC, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DONATELLO 23, presso lo studio dell'avvocato VILLA PIERGIORGIO, che lo difende unitamente all'avvocato DELLA ROSA DANILO, giusta delega in atti; - ricorrente – contro ANAS SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore; - intimata – avverso la sentenza n. 267/04 del Giudice di Pace di UDINE, depositata il 26/02/04; udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 17/04/07 dal Consigliere Dott. Francesco Paolo FIORE; udito l'Avvocato VILLA Piergiorgio, difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato il 15 aprile 2003, l'A. B. di B. Roberto e C. s.n.c., proponeva opposizione avverso il verbale n. 2151 del 20 dicembre 2002 e la successiva diffida di rimozione dell'impianto, con cui l'Azienda Nazionale Autonoma delle Strade-Compartimento Regionale della Viabilità per il Friuli e Venezia Giulia le aveva contestato la violazione dell'art. 23 C.d.S., commi 4 e 11, in relazione agli adempimenti previsti dal successivo comma 13 bis, per avere abusivamente collocato in vista della strada statale 54 un impianto pubblicitario, costituito da un autocarro, che, lasciato in sosta su area privata, per più giorni, esponeva un ciclomotore sul tetto, nonché sui lati e sul retro cartelli pubblicitari, con scritte "omissis… Revisione veicoli... Officina autorizzata...". A ragione dell'opposizione, deduceva: a) che l'accertamento della violazione era stato abusivamente operato; b) che il verbale di contestazione della violazione aveva confuso i mezzi pubblicitari con l'autocarro e che la diffida alla rimozione era indeterminata nell'oggetto; c) che il fatto accertato non realizzava l'illecito contestato, di cui all'art. 23 C.d.S., comma 4; d) che la responsabilità di essa opponente era comunque esclusa dai documenti comprovanti il funzionamento dell'autocarro, adibito a mezzo pubblicitario, ed il pagamento sia della tassa di circolazione sia della tassa di pubblicità. L'ANAS s.p.a. si costituiva e resisteva alla opposizione. Con sentenza del 26 febbraio 2004, il Giudice di Pace di Udine rigettava l'opposizione, argomentando l'infondatezza dei

dedotti motivi d'illegittimità dei provvedimenti opposti. Per la cassazione di tale sentenza, l'A. B. di B. Roberto e C. s.n.c. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi. L'ANAS s.p.a. non ha svolto difese. MOTIVI DELLA DECISIONE Col primo motivo, la ricorrente denuncia omessa motivazione in ordine alla seconda ragione di opposizione, innanzi riassunta, in narrativa, sub b). Il motivo non ha pregio. Ed invero, diversamente da quanto assunto, il Giudice di Pace ha motivato sul punto, rilevando in particolare che "la lettura del verbale opposto non può ingenerare confusione atteso che il tutto è descritto in modo chiaro e circostanziato", a significazione - quindi - della ritenuta infondatezza di quella ragione di opposizione, che, ingiustificatamente, pretendeva esservi confusione nel verbale di contestazione della violazione tra cartelli pubblicitari non autorizzati ed autocarro, che li esponeva, con correlata indeterminatezza della diffida a rimuoverli. Col secondo motivo, la ricorrente denuncia omessa o insufficiente motivazione in ordine alla terza ragione di opposizione, innanzi riassunta, in narrativa sub c). Il motivo non ha pregio. Ed invero, il Giudice di Pace ha specificamente argomentato sul punto, ritenendo che l'accertata collocazione di cartelli pubblicitari su autocarro, in sosta per più giorni, su area privata, in vista di strada pubblica, è riconducibile alla previsione del D. Lgs. n. 285 del 1992, art. 23 C.d.S., comma 4. Tale sussunzione, che la ricorrente sostiene esclusa per la mobilità del mezzo (autocarro) su cui i cartelli erano collocati, è corretta. Il citato art. 23, infatti, al comma 4, prevede che "la collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse è soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte dell'ente proprietario", non distinguendo a tal fine le concrete modalità di collocazione di tali mezzi, che, in effetti, può essere operata in svariate forme, quale quella - appunto - accertata nella specie, con l'installazione di cartelli pubblicitari sui lati e sul retro di un autoveicolo, lasciato fermo per più giorni su area privata, in vista di strada pubblica; e ciò, senza interferenze con la precedente previsione del medesimo art. 23, che, al secondo 2, disciplina la diversa ipotesi della circolazione dei veicoli con scritte o insegne pubblicitarie. Col terzo motivo, la ricorrente denuncia insufficiente motivazione in ordine alla quarta ragione di opposizione, innanzi riassunta, in narrativa, sub d). Il motivo non ha pregio. Il Giudice di Pace, invero, ha sufficientemente argomentato sul punto, rilevando che "da quanto esposto appaiono evidenti gli elementi di responsabilità in capo alla opponente..." con riguardo all'illecito accertato, di cui all'art. 23 C.d.S., comma 4, a significazione - appunto - che il dedotto pagamento della tassa di circolazione dell'autocarro della tassa di pubblicità non avevano rilievo, necessitando allo scopo l'autorizzazione dell'ente proprietario della strada. Conclusivamente, quindi, per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere rigettato. In difetto di difese dell'intimata non v'è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di Cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 aprile 2007. Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2007. IMPIANTO PUBBLICITARIO: SE C’E’ MUTAMENTO DEL TERRITORIO E’ NECESSARIO IL TITOLO EDILIZIO. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - sentenza 17 maggio 2007 n. 2497

Occorre concessione edilizia per l’installazione di un impianto pubblicitario allorchè la sua realizzazione comporti un sostanziale mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio ed in particolare nel caso di impianto pubblicitario di dimensioni non trascurabili che sia infisso stabilmente al suolo. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, (Quinta Sezione) ha pronunciato la seguente DECISIONE sul ricorso in appello n. 10628/1997, proposto da A.P. Italia s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv.to Ruggero Frascaroli, elettivamente domiciliata presso di lui in Roma, viale Regina Margherita n. 46; Contro Comune di Assisi, rappresentato e difesi dagli avv.ti Umberto Segarelli e Tosca Molini, elettivamente domiciliato presso il primo in Roma, via G. B. Morgagni n. 2/A; per la riforma della sentenza TAR Umbria, Sez. I, n.479/1997, con la quale è stato respinto il ricorso proposto dalla società A. P. Italia; Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Vista la costituzione in giudizio del Comune di Assisi; Visti gli atti tutti della causa; Nominato relatore all’udienza del 12 dicembre 2006 il Consigliere Aniello Cerreto ed udito, altresì, l’avv. Segarelli; Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue: FATTO e DIRITTO 1.Con l’appello in epigrafe la società A.P. Italia ha fatto presente che aveva a suo tempo installato n. 3 cartelloni pubblicitari dopo aver ottenuto regolare autorizzazione dall’Ente proprietario della strada; che il comune di Assisi, benché i cartelloni fossero stati collocati fuori dell’agglomerato urbano, aveva adottato ordinanze di sospensione e di demolizione; che il ricorso proposto al TAR Umbria era stato rigettato sull’erroneo presupposto che l’installazione dei cartelloni, in relazione alle dimensioni non trascurabili e per l’infissione stabile al suolo, richiedesse la concessione edilizia, anche in considerazione di quanto previsto dal regolamento edilizio (non impugnato) che espressamente includeva tra le opere assoggettate ad autorizzazione comunale anche la installazione di cartelli pubblicitari. L’appellante ha quindi dedotto quanto segue: -contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, i poteri autorizzatori in materia di cartelli pubblicitari spettano unicamente all’Ente proprietario della strada (nella specie ANAS) , non avendo il Comune alcuna potestà al riguardo; -non era perciò necessaria la licenza edilizia, come del resto ritenuto dalla Corte di Cassazione penale con la sentenza n.647/1990; -il Comune perciò non aveva il potere di subordinare l’installazione di cartelloni pubblicitari all’autorizzazione comunale mediante il regolamento edilizio, che perciò doveva essere disapplicato dal giudice. Costituitosi in giudizio, il Comune di Assisi ha chiesto il rigetto dell’appello, rilevando quanto segue: -l’Ente proprietario della strada ha il potere di consentire o meno l’istallazione dei cartelloni pubblicitari nell’ambito delle materie gestione delle strade e sicurezza della circolazione; -l’incidenza urbanistica dei cartelloni pubblicitari rientra invece nei poteri del comune;

-nella specie il TAR ha ritenuto che i cartelloni pubblicitari avevano determinato una trasformazione urbanistica del territorio ai sensi dell’art. 1 L n.10/1977; -al giudice non era consentito disapplicare il regolamento edilizio, trattandosi di normativa non in contrasto con la legge. All’udienza del 12 dicembre 2006, l’appello è passato in decisione. 3.L’ appello è infondato. Il TAR ha correttamente distinto in materia di impianti pubblicitari tra i poteri spettanti all’Ente proprietario della strada ai fini della gestione e della sicurezza delle strade ed i poteri spettanti al comune ai fini urbanistici ed edilizi. Tale orientamento è confermato dalla giurisprudenza penale della Cassazione, la quale non esclude in assoluto la necessità della concessione edilizio per l’installazione degli impianti pubblicitari (come invece ritenuto dall’appellante) ma richiede il titolo abilitativo del Comune allorché vi si un sostanziale mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio (V. Cass. pen. sez. 3°, n.5328 del 145.1.2004 e precedenti ivi indicati). Nella specie il TAR ha ritenuto necessaria la concessione edilizia proprio in considerazione sia delle dimensioni non trascurabili dell’impianto pubblicitario sia per l’infissione stabile al suolo dell’impianto stesso, aspetto peraltro non contestato in appello. Il TAR ha poi rinvenuto solo conferma della necessità dell’autorizzazione comunale nel regolamento edilizio comunale, che richiede espressamente tale autorizzazione per l’installazione degli impianti pubblicitari (art.2). Di conseguenza diventa irrilevante nel caso in esame la questione sollevata dall’appellante in ordine al dovere del giudice di disapplicare i regolamenti adottati in carenza di potere, a parte la sussistenza del potere del comune di regolamentare la materia in questione dal punto di vista urbanistico-edilizio come in precedenza precisato (v. ora art. 3 D. L.vo 15 novembre 1993 n.507 e successive modificazioni). 4.Per quanto considerato, l’appello va respinto. Le spese del presente grado di giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), respinge l’appello indicato in epigrafe. Condanna l’appellante al pagamento a favore dell’Amministrazione resistente delle spese di giudizio, liquidate complessivamente in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre I.V.A. e C.P.A. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 dicembre 2006, con l’intervento dei magistrati: Raffaella Iannotta Presidente Raffaele Carboni Consigliere Paolo Buonvino Consigliere Marco Lipari Consigliere Aniello Cerreto Consigliere estensore L’ESTENSORE IL PRESIDENTE F.to Aniello Cerreto F.to Raffaele Iannotta DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 17 maggio 2007. CARTELLI PUBBLICITARI LUNGO LE STRADE: NON SI APPLICA L’ISTITUTO DEL SILENZIO-ASSENSO Cassazione Civile., sez. II - Sentenza n. 4869 del 1 marzo 2007 Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 7.3.03 Attiva s.n.c. proponeva opposizione all’ordinanza ingiunzione della sanzione pecuniaria notificata in data 26.2.03, per violazione dell’art. 23, co. 7 e 11, C.d.S. (esposizione di cartelloni pubblicitari senza la preventiva autorizzazione), in relazione al verbale di contestazione n. 170403 D elevato dalla Polizia Stradale di Novara alle ore 11 dello stesso giorno. Sosteneva l’opponente di avere inoltrato regolare domanda alla Provincia di Novara e di averne ricevuto riscontro via fax, ma, essendo il provvedimento negativo intervenuto a distanza di 127 giorni dal ricevimento della relativa istanza, dovevasi ritenere che il provvedimento autorizzativo era intervenuto in forza del silenzio assenso formatosi sulla relativa richiesta ex art. 20 legge n. 241/90. L’Ufficio Territoriale del Governo di Novara, costituitosi, si esprimeva per il rigetto dell’opposizione perché infondata. Il giudice di pace di Novara con sentenza n. 191/03 rigettava l’opposizione e compensava le spese di lite, ritenendo inapplicabile alla fattispecie in oggetto l’istituto del silenzio-assenso. Per la tassazione della decisione ricorre Attiva s.n.c. esponendo tre motivi; nessuna difesa e stata svolta dall’Amministrazione resistente. Motivi della decisione. Con il primo motivo di ricorso, deducendo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, si censura la sentenza impugnata nel punto in cui ha, prima, escluso l’applicabilità dell’istituto del silenzio-assenso e, poi, ritenuto. Ma, anche ritenendo applicabile l’istituto del silenzio-assenso, resterebbe comunque da verificare la legittimità della domanda. Si sostiene che il legislatore con la legge n. 241/90 ha inteso indicare un termine entro cui l’Amministrazione deve rispondere alle istanze dei privati; collegato D.P.R. 9 maggio 1994 n. 407 reca l’elenco delle attività sottoposte a tale disciplina e al punto 81 di detto elenco fissa il termine di giorni trenta, decorrente dal deposito della richiesta, trascorsi inutilmente i quali la richiesta di autorizzazione allo svolgimento di detta attività devesi considerare accolta. Il motivo è infondato. Ed invero, l’istituto del silenzio-assenso, previsto dall’art. 20 legge n. 241 del 1990 come regola generale nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, non è di portata illimitata, bensì contiene deroghe per atti e procedimenti indicati nel comma quarto dello stesso articolo, tra i quali sono specificamente elencati quelli che attengono alla pubblica sicurezza e all’incolumità pubblica. Orbene, l’art. 23 codice della strada espressamente stabilisce, per ragioni attinenti alla sicurezza della circolazione, che i cartelli pubblicitari, in ogni caso, non possono essere apposti lungo le strade senza la dovuta autorizzazione. Con il secondo motivo di ricorso, deducendo violazione dell’art. 200 C.d.S. e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, si censura la sentenza impugnata per avere omesso l’accertamento circa il numero dei cartelli impiantati e il luogo ove sarebbero stati collocati. Si sostiene che nel verbale oggetto del presente ricorso, la Polizia Stradale di Romagnano Sesia avrebbe verbalizzato che l’infrazione sarebbe stata commessa al km 145 dell’autostrada A/26; di contro successivamente era stata contestata la collocazione di “un grosso cartello pubblicitario sulla SP 299 al Km 24+720, di modo che quali siano i cartelli in oggetto ed ove siano collocati non risulta assolutamente certo”. Il motivo è inammissibile, perché incontra il vizio di autosufficienza del ricorso, non essendo stato riprodotto in ricorso il contenuto della parte del verbale cui si fa riferimento né specificato in quale parte dell’atto di apposizione sarebbe stata sollevata la relativa questione. Vale comunque considerare che emerge in maniera chiara dal contesto della sentenza impugnata che il posizionamento del cartellone pubblicitario è stato evidenziato nella

documentazione grafica e fotografica depositata dallo stesso opponente ed ha formato oggetto di verifica da parte dello stesso giudicante con l’accesso in loco. Con il terzo motivo, deducendo violazione del decreto legislativo 15.11.93, n. 507 si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto irrilevante, ai fini della decisione, la ricevuta di versamento della tassa di pubblicità pagata all’impianto, in quanto non proveniente dal Comune, bensì dalla concessionaria Duomo GPH srl . Si sostiene che il predetto decreto legislativo disciplina la materia del pagamento delle imposte sulla pubblicità e che a tale tassazione sono sottoposti anche i cartelli collocati su terreni privati, come quelli in oggetto; conseguentemente risulterebbe provato che il Comune di Romagnano Sesia aveva considerato regolare il cartello in questione e, quindi, soggetto a versamento della relativa imposta. In assenza della prova che la tassa di pubblicità sia stata versata su richiesta del Comune interessato, devesi condividere il giudizio di irrilevanza della stessa ricevuta ai fini decisionali. Ne consegue il rigetto del ricorso, senza obbligo di statuizione sulle spese di giudizio, stante che l’intimato non ha svolto attività difensiva. P.Q.M. rigetta il ricorso; nulla per le spese. Così deciso in Roma addì 5.12.06 Depositato in Cancelleria il 1° marzo 2007 SANZIONI AMMINISTRATIVE - IMPIANTI PUBBLICITARI - CONCORSO FORMALE CON ARTICOLO 25 CdS. SENTENZA N. 5412 DEL 09/03/2007 La collocazione di impianti pubblicitari su suolo pubblico senza autorizzazione comporta la violazione, a mezzo di tale unica condotta, sia dell'art.23 del codice della strada (che vieta la collocazione sulla sede stradale e sulle sue pertinenze, o in prossimità della stessa, di "insegne, cartelli, manifesti, impianti di pubblicità o propaganda, segni orizzontali reclamistici, sorgenti luminose, visibili dai veicoli transitanti sulle strade, che per dimensioni, forma, colori, disegno e ubicazione possono ingenerare confusione con la segnaletica stradale, ovvero renderne difficile la comprensione o ridurne la visibilità o l'efficacia, ovvero arrecare disturbo visivo agli utenti della strada o distrarne l'attenzione, con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione"), sia dell’art.25 (che vieta, invece, di utilizzare "con propri impianti ed opere", senza autorizzazione dell'ente proprietario, la sede stradale e le relative pertinenze). SENTENZA sul ricorso proposto da: AGA ROSSI PEPPINO in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro tempore della A.P. Italia, elettivamente domiciliato in ROMA VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell'avvocato IOANNUCCI Mattia, che lo difende, giusta procura speciale a margine del ricorso; - ricorrente - contro PREFETTURA DI FIRENZE; - intimata - avverso la sentenza n. 553/04 del Giudice di Pace di FIRENZE dell'11.2.04, depositata il 12/02/04; udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio il 22/09/06 dal Consigliere Dott. Umberto ATRIPALDI; lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. FULVIO UCCELLA che ha concluso per il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La S.r.l. A.P. Italia ha impugnato, nei confronti della Prefettura di Firenze, con ricorso notificato il 26.3.05, la sentenza del Giudice di Pace di Firenze, depositata il 12.2.04, che le aveva rigettato l'opposizione all'ordinanza ingiunzione del Prefetto di Firenze, inerente alla violazione dell'art. 25 C.d.S., per aver posto "nella fascia di pertinenza stradale", un telaio metallico senza la prescritta autorizzazione. Lamenta la violazione degli artt. 23 e 25 C.d.S., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, dato che il Giudice di Pace non aveva applicato il principio di specialità, ritenendo erroneamente che la violazione dell'art. 23 C.d.S., contestatele per l'applicazione di un cartello pubblicitario su un telaio, costituisse un'infrazione diversa. La Prefettura non resiste. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è affetto da manifesta infondatezza. Infatti mentre l'art. 23 C.d.S., vieta l'affissione pubblicitaria non autorizzata comunque "visibile" dalle strade, indipendentemente dal fatto che il relativo impianto occupi o meno il suolo pubblico; l'art. 25 C.d.S., ha invece per oggetto in modo specifico l'occupazione non autorizzata della proprietà stradale; e di conseguenza, essendo diversi gli interessi tutelati, in alcun modo la previsione di cui all'art. 25 C.d.S., può ritenersi assorbita in quella di cui all'art. 23 C.d.S.. Donde quando, come nella verificatasi ipotesi, un impianto pubblicitario, collocato sul suolo pubblico, è privo di ogni autorizzazione, viola entrambe le distinte menzionate disposizioni; che risultano pertanto legittimamente applicate in modo concorrente. L'omessa costituzione della Prefettura, esonera dalla liquidazione delle spese. P.Q.M. Respinge il ricorso. Così deciso in Roma, il 22 settembre 2006. Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2007.