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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE RACCOLTA DEI CRITERI ED INDIRIZZI DELL’AUTORITÀ DI BACINO REGIONALE IN MATERIA DI PIANIFICAZIONE DI BACINO PER L’ASSETTO IDROGEOLOGICO Settembre 2013

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

RACCOLTA

DEI CRITERI ED INDIRIZZI

DELL’AUTORITÀ DI BACINO REGIONALE

IN MATERIA DI PIANIFICAZIONE DI BACINO

PER L’ASSETTO IDROGEOLOGICO

Settembre 2013

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PREMESSA AL DOCUMENTO

Il presente testo coordinato rappresenta la raccolta dei criteri, indirizzi e chiarimenti emanati dall’Autorità di Bacino regionale in materia di pianificazione di bacino per l’assetto idrogeologico. Si tratta dell’aggiornamento della raccolta dei documenti fondamentali di riferimento per la redazione dei piani di bacino regionali pubblicata nel marzo 2009. La precedente versione è stata, pertanto, emendata dei documenti superati nel frattempo a seguito dell’emanazione di più recenti direttive che, in qualche caso, approfondiscono e modificano, nell’arco del tempo trascorso, i precedenti indirizzi in materia. I documenti fondamentali di riferimento sono costituiti dai testi integrati dei criteri e della normativa tipo per la redazione dei regimi normativi dei piani di bacino ex allegati 1 e 2 della DGR n.1265/2011 modificati dai rispettivi allegati della DGR n.1208/2012. Sono stati, inoltre, forniti indirizzi interpretativi e chiarimenti sui criteri, nonché emanati ulteriori indirizzi procedurali e/o nuovi criteri su aspetti specifici della normativa di che trattasi. Nel seguito vengono pertanto riportati gli estratti dei documenti di rilievo per la pianificazione di bacino regionale. Al fine di agevolare la lettura e la consultazione del manuale, i testi sono stati raggruppati in base alle tematiche relative agli aspetti generali e normativi, all’assetto idraulico e a quello geologico. Restano invariati il valore e l’efficacia dei provvedimenti originari.

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Indice dei documenti

Aspetti generali e normativi

1. Criteri e normativa-tipo per la redazione della normativa di attuazione dei piani di bacino stralcio per l’assetto idrogeologico.

• Documento 1.1. Testo integrato dei criteri per la redazione della normativa dei piani di bacino stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico ex allegato 1 DGR n. 1265/2011 modificato da allegato 1 DGR n.1208/2012

• Documento 1.2. Testo integrato della Normativa tipo dei piani di bacino

stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico ex allegato 2 DGR n.1265/2011 modificato da allegato 1 DGR n.1208/2012, quale esempio tecnico di conformità ai criteri per la redazione della normativa di attuazione dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico.

2. Indirizzi interpretativi e chiarimenti dei crite ri e della normativa-tipo

• Documento 2.1. Indirizzi interpretativi e chiarimenti dei criteri per la redazione della normativa dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico. Allegato 1 alla DGR n.848/2003

• Documento 2.2. Indirizzi interpretativi in merito alle definizion i

urbanistiche richiamate nella normativa dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico. Allegato 1 alla DGR n.723/2013

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3. Indirizzi procedurali

• Documento 3.1. Indirizzi procedurali e modalità operative per il funzionamento dell’Autorità di bacino regionale ai sensi dell’art 3, c.1, lett.h) e dell’art.8 c. 5 della l.r. n. 58/2009. Istanze di variante ai piani di bacino vigenti – DGR n.894/2010.

• Documento 3.2. Integrazioni agli indirizzi procedurali di cui alla DGR n.894/2010 - DGR n.987/2011.

• Documento 3.3. Indirizzi procedurali e modalità operative per il funzionamento dell’Autorità di Bacino regionale ai sensi dell’art 3, c.1, lett.h) e dell’art.8 c. 5 della l.r. n.58/2009 ed in ottemperanza del disposto di cui all’art.3, c.1 lett.g) e art. 11 c.4, lett.b). Espressione dei parere di compatibilità degli interventi di sistemazione idraulica e geologica ex art. 5, c.1, lett.d) - DGR n.1361/2010

Aspetti relativi all’assetto idraulico

• Documento 4.1 . Indirizzi procedurali per l'aggiornamento dei piani di bacino regionali vigenti in relazione a modifiche d ei valori delle portate di piena di riferimento - Allegato 1 alla DGR n.1634/2005.

• Documento 4.2. Indirizzi per la riperimetrazione delle fasce di

inondabilità nell'ambito della pianificazione di bacino stralcio per l'assetto idrogeologico di rilievo regionale:

a) Riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di interventi

di sistemazione idraulica - Allegato 1 alla DGR n.16/2007

b) Riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di studi di

maggior dettaglio - Allegato 2 alla DGR n.16/2007 -

• Documento 4.3. Criteri e direttive in materia di asportazione di materiale litoide dai corsi d'acqua dei bacini idrografici regionali:

a) Criteri e direttive in materia di asportazione di materiale litoide dai corsi d’acqua - Allegato 1 alla DGR n.226/2009

b) Raccomandazioni tecniche per la valutazione egli effetti morfodinamici nell’ambito della redazione di studi e progetti di interventi idraulici in attuazione della DGR n.226/2009 e ad integrazione del Manuale di Morfodinamica

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• Documento 4.4 . Criteri per la individuazione di aree a minor pericolosità relativa e di ambiti normativi nella f ascia B dei paini di bacino stralcio per l’asseto idrogeologico - Allegato 1 alla DGR n.91/2013.

Aspetti relativi all’assetto geologico

• Documento 5.1. Indirizzi per riperimetrazione e riclassificazione delle frane attive e quiescenti che determinano aree a su scettività elevata e molto elevata , a seguito di studi di maggior dettaglio nella pianificazione di bacino di rilievo regionale - Allegato 1 alla DGR 1338/2007

• Documento 5.2. Integrazioni e specificazioni alla dgr 1338/07 recante "Indirizzi per la riperimetrazione e riclassificazione delle frane attive e quiescenti, che determinano aree a suscettività al dissesto elevata e molto elevata, a seguito di studi di maggior dettaglio nella pianificazione di bacino di rilievo regionale - Allegato 1 alla DGR n. 265/2010

• Documento 5.3. Criteri per la definizione di classi di pericolosi tà relativa in aree a suscettività al dissesto elevata e molto elevata per frana a cinematica ridotta - Allegato 2 alla DGR n. 265/2010

• Documento 5.4. Criteri in materia di riordino del vincolo idrogeo logico – Aggiornamento della cartografia di riferimento - Allegato 1 alla DGR n. 1795/2009

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

TESTO INTEGRATO DEI CRITERI PER LA REDAZIONE DELLA NORMATIVA DI

ATTUAZIONE DEI PIANI DI BACINO PER LA TUTELA DAL RISCHIO IDROGEOLOGICO

E RELATIVI ALLEGATI TECNICI

Documento approvato con DGR n.1265/2011 modificato ed integrato con DGR 1208/2012

Documento 1.1

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Testo integrato dei criteri per redazione normativa Dgr n.1265/2011 e Dgr n.1208/2012

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ALLEGATO 1 ALLA DGR N .1265/2011 MODIFICATO ED INTEGRATO DA ALLEGATO 1

ALLA DGR N .1208/2012

TESTO INTEGRATO DEI CRITERI PER LA REDAZIONE DELLA NORMATIVA DI ATTUAZIONE DEI PIANI DI BACINO PER LA TUTELA DAL RISCHIO IDROGEOLOGICO

E RELATIVI ALLEGATI TECNICI Premessa

Il presente elaborato si inserisce nell’ambito della complessa attività di indirizzo e coordinamento connessa alla pianificazione di bacino, posta in essere dall’Autorità di Bacino di rilievo regionale al fine di standardizzare ed omogeneizzare i criteri e i metodi relativi alla individuazione delle aree a rischio di inondazione e di frana sul territorio regionale e le conseguenti modalità di utilizzazione del suolo, che consentano la tutela dal rischio idrogeologico e la salvaguardia della pubblica incolumità. Nell’elaborazione dei presenti indirizzi si è tenuto conto dei criteri e delle raccomandazioni già adottate dall’Autorità di bacino di rilievo regionale e dei risultati della attività di pianificazione in corso, oltreché a quanto previsto dall’atto di indirizzo e coordinamento per l’individuazione dei criteri relativi agli adempimenti di cui all’art. 1, commi 1 e 2, del D.L. 180/98 di cui al DPCM del 29/09/1998.

Con i presenti criteri si persegue la finalità di garantire l’omogeneità di gestione del rischio idrogeologico sul territorio regionale, in modo che situazioni di uguale pericolosità abbiano identico regime di salvaguardia. A tal fine relativamente alla pericolosità idraulica ed alla pericolosità geomorfologica, sono individuati gli indirizzi di gestione del territorio, che consentono il non aumento del rischio idrogeologico attuale e la salvaguardia della pubblica incolumità. In particolare, tali criteri individuano i contenuti minimi essenziali della normativa relativa ai piani di bacino stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico da adottarsi entro giugno 2001 ai sensi del comma 1, art.1, del D.L. 180/98, che, ai sensi del comma 6ter, dell’art. 17 della L. 183/89, costituiscono uno stralcio per settori funzionali, e che pertanto rappresentano parte integrante dei piani di bacino, anche stralcio, già in fase di elaborazione. In ogni caso detti contenuti sono suscettibili di integrazioni in termini di individuazione di aree, di tematiche trattate, di maggiore dettaglio degli studi, restando ferma la possibilità di adottare normative con contenuti più restrittivi.

1. Schema della normativa Al fine di garantire una facile lettura ed applicazione delle norme di attuazione del piano di bacino l’elaborazione della normativa di cui trattasi può essere effettuata alla luce delle indicazioni contenute nella raccomandazione n. 6/99 “Schema di normativa tipo di un piano stralcio per l’assetto idrogeologico”, approvata dal Comitato Tecnico Regionale dell’Autorità di bacino di rilievo regionale nella seduta dell’11.2.1999, che fornisce la struttura dell’articolato di una normativa tipo per un piano di bacino stralcio per l’assetto idrogeologico. Peraltro in considerazione del contenuto minimo, che connota i piani stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico da adottarsi ai sensi del D.L.180/98, il suddetto schema può essere semplificato come segue:

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Testo integrato dei criteri per redazione normativa Dgr n.1265/2011 e Dgr n.1208/2012

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Titolo I. Finalità, contenuti ed elaborati del Piano

Titolo II Disciplina dell’assetto idrogeologico

a) Norme di carattere generale: settore idraulico e settore idrogeologico b) Disciplina assetto idraulico

c) Disciplina assetto geomorfologico Titolo III Interventi di sistemazione idrogeologica e di mitigazione del rischio

Titolo IV Attuazione del piano

Titolo V Norme finali e transitorie

In ogni caso la normativa del piano può essere integrata con allegati tecnici ed esplicativi.

2 Norme di carattere generale Il redigendo piano di bacino deve prevedere norme generali sia di carattere idrogeologico sia di carattere idraulico.

2.1 Norme generali di carattere idrogeologico per l a prevenzione del dissesto

Su tutto il territorio del bacino valgono i seguenti criteri di carattere generale che devono essere recepiti e sviluppati dalle norme di attuazione degli strumenti urbanistici comunali, nonché dalle specifiche norme di settore:

a) al fine di prevenire i fenomeni di dissesto - non sono consentiti gli interventi che richiedano sbancamenti e riporti, che incidano

negativamente sulla configurazione morfologica esistente o compromettano la stabilità dei versanti;

- deve essere mantenuta efficiente la rete scolante generale (fossi, cunette stradali) e la viabilità minore (interpoderale, poderale, forestale, carrarecce, mulattiere e sentieri) che, a tal fine, deve essere dotata di cunette tagli acqua e di altre opere similari;

- in occasione di scavi connessi alla realizzazione di interventi urbanistico-edilizi, qualora sia individuata la presenza di acque sotterranee, devono essere eseguite idonee opere di intercettazione;

- nei territori boscati in abbandono e nelle aree cespugliate e prative ex coltivi, vanno favoriti sistematici interventi di recupero qualitativo dell’ambiente mediante l’introduzione di specie arboree ed arbustive conformi alle tipologie individuate dalla normativa forestale, tenuto conto delle funzioni del loro apparato radicale a contributo del consolidamento dei suoli ;

- le attività agro-forestali, al fine di non incidere negativamente sulla stabilità dei versanti, devono darsi carico, anche in base a specifiche normative e regolamenti di settore, di provvedere ad una adeguata gestione del soprassuolo, convogliare le acque di sorgente e di ristagno idrico nel reticolo di scolo, impostare adeguati canali di raccolta delle acque e mantenerne nel tempo la loro efficienza;

- si richiama, in ogni caso, il rispetto delle previsioni in merito alla gestione ed al miglioramento dei boschi e dei pascoli e delle relative modalità di utilizzazione previste dai Piani di assestamento ed utilizzazione del patrimonio silvo-pastorale, definiti ai sensi dell’art. 19 della l.r. n. 4/99;

b) al fine di preservare i suoli nelle aree percorse da incendi boschivi devono essere approntate misure di contenimento dell’erosione del suolo, anche mediante l’utilizzo del materiale legnoso a terra e di quello ricavato dal taglio dei fusti in piedi gravemente compromessi e/o in precarie condizioni di stabilità. Ove ricorrano condizioni di possibile rischio di fluitazione del rimanente materiale legnoso a terra per effetto di eventi meteorici, devono essere adottate idonee misure di rimozione, riduzione o sistemazione dello stesso;

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Testo integrato dei criteri per redazione normativa Dgr n.1265/2011 e Dgr n.1208/2012

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c) al fine di mantenere le caratteristiche naturali del territorio, la realizzazione degli interventi di sistemazione è subordinata, per quanto possibile, all’impiego di tecniche naturalistiche, di rinaturalizzazione degli alvei dei corsi d’acqua e di opere di ingegneria ambientale volte alla sistemazione dei versanti.

d) al fine di migliorare il sistema di smaltimento delle acque superficiali e di favorirne il riuso in sito, ogni intervento che comporti una diminuzione della permeabilità del suolo si deve dare carico, in primo luogo, di mettere in atto misure di mitigazione tali da non aumentare, nell’areale di influenza, l’entità delle acque di deflusso superficiale e sotterraneo rispetto alle condizioni precedenti all’intervento stesso; inoltre, la realizzazione del un nuovo intervento deve, altresì, costituire occasione di miglioramento dell’efficienza idraulica della porzione di bacino interessato. In particolare nei centri urbani la realizzazione di nuove edificazioni o di opere di sistemazione superficiale di aree pubbliche e private, deve essere subordinata all’esecuzione di specifici interventi ed accorgimenti tecnici atti a conservare un’adeguata percentuale di naturalità e permeabilità del suolo. Gli strumenti urbanistici generali, nel recepire tali indicazioni, sono tenuti a prevedere specifiche disposizioni e misure volte a regolamentare ed a prevenire le conseguenze degli interventi di impermeabilizzazione dei suoli tenendo conto delle specifiche caratteristiche territoriali a scala locale, nonché delle criticità idrauliche e dell’adeguatezza dell’intera rete utilizzata per lo smaltimento delle acque. In ogni caso sia le norme di attuazione dei piani comunali sia gli elaborati di progetto dei singoli interventi dovranno contenere specifiche indicazioni a riguardo degli interventi che producono impermeabilizzazione del suolo finalizzate alla loro limitazione, alla mitigazione delle relative conseguenze, nonché all’attuazione di forme di compensazione, in particolare dovranno:

- prevedere adeguati sistemi di regimazione delle acque piovane atte a rallentarne lo smaltimento, impiegando, nella realizzazione di nuovi spazi pubblici o privati o di loro eventuali risistemazioni (piazzali, parcheggi, aree attrezzate, impianti sportivi, viabilità ecc), modalità costruttive che favoriscano, in via preferenziale, l’infiltrazione delle acque nel terreno, quali pavimentazioni drenanti e permeabili, verde pensile, e tecniche similari e, qualora ancora necessario per la ritenzione temporanea delle acque, la realizzazione di idonee reti di regolazione e drenaggio;

- indirizzare, soprattutto a fronte di interventi che comportano un significativo impatto, a mettere in atto adeguate forme di compensazione finalizzate al riequilibrio tra le superfici impermeabilizzate e quelle naturali attraverso la previsione di interventi di rinaturalizzazione di aree già impermeabilizzate a fronte della sigillatura di superfici permeabili.

- incentivare il riuso in sito delle acque raccolte; - mantenere le acque nel bacino idrografico di naturale competenza; - assicurare il definitivo convogliamento delle acque delle reti di drenaggio in fognature o in

corsi d’acqua adeguati allo smaltimento. Resta inteso che l’infiltrazione delle acque meteoriche nel terreno deve essere perseguita, purché non interferisca con areali in frana e non induca fenomeni di erosione superficiale, di ristagno, di instabilità nel terreno o danni ai manufatti esistenti a valle. Sulla base degli indirizzi sopra espressi i Comuni promuovono, anche a riguardo delle aree già edificate, la realizzazione od il miglioramento dei sistemi di raccolta e di regimazione delle acque meteoriche.

2.2 Norme generali di carattere idraulico Nel Piano devono essere disciplinati i seguenti elementi, la cui individuazione rileva ai fini della pericolosità idraulica.

a) Reticolo idrografico significativo ai fini dell’ applicazione della disciplina del piano di bacino

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Testo integrato dei criteri per redazione normativa Dgr n.1265/2011 e Dgr n.1208/2012

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Fermo restando il principio generale secondo il quale, ai sensi del c. 1, dell’art.1 del D.P.R. 18 febbraio 1999 n.238, attuativo di alcune disposizioni della legge n.36/1994, tutte le acque sotterranee e le acque superficiali, anche raccolte in invasi e cisterne appartengono allo Stato e pertanto sono pubbliche, viene definito reticolo idrografico significativo ai fini della Pianificazione di Bacino stralcio per l’Assetto Idrogeologico la parte di reticolo idrografico sulla quale si applica la disciplina vincolistica dei piani di bacino.

Sulla base dell’articolazione del reticolo definita nel Regolamento regionale n. 3/20111 in materia di tutela delle aree di pertinenza dei corsi d’acqua, il reticolo significativo ai fini dell’applicazione normativa dei piani di bacino regionali comprende tutti i tratti delle aste fluviali con bacino imbrifero sotteso superiore a 0,1 Km2, nonché i tratti con bacini inferiori a 0,1 Km2 che presentano fasce di inondabilità perimetrate nei piani di bacino vigenti.

Tale reticolo viene articolato nelle seguenti tre classi al fine di graduare adeguatamente la disciplina connessa:

- Corsi d’acqua principali o di primo livello: aste fluviali con bacino sotteso > 1 Km2

- Corsi d’acqua secondari o di secondo livello: aste fluviali con bacino sotteso compreso tra 1 e 0,25 Km2

- Corsi d’acqua minori o di terzo livello: aste fluviali con bacino sotteso compreso tra 0,25 e 0,1 Km2, con l’aggiunta delle aste con bacini inferiori a 0,1 km2 con fasce di inondabilità perimetrate nei piani di bacino vigenti.

Sul reticolo idrografico significativo ai fini della pianificazione di bacino si applica, pertanto, la disciplina del piano di bacino, con le modifiche ed integrazioni di seguito disposte, finalizzate a graduare i vincoli in funzione della rilevanza dei corsi d’acqua.

Nelle more della definizione della carta del reticolo idrografico univoca su tutto il territorio regionale, attualmente in corso da parte della Regione Liguria, nell’ambito del piano si dovrà specificare la carta del reticolo idrografico assunta a riferimento, ferma restando in ogni caso la natura vincolante della norma.

b) La portata di piena di progetto e i relativi fra nchi minimi di sicurezza La portata da assumere è quella con tempo di ritorno duecentennale individuata nella relazione generale del Piano, sulla base degli studi ad esso propedeutici. Detta portata può essere motivatamente modificata al sopravvenire di nuove evidenze scientifiche o di studi idrologici di maggior dettaglio 2 3. Nel caso di interventi che rappresentino fasi realizzative intermedie di interventi di sistemazione idraulica o che concorrano a migliorare significativamente il deflusso delle piene in caso di impossibilità di realizzazione di interventi definitivi a breve termine, può essere assunta una diversa portata di piena previo parere favorevole della Provincia.4

1 Il Regolamento regionale n. 3/2001, recante “Dispos izioni in materia di tutela delle aree di pertinenza dei corsi d’acqua” è stato emanato in da ta 14/07/2011, pubblicato sul Bollettino Ufficiale Regionale n. 13, parte I, del 20.07.2011, ed entrato in vigore il 21.07.2011. 2 Ai fini della modifica od aggiornamento dei valori di riferimento delle portate di massima piena a diversi periodi di ritorno si rimanda alle “linee g uida per la verifica e valutazione delle portate e degli idrogrammi di piena attraverso studi idrologici di dettaglio nei bacini idrografici liguri”, di cui al la DGR 357/08. 3 Indirizzi procedurali per l’aggiornamento dei piani di bacino in relazione a modifiche dei valori delle portate di piena di riferimento sono stati fo rniti con la DGR 1634/05, allegato 1. 4 In tali casi dovranno essere conseguentemente va lutate le condizioni di pericolosità residua a seguito della realizzazione degli interventi. A tal e proposito si richiama in particolare l’allegato 1 alla

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Testo integrato dei criteri per redazione normativa Dgr n.1265/2011 e Dgr n.1208/2012

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Per quanto riguarda i franchi minimi di sicurezza si rinvia alle indicazioni riportate nell’allegato A al presente atto, del quale costituisce parte integrante e sostanziale.

c) Le fasce di inedificabilità assoluta dai limiti dell’alveo. 5 Al fine di garantire un congruo rispetto dell’ambiente fluviale, indipendentemente dalle condizioni di pericolosità idraulica, si rinvia al contenuto del Regolamento regionale n. 3/2001 per quanto relativo al reticolo significativo di cui alla lettera a). La disciplina di tale regolamento va comunque applicata in modo integrato e complementare rispetto alla disciplina delle aree a diversa pericolosità idraulica posta dal piano di bacino. In caso di eventuali modifiche del suddetto regolamento, l’Autorità di Bacino può stabilire di non recepirle qualora ritenute non compatibili con gli obiettivi e le finalità della pianificazione di bacino regionale.

d) Le fasce di rispetto relative ai tratti di corsi d’acqua non indagati con studi idraulici nell’ambito del piano.

Al fine di evitare che esistano nel bacino zone non soggette alla disciplina prevista dal piano in relazione alla pericolosità idraulica, nel caso di aree interessanti tratti di corsi d’acqua non oggetto di studi idraulici adeguati nell’ambito del piano di bacino, in considerazione del fatto che non è noto l’effettivo stato di pericolosità, ogni qual volta si intenda procedere ad interventi urbanistico-edilizi è necessaria una verifica preventiva della potenziale inondabilità di dette zone. Sono pertanto introdotte fasce di rispetto dai limiti dell’alveo in cui non possono essere consentiti interventi urbanistico-edilizi se non previo parere favorevole della Provincia, basato su uno specifico studio idraulico che individui le fasce di inondabilità delle aree secondo i criteri sottesi alla pianificazione di bacino, con particolare riferimento all’allegato A, per l’intero corso d’acqua o comunque per tratti significativi, sconnessi idraulicamente da tratti limitrofi 6.

Le risultanze dei suddetti studi idraulici sono recepite nelle fasi di aggiornamento del Piano secondo la procedura di cui al comma 5 dell’art. 10 della l.r. 58/2009. L’ampiezza di tale fascia di rispetto è così articolata:

(a) 40 metri per i corsi d’acqua del reticolo significativo definiti come principali; (b) 20 metri per i corsi d’acqua del reticolo significativo definiti come secondari;

(c) 10 metri per i corsi d’acqua del reticolo significativo definiti come minori.

Gli interventi ammissibili in tali fasce senza l’acquisizione del parere della Provincia sono quelli ammessi dalla disciplina della fascia di riassetto fluviale, fatti salvi gli interventi sul patrimonio edilizio esistente che non necessitino valutazioni sulla pericolosità dell’area o di interferenza con eventuali interventi di sistemazione idraulica quali i modesti ampliamenti a fini igienico-sanitari e tecnologici; gli interventi di frazionamento interni ed il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti e, più in generale, le sopraelevazioni che non configurino interventi di nuova costruzione; pali o

DGR 16/2007. 5 A riguardo del regime normativo applicabile nella f ascia di inedificabilità assoluta si rimanda al regolamento regionale n. 3/2011, nonché, per la ric ostruzione storica e quanto ancora di rilievo, alla DGR 1339/2007. Si ricorda anche che con la DGR 359/07, allegato 1, sono stati forniti chiarimenti sulla nozione di “centro urbano” ai fini dell'applicazione della nor mativa-tipo dei piani di bacino stralcio, del tutto applicabili a quanto attualmente previsto dal regol amento regionale n. 3/2011. 6 A questo proposito si veda anche quanto disposto con DGR 16/2007, recante “Indirizzi relativi alla riperimetrazione delle fasce di inondabilità a segu ito di studi di maggior dettaglio e/o alla realizzazione di interventi di sistemazione idrauli ca”.

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Testo integrato dei criteri per redazione normativa Dgr n.1265/2011 e Dgr n.1208/2012

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tralicci, recinzioni, cancelli, tettoie, o similari, purché amovibili in caso di necessità; balconi e sbalzi; la posa in opera di tubi o condotte di servizio.

La disciplina delle suddette fasce di rispetto è da applicarsi in modo integrato e coordinato con quello relativo alle distanze dai corsi d’acqua di cui al regolamento n. 3/2011.

e) Tombinature e coperture. Si rinvia al contenuto del Regolamento regionale n. 3/2001 in relazione alla definizione del reticolo significativo di cui alla lettera a).

In caso di eventuali modifiche del suddetto regolamento, l’Autorità di Bacino può stabilire di non recepirle qualora ritenute non compatibili con gli obiettivi e le finalità della pianificazione di bacino regionale.

3 Disciplina dell’assetto idrogeologico: individuaz ione e disciplina delle categorie di aree

In conformità a quanto previsto dal D.L. 180/1998 i criteri che seguono sono diretti alla gestione delle aree a diversa pericolosità idrogeologica, al fine di prevenire e non aumentare il rischio idrogeologico attuale per le popolazioni, che vivono in dette aree. Sono elaborati sulla base delle classi di pericolosità idrogeologica, individuate nei piani di bacino stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico, distinte in fasce di inondabilità e di riassetto fluviale per la pericolosità idraulica e nelle fasce di suscettività al dissesto di versante per la pericolosità geomorfologica. Tali categorie di aree possono essere integrate o meglio identificate, in considerazione di altri aspetti relativi alla pericolosità idrogeologica, quali lo studio di aree interessate dall’evoluzione dinamica dei fenomeni franosi, l’interazione di fenomeni geomorfologici ed idraulici o la gradazione del livello della pericolosità, nell’ambito delle fasce di inondabilità in considerazione dell’entità dei tiranti idrici e delle velocità di scorrimento.

3.1 Disciplina dell’assetto idraulico 7 Ai fini della determinazione della disciplina relativa alle diverse categorie di aree sopra richiamate, si rinvia alla raccomandazione n.7/99 “Definizione delle fasce di inondabilità e di riassetto fluviale”, approvata dal Comitato Istituzionale il 30.04.1999, da integrare con le indicazioni di seguito enunciate.

a) Alveo Attuale. Si rinvia al contenuto del Regolamento regionale n.3/2001 per quanto di rilievo rispetto alla definizione del reticolo significativo di cui alla lettera a), fermo restando che in caso di eventuali modifiche del suddetto regolamento, l’Autorità di Bacino può stabilire non recepirle qualora ritenute non compatibili con gli obiettivi e le finalità della pianificazione di bacino regionale.

Oltre a quanto stabilito nel regolamento stesso, e fermo restando quanto disposto dalla disciplina di cui al R.D. 523/1904, si specifica che nell’alveo dei corsi d’acqua non deve essere in ogni caso previsto alcun tipo di nuova edificazione, di ampliamento dei manufatti esistenti o di recupero del patrimonio edilizio esistente eccedenti la manutenzione ordinaria come definita dalla lett. a), c.1,

7 Si richiama l’allegato 1 alla DGR 848/03, che ri porta indirizzi interpretativi e chiarimenti dei cr iteri per la redazione della normativa dei piani di bacin o per la tutela dal rischio idrogeologico di cui alla DGR 357/01, nel quale sono forniti, tra l’ altro, chiarimenti ed indirizzi interpretativi su specifiche definizioni di tipo urbanistico-edilizio nell’ottica della pianificazione di bacino. In particolare si specifica che il richiamo alle ca tegorie edilizie riportate negli articoli seguenti è solo finalizzato alla definizione degli interventi stess i ai fini della pianificazione di bacino, indipendentemente quindi dalla loro vigenza a fini urbanistici. I limiti e i divieti della disciplina del piano, infatti, vanno necessariamente riferiti alla natura sostanziale degli interventi a prescindere dalla categoria in cui gli stessi sono ascritti in base allo strumento urbanistico.

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art. 31, l. n.457/78, né l’installazione di manufatti anche non qualificabili come volumi edilizi né la sistemazione di aree, che comportino la permanenza o sosta di persone o veicoli, né depositi di qualsiasi genere. Coerentemente devono invece essere previsti interventi di rimozione dell’esistente.

b) Fascia di riassetto fluviale. Tale fascia comprende le aree esterne all’alveo attuale necessarie per l’adeguamento del corso d’acqua all’assetto definitivo previsto dal Piano. La sua delimitazione è effettuata sulla base delle strategie e delle scelte pianificatorie del Piano e dell’insieme degli interventi strutturali individuati nell’ambito dello stesso. Comprende, in particolare, le aree necessarie al ripristino della idonea sezione idraulica, tutte le forme fluviali riattivabili durante gli stati di piena e le aree da destinare alle opere di sistemazione idraulica previste. Può comprendere aree ritenute di pertinenza fluviale e/o di elevato pregio naturalistico-ambientale limitrofe al corso d’acqua. Poiché l’obiettivo principale conseguito dall’individuazione della fascia di riassetto fluviale è quello di mantenere o di recuperare la disponibilità delle aree necessarie per l’assetto definitivo del corso d’acqua, ne consegue l’inammissibilità di interventi di nuova edificazione, di recupero del patrimonio edilizio esistente eccedenti gli interventi di manutenzione straordinaria come definita dalla lett. b), c.1, art. 31, l. n. 457/78 e di realizzazione di nuove infrastrutture. Sono comunque ammessi gli interventi di restauro e risanamento conservativo, in caso di edifici di interesse storico, architettonico e testimoniale.

Laddove la perimetrazione della fascia di riassetto comprenda aree di pregio naturalistico-ambientale e/o di pertinenza fluviale, riattivabili in caso di piena ma non ricadenti in zone di alveo attivo, quali ad esempio terrazzi fluviali o aree golenali, e sia verificato che la zona non risulti necessaria per il ripristino delle sezioni idrauliche di deflusso attivo o per la realizzazione di opere idrauliche, sono altresì ammessi, previo parere vincolante della Provincia: - interventi volti a mitigare la vulnerabilità degli edifici esistenti, qualora non altrimenti localizzabili in tempi medio-brevi, al fine di traguardare la tutela della pubblica e privata incolumità, senza aumenti di volume, e senza cambiamenti di destinazione d’uso che comportino aumento del carico insediativo;

- installazione di piccoli manufatti connessi alla conduzione di fondi agricoli ovvero previsti nell’ambito di parchi urbani o di aree di verde attrezzato come individuati dagli Strumenti Urbanistici Comunali; - interventi non qualificabili come volumi edilizi finalizzati alla fruibilità naturalistica della zona e la sistemazione di aree non comportante carico residenziale anche temporaneo, a condizione che siano assunte le adeguate misure ed azioni di protezione civile e di tutela della pubblica e privata incolumità, e sia verificato che tali interventi non concorrano ad aumentare le condizioni di rischio in zone limitrofe.

Nell’ambito del parere di cui sopra, la Provincia valuta l’ammissibilità degli interventi in relazione alla sussistenza dei presupposti individuati, nonché alle condizioni di inondabilità delle aree e alla compatibilità degli specifici interventi previsti.

In particolare dovrà essere valutato che gli interventi siano esterni all’alveo attivo e siano in zone non necessarie per la realizzazione di opere idrauliche, non costituiscano significativo ostacolo al deflusso delle acque, siano compatibili con la loro collocazione in funzione degli specifici livelli di pericolosità e delle condizioni di deflusso, anche attraverso l’adozione delle più adeguate tipologie costruttive e degli appropriati accorgimenti tecnico-costruttivi per il non aumento del rischio, risultino assunte specifiche misure di prevenzione e protezione per le singole installazioni nonché le azioni e le misure di protezione civile di cui ai Piani Comunali di settore. I presupposti e le condizioni di cui sopra sono verificati sulla base del quadro conoscitivo del piano, nonché, se del caso, sulla scorta di analisi di maggior dettaglio o studi di compatibilità idraulica da acquisirsi, ove necessario, per gli specifici casi.

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È necessario individuare, già a livello di piano o delle sue varianti, le zone in cui siano ammessi gli interventi sopra individuati, individuando con diverso segno grafico e/o denominazione le due tipologie di zone di fascia di riassetto a cui è associata la differenziazione normativa.

La perimetrazione della Fascia di riassetto fluviale può essere modificata e/o aggiornata nonché estesa a nuovi tratti di corsi d’acqua sulla base dell’acquisizione di nuove conoscenze, di studi o indagini di maggior dettaglio ed a seguito dell’approvazione di progetti di sistemazione idraulica. In particolare, sulla base di specifici progetti di messa in sicurezza può essere prevista la rilocalizzazione dei manufatti esistenti al di fuori della fascia. Posto che in via generale il Piano deve prevedere l’individuazione di una fascia di riassetto fluviale, che consenta il deflusso senza esondazioni della portata duecentennale, può essere prevista una fascia di riassetto dimensionata su portate inferiori in casi particolari a condizione che:

- l’individuazione risulti adeguatamente motivata nella relazione di piano con particolare riferimento ai risultati di un’analisi costi-benefici;

- riguardi centri urbani consolidati, difficilmente delocalizzabili o derivi dalla oggettiva impossibilità di realizzare a breve termine interventi di messa in sicurezza definitiva;

- rappresenti un primo stralcio in grado di produrre una significativa diminuzione del rischio;

- siano individuate le due ipotesi, quella proposta dal piano e quella relativa allo smaltimento della portata duecentennale, che dovrebbe rappresentare comunque un obiettivo di lungo termine.

c) Fasce di inondabilità. Rappresentano porzioni di territorio esterne all’alveo caratterizzate da uguale probabilità di inondazione, e quindi da uguale pericolosità idraulica. Secondo i criteri già forniti dall’Autorità di bacino di rilievo regionale, in accordo anche con indirizzi nazionali, tali fasce rappresentano tre livelli di pericolosità idraulica: elevata, media e bassa.

1) Fascia A - pericolosità idraulica molto elevata (Pi3): aree perifluviali inondabili al verificarsi dell’evento di piena con portata al colmo di piena corrispondente a periodo di ritorno T=50 anni.

In ragione della caratteristica di elevata pericolosità idraulica di tale fascia, possono essere consentiti solo gli interventi edilizi sul patrimonio edilizio esistente fino al restauro e risanamento conservativo come definito dalla lett. c), c.1, art. 31, l. n.457/78, che non aumentino la vulnerabilità e non comportino cambi di destinazione d’uso che aumentino il carico insediativo. Non sono invece consentiti l’installazione di manufatti anche non qualificabili come volumi edilizi o la sistemazione di aree che comportino la permanenza o la sosta di persone. Negli ambiti di tessuto urbano consolidato o da completare possono essere consentiti interventi di ristrutturazione edilizia come definita dalla lett. d), c.1, art. 31, l. n.457/788 purché non aumentino la vulnerabilità rispetto ad eventi alluvionali, anche attraverso l’assunzione di idonee misure e di accorgimenti tecnico-costruttivi, e non comportino cambi di destinazione d’uso, che aumentino il carico insediativo anche temporaneo, e purché risultino assunte le azioni e le misure di protezione civile previste nel Piano stesso e nei piani comunali di protezione civile. Nel caso di interventi di demolizione con ricostruzione deve essere assicurata la riduzione della

8 Ai sensi della L.R. 26 agosto 2001, n. 24, così com e confermato dalla DGR 848/2003, sono compresi tra gli interventi di ristrutturazione edilizia anc he quelli volti al recupero ai fini abitativi dei s ottotetti esistenti. In proposito, è opportuno chiarire che, anche se ur banisticamente può essere considerato cambio di destinazione d’uso, il recupero dei sottotetti, ten uto conto delle finalità proprie della normativa di piano di bacino, deve essere ritenuto ammissibile p urché riguardi edifici aventi destinazione in prevalenza residenziale o turistico-ricettiva che m antengano tale destinazione. Resta fermo in ogni caso ogni altro requisito previsto nel presente cri terio.

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vulnerabilità dell’edificio, anche attraverso la messa in opera di tutti gli accorgimenti e le misure finalizzate a tutelare la pubblica incolumità, fermo restando il rispetto delle condizioni previste per procedere ad interventi di ristrutturazione edilizia come sopra descritte.

Sono inoltre consentiti interventi di manutenzione, ampliamento o ristrutturazione di infrastrutture pubbliche esistenti purché non aumentino le condizioni di rischio. nonché la realizzazione di infrastrutture pubbliche connesse alla mobilità progettate sulla base di uno specifico studio di compatibilità idraulica9) e coniugate alle idonee azioni e misure di protezione civile, e previo parere favorevole della Provincia.

Il Piano peraltro può prevedere che in casi di tessuto urbano consolidato, nell’ambito della fascia A siano individuate aree a minor pericolosità idraulica in ragione dell’entità dei tiranti idrici e delle velocità di scorrimento. Tale individuazione deve necessariamente basarsi su analisi tecnico-scientifiche di dettaglio, che permettano anche di perimetrare con maggior accuratezza la stessa fascia A. Su dette aree, come sopra individuate, deve essere prevista una disciplina specifica compatibile con le finalità del Piano, che in ogni caso preveda gli opportuni accorgimenti tecnico-costruttivi e specifiche misure di protezione civile. 10

2) Fascia B - pericolosità idraulica media (P i2): aree perifluviali, esterne alle precedenti, inondabili al verificarsi dell’evento di piena con portata al colmo di piena corrispondente a periodo di ritorno T=200 anni.

Sono consentiti interventi edilizi fino al restauro e risanamento conservativo come definito dalla lett. c), c.1, art. 31, l. n.457/78. Possono inoltre essere consentiti interventi edilizi fino alla ristrutturazione edilizia (art. 31, c.1 lett.c) l. n.457/78), purché non aumentino la vulnerabilità degli edifici stessi rispetto ad eventi alluvionali, anche attraverso l’assunzione di idonee misure e di accorgimenti tecnico-costruttivi e purché risultino assunte le azioni e le misure di protezione civile previste nel Piano stesso e nei piani comunali di protezione civile. Sono altresì consentiti, in tessuti di contesto urbano consolidato o da completare e a seguito del parere favorevole della Provincia, interventi di nuova edificazione e di ristrutturazione urbanistica, come definita dalla lett. e), comma 1, art. 31 della l. n.457/78, purché interessino aree individuate a minor pericolosità, prevedano le opportune misure od accorgimenti tecnico-costruttivi, e risultino assunte le azioni e le misure di protezione civile di cui al presente Piano e ai piani comunali di protezione civile. Sono infine consentite le nuove infrastrutture corredate da uno specifico studio di compatibilità idraulica (**) e coniugate alle idonee azioni e misure di protezione civile.

Sono altresì consentiti, sempre in tessuti di contesto urbano consolidato o da completare e a seguito del parere favorevole della Provincia, interventi di nuova edificazione e di ristrutturazione urbanistica, come definita dalla lett. e), comma 1, art. 31 della l. n.457/78,

9 Tale studio di compatibilità idraulica è finalizz ato a valutare se l’intervento è compatibile con le condizioni dell’area, in termini di pericolosità e di rischio. Lo stesso deve essere basato su uno studio idraulico di dettaglio redatto in conformità all’allegato 3 alla normativa-tipo di cui alla DGR 357/2001, che permetta la valutazione delle conse guenze in termini idraulico-ambientali della realizzazione dell’opera per un tratto significativ o del corso d’acqua. La tipologia e le caratterist iche progettuali dell’opera stessa devono essere individ uati sulla base del suddetto studio idraulico, al fine di minimizzare il rischio connesso in tutte le aree interessate e di individuare tutti gli accorgimenti costruttivi e le misure necessarie per la tutela della pubblica incolumità. 10 Si rimanda a questo proposito alla DGR 250/05, c on la quale sono stati forniti i criteri di definizione degli ambiti normativi relativi alle fa sce di inondabilità dei piani di bacino regionali i n funzione dei tiranti idrici e delle velocità di sco rrimento; Si richiama altresì l’l’allegato 1 alla DGR 1532/05 , nel quale sono forniti gli indirizzi procedurali per l’aggiornamento dei piani di bacino in relazione al l’individuazione degli “ambiti normativi delle fasc e di inondabilità” ex DGR 250/05.

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purché interessino aree individuate a minor pericolosità, prevedano le opportune misure od accorgimenti tecnico-costruttivi, e risultino assunte le azioni e le misure di protezione civile di cui al presente Piano e ai piani comunali di protezione civile.

Sono infine consentite le nuove infrastrutture corredate da uno specifico studio di compatibilità idraulica (10) e coniugate alle idonee azioni e misure di protezione civile.

3) Fascia C – pericolosità idraulica bassa (P i1): aree perifluviali, esterne alle precedenti, inondabili al verificarsi dell’evento di piena con portata al colmo di piena corrispondente a periodo di ritorno T=500 anni, o aree storicamente inondate ove più ampie, laddove non si siano verificate modifiche definitive del territorio tali da escludere il ripetersi dell’evento. Questa fascia deve essere considerata una zona di attenzione, sulla quale sono consentiti tutti gli interventi purché realizzati con tipologie tali da ridurre la vulnerabilità e coerenti con e misure di protezione civile.

c-bis) Condizioni di derogabilità ai divieti di cui alla disciplina delle fasce di inondabilità. � Opere pubbliche indifferibili ed urgenti .

In deroga alla disciplina relativa alle fasce A e B, di cui ai punti 1) e 2) della precedente lettera c), possono essere assentite opere pubbliche strategiche indifferibili ed urgenti non diversamente localizzabili, riferite a servizi essenziali, previa acquisizione di parere obbligatorio e vincolante della Provincia, a condizione che:

- non pregiudichino la possibilità di sistemazione idraulica definitiva;

- non si producano effetti negativi nei sistemi geologico, idrogeologico ed ecologico; - non costituiscano significativo ostacolo al deflusso, non riducano in modo significativo la capacità di invaso, e non concorrano ad incrementare le condizioni di rischio, né in loco né in aree limitrofe;

- siano realizzate con tipologie progettuali e costruttive compatibili con la loro collocazione, prevedendo in particolare accorgimenti tecnico-costruttivi o altre misure, anche con riferimento all’allegato xx al presente piano, che consentano l’adeguata protezione dell’opera dagli allagamenti rispetto alla portata duecentennale senza aggravio di condizioni di pericolosità e rischio in altre aree. In particolare: la quota del piano di calpestio e tutte le aperture, soglie di accesso e prese d’aria delle edificazioni devono essere poste ad un livello adeguatamente superiore a quello del tirante idrico associato alla portata duecentennale; non sono ammesse in ogni caso strutture interrate, a meno di locali tecnici di servizio adeguatamente protetti;

- sia garantito il mantenimento della funzionalità ed operatività proprie ella struttura in casi di evento alluvionale;

- sia prevista nel progetto la messa in opera di tutte le adeguate misure ed azioni di protezione civile, anche di tipo di autoprotezione locale (quali piani di allarme ed evacuazione, etc).

Ai fini della dichiarazione di indifferibilità ed urgenza di cui al comma 1, deve essere motivato il carattere di impellenza, improrogabilità e non diversa ubicabilità delle opere e deve essere accertata la copertura finanziaria dell’intera opera.

A fini di omogeneità applicativa a scala regionale, i presupposti della norma sono verificati in sede di Comitato Tecnico di Bacino, ferma restando la competenza della Provincia alle specifiche valutazioni di merito e all’espressione del parere. Nell’ambito del parere di cui sopra la Provincia, sulla base di adeguata documentazione tecnica a corredo della progettazione delle opere in questione, valuta, tra l’altro, nei singoli casi l’effettiva possibilità di messa in opera di misure ed accorgimenti tali da proteggere adeguatamente l’elemento dalle inondazioni e dai connessi possibili danni, nonché l’efficacia e l’affidabilità delle misure di protezione progettate in funzione delle grandezze idrauliche di riferimento. Valuta, inoltre, la possibile influenza sulla dinamica dell’inondazione sia dell’intervento edilizio richiesto sia

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degli accorgimenti costruttivi proposti, garantendo che non vengano aumentate le condizioni di pericolosità e di rischio nelle aree limitrofe.

Il suddetto parere della Provincia è espresso sulla base del quadro conoscitivo del piano nonché, laddove necessario, di un adeguato studio di compatibilità idraulica che consenta di valutare il rispetto delle condizioni di cui sopra, con particolare riferimento alla compatibilità dell’intervento con le condizioni di inondabilità dell’area, in termini di pericolosità e di rischio, e all’assenza di effetti di incremento dell’esposizione al rischio della popolazione. In ragione del carattere di deroga della previsione, diretta a fattispecie specifiche con caratteristiche di indifferibilità ed urgenza, parere espresso ha efficacia massima di 3 anni, ed è eventualmente rinnovabile dalla Provincia sulla base di richiesta motivata dell’Ente proponente con adeguata documentazione.

� Rilocalizzazione patrimonio edilizio esistente inte rferente con interventi idraulici. In caso di patrimonio edilizio esistente che risulti interferente con la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza dei corso d’acqua, anche qualora sia ricadente nella fascia di riassetto fluviale, e laddove, sulla base di un progetto di livello almeno definitivo, risulti necessaria la sua rilocalizzazione al fine della realizzazione degli interventi stessi, in caso di demolizione dello stesso è ammessa la sua ricostruzione anche in deroga alla disciplina relativa alle fasce A e B di cui ai punti 1) e 2) della precedente lett. c), previo parere vincolante della Provincia, a condizione che: - la rilocalizzazione, prevista nel progetto definitivo approvato, venga effettuata a seguito o contestualmente alla consegna dei lavori delle opere idrauliche, e che gli interventi di sistemazione idraulica previsti risultino dotati dell’intera copertura finanziaria;

- le aree di ricostruzione risultino, allo stato attuale o a seguito della realizzazione degli interventi idraulici, in condizioni di minor pericolosità rispetto al posizionamento preesistente, siano esterne alla fascia di riassetto fluviale e ne sia prevista la messa in sicurezza, anche in fasi successive; - la ricostruzione avvenga mettendo in opera tutti gli accorgimenti tecnico-progettuali, le modalità d’uso e le misure di autoprotezione e di protezione civile, ai fini della protezione dei nuovi manufatti dagli eventuali allagamenti nel periodo transitorio fino alla definitiva messa in sicurezza;

- il patrimonio edilizio ricollocato mantenga la propria destinazione d’uso fino alla definitiva messa in sicurezza delle aree di ricostruzione.

d) Aree storicamente inondate in tratti non indagat i Nel caso in cui gli studi idraulici a supporto della individuazione delle criticità e della conseguente determinazione delle fasce di inondabilità siano inadeguati e non rispondenti alla raccomandazioni del CTR in merito o siano del tutto mancanti, in attesa delle necessarie integrazioni, i tratti dei corsi d’acqua di cui trattasi sono da considerarsi non indagati come indicato nella lett. d) del paragrafo 2.2 del presente criterio. Sulle aree storicamente inondate, o su altre aree individuate come pericolose sulla base di altre considerazioni, non indagate nel Piano con apposite verifiche idrauliche o indagate con studi inadeguati, deve essere prevista la definizione di una ulteriore fascia, individuata ad esempio come B*, sulla quale vige, in fase transitoria sino all’integrazione degli studi, la normativa della fascia B. Tale disciplina, in analogia con quanto previsto per i tratti non indagati di cui al punto 2.2, lett b), può essere aggiornata attraverso un adeguato studio idraulico che determini nel tratto corrispondente le fasce di inondabilità con i criteri dell’allegato A. Ove emerga una particolare criticità delle aree suddette, per esempio in rapporto alla frequenza degli eventi storici, può essere prevista una disciplina più restrittiva quale quella della fascia A (definizione di una fascia A* anziché B*).

e) Accorgimenti tecnico-costruttivi per il non aume nto del rischio idraulico

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In ogni caso tutti gli interventi, che prevedono la messa in opera di accorgimenti tecnico-costruttivi per la riduzione del rischio idraulico, devono essere realizzati in conformità a quanto previsto dall’allegato B, parte integrante e sostanziale del presente atto.

f) Condizioni generali di ammissibilità degli inter venti in aree inondabili Qualsiasi intervento realizzato nelle aree inondabili non deve pregiudicare la sistemazione idraulica definitiva del corso d’acqua, aumentare la pericolosità di inondazione ed il rischio connesso, sia localmente, sia a monte e a valle, costituire significativo ostacolo al deflusso delle acque di piena, ridurre significativamente la capacità di invaso delle aree stesse - principio richiamato, tra l’altro, anche nell’Atto di indirizzo e coordinamento relativo al D.L. 180/98, di cui al D.P.C.M. 29/09/1998.

g) Condizioni di ammissibilità di interventi compor tanti modificazioni morfologiche in aree inondabili

In coerenza con il principio generale di cui alla lettera f), risultano ammissibili eventuali interventi, che comportino limitate modifiche morfologiche dei terreni ricadenti in aree inondabili, ove ammessi dallo strumento urbanistico vigente e dal piano paesistico, diretti ad evitare o mitigare l’inondabilità delle aree stesse attraverso il raggiungimento di una adeguata quota del terreno, a condizione che:

a) siano corredati da parere favorevole della Provincia, basato su un adeguato studio di compatibilità idraulica 11, che verifichi che gli interventi previsti:

1. non alterino significativamente la capacità di laminazione delle acque di esondazione;

2. non aumentino significativamente le condizioni di pericolosità e di rischio dell’area di interesse e delle aree limitrofe, a monte e a valle;

3. non pregiudichino la possibilità di realizzare gli interventi di messa in sicurezza previsti dal Piano e non interferiscano con la fascia di riassetto fluviale;

4. prevedano adeguate caratteristiche di stabilità dei rilevati, anche in considerazione delle possibili azioni erosive e demolitive degli eventi di piena in relazione alla piena di riferimento;

b) si proceda in aree poste ai margini esterni della fasce di inondabilità (A o B) o degli ambiti relativi ove individuati (AA, BB o B0), allo scopo di ampliare, attraverso le suddette modifiche, le aree di pericolosità inferiore ad esse contigue;

c) risultino assunte le azioni e le misure di protezione civile di cui al presente Piano e quelle previste dall’art.6, comma 1 lettere c), d) ed e) della L.R. 17/2/2000 n.9 ascritte alle competenze del Sindaco.

Nel formulare il parere di competenza la Provincia tiene conto degli eventuali pareri già rilasciati, al fine di evitare un significativo aumento complessivo del livello di pericolosità, rispetto allo stato originario, dell’area inondabile, unitariamente considerata.

Per quanto concerne la valutazione dell’aumento delle condizioni di pericolosità e rischio di cui ai punti 1. e 2. della precedente lettera a), si specifica che per aumento non significativo si intende un aumento trascurabile, in termini percentuali ed assoluti, delle attuali condizioni, da valutarsi negli specifici casi, sulla base di adeguate analisi. In particolare, al fine di non alterare significativamente le condizioni di pericolosità, deve essere garantito che i volumi sottratti alla

11 Tale studio di compatibilità idraulica è finaliz zato principalmente a valutare se l’intervento prev isto è compatibile con le condizioni dell’area, in termi ni di pericolosità e di rischio. Lo stesso deve, quindi, essere basato su una adeguata analisi idrau lica, che permetta la valutazione delle conseguenze in termini idraulico-ambientali della r ealizzazione dell’opera per un tratto significativo del corso d’acqua.

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espansione della piena di riferimento siano percentualmente non rilevanti e non condizionino la dinamica attuale dell’esondazione, anche con riferimento all’intero tratto di corso d’acqua analizzato. In tal senso, non devono in ogni caso risultare ampliate le fasce di inondabilità a classe di pericolosità superiore, garantendo di non interessare con l’allagamento zone che attualmente non ne sono raggiunte e di non aumentarne la classe di pericolosità idraulica, né risultare aumentati in modo percentualmente significativo i volumi invasati, le entità dei tiranti idrici e delle velocità di scorrimento previste.

h) Condizioni di ammissibilità di interventi urbani stico-edilizi confinanti con i limiti delle fasce di inondabilità

In coerenza con il principio generale enunciato alla lettera f), secondo il quale nessun intervento può aumentare la pericolosità di inondazione ed il rischio connesso, ed al fine di una maggiore tutela, i Comuni prima dell’autorizzazione e/o rilascio di titoli edilizi di interventi di tipo urbanistico-edilizio confinanti con i limiti delle fasce di inondabilità a tempi di ritorno superiori rispetto alle aree in cui ricadono, come perimetrate nel piano, devono verificare che tali interventi non siano tali da comportare variazioni nelle condizioni di pericolosità idraulica.

Per gli interventi di demolizione e ricostruzione e quelli eccedenti la ristrutturazione edilizia, con particolare riferimento agli interventi di ristrutturazione urbanistica e/o quelli di trasformazione morfologica, confinanti con i limiti delle fasce di inondabilità a tempi di ritorno superiori, il Comune, ai fini del rilascio del titolo edilizio, deve acquisire il parere vincolante della Provincia. Nell’ambito di tale parere deve essere verificato che le ipotesi alla base della perimetrazione non abbiano a venir meno o siano influenzate dagli interventi in questione con eventuale conseguente modifica dello stato di pericolosità; la Provincia può inoltre imporre accorgimenti costruttivi o altre misure o interventi, ivi comprese, se del caso, opere di tipo idraulico, atte a proteggere il nuovo elemento dagli allagamenti e a non aumentare le condizioni di pericolosità e rischio nelle zone limitrofe.

Laddove l’intervento in questione ricada in fasce di inondabilità che già prevedono un parere da parte della Provincia, le valutazioni di cui sopra saranno effettuate nell’ambito dello stesso. A fini di chiarezza applicativa, è possibile, inoltre, prevedere già nell’ambito del piano i tratti di limiti delle fasce di maggiore criticità nel senso sopraddetto, indicando gli interventi ammissibili e le eventuali misure da adottare ai fini della tutela della pubblica incolumità.

3.2 Disciplina dell’assetto geomorfologico 12 Sulla base di quanto già previsto dalla raccomandazione n. 4B/96 “Valutazione della pericolosità e del rischio idrogeologico. Carte derivate”. approvata dal CTR il 29.11.96, dalla raccomandazione 8/2000 “Redazione della carta del rischio idrogeologico nei piani di bacino stralcio” ed in relazione ai contenuti dell’atto di indirizzo e coordinamento del D.L. 180/98, vengono individuate, di norma, le seguenti classi con la relativa normativa di riferimento. a)Suscettività al dissesto molto elevata - frana at tiva (P g4): aree in cui sono presenti movimenti di massa in atto. In considerazione delle caratteristiche di pericolosità molto elevata di queste aree, non sono consentiti interventi edificatori eccedenti il mantenimento degli edifici esistenti, quali la manutenzione straordinaria ed il risanamento conservativo. Sono fatti salvi gli interventi necessari a ridurre la vulnerabilità delle opere esistenti e a migliorare la tutela della pubblica e privata

12 Si richiama l’allegato 1 alla DGR 848/03, che ri porta indirizzi interpretativi e chiarimenti dei cr iteri per la redazione della normativa dei piani di bacin o per la tutela dal rischio idrogeologico di cui al la DGR 357/01, nel quale sono forniti, tra l’altro, ch iarimenti ed indirizzi interpretativi su specifiche definizioni di tipo urbanistico-edilizio nell’ottic a della pianificazione di bacino.

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incolumità. A chiarimento del criterio si precisa che qualora gli interventi necessari per la riduzione del rischio rientrassero, per la loro tipologia, in categorie edilizie eccedenti la manutenzione straordinaria ed il risanamento conservativo (quali ad esempio la ristrutturazione), possono essere ugualmente assentiti purché strettamente relazionati a tale finalità.

Tutti gli interventi consentiti non devono, in ogni caso, comportare aumenti di superfici e volumi anche tecnici o cambi di destinazione d’uso che determinino un aumento del carico insediativo. Sono fatti salvi gli adeguamenti necessari per il rispetto delle norme di legge quali, ad esempio gli adempimenti a carico del soggetto attuatore per il rispetto della normativa antisismica, sono inclusi i modesti ampliamenti finalizzati esclusivamente all’adeguamento igienico-sanitario e tecnologico. Non sono altresì consentiti la demolizione di opere che svolgono funzioni di sostegno, se non sostituite con altre che abbiano la stessa finalità, l’installazione di manufatti edilizi o la sistemazione di aree che comportino la permanenza o la sosta di persone, la posa in opera di tubazioni, condotte o similari, la realizzazione di discariche e di opere di viabilità ed in ogni caso qualsiasi intervento che comporti sbancamenti, movimenti di terra (scavi e riporti) od alterazione del regime delle acque.

Sono fatti salvi: - la realizzazione di piccoli manufatti necessari all’attività agricola ed alla conduzione del

fondo, ricadenti in zona urbanistica a destinazione agricola; la volumetria di tali manufatti deve essere strettamente relazionata alla sola necessità di ricovero attrezzi e macchinari impiegati per tale attività. Le tipologie costruttive impiegate devono essere compatibili con le condizioni di dissesto presente e tali da non indurre un aggravamento dello stesso ed, in ogni caso, la destinazione di tali opere deve essere vincolata nel tempo;

- gli interventi di posa in opera di tubazioni, condotte o similari, non diversamente ubicabili, relative ad infrastrutture e reti di servizi pubblici essenziali o di interesse pubblico (quali ad esempio le condotte di acquedotti o di impianti di depurazione), previa l’acquisizione di specifico parere della Provincia. Tale parere viene formulato sulla base di idonea documentazione tecnica progettuale che attesti: l’impossibilità di utilizzare un tracciato alternativo, l’adozione degli opportuni accorgimenti tecnici e costruttivi tali da garantire la sicurezza dell’esercizio delle funzioni a cui sono destinate le opere, tenuto conto dello stato del dissesto, nonché preveda modalità di attuazione degli interventi tali da non aggravare ulteriormente lo stato del dissesto, deve essere inoltre accertata la copertura finanziaria dell’intera opera, comprensiva delle spese per le opere di messa in sicurezza. In casi di situazioni ritenute critiche dalla Provincia per la rilevanza dell’opera, per lo stato del dissesto o che richiedano rilevanti opere preventive di sistemazione, i presupposti di applicabilità della norma sono verificati in sede di Comitato Tecnico di bacino, fermo restando la competenza della Provincia alle specifiche valutazioni di merito ed all’espressione del parere

- la realizzazione di infrastrutture pubbliche viarie e ferroviarie, di carattere strategico, di esclusivo interesse regionale o sovra regionale, indifferibili, urgenti non diversamente localizzabili per motivi di continuità del tracciato. Resta in ogni caso necessaria la realizzazione delle opere di consolidamento finalizzate alla stabilizzazione del dissesto, che richiedono il parere del Comitato tecnico di bacino ai sensi dell’art.11 c. 4 lett.b) della lr 58/2009.

b) Suscettività al dissesto elevata distinta in:

aree Pg3a13

aree, in cui sono presenti indicatori geomorfologici diretti, quali l’esistenza di frane quiescenti o di segni precursori o premonitori di movimenti gravitativi;

13 Colore arancione intenso

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aree Pg3b14 aree, prive al momento di movimenti gravitativi attivi e quiescenti, in cui sono presenti

indicatori indiretti di elevata suscettività valutabili, dalla combinazione di elementi geomorfologici, litologici, strutturali e di uso del suolo. Sono comprese in tale fattispecie le frane stabilizzate e relitte (paleofrane) e le zone a franosità diffusa inattive.

In considerazione dell’alta pericolosità delle aree Pg3a non devono essere consentite nuove edificazioni, né interventi che possano influire negativamente sulla stabilità del corpo franoso quali aumento del carico statico sul sedime di frana, sbancamenti e scavi se non strettamente finalizzati alla realizzazione delle opere ammesse. Sulla base dei criteri sopraespressi gli interventi consentiti sono da intendersi rigorosamente relazionati a strutture già esistenti e volti al miglioramento delle condizioni di fruibilità delle stesse permettendo interventi di modesti ampliamenti entro la soglia percentuale del 20% o il cambio di destinazione d’uso, nonché la realizzazione di aree a verde attrezzato. E’ consentita la realizzazione di singoli manufatti adibiti al servizio esclusivo del fabbricato, quali cantine, ripostigli, ricoveri per impianti tecnologici o box auto ed opere similari di volumetria contenuta, non superiore a 45 mc, e che, in ogni caso non comportino sbancamenti e tagli del pendio che possano compromettere la stabilità dell’areale e che limitino, pertanto, gli scavi alle sola posa delle opere di fondazione. Al fine della mitigazione del rischio è inoltre ammessa la demolizione e successiva ricostruzione del fabbricato esistente (sostituzione edilizia) con tecniche che assicurino la riduzione della vulnerabilità dell’edificio, rendendo il manufatto maggiormente compatibile con la condizione di elevata pericolosità dell’area, anche attraverso la messa in opera di tutti gli accorgimenti tecnici e le misure finalizzate a tutelare la pubblica e privata incolumità

Per non alterare le condizioni di equilibrio del corpo di frana l’eventuale incremento della volumetria originaria, consentito ai sensi delle norme urbanistiche vigenti, non deve superare la soglia del 20% e la realizzazione dell’opera non deve comportare tagli di versante. Gli interventi di nuova viabilità e servizi tecnologici a rete non sono consentiti se altrimenti localizzabili e se non corredati da progetti basati su specifici studi e supportati dal parere vincolante della Provincia. Tali interventi, supportati anche da indagini geologiche a livello di area complessiva, devono prevedere la preventiva o contestuale realizzazione delle opere di bonifica, in relazione alla natura dell’intervento ed a quella del dissesto rilevato, nonché risultare coerenti con le eventuali opere di sistemazione complessiva del movimento franoso. Tutti gli interventi ammessi devono essere basati su specifici studi che dettaglino le caratteristiche geologiche, geomorfologiche e geotecniche che determinano la suscettività elevata, che verifichino che la realizzazione delle opere non interferisca negativamente con le condizioni di stabilità dell’intera area e che, in ogni caso, non aumenti la vulnerabilità delle strutture esistenti e le condizioni di rischio.

Nelle aree a suscettività al dissesto elevata – Pg3b, , oltre al regime normativo applicato nelle aree Pg3a, è consentita anche la nuova edificazione e l’esecuzione di opere infrastrutturali, purché tali opere siano previste dallo strumento urbanistico comunale adeguato al presente Piano di bacino, nei termini indicati al successivo paragrafo 9 . Tale adeguamento comporta l’effettuazione di un’apposita verifica di compatibilità delle previsioni urbanistiche con il quadro dei dissesti del piano di bacino di cui al soprarichiamato paragrafo 9. Nelle more dell’adeguamento dello strumento urbanistico comunale, come indicato al precedente capoverso, le nuove edificazioni non sono consentite se non a fronte di indagini di maggior dettaglio .

14 Colore arancione spento

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In tale caso la Provincia, sulla base delle risultanze dell’indagine di maggior dettaglio trasmesse dal Comune, valuta la compatibilità della realizzazione dell’intervento stesso con le condizioni di suscettività al dissesto accertate ed esprime, a riguardo, parere vincolante. Tale parere, per gli interventi sottoposti anche al regime del vincolo idrogeologico, ai sensi del RD n.3267/1923 e della l.r. n.4/1999, dovrà essere acquisito preventivamente dall’Autorità competente al rilascio del relativo titolo abilitativo. Tale regime transitorio, per quanto sopraindicato, è destinato, pertanto, a decadere a seguito dell’approvazione dello strumento urbanistico comunale adeguato al piano di bacino come previsto dai criteri stabiliti al successivo paragrafo 9. Le indagini di maggior dettaglio, sono dirette a verificare che, in coerenza con la metodologia di classificazione sviluppata nel piano, tali aree pur presentando caratteristiche fisiche tali da confermare il relativo inquadramento nella classe di suscettività al dissesto elevata, determinino un livello di pericolosità più contenuto rispetto a quello rappresentato dalle frane quiescenti, tale da poter sostenere anche interventi di nuova edificazione. In particolare l’indagine di maggior dettaglio deve, sulla base dell’acquisizione di dati in sede locale, analizzare e verificare in sito quegli elementi che hanno portato nel piano di bacino, in base all’applicazione della metodologia di cui alla specifica linea guida n. 2, alla classificazione della suscettività al dissesto elevata (acclività, litologia, elementi geomorfologici, potenza e granulometria delle coltri, stato della roccia, uso del suolo, classificazione idrogeologica, ecc.). E’ necessario che le risultanze acquisite a scala di maggior dettaglio siano, in ogni caso, inquadrate, analizzate e valutate anche nel contesto più ampio dell’unità geomorfologica nella quale è inserita l’area di interesse, al fine di verificarne, a scala di versante, le eventuali interferenze negative con l’intervento proposto. Inoltre, l’indagine di dettaglio deve dimostrare:

a) che l’attuazione della tipologia d’intervento proposto non aggravi il grado di suscettività al dissesto dell’area ma, anzi, permetta il miglioramento delle condizioni di stabilità dell’areale interessato, attraverso opportune e possibili opere volte a modificare, in senso favorevole alla stabilità, i fattori geologici e geotecnici determinanti il relativo grado di suscettività al dissesto;

b) che le condizioni di suscettività del territorio a contorno dell’area di intervento non interferiscano negativamente sull’intervento stesso;

c) le particolari condizioni di criticità locali rilevate la cui definizione comporta, qualora necessario, l’indicazione, in sede di progettazione degli interventi previsti, di specifiche modalità di attuazione degli stessi, finalizzate ad assicurare la tutela della pubblica e privata incolumità e il non aumento del rischio idrogeologico.

Resta fermo che, nel caso di mancata elaborazione dell’indagine di maggior dettaglio sopra descritta o di strumento urbanistico non ancora adeguato, si applica il regime normativo proprio delle aree Pg3a. Il Piano, peraltro, può prevedere, nell’ambito delle aree a suscettività al dissesto Pg4 e Pg3 per frane con tipologia a cinematica ridotta, classi di pericolosità relativa in ragione dell’entità dei valori di velocità misurati e del modello geologico e geotecnico del corpo di frana. Tale individuazione deve necessariamente basarsi su analisi tecnico-scientifiche di dettaglio, che permettano anche di classificare con maggior accuratezza i corpi franosi. Su dette aree, come sopra individuate, deve essere prevista una disciplina specifica compatibile con le finalità del

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Piano, che in ogni caso preveda gli opportuni accorgimenti tecnici-costruttivi ed eventuali misure di protezione civile.15

c) Suscettività al dissesto media (Pg2): aree in cui sono presenti elementi geomorfologici e di uso del suolo, dalla cui valutazione combinata risulta una propensione al dissesto di grado inferiore a quella relativa alla classe Pg3,

d) Suscettività al dissesto bassa (Pg1): aree in cui sono presenti elementi geomorfologici e di uso del suolo caratterizzati da una bassa incidenza sulla instabilità, dalla cui valutazione risulta una propensione al dissesto di grado inferiore a quella della classe Pg2.

Su tali aree, anche in considerazione della scala di bacino alla quale sono state effettuate le individuazioni, viene demandato ai Comuni la definizione della disciplina specifica di dette aree, attraverso indagini specifiche, che tengano conto del relativo grado di suscettività al dissesto.

e) Suscettività al dissesto molto bassa (Pg0) : aree, in cui i processi geomorfologici e le caratteristiche fisiche dei terreni non costituiscono, se non occasionalmente, fattori predisponenti al verificarsi di movimenti di massa.

Su tali aree non sono necessarie condizioni ulteriori rispetto alle prescrizioni del D.M.11/03/1988.

In ogni caso per tutte le classi di suscettività al dissesto si richiama il rispetto alle “Norme generali di carattere idrogeologico per la prevenzione del dissesto” di cui al sottoparagrafo 2.1 dei presenti criteri. f) Cave attive, miniere attive e discariche in eserciz io Gli areali di cave attive, miniere attive e discariche in esercizio sono rappresentati nelle carta della suscettività al dissesto del piano come “aree speciali di tipo A”. Per tali aree valgono le disposizioni dei rispettivi piani di settore. g) Cave inattive, miniere abbandonate Gli areali di cave inattive, miniere abbandonate sono delimitate nelle carta della suscettività al dissesto del piano come “aree speciali tipo B 1”. All’interno di tali areali, in base a valutazioni da effettuare caso per caso, la Provincia definisce le classi di suscettività al dissesto.

La tipologia di “aree speciali di tipo B1” riguarda, in particolare, areali sede di cave attualmente cessate o in corso di sistemazione, dove, a causa delle attività antropiche pregresse, si possono registrare compromissioni della stabilità sotto il profilo geomorfologico, idrogeologico e geotecnico.

I limiti di tali aree corrispondono alle perimetrazioni delle cave derivate dagli elaborati del Piano Territoriale Regionale delle attività di cava, per quelle non oggetto di tale piano (ante lr. n. 12/1979) i perimetri sono desunti da rilievi di terreno sulla base dei cigli della coltivazione pregressa.

In considerazione della possibile compromissione della stabilità dei fronti di cava, a seguito delle pregresse attività di coltivazione (ancorché rientranti nelle cave di tipo E), che può costituire un fattore di rischio per le eventuali nuove opere o funzioni previste nei sottostanti piazzali riutilizzati, è necessario definire, per tali ambiti, uno specifico criterio che tenga conto di tale problematica.

Si stabilisce, pertanto, in primo luogo, che in tali ambiti, all’interno dei quali siano state classificate zone ad elevata e/o molto elevata suscettività al dissesto (Pg4, Pg3a, Pg3b), la realizzazione di qualsiasi intervento, ancorché ubicato al di fuori delle zone ad elevata e/o molto elevata suscettività, sia subordinata all’attuazione di opere finalizzate alla messa in sicurezza dell’area sede del nuovo intervento.

15 Si rimanda a questo proposito alla DGR 265/2010, allegati 1 e 2, con i quali sono stati forniti specifici indirizzi per la riperimetrazione e riclassificazione delle frane attive e quiescenti a seguito di studi di maggior dettaglio e specifici criteri per la definizione di classi di pericolosità relativa in aree Pg4 e Pg3 per frana a cinematica ridotta.

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In tali ambiti, a fronte della previsione delle opere di messa in sicurezza dell’area, che assumono natura prioritaria e costituiscono, in ogni caso, elemento sostanziale per la possibile realizzazione della nuova edificazione, può essere assentita la riclassificazione preventiva del livello di suscettività al dissesto, contestualmente all’approvazione del relativo strumento urbanistico attuativo (SUA o PUO), ovvero del progetto edilizio corredato da convenzione urbanistica, comprensivi anche del progetto delle opere di messa in sicurezza dell’area sede dell’intervento.

In ogni caso il rilascio del titolo edilizio per la nuova costruzione deve essere subordinato all’effettiva realizzazione, da parte del soggetto attuatore, delle opere di messa in sicurezza ed al loro relativo collaudo, nonché agli esiti positivi delle eventuali attività di monitoraggio previste.

La riclassificazione preventiva dell’areale viene deliberata dalla Provincia, ai sensi del comma 5 dell’art.10 della l.r. 58/2009, previa acquisizione del parere di compatibilità, rispetto ai criteri del piano di bacino, del Comitato Tecnico di bacino ai sensi dell’art.5 lettera d) della l.r. 58/2009.

Il predetto parere di compatibilità del CTB viene espresso sulla base: di indagini di dettaglio che definiscano il modello geologico, idrogeologico e geotecnico dell’area, di elaborati progettuali delle opere di bonifica, delle verifiche di stabilità delle aree pre e post opera, nonché verrà stabilita la necessità di attività di monitoraggio.

A conclusione dei lavori di messa in sicurezza deve essere redatta la Relazione di fine lavori, sottoscritta da professionista abilitato, che certifichi la conformità delle opere di messa in sicurezza eseguite con quelle contenute nel progetto, oggetto di parere vincolante del CTB, tenuto conto delle eventuali prescrizioni ed indicazioni formulate in tale sede. L’effettiva esecuzione ed idoneità delle opere di messa in sicurezza, accertata dalla Relazione di collaudo e dagli esiti dell’eventuale attività di monitoraggio, condiziona, previa verifica della Provincia, l’efficacia della riclassificazione, a suo tempo assentita, nonché subordina il rilascio dei titoli abilitativi all’attività urbanistico-edilizia.

h) Discariche dismesse e riporti antropici

Gli areali di discariche dismesse e dei riporti antropici sono delimitate nelle carta della suscettività al dissesto del piano come “aree speciali tipo B 2”. All’interno di tali areali, in base a valutazioni da effettuare caso per caso, la Provincia definisce le classi di suscettività al dissesto. I perimetri di tali aree delimitano gli areali sede di discariche, a suo tempo autorizzate, non più in esercizio, nonché delimitano i cosiddetti “riporti antropici” (riportati nella carta geomorfologica), costituiti per la maggior parte da depositi di materiali inerti derivati dagli scavi effettuati, in passato, per la realizzazione di arterie infrastrutturali. Fermo restando gli adempimenti, in via prioritaria, alle disposizioni di legge in materia gestione delle discariche ai sensi del D.Lgs. n. 36/2003 e ssmm, è, altresì, necessario, per quanto concerne gli aspetti finalizzati al contenimento del rischio idrogeologico di interesse della pianificazione di bacino, che qualsiasi riutilizzo di tali aree debba valutare e verificare preventivamente l’idoneità alla nuova destinazione d’uso sotto il profilo geomorfologico, idrogeologico e geotecnico. A tale scopo, la Provincia, sulla base delle risultanze dell’indagine di maggior dettaglio, presentata dal Comune, che analizzi gli aspetti geomorfologici, geotecnici ed idrogeologici degli areali ricadenti nella classe di area speciale di tipo B2, valuta la compatibilità della realizzazione di eventuali interventi, previsti dal piano regolatore comunale, con le condizioni accertate ed esprime, a riguardo, parere vincolante. Tale parere, per gli interventi sottoposti anche al regime del vincolo idrogeologico, ai sensi del RD n.3267/1923 e della l.r. n.4/1999, dovrà essere acquisito preventivamente dall’Autorità competente al rilascio del relativo titolo abilitativo. Nei casi in cui nell’area speciale di tipo B2 siano stati rilevati fenomeni franosi attivi o quiescenti che necessitino di interventi di sistemazione preventivi e funzionali alla realizzazione degli interventi previsti, può essere applicata la procedura della riclassificazione preventiva con le stesse modalità definite precedentemente a riguardo delle aree speciali di tipo B1

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i) Misure di attenzione per la prevenzione del risc hio da fenomeni di possibile espansione di frane Gli elaborati geologici e geotecnici a corredo dei progetti per il rilascio del titolo edilizio, redatti ai sensi delle Norme Tecniche per le Costruzioni 2008, relativi ad istanze di opere di nuova costruzione devono anche darsi carico di considerare e valutare se sussistano pericoli di possibili interferenze per eventuali fenomeni di arretramento o di espansione di corpi o cigli di frana (ciglio, piede, fianchi) presenti nell’intorno di una fascia di rispetto di almeno 100 m e comunque considerando un’area di dimensione significativa in merito al contesto in esame. Tale misura di attenzione si applica anche per interventi eventualmente previsti a margine dei perimetri delle “aree speciali” di tipo A e di tipo B1 e B2 riportate nella carta della suscettività al dissesto. l) Misure di attenzione per la prevenzione del risc hio da fenomeni di debris-flow Al fine di tendere, per quanto sia possibile, ad una mitigazione del rischio idrogeologico in merito agli effetti delle colate veloci di fango e detriti (debris- mud-flow), che si verificano, a seguito di eventi alluvionali particolarmente intensi, soprattutto lungo le incisioni dei corsi d’acqua del reticolo secondario, minore o minuto, è opportuno che, ogni qualvolta si preveda la realizzazione di interventi urbanistico edilizi od opere di viabilità in prossimità del reticolo idrografico su versante, ci si dia carico di effettuare specifiche valutazioni in merito all’eventuale grado di esposizione degli interventi a tali possibili fenomeni, individuando, se del caso, opportuni accorgimenti tecnici o una migliore ubicazione degli interventi stessi nell’ottica della prevenzione di tale rischio.

4. Modifica delle aree a pericolosità idrogeologica Il Piano può prevedere che, a seguito della realizzazione di interventi di sistemazione idraulica e/o di bonifica dei dissesti idrogeologici, i limiti delle fasce di inondabilità e/o delle aree a diversa suscettività al dissesto possano essere modificati al fine di conformarli alla nuova situazione con la procedura di cui al comma 5, dell’art. 10 della l.r. n.58/2009. 16

Relativamente alle aree a suscettività al dissesto il Piano deve inoltre prevedere che detta riperimetrazione sia subordinata ad idonei monitoraggi comprovanti la stabilizzazione dell’areale oggetto dell’intervento. ll piano può altresì prevedere esplicitamente che i limiti delle fasce di inondabilità e/o delle aree a diversa suscettività al dissesto possano essere modificati con la procedura semplificata di cui al citato art.10, c.5 della l.r.58/2009, anche sulla base di studi di maggior dettaglio 17, quali studi integrativi eseguiti dalla Provincia ovvero quelli svolti nell’ambito degli studi fondativi degli strumenti urbanistici comunali, riguardanti le intere zone perimetrate o che interessino, in ogni caso, tratti e/o areali di ampiezza significativa. Può inoltre essere esplicitamente prevista, previo parere favorevole della Provincia, la possibilità di approvazione di strumenti urbanistici attuativi relativi ad interventi complessi, in siti ricadenti in fasce di inondabilità, individuate nel Piano, nelle quali non sarebbero realizzabili purché sia prevista contestualmente la progettazione delle opere di sistemazione idraulica indicate dal piano, e a condizione che, in ogni caso, la realizzazione degli

16 Si rimanda in particolare anche alla DGR 16/200 7, allegato 1, con la quale sono forniti indirizzi per la riperimetrazione delle fasce di inondabilità a s eguito di interventi di sistemazione idraulica, non ché alla DGR 265/2010, allegato 1 par. 3.3, con la qual e sono forniti indirizzi per la riperimetrazione di aree a suscettività per frana, mediante interventi di co nsolidamento . 17 A questo proposito si rimanda anche:

- all’allegato 2 alla DGR 16/2007, nel quale sono for niti indirizzi per la riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di studi di maggior dettaglio;

- all’allegato 1 alla DGR 1338/2007 e all’allegato 1 della DGR 265/2010 nei quali sono forniti indirizzi per la riperimetrazione e la riclassifica zione delle frane attive e quiescenti a seguito di studi di maggior dettaglio.

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interventi edilizi sia sempre subordinata alla realizzazione delle opere di messa in sicurezza con verifica dell’attuazione da parte della Provincia.

Al riguardo si intendono ricompresi tra gli interventi di bonifica e di sistemazione dei dissesti sia quelli che interessano i corpi di frana sia quelli tesi a mitigare le condizioni di suscettività al dissesto, relativi ad aree prive di corpi gravitativi, ma caratterizzate da fattori, geologici, geomorfologici e geotecnici indiretti.

Inoltre nel caso di interventi di bonifica, fermo restando il principio dell’obbligatorietà della verifica e di collaudo delle opere di bonifica realizzate, sono necessari, di norma, specifici monitoraggi al fine di verificare la stabilizzazione dell’areale interessato e poter procedere alla conseguente riclassificazione dell’area. La Provincia stabilisce, a tale scopo, in funzione della tipologia del dissesto la necessità e le modalità attuative delle attività di monitoraggio.18 5. Manufatti edilizi esistenti Relativamente ai manufatti edilizi, alle opere, a depositi o insediamenti esistenti nelle aree a pericolosità idrogeologica individuate nel Piano è necessario prevedere la normativa relativa a casi specifici in conformità a quanto previsto nel piano di interventi di mitigazione del rischio o nelle misure di protezione civile.

Nelle fasce di inondabilità A e B e nelle aree a più elevata suscettività al dissesto il Piano deve prevedere le modalità con cui, nell’ambito degli strumenti urbanistici, dei piani di settore, e dei piani di prevenzione ed emergenza di protezione civile (l.r. n.9/2000), debbano venire assunte le ulteriori misure opportune per ridurre il rischio per la pubblica incolumità, da promuovere anche attraverso incentivi, e da attivare prioritariamente per le strutture altamente vulnerabili.

6. Norme transitorie fino all’approvazione del Pian o stralcio Considerato che il fine principale del Piano stralcio è quello della tutela dal rischio idrogeologico e della salvaguardia della pubblica incolumità, interventi urbanistico-edilizi, pur già autorizzati od approvati alla data di adozione del Piano, che risultino in contrasto con i divieti e le prescrizioni contenuti nel Piano, non possono essere realizzati perché, trovandosi in situazioni di pericolosità idraulica o geomorfologica elevata, potenzialmente non garantiscono la pubblica incolumità. La Provincia individua la norma da applicare ogni volta che vi siano interventi i cui lavori risultino già iniziati alla data di adozione del Piano.

Inoltre poiché si può verificare il caso che studi di maggior dettaglio rispetto a quelli alla scala di bacino portino ad una più accurata individuazione delle aree a diversa pericolosità, ovvero casi in cui gli interventi edilizi siano già stati progettati tenendo conto del grado di pericolosità del sito, la Provincia può esprimere parere favorevole alla realizzazione dei suddetti interventi approvati od autorizzati, sulla base di una specifica verifica che l’intervento stesso non aumenti le attuali condizioni di rischio, anche attraverso l’adozione delle opportune misure ed accorgimenti tecnico-costruttivi, e l’assunzione delle idonee misure di protezione civile.

Nel caso di varianti ai piani di bacino vigenti, assunte nei termini previsti dalla legge regionale 58/2009 e dalla normativa di attuazione degli specifici piani di bacino, si applica il principio generale di cui sopra. Trattandosi di varianti a piani già approvati è necessario specificare che le previsioni contenute nelle varianti sostanziali adottate ai sensi dell’art. 9 della l.r. 58/2009, producono, sino alla loro approvazione, gli effetti di salvaguardia di cui all’art.17 comma 6 della L.R. 28 gennaio 1993, n. 9, e ss.mm. Pertanto non è ammessa la realizzazione di opere in contrasto con i contenuti della variante stessa, ancorché precedentemente approvate, tranne nel caso di opere il cui titolo edilizio sia stato rilasciato conformemente al piano di bacino vigente prima dell’adozione della variante e i

18 Per tipologie di frane a cinematica ridotta si rimanda agli indirizzi contenuti nel paragr. 3.3 dell’Allegato 1 della DGR n.265/2010.

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relativi lavori siano stati effettivamente iniziati nei termini di cui all’art. 1, penultimo ed ultimo comma della L.R. n° 4 del 18.01.1975.

A tale proposito si ricorda che, affinché i lavori si possano considerare già iniziati, deve ricorrere la circostanza che fosse già in corso l'impianto del cantiere e l'esecuzione di opere volte all'effettiva realizzazione del fabbricato, e che il lavori vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio dei lavori; inoltre “non concretano l'inizio dei lavori l'esecuzione di modesti scavi e sbancamenti, la sola posa di pilastri e quant'altro, pur costituendo opera edilizia, non sia obiettivamente indirizzato al risultato dell'effettuazione della costruzione.” Tuttavia, conformemente al principio generale di cui sopra, nel caso di interventi urbanistici ed edilizi, conformi al piano di bacino previgente, già assentiti mediante rilascio di concessioni od autorizzazioni edilizie o di interventi previsti da strumenti urbanistici attuativi approvati prima della data di adozione o approvazione, ovvero dotati titoli edilizi rilasciati dopo l’adozione delle varianti sostanziali, in quanto conformi sia al Piano vigente sia alla variante adottata, ma risultanti in contrasto con le disposizioni della variante approvata, gli stessi possono essere realizzati previo parere favorevole della Provincia, che verifica, sulla base degli scenari di pericolosità della variante, che l’intervento stesso non aumenti le attuali condizioni di pericolosità e rischio.

7. Indirizzi di protezione civile Il Piano, in considerazione degli scenari di pericolosità (suscettività al dissesto e fasce di inondabilità) e di rischio idrogeologico, deve fornire gli elementi propedeutici alla predisposizione dei piani provinciali e comunali di previsione, prevenzione ed emergenza di cui alla l.r. n.9/2000. Oltre ad individuare, quindi, gli indirizzi generali a cui tali piani devono attenersi nella loro formazione, il Piano individua indirizzi e disposizioni specifiche a riguardo di situazioni di particolare criticità.

8. Condoni edilizi A riguardo degli interventi abusivi soggetti a regime di condono edilizio ai sensi del capo IV della L. 47/85 il Piano prevede le condizioni in base alle quali le opere oggetto di istanza di condono edilizio possono essere sanate, previo parere favorevole della Provincia, in quanto trattasi di interventi già a suo tempo realizzati, sia pure abusivamente, e, come tali, oggi di fatto esistenti e, quindi, non assoggettabili alla nuova disciplina introdotta dal Piano con riferimento alle opere ancora da realizzare.

La Provincia può peraltro esprimere parere favorevole a condizione che tali interventi non pregiudichino o interferiscano con il deflusso della portata al colmo di piena duecentennale, non pregiudichino la stabilità del versante, non siano compresi nell’alveo attuale o nella fascia di riassetto fluviale, non pregiudichino la possibilità di attuazione delle previsioni del Piano. Il parere della Provincia può peraltro prevedere l’imposizione di opportuni accorgimenti tecnico-costruttivi e/o di misure e cautele per la tutela della pubblica incolumità sotto forma di prescrizioni. Non può essere rilasciato parere favorevole nei casi di tratti di corsi d’acqua non sufficienti allo smaltimento della portata duecentennale relativamente ai quali il Piano non individui la fascia di riassetto fluviale ovvero interventi alternativi in grado di riportare il rischio di inondazione ai livelli stabiliti, stante l’impossibilità di valutare l’eventuale interferenza degli interventi edilizi in questione con la messa in sicurezza del corso d’acqua.

9 Adeguamento del Piano. Rapporti con la pianificaz ione urbanistica comunale 1. Al fine di conformare le previsioni urbanistiche con gli indirizzi per le limitazioni d’uso del suolo indicati dalla pianificazione di bacino, il Comune, in sede di redazione dello strumento urbanistico generale o di variante integrale, è tenuto ad effettuare la verifica di compatibilità idraulica e

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idrogeologica delle previsioni dello strumento urbanistico con il quadro del dissesto, geologico e idraulico, del corrispondente piano di bacino. Relativamente alle aree classificate Pg4 (frane attive) e Pg3a (frane quiescenti), qualora le risultanze degli studi fondativi attestino la sussistenza di elementi di difformità rispetto al quadro rappresentato dal piano di bacino vigente, il Comune attiva la procedura semplificata dell’art. 10, c. 5 della l.r. n. 58/200919 finalizzata alla modifica puntuale del piano di bacino. In ogni caso il Comune recepisce la disciplina delle relative limitazioni d’uso del suolo come previsto dal piano di bacino vigente. Relativamente alle aree Pg3b, il Comune considera tali criticità geomorfologiche individuate dalla pianificazione di bacino effettuando apposite valutazioni, a scala locale, degli elementi che hanno portato il piano di bacino, in base all’applicazione della metodologia di cui alla specifica linea guida n. 2 /2000 “Indicazioni metodologiche per la redazione della carta di suscettività al dissesto dei versanti”, alla classificazione dell’area a suscettività elevata. Tali valutazioni concorrono alla definizione della zonizzazione geologica elaborata negli studi fondativi del PUC. La relazione geologica a corredo del PUC descrive nel dettaglio le valutazioni effettuate e giustifica compiutamente le scelte operate nella fase dell’integrazione delle aree Pg3b all’interno della zonizzazione geologica del PUC. Le norme geologiche del PUC, fermo restando gli adempimenti di cui alle Norme Tecniche per le Nuove Costruzioni 2008, dispongono adeguati regimi prescrittivi relativamente ai contenuti delle indagini geologiche a corredo dei progetti e delle modalità di attuazione degli interventi, in funzione degli esiti della zonizzazione geologica come sopra definita. Il Comitato Tecnico di bacino esprime il parere di competenza a riguardo della modifica della cartografia del piano di bacino relativamente alle aree Pg4 (frana attiva) e Pg3a (frana quiescente); mentre, la riconsiderazione delle aree Pg3b, effettuata nell’ambito del PUC, secondo le indicazioni sopra indicate, non produce modifica al piano di bacino. Il nuovo quadro dei dissesti assunto e condiviso costituisce riferimento per la procedura di Valutazione Ambientale Strategica del PUC. 2. Il Piano di bacino può prevedere che le modifiche puntuali e le integrazioni relative, previste dall’art. 10 comma 5, l.r.58/2009, quali quelle conseguenti a studi di maggior dettaglio, possano essere approvate dalla Provincia, acquisito il parere vincolante del Comitato tecnico di bacino, ai sensi dell’art.5 c.1 lett.c) della sopracitata legge regionale.

19 Fatti salvi gli errori materiali, per le modifiche alle perimetrazioni ed allo stato di attività delle frane attive e quiescenti si rimanda agli indirizzi contenuti nell’allegato 1 della DGR 1338/2007 e nell’’allegato 1 della DGR 265/2010.

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ALLEGATI TECNICI

ALLEGATO A:

INDIRIZZI TECNICI PER LA REDAZIONE DI STUDI IDRAULI CI Gli studi idraulici finalizzati sia alla determinazione delle aree inondabili sia alla progettazione ed alla verifica di opere, devono essere conformi alle seguenti indicazioni.

1) Rilievi topografici

Gli studi idraulici devono contenere il censimento e il rilievo delle opere e del profilo dell’alveo, per tratti significativi, sul quale basare le verifiche idrauliche per le diverse portate e determinare i livelli idrici attesi in corrispondenza alle portate di piena da esaminare.

Fermo restando che i rilievi di cui trattasi debbano essere acquisiti e restituiti in quote assolute, indicazioni d’ordine generale sul dettaglio topografico necessario per il transetto che comprende la sezione “attiva” dell’alveo fluviale, possono essere dedotte da direttive della FEMA, come di seguito sintetizzate:

Le sezioni fluviali devono essere rilevate avendo cura che:

♦ la distanza verticale tra due punti adiacenti lungo il transetto della piana alluvionale non superi il 10% della dimensione verticale totale (altezza) del transetto;

♦ la distanza orizzontale tra due punti adiacenti lungo il transetto della piana alluvionale non superi il 5% della larghezza totale del transetto;

♦ la distanza orizzontale tra due punti adiacenti lungo la sezione dell’alveo fluviale non superi il 10% della larghezza totale della sezione attiva.

Sia le opere longitudinali, sia quelle trasversali presenti nell’alveo attivo e nella zona golenale devono essere accuratamente rilevate, con una tolleranza verticale inferiore almeno della metà di quella adottata nel rilievo del piano quotato e una tolleranza orizzontale appropriata alla geometria e alla dimensione dei particolari di interesse idraulico dell’opera.

2) Tratto di studio

In ogni caso, lo studio va condotto per tratti idraulicamente significativi del corso d’acqua, delimitati cioè da sezioni in cui sia possibile assegnare il valore del livello idrico della corrente (ad es. attraversamento della profondità critica per brusco restringimento o allargamento, presenza di soglie, ponti, traverse, deflusso in un ricettore con livello noto, etc).

Sulla base di tale principio vanno individuati tratti di corso d’acqua idraulicamente “sconnessi” l’uno dall’altro, tali da poter assumere che il comportamento idraulico di un tratto non sia influenzato e non sia influenzabile da tratti a monte e a valle. Nel caso, si debbano perimetrare aree inondabili il tratto di studio deve essere tale che, oltre al tratto di corso d’acqua, anche le aree inondabili risultino “sconnesse” e non influenzate da quelle limitrofe, poste a monte e a valle. 20

3) Modellistica idraulica 20 A questo proposito, si richiama anche quanto dispos to con la DGR 16/2007.

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Di norma, ed in particolare nel caso della progettazione e della verifica di opere, può essere impiegato lo schema di corrente monodimensionale in condizioni di moto permanente, salvi i casi in cui sia necessario determinare valori locali della velocità della corrente o modificazioni della capacità di laminazione, o diverse specifiche problematiche da approfondire.

In considerazione della complessità del fenomeno da studiare e del grado di approfondimento necessario, pertanto a partire da schemi di moto permanente monodimensionale possono essere utilizzati rappresentazioni delle condizioni di moto di complessità crescente, ivi compresi schemi di moto vario monodimensionale o quasi-bidimensionale, o moto vario bidimensionale.

Nello studio deve essere sinteticamente descritto il modello matematico utilizzato per le verifiche idrauliche, con l’esplicita indicazione di ogni elemento utile alla interpretazione dei risultati, con particolare riferimento alle scabrezze utilizzate, alle condizioni al contorno assunte, e a ogni altra ipotesi adottata nel calcolo.

Negli studi finalizzati alla determinazione delle aree inondabili, nei vari tratti del corso d’acqua si deve determinare il valore della massima portata smaltibile senza esondazioni allo stato attuale e le aree perifluviali inondabili per portate corrispondenti almeno ai tempi di ritorno di 50, 200, e 500 anni. Particolare attenzione va posta ai tratti in corrispondenza di opere, per le quali, in assenza di specifiche analisi sugli effetti del trasporto solido, è opportuno prevedere valutazioni di riduzione di sezione utile per gli effetti di piena (ostruzioni di arcate di ponti o coperture per eccezionale trasporto solido, etc.).

Nei tratti in cui le portate di massima piena, corrispondenti ai vari tempi di ritorno, non trovano più capienza certa nell’alveo, tenendo conto quindi della tolleranza con cui sono determinati i livelli idrici attraverso un adeguato franco, devono essere determinate, alla scala almeno 1:5000, le aree perifluviali contigue ai corsi d’acqua conseguentemente inondabili. La relativa determinazione è effettuata applicando schema di moto più opportuno, tra quelli sopra indicati, in considerazione della morfologia del sito e delle caratteristiche del fenomeno fisico da considerare.

In particolare, al fine di valutare il grado di pericolosità delle aree inondabili, devono essere determinati, almeno in corrispondenza della portata duecentennale, i livelli idrici che vi si realizzano, anche attraverso la suddivisione in opportune classi di tiranti idrici, nonché, con particolare riferimento alle aree urbane, le zone a più alta velocità di scorrimento.

Negli studi connessi alla progettazione di opere i calcoli idraulici per la definizione della condizione di deflusso vanno condotti con riferimento alle condizioni antecedenti e successive alla realizzazione dell’opera nella configurazione definitiva, e nelle eventuali condizioni di deflusso relative alle fasi intermedie di realizzazione dell’opera qualora significative.

I progetti di sistemazione idraulica, che non garantiscano il deflusso di portata duecentennale, devono quantificare la pericolosità residua e determinare le aree ancora inondabili a seguito della realizzazione delle opere.

In generale, poiché il trasporto di sedimenti costituisce una componente che può influenzare in modo significativo la dinamica della corrente, è opportuno che gli studi idraulici effettuino considerazioni, anche di massima, relative al trasporto solido, finalizzate a valutare la rilevanza di tale fenomeno nel caso in esame (ad esempio, effetto della dinamica dell’alveo sui livelli idrici durante gli eventi di piena e/o effetto dell’opera sulla dinamica del trasporto di sedimenti) e ad evidenziare la necessità di eventuali approfondimenti in tal senso attraverso modelli a fondo mobile. Ove necessario, ovvero su indicazione della Provincia, la capacità di trasporto della corrente in diverse condizioni di piena può essere valutata, in prima approssimazione, sulla base della modellazione idraulica effettuata nello studio e di una speditiva caratterizzazione dei sedimenti in alveo, ottenendo indicazioni di massima sulla quantità e sulla tipologia del materiale trasportato e sulla tendenza morfologica evolutiva (deposito o erosione) dei vari tratti di alveo.

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4) Parametri di scabrezza

Nella modellazione di moto permanente monodimensionale il parametro di scabrezza rappresenta, per il tronco fluviale compreso fra due sezioni di calcolo, oltre alla natura e alle condizioni dell’alveo e delle sponde, macroresistenze dovute alla variabilità longitudinale della geometria o a possibili variazioni brusche del perimetro bagnato al crescere della portata; ciò assume particolare rilevanza nei casi in cui il rilievo delle sezioni disponibile non sia fitto lungo il corso d’acqua. In questi casi, il parametro di scabrezza deve tener conto di molteplici processi di resistenza e dovrebbe essere assunto superiore (inferiore in termini di Gauckler-Strickler) a quanto detterebbero condizioni solo locali dell’alveo.

I parametri di scabrezza da utilizzare nel calcolo idraulico devono tenere conto delle reali e documentabili condizioni di manutenzione del corso d’acqua, anche prevedibili per le condizioni di futuro esercizio.

Tali valori di parametro di scabrezza devono essere desunti da quelli individuati dalla tabella seguente (per semplicità riportati solo in termini di scabrezza di Gauckler-Strickler), tenendo conto che gli stessi dovrebbero essere considerati valori massimi non superabili. Scostamenti rispetto a tali valori, di entità in ogni caso modeste (non superiori al 10%), devono essere adeguatamente motivati, sulla base di specifiche considerazioni ed approfondimenti tecnici, anche in relazione alle specifiche situazioni di disponibilità di dati di dettaglio e di caratteristiche geometriche e condizioni dell’alveo e del bacino sotteso. In particolare nel caso dei corsi d’acqua con trasporto solido influenzato da fenomeni franosi, devono essere utilizzati i parametri di scabrezza più cautelativi.

Descrizione corso d’acqua

Coeff. di scabrezza di

Gauckler-Strickler K s (m1/3s-1)

Tratti di corsi d’acqua naturali con salti, rocce o vegetazione anche arbustiva-arborea in alveo

25-30

Corsi d’acqua naturali con vegetazione e movimento di materiale sul fondo

30-35

Tratti urbanizzati di corsi d’acqua naturali con argini cementati (e/o platee) in buono stato

35-40

Corsi d’acqua con fondo ed argini totalmente cementati in ottimo stato ed assenza di manufatti (tubi, cavi, ecc.) o discontinuità

interferenti con le acque 40-45

5) Franchi idraulici

Tutte le opere devono avere franchi adeguati rispetto al livello di piena previsto per la portata duecentennale, portata di riferimento per la progettazione di opere idrauliche od opere interferenti con l’alveo.

La previsione di adeguati franchi tra la sommità arginale o l’intradosso delle strutture in progetto ed il previsto livello della piena di riferimento, è necessaria per garantire il corretto funzionamento delle opere in questione ed assicurare il deflusso della portata di progetto con un adeguato coefficiente di sicurezza, tenendo conto di tutte le incertezze legate alla modellazione idrologico-idraulica (concettuale, matematica e numerica) e ai vari fenomeni che possono occorrere durante l’evento di piena, dei quali la modellazione non può tenere solitamente conto.

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Alla loro valutazione devono concorrere considerazioni sia relative alla tipologia di opera e alla sua rilevanza determinata anche in funzione della vulnerabilità delle zone limitrofe, sia relative alle caratteristiche cinetiche della corrente, con la fondamentale distinzione dei casi di correnti lente e di correnti veloci.

I franchi idraulici non devono essere inferiori ai valori indicati nella tabella seguente, assumendo come riferimento il valore maggiore tra quelli contrassegnati con le lettere (a) e con (b).

Franco idraulico:

valore maggiore tra i valori di (a) e (b)

Reticolo principale e secondario

Reticolo minore

(a) U2/2g, 0,5 U2/2g,

I) argini e difese spondali cm. 50/100 cm 50

II) ponti e strutture di attraversamento fino a estensioni longitudinali di m. 12

cm. 100/150 cm 75

(b)

III) coperture o tombinature (ove ammesse), ponti e strutture di attraversamento di estensione oltre m. 12

cm. 150/200 cm 100

dove:

- il termine U2/2g rappresenta il carico cinetico della corrente con U velocità media della corrente (m/s) e g accelerazione di gravità (m/s2),

- i due valori estremi per il reticolo principale e secondario corrispondono rispettivamente a bacini poco dissestati con previsione di modesto trasporto solido ed a bacini molto dissestati con previsione di forte trasporto solido in caso di piena, e/o a bacini di maggiore o minore estensione. Per le opere di cui al punto III, nel caso di modesta rilevanza dell’opera stessa e di bacini ben sistemati, il valore minimo del franco come sopra indicato può essere derogato dall’amministrazione competente fino a 100 cm, sulla base di adeguate valutazioni come riportato nel seguito.

Per estensione longitudinale si intende l’estensione dell’opera misurata parallelamente alla direzione della corrente. Per opere non ortogonali alla direzione della corrente si valuta come estensione la distanza, sempre misurata in senso parallelo alla corrente, tra il lembo più a monte e quello più a valle dell’opera stessa.

Nel caso di ponti ad arco o comunque con intradosso non rettilineo, il valore del franco deve essere assicurato per almeno 2/3 della luce e comunque per almeno 40 m, nel caso di luci superiori a tale valore.

Deroghe ai franchi idraulici

Deroghe ai franchi di sicurezza di cui al punto precedente potranno essere motivatamente ammesse dalla Provincia in relazione a casi specifici ed a seguito di adeguate analisi e

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valutazioni, a condizione che sia comunque assicurata l’adeguata sicurezza delle opere in progetto e delle aree limitrofe ai fini della tutela della pubblica e privata incolumità.

E’ necessario, pertanto, che, qualora gli interventi di sistemazione idraulica, progettati o realizzati, non prevedano l’adeguato franco idraulico, sia effettuata una valutazione specifica e dettagliata che consenta di analizzarne le conseguenze in termini di pericolosità idraulica.

Nell’ambito di autorizzazione di deroghe ai franchi rispetto alla portata di progetto deve essere quindi individuata la portata smaltibile con l’adeguato franco, da considerarsi quella per la quale l’opera in progetto assicura con adeguato coefficiente di sicurezza il deflusso senza esondazioni, presupponendo, quindi, di norma un livello di pericolosità residua per le portate superiori.

La riduzione del franco previsto deve essere supportata da specifiche motivazioni tecniche che consentano di escludere ragionevolmente la possibilità di realizzazione di livelli di piena superiori rispetto a quanto determinato con la modellazione utilizzata, ovvero devono essere condotte specifiche analisi che consentano di definire il livello di mitigazione del rischio effettivamente conseguibile e le connesse condizioni di pericolosità residua, da trasporre in termini di eventuali aree inondabili o fasce di inondabilità residue.

In particolare, gli aspetti tecnici da considerare all’atto di deroghe ai franchi minimi, della cui valutazione si deve dare atto negli atti di competenza, sono di seguito schematizzate.

a) Rilevanza dei corsi d’acqua in esame e dell’este nsione dei bacini sottesi, anche in relazione all’articolazione del reticolo idrografico.

b) Caratteristiche del corso d’acqua e del bacino s otteso.

A questo proposito occorre valutare se tali caratteristiche permettano di escludere l’evenienza di fenomeni non tenuti in conto nella modellazione matematica utilizzata per determinare il livello di piena (valutazione ad esempio dell’entità della pendenza di fondo, dell’uniformità longitudinale delle sezioni fluviali, del trasporto solido, dell’influenza di opere interferenti con il deflusso, etc.). In particolare deve essere valutata l’entità del possibile trasporto solido o di flottanti durante un evento di piena, fenomeno che può significativamente alterare gli effetti previsti con la modellazione matematica (ad esempio effetto della dinamica dell’alveo sui livelli idrici durante gli eventi di piena e/o effetto dell’opera sulla dinamica del trasporto di sedimenti).

c) Caratteristiche idrauliche della corrente.

In particolare, devono essere verificate le condizioni di deflusso nel tratto in esame con la distinzione tra corrente “veloce” (o supercritica) e “lenta” (subcritica); si ricorda infatti che, in caso di correnti veloci, anche un modesto ostacolo o una variazione di natura dell’alveo possono provocare un innalzamento anche rilevante della superficie libera, che può raggiungere il valore del carico cinetico U2/2g, e provocare quindi esondazioni non previste qualora le opere non abbiano previsto l’adeguato franco. Analogamente va valutato l’effetto di velocità elevate rispetto alle sollecitazioni sulle strutture che interferiscono con il deflusso (scalzamenti, erosioni spondali, etc)

d) Caratteristiche progettuali dell’opera.

In particolare va valutata la rilevanza dell’opera in progetto e la sua interferenza con il normale deflusso del corso d’acqua, tenendo conto che, se l’opera interferisce significativamente con la corrente (ad es. una tombinatura), la stessa può essere causa di modifiche non trascurabili delle condizioni del moto della corrente stessa, anche in funzione di fenomeni non considerati nella modellazione.

e) Caratteristiche delle zone limitrofe all’opera e valutazione del danno atteso in caso di esondazione della portata di progetto

In particolare deve essere valutata la possibilità connessa ad una esondazione della portata di progetto conseguente alla mancata previsione dell’adeguato franco al sopravvenire di

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circostanze non prese in considerazione esplicitamente nella schematizzazione modellistica, in relazione anche al possibile danno atteso in funzione delle caratteristiche delle zone limitrofe; a tale proposito possono essere distinte, a titolo di esempio, zone urbanizzate per le quali il danno atteso di una eventuale esondazione è sempre elevato e zone non urbanizzate ove tale danno possa essere, al contrario, ritenuto non rilevante.

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ALLEGATO B: ACCORGIMENTI TECNICO-COSTRUTTIVI PER IL

NON AUMENTO DELLE CONDIZIONI DI RISCHIO IDRAULICO

Vengono di seguito definite le caratteristiche fondamentali degli accorgimenti tecnico-costruttivi finalizzati al non aumento del rischio idraulico attuale. A tal fine rileva la definizione di rischio idrogeologico assunta nei piani di bacino stralcio, che, come è noto, risulta dalla combinazione dei seguenti tre fattori: (1) pericolosità, (2) valore degli elementi a rischio in termini di persone e beni; (3) vulnerabilità degli elementi a rischio, intesa come capacità dell’elemento a resistere all’evento. Nella specie, con riferimento al rischio idraulico, la pericolosità è rappresentata dalle fasce di inondabilità. Dalla definizione generale del rischio si evince che, affinché l’introduzione di un nuovo elemento in un’area interessata da possibili inondazioni non determini un aumento delle condizioni di rischio, deve poter essere eliminata la vulnerabilità dell’elemento stesso nei confronti dell’evento temuto. Pertanto gli accorgimenti tecnico-costruttivi finalizzati al non aumento del rischio attuale devono essere in grado di proteggere l’elemento stesso dagli allagamenti e limitare gli effetti dannosi per la pubblica incolumità conseguenti all’introduzione del nuovo elemento in occasione di un evento alluvionale. Occorre, quindi, verificare, caso per caso, l’efficacia degli accorgimenti nella protezione del nuovo elemento dagli allagamenti, in considerazione in particolare sia delle caratteristiche dell’evento atteso (quali altezze idriche e velocità di scorrimento previste in caso di piena duecentennale) sia della alta vulnerabilità intrinseca di alcuni elementi (per esempio locali interrati o campeggi); tale verifica deve essere effettuata mediante un’analisi tecnico-idraulica basata sulle determinazioni del Piano relativamente alla portata duecentennale. Qualora tali determinazioni non risultino sufficientemente approfondite per i casi in questione deve essere prodotto uno studio idraulico di dettaglio finalizzato a valutare l’entità e le caratteristiche del fenomeno nell’area interessata dall’edificazione. Le finalità sopra indicate possono essere perseguite attraverso l’adozione, sia singolarmente sia congiuntamente, delle seguenti misure od accorgimenti tecnico-costruttivi, elencati a titolo meramente esemplificativo:

1. il confinamento idraulico dell’area oggetto dell’intervento mediante sopraelevazione o realizzazione di barriere fisiche per la corrente di inondazione;

2. l’impermeabilizzazione dei manufatti fino a una quota congruamente superiore al livello di piena di riferimento mediante il relativo sovralzo delle soglie di accesso, delle prese d’aria e, in generale, di qualsiasi apertura;

3. il diniego di concessioni per locali interrati o insediamenti ad alta vulnerabilità; 4. il divieto di destinazioni d’uso che comportino la permanenza nei locali interrati.

In ogni caso la quota del piano terra abitabile delle nuove edificazioni deve essere posta ad un livello adeguatamente superiore a quello del tirante idrico associato alla piena duecentennale e le eventuali strutture interrate devono prevedere accessi posti ad una quota superiore al tirante anzidetto maggiorato di almeno 0.50 metri ed essere completamente stagne e non collegate direttamente con le reti di smaltimento bianche e nere.

Ulteriori accorgimenti tecnico-costruttivi complementari ai precedenti possono essere: − l’installazione di stazioni di pompaggio;

− la riorganizzazione della rete di smaltimento delle acque meteoriche nelle aree limitrofe;

− la difesa mediante sistemi passivi dal rigurgito delle acque nella rete di smaltimento delle acque meteoriche, dei quali sia predisposto un adeguato programma di manutenzione;

− l’installazione di sistemi di allarme.

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

TESTO INTEGRATO DELLA NORMATIVA-TIPO

PER I PIANI DI BACINO PER LA TUTELA DAL RISCHIO IDROGEOLOGICO

E RELATIVI ALLEGATI TECNICI

Documento approvato con DGR n.1265/2011 modificato ed integrato con DGR n.1208/2012

Documento 1.2

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Testo integrato della normativa tipo Dgr n.1265/2010 e Dgr n.1208/2012

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ALLEGATO 2 ALLA DGR N .1265/2011 MODIFICATO ED INTEGRATO DA ALLEGATO 2

ALLA DGR N .1208/2012

TESTO INTEGRATO DELLA NORMATIVA TIPO PER I PIANI DI BACINO PER LA TUTELA

DAL RISCHIO IDROGEOLOGICO E RELATIVI ALLEGATI TECN ICI

TITOLO I FINALITÀ, CONTENUTI ED ELABORATI DI PIANO

CAPO I

Finalità ed ambito di applicazione del Piano Art. 1 Finalità generali del Piano 1. Il presente Piano per la tutela dal rischio idrogeologico nei bacini del (o dei)

………………………., redatto ai sensi del comma 1, dell’art. 1, del d.l. 11 giugno 1998 n.180 convertito, con modificazioni, in legge 3 agosto 1998 n.267:

a) costituisce piano stralcio di bacino ai sensi del comma 6 ter, dell’art.17 della l. n. 18 maggio 1989 n.183 relativo ai settori funzionali individuati dal comma 3 dello stesso art.17;

b) ha valore di piano territoriale di settore;

c) è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso relative alle aree suscettibili di dissesto idrogeologico finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio.

2. Il Piano definisce le sue scelte attraverso la valutazione unitaria dei vari settori di disciplina con l’obiettivo di assicurare un livello di sicurezza adeguato rispetto ai fenomeni di esondazione, di perseguire il ripristino, la riqualificazione e la tutela delle caratteristiche del territorio, nonchè la programmazione degli usi del suolo ai fini della difesa, della stabilizzazione e del consolidamento dei terreni.

3. Il Piano persegue le finalità della difesa idrogeologica e della rete idrografica, il miglioramento delle condizioni di stabilità del suolo, di recupero delle aree interessate da particolari fenomeni di degrado e dissesto, di salvaguardia della naturalità mediante la definizione :

a) del quadro della pericolosità e del rischio idrogeologico in relazione ai fenomeni di inondazione e di dissesto considerati;

b) dei vincoli e delle limitazioni d’uso del suolo in relazione al diverso grado di pericolosità;

c) delle esigenze di manutenzione, completamento ed integrazione dei sistemi di difesa esistenti in funzione del loro livello di efficacia in termini di sicurezza;

d) degli interventi per la sistemazione del dissesto dei versanti e delle aree instabili a protezione degli abitati e delle infrastrutture, adottando modalità di intervento che privilegino la conservazione ed il recupero delle caratteristiche naturali del territorio;

e) degli interventi per la difesa e la regolazione dei corsi d’acqua;

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f) di nuovi sistemi di difesa, ad integrazione di quelli esistenti, con funzioni di controllo dell’evoluzione dei fenomeni di dissesto e di esondazione, in relazione al livello di riduzione del rischio da conseguire.

Art. 2 Ambito di applicazione 1. Le previsioni del Piano si applicano al bacino (o ai bacini) idrografico del T.………………., che

interessa i Comuni di………………..

2. Per gli aspetti non trattatati nel presente Piano continuano a restare in vigore le norme di salvaguardia del comma 1, dell’articolo 26 l.r. n.9/93, se compatibili.

CAPO II Contenuti del Piano

Art. 3 Oggetto del Piano 1. Il Piano persegue gli obiettivi di settore ai sensi dell’ art. 15 della l.r. n.9/93 e successive

modificazioni ed integrazioni, con particolare riferimento alle lettere a, c, d, e, g, m, o, t, v, per gli aspetti attinenti all’assetto idrogeologico ed ha i seguenti contenuti essenziali:

I. quadro conoscitivo del territorio e delle sue caratteristiche II. individuazione delle problematiche e delle criticità del bacino e delle relative cause III. individuazione delle aree a diversa pericolosità idraulica e geomorfologica IV. individuazione dei livelli di rischio idrogeologico in relazione agli elementi presenti

nelle varie aree V. definizione del piano degli interventi di mitigazione del rischio VI. determinazione delle norme d’uso, dei vincoli e delle prescrizioni in funzione delle

specifiche condizioni idrogeologiche. Art. 4 Elaborati di Piano 1. Il Piano è costituito dai seguenti elaborati, contenenti le previsioni di piano:

I. Relazione generale II. Piano degli interventi di mitigazione del rischio III. Norme di attuazione e relativi allegati IV. Carta della suscettività al dissesto (pericolosità geomorfologica) V. Carta delle fasce di inondabilità (pericolosità idraulica) VI. Carta della fascia di riassetto fluviale VII. Carta del rischio idrogeologico VIII. Carta degli interventi

2. Costituiscono elaborati di analisi del Piano le seguenti cartografie, schede e documenti di indagine e studio1 : IX. Carta dell’acclività

1 Tale materiale non è oggetto di pubblicazione in fase di divulgazione del piano approvato, ma deve essere tenuto a disposizione per la consultazione presso la Regione, la Provincia ed i Comuni competenti. L’elenco qui riportato è indicativo e suscettibile di integrazioni e/o modifiche in considerazione delle cartografie elaborate nell’ambito degli specifici piani. In ogni caso gli elaborati del presente articolo costituiscono elementi propedeutici alla elaborazione della descrizione fondativa dei PUC ai sensi della l.r. n.36/1997.

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X. Carta geologica XI. Carta geomorfologica XII. Carta idrogeologica XIII. Carta del reticolo idrografico XIV. Carta della franosità reale XV. Carta dell’uso del suolo XVI. Carta delle aree storicamente inondate XVII. Carta delle tracce delle sezioni idrauliche XVIII. Carta delle aree inondabili (qualora prodotta) XIX. Carta dei tiranti idrici per aree inondabili a T= 50, 200, 500 anni XX. Carta degli elementi a rischio XXI. Carta delle aree sottoposte al regime del vincolo idrogeologico2 XXII. Allegati relativi alle verifiche idrauliche (profili, sezioni, tabelle, etc.) XXIII. Schede di censimento dei movimenti franosi.

TITOLO II

DISCIPLINA DELL’ASSETTO IDROGEOLOGICO DEL TERRITORI O

CAPO I

Indirizzi e norme di carattere generale

Sezione I - Norme generali di carattere idrogeologi co Sezione I - Norme generali di carattere idrogeologi co per la prevenzione del dissesto

Art. 5 Indirizzi tecnici vincolanti a carattere ge nerale 1. Nell'ambito del bacino del t……………. valgono i seguenti indirizzi vincolanti di carattere

generale che devono essere recepiti e sviluppati dalle norme di attuazione degli strumenti urbanistici comunali, nonché dalle specifiche norme di settore.

2. Al fine di prevenire i fenomeni di dissesto:

a) non sono consentiti gli interventi che richiedano sbancamenti e riporti, che incidano negativamente sulla configurazione morfologica esistente o compromettano la stabilità dei versanti;

b) deve essere mantenuta efficiente la rete scolante generale (fossi, cunette stradali) e la viabilità minore (interpoderale, poderale, forestale, carrarecce, mulattiere e sentieri) che, a tal fine, deve essere dotata di cunette tagli acqua e di altre opere similari;

c) in occasione di scavi connessi alla realizzazione di interventi urbanistico-edilizi, qualora sia individuata la presenza di acque sotterranee, devono essere eseguite idonee opere di intercettazione;

d) nei territori boscati in abbandono e nelle aree cespugliate e prative ex coltivi, vanno favoriti sistematici interventi di recupero qualitativo dell’ambiente mediante l’introduzione di specie arboree ed arbustive conformi alle tipologie individuate dalla normativa forestale, tenuto conto delle funzioni del loro apparato radicale a contributo del consolidamento dei suoli;

2 Elaborata in base ai criteri approvati con DGR n.1795/2009 , allegato 1 recante criteri in materia di riordino del vincolo idrogeologico – aggiornamento della cartografia di riferimento.

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e) le attività agro-forestali, al fine di non incidere negativamente sulla stabilità dei versanti, devono darsi carico, anche in base a specifiche normative e regolamenti di settore, di provvedere ad una adeguata gestione del soprassuolo, convogliare le acque di sorgente e di ristagno idrico nel reticolo di scolo, impostare adeguati canali di raccolta delle acque e mantenerne nel tempo la loro efficienza;

f) è fatto salvo, in ogni caso, il rispetto delle previsioni in merito alla gestione ed al miglioramento dei boschi e dei pascoli e delle relative modalità di utilizzazione previste dai Piani di assestamento ed utilizzazione del patrimonio silvo-pastorale, definiti ai sensi dell’art. 19 della l.r. n. 4/99.

3. Al fine di preservare i suoli, nelle aree percorse da incendi boschivi devono essere approntate misure di contenimento dell’erosione del suolo, anche mediante l’utilizzo del materiale legnoso a terra e di quello ricavato dal taglio dei fusti in piedi gravemente compromessi e/o in precarie condizioni di stabilità. Ove ricorrano condizioni di possibile rischio di fluitazione del rimanente materiale legnoso a terra per effetto di eventi meteorici, sono adottate idonee misure di rimozione, riduzione o sistemazione dello stesso.

4. Al fine di mantenere le caratteristiche naturali del territorio, la realizzazione degli interventi di sistemazione è subordinata, per quanto possibile, all’impiego di tecniche naturalistiche, di rinaturalizzazione degli alvei dei corsi d’acqua e di opere di ingegneria ambientale volte alla sistemazione dei versanti.

Art. 5bis Indirizzi tecnici vincolanti volti a mit igare gli effetti dell’ impermeabilizzazione dei suoli.

1. Al fine di mitigare gli effetti degli interventi che producono impermeabilizzazione dei suoli, nonché migliorare il sistema di smaltimento delle acque superficiali e favorirne il riuso in sito, si definiscono i seguenti indirizzi vincolanti che devono essere recepiti dagli strumenti urbanistici comunali ed in fase di progettazione dei singoli interventi.

2. Ogni intervento che comporti una diminuzione della permeabilità del suolo si deve dare carico, in primo luogo, di mettere in atto misure di mitigazione tali da non aumentare, nell’areale di influenza, l’entità delle acque di deflusso superficiale e sotterraneo rispetto alle condizioni precedenti all’intervento stesso. La realizzazione di un nuovo intervento costituisce, altresì, occasione di miglioramento dell’efficienza idraulica della porzione di bacino interessato.

3. Nei centri urbani la realizzazione di nuove edificazioni o di opere di sistemazione superficiale di aree pubbliche e private, è subordinata all’esecuzione di specifici interventi ed accorgimenti tecnici atti a conservare un’adeguata percentuale di naturalità e permeabilità del suolo;

4. Gli strumenti urbanistici generali recepiscono tali indicazioni e prevedono specifiche disposizioni e misure volte a regolamentare e a prevenire le conseguenze degli interventi di impermeabilizzazione dei suoli tenendo conto delle particolari caratteristiche territoriali a scala locale, nonché delle criticità idrauliche e dell’adeguatezza dell’intera rete utilizzata per lo smaltimento delle acque.

5. Le norme di attuazione dei piani urbanistici comunali nonché gli elaborati di progetto dei singoli interventi contengono specifiche indicazioni a riguardo degli interventi che producono impermeabilizzazione del suolo finalizzate alla loro limitazione, alla mitigazione delle relative conseguenze, nonché all’attuazione di forme di compensazione; in particolare sono tenuti a:

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a) prevedere adeguati sistemi di regimazione delle acque piovane atte a rallentarne lo smaltimento, impiegando, nella realizzazione di nuovi spazi pubblici o privati o di loro eventuali risistemazioni (piazzali, parcheggi, aree attrezzate, impianti sportivi, viabilità ecc), modalità costruttive che favoriscano, in via preferenziale, l’infiltrazione delle acque nel terreno, quali pavimentazioni drenanti e permeabili, verde pensile, e tecniche similari e, qualora ancora necessario per la ritenzione temporanea delle acque, la realizzazione di idonee reti di regolazione e drenaggio;

b) indirizzare, soprattutto a fronte di interventi che comportano un significativo impatto, a mettere in atto adeguate forme di compensazione finalizzate al riequilibrio tra le superfici impermeabilizzate e quelle naturali attraverso la previsione di interventi di rinaturalizzazione di aree già impermeabilizzate a fronte della sigillatura di superfici permeabili.

c) incentivare il riuso in sito delle acque raccolte;

d) mantenere le acque nel bacino idrografico di naturale competenza;

e) assicurare il definitivo convogliamento delle acque delle reti di drenaggio in fognature o in corsi d’acqua adeguati allo smaltimento.

6. Resta fermo il perseguimento dell’infiltrazione delle acque meteoriche nel terreno, purché non interferisca con areali in frana e non induca fenomeni di erosione superficiale, di ristagno, di instabilità nel terreno o danni ai manufatti esistenti a valle.

7. Sulla base degli indirizzi di cui al presente articolo i Comuni promuovono, anche a riguardo delle aree già edificate, la realizzazione od il miglioramento dei sistemi di raccolta e di regimazione delle acque meteoriche.

Sezione II - Norme di Carattere idraulico

Art. 6 Reticolo idrografico significativo 1. Fermo restando il disposto del comma 1, dell’art.1 del D.P.R. 18 febbraio 1999 n.238, recante

norme per l’attuazione di talune disposizioni della legge 5 gennaio 1994 n. 36 in materia di risorse idriche, in forza del quale tutte le acque sotterranee e le acque superficiali appartengono allo Stato, la disciplina di cui al presente Piano, si applica al reticolo significativo che comprende tutti i tratti delle aste fluviali con bacino imbrifero sotteso superiore a 0,1 Km2, nonché i tratti con bacini inferiori a 0,1 km2 che presentano fasce di inondabilità già perimetrate.

2. Con riferimento alla definizione ed articolazione del reticolo idrografico secondo quanto disposto nel Regolamento regionale n 3/2011 recante “Disposizioni in materia di tutela delle aree di pertinenza dei corsi d’acqua” 3, il reticolo idrografico significativo ai fini della pianificazione di bacino di cui al comma 1 si articola nelle seguenti classi:

a) corsi d’acqua di primo livello o principali: aste fluviali con bacino sotteso > 1 Km2;

b) corsi d’acqua di secondo livello o secondari: aste fluviali con bacino sotteso compreso tra 1 e 0,25 Km2

;

3 Il Regolamento regionale n. 3/2001, recante “Disposizioni in materia di tutela delle aree di pertinenza dei corsi d’acqua” è stato emanato in data 14/07/2011, pubblicato sul Bollettino Ufficiale Regionale n. 13, parte I, del 20.07.2011, ed entrato in vigore il 21.07.2011.

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c) corsi d’acqua di terzo livello o minori: aste fluviali con bacino sotteso compreso tra 0,25 e 0,1 Km2, con l’aggiunta delle aste con bacini inferiori a 0,1 km2 con fasce di inondabilità perimetrate nel piano (se del caso specificare a quale data);

3. Nelle more della definizione della carta regionale univoca del reticolo idrografico da parte della Regione Liguria, ai fini dell’applicazione della presente norma, si fa riferimento alla carta del reticolo idrografico di cui alla Carta “.……………………” 4.

Art 7 Portata di piena di progetto 1. La portata di piena da assumere nella progettazione relativa ad opere strutturali è quella con

tempo di ritorno duecentennale (T=200) indicata nella relazione generale del Piano. Tale valore di portata può essere motivatamente modificato al sopravvenire di nuove evidenze scientifiche o di studi idrologici più dettagliati 5.

2. La Provincia, sulla base di adeguata documentazione tecnica, rilascia le autorizzazioni in deroga al valore di cui al comma 16, in presenza di interventi che:

a) rappresentino una fase realizzativa intermedia, coerente con il quadro sistematorio previsto nel presente Piano;

b) concorrano a migliorare il deflusso delle piene, riducano significativamente il rischio di inondazione, e non pregiudichino una soluzione definitiva, qualora venga dimostrata l’impossibilità di prevedere a breve/medio termine opere tali da riportare il rischio di inondazione al tempo di ritorno di 200 anni.

3. Uno schema riassuntivo delle portate a tempo di ritorno di 200 anni e ad altri tempi di ritorno rilevanti, relative al bacino in oggetto, sono riportate nell’allegato 2 alla presente normativa.

4. Gli indirizzi di carattere tecnico ed i requisiti minimi degli studi idraulici relativi a progetti di sistemazione idraulica, a richieste di autorizzazioni idrauliche, ad indagini relative alle fasce di rispetto per zone non studiate nel Piano, a studi di compatibilità idraulica relativi a nuove infrastrutture in fasce di inondabilità, nonché i franchi di sicurezza minimi da osservare sono riportati nell’allegato 37, fermo restando quanto disposto dal regolamento regionale n. 3/2011, ed in coerenza con ulteriori criteri ed indirizzi dell’Autorità di Bacino regionale.

4 Ferma restando la natura vincolante della norma, la tavola citata non costituisce elaborato di Piano, ma è da considerarsi parte degli elaborati di supporto al Piano stesso, di cui all’art. 4, c. È in ogni caso necessario indicare la tipologia e l’origine della cartografia assunta a riferimento dagli uffici provinciali per le attività di comptenza. 5 A tale proposito si rimanda anche ai seguenti documenti:

- DGR 357/2008, con cui sono state adottate linee guida per la verifica e valutazione delle portate e degli idrogrammi di piena attraverso studi idrologici di dettaglio nei bacini idrografici liguri, che costituiscono il riferimento per aggiornamenti o modifiche delle portate di riferimento nel piano di bacino;

- DGR 1634/05, Allegato 1, con la quale sono stati forniti gli indirizzi procedurali per l’aggiornamento dei piani di bacino in relazione a modifiche dei valori delle portate di piena di riferimento.

6 In tali casi dovranno essere conseguentemente valutate le condizioni di pericolosità residua a seguito della realizzazione degli interventi, in conformità con i criteri dell’Autorità di Bacino (cfr. ad es. DGR 16/2007). 7 Vedere anche quanto disposto con DGR 16/2007, in relazione ad indirizzi per la riperimetrazione di fasce di inondabilità a seguito di studi di maggior dettaglio.

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Art.8 Distanze dai corsi d’acqua

1. In materia di definizione delle fasce di inedificabilità lungo i corsi d’acqua e della connessa disciplina, si rinvia al contenuto del Regolamento regionale n. 3/2011 recante “Disposizioni in materia di tutela delle aree di pertinenza dei corsi d’acqua”.8

2. Relativamente ai tratti dei corsi d’acqua, che non hanno formato oggetto di studi idraulici finalizzati alla individuazione delle fasce di inondabilità, di cui alla lett. a), del comma 2 dell'art. 12, rappresentati nella Tav ….., sulla base delle definizioni di cui all’art. 6, è stabilita altresì una fascia di rispetto, da misurarsi in coerenza con il disposto del Regolamento regionale n. 3/2011, come di seguito articolata:

(a) 40 metri per i corsi d’acqua del reticolo significativo definiti come principali;

(b) 20 metri per i corsi d’acqua del reticolo significativo definiti come secondari;

(c) 10 metri per i corsi d’acqua del reticolo significativo definiti come minori;

3. Nella fascia di rispetto di cui al comma 2 sono consentiti interventi urbanistico-edilizi9, a condizione che la Provincia esprima parere favorevole, sulla base di uno studio idraulico, che individui le fasce di inondabilità delle aree secondo i criteri di cui all’allegato 3. Le risultanze dei suddetti studi idraulici sono recepite nelle fasi di aggiornamento del Piano secondo la procedura di cui al comma 5 dell’art. 10 della l.r. 58/2009.

4. La disciplina della fascia di rispetto di cui al comma 2 è da applicarsi in modo integrato e coordinato con quello relativo alle fasce di inedificabilità assoluta di cui al regolamento regionale n. 3/2011. In particolare, l’espressione del parere di cui al comma 3 va coordinato con il rilascio dell’autorizzazione provinciale ex R.D. 523/1904 prevista all’art. 4 del suddetto regolamento, laddove necessaria ai fini della riduzione della fascia di inedificabilità.

Art. 9 Tombinature e coperture

1. In materia di tombinature e coperture si fa rinvio alla disciplina di cui all’art. 8 del Regolamento regionale n. 3/2011.

Art. 10 Adeguamento opere in concessione

1. In coerenza con quanto previsto dal regolamento regionale n. 3/2011 (art.8), per le opere esistenti che risultino insufficienti rispetto ai valori di portata di cui al precedente art. 7, ne deve essere previsto l’adeguamento in sede di rinnovo delle concessioni ovvero a seguito di accertamenti di polizia idraulica, secondo modalità e priorità previste dalla Provincia nell’ambito dell’esercizio delle proprie competenze. Tale adeguamento, peraltro, può essere effettuato anche con gradualità, nel rispetto delle indicazioni della Provincia, in ragione dei vincoli di urbanizzazione eventualmente presenti e comunque della dimostrata impossibilità di raggiungere il dimensionamento ottimale in tempi brevi, purché contribuiscano ad un

8 Per completezza, si può vedere anche la ricostruzione della disciplina connessa alle fasce di inedificabilità assoluta di cui alla DGR 1339/2007, per quanto ancora di rilievo. 9 Gli interventi ammissibili in tali fasce senza l’acquisizione del parere della Provincia sono quelli ammessi dalla disciplina della fascia di riassetto fluviale, nonché gli interventi sul patrimonio edilizio esistente che non necessitino valutazioni sulla pericolosità dell’area o di interferenza con eventuali interventi di sistemazione idraulica quali i modesti ampliamenti a fini igienico-sanitari e tecnologici; gli interventi di frazionamento interni ed il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti e, più in generale, le sopraelevazioni che non configurino interventi di nuova costruzione; pali o tralicci, recinzioni, cancelli, tettoie, o similari, purché amovibili in caso di necessità; balconi e sbalzi; la posa in opera di tubi o condotte di servizio.

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significativo miglioramento delle condizioni di deflusso. Art.11 Manutenzione degli alvei 1. Gli interventi di manutenzione degli alvei devono essere effettuati nel rispetto delle direttive

vigenti della regione Liguria e/o dell’Autorità di Bacino di rilievo regionale.10

CAPO II Articolazione del territorio in categorie

Art.12 Individuazione e categorie di aree 1. Sono individuate le seguenti tipologie di aree :

a) Alveo Attuale : fermo restando che la sua puntuale definizione è effettuata alla scala più adeguata nell’ambito della predisposizione degli specifici atti che lo richiedano, la sua individuazione di massima per i tratti principali e per quelli che presentano situazioni di criticità è riportata nella Tav….…… – Carta delle fasce di inondabilità (scala 1:5000).

b) Fascia di riassetto fluviale (RF): è individuata nella Tav……. – Carta……… e comprende le aree esterne all’alveo attuale necessarie per l’adeguamento del corso d’acqua all’assetto definitivo previsto dal presente Piano. La sua delimitazione è effettuata sulla base delle strategie e delle scelte pianificatorie del Piano e dell’insieme degli interventi strutturali individuati nell’ambito dello stesso. Comprende in particolare le aree necessarie al ripristino della idonea sezione idraulica, tutte le forme fluviali riattivabili durante gli stati di piena e le aree da destinare alle opere di sistemazione idraulica previste. Può comprendere, inoltre, aree ritenute di pertinenza fluviale e/o di elevato pregio naturalistico-ambientale limitrofe al corso d’acqua.

2. Sono individuate le seguenti categorie di aree relative alla pericolosità idrogeologica, 11:

a) Fasce di inondabilità («Aree AIN») 12: sono individuate nella Tav……. – Carta delle fasce di inondabilità – ed articolate nel modo seguente:

10 Si veda anche, a questo proposito, la DGR 226/2009, recante criteri e direttive in materia di asportazione di materiali litoidi dai corsi d’acqua dei bacini idrografici regionali, nonché le raccomandazioni tecniche per la valutazione degli effetti morfodinamici nell’ambito della redazione di studi e progetti di interventi idraulici approvate dal Comitato Tecnico Regionale – Sezione per le funzioni dell’Autorità di Bacino nella seduta del 29.07.2009, in ottemperanza alla stessa DGR 226/2009. 11 Possono essere integrate le categorie di aree relative alla pericolosità idrogeologica, in considerazione di aspetti non trattati nella presente normativa, quali lo studio di aree interessate dall’evoluzione dinamica dei fenomeni franosi, l’interazione di fenomeni geomorfologici ed idraulici o la gradazione del livello della pericolosità nell’ambito delle fasce di inondabilità in considerazione dell’entità dei tiranti idrici e delle velocità di scorrimento. Resta ferma la possibilità di accorpare le suddette categorie di aree a quelle definite nella presente normativa tipo. 12 Sulla base di studi di maggior dettaglio, è possibile individuare ambiti normativi delle fasce di inondabilità in funzione delle caratteristiche delle esondazioni, quali tiranti idrici e velocità di scorrimento, con riferimento ai criteri ex DGR 250/2005 e agli indirizzi procedurali di cui alla DGR 1532/2005.

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1) Fascia A – pericolosità idraulica molto elevata (P i3): aree perifluviali inondabili al verificarsi dell’evento di piena con portata al colmo di piena corrispondente a periodo di ritorno T=50 anni;

2) Fascia B – pericolosità idraulica media (P i2): aree perifluviali, esterne alle precedenti, inondabili al verificarsi dell’evento di piena con portata al colmo di piena corrispondente a periodo di ritorno T=200 anni;

3) Fascia C – pericolosità idraulica bassa (P i1): aree perifluviali, esterne alle precedenti, inondabili al verificarsi dell’evento di piena con portata al colmo di piena corrispondente a periodo di ritorno T=500 anni, o aree storicamente inondate ove più ampie, laddove non si siano verificate modifiche definitive del territorio tali da escludere il ripetersi dell’evento;

4) Fascia B* ( ovvero A*): aree storicamente inondate, per le quali non siano avvenute modifiche definitive del territorio tali da escludere il ripetersi dell’evento, ovvero aree individuate come a rischio di inondazione sulla base di considerazioni geomorfologiche o di altra evidenze di criticità, in corrispondenza delle quali non siano state effettuate nell’ambito del Piano le adeguate verifiche idrauliche finalizzate all’individuazione delle fasce di inondabilità.

b) Aree classificate a diversa suscettività al diss esto di versante («Aree SDV») 13: sono individuate nella Tav…….. – Carta della suscettività al dissesto – articolata in base alle seguenti classi, metodologicamente determinate sulla base di quanto indicato nel cap……….… del Piano e di seguito sinteticamente riassunte:

1) suscettività al dissesto molto elevata : aree in cui sono presenti movimenti di massa in atto - frana attiva (Pg4);

2) suscettività al dissesto elevata : comprensiva delle seguenti aree: 2.1) aree in cui sono presenti indicatori geomorfologici diretti, quali l’esistenza di frane quiescenti o di segni precursori o premonitori di movimenti gravitativi (Pg3a); 2.2) aree, prive al momento di movimenti gravitativi attivi e quiescenti, in cui sono presenti indicatori indiretti di elevata suscettività valutabili, dalla combinazione di elementi geomorfologici, litologici, strutturali e di uso del suolo. Sono comprese in tali aree le frane stabilizzate e relitte (paleofrane) e le zone a franosità diffusa inattive (Pg3b);

3) suscettività al dissesto media (Pg2 ): aree, in cui sono presenti elementi geomorfologici e di uso del suolo, dalla cui valutazione combinata risulta una propensione al dissesto di grado inferiore a quella indicata al punto 2);

4) suscettività al dissesto bassa (Pg1 ): aree, in cui sono presenti elementi geomorfologici e di uso del suolo caratterizzati da una bassa incidenza sulla instabilità, dalla cui valutazione risulta una propensione al dissesto di grado inferiore a quella indicata al punto 3);

5) suscettività al dissesto molto bassa (Pg0) : aree, in cui i processi geomorfologici e le caratteristiche fisiche dei terreni non costituiscono, se non occasionalmente, fattori predisponenti al verificarsi di movimenti di massa.

13 Sulla base di studi di maggior dettaglio, è possibile individuare ulteriori classi di pericolosità differenziata per frane a cinematica ridotta, con riferimento ai criteri ex DGR 265/2010.

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c) Aree speciali : sono individuate con un apposito retino nella Tav………….- Carta della suscettività al dissesto ed articolare in base alle seguenti tipologie:

1) Aree speciali di tipo A – corrispondenti alle aree di cave attive, miniere attive e discariche in esercizio;

2) Aree speciali di tipo B 1– corrispondenti ad areali sede di cave attualmente cessate o in corso di sistemazione, i cui limiti sono derivati dagli elaborati del Piano Territoriale Regionale delle attività di cava o, qualora non oggetto di tale piano, desunti da rilievi di terreno.

3) Aree speciali di tipo B 2 – corrispondenti alle aree di discariche dismesse e di riporti antropici.

All’interno delle aree speciali di tipo B1 e B2 è rappresentata la classificazione di suscettività al dissesto come definita alla precedente lettera b).

3. Sono altresì individuate nella Tav…… - Carta del rischio idrogeologico, ai fini della valutazione della priorità degli interventi di mitigazione del rischio e delle attività di protezione civile, le aree soggette a rischio idrogeologico di diverso livello in relazione agli elementi nelle stesse presenti, metodologicamente determinato sulla base di quanto indicato nel cap…… del Piano 14 e articolato nelle seguenti classi a gravosità decrescente:

14 I criteri per la definizione della classi di rischio idrogeologico sono stati forniti nella raccomandazione del Comitato tecnico Regionale- Sezione per le funzioni dell’Autorità di Bacino n. 8/2000, recante “Redazione della carta del rischio idrogeologico nei piani stralcio di bacino (ex l.183/89 e d.l. 180/98 e ss. mm. e ii.)”. In particolare è prevista la seguente classificazione schematica:

Classi di elementi a rischio E0 : aree disabitate o improduttive E1: edifici isolati, zone agricole E2: nuclei urbani, insediamenti industriali e commerciali minori E3: centri urbani, grandi insediamenti industriali e commerciali, principali infrastrutture e servizi

PERICOLOSITÀ idraulica (aree inondabili)

ELEMENTI A RISCHIO

P0

T > 500

P1

200 <T < 500

fascia C

P2

50 <T < 200

fascia B

P3

T < 50

fascia A

E0 R0 R0 R1 R1

E1 R0 R1 R2 R3

E2 R0 R2 R3 R4

E3 R0 R2 R4 R4

PERICOLOSITÀ geomorfologica

(suscettività al dissesto dei versanti)

ELEMENTI A RISCHIO

P0 molto bassa

P1

bassa

P2

media

P3

elevata

P4 molto

elevata

E0 R0 R0 R0 R1 R1

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a) R4: rischio molto elevato b) R3: rischio elevato c) R2: rischio medio d) R1: rischio moderato e) R0: rischio lieve

E1 R0 R1 R1 R2 R3

E2 R0 R1 R2 R3 R4

E3 R0 R1 R2 R3 R4

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CAPO III

Norme specifiche per ciascuna categoria di area

Sezione I - Disciplina dell’assetto idraulico dei f ondovalle 15 Art. 13 Alveo attuale 1. Si rinvia alla disciplina di cui all’art. 7 del Regolamento regionale n. 3/2011.

2. Resta fermo che, oltre quanto espressamente disposto dal suddetto regolamento, e sempre nel rispetto del disposto del R.D. 523/1904 e delle competenze delle amministrazioni provinciali in materia di polizia idraulica, non sono in ogni caso consentiti: a) interventi di nuova edificazione, di ampliamento dei manufatti esistenti e di recupero del

patrimonio edilizio esistente eccedenti quelli di manutenzione ordinaria, come definita dalla lett. a), comma 1, dell'art. 31 della legge 5 agosto 1978 n.457, salve le demolizioni senza ricostruzioni;

b) l’installazione di manufatti anche non qualificabili come volumi edilizi e la sistemazione di aree che comportino la permanenza o la sosta di persone o di veicoli.

In tali ambiti sono inoltre previsti interventi di rimozione dei manufatti esistenti.

Art.14 Fascia di riassetto fluviale 1. Nella fascia di riassetto fluviale (RF), di cui alla lett. b), comma 1, dell’art. 12, non sono

consentiti: a) interventi di nuova edificazione, di ampliamento dei manufatti esistenti, e di recupero del

patrimonio edilizio esistente eccedenti quelli di manutenzione straordinaria, come definita dalla lett. b), comma 1, dell'art. 31 della l. n.457/78, fatti salvi gli interventi di restauro e risanamento conservativo, di cui alla lettera c) del comma 1 dell'art. 31 della l. n.457/78, in caso di edifici di interesse storico, architettonico e testimoniale;

b) interventi di realizzazione di nuove infrastrutture nonché l’ampliamento di quelle esistenti;

2. La perimetrazione della Fascia di riassetto fluviale può essere modificata e/o aggiornata nonché estesa a nuovi tratti di corsi d’acqua, con le procedure di cui al comma 5 dell’art. 10 della l.r. 58/2009, sulla base dell’acquisizione di nuove conoscenze, di studi o indagini di maggior dettaglio ed a seguito della progettazione di sistemazione idraulica. In particolare, sulla base di specifici progetti di messa in sicurezza, è prevista la rilocalizzazione al di fuori della fascia dei manufatti esistenti.

3. Dell’eventuale maggior valore acquisito degli immobili a seguito degli interventi ammessi secondo il disposto del comma 1 non si tiene conto ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione in occasione della realizzazione degli interventi e di messa in sicurezza e/o della

15 In relazione alla disciplina delle aree a pericolosità idraulica, si richiama l’allegato 1 alla DGR 848/03, che riporta indirizzi interpretativi e chiarimenti dei criteri per la redazione della normativa dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico di cui alla DGR 357/01, nel quale sono forniti, tra l’altro, chiarimenti ed indirizzi interpretativi su specifiche definizioni di tipo urbanistico-edilizio nell’ottica della pianificazione di bacino. In particolare si specifica che il richiamo alle categorie edilizie riportate negli articoli seguenti è solo finalizzato alla definizione degli interventi stessi ai fini della pianificazione di bacino, indipendentemente quindi dalla loro vigenza a fini urbanistici. I limiti e i divieti della disciplina del piano, infatti, vanno necessariamente riferiti alla natura sostanziale degli interventi a prescindere dalla categoria in cui gli stessi sono ascritti in base allo strumento urbanistico.

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rilocalizzazione. 4. Nell’ambito della fascia di riassetto possono essere individuati areali relativi ad aree di pregio

naturalistico-ambientale e/o di pertinenza fluviale, non ricadenti in zone di alveo attivo e non necessari per il ripristino delle sezioni idrauliche di deflusso attivo o per la realizzazione di opere idrauliche.

5. Nelle zone di cui al comma 4, individuate con apposito segno grafico nella Tavola n.-……, oltre agli interventi di cui al comma 1, sono ammessi, previo parere vincolante della Provincia: a) interventi finalizzati al miglioramento della tutela della pubblica e privata incolumità e volti a

mitigare la vulnerabilità degli edifici esistenti, qualora non altrimenti localizzabili in tempi medio-brevi, senza aumenti di volume, e senza cambiamenti di destinazione d’uso che comportino aumento del carico insediativo

b) l’installazione di piccoli manufatti connessi alla conduzione di fondi agricoli ovvero previsti nell’ambito di parchi urbani o di aree di verde attrezzato come individuati dagli Strumenti Urbanistici Comunali;

c) interventi non qualificabili come volumi edilizi finalizzati alla fruibilità naturalistica della zona e la sistemazione di aree non comportante carico residenziale anche temporaneo, a condizione che siano assunte le adeguate misure ed azioni di protezione civile e di tutela della pubblica e privata incolumità, e sia verificato che tali interventi non concorrano ad aumentare le condizioni di rischio in zone limitrofe.

Nell’ambito del parere suddetto, la Provincia valuta l’ammissibilità degli interventi in relazione alla sussistenza dei presupposti individuati, nonché alle condizioni di inondabilità delle aree e alla compatibilità degli specifici interventi previsti. Tali presupposti e condizioni sono verificati sulla base del quadro conoscitivo del piano, nonché, se del caso, sulla scorta di analisi di maggior dettaglio o studi di compatibilità idraulica da acquisirsi, ove necessario, per gli specifici casi.

Art.15 Fasce di inondabilità

1. Nelle fasce di inondabilità di cui alla lett. a), comma 2, dell’art. 12, vigono le seguenti norme. Resta fermo che qualsiasi intervento realizzato nelle aree inondabili non deve pregiudicare la sistemazione idraulica definitiva del corso d’acqua, aumentare la pericolosità di inondazione ed il rischio connesso, sia localmente, sia a monte e a valle, costituire significativo ostacolo al deflusso delle acque di piena, ridurre significativamente la capacità di invaso delle aree stesse.

2. Nella fascia A , fermo restando che gli interventi ammessi sul patrimonio edilizio esistente non devono comunque aumentarne la vulnerabilità rispetto ad eventi alluvionali, anche attraverso l’assunzione di misure e accorgimenti tecnico-costruttivi di cui all’allegato 5, e non devono comportare cambi di destinazione d’uso, che aumentino il carico insediativo anche temporaneo, non sono consentiti: a) interventi di nuova edificazione, di ampliamento dei manufatti esistenti, e di recupero del

patrimonio edilizio esistente eccedenti quelli di restauro o risanamento conservativo, come definito dalla lett. c), comma 1, dell'art. 31 della l. n.457/78, fatti salvi gli interventi di ristrutturazione edilizia come definita dalla lett. d), comma 1, dell'art. 31 della l. n.457/78 ricadenti negli ambiti di tessuto urbano consolidato o da completare mediante interventi di integrazione urbanistico-edilizia sempre all’interno di ambiti già edificati e purché risultino assunte le azioni e le misure di protezione civile previste nel Piano stesso e nei piani comunali di protezione civile; nel caso di interventi di demolizione con ricostruzione deve essere assicurata la riduzione della vulnerabilità dell’edificio, anche attraverso la messa in opera di tutti gli accorgimenti e le misure finalizzate a tutelare la pubblica incolumità, fermo

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restando il rispetto delle condizioni previste per procedere ad interventi di ristrutturazione edilizia di cui sopra;

b) l’installazione di manufatti anche non qualificabili come volumi edilizi e la sistemazione di aree che comportino la permanenza o la sosta di persone, salvi gli interventi inseriti nell’ambito di parchi urbani o di aree di verde attrezzato, come individuati dagli strumenti urbanistici comunali vigenti, i cui progetti prevedano l’assunzione delle azioni e delle misure di protezione civile di cui al presente Piano e ai piani comunali di protezione civile, purché corredati da parere positivo della Provincia;

c) la realizzazione di nuove infrastrutture non inquadrabili tra le opere di attraversamento, fatti salvi gli interventi necessari ai fini della tutela della pubblica incolumità e quelli relativi a nuove infrastrutture pubbliche connesse alla mobilità, previo parere favorevole della Provincia, purché progettate sulla base di uno specifico studio di compatibilità idraulica, non aumentino le condizioni di rischio, e risultino assunte le azioni e le misure di protezione civile di cui al presente Piano e ai piani comunali di protezione civile.

d) interventi di manutenzione, ampliamento o ristrutturazione di infrastrutture pubbliche connesse alla mobilità esistenti, fatti salvi quelli che non aumentano le condizioni di rischio, ed in relazione ai quali risultano assunte le azioni e misure di protezione civile di cui al presente Piano e ai piani comunali di protezione civile.

3. Nella fascia B non sono consentiti:

a) gli interventi di nuova edificazione nonché di ristrutturazione urbanistica, come definita dalla lett. e), comma 1, dell'art. 31 della l. n.457/78, salvi i casi in cui gli stessi siano corredati da parere favorevole della Provincia, ricadano in contesti di tessuto urbano consolidato, o da completare mediante interventi di integrazione urbanistico-edilizia sempre all’interno di ambiti già edificati, e interessino aree individuate a minor pericolosità in relazione a modesti tiranti idrici e a ridotte velocità di scorrimento, e purché prevedano le opportune misure od accorgimenti tecnico-costruttivi di cui all’allegato 5, e risultino assunte le azioni e le misure di protezione civile di cui al presente Piano e ai piani comunali di protezione civile;

b) interventi di ampliamento dei manufatti esistenti e di recupero del patrimonio edilizio esistente eccedenti quelli di restauro o risanamento conservativo, come definito dalla lett. c), comma 1, dell'art. 31 della l. n.457/78, fatti salvi gli interventi di ristrutturazione edilizia, come definita dalla lett. d), comma 1, dell'art. 31 della l. n.457/78, purché non aumentino la vulnerabilità degli edifici stessi rispetto ad eventi alluvionali, anche attraverso l’assunzione di misure e di accorgimenti tecnico-costruttivi di cui all’allegato 5, e purché risultino assunte le azioni e le misure di protezione civile di cui al presente Piano e ai piani comunali di protezione civile;

c) gli interventi di realizzazione di nuove infrastrutture connesse alla mobilità non inquadrabili tra le opere di attraversamento, salvi quelli progettati sulla base di uno specifico studio di compatibilità idraulica 16, che non aumentino le condizioni di rischio, e in relazione ai quali

16 Tale studio di compatibilità idraulica è finalizzato a valutare se l’intervento è compatibile con le condizioni dell’area, in termini di pericolosità e di rischio. Lo stesso deve essere basato su uno studio idraulico di dettaglio redatto in conformità all’allegato 3, che permetta la valutazione delle conseguenze in termini idraulico-ambientali della realizzazione dell’opera per un tratto significativo del corso d’acqua. La tipologia e le caratteristiche progettuali dell’opera stessa devono essere individuati sulla base del suddetto studio idraulico, al fine di minimizzare il rischio connesso in tutte le aree interessate e di individuare tutti gli accorgimenti costruttivi e le misure necessarie per la tutela della pubblica incolumità.

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risultino assunte le azioni e le misure di protezione civile di cui al presente Piano e ai piani comunali di protezione civile.

4. Nella fascia C è consentito ogni tipo di intervento purché realizzato con tipologie costruttive finalizzate alla riduzione della vulnerabilità delle opere e, quindi, del rischio per la pubblica incolumità, e coerenti con le azioni e misure di protezione civile previste dal presente Piano e dai piani di protezione civile comunali.

4-bis Nella fascia B* (ovvero A*) si applica la normativa di cui al comma 3 (ovvero: la normativa di cui al comma 2). A seguito di adeguato studio idraulico, che individui le fasce di inondabilità delle aree secondo i criteri di cui all’allegato 3, sono consentiti gli interventi compatibili con la disciplina prevista nelle diverse fasce individuate.

4-ter. A riguardo di interventi di tipo urbanistico-edilizio confinanti con i limiti delle fasce di inondabilità a tempi di ritorno diversi rispetto alle aree in cui ricadono gli interventi stessi, il Comune:

- verifica, anche sulla base di eventuale documentazione tecnica, che tali interventi non siano tali da comportare variazioni nelle condizioni di pericolosità idraulica;

- in caso di interventi di demolizione e ricostruzione e quelli eccedenti la ristrutturazione edilizia, come definita dal DPR 380/2001, con particolare riferimento agli interventi di ristrutturazione urbanistica e/o di trasformazione morfologica, acquisisce preventivamente il parere vincolante della Provincia. Nell’ambito di tale parere la Provincia verifica che le ipotesi alla base della perimetrazione non abbiano a venir meno o siano influenzate dagli interventi in questione con eventuale conseguente modifica dello stato di pericolosità, prescrivendo, se del caso, accorgimenti costruttivi o altre misure o interventi, ivi comprese, se necessarie, opere di tipo idraulico, atte a proteggere il nuovo elemento dagli allagamenti e a non aumentare le condizioni di pericolosità e rischio nelle zone limitrofe.

Laddove l’intervento edilizio ricada in fasce di inondabilità che già prevedono un parere da parte della Provincia, le valutazioni di cui sopra saranno effettuate nell’ambito dello stesso.

5. In ogni caso sono consentiti gli interventi di sistemazione idraulica ed idraulico-ambientale previsti dal Piano.

6. I progetti relativi agli interventi di sistemazione idraulica previsti dal Piano sono subordinati, ai sensi dell’art. 5, c. 1, lett. d) della l.r. 58/2009, al parere positivo del Comitato Tecnico di Bacino come istituito dall’art. 2 della stessa legge.17

7. A seguito della realizzazione degli interventi di sistemazione idraulica previsti dal Piano, la Provincia provvede alla conseguente modifica dei limiti della fasce A, B, C di cui ai commi precedenti, al fine di conformarli alla nuova situazione, con la procedura di cui al comma 5 dell'art. 10, della l.r. n.58/2009. 18 Nel caso di interventi complessi, sottoposti a strumentazione urbanistica attuativa, comprensivi anche del progetto delle opere di sistemazione idraulica congruenti con quelle previste dal Piano, la riperimetrazione delle fasce A, B e C può essere deliberata dalla Provincia, ai sensi

17 Indirizzi per l’espressione di tale parere da parte del Comitato Tecnico di Bacino sono stati forniti dalla Giunta Regionale, nella sua qualità di organo dell’Autorità di Bacino, con DGR 1361/2010. 18 A questo proposito si richiamano anche i seguenti documenti:

- la DGR 848/03, Allegato 1, con particolare riferimento al punto 8) che ha specificato gli elementi minimi necessari per la riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di interventi di sistemazione idraulica; - la DGR 16/2007, allegato 1, recante indirizzi per la riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di interventi di sistemazione idraulica.

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del comma 5 dell'art. 10, della l.r. n.58/2009, anche contestualmente all’approvazione e/o al controllo dello strumento attuativo19, ferma restando la natura prioritaria delle opere di sistemazione idraulica, la cui effettiva esecuzione, previa verifica della Provincia, condiziona l’efficacia della riperimetrazione e costituisce presupposto per le successive concessioni edilizie. 20

7 bis. La Provincia può altresì ridefinire, con le procedure di cui al comma 5, dell’art.10, l.r. 58/2009 le classi di pericolosità idraulica e procedere alla conseguente modifica dei limiti della fasce A, B, C, B* (A*) a seguito di studi di maggior dettaglio riguardanti le intere zone perimetrate e comunque tratti significativi dei corsi d’acqua, quali quelli svolti nell’ambito degli studi fondativi degli strumenti urbanistici comunali ovvero quelli integrativi eseguiti dalla Provincia stessa.21

8. In caso di patrimonio edilizio esistente che risulti interferente con la fascia di riassetto fluviale e/o con la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza dei corso d’acqua, e qualora, sulla base di un progetto di livello almeno definitivo, risulti necessaria la sua rilocalizzazione al fine della realizzazione degli interventi stessi, è ammessa la demolizione dello stesso e la sua ricostruzione in altri areali anche in deroga alla disciplina relativa alle fasce A e B di cui ai commi 2 e 3, previo parere vincolante della Provincia, e a condizione che: - la rilocalizzazione, prevista nel progetto definitivo approvato, venga effettuata a seguito o

contestualmente alla consegna dei lavori delle opere idrauliche, e che gli interventi di sistemazione idraulica previsti risultino dotati dell’intera copertura finanziaria;

- le aree di ricostruzione risultino, allo stato attuale o a seguito della realizzazione degli interventi idraulici, in condizioni di minor pericolosità rispetto al posizionamento preesistente, siano esterne alla fascia di riassetto fluviale e ne sia prevista la messa in sicurezza, anche in fasi successive;

- la ricostruzione avvenga mettendo in opera tutti gli accorgimenti tecnico-progettuali, le modalità d’uso e le misure di autoprotezione e di protezione civile, ai fini della protezione dei nuovi manufatti dagli eventuali allagamenti nel periodo transitorio fino alla definitiva messa in sicurezza;

- Il patrimonio edilizio ricollocato mantenga la propria destinazione d’uso fino alla definitiva messa in sicurezza delle aree di ricostruzione.

9. Relativamente ai manufatti edilizi, alle opere, a depositi o insediamenti esistenti nelle fasce di inondabilità A e B, oltre a quanto già disposto dal Piano relativamente a casi specifici e contenuto nel piano di interventi di mitigazione del rischio o nelle misure di protezione civile, il Piano demanda ai Comuni l’assunzione, nell’ambito degli strumenti urbanistici, dei piani di settore, e dei piani di prevenzione ed emergenza di protezione civile (l.r. n.9/2000), di tutte le misure opportune per ridurre il rischio per la pubblica incolumità, delle quali, a titolo esemplificativo, è riportata una elencazione non esaustiva nell’allegato 6, da promuovere anche attraverso incentivi, e da attivare prioritariamente per le strutture altamente vulnerabili.

19 Precisazioni sulle modalità di approvazione, anche preventiva, di riperimetrazione delle fasce di inondabilità nello stato di progetto sono fornite con DGR 894/2010, recante indirizzi procedurali e modalità operative per il funzionamento dell'Autorità di Bacino regionale ex l.r. 58/2009 relativi alle istanze di varianti ai piani di bacino vigenti. 20 La possibilità di contestualità delle opere edilizie con quelle idrauliche è regolata dal disposto dell’art. 110-bis della l.r. 18/1999, che prevede, oltre al parere obbligatorio della Provincia, il rispetto di specifici presupposti di applicabilità nonché degli indirizzi di cui alla circolare applicativa n. 27699/519 del 2.8.2005 (BURL n. 8, parte II, 23.2.2005). 21 Si richiama a questo proposito la DGR 16/2007, Allegato 2, recante indirizzi per la riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di studi di maggior dettaglio.

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Art. 15-bis Derogabilità alla disciplina delle fasc e di inondabilità per opere pubbliche 4. In deroga alla disciplina relativa alle fasce A e B, di cui ai commi 2 e 3 dell’art.15 possono

essere assentite opere pubbliche strategiche indifferibili ed urgenti, riferite a servizi essenziali e non diversamente localizzabili, previa acquisizione di parere obbligatorio e vincolante della Provincia, a condizione che: a) non pregiudichino la possibilità di sistemazione idraulica definitiva;

b) non si producano effetti negativi nei sistemi geologico ed idrogeologico;

c) non costituiscano significativo ostacolo al deflusso, non riducano in modo significativo la capacità di invaso, e non concorrano ad incrementare le condizioni di rischio, né in loco né in aree limitrofe;

d) siano realizzate con tipologie progettuali e costruttive compatibili con la loro collocazione, prevedendo in particolare accorgimenti tecnico-costruttivi o altre misure, anche con riferimento all’allegato 5 al presente piano, che consentano l’adeguata protezione dell’opera dagli allagamenti rispetto alla portata duecentennale senza aggravio di condizioni di pericolosità e rischio in altre aree. In particolare:

• la quota del piano di calpestio e tutte le aperture, soglie di accesso e prese d’aria delle edificazioni devono essere poste ad un livello adeguatamente superiore a quello del tirante idrico associato alla portata duecentennale;

• non sono ammesse in ogni caso strutture interrate, a meno di locali tecnici di servizio adeguatamente protetti;

e) sia garantito il mantenimento della funzionalità ed operatività proprie della struttura in casi di evento alluvionale;

f) sia prevista nel progetto la messa in opera di tutte le adeguate misure ed azioni di protezione civile, comprese quelle di autoprotezione locale.

3. Ai fini della dichiarazione di indifferibilità ed urgenza di cui al comma 1, deve essere motivato il carattere di impellenza, improrogabilità e non diversa ubicabilità delle opere e deve essere accertata la copertura finanziaria dell’intera opera.

4. La verifica della sussistenza dei presupposti di applicabilità della deroga di cui al comma 1 viene effettuata in sede di Comitato Tecnico di Bacino, su istanza della Provincia.

5. La Provincia esprime il parere previsto sulla base di adeguata documentazione tecnica a corredo della progettazione delle opere in questione e valuta, in particolare, caso per caso, l’effettiva possibilità di messa in opera di misure ed accorgimenti tali da proteggere adeguatamente l’elemento dalle inondazioni e dai connessi possibili danni, nonché l’efficacia e l’affidabilità delle misure di protezione progettate in funzione delle grandezze idrauliche di riferimento. Valuta, inoltre, la possibile influenza sulla dinamica dell’inondazione sia dell’intervento edilizio richiesto sia degli accorgimenti costruttivi proposti, garantendo che non vengano aumentate le condizioni di pericolosità e di rischio nelle aree limitrofe.

6. Il suddetto parere, che ha efficacia per un periodo massimo di 3 anni, viene espresso sulla base del quadro conoscitivo del piano nonché, laddove necessario, di un adeguato studio di compatibilità idraulica che consenta di valutare il rispetto delle condizioni di cui sopra, con particolare riferimento alla compatibilità dell’intervento con le condizioni di inondabilità dell’area, in termini di pericolosità e di rischio, e all’assenza di effetti di incremento dell’esposizione al rischio della popolazione.

Sezione II - Disciplina dell’assetto geomorfologico

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Art.16 Aree a diversa suscettività al dissesto 22 1. Nelle aree di cui alla lett. b), comma 2, dell’art. 12, nel rispetto delle prescrizioni del

D.M.14/01/2008, valgono le seguenti norme.

2. Nelle aree a suscettività al dissesto molto elevata (P g4 - frana attiva) non sono consentiti: a) gli interventi che comportino sbancamenti, movimenti di terra, quali scavi o riporti, od

alterazione del regime delle acque;

b) gli interventi di nuova edificazione;

c) gli interventi eccedenti il mantenimento dell’esistente, quali la manutenzione straordinaria ed il risanamento conservativo, sono fatti salvi gli interventi strettamente necessari a ridurre la vulnerabilità delle opere esistenti e a migliorare la tutela della pubblica e privata incolumità. In ogni caso gli interventi ammessi non devono comportare cambi di destinazione d’uso che determinino aumento del carico insediativo né comportare aumenti di superficie e volume, anche tecnico, ad eccezione di quelli necessari per l’attuazione degli obblighi di legge, compresi i modesti ampliamenti finalizzati esclusivamente all’adeguamento igienico-sanitario e tecnologico;

d) la sistemazione di aree che comportino la permanenza o la sosta di persone;

e) l’installazione di manufatti, anche non qualificabili come volumi edilizi, ad eccezione di quelli volti alla realizzazione di piccoli manufatti necessari all’attività agricola ed alla conduzione del fondo, ricadenti in zona urbanistica a destinazione agricola a condizione che: 1) la volumetria di tali manufatti sia strettamente correlata all’esclusiva esigenza di

ricovero attrezzi e macchinari impiegati per tale attività;

2) le tipologie costruttive impiegate siano compatibili con le condizioni di dissesto presente e che non comportino un aggravamento dello stesso, ed, in ogni caso, non comportino tagli di versante;

3) non siano oggetto di cambi di destinazione d’uso;

f) la demolizione di opere che svolgono funzioni di sostegno, se non sostituite con altre che abbiano la stessa finalità;

g) la realizzazione di discariche;

h) la realizzazione di opere di viabilità, ad eccezione della realizzazione di infrastrutture pubbliche viarie e ferroviarie, di carattere strategico, di esclusivo interesse regionale o sovra regionale, indifferibili, urgenti23, non diversamente localizzabili per motivi di continuità del tracciato. Resta in ogni caso necessaria la realizzazione delle opere di consolidamento

22 Ai fini dell’applicazione della disciplina delle aree a pericolosità geomorfologica, vedere anche l’allegato 1 alla DGR 848/03, che riporta indirizzi interpretativi e chiarimenti dei criteri per la redazione della normativa dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico di cui alla DGR 357/01, nel quale sono forniti, tra l’altro, chiarimenti ed indirizzi interpretativi su specifiche definizioni di tipo urbanistico-edilizio nell’ottica della pianificazione di bacino. In particolare si specifica che il richiamo alle categorie edilizie riportate negli articoli seguenti è solo finalizzato alla definizione degli interventi stessi ai fini della pianificazione di bacino, indipendentemente quindi dalla loro vigenza a fini urbanistici. I limiti e i divieti della disciplina del piano, infatti, vanno necessariamente riferiti alla natura sostanziale degli interventi a prescindere dalla categoria in cui gli stessi sono ascritti in base allo strumento urbanistico. 23 Analogamente alle indicazioni contenute al punto 3 lettera c-bis) della DGR 989/11, ai fini della dichiarazione di indifferibilità ed urgenza deve essere motivato il carattere di impellenza, improrogabilità e non diversa ubicazione delle opere e deve esserne dimostrata la copertura finanziaria. I presupposti della norma sono verificati in sede di Comitato tecnico di bacino.

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finalizzate alla stabilizzazione del dissesto, previo parere del Comitato tecnico di bacino ai sensi dell’art.11 c. 4 lett.b) della lr 58/2009;

i) la posa in opera di tubazioni, condotte o similari, ad eccezione di quelle non diversamente ubicabili e relative ad infrastrutture e reti di servizi pubblici essenziali o di interesse pubblico, previo parere della Provincia.

Tale parere viene formulato sulla base di idonea documentazione tecnica progettuale che attesti:

a) l’impossibilità di utilizzare un tracciato alternativo;

b) l’adozione degli opportuni accorgimenti tecnici e costruttivi tali da garantire la sicurezza dell’esercizio delle funzioni a cui sono destinate le opere, tenuto conto dello stato del dissesto;

c) l’adozione di modalità di attuazione tali da non aggravare ulteriormente lo stato del dissesto.

d) la disponibilità di finanziamento per la realizzazione dell’intera opera, comprese le opere di messa in sicurezza.

La Provincia, a fronte della rilevanza dell’opera o dello stato del dissesto o per interventi che richiedano rilevanti opere preventive di sistemazione, può richiedere al Comitato Tecnico di bacino la verifica dei presupposti di applicabilità della norma.

3. Nelle aree a suscettività al dissesto elevata P g3a non sono consentiti: a) gli interventi di nuova edificazione;

b) gli interventi che possano influire negativamente sulla stabilità del corpo franoso quali aumento del carico statico, sbancamenti e scavi se non strettamente finalizzati alla realizzazione delle seguenti tipologie di opere ammesse ed, in ogni caso, non comportino sbancamenti e tagli del pendio che possano compromettere la stabilità dell’areale e che limitino gli scavi alla sola posa delle opere di fondazione:

1. modesti ampliamenti entro la soglia del 20%24;

2. cambio di destinazione d’uso;

3. singoli manufatti adibiti al servizio esclusivo del fabbricato riconducili a cantine, ripostigli, ricoveri per impianti tecnologici o box auto ed opere similari di volumetria contenuta, non superiore a 45 mc;

4. demolizione e successiva ricostruzione del fabbricato esistente25 con tecniche che assicurino la riduzione della vulnerabilità dell’edificio, rendendo il manufatto maggiormente compatibile con la condizione di elevata pericolosità dell’area, anche attraverso la messa in opera di tutti gli accorgimenti tecnici e le misure finalizzate a tutelare la pubblica e privata incolumità. In tale caso l’eventuale incremento della volumetria originale, consentito ai sensi delle norme urbanistiche, non deve superare la soglia del 20% e la realizzazione della nuova opera non deve comportare tagli di versante;

5. aree a verde attrezzato.

c) gli interventi di nuova viabilità se altrimenti localizzabili e se non corredati da progetti basati su specifici studi e previo parere vincolante della Provincia. Tali interventi, supportati anche da indagini geologiche a livello di area complessiva, comportano la preventiva o contestuale realizzazione delle opere di bonifica, in relazione alla natura dell’intervento ed a

24 In riferimento al volume geometrico del fabbricato inteso quale volume fuori terra, misurato vuoto per pieno. 25 anche con spostamento di sedime.

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quella del dissesto rilevato, nonché la compatibilità con le eventuali opere previste di sistemazione complessiva del movimento franoso.

3-bis. Gli interventi ammessi sono basati su specifici studi che dettaglino le caratteristiche geologiche, geomorfologiche e geotecniche che determinano la suscettività elevata e che verifichino che la realizzazione delle opere non interferisca negativamente con le condizioni di stabilità dell’intera area e, in ogni caso, non aumenti la vulnerabilità delle strutture esistenti e le condizioni di rischio.

3-ter. Nelle aree a suscettività al dissesto elevata – P g3b , oltre al regime normativo applicato nelle aree Pg3a, è consentita anche la nuova edificazione e l’esecuzione di opere infrastrutturali, purché tali interventi siano previsti dallo strumento urbanistico comunale adeguato al presente Piano di bacino. Tale adeguamento comporta l’effettuazione di un’apposita verifica di compatibilità delle previsioni urbanistiche con il quadro dei dissesti del piano di bacino. nei termini indicati al successivo articolo 19. 3-quater. Nelle more dell’adeguamento di cui al comma precedente, l’ammissibilità di nuovi interventi è subordinata all’esecuzione di indagini di maggior dettaglio i cui contenuti minimi sono riportati nell’allegato 1 alla presente normativa. 3-quinquies. La Provincia, sulla base delle indagini di maggior dettaglio di cui al comma precedente, trasmesse dal Comune, valuta la compatibilità della realizzazione dell’intervento stesso con le condizioni di suscettività al dissesto accertate ed esprime, a riguardo, parere vincolante.26 Tale parere, per gli interventi sottoposti anche al regime del vincolo idrogeologico, ai sensi del RD n.3267/1923 e della l.r. n.4/1999, deve essere acquisito preventivamente dall’Autorità competente al rilascio del relativo titolo abilitativo. 3-sexies.Il Piano di bacino può prevedere, nell’ambito delle aree a suscettività al dissesto elevata e molto elevata (Pg4 e Pg3a) per frane con tipologia a cinematica ridotta, classi di pericolosità relativa in ragione dell’entità dei valori di velocità misurati e del modello geologico e geotecnico del corpo di frana. In tali classi si applica una disciplina specifica, compatibile con le finalità del Piano, che in ogni caso prevede opportuni accorgimenti tecnici-costruttivi ed eventuale misure di protezione civile. 27. 4. Nelle aree a suscettività al dissesto media (P g2) e bassa (P g1) si demanda ai Comuni,

nell’ambito della norma geologica di attuazione degli strumenti urbanistici o in occasione dell’approvazione sotto il profilo urbanistico-edilizio di nuovi interventi insediativi e infrastrutturali, la definizione della disciplina specifica di dette aree, attraverso indagini specifiche, che tengano conto del relativo grado di suscettività al dissesto. Tali indagini devono essere volte a definire gli elementi che determinano il livello di pericolosità, ad individuare le modalità tecnico-esecutive dell’intervento, nonché ad attestare che gli stessi non aggravino le condizioni di stabilità del versante.

26 Tale disciplina decade a seguito dell’approvazione dello strumento urbanistico comunale adeguato al piano di bacino come previsto dai criteri stabiliti al successivo articolo 19. 27 Si rimanda a questo proposito alla DGR 265/2010, allegati 1 e 2, con i quali sono stati forniti specifici indirizzi per la riperimetrazione e riclassificazione delle frane attive e quiescenti a seguito di studi di maggior dettaglio e specifici criteri per la definizione di classi di pericolosità relativa in aree Pg4 e Pg3 per frana a cinematica ridotta.

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4-bis.Nelle classi di suscettività al dissesto si applicano, in ogni caso, le norme generali di carattere idrogeologico per la prevenzione del dissesto di cui all’art.5.

5. Le indagini e gli studi di cui ai commi precedenti devono tenere in debita considerazione eventuali aree a maggiore suscettività presenti nei pressi della zona di intervento, valutando anche possibili espansioni di movimenti gravitativi.

6. In ogni caso sono consentiti gli interventi di realizzazione di opere di bonifica e di sistemazione dei movimenti franosi diretti alla messa in sicurezza degli edifici, delle strutture esistenti e delle aree in dissesto.

7. Nel caso di interventi di bonifica e di sistemazione, di cui al comma precedente, fermo restando l’obbligatorietà della verifica e del collaudo delle opere di sistemazione realizzate, sono necessari, di norma, per poter procedere alla conseguente riclassificazione dell’area, specifici monitoraggi al fine di verificare la stabilizzazione dell’areale interessato. La Provincia stabilisce, in funzione della tipologia del dissesto, la necessità e le modalità attuative delle attività di monitoraggio28. A seguito della realizzazione degli interventi di bonifica, la Provincia, su istanza del soggetto attuatore, volta a riconsiderare la classe di suscettività al dissesto e corredata della necessaria documentazione richiesta, modifica la perimetrazione e/o ridefinisce la classe dell’areale oggetto di intervento secondo le modalità indicate al comma 5, dell’art.10, della l.r. n.58/2009.

7 bis. La Provincia può ridefinire, con le procedure di cui al comma 5, dell’art.10, della l.r. n.58/2009 le classi di suscettività al dissesto e procedere alla conseguente modifica della perimetrazione delle zone a seguito di studi di maggior dettaglio riguardanti l’intero areale perimetrato e comunque areali di ampiezza significativa, quali quelli svolti nell’ambito degli studi fondativi degli strumenti urbanistici comunali ovvero quelli integrativi eseguiti dalla Provincia stessa. 29

8. Relativamente ai manufatti edilizi, alle opere, depositi o insediamenti esistenti oltre a quanto già disposto dal Piano relativamente a casi specifici e contenuto nel piano di interventi di mitigazione del rischio o nelle misure di protezione civile, il Piano demanda ai Comuni l’assunzione, nell’ambito degli strumenti urbanistici, dei piani di settore, e dei piani di prevenzione ed emergenza di protezione civile (l.r. n.9/2000), di tutte le misure opportune per ridurre il rischio per la pubblica incolumità, delle quali è riportata una elencazione non esaustiva nell’allegato 6.

Art 16 bis Aree speciali 1. Nelle aree di cui alla lett. b), comma 2, dell’art. 12, fermo restando le prescrizioni del D.M. 14/01/2008, valgono le seguenti norme: 2.Nelle aree speciali di tipo A si applicano le disposizioni dei rispettivi piani di settore. 3.Nelle aree speciali di tipo B 1, qualora siano comprese aree classificate ad elevata e/o molto elevata suscettività al dissesto (Pg4, Pg3a, Pg3b), la realizzazione di qualsiasi intervento, ancorché ubicato al di fuori delle zone ad elevata e/o molto elevata suscettività, è subordinata all’attuazione di opere finalizzate alla messa in sicurezza dell’area sede del nuovo intervento.

28 Per tipologie di frane a cinematica ridotta si rimanda agli indirizzi contenuti nel paragr. 3.3 dell’Allegato 1 della DGR n.265/2010. 29 A tale proposito si rimanda anche alla DGR 1338/2007, Allegato 1, con la quale sono stati forniti indirizzi per la riperimetrazione e riclassificazione delle frane attive e quiescenti a seguito di studi di maggior dettaglio, così come integrati con DGR 265/2010, Allegato 1 recante integrazioni e specificazioni alla DGR 1338/07.

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Nel caso di interventi urbanistico-edilizi comprensivi anche delle opere di messa in sicurezza dell’area sede dell’intervento, la riclassificazione del livello di suscettività al dissesto può essere deliberata dalla Provincia, ai sensi del comma 5 dell’art.10 della l.r. 58/2009, previa acquisizione del parere di compatibilità del Comitato Tecnico di bacino ai sensi dell’art.5, c.1, lettera d) della l.r. 58/2009, anche contestualmente all’approvazione del relativo strumento urbanistico attuativo (SUA o PUO), ovvero del progetto edilizio dell’intervento corredato da convenzione urbanistica, comprensivi anche del progetto delle opere di messa in sicurezza dell’area sede dell’intervento stesso.

4. L’efficacia della riclassicazione assentita ai sensi del comma 3 ed il rilascio del titolo edilizio per la nuova costruzione sono subordinati all’effettiva realizzazione, da parte del soggetto attuatore, delle opere di messa in sicurezza ed al loro relativo collaudo, nonché agli esiti positivi delle eventuali attività di monitoraggio previste, previa verifica della Provincia.

5. Nelle aree speciali di tipo B 2, fermo restando il rispetto delle normative vigenti in materia di gestione di discariche, per quanto concerne gli aspetti finalizzati al contenimento del rischio idrogeologico qualsiasi riutilizzo di tali areali è subordinato alla valutazione ed alla verifica preventiva, in sede di progetto, in merito all’idoneità dell’area sotto il profilo geomorfologico, idrogeologico e geotecnico alla nuova destinazione d’uso prevista. 6. La Provincia esprime parere vincolante sui progetti di cui al comma 5 valutando, sulla base delle risultanze dell’indagine di maggior dettaglio, presentata dal Comune, che analizzi gli aspetti geomorfologici, geotecnici ed idrogeologici degli areali, la compatibilità della realizzazione dell’intervento, previsto dallo strumento urbanistico comunale, con le condizioni accertate. 7.Nei casi in cui nell’area ricadano aree classificate Pg4 e Pg3a, che necessitino di interventi di sistemazione preventivi e funzionali alla realizzazione degli interventi previsti, può essere applicata la procedura prevista al comma 3 del presente articolo per la riclassificazione di tali aree. Art 16 ter Misure di attenzione per la prevenzione del rischio idrogeologico 1. Al fine di mitigare gli effetti negativi che si possono manifestare a seguito di fenomeni di espansione di corpi franosi già cartografati nei piani o, per quanto sia possibile, di contenere il rischio dovuto a processi torrentizi indotti da intensi fenomeni pluviometrici, colate veloci di fango e detriti (debris-flow), si definiscono le seguenti misure di attenzione. 2. Gli elaborati geologici e geotecnici a corredo dei progetti per il rilascio del titolo edilizio, redatti ai sensi delle NTC 2008, relativi ad istanze di opere di nuova costruzione si danno anche carico di considerare e valutare se sussistano pericoli di possibili interferenze per eventuali fenomeni di arretramento o di espansione di corpi o cigli di frana (ciglio, piede, fianchi) presenti nell’intorno di una fascia di rispetto di almeno 100 m e comunque considerando un’area di dimensione significativa in merito al contesto in esame. 3. La misura di attenzione di cui al comma 2 si applica anche per interventi eventualmente previsti a margine dei perimetri delle Aree speciali di tipo A, B1 e B2. 4. In sede di previsione di realizzazione di interventi urbanistico edilizi od opere di viabilità in prossimità del reticolo idrografico su versante, si effettuino specifiche valutazioni in merito all’eventuale grado di esposizione degli interventi agli effetti di possibili fenomeni di colate veloci di fango o detriti (debris-flow), individuando, se del caso, opportuni accorgimenti tecnici o una migliore ubicazione degli interventi stessi nell’ottica della prevenzione di tale rischio.

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TITOLO III INTERVENTI DI SISTEMAZIONE IDROGEOLOGICA E

DI MITIGAZIONE DEL RISCHIO Art. 17 Interventi di sistemazione idrogeologica de i versanti e sui corsi d'acqua 1. Gli interventi di cui alla tabella ……. del capitolo …….. del Piano hanno carattere di riferimento

obbligatorio in relazione alle priorità e ai soggetti tenuti alla realizzazione degli stessi, in rapporto alle disponibilità finanziarie.

2. Gli interventi individuati devono, in ogni caso, essere oggetto di adeguata progettazione, sulla base della quale potranno essere meglio definiti, integrati o modificati. Resta fermo che, ai sensi dell’art. 5, c.1, lett d), i progetti di sistemazione idraulica e geologica, la cui realizzazione comporta aggiornamento al quadro di pericolosità e rischio del presente piano, sono soggetti al parere di compatibilità del Comitato Tecnico di Bacino.

3. La tabella degli interventi e le relative priorità possono essere aggiornate a seguito del verificarsi di gravi emergenze successive all’approvazione del Piano ovvero sulla base degli esiti di studi di dettaglio e/o della progettazione degli stessi con le procedure di cui al comma 5, dell’articolo 10 , della l.r. n.58/1999.

Art 18 Indirizzi in materia di Protezione Civile 1. Il Piano, in considerazione degli scenari di pericolosità, intesa come suscettività al dissesto e

fasce di inondabilità, e di rischio idrogeologico, fornisce gli elementi propedeutici alla predisposizione dei piani provinciali e comunali di previsione, prevenzione ed emergenza di cui alla l.r. n.9/2000, come indicato nell’allegato 7.

TITOLO IV ATTUAZIONE DEL PIANO

Art 19 Effetti del Piano nei confronti dei restanti strumenti di pianificazione territoriale 1. Le prescrizioni degli articoli 5, 8, 9, 10, 13, 14, 15, 16, 17 prevalgono, ai sensi e per gli effetti

del comma 2, dell’art. 17, della l.r. n.9/1993, sulle previsioni contenute negli strumenti urbanistici comunali e vincolano, in base al combinato disposto del comma 4, dell’ art. 17 della l.r. n.9/1993, del comma 5 dell’art. 2 della l.r. n.36/1997 e del comma 3 dell’art.8 della l.r. n.18/1999, la pianificazione territoriale di livello regionale, provinciale e comunale, con effetto di integrazione della stessa e, in caso di contrasto, di prevalenza su di essa.

2. Il Piano specifica quali previsioni impongono l’adeguamento da parte dei Comuni, i cui territori rientrano nell’ambito di applicazione del Piano, dei rispettivi strumenti urbanistici entro e non oltre il termine di 270 gg. dalla data della sua entrata in vigore ai sensi del comma 3, dell’art.17, della l.r. n.9/1993 30.

30 Tale previsione va inserita solo se il Piano individua interventi che richiedano l’adeguamento degli strumenti urbanistici.

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3. Il Comune, in sede di redazione dello strumento urbanistico generale o di variante integrale, è tenuto ad effettuare la verifica di compatibilità idraulica e idrogeologica delle previsioni dello strumento urbanistico con il quadro del dissesto, geologico e idraulico, del corrispondente piano di bacino, al fine di conformarne le previsioni urbanistiche con la disciplina sulle relative limitazioni d’uso del suolo ivi indicata.

4. Il Comune, in sede di verifica di compatibilità, sulla base degli approfondimenti condotti in sede locale: a) qualora si riscontrino elementi di difformità rispetto al quadro rappresentato dal piano di

bacino vigente relativamente alle perimetrazioni ed allo stato di attività delle aree classificate Pg4 e Pg3a, propone l’aggiornamento del piano di bacino, ai sensi dell’art.10 c. 5 della lr 58/0931,

b) effettua valutazioni in merito agli elementi che hanno condotto il Piano di bacino alla classificazione delle aree Pg3b che concorrono alla definizione della zonizzazione geologica dello strumento urbanistico e stabilisce specifici regimi normativi relativamente ai contenuti delle indagini geologiche a corredo dei progetti ed alle modalità di attuazione degli interventi eventualmente consentiti.

Art 20 Gestione del Piano - soggetti preposti alla sua applicazione 1. Sono preposti all’attuazione del Piano, alla corretta applicazione delle sue norme, nonché alla

divulgazione dei contenuti relativi, in conformità a quanto previsto dalle ll.rr. nn.4-18/1999, l’Amministrazione Provinciale di…………., ed i Comuni, i cui territori rientrano nell’ambito di applicazione del presente Piano.

Art 21 Indicazione dei soggetti attuatori 1. Ferme restando le previsioni dell’art.22, l’attuazione del Piano è demandata ai soggetti attuatori

individuati nel Piano stesso. Art.22 Programmi di intervento 1. Il Piano è attuato in fasi successive, anche per stralci funzionali, attraverso programmi triennali

di intervento ai sensi e dell’art.42 l.r. n.20/2006, suscettibili di aggiornamento e/o integrazioni a fronte di nuove situazioni di rischio.

2. Il Piano può essere attuato anche mediante accordi di programma ai sensi della normativa vigente. Nel caso in cui all’approvazione degli interventi per l’attuazione del Piano partecipino più soggetti pubblici si procede mediante una conferenza di servizi convocata ai sensi dell’art.14 della l. n.241/1990 dall’Autorità competente al rilascio del provvedimento.

3. Nell’ambito delle procedure suddette la Provincia può assumere il compito di promuovere le intese nonché il ruolo di autorità preposta al coordinamento degli interventi programmati.

TITOLO V DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE

Art.23 Regime transitorio

31 Fatti salvi gli errori materiali, per le modifiche alle perimetrazioni ed allo stato di attività delle frane attive e quiescenti si rimanda agli indirizzi contenuti nell’allegato 1 della DGR 1338/2007 e nell’’allegato 1 della DGR 265/2010.

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1. Dalla data di adozione del Piano, nel caso di interventi urbanistici ed edilizi già assentiti mediante rilascio di concessioni od autorizzazioni edilizie o di interventi previsti da strumenti urbanistici attuativi approvati prima della data di adozione del Piano, non possono essere realizzate le opere che risultino in contrasto con i divieti e le prescrizioni contenuti nel Piano medesimo, fatti salvi i casi in cui i relativi lavori siano stati effettivamente iniziati nei termini e modalità di cui all’art. 1, penultimo e ultimo comma della l.r. 18.1.1975 n. 4, ovvero la Provincia esprima parere favorevole previa verifica che, sulla base degli scenari di pericolosità del presente Piano, l’intervento non aumenti le attuali condizioni di rischio, anche attraverso l’adozione delle opportune misure ed accorgimenti tecnico-costruttivi, di cui all’allegato 5 nel caso di inondabilità, e l’assunzione delle misure di protezione civile di cui all’allegato 7.

Art. 24 Regime transitorio per le varianti al Pian o 1. Le previsioni contenute nelle varianti sostanziali al Piano di Bacino adottate ai sensi dell’art. 9

della l.r. 58/2009, producono, sino alla loro approvazione ed entrata in vigore, gli effetti di salvaguardia di cui all’art.17 comma 6 della L.R. 28 gennaio 1993, n. 9 e ss.mm. e ii.

2. Dalla data di adozione delle varianti sostanziali o da quella di approvazione delle varianti non sostanziali, come rispettivamente definite nell’art. 10 della l.r. 58/2009, non possono essere assentite e/o realizzate le opere che risultino in contrasto con i divieti e le prescrizioni contenuti nella variante medesima, fatti salvi i casi in cui le opere siano dotate di titolo edilizio rilasciato precedentemente all’adozione della variante conformemente al piano di bacino vigente e i cui relativi lavori siano stati effettivamente iniziati nei termini e modalità di cui all’art. 1, penultimo ed ultimo comma della L.R. n° 4 del 18.01.1975.

3. Nel caso di: − interventi urbanistici ed edilizi, conformi al piano di bacino previgente, già assentiti

mediante rilascio di concessioni od autorizzazioni edilizie o di interventi previsti da strumenti urbanistici attuativi approvati prima della data di adozione o approvazione di cui al comma 2,

ovvero

− interventi assentiti dopo l’adozione delle varianti sostanziali, in quanto conformi sia al Piano vigente sia alla variante adottata,

gli interventi previsti possono essere realizzati solo su parere favorevole della Provincia, previa verifica che, sulla base degli scenari di pericolosità della variante, l’intervento stesso non aumenti le attuali condizioni di rischio, anche attraverso l’adozione di opportune misure ed accorgimenti tecnico-costruttivi e l’assunzione di idonee misure di protezione civile di cui all’allegato 5 nel caso di inondabilità e all’allegato 7 per l’assunzione delle misure di protezione civile.

Art.25 Durata del Piano e suo adeguamento 1. In conformità a quanto previsto dal comma 5, dell’art.10 della l.r. n.58/2009 le previsioni del

presente Piano possono essere oggetto di modifiche puntuali e/o integrazioni in considerazione di nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche, di studi o indagini di maggior dettaglio, di rischi residuali, sussistenti anche a seguito della realizzazione di interventi, nonché in considerazione di sopravvenute situazioni di pericolosità o di rischio.

Art. 26 Condoni edilizi – pareri ex art. 32, L.47/8 5 1. Relativamente alle domande di condono edilizio inerenti opere abusivamente realizzate, la

Provincia, previo parere vincolante del CTP, esprime parere favorevole ai sensi dell’art. 32 della L. 47/85 a condizione che: a) sia stata individuata la fascia di riassetto fluviale ovvero specifici interventi di sistemazione

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alternativi finalizzati alla messa in sicurezza per portate duecentennali relativamente ai tratti di corsi d’acqua non sufficienti allo smaltimento della portata duecentennale;

b) tali opere non pregiudichino o interferiscano con il deflusso della portata con tempo di ritorno duecentennale e non aggravino le condizioni di rischio a monte e valle;

c) tali opere non pregiudichino la stabilità del versante; d) tali opere non siano ricomprese nell’alveo attuale né nella fascia di riassetto fluviale; e) tali opere non pregiudichino la possibilità di attuare le previsioni di piano e la sistemazione

idraulica o idrogeologica definitiva.

2. Il parere della Provincia può prevedere l’imposizione di opportuni accorgimenti tecnico-costruttivi e/o di misure e cautele per la tutela della pubblica incolumità sotto forma di prescrizioni.

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APPENDICE

RIFERIMENTI PRINCIPALI PROVVEDIMENTI DI RILIEVO PER L’APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA DEL PIANO

• DGR 848/2003, Allegato 1 : Indirizzi interpretativi e chiarimenti dei criteri per la redazione della normativa dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico di cui alla DGR 357/01.

• DGR 16/2007, Allegato 1: Indirizzi per la riperimetrazione delle fasce di inondabilità nell'ambito della pianificazione di bacino stralcio per l'assetto idrogeologico di rilievo regionale – Riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di interventi di sistemazione idraulica.

• DGR 16/2007, Allegato 2: Indirizzi per la riperimetrazione delle fasce di inondabilità nell'ambito della pianificazione di bacino stralcio per l'assetto idrogeologico di rilievo regionale – Riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di studi di maggior dettaglio.

• DGR 1338/2007, Allegato 1 : Indirizzi per riperimetrazione e riclassificazione delle frane attive e quiescenti che determinano aree a suscettività elevata e molto elevata, a seguito di studi di maggior dettaglio nella pianificazione di bacino di rilievo regionale.

• DGR 250/05, Allegato 1 : Criteri di definizione degli ambiti normativi relativi alle fasce di inondabilità dei piani di bacino regionali in funzione dei tiranti idrici e delle velocità di scorrimento.

• DGR 1532/2005: Indirizzi procedurali in merito all'aggiornamento dei piani di bacino regionali conseguente all'individuazione degli "ambiti normativi delle fasce di inondabilità in funzione di tiranti idrici e velocità di scorrimento" ex D.G.R. 250/05

• DGR 265/2010: Integrazioni e specificazioni alla DGR 1338/07, recante “indirizzi per la riperimetrazione e riclassificazione delle frane attive e quiescenti, che determinano aree a suscettività al dissesto elevata e molto elevata, a seguito di studi di maggior dettaglio nella pianificazione di bacino di rilievo regionale”

• DGR 357/2008: Criteri ed indirizzi tecnici per la verifica e valutazione delle portate e degli idrogrammi di piena attraverso studi idrologici di dettaglio nei bacini idrografici liguri - Parte I - Linee guida.

• DGR 1634/2005, Allegato 1 : Indirizzi procedurali per l'aggiornamento di di bacino regionali vigenti in relazione a modifiche dei valori delle portate di piena di riferimento.

• DGR 226/2009: Criteri e direttive in materia di asportazione di materiali litoidi dai corsi d’acqua dei bacini idrografici regionali

• DGR 894/2010:. Indirizzi procedurali e modalità operative per il funzionamento dell'Autorità di Bacino regionale relativi alle istanze di varianti ai piani di bacino vigenti, ex l.r. 58/2009

• DGR 1361/2010: Indirizzi procedurali e modalità operative per l'espressione dei pareri di compatibilità degli interventi di sistemazione idraulica e geologica di cui all'art. 5, c.1, lett. d), l.r. 58/2009.

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ALLEGATI ALLA NORMATIVA-TIPO

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ALLEGATO 1:INDAGINI DI DETTAGLIO A SUPPORTO DI INTE RVENTI DI NUOVA COSTRUZIONE IN AREE CLASSIFICATE P g3b IN ASSENZA DI STRUMENTO

URBANISTICO COMUNALE ADEGUATO AL PIANO DI BACINO Nelle aree classificate ad elevata pericolosità al dissesto Pg3b , gli interventi di nuova costruzione sono ammessi qualora previsti dallo strumento urbanistico comunale adeguato al Piano attraverso l’effettuazione della verifica di compatibilità delle previsioni urbanistiche con il quadro dei dissesti del piano come stabilito all’art.19 della presente normativa. Nelle more della definizione di tale processo gli interventi di nuova costruzione sono consentiti a fronte del parere vincolante della Provincia espresso sulla base di una indagine di maggior dettaglio, presentata dal Comune, che deve osservare i seguenti contenuti minimi. In particolare le indagini di maggior dettaglio sono dirette a: a) analizzare e verificare in sito, sulla base dell’acquisizione di dati in sede locale, quegli elementi

che hanno portato nel piano di bacino, in base all’applicazione della metodologia di cui alla specifica Linea guida n. 2 /2000 “Indicazioni metodologiche per la redazione della carta di suscettività al dissesto dei versanti”, alla classificazione della suscettività al dissesto elevata (acclività, litologia, elementi geomorfologici, potenza e granulometria delle coltri, stato della roccia, uso del suolo, e classificazione idrogeologica ecc.);

b) verificare che, in coerenza con la metodologia di classificazione sviluppata nel piano, tali aree pur presentando caratteristiche fisiche tali da confermare il relativo inquadramento nella classe di suscettività al dissesto elevata, determinino un livello di pericolosità più contenuto rispetto a quello rappresentato dalle frane quiescenti, tale da poter sostenere anche interventi di nuova edificazione;

c) inquadrare, analizzare e valutare i dati acquisiti, alla scala di maggior dettaglio, nel contesto più ampio dell’unità geomorfologica nella quale è inserita l’area di interesse, al fine di verificarne, a scala di versante, le eventuali interferenze negative con l’intervento proposto e dimostrare che le condizioni di suscettività del territorio a contorno dell’area di intervento non interferiscano negativamente sull’intervento stesso;

d) dimostrare che l’attuazione della tipologia d’intervento proposto non aggravi il grado di suscettività al dissesto dell’area ma, anzi, permetta il miglioramento delle condizioni di stabilità dell’areale interessato, attraverso opportune e possibili opere volte a modificare, in senso favorevole la stabilità, i fattori geologici e geotecnici determinanti il relativo grado di suscettività al dissesto.

e) individuare ed analizzare le particolari condizioni di criticità locali rilevate la cui considerazione comporti, eventualmente, la necessità di adottare in sede di progettazione degli interventi, specifiche modalità di attuazione degli stessi, finalizzate ad assicurare la tutela della pubblica e privata incolumità e il non aumento del rischio idrogeologico.

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ALLEGATO 2: PORTATE DI PIENA

I valori di portata al colmo di piena per tempi di ritorno duecentennali ed altri tempi di ritorno rilevanti nel bacino (almeno T0 50 e 500 anni) del torrente/i…………. sono sinteticamente riportati nello schema seguente

-- inserire schema reticolo idrografico e valori di portata relativi

alle sezioni esaminate per lo specifico bacino--

……………………………………………………………………………..

……………………………………………………………………………..

Nelle sezioni dei corsi d’acqua ove il Piano non indica il valore della portata di piena duecentennale, si applica il valore individuato nella prima sezione immediatamente a valle di quella considerata lungo lo stesso tratto di asta fluviale ovvero, nei casi in cui tali sezioni risultino troppo distanziate, il valore derivato per interpolazione lineare tra i valori relativi alle sezioni immediatamente a monte e a valle di quella considerata.

Per i corsi d’acqua minori nonché per gli affluenti dei torrenti principali con bacino inferiore a 2 Km2, salvo diversa indicazione prevista nel presente Piano, si assume una portata massima ottenuta utilizzando un contributo unitario pari a 40 m3/s per ogni chilometro quadrato di superficie del bacino sotteso.

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ALLEGATO 3 INDIRIZZI TECNICI PER LA REDAZIONE DI STUDI IDRAULI CI

Gli studi idraulici finalizzati sia alla determinazione delle aree inondabili sia alla progettazione ed alla verifica di opere, devono essere conformi alle seguenti indicazioni.

1) Rilievi topografici

Gli studi idraulici devono contenere il censimento e il rilievo delle opere e del profilo dell’alveo, per tratti significativi, sul quale basare le verifiche idrauliche per le diverse portate e determinare i livelli idrici attesi in corrispondenza alle portate di piena da esaminare.

Fermo restando che i rilievi di cui trattasi debbano essere acquisiti e restituiti in quote assolute, indicazioni d’ordine generale sul dettaglio topografico necessario per il transetto che comprende la sezione “attiva” dell’alveo fluviale, possono essere dedotte da direttive della FEMA, come di seguito sintetizzate:

Le sezioni fluviali devono essere rilevate avendo cura che:

♦ la distanza verticale tra due punti adiacenti lungo il transetto della piana alluvionale non superi il 10% della dimensione verticale totale (altezza) del transetto;

♦ la distanza orizzontale tra due punti adiacenti lungo il transetto della piana alluvionale non superi il 5% della larghezza totale del transetto;

♦ la distanza orizzontale tra due punti adiacenti lungo la sezione dell’alveo fluviale non superi il 10% della larghezza totale della sezione attiva.

Sia le opere longitudinali, sia quelle trasversali presenti nell’alveo attivo e nella zona golenale devono essere accuratamente rilevate, con una tolleranza verticale inferiore almeno della metà di quella adottata nel rilievo del piano quotato e una tolleranza orizzontale appropriata alla geometria e alla dimensione dei particolari di interesse idraulico dell’opera.

2) Tratto di studio

In ogni caso, lo studio va condotto per tratti idraulicamente significativi del corso d’acqua, delimitati cioè da sezioni in cui sia possibile assegnare il valore del livello idrico della corrente (ad es. attraversamento della profondità critica per brusco restringimento o allargamento, presenza di soglie, ponti, traverse, deflusso in un ricettore con livello noto, etc). Sulla base di tale principio vanno individuati tratti di corso d’acqua idraulicamente “sconnessi” l’uno dall’altro, tali da poter assumere che il comportamento idraulico di un tratto non sia influenzato e non sia influenzabile da tratti a monte e a valle. Nel caso, si debbano perimetrare aree inondabili il tratto di studio deve essere tale che, oltre al tratto di corso d’acqua, anche le aree inondabili risultino “sconnesse” e non influenzate da quelle limitrofe, poste a monte e a valle.32

3) Modellistica idraulica

Di norma, ed in particolare nel caso della progettazione e della verifica di opere, può essere impiegato lo schema di corrente monodimensionale in condizioni di moto permanente, salvi i casi in cui sia necessario determinare valori locali della velocità della corrente o modificazioni della capacità di laminazione, o diverse specifiche problematiche da approfondire.

In considerazione della complessità del fenomeno da studiare e del grado di approfondimento necessario, pertanto a partire da schemi di moto permanente monodimensionale possono essere utilizzati rappresentazioni delle condizioni di moto di complessità crescente, ivi compresi schemi di moto vario monodimensionale o quasi-bidimensionale, o moto vario bidimensionale.

32 A questo proposito si veda anche quanto disposto dalla DGR 16/2007.

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Nello studio deve essere sinteticamente descritto il modello matematico utilizzato per le verifiche idrauliche, con l’esplicita indicazione di ogni elemento utile alla interpretazione dei risultati, con particolare riferimento alle scabrezze utilizzate, alle condizioni al contorno assunte, e a ogni altra ipotesi adottata nel calcolo.

Negli studi finalizzati alla determinazione delle aree inondabili, nei vari tratti del corso d’acqua si deve determinare il valore della massima portata smaltibile senza esondazioni allo stato attuale e le aree perifluviali inondabili per portate corrispondenti almeno ai tempi di ritorno di 50, 200, e 500 anni. Particolare attenzione va posta ai tratti in corrispondenza di opere, per le quali, in assenza di specifiche analisi sugli effetti del trasporto solido, è opportuno prevedere valutazioni di riduzione di sezione utile per gli effetti di piena (ostruzioni di arcate di ponti o coperture per eccezionale trasporto solido, etc.).

Nei tratti in cui le portate di massima piena, corrispondenti ai vari tempi di ritorno, non trovano più capienza certa nell’alveo, tenendo conto quindi della tolleranza con cui sono determinati i livelli idrici attraverso un adeguato franco, devono essere determinate, alla scala almeno 1:5000, le aree perifluviali contigue ai corsi d’acqua conseguentemente inondabili. La relativa determinazione è effettuata applicando schema di moto più opportuno, tra quelli sopra indicati, in considerazione della morfologia del sito e delle caratteristiche del fenomeno fisico da considerare.

In particolare, al fine di valutare il grado di pericolosità delle aree inondabili, devono essere determinati, almeno in corrispondenza della portata duecentennale, i livelli idrici che vi si realizzano, anche attraverso la suddivisione in opportune classi di tiranti idrici, nonché, con particolare riferimento alle aree urbane, le zone a più alta velocità di scorrimento.

Negli studi connessi alla progettazione di opere i calcoli idraulici per la definizione della condizione di deflusso vanno condotti con riferimento alle condizioni antecedenti e successive alla realizzazione dell’opera nella configurazione definitiva, e nelle eventuali condizioni di deflusso relative alle fasi intermedie di realizzazione dell’opera qualora significative.

I progetti di sistemazione idraulica, che non garantiscano il deflusso di portata duecentennale, devono quantificare la pericolosità residua e determinare le aree ancora inondabili a seguito della realizzazione delle opere.

In generale, poiché il trasporto di sedimenti costituisce una componente che può influenzare in modo significativo la dinamica della corrente, è opportuno che gli studi idraulici effettuino considerazioni, anche di massima, relative al trasporto solido, finalizzate a valutare la rilevanza di tale fenomeno nel caso in esame (ad esempio, effetto della dinamica dell’alveo sui livelli idrici durante gli eventi di piena e/o effetto dell’opera sulla dinamica del trasporto di sedimenti) e ad evidenziare la necessità di eventuali approfondimenti in tal senso attraverso modelli a fondo mobile. Ove necessario, ovvero su indicazione della Provincia, la capacità di trasporto della corrente in diverse condizioni di piena può essere valutata, in prima approssimazione, sulla base della modellazione idraulica effettuata nello studio e di una speditiva caratterizzazione dei sedimenti in alveo, ottenendo indicazioni di massima sulla quantità e sulla tipologia del materiale trasportato e sulla tendenza morfologica evolutiva (deposito o erosione) dei vari tratti di alveo.

4) Parametri di scabrezza

Nella modellazione di moto permanente monodimensionale il parametro di scabrezza rappresenta, per il tronco fluviale compreso fra due sezioni di calcolo, oltre alla natura e alle condizioni dell’alveo e delle sponde, macroresistenze dovute alla variabilità longitudinale della geometria o a possibili variazioni brusche del perimetro bagnato al crescere della portata; ciò assume particolare rilevanza nei casi in cui il rilievo delle sezioni disponibile non sia fitto lungo il corso d’acqua. In questi casi, il parametro di scabrezza deve tener conto di molteplici processi

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di resistenza e dovrebbe essere assunto superiore (inferiore in termini di Gauckler-Strickler) a quanto detterebbero condizioni solo locali dell’alveo.

I parametri di scabrezza da utilizzare nel calcolo idraulico devono tenere conto delle reali e documentabili condizioni di manutenzione del corso d’acqua, anche prevedibili per le condizioni di futuro esercizio.

Tali valori di parametro di scabrezza devono essere desunti da quelli individuati dalla tabella seguente (per semplicità riportati solo in termini di scabrezza di Gauckler-Strickler), tenendo conto che gli stessi dovrebbero essere considerati valori massimi non superabili. Scostamenti rispetto a tali valori, di entità in ogni caso modeste (non superiori al 10%), devono essere adeguatamente motivati, sulla base di specifiche considerazioni ed approfondimenti tecnici, anche in relazione alle specifiche situazioni di disponibilità di dati di dettaglio e di caratteristiche geometriche e condizioni dell’alveo e del bacino sotteso. In particolare nel caso dei corsi d’acqua con trasporto solido influenzato da fenomeni franosi, devono essere utilizzati i parametri di scabrezza più cautelativi.

Descrizione corso d’acqua

Coeff. di scabrezza di

Gauckler-Strickler K s (m1/3s-1)

Tratti di corsi d’acqua naturali con salti, rocce o vegetazione anche arbustiva-arborea in alveo

25-30

Corsi d’acqua naturali con vegetazione e movimento di materiale sul fondo

30-35

Tratti urbanizzati di corsi d’acqua naturali con argini cementati (e/o platee) in buono stato

35-40

Corsi d’acqua con fondo ed argini totalmente cementati in ottimo stato ed assenza di manufatti (tubi, cavi, ecc.) o

discontinuità interferenti con le acque 40-45

5) Franchi idraulici

Tutte le opere devono avere franchi adeguati rispetto al livello di piena previsto per la portata duecentennale, portata di riferimento per la progettazione di opere idrauliche od opere interferenti con l’alveo.

La previsione di adeguati franchi tra la sommità arginale o l’intradosso delle strutture in progetto ed il previsto livello della piena di riferimento, è necessaria per garantire il corretto funzionamento delle opere in questione ed assicurare il deflusso della portata di progetto con un adeguato coefficiente di sicurezza, tenendo conto di tutte le incertezze legate alla modellazione idrologico-idraulica (concettuale, matematica e numerica) e ai vari fenomeni che possono occorrere durante l’evento di piena, dei quali la modellazione non può tenere solitamente conto.

Alla loro valutazione devono concorrere considerazioni sia relative alla tipologia di opera e alla sua rilevanza determinata anche in funzione della vulnerabilità delle zone limitrofe, sia relative alle caratteristiche cinetiche della corrente, con la fondamentale distinzione dei casi di correnti lente e di correnti veloci.

I franchi idraulici non devono essere inferiori ai valori indicati nella tabella seguente, assumendo come riferimento il valore maggiore tra quelli contrassegnati con le lettere (a) e con (b).

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Franco idraulico:

valore maggiore tra (a) e (b)

Reticolo principale e secondario

Reticolo minore

(a) U2/2g, 0,5 U2/2g,

I) argini e difese spondali

cm. 50/100 cm 50

II) ponti e strutture di attraversamento fino a estensioni longitudinali di m. 12

cm. 100/150 cm 75

(b)

III) coperture o tombinature (ove ammesse), ponti e strutture di attraversamento di estensione oltre m. 12

cm. 150/200 cm 100

dove:

- il termine U2/2g rappresenta il carico cinetico della corrente con U velocità media della corrente (m/s) e g accelerazione di gravità (m/s2),

- i due valori estremi per il reticolo principale e secondario corrispondono rispettivamente a bacini poco dissestati con previsione di modesto trasporto solido ed a bacini molto dissestati con previsione di forte trasporto solido in caso di piena, e/o a bacini di maggiore o minore estensione. Per le opere di cui al punto III, nel caso di modesta rilevanza dell’opera stessa e di bacini ben sistemati, il valore minimo del franco come sopra indicato può essere derogato dall’amministrazione competente fino a 100 cm, sulla base di adeguate valutazioni come riportato nel seguito.

Per estensione longitudinale si intende l’estensione dell’opera misurata parallelamente alla direzione della corrente. Per opere non ortogonali alla direzione della corrente si valuta come estensione la distanza, sempre misurata in senso parallelo alla corrente, tra il lembo più a monte e quello più a valle dell’opera stessa.

Nel caso di ponti ad arco o comunque con intradosso non rettilineo, il valore del franco deve essere assicurato per almeno 2/3 della luce e comunque per almeno 40 m, nel caso di luci superiori a tale valore.

Deroghe ai franchi idraulici

Deroghe ai franchi di sicurezza di cui al punto precedente potranno essere motivatamente ammesse dalla Provincia in relazione a casi specifici ed a seguito di adeguate analisi e valutazioni, a condizione che sia comunque assicurata l’adeguata sicurezza delle opere in progetto e delle aree limitrofe ai fini della tutela della pubblica e privata incolumità.

E’ necessario, pertanto, che, qualora gli interventi di sistemazione idraulica, progettati o realizzati, non prevedano l’adeguato franco idraulico, sia effettuata una valutazione specifica e dettagliata che consenta di analizzarne le conseguenze in termini di pericolosità idraulica.

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Nell’ambito di autorizzazione di deroghe ai franchi rispetto alla portata di progetto deve essere quindi individuata la portata smaltibile con l’adeguato franco, da considerarsi quella per la quale l’opera in progetto assicura con adeguato coefficiente di sicurezza il deflusso senza esondazioni, presupponendo, quindi, di norma un livello di pericolosità residua per le portate superiori.

La riduzione del franco previsto deve essere supportata da specifiche motivazioni tecniche che consentano di escludere ragionevolmente la possibilità di realizzazione di livelli di piena superiori rispetto a quanto determinato con la modellazione utilizzata, ovvero devono essere condotte specifiche analisi che consentano di definire il livello di mitigazione del rischio effettivamente conseguibile e le connesse condizioni di pericolosità residua, da trasporre in termini di eventuali aree inondabili o fasce di inondabilità residue.

In particolare, gli aspetti tecnici da considerare all’atto di deroghe ai franchi minimi, della cui valutazione si deve dare atto negli atti di competenza, sono di seguito schematizzate.

- Rilevanza dei corsi d’acqua in esame e dell’estensi one dei bacini sottesi, anche in relazione all’articolazione del reticolo idrografico.

- Caratteristiche del corso d’acqua e del bacino sott eso.

A questo proposito occorre valutare se tali caratteristiche permettano di escludere l’evenienza di fenomeni non tenuti in conto nella modellazione matematica utilizzata per determinare il livello di piena (valutazione ad esempio dell’entità della pendenza di fondo, dell’uniformità longitudinale delle sezioni fluviali, del trasporto solido, dell’influenza di opere interferenti con il deflusso, etc.). In particolare deve essere valutata l’entità del possibile trasporto solido o di flottanti durante un evento di piena, fenomeno che può significativamente alterare gli effetti previsti con la modellazione matematica (ad esempio effetto della dinamica dell’alveo sui livelli idrici durante gli eventi di piena e/o effetto dell’opera sulla dinamica del trasporto di sedimenti).

- Caratteristiche idrauliche della corrente.

In particolare, devono essere verificate le condizioni di deflusso nel tratto in esame con la distinzione tra corrente “veloce” (o supercritica) e “lenta” (subcritica); si ricorda infatti che, in caso di correnti veloci, anche un modesto ostacolo o una variazione di natura dell’alveo possono provocare un innalzamento anche rilevante della superficie libera, che può raggiungere il valore del carico cinetico U2/2g, e provocare quindi esondazioni non previste qualora le opere non abbiano previsto l’adeguato franco. Analogamente va valutato l’effetto di velocità elevate rispetto alle sollecitazioni sulle strutture che interferiscono con il deflusso (scalzamenti, erosioni spondali, etc)

- Caratteristiche progettuali dell’opera.

In particolare va valutata la rilevanza dell’opera in progetto e la sua interferenza con il normale deflusso del corso d’acqua, tenendo conto che, se l’opera interferisce significativamente con la corrente (ad es. una tombinatura), la stessa può essere causa di modifiche non trascurabili delle condizioni del moto della corrente stessa, anche in funzione di fenomeni non considerati nella modellazione.

- Caratteristiche delle zone limitrofe all’opera e va lutazione del danno atteso in caso di esondazione della portata di progetto

In particolare deve essere valutata la possibilità connessa ad una esondazione della portata di progetto conseguente alla mancata previsione dell’adeguato franco al sopravvenire di circostanze non prese in considerazione esplicitamente nella schematizzazione modellistica, in relazione anche al possibile danno atteso in funzione delle caratteristiche delle zone limitrofe; a tale proposito possono essere distinte, a titolo di esempio, zone urbanizzate per le quali il danno atteso di una eventuale esondazione è sempre elevato e zone non urbanizzate ove tale danno possa essere, al contrario, ritenuto non rilevante.

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ALLEGATO 4: INDIRIZZI TECNICI PER LA REALIZZAZIONE DI TOMBINATURE Le opere di tombinatura e di copertura, ove ammesse, devono essere realizzate, salvo specifiche integrazioni richieste da parte della Provincia, secondo i seguenti indirizzi generali:

1. deve essere garantita una sezione di deflusso netta interna di dimensioni minime di 1,60x1,60 metri, salvo il caso di tombinature o coperture connesse alla realizzazione di infrastrutture viarie sui colatori minori per le quali deve essere garantita una sezione di deflusso minima superiore al metro quadrato, fermo restando la possibilità per la Provincia, qualora se ne ravveda la necessità, di prescrivere dimensioni superiori al fine di consentire manutenzioni anche con macchine operatrici;

2. deve essere predisposto un programma di mantenimento della sezione di deflusso di progetto ed effettuata almeno due volte all’anno, e comunque ogni qualvolta se ne presenti la necessità, la pulizia degli attraversamenti da parte del proprietario e/o concessionario;

3. devono essere previste opere di intercettazione del materiale nelle zone di imbocco e, in casi specifici, per i corsi d’acqua del reticolo principale, apposita vasca di sedimentazione a monte; di detta vasca deve essere predisposto un adeguato programma di sghiaiamento.

ALLEGATO 5: ACCORGIMENTI TECNICO-COSTRUTTIVI PER IL NON AUMENTO DELLE CONDIZIONI DI RISCHIO IDRAULICO

Vengono di seguito definiti gli accorgimenti tecnico-costruttivi finalizzati al non aumento del rischio attuale, da adottarsi ai sensi delle lettere a) e b) del comma 3 nonché del comma 8 dell’art. 15 della presente normativa-tipo. A tal fine rileva la definizione di rischio idrogeologico assunta nel presente Piano, che, come è noto, risulta dalla combinazione dei seguenti tre fattori: (1) pericolosità, (2) valore degli elementi a rischio in termini di persone e beni; (3) vulnerabilità degli elementi a rischio, intesa come capacità dell’elemento a resistere all’evento. Nella specie, con riferimento al rischio idraulico, la pericolosità è rappresentata dalle fasce di inondabilità. Dalla definizione generale del rischio si evince che, affinché l’introduzione di un nuovo elemento in un’area interessata da possibili inondazioni non determini un aumento delle condizioni di rischio, deve poter essere eliminata la vulnerabilità dell’elemento stesso nei confronti dell’evento temuto. Pertanto gli accorgimenti tecnico-costruttivi finalizzati al non aumento del rischio attuale devono essere in grado di proteggere l’elemento stesso dagli allagamenti e limitare gli effetti dannosi per la pubblica incolumità conseguenti all’introduzione del nuovo elemento in occasione di un evento alluvionale. Ai fini della ammissibilità degli interventi di cui alle lettere a) e b) del comma 3 e di cui al comma 8 dell’art. 15 della presente normativa, occorre verificare, caso per caso, l’efficacia degli accorgimenti nella protezione del nuovo elemento dagli allagamenti, in considerazione in particolare sia delle caratteristiche dell’evento atteso (quali altezze idriche e velocità di scorrimento previste in caso di piena duecentennale) sia della alta vulnerabilità intrinseca di alcuni elementi (per esempio locali interrati o campeggi); tale verifica deve essere effettuata mediante un’analisi tecnico-idraulica basata sulle determinazioni del presente piano relativamente alla portata duecentennale. Qualora tali determinazioni non risultino sufficientemente approfondite per i casi in

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questione deve essere prodotto uno studio idraulico di dettaglio finalizzato a valutare l’entità e le caratteristiche del fenomeno nell’area interessata dall’edificazione. Le finalità sopra indicate possono essere perseguite attraverso l’adozione, sia singolarmente sia congiuntamente, delle seguenti misure od accorgimenti tecnico-costruttivi, elencati a titolo meramente esemplificativo:

1. il confinamento idraulico dell’area oggetto dell’intervento mediante sopraelevazione o realizzazione di barriere fisiche per la corrente di inondazione;

2. l’impermeabilizzazione dei manufatti fino a una quota congruamente superiore al livello di piena di riferimento mediante il relativo sovralzo delle soglie di accesso, delle prese d’aria e, in generale, di qualsiasi apertura;

3. il diniego di concessioni per locali interrati o insediamenti ad alta vulnerabilità; 4. il divieto di destinazioni d’uso che comportino la permanenza nei locali interrati.

In ogni caso la quota del piano terra abitabile delle nuove edificazioni deve essere posta ad un livello adeguatamente superiore a quello del tirante idirico associato alla piena duecentennale e le eventuali strutture interrate devono prevedere accessi posti ad una quota superiore al tirante anzidetto maggiorato di metri 0.50 ed essere completamente stagne e non collegate direttamente con le reti di smaltimento bianche e nere.

Ulteriori accorgimenti tecnico-costruttivi complementari ai precedenti possono essere: 1. l’installazione di stazioni di pompaggio; 2. la riorganizzazione della rete di smaltimento delle acque meteoriche nelle aree limitrofe; 3. la difesa mediante sistemi passivi dal rigurgito delle acque nella rete di smaltimento delle

acque meteoriche, dei quali sia predisposto un adeguato programma di manutenzione; 4. l’installazione di sistemi di allarme.

ALLEGATO 6: INDIVIDUAZIONE DI MISURE FINALIZZATE AL LA RIDUZIONE DEL RISCHIO IDROGEOLOGICO PER OPERE ESISTENTI

Viene di seguito riportata una elencazione non esaustitiva delle possibili misure dirette alla mitigazione del rischio del patrimonio edilizio esistente sito in aree ad elevata probabilità di inondazione o di frana, da adottare da parte dell’Ente locale competente, e da attivare prioritariamente per le strutture altamente vulnerabili, anche sulla base di specifiche analisi costi-benefici. 1. la delocalizzazione o rilocalizzazione degli elementi a maggior rischio, situati in particolare

nella fascia A e nella aree a molto elevata ed elevata suscettività al dissesto (Pg4 e Pg3); 2. provvedimenti di inabitabilità per locali posti a quote non compatibili con l’inondabilità dell’area

e/o diniego di concessione edilizia per locali seminterrati; 3. la messa in opera di misure o accorgimenti tecnico costruttivi o, in generale, la realizzazione di

opere per la riduzione del rischio dei locali od edifici soggetti ad alto rischio idraulico o ad alto rischio geomorfologico;

4. variazioni di destinazione d’uso dei manufatti edilizi esistenti finalizzate a renderli il più possibile compatibili con l’inondabilità o la propensione al dissesto dell’area.

ALLEGATO 7: INDIRIZZI DI PROTEZIONE CIVILE

(Prevenzione ed emergenza)

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Testo integrato della normativa tipo Dgr n.1265/2010 e Dgr n.1208/2012

Documento 1.2 Pagina 38 di 38

Le carte di pericolosità redatte nell’ambito del presente Piano, quali la carta della suscettività a dissesto e la carta delle fasce di inondabilità, nonché la carta del rischio idrogeologico, sono propedeutiche alla predisposizione dei piani di protezione civile provinciali e comunali di cui alla l.r. n.9/2000 per quanto attiene al rischio idrogeologico. Nell’ambito di tali piani spetta ai Comuni competenti:

1. redigere una carta del rischio idrogeologico di maggior dettaglio finalizzata all’individuazione di situazioni puntuali con problematiche specifiche di protezione civile, ed in particolare che individui gli specifici elementi presenti e che diversifichi, in considerazione della loro caratteristica vulnerabilità, le aree a rischio.

2. individuare, relativamente ai manufatti soggetti a rischio elevato, attraverso analisi di dettaglio anche sotto l’aspetto costi-benefici, le soluzioni più opportune per la riduzione del rischio connesso (quali delocalizzazione, cambi di destinazione d’uso, provvedimenti di inabitabilità, sistemi di allarme, accorgimenti tecnico-costruttivi, ecc.).

3. fornire adeguata informazione alla cittadinanza circa il grado di esposizione al rischio desunto dalle carte di pericolosità e rischio, ed in particolare disporre l’apposizione lungo la viabilità ed in adiacenza ai manufatti siti in zone inserite nelle fasce di inondabilità, parzialmente o totalmente inondabili e/o allagabili, apposita segnaletica permanente del pericolo, e nei punti nevralgici, di pannelli a messaggio variabile, con alimentazione autonoma, che, sulla base dei bollettini di allerta, informano la popolazione sulle possibili situazioni di rischio.

Relativamente agli immobili destinati ad uso commerciale o ricreativo, agli impianti sportivi e ad altri locali aperti al pubblico devono essere predisposti idonei piani di evacuazione e/o messa in sicurezza degli edifici, coordinati con le azioni previste dal piano comunale di protezione civile.

In ogni caso, spetta al Comune vietare e/o disciplinare, mediante apposite segnalazioni o tramite la polizia comunale, la limitazione o la interdizione degli accessi nelle aree o infrastrutture esposte al rischio, la permanenza nei locali interrati e/o seminterrati nonché in quelli siti allo stesso livello del piano stradale a rischio di inondazione e/o di allagamento contestualmente alla diramazione dello stato di allerta.

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

INDIRIZZI INTERPRETATIVI E CHIARIMENTI IN MERITO AI CRITERI PER LA REDAZIONE DELLA

NORMATIVADEI PIANI DI BACINO PER LA TUTELA DAL RISCHIO IDROGEOLOGICO

DI CUI ALLA DGR 357/01

Documento approvato con DGR n. 848 del 18.7.2003

Documento 2.1

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Documento 2.1

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ALLEGATO1 ALLA DGR n.848/2003

INDIRIZZI INTERPRETATIVI E CHIARIMENTI IN MERITO AI CRITERI PER LA REDAZIONE DELLA NORMATI VA

DEI PIANI DI BACINO PER LA TUTELA DAL RISCHIO IDROG EOLOGICO DI CUI ALLA DGR N .357/01

Premessa

A seguito di numerosi quesiti pervenuti alla scrivente amministrazione in merito alla corretta applicazione dei criteri per l’elaborazione delle norme di attuazione dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico, assunti dalla Giunta regionale nella sua qualità di Comitato Istituzionale dell’Autorità di bacino di rilievo regionale con deliberazione n.357/2001, si rende opportuno fornire i seguenti chiarimenti.

Innanzitutto si ricorda che i criteri di cui si tratta attengono alle tematiche della pericolosità idrogeologica e del connesso grado di rischio nell’ambito della pianificazione di bacino e corrispondono all’esigenza di garantire l’omogeneità di gestione del rischio idrogeologico sul territorio regionale. In tal senso i criteri individuano i contenuti minimi essenziali della normativa relativa alla tematica della pericolosità e rischio idrogeologico nei piani di bacino o in loro stralci funzionali ai sensi del comma 6ter, dell’art. 17 della L. 183/89, ed in particolare, quindi, dei piani di bacino stralcio che sono stati approvati dall’Autorità di Bacino di rilievo regionale ai sensi del comma 1, art.1, del D.L. 180/98.

Si intende inoltre ribadire e meglio precisare la finalità propria dei piani di bacino anche stralcio, attualmente approvati, a riguardo delle tematiche di cui sopra. Il piano di bacino, in tale ambito, infatti, investe il governo del territorio e la corretta utilizzazione dello stesso, perseguendo, in via prioritaria, la gestione delle situazioni di pericolosità e rischio al fine del non aumento delle condizioni di rischio attuale e d ella tutela della pubblica e privata incolumità .

La finalità in questione, rappresenta, pertanto, la corretta chiave di lettura delle norme del piano di bacino ogni qualvolta si presentino fattispecie concrete di dubbia applicazione, superando, se del caso, la qualificazione strettamente edilizia degli interventi ammessi e/o vietati o le varie accezioni riscontrabili negli specifici strumenti urbanistici.

Avuto riguardo alle specifiche finalità sottese ai limiti indicati nei criteri stessi, nell’individuazione degli interventi edilizi esclusi da tali normative, quindi, il criterio interpretativo da privilegiare , a fronte di nozioni più restrittive a diversi effetti, è quello della tutela sottesa alle normative stesse .

In tal senso, quindi, si ritiene che i chiarimenti e le interpretazioni riportate nel presente documento possano rimanere validi anche a seguito della entrata in vigore del Testo

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Allegato 1 alla DGR 848/2003 Indirizzi interpretativi e chiarimenti In merito ai criteri per la redazione della normativa

dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico di cui alla DGR 357/01

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unico dell’edilizia (D.P.R. n. 380/2001), che innova le definizioni degli interventi edilizi delineate nella l.n.457/1978, cui fa riferimento la normativa di piano stralcio. Infatti, tali definizioni devono ritenersi prevalenti per quanto concerne il regime dei titoli abilitativi e non anche in termini sostanziali, rispetto alle definizioni degli interventi stessi contenuti negli strumenti urbanistici generali vigenti ovvero ad altre disposizioni quali la disciplina dei piani di bacino i cui divieti e limiti vanno riferiti alla natura sostanziale dell’intervento, a prescindere dalla categoria in cui gli stessi sono ascritti in base allo strumento urbanistico ovvero al T.U.

È di tutta evidenza che l’ammissibilità degli interventi che non risultano tra quelli vietati nella normativa del piano di bacino è comunque subordinata alla loro ammissibilità negli specifici SUG.

Si ricorda inoltre che resta fermo il principio generale , sotteso alla pianificazione di bacino relativamente alle tematiche del rischio idrogeologico, in base al quale qualsiasi intervento, pur se non incluso tra quelli esplicitamente vietati, non deve aumentare la pericolosità di inondazione o di frana ed il rischi o connesso, sia localmente, sia a monte e a valle, e non deve pregiudicare la reali zzabilità degli interventi di sistemazione e di mitigazione del rischio previsti dal Piano ; riguardo alla pericolosità idraulica, non deve inoltre costituire significativo ostacolo al deflusso delle acque di piena o ridurre significativamente la capacità di invaso delle aree stesse.

Si evidenzia infine che l’applicazione della normativa del Piano di bacino, finalizzata al non aumento delle condizioni attuali di rischio, non dispensa dalla necessità di prevedere le adeguate azioni e misure di protezione civile in considerazione delle condizioni di pericolosità idrogeologica delle diverse aree individuate dal Piano stesso, condizioni che, tra l’altro, devono essere assunte come base per la redazione dei piani di protezione civile comunali.

Chiarimenti sui criteri di cui alla DGR 357/01

Gli indirizzi interpretativi qui indicati, che discendono dai principi generali illustrati in premessa, confermano e meglio specificano gli indirizzi già forniti su analoghi argomenti nelle circolari esplicative a suo tempo emanate a riguardo dell’applicazione dell’art. 26 della L.R. 9/93 e del disposto della DGR 2615/98.

Sono forniti, tra l’altro, chiarimenti ed indirizzi interpretativi su specifiche definizioni di tipo urbanistico-edilizio introdotte dai criteri regionali ex DGR 357/01; va da sé che le singole norme del piano di bacino vanno in ogni caso applicate nella loro completezza, valutando contestualmente le varie condizioni di volta in volta specificate e rispettando il principio generale del non aumento della pericolosità e del rischio richiamato in premessa.

Si segnala, inoltre, che per semplicità espositiva, i chiarimenti che seguono fanno riferimento agli articoli della normativa-tipo di cui all’allegato 2 della DGR 357/2001, e ss. mm. ed ii.

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Allegato 1 alla DGR 848/2003 Indirizzi interpretativi e chiarimenti In merito ai criteri per la redazione della normativa

dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico di cui alla DGR 357/01

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1) Fasce di inondabilità (Art. 15)

Aree a suscettività al dissesto (Art. 16) Ammissibilità degli interventi consistenti in modes ti ampliamenti a fini igienico-sanitari e tecnologici

Si specifica che ai presenti fini, i modesti ampliamenti a fini igienico-sanitari e tecnologici entro soglie predeterminate dallo strumento urbanistico generale e, quindi, senza il rispetto dell’indice edificatorio, non sono da ricomprendere nella definizione di nuova costruzione, risultando gli stessi ascrivibili, a questi soli fini, nella categoria della ristrutturazione edilizia, ovvero del risanam ento conservativo .

Tali ampliamenti sono quindi da ritenersi ammissibili, fermo restando il rispetto delle condizioni di volta in volta specificate, laddove nella normativa del Piano di Bacino siano ammessi gli interventi di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia, sempreché gli stessi siano ammessi dagli SUG comunali “una tantum” e quindi senza il rispetto degli indici di edificabilità.

2) Fasce di inondabilità (Art. 15, commi 2, 3 e 8) Aree a suscettività al dissesto (Art. 16, commi 2 e 3)

Definizione degli interventi di nuova edificazione

Anche nel caso degli interventi di nuova edificazione, richiamati nei commi succitati, si chiarisce che tale definizione va intesa, al di là delle possibili diverse classificazioni contenute nello SUG o nel T.U. dell’edilizia appena entrato in vigore, in relazione alle caratteristiche dell’intervento in termini di pericolosità e rischio per beni e persone . In tal senso, a titolo di esempio, non sono da ritenersi interventi di nuova edificazione ai sensi della normativa di piano di bacino interventi quali l’installazione di serre di tipo “a tunnel”, recinzioni, tettoie, pali, tralicci, condotte di servizi, etc.; così come verande o balconi, in quanto riconducibili, nella sostanza, ai modesti ampliamenti di cui al punto 1). Non sono inoltre da considerarsi rientranti nella nuova edificazione le sopraelevazioni connesse al recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti in conformità al disposto della L.R. 24/2001, ovvero quelle ascrivibili alla categoria dei modesti ampliamenti di cui al punto 1).

3) Fasce di inondabilità (Art. 15, comma 2, lett. b )) Aree a suscettività al dissesto (Art. 16, comma 2, lett. b))

Ammissibilità di manufatti anche non qualificabili come volumi edilizi e sistemazione di aree che comportino la permanenza o la sosta di persone

Nell’ambito della finalità generale dei piani di bacino in tema di rischio idrogeologico, la finalità della norma in oggetto è quella di garantire che non siano attuate trasformazioni urbanistiche di zone già riconosciute come a pericolosità molto elevata (T=50 anni ovvero frana attiva) tali da comportare la permanenza

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Allegato 1 alla DGR 848/2003 Indirizzi interpretativi e chiarimenti In merito ai criteri per la redazione della normativa

dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico di cui alla DGR 357/01

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di persone in insediamenti non adeguatamente protet ti o proteggibili dagli eventi calamitosi . In questo senso, quindi, la norma è intesa a vietare interventi quali l’installazione di campeggi, villaggi turistici, o insediamenti comunque legati alla ricettività turistica quali roulottes o case mobili, in ragione della loro sostanziale assimilabilità, dal punto di vista dell’aumento del rischio idraulico, agli interventi di nuova edificazione nonché della loro intrinseca elevata vulnerabilità rispetto agli eventi alluvionali. Analogamente sono da ricomprendere in tali divieti capannoni e simili, anche non realizzati in muratura, ove siano insediabili attività produttive, commerciali o similari. Sono invece da ritenersi ammissibili, a titolo di esempio, interventi quali l’installazione di dehors o similari, l’allestimento di mercati temporanei, fieristici o similari, attrezzature balneari, parcheggi a raso, purché siano previste le adeguate azioni e misure di protezione civile .

4) Fasce di inondabilità (Art. 15, comma 2) Ammissibilità degli interventi sul patrimonio edili zio esistente comportanti cambio di destinazione d’uso con aumento del carico insediativo

Al comma 2 viene specificato che gli interventi ammessi sul patrimonio edilizio esistente non devono comunque comportare “cambi di destinazione d’uso che aumentino il carico insediativo anche temporaneo”.

Si ricorda innanzitutto che è la contestualità delle due condizioni sopra citate a rendere non ammissibile un dato intervento (ferme restando le altre limitazioni poste nella normativa del piano di bacino); la motivazione della norma risiede infatti nel non ammettere, in un’area a pericolosità idraulica molto elevata, dove sono peraltro ammessi solo interventi sul patrimonio edilizio esistente, trasformazioni di edifici o insediamenti che prevedano un cambio di destinazione d’uso tale da comportare un aumento del grado di rischio degli stessi a causa di un aumento del carico insediativo.

In primo luogo rientrano quindi nel divieto quelle trasformazioni che prevedano la permanenza di persone in siti ove attualmente non sia prevista (a mero titolo di esempio, cambio di destinazione da magazzino ad abitazione).

D’altra parte, in conformità con quanto già precisato nella circolare esplicativa della DGR 2615/98, la nozione di “carico insediativo” va intesa in senso «sostanziale», riferendosi con tale dizione ai casi di interventi comportanti un apprezzabile incremento del numero di abitanti, di addetti o di utenti, sempreché derivanti da mutamenti della destinazione d’uso di immobili esistenti che determinino, come conseguenza, un maggior fabbisogno di standards urbanistici.

Inoltre, tenuto conto delle specifiche finalità proprie della normativa di piano di bacino, possono essere ammissibili interventi che, pur qualificandosi come interventi di cambio di destinazione d’uso sotto il profilo strettamente edilizio, mantengano in modo prevalente la destinazione originaria. In tal senso, a titolo di esempio, ove la normativa di piano di bacino ammette gli interventi di ristrutturazione edilizia, sono da considerarsi ammissibili, alle condizioni di volta in volta specificate, gli interventi di frazionamento interno, sempreché ovviamente la disciplina del piano urbanistico espressamente li

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Allegato 1 alla DGR 848/2003 Indirizzi interpretativi e chiarimenti In merito ai criteri per la redazione della normativa

dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico di cui alla DGR 357/01

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ammetta, nonché gli interventi volti al recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti, posto che gli stessi comportano il mutamento di destinazione d’uso di una parte di edifici già destinati ad un prevalente uso abitativo.

5) Fasce di inondabilità (Art. 15: comma 2, lett. a ); comma 3, lett. a); comma 8)

Definizione di tessuto urbano consolidato o da comp letare mediante interventi di integrazione urbanistico-edilizia sempre all’int erno di ambiti già edificati.

In conformità con quanto già precisato nella circolare esplicativa della DGR 2615/98, con la dizione “contesti di tessuto urbano consolidato o da completare mediante interventi di integrazione urbanistico-edilizia sempre all’interno di ambiti già edificati” si intende di norma far riferimento a zone omogenee classificate di tipo «A» e/o «B» in base al DM 2-4-1968. Vi possono rientrare anche zone di tipo «D» che inglobino insediamenti produttivi di varia natura (industriali, commerciali, artigianali o misti) già esistenti o da riconvertire o da completare, nonché altre zone comunque classificate, e quindi anche al limite di tipo «C», che siano sostanzialmente assimilabili a zone di tipo «A» o «B» e che, in ogni caso, risultino caratterizzate dalla presenza di un tessuto edilizi o consolidato ovvero da completare in alcune sue parti . Di conseguenza, tali completamenti devono necessariamente riguardare lotti di limitata estensione ancora liberi ma inter ni a zone già densamente edificate . In coerenza con le finalità del piano di bacino per la tematica di riferimento, sicuramente non rientrano in tali ipotesi i casi in cui l’intervento edilizio, qualora realizzato, determini un aumento della classe di rischio attuale valutata secondo i criteri regionali. Si precisa ancora che laddove il Comune sia dotato di PUC, dovrà comunque far riferimento al criterio sopra indicato, tenuto conto che tale strumento, a norma dell’art. 27, comma 3, della L.R. 36/97 deve contenere l’indicazione di riferimento delle proprie previsioni alle zonizzazioni in base al DM 2-4-1968.

6) Fasce di inondabilità (Art. 15, commi 2 e 3)

Non aumento della vulnerabilità rispetto ad eventi alluvionali e non aumento del rischio idraulico.

Riguardo alla condizione di ammissibilità di interventi a condizione che non venga aumentata la vulnerabilità rispetto ad eventi alluvionali o il non aumento del rischio idraulico richiamata dalla norma in oggetto, si precisa quanto segue, in conformità a quanto già evidenziato nell’allegato B ai criteri di cui all’Allegato 1 alla DGR 357/01.

a) Nella normativa di piano il concetto di vulnerabilità viene richiamato con riferimento al patrimonio edilizio esistente . Si ricorda che la vulnerabilità di un edificio o di un manufatto deriva dalla capacità o inidoneità dell’elemento a resistere all’evento alluvionale di riferimento (minore è tale capacità, maggiore è la vulnerabilità). Laddove gli interventi sul patrimonio edilizio esistente risultano ammissibili se non aumentano il grado di vulnerabilità attuale dell’elemento in esame, tali interventi non devono quindi provocare una diminuzione del suo attuale

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Allegato 1 alla DGR 848/2003 Indirizzi interpretativi e chiarimenti In merito ai criteri per la redazione della normativa

dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico di cui alla DGR 357/01

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grado di protezione dagli eventi alluvionali . In tal senso, a titolo di esempio, interventi quali aperture previste sotto il livello della massima piena o realizzazione di interrati o seminterrati rientrano, in generale, nella tipologia di interventi che aumentano la vulnerabilità, a meno che non vengano assunti le opportune misure ed accorgimenti tecnico-costruttivi in grado di assicurarne la protezione dagli allagamenti.

b) Nella normativa di piano il concetto di non aumento del rischio idraulico viene richiamato con riferimento agli interventi di nuova edificazione o di nuove infrastrutture. Tale concetto è connesso alla consueta definizione di rischio idrogeologico adottata nei criteri e raccomandazioni regionali in merito. In conformità al contenuto dell’allegato B sopra citato, si ricorda che l’introduzione di un nuovo elemento in un’area interessata da possibili inondazioni determina necessariamente un aumento delle condizioni di rischio, a meno che l’elemento stesso risulti non vulnerabile nei confr onti dell’evento di piena di riferimento . Tale obiettivo può essere raggiunto anche attraverso adeguati accorgimenti tecnico-costruttivi che devono, quindi, essere progettati, caso per caso, in modo tale da proteggere efficacemente l’elemento stesso dagli allagamenti rispetto all’evento di riferimento e limitare, in occasione di un evento alluvionale, gli effetti dannosi per la pubblica incolumità conseguenti all’introduzione del nuovo elemento, nelle aree di interesse e nelle aree limitrofe.

7) Fasce di inondabilità (Art. 15, comma 2, lett. d ))

Ammissibilità di interventi su infrastrutture

Poiché dalla lettura delle lettera d) del comma 2., dell’art. 15 della normativa-tipo potrebbe non risultare chiaro l’ambito di applicazione della norma stessa, con particolare riferimento all’ammissibilità di interventi su infrastrutture private, si chiarisce che la norma-tipo in oggetto va interpretata alla luce del criterio di cui all’Allegato 1 alla DGR 357/01, ed in particolare del paragrafo 3.1, lett. c), punto 1), che specifica che, in fascia A, sono consentiti interventi di manutenzione, ampliamento o ristrutturazione di infrastrutture pubbliche esistenti purché non aumentino le condizioni di rischio, nonché la realizzazione di infrastrutture pubbliche connesse alla mobilità progettate sulla base di uno specifico studio di compatibilità idraulica e coniugate alle idonee azioni e misure di protezione civile, e previo parere favorevole della Provincia.

8) Fasce di inondabilità (Art. 15, comma 7)

Elementi per la riperimetrazione delle fasce di ino ndabilità a seguito di interventi di sistemazione idraulica Si specifica che, ai fini dell’efficacia della riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito degli interventi di sistemazione idraulica, è sufficiente verificare la sussistenza dei seguenti presupposti: - Le opere realizzate devono essere conformi al Piano di bacino relativo ed, in

ogni caso, al progetto approvato dagli Enti competenti, previa acquisizione degli eventuali necessari pareri di conformità al Piano di bacino.

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Allegato 1 alla DGR 848/2003 Indirizzi interpretativi e chiarimenti In merito ai criteri per la redazione della normativa

dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico di cui alla DGR 357/01

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- Le opere realizzate devono riguardare la realizzazione di lotti funzionali dell’intervento complessivo previsto dal Piano e comunque essere in grado di eliminare il livello di pericolosità di inondazione per il quale sono state progettate (di norma T=200 anni) in porzioni significative del territorio. Sulla base di idonea documentazione, da acquisire qualora non fosse stata prodotta in sede progettuale, dovrà essere valutata e perimetrata l’eventuale pericolosità residua in relazione alla portata di progetto, nonché all’assetto idraulico complessivo dell’area protetta dalla difesa idraulica (a titolo di esempio, interferenze con eventuali colatori minori o inondabilità residua proveniente da monte).

- Le opere devono essere state regolarmente terminate e collaudate. - Deve essere specificato il soggetto responsabile della manutenzione delle

opere al fine di assicurarne la corretta funzionalità nel tempo ed il conseguente mantenimento delle raggiunte condizioni di mitigazione della pericolosità idraulica.

9) Art. 25 Condoni edilizi – pareri ex art. 32, L.4 7/85

Obbligo di richiesta di parere al soggetto che ha a pposto il vincolo

Nel caso di interventi abusivi, soggetti a regime di condono edilizio ai sensi del capo IV della L.47/85, corrispondenti a tipologie di interventi ammessi dalla normativa di Piano di bacino senza bisogno di alcun parere da parte della Provincia , non risulta necessaria l’espressione del parere previsto all’art. 32 della stessa L. 47/85 in relazione al condono edilizio da parte del soggetto che ha posto il vincolo. Poiché, infatti, non esiste un vincolo che vieti lo specifico intervento in caso di nuova realizzazione, né una disposizione che imponga l’acquisizione del parere della Provincia, l’intervento stesso, ancorché abusivamente realizzato, non rientra nella fattispecie del citato art. 32.

10) Pareri della Provincia

Si evidenzia che i criteri regionali prevedono la necessità di un parere della Provincia solo in alcuni casi specifici, ove sia indispensabile una valutazione caso per caso, relativa sia alle caratteristiche del fenomeno calamitoso previsto sia alle necessarie caratteristiche e tipologie costruttive. In particolare, a riguardo del regime proprio delle fasce di inondabilità e delle aree a diversa suscettività al dissesto, e con riferimento all’ammissibilità di interventi di tipo urbanistico -edilizio , tale parere è previsto solo nei casi seguenti:

- in fascia A , relativamente alla ammissibilità di manufatti non qualificabili come volumi edilizi e la sistemazione di aree che comportino la permanenza o la sosta di persone nell’ambito di parchi urbani o di aree di verde attrezzato, nonché per la realizzabilità di nuove infrastrutture pubbliche;

- in fascia B , relativamente all’ammissibilità della nuova edificazione e degli interventi di ristrutturazione urbanistica in aree a minor pericolosità e nell’ambito di tessuto urbano consolidato o da consolidare;

- in fascia A e B , relativamente all’ammissibilità di interventi in deroga ai divieti relativi alle fasce A e B stesse per opere di pubblica utilità indifferibili e urgenti;

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Allegato 1 alla DGR 848/2003 Indirizzi interpretativi e chiarimenti In merito ai criteri per la redazione della normativa

dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico di cui alla DGR 357/01

Documento 2.1

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- in aree Pg3 – suscettività al dissesto elevata, relativamente all’ammissibilità di interventi viabilità, servizi tecnologici ed aree a verde attrezzato.

In tutti gli altri casi i criteri regionali individuano interventi ammessi o vietati in ciascuna classe di pericolosità sulla base della tipologia degli interventi stessi, senza necessità dell’espressione di pareri da parte della Provincia.

Si evidenzia, inoltre, che i criteri regionali non prevedono un ruolo del Comitato Tecnico Provinciale (CTP) nell’espressione dei pareri, che sono invece di competenza delle Province. I CTP, ai sensi della LR 18/99, sono, infatti, organo consultivo della Provincia ed è quindi una scelta autonoma delle Province stesse se e quando richiedere un parere del CTP al fine di formulare il proprio parere di competenza, ai sensi della normativa di piano di bacino.

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

INDIRIZZI INTERPRETATIVI IN MERITO ALLE DEFINIZIONI DI INTERVENTI URBANISTICO-EDILIZI RICHIAMATE

NELLA NORMATIVA DEI PIANI DI BACINO PER LA TUTELA DAL RISCHIO IDROGEOLOGICO

Documento approvato con DGR n. 723/2013

Documento 2.2

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Indirizzi interpretativi definizioni urbanistico-edilizie Dgr n.723/2013

Documento 2.2 Pagina 1 di 8

ALLEGATO 1 ALLA DGR N .723/2013

INDIRIZZI INTERPRETATIVI IN MERITO ALLE DEFINIZIONI DI INTERVENTI URBANISTICO-EDILIZI RICHIAMATE NELLA NORMATIVA DEI PIANI DI BACINO

PER LA TUTELA DAL RISCHIO IDROGEOLOGICO

Premessa

La vigente normativa di attuazione dei piani di bacino regionali al fine dell’individuazione degli interventi urbanistico-edilizi compatibili con i vari livelli di pericolosità idrogeologica fa riferimento alle definizioni contenute nella legislazione nazionale (art. 31 L. n. 457/1978 e s.m. o art. 3 del DPR 380/2001 e s.m.).

Al riguardo devesi far presente che tali riferimenti sono da considerare superati a seguito della entrata in vigore della l.r. 6 giugno 2008 n. 16 (Disciplina dell’Attività Edilizia) che ha dettato le definizioni delle tipologie di interventi urbanistico-edilizi nella Parte I, Titolo II (e cioè negli articoli da 6 a 19) in sostituzione delle corrispondenti definizioni stabilite nell’art. 3 del citato DPR n. 380/2001 e s.m. D’altra parte si evidenzia che l’ art. 3 del DPR 380 a sua volta aveva sostituito le previgenti definizioni stabilite nell’art. 31 della L. n. 457/1978 e s.m..

Pertanto, attualmente, i riferimenti alle tipologie degli interventi urbanistico-edilizi contenuti nei vigenti piani di bacino vanno interpretati alla luce delle sopravvenute disposizioni della citata l.r. n. 16 e, in particolare, in conformità al disposto del relativo art. 88, comma 8, lettera b) secondo cui “le disposizioni relative alle definizioni delle tipologie di interventi urbanistico-edilizie contenute nella relativa Parte I, Titolo II………..operano nell’applicazione della normativa dei Piani di Bacino, fatte salve le specifiche disposizioni ivi contenute o gli indirizzi e i criteri emanati dalle competenti autorità”.

D’altra parte i limiti ed i divieti della disciplina dei vigenti piani di bacino, come peraltro già specificato con gli indirizzi di cui alla DGR n. 848/2003 e più volte chiarito, concretano la disciplina sostanziale degli interventi ammissibili in base a tali piani, a prescindere dalla categoria in cui gli stessi interventi sono ascrivibili in base alla sopra menzionata normativa urbanistico-edilizia. E ciò proprio al fine di assicurare la piena corrispondenza dei contenuti della disciplina di ogni piano di bacino alle sue peculiari finalità individuabili, in via prioritaria nella gestione delle situazioni di pericolosità e di rischio, con particolare riguardo all’obiettivo di evitare l’aumento delle attuali condizioni di rischio e di salvaguardare la pubblica e privata incolumità.

La ridetta disposizione dell’art. 88 comma 8 lettera b) è, pertanto, preordinata ad evitare l’equivoco che le definizioni degli interventi urbanistico-edilizi contenute prima nella citata L. n. 457/1978, poi nel D.P.R. n. 380 ed in oggi nella l.r. n. 16 avessero ed abbiano diretta efficacia prevalente sulla disciplina dei vigenti Piani di Bacino, con effetto di modifica dei relativi contenuti ed, in particolare, di ampliamento della gamma degli interventi ammessi nei diversi regimi normativi dei Piani di Bacino.

In conclusione rispetto alle definizioni delle tipologie degli interventi urbanistico-edilizi previste nella l.r. 16/2008 e s.m. occorre dare atto che le stesse, pur se prevalenti limitatamente al regime dei titoli abilitativi edilizi ed alle relative sanzioni, non è attribuibile efficacia di prevalenza sulla specifica disciplina sostanziale dei vigenti piani di bacino, che è regolata dalle relative norme con le specificazioni ed i chiarimenti forniti con la sopra citata DGR 848/2003.

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Le considerazioni di cui sopra sono state, del resto, già assunte nel tempo come indirizzo nella risposta a problematiche interpretative emerse in merito alle definizioni degli interventi urbanistico-edilizi previsti nell’ambito della pianificazione di bacino. Tuttavia, alla luce di vari quesiti posti dagli enti competenti in materia urbanistica, a cui compete peraltro l’applicazione anche della normativa di piano di bacino, nonché degli uffici provinciali chiamati a esprimere pareri in merito, appare opportuno fornire ulteriori ed aggiornati indirizzi interpretativi al fine di chiarire, da un lato, le limitazioni operanti in relazione alle varie tipologie di interventi in base ai regimi dei piani di bacino e, dall’altro, di assicurare una applicazione omogenea della normativa a livello di Autorità di Bacino regionale.

Pertanto, attraverso gli indirizzi interpretativi contenuti nel presente atto, assunti anche ai sensi dell’art. 88, comma 8, lett. b), si intende dare conto dell’aggiornamento dei riferimenti alle definizioni degli interventi mutuati dalla normativa urbanistico-edilizia e, al contempo, esplicitare i limiti ed i divieti presenti nella vigente disciplina dei piani di bacino alla luce della sopravvenuta legislazione regionale che, in particolare, ha introdotto la tipologia degli interventi di sostituzione edilizia comportanti la demolizione e successiva ricostruzione di edifici esistenti “non fedele”, con possibilità di eventuali incrementi volumetrici (art. 14 l.r. n. 16/2008 e s.m. e artt. 6 e 7 della l.r. n. 49/2009 e s.m.) nonché i limiti dimensionali delle pertinenze di un fabbricato (art. 17 della l.r. n. 16/2008 e s.m.).

Indirizzi interpretativi

Gli indirizzi che seguono si riferiscono ai criteri ex DGR 357/01 e ss.mm. e ii., come risultanti dal testo integrato aggiornato ex dgr 1265/2011, sulla base dei quali sono state redatte le normative dei piani di bacino vigenti. Rappresentano, quindi, una integrazione ed aggiornamento degli indirizzi ex DGR 848/2003, senza determinare alcuna modifica del regime normativo previsto dai piani di bacino vigenti.

In particolare si vuole confermare quanto già chiarito con DGR 848/2003 circa la finalità propria dei piani di bacino che persegue la finalità della gestione delle situazioni di pericolosità e rischio idrogeologico al fine del non aumento delle condizioni di rischio attuale e della tutela della pubblica e privata incolumità. Tale finalità rappresenta quindi la corretta chiave di lettura delle norme del piano di bacino qualora si presentino dubbi applicativi, superando, se del caso, la qualificazione strettamente edilizia degli interventi ammessi e/o vietati o le varie accezioni riscontrabili negli specifici strumenti urbanistici. Il criterio interpretativo da privilegiare, a fronte di nozioni diverse a fini urbanistici, è pertanto quello della tutela sottesa alle normative stesse, che è anche il criterio a cui ci si è riferiti per la redazione dei presenti indirizzi.

Tali indirizzi riguardano in particolare la normativa relativa alle fasce di inondabilità. Per quanto riguarda gli indirizzi interpretativi in materia geomorfologica si precisa che gli stessi sono già stati introdotti nell’ambito degli aggiornamenti dei criteri di cui alla deliberazione 1208/2012. Tuttavia, considerato che, allo stato attuale, la procedura per il loro recepimento nei piani di bacino è ancora in corso, si ritiene opportuno anticipare la parte di indirizzi relativi ai chiarimenti per la corretta interpretazione delle definizioni urbanistico edilizie compatibili con le aree a suscettività al dissesto.

1. Indirizzi interpretativi in merito alle fasce di inondabilità

La principale problematica interpretativa rispetto alle definizioni urbanistiche emersa nel tempo per l’applicazione della normativa delle fasce di inondabilità è relativa agli interventi di ristrutturazione edilizia del patrimonio edilizio esistente, anche a seguito della nuova definizione di tali interventi

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introdotta dalla l.r. 16/2008. La norma regionale infatti distingue, a fini urbanistico-edilizi, interventi di ristrutturazione edilizia (art. 10) e di sostituzione edilizia (art. 14), in ciascuno dei quali rientrano, ancorché parzialmente e con alcune limitazioni, gli interventi fin dall’origine richiamati dalla normativa di piano di bacino nelle singole fattispecie. Analogamente qualche difficoltà interpretativa è sorta in merito ad alcuni interventi di nuova edificazione, la cui definizione può differire per le applicazioni di tipo urbanistico-edilizie e quelle di piano di bacino.

Pertanto, alla luce delle finalità della normativa di piano di bacino e degli indirizzi ex DGR 848/2003, che sono tutt’ora validi, e tenuto anche conto delle definizioni degli interventi urbanistico-edilizi di cui alla l.r. 16/2008 e ss. mm. ii., si forniscono i seguenti chiarimenti ed indirizzi ai fini della valutazione dell’ammissibilità degli interventi edilizi ai soli fini della normativa di piano di bacino, individuando gli interventi compatibili con la pericolosità dell’area e prescindendo, quindi, dalla loro qualificazione sotto il profilo urbanistico-edilizio.

Invero si richiama l’attenzione sul fatto che alla disciplina degli interventi ammissibili nelle aree ricomprese nei vigenti piani di bacino è, come noto, da riconoscere efficacia vincolante, e cioè prevalente, nei confronti delle previsioni dei piani urbanistici e territoriali di livello sia comunale, sia provinciale, sia regionale, come desumibile dalle disposizioni della legislazione statale e regionale di settore.

a) Fascia A (aree inondabili a tempo di ritorno 50 anni) 1 Si ricorda innanzitutto che, ai sensi della normativa vigente, è principio generale che qualsiasi intervento realizzato nelle aree inondabili non deve pregiudicare la sistemazione idraulica del corso d’acqua, aumentare la pericolosità di inondazione ed il rischio connesso, costituire significativo ostacolo al deflusso delle acque di piena, ridurre significativamente la capacità di invaso delle aree stesse.

Inoltre, nelle aree ricomprese nella fascia A gli interventi ammessi sul patrimonio edilizio esistente non devono in ogni caso aumentarne la vulnerabilità rispetto ad eventi alluvionali, anche attraverso l’assunzione di misure e accorgimenti tecnico-costruttivi di cui all’allegato 5 del piano di bacino (misure di protezione passiva dalle inondazioni), e non devono comportare cambi di destinazione d’uso, che aumentino il carico insediativo anche temporaneo.

Fermo restando quanto sopra, si forniscono, a conferma ed integrazione degli indirizzi ex DGR 848/2003, le seguenti precisazioni rispetto agli interventi da ritenersi compatibili con la vigente normativa dei piani di bacino nella fascia A:

1) sono compatibili, alle condizioni generali sopra ricordate, interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo sul patrimonio edilizio esistente;

2) sono compatibili inoltre gli interventi che non si configurino come interventi di nuova edificazione ai sensi della normativa di piano di bacino, in termini cioè di pericolosità e rischio, come specificato con DGR 848/2003, da verificarsi da parte del Comune competente. A titolo di esempio risultano ammissibili in linea generale, interventi quali pali, tralicci, condotte di servizi, tubature, recinzioni, balconi, verande o tettoie di limitate dimensioni a servizio di edifici esistenti, etc., nonché gazebo o similari non tamponati, l’allestimento di mercati temporanei, fieristici o similari, attrezzature balneari (quali sdraio, ombrelloni, cabine, etc), parcheggi a raso;

3) in tal senso risultano anche compatibili le occupazioni di suolo mediante depositi provvisori scoperti di materiali, quale ad es. l’installazione di scarrabili per la raccolta differenziata dei rifiuti, purché risultino adeguatamente ancorati in caso di piena e amovibili in caso di necessità , e non costituiscano significativo ostacolo al deflusso;

4) in tessuto urbano consolidato sono altresì compatibili, in linea generale, interventi di ristrutturazione edilizia in senso lato, nei quali, ai fini della normativa dei piani di bacino, rientrano:

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a) interventi di modesti ampliamenti “una tantum”, a fini di adeguamento igienico-sanitario o funzionale, sul patrimonio edilizio esistente con aumenti volumetrici contenuti entro la soglia del 20% del volume geometrico del fabbricato originario*; non dovendo essere aumentata la vulnerabilità dell’edificio, tali ampliamenti non possono essere interrati o seminterrati, e comunque devono essere realizzati traguardando la massima riduzione di vulnerabilità dell’ampliamento stesso;

b) gli interventi di frazionamento interni ed il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti e, più in generale, gli innalzamenti delle coperture che non configurino interventi di nuova costruzione (cfr. circolare applicativa della l.r. 24/01, n.160220/504 del 16/11/2005);

c) la demolizione e successiva ricostruzione di un fabbricato esistente purché sia assicurata la riduzione della vulnerabilità dell’edificio esistente, anche attraverso la messa in opera di tipologie costruttive adeguate per la protezione dagli allagamenti e di tutti gli accorgimenti e le misure finalizzate a tutelare la pubblica incolumità. Tale ricostruzione può anche essere non fedele ed essere attuata con spostamento di sedime all’interno del lotto di proprietà o nelle aree limitrofe, senza aumento della volumetria esistente e purché sia contestualmente eliminata la vulnerabilità dell’elemento con adeguate tipologie costruttive e siano adottate tutte le misure per la protezione passiva dell’edificio dagli allagamenti. Resta ferma in ogni caso la preventiva valutazione del Comune circa la possibilità di ricostruzione dell’edificio da demolire in zona non inondabile, o dove comunque sia consentita la nuova edificazione;

Non sono compatibili, invece, oltre agli interventi di ristrutturazione urbanistica, gli interventi che si configurano come nuova edificazione, compresi quindi la realizzazione di pertinenze con sedime distinto dal fabbricato, ove costituite da volumi chiusi, nonché gli ampliamenti degli edifici esistenti non rientranti in quelli modesti “una tantum”, e cioè eccedenti la soglia del 20% di incremento volumetrico rispetto al volume geometrico originario, anche qualora qualificati come interventi di ristrutturazione edilizia da leggi urbanistico-edilizie (quali ad es. ad esempio l.r. 16/2008 o c.d. legge “piano casa” ex l.r. 49/2009).

È opportuno ricordare che per tutti gli interventi compatibili, in considerazione della elevata pericolosità idraulica dell’area di che trattasi, nei relativi progetti deve essere prevista in ogni la messa in opera di misure di protezione civile e di auto protezione.

Si ricordano inoltre, ad integrazione di quanto sopra, i chiarimenti di cui ai punti 3) 4) 5) e 6) dell’ allegato 1 alla DGR 848/2003 (tutt’ora validi), in merito in particolare all’individuazione degli interventi di cambi di destinazione d’uso che aumentino il carico insediativo, della definizione del tessuto urbano consolidato, e della vulnerabilità degli edifici rispetto ad eventi alluvionali.

A riguardo, infine, di interventi quali la realizzazione di rilevati e terrapieni, da realizzarsi a sè stanti e non funzionalmente connessi con interventi urbanistico-edilizi, si precisa che di norma si configurano come interventi di nuova edificazione, e che, in ogni caso, la loro ammissibilità è da valutarsi alla luce del principio generale sopra ricordato della necessità di non aumento delle condizioni di pericolosità e rischio e di non ostacolo al deflusso. Analoga considerazione vale per gli scavi, per i quali dovrà essere opportunamente valutata la realizzabilità in funzione del conseguente aumento dei tiranti idrici nell’area. Resta ferma ovviamente la possibilità di tali interventi qualora parte integrante e funzionali agli interventi di messa in sicurezza.

b) Fascia B (aree inondabili a tempo di ritorno 200 anni) 2

* A tal fine si può far riferimento alla definizione di volume geometrico ex art. 70, l.r. 16/2008, intendendo cioè il volume del fabbricato fuori terra, misurato vuoto per pieno.

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Ai soli fini della normativa di piano di bacino, rispetto agli interventi da ritenersi compatibili con la vigente normativa dei piani di bacino nella fascia B si precisa quanto segue:

1) trattandosi di un’area a pericolosità inferiore rispetto alla fascia A, risultano evidentemente compatibili tutti gli interventi già ritenuti compatibili in fascia A;

2) sono compatibili anche all’esterno del tessuto urbano consolidato gli interventi di ristrutturazione edilizia in senso lato, con le precisazioni precedentemente riportate per la fascia A, compresi quindi gli interventi di demolizione con ricostruzione, anche con modifica di sagoma e spostamento di sedime, senza aumento volumetrico e ad esclusione della realizzazione delle pertinenze;

3) gli interventi di ristrutturazione urbanistica e di nuova edificazione, ivi compresi gli interventi di ampliamento “non modesti”, eccedenti cioè la soglia del 20% del volume geometrico originario, sono compatibili solo in aree cosiddette a “minor pericolosità relativa” in relazione a modesti tiranti idrici e velocità di scorrimento (cfr. art. 15, c.3, lett. a)) ed alle condizioni previste dalla normativa (in particolare: assunzione di misure di protezione passiva e parere della Provincia).

Tali aree vanno ad oggi determinate secondo i criteri ex DGR 91/2013. Laddove nei piani di bacino siano state già cartograficamente individuate le aree a minor pericolosità classificate come B0, va da sé che in tali aree gli interventi di nuova edificazione sono ammissibili, sempre previa verifica delle condizioni di realizzabilità previste dal disposto normativo.

In conclusione si ricorda ancora che si applica in ogni caso la disciplina approvata con l’aggiornamento dei criteri per i piani di bacino ex DGR 989/2011, come recepita dai piani di bacino vigenti, in relazione ad interventi da realizzarsi ai confini con i limiti delle fasce di inondabilità a tempi di ritorno diversi rispetto alle aree in cui ricadono gli interventi stessi. In tal caso infatti andrà verificato che tali interventi non siano tali da comportare variazioni nelle condizioni di pericolosità idraulica, e in caso di interventi di demolizione, con o senza ricostruzione, e di interventi eccedenti la ristrutturazione edilizia va acquisito il parere favorevole della Provincia (cfr. art. 15, c. 4-ter, normativa-tipo da testo integrato ex DGR 1265/2011).

Resta ferma, inoltre, la disciplina del regolamento regionale n. 3/2011 in materia di rispetto delle distanze dai corsi d’acqua che, come noto, va applicata in termini integrati e complementari alla disciplina relativa alle aree connesse alla pericolosità idraulica ed idrogeologica definite dai piani di bacino.

2. Indirizzi relativi alle aree a suscettività al d issesto

Si evidenzia che i seguenti indirizzi valgono esclusivamente per l’applicazione dei regimi normativi di cui alla DGR n. 357/2001, come ripresi dal testo integrato di cui alla ex DGR 1265/2011, nelle more del recepimento nei piani di bacino dell’aggiornamento dei regimi normativi approvati con la DGR n.1208/2012, con le procedure stabilite dalla l.r.n.58/2009. Si ricorda infatti che tale aggiornamento ha revisionato ed integrato i criteri dei piani di bacino per quanto riguarda gli aspetti geologici in senso generale.

In analogia al punto 1. relativo agli aspetti idraulici, sono riportati di seguito esclusivamente gli indirizzi interpretativi in merito alle definizioni delle tipologie urbanistico-edilizie richiamate nella normativa dei piani di bacino attualmente vigenti alla luce delle modifiche normative introdotte in materia edilizia.

a) Pg4 ( suscettività al dissesto molto elevata per frana attiva) 3 Si richiama che in tali aree non sono consentiti interventi edificatori eccedenti il mantenimento degli edifici esistenti.

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Sono, peraltro, da ritenersi compatibili tutti gli interventi necessari a ridurre la vulnerabilità delle opere esistenti e a migliorare la tutela della pubblica e privata incolumità, anche eccedenti la manutenzione straordinaria, purché strettamente finalizzati alla riduzione del rischio. Tutti gli interventi consentiti non devono, in ogni caso, comportare aumenti di superficie e volume né devono aumentare il carico insediativo. A riguardo del concetto di “carico insediativo” mutuando quanto già precisato dalle precedenti circolari esplicative (DGR 848/2003), si chiarisce che lo stesso deve essere inteso in senso “sostanziale”, riferendosi ai casi di interventi che prevedano un apprezzabile incremento del numero di abitanti quali la permanenza di persone in siti ove precedentemente non era prevista. Risultano, pertanto, ammissibili gli interventi di frazionamento di interni ed il recupero a fini abitativi dei sottotetti, non comportanti, però, sopraelevazioni dell’edificio. Resta fermo il divieto di installazione di manufatti anche non qualificabili come volumi edilizi, e la sistemazione di aree che comportino la permanenza o la sosta di persone, con particolare riferimento alle aree adibite a campeggio. b) Pg3a (suscettività al dissesto elevata per frana quiescente) 4 In tali aree non sono ammessi interventi di nuova edificazione. Gli interventi edilizi consentiti sono da intendersi rigorosamente relazionati alle strutture già esistenti e volti al miglioramento delle condizioni di fruibilità delle stesse permettendo opere di ristrutturazione edilizia comportanti, in ogni caso, solo modesti ampliamenti “una tantum” sul patrimonio edilizio esistente con aumenti volumetrici contenuti entro la soglia del 20% del volume geometrico del fabbricato originario. Per quanto riguarda le opere pertinenziali si chiarisce che devono essere intese come singoli manufatti adibiti al servizio esclusivo del fabbricato, quali cantine, ripostigli, ricoveri per impianti tecnologici o box auto ed opere similari. La loro volumetria non deve essere superiore a 45 mc. Gli interventi, in ogni caso, non devono aumentare la vulnerabilità degli edifici e le condizioni di rischio. Pertanto non sono consentiti interventi che possano influire negativamente sulla stabilità del corpo franoso quali aumenti del carico statico, sbancamenti e scavi se non strettamente finalizzati alla realizzazione delle tipologie ammesse ed, in ogni caso, che non comportino sbancamenti e tagli di pendio che possano compromettere la stabilità dell’areale e che limitino gli scavi alla sola posa delle opere di fondazione. Al fine della mitigazione del rischio è ammissibile la demolizione e la successiva ricostruzione del fabbricato esistente con tecniche che assicurino la riduzione della vulnerabilità dell’edificio, rendendo il manufatto maggiormente compatibile con la condizione di elevata pericolosità dell’area, anche attraverso la messa in opera di tutti gli accorgimenti tecnici e le misure finalizzate a tutelare la pubblica e privata incolumità. Anche in questo caso l’eventuale incremento della volumetria originaria del fabbricato demolito, consentito ai sensi delle norme urbanistiche vigenti, dovrà essere contenuto nella soglia del 20%.

1 Estratto art. 15 normativa-tipo criteri vigenti di cui alla DGR 357/2001 e ss. mm. come da

testo integrato ex dgr 1265/2011): 2. Nella fascia A, fermo restando che gli interventi ammessi sul patrimonio edilizio esistente non devono comunque aumentarne la vulnerabilità rispetto ad eventi alluvionali, anche attraverso l’assunzione di misure e accorgimenti tecnico-costruttivi di cui all’allegato 5, e non devono comportare cambi di destinazione d’uso, che aumentino il carico insediativo anche temporaneo, non sono consentiti: a) interventi di nuova edificazione, di ampliamento dei manufatti esistenti, e di recupero del patrimonio edilizio esistente eccedenti quelli di restauro o risanamento conservativo, come definito dalla lett. c), comma 1, dell'art. 31 della l. n.457/78, fatti salvi gli interventi di ristrutturazione edilizia come definita

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dalla lett. d), comma 1, dell'art. 31 della l. n.457/78 ricadenti negli ambiti di tessuto urbano consolidato o da completare mediante interventi di integrazione urbanistico-edilizia sempre all’interno di ambiti già edificati e purché risultino assunte le azioni e le misure di protezione civile previste nel Piano stesso e nei piani comunali di protezione civile; nel caso di interventi di demolizione con ricostruzione deve essere assicurata la riduzione della vulnerabilità dell’edificio, anche attraverso la messa in opera di tutti gli accorgimenti e le misure finalizzate a tutelare la pubblica incolumità, fermo restando il rispetto delle condizioni previste per procedere ad interventi di ristrutturazione edilizia di cui sopra; b) l’installazione di manufatti anche non qualificabili come volumi edilizi e la sistemazione di aree che comportino la permanenza o la sosta di persone, salvi gli interventi inseriti nell’ambito di parchi urbani o di aree di verde attrezzato, come individuati dagli strumenti urbanistici comunali vigenti, i cui progetti prevedano l’assunzione delle azioni e delle misure di protezione civile di cui al presente Piano e ai piani comunali di protezione civile, purché corredati da parere positivo della Provincia; c) la realizzazione di nuove infrastrutture non inquadrabili tra le opere di attraversamento, fatti salvi gli interventi necessari ai fini della tutela della pubblica incolumità e quelli relativi a nuove infrastrutture pubbliche connesse alla mobilità, previo parere favorevole della Provincia, purché progettate sulla base di uno specifico studio di compatibilità idraulica, non aumentino le condizioni di rischio, e risultino assunte le azioni e le misure di protezione civile di cui al presente Piano e ai piani comunali di protezione civile. d) interventi di manutenzione, ampliamento o ristrutturazione di infrastrutture pubbliche connesse alla mobilità esistenti, fatti salvi quelli che non aumentano le condizioni di rischio, ed in relazione ai quali risultano assunte le azioni e misure di protezione civile di cui al presente Piano e ai piani comunali di protezione civile.

2 Estratto art. 15 normativa-tipo criteri vigenti ex DGR 357/2001 e ss.mm. come da testo integrato

ex dgr 1265/2011):

3. Nella fascia B non sono consentiti: a) gli interventi di nuova edificazione nonché di ristrutturazione urbanistica, come definita dalla lett. e), comma 1, dell'art. 31 della l. n.457/78, salvi i casi in cui gli stessi siano corredati da parere favorevole della Provincia, ricadano in contesti di tessuto urbano consolidato, o da completare mediante interventi di integrazione urbanistico-edilizia sempre all’interno di ambiti già edificati, e interessino aree individuate a minor pericolosità in relazione a modesti tiranti idrici e a ridotte velocità di scorrimento, e purché prevedano le opportune misure od accorgimenti tecnico-costruttivi di cui all’allegato 5, e risultino assunte le azioni e le misure di protezione civile di cui al presente Piano e ai piani comunali di protezione civile; b) interventi di ampliamento dei manufatti esistenti e di recupero del patrimonio edilizio esistente eccedenti quelli di restauro o risanamento conservativo, come definito dalla lett. c), comma 1, dell'art. 31 della l. n.457/78, fatti salvi gli interventi di ristrutturazione edilizia, come definita dalla lett. d), comma 1, dell'art. 31 della l. n.457/78, purché non aumentino la vulnerabilità degli edifici stessi rispetto ad eventi alluvionali, anche attraverso l’assunzione di misure e di accorgimenti tecnico-costruttivi di cui all’allegato 5, e purché risultino assunte le azioni e le misure di protezione civile di cui al presente Piano e ai piani comunali di protezione civile; c) gli interventi di realizzazione di nuove infrastrutture connesse alla mobilità non inquadrabili tra le opere di attraversamento, salvi quelli progettati sulla base di uno specifico studio di compatibilità idraulica 16, che non aumentino le condizioni di rischio, e in relazione ai quali risultino assunte le azioni e le misure di protezione civile di cui al presente Piano e ai piani comunali di protezione civile.

3 Estratto art. 16 normativa-tipo criteri vigenti di cui alla DGR 357/2001 e ss.mm. come da

testo integrato ex dgr 1265/2011:

2. Nelle aree a suscettività al dissesto molto elevata (Pg4 - frana attiva) non sono consentiti: a) gli interventi di nuova edificazione;

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Indirizzi interpretativi definizioni urbanistico-edilizie

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b) gli interventi eccedenti la manutenzione straordinaria, come definita dalla lett. b), comma 1, dell'art. 31 della l. n.457/78 , salvi quelli di demolizione senza ricostruzione e strettamente necessari a ridurre la vulnerabilità delle opere esistenti e a migliorare la tutela della pubblica incolumità, non comportanti peraltro aumenti di superficie e volume; c) l’installazione di manufatti anche non qualificabili come volumi edilizi e la sistemazione di aree che comportino la permanenza o la sosta di persone; d) la posa in opera di tubazioni, condotte o similari. Sono fatti salvi gli interventi di posa in opera di tubazioni, condotte o similari relative ad infrastrutture e reti di servizi pubblici essenziali o di interesse pubblico, non diversamente ubicabili, previa l’acquisizione di specifico parere della Provincia. Tale parere viene formulato sulla base di idonea documentazione tecnica progettuale che attesti l’adozione degli opportuni accorgimenti tecnici e costruttivi tali da garantire la sicurezza dell’esercizio delle funzioni a cui sono destinate le opere, tenuto conto dello stato del dissesto, nonché preveda modalità di attuazione degli interventi tali da non aggravare ulteriormente lo stato del dissesto. Gli interventi consentiti non possono in ogni caso comportare aumento del carico insediativo.

4 Estratto art. 16 normativa-tipo vigenti di cui alla DGR 357/2001 e ss.mm. come da testo

integrato ex dgr 1265/2011: 3. Nelle aree a suscettività al dissesto elevate Pg3 non sono consentiti:

a) gli interventi di nuova edificazione; b) gli interventi eccedenti la ristrutturazione edilizia, come definita dalla lett.d), comma1, dell’articolo 31 L.457/1978, fatti salvi gli interventi pertinenziali, che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione ed al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, non qualifichino come interventi di nuova costruzione, fermo restando che gli interventi ammessi non devono aumentare la vulnerabilità degli edifici e le condizioni di rischio rispetto a fenomeni di dissesto; nel caso di interventi di demolizione con ricostruzione deve essere assicurata la riduzione della vulnerabilità dell’edificio, rendendola maggiormente compatibile con la condizione di elevata pericolosità dell’area anche attraverso la messa in opera di tutti gli accorgimenti tecnici e le misure finalizzata a tutelare la pubblica incolumità. Sono fatti salvi gli interventi di viabilità, servizi tecnologici ed aree a verde attrezzato, corredati di progetti supportati dal parere vincolante della Provincia e basati su studi che dettaglino le caratteristiche geologiche, geomorfologiche e geotecniche che determinano la suscettività elevata e che verifichino che la realizzazione dell’opera non interferisca negativamente con le condizioni di stabilità dell’intera area.

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

INDIRIZZI PROCEDURALI E MODALITÀ OPERATIVE PER IL FUNZIONAMENTO DELL’AUTORITÀ DI BACINO

REGIONALE AI SENSI DELL’ART. 3, C. 1, LETT. H) E DE LL’ART. 8, C. 5 DELLA L.R. N.58/2009.

ISTANZE DI VARIANTI AI PIANI DI BACINO VIGENTI

Documento approvato con DGR n.894/2010

Documento 3.1

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ALLEGATO 1 ALLA DGR N.894/2010

INDIRIZZI PROCEDURALI E MODALITÀ OPERATIVE PER IL FUNZIONAMENTO DELL ’AUTORITÀ DI BACINO REGIONALE

AI SENSI DELL ’ ART. 3, C. 1, LETT. H) E ART. 8, C. 5 DELLA L .R.58/2009

VARIANTI AI PIANI DI BACINO VIGENTI

1. PREMESSA

Con la legge regionale n. 58 del 4 dicembre 2009, pubblicata sul BURL n. 23 , parte I, del 16.12.2009, è stata introdotta una parziale modifica all’attuale assetto organizzativo dell’Autorità di bacino di rilievo regionale, rispetto a quanto previsto dal previgente articolo 96 della l.r. 21/06/1999, n.18.

Con circolare prot. n. PG/2010/31794 del 25.2.2010, pubblicata sul BURL n. 11, Parte II del17.03.2010, sono state fornite indicazioni su alcuni aspetti peculiari e di novità della nuova legge, con particolare riferimento alle competenze della Regione e delle Province, nonché ai compiti e al funzionamento del Comitato Tecnico di Bacino, nell’ambito della novellata Autorità di Bacino regionale.

Quanto al Comitato Tecnico di Bacino (di seguito Comitato), che è l’unico organo tecnico di consulenza dell’Autorità di Bacino, cui partecipano rappresentanti sia regionali sia provinciali, oltre ad esperti esterni, l’art. 5 della l.r. 58/2009, ne prevede una competenza specifica relativamente a:

• proposte di criteri, indirizzi e metodi, da sottoporre all’approvazione della Giunta Regionale; • pareri su piani di bacino e loro varianti, anche non sostanziali; • pareri di compatibilità dei progetti di sistemazione idrogeologica la cui realizzazione comporta

aggiornamento ai piani.

Quanto al funzionamento dell’Autorità di Bacino, è assicurato dalle strutture regionali e provinciali, che oltre ad effettuare le attività istruttorie di rispettiva competenza, supportano i lavori del Comitato e dei rispettivi organi politici, in qualità di organi dell’Autorità di Bacino.

Modalità operative ed indirizzi procedurali per il funzionamento dell’Autorità di Bacino, nonché la definizione di criteri ed indirizzi a fini applicativi della legge possono inoltre essere stabiliti, ai sensi di legge, dalla Giunta Regionale.

Si forniscono, pertanto, di seguito primi indirizzi e modalità operative al fine di garantire l’applicazione della legge regionale 58/2009, in continuità con le indicazioni precedenti di cui alla DGR 893/2008 che, riferendosi all’espressione del parere da parte della sezione per le funzioni dell’Autorità di Bacino regionale del CTR ai sensi del comma 15 dell’art. 97 della l.r. 18/99, oggi abrogato, risulta superata.

Si precisa che i presenti indirizzi si riferiscono in particolare alle modalità procedurali ed operative relative alla proposta e all’approvazione di varianti ai piani di bacino vigenti di cui agli artt. 9 e 10 della citata l.r. 58/2009, con esclusione dei pareri di compatibilità di interventi di sistemazione idraulica e geomorfologica, di cui all’art. 5, c.1, lett. d), che formeranno oggetto di separato documento.

Tali primi indirizzi potranno essere soggetti ad eventuali aggiornamenti, modifiche e/o integrazioni nel caso ne emergesse l’opportunità in relazione alla verifica della loro adeguatezza ed efficacia nell’ambito della prima fase applicativa della l.r. 58/2010, di seguito denominata Legge.

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2. VARIANTI AI PIANI DI BACINO VIGENTI

2.1 Proponenti

Ai sensi dell’art. 10, c. 1 e 2, della l.r. 58/2010, i soggetti legittimati a proporre istanze di modifiche, integrazioni, aggiornamenti ai piani vigenti sono:

- gli organi dell’Autorità di bacino, e pertanto gli uffici regionali e provinciali;

- i Comuni interessati, le cui istanze sono coordinate dagli uffici provinciali competenti.

2.2 Tipologia varianti e iter approvativo

Ai sensi dell’art. 10, c. 3, 4 e 5 della l.r. 58/2010, possono essere individuate le seguenti categorie essenziali di varianti ai piani di bacino vigenti:

a) varianti “sostanziali”, di cui al c. 3 dell’ art. 10. Rappresentano varianti che comportano la necessità di riformulazione delle strategie e delle scelte fondamentali del Piano stesso, ovvero modifiche od integrazioni che incidono significativamente sulle sue previsioni. In tal caso la procedura di approvazione, come disposto dal c. 4 dello stesso articolo, è la stessa di quella di formazione di nuovi piani di bacino, anche stralcio, di cui all’art.9 della Legge;

b) varianti “non sostanziali” in quanto non rientranti nelle fattispecie citate al precedente punto a), disciplinate dal c. 5 dell’art. 10. In tali categorie vi rientrano senz’altro le varianti che già nel regime previgente ex l.r. 18/99 erano soggette alle procedure di cui al c.15 dell’art. 97, secondo le indicazioni dei piani vigenti. Si tratta in particolare del recepimento di approfondimenti tecnici e degli esiti di studi di dettaglio e dell’aggiornamento del quadro di pericolosità a seguito della realizzazione di interventi di sistemazione idrogeologica. In tal caso la Legge prevede una procedura approvativa semplificata.

L’iter approvativo delle due fattispecie di varianti è stato illustrato con uno schema riassuntivo nella circolare applicativa sopra citata. In entrambe le tipologie, in ogni caso, è prevista l’espressione del Comitato; in particolare:

- nel caso a) il parere del Comitato è propedeutico all’espressione del parere vincolante da parte della Giunta Regionale ai fini dell’adozione della variante da parte della Provincia;

- nel caso b) il parere è vincolante e propedeutico all’approvazione della variante da parte della Giunta Provinciale.

2.3 Iter procedurale per l’espressione dei pareri d i competenza del Comitato

Ai fini dell’acquisizione dei pareri di competenza del Comitato, l’iter procedurale da seguire può essere schematizzato come segue.

1) Le Province raccolgono e coordinano le istanze di modifica da parte dei Comuni interessati, per le quali procedono alla istruttoria e valutazione delle modifiche ed integrazioni proposte. Elaborano e promuovono, inoltre, eventuali proprie proposte di modifica od aggiornamento dei piani vigenti.

2) Gli uffici provinciali effettuano una prima verifica sui presupposti e sui requisiti generali di procedibilità ed ammissibilità delle istanze provenienti dai Comuni. Effettuano, pertanto, un primo vaglio sulla completezza della documentazione e verificano che le istanze presentino contenuti adeguati per l’accertamento della conformità ai criteri dell’Autorità di Bacino e del raggiungimento degli obiettivi per i quali sono state proposte, con facoltà di chiedere chiarimenti o ulteriore documentazione qualora non completa o sufficiente per le suddette verifiche.

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3) A seguito di tale verifica, gli uffici provinciali trasmettono al Segretario Generale dell’Autorità di bacino, a cui competono le funzioni di Presidente del Comitato, le proposte di varianti, per l’iscrizione della pratica all’ordine del giorno del Comitato ai fini dell’acquisizione del parere di competenza, ai sensi di legge. A tale richiesta viene allegata la documentazione necessaria, da tenere agli atti della struttura regionale con funzioni di coordinamento, e una relazione istruttoria degli uffici provinciali, con i contenuti essenziali delineati al punto 5 del presente documento.

4) Il Comitato esprime il proprio parere secondo le modalità e i termini previsti dalla Legge. In particolare:

a) in relazione alla varianti “sostanziali” ex c. 3, art. 10, tale parere viene trasmesso alla Giunta Regionale al fine dell’espressione, entro 90 gg, del parere vincolante di cui all’art. 9, c. 4;

b) in relazione alla varianti “non sostanziali” ex c. 5, art. 10, il parere, espresso entro 60 gg, viene trasmesso al competente ufficio della Provincia, che provvede alla trasmissione e alle necessarie comunicazioni al proponente, qualora non sia la stessa Provincia.

5) Qualora il Comitato, al fine di esprimere il parere di competenza, ravvisi la necessità di chiarimenti, integrazioni o approfondimenti rispetto alla documentazione prodotta, ne fa richiesta al proponente attraverso la Provincia competente, con conseguente sospensione dei termini.

6) A seguito dell’acquisizione del parere del Comitato, la Provincia adotta i conseguenti atti di competenza, ed in particolare:

a) in relazione alla varianti “sostanziali” ex c. 3, art. 10, la Giunta Provinciale adotta la variante a seguito del successivo parere vincolante della Giunta Regionale ed avvia la procedura di acquisizione delle osservazioni previste;

b) in relazione alla varianti “non sostanziali” ex c. 5 art. 10, la Giunta Provinciale approva la variante, nei termini e limiti indicati nel parere stesso, a seguito dell’eventuale espletamento delle procedure di pubblicità previste dallo stesso c. 5, come meglio specificate al punto 3 del presente documento.

Le varianti approvate entrano in vigore, e pertanto assumono efficacia, dalla data di pubblicazione nel Bollettino Ufficiale regionale della delibera provinciale di approvazione. Di norma la Provincia, contestualmente all’iter di pubblicazione sul BURL, dà adeguata comunicazione della variante approvata agli enti locali interessati, trasmettendo anche gli elaborati modificati.

Si evidenzia che, al fine di perseguire la massima trasparenza e di garantire il mantenimento della conoscenza delle modifiche o integrazioni apportate nonché dell’evoluzione temporale del piano di bacino, è necessario che le Province rendano pubblica e disponibile per la consultazione la documentazione relativa alle varianti approvate con i relativi stralci cartografici, anche attraverso le procedure di divulgazione di norma utilizzate, quale la pubblicazione sui siti web delle Province stesse.

A fini dell’aggiornamento dell’apposito sito web nell’ambito del repertorio cartografico regionale, infine, la Provincia, contestualmente all’iter di pubblicazione sul BURL, dovrà trasmettere agli uffici regionali competenti i file vettoriali definitivi relativi alle variazioni cartografiche approvate, in conformità a quanto previsto dall’art. 33 della l.r. 20/06, relativamente agli strati informativi della pericolosità e del rischio dei piani di bacino stralcio.

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2.4 Riperimetrazioni “preventive”

Procedura analoga a quella generale sopra ricordata va seguita anche nel caso delle cosiddette “riperimetrazioni preventive” delle fasce di inondabilità, approvate, in particolare, ai sensi dell’art. 15, comma 7, secondo capoverso1, della normativa-tipo di cui alla DGR 357/01, ovvero in applicazione dell’art. 110-bis della l.r. 18/99 (cfr. anche circolare applicativa n. 27699/519/2005), laddove siano stati, rispettivamente, progettati e/o consegnati i lavori interventi di sistemazione idraulica.

Gli scenari di pericolosità modificati possono essere approvati preliminarmente in relazione agli interventi previsti, sulla base di una progettazione degli interventi di livello almeno definitivo, ma possono costituire effettiva modifica al piano vigente solo al momento delle completa realizzazione, collaudo e verifica da parte della Provincia, secondo i criteri regionali (cfr. chiarimenti di cui alla DGR 848/03, punto 8, o allegato 1 alla DGR 16/07). Di tale condizione si deve dare atto già nei provvedimenti di approvazione della variante stessa.

Anche in tali casi, trattandosi di una approvazione, ancorché preventiva, deve essere acquisito il parere del Comitato ai sensi del comma 5 dell’art. 10 della Legge. A seguito dell’approvazione, fermo restando che la modifica non può assumere comunque efficacia se non a seguito della completa e verificata conclusione degli interventi, come sopra ricordato, la comunicazione dell’avvenuta approvazione “preventiva” può essere trasmessa agli enti interessati, ed anche pubblicata sul sito web della Provincia, con specificazione (da apportare esplicitamente anche sulla relativa cartografia) della natura di riperimetrazione “preventiva”, non in vigore, quindi, ma soggetta a successiva verifica.

Deve essere, in ogni caso, previsto un successivo atto da parte della Provincia (la cui tipologia è stabilita dalla Provincia stessa secondo la propria organizzazione e a cui si deve rimandare esplicitamente nelle deliberazioni di approvazione) con cui si attestano le avvenute verifiche sugli interventi realizzati e si procede alla pubblicazione sul BURL, con conseguente entrata in vigore, a tutti gli effetti, della variante preventivamente approvata. Dell’adozione di tale atto viene data comunicazione al Comitato.

Nel caso si verifichi che gli interventi realizzati siano difformi da quelli progettati ed assunti quale presupposto della riperimetrazione preventiva, la Provincia verifica che ciò non comporti variazioni nella riperimetrazione approvata. In caso contrario la riperimetrazione va nuovamente sottoposta al parere del Comitato.

Resta fermo, in ogni caso, che la cartografia di piano non può essere aggiornata fino a che le nuove perimetrazioni siano state rese efficaci ed effettivamente entrate in vigore, a seguito della conclusione e verifica degli interventi.

Infine, nel caso di strumenti urbanistici attuativi comprensivi della progettazione di interventi idraulici che rendano compatibili gli interventi edilizi previsti (cfr. c. 7, art. 15, normativa-tipo ex 1 L’art. 15, comma 7 della normativa-tipo di cui alla DGR 357/01 recita come segue:

“A seguito della realizzazione degli interventi di sistemazione idraulica previsti dal Piano, la Provincia provvede alla conseguente modifica dei limiti della fasce A, B, C di cui ai commi precedenti, al fine di conformarli alla nuova situazione, con la procedura di cui al comma 15 dell'art. 97, della l.r. n.18/99. Nel caso di interventi complessi, sottoposti a strumentazione urbanistica attuativa, comprensivi anche del progetto delle opere di sistemazione idraulica congruenti con quelle previste dal Piano, la riperimetrazione delle fasce A, B e C può essere deliberata dalla Provincia, ai sensi del comma 15 dell'art. 97, della l.r. n.18/99, anche contestualmente all’approvazione e/o al controllo dello strumento attuativo, ferma restando la natura prioritaria delle opere di sistemazione idraulica, la cui effettiva esecuzione, previa verifica della Provincia, condiziona l’efficacia della riperimetrazione e costituisce presupposto per le successive concessioni edilizie. “

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DGR 357/01), il parere del Comitato, su richiesta dell’Ente interessato, è riferito esclusivamente alla compatibilità degli interventi idraulici e alla riperimetrazione preventiva conseguente alla realizzazione degli stessi, senza valutazioni in merito alle previsioni urbanistico-edilizie dello strumento urbanistico.

3. PROCEDURE DI PUBBLICITÀ EX C.5 DELL’ART.10 DELLA LEGGE

La Legge, in caso di modifiche o integrazioni non rientranti in quelle “sostanziali” di cui al comma 3 dell’art. 10, per le quali è prevista la procedura semplificata di approvazione di cui al comma 5, prevede esplicitamente, a tutela dei diritti di terzi, l’adozione di adeguate forme di pubblicità laddove le modifiche o integrazioni vadano ad interessare ampie zone di territorio o territori non precedentemente vincolati.

In tali casi è pertanto d’obbligo ricorrere a tale procedura di pubblicità partecipata, al fine di fornire l’adeguata conoscenza delle varianti in approvazione da parte di altri soggetti, pubblici o privati, nonché l’espressione di eventuali osservazioni, di cui dare atto nella fase approvativa. In queste fattispecie, infatti, pur riconoscendo il carattere “non sostanziale” delle modifiche in quanto non concorrono a modificare le strategie e le scelte fondamentali del piano, appare necessario il coinvolgimento anche di terzi che possono altrimenti trovarsi soggetti a una disciplina più restrittiva, senza aver potuto esprimere qualsiasi osservazione.

Ciò non preclude, peraltro, la possibilità che, a discrezione della Provincia o del Comitato, analoghe forme di pubblicità partecipativa possano essere attivate anche in casi di modifiche che non comportino nuove o maggiori aree vincolate.

La ratio della norma è, pertanto, di rimandare a procedure che, assicurando le necessarie forme di pubblicità, consenta agli interessati di venire a conoscenza di un documento o di una proposta e di presentare osservazioni al riguardo in un tempo predefinito, osservazioni che dovranno essere esaminate in fase di approvazione del documento o proposta di cui trattasi.

Resta ferma l’autonomia delle Province in merito alle forme di pubblicità più adeguate da adottare negli specifici casi, anche in relazione alla complessità e alle ricadute delle singole varianti, ai fini di corrispondere alle finalità della Legge. Peraltro si segnala che devono essere previsti almeno i seguenti adempimenti:

- pubblicazione della variante, comprensiva degli elaborati modificati, a seguito di parere favorevole del Comitato, sul sito web della provincia interessata, con possibilità per qualsiasi soggetto di inviare osservazioni agli uffici provinciali competenti;

- trasmissione ai Comuni interessati con richiesta di pubblicazione all’albo pretorio e/o nei propri siti informatici ufficiali, con possibilità per qualsiasi soggetto di inviare osservazioni agli uffici comunali interessati, che le trasmetteranno poi tempestivamente alla Provincia competente per la loro valutazione, e/o agli uffici provinciali competenti.

Alla Provincia spetta l’esame delle osservazioni pervenute, dando comunicazione al Comitato relativamente all’esito di tale esame, anche nel caso non ne fossero state presentate. Qualora la Provincia accerti, invece, la necessità, rispetto alla variante già presentata, di introdurre modifiche che comportino variazioni significative rispetto al parere precedentemente espresso dal Comitato, richiede un esame delle stesse in relazione alla compatibilità con i criteri e gli indirizzi dell’Autorità di bacino.

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4. CRITERI ED INDIRIZZI DI RIFERIMENTO

Relativamente ai contenuti e alle metodologie di tipo sia tecnico sia normativo, fino a diverse disposizioni, come specificato nella Legge all’art. 11, c. 3, sono in vigore i criteri e gli indirizzi approvati dall’Autorità di Bacino regionale ai sensi del regime normativo previgente di cui alla l.r. 18/99, tenuto peraltro conto della possibile necessità di adeguate interpretazioni per renderli del tutto applicabili ai termini della nuova Legge.

A tale proposito si ricorda che sono stati emanati nel tempo criteri ed indirizzi per la formazione dei piani di bacino stralcio per l’assetto idrogeologico. Si ricorda in particolare la DGR 357/20012 e ss.mm., che rappresenta tuttora il riferimento fondamentale per i contenuti dei piani di bacino stralcio per l’assetto idrogeologico, nonché chiarimenti ed indirizzi interpretativi in merito sia ad alcuni aspetti normativi (quali la DGR 848/20033, DGR 359/074, DGR 1339/075), sia ad aspetti tecnici di applicazione dei criteri (quali, in parte, la stessa DGR 848/2003, la DGR 16/20076, la DGR 1338/20077, DGR 265/20108). Sono stati inoltre emanati criteri per la formazione dei piani di bacino stralcio sul bilancio idrico (quali la DGR 1146/049 e la DGR 396/200610).

La Giunta Regionale, quale Comitato Istituzionale dell’Autorità di Bacino previgente, ha inoltre fornito, nel tempo, chiarimenti ed indirizzi relativi alle procedure di aggiornamento e modifica dei piani di bacino stralcio vigenti, in relazione a diversi aspetti (quali le DGR 1624/200411, DGR 1532/200512, DGR 1634/200513). Peraltro tali indirizzi, prevalentemente procedurali, potranno essere eventualmente aggiornati ed attualizzati alla luce delle nuove modalità procedurali disposte dalla nuova Legge.

A riguardo del contenuto delle modifiche da approvarsi con le procedura del comma 5 dell’art. 10 della Legge, occorre ricordare la necessità che le modifiche c.d. “non sostanziali” in rapporto a

2 DGR 357/2001, ad oggetto: “Approvazione dei criteri per la redazione della normativa di attuazione dei

Piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico e relativi allegati tecnici” 3 DGR 848/2003, ad oggetto: “Approvazione indirizzi interpretativi dei criteri per la redazione delle norme di

attuazione dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico ex DGR 357/01” 4 DGR 359/2007, ad oggetto: “Chiarimenti sulla nozione di “centro urbano” ai fini dell’applicazione dell’art. 8,

c.3 e 4, della normativa-tipo dei piani di bacino stralcio regionali per il rischio idrogeologico ex DGR 357/01”

5 DGR 1339/2007, ad oggetto: “Chiarimenti sul regime normativo applicabile nella fascia di inedificabilità assoluta dai limiti dell’alveo ai sensi dell’art. 8, c.3 della normativa-tipo dei piani di bacino stralcio regionali per il rischio idrogeologico ex DGR 357/01”

6 DGR 16/2007, ad oggetto: “Indirizzi relativi alla riperimetrazione delle fasce di inondabilità nell’ambito della pianificazione di bacino stralcio per l’assetto idrogeologico di rilievo regionale”

7 DGR 1338/2008, ad oggetto: “Indirizzi per riperimetrazione e riclassificazione delle frane attive e quiescenti, che determinano aree a suscettività al dissesto elevata e molto elevata, a seguito di studi di maggior dettaglio nella pianificazione di bacino rilievo regionale”

8 DGR 265/2010, ad oggetto: "Criteri per la definizione di classi di pericolosità relativa in aree a suscettività al dissesto elevata e molto elevata per frana a cinematica ridotta nonché integrazioni alla DGR 1338/08”

9 DGR 1146/2004, ad oggetto: " Approvazione dei criteri per la redazione dei Piani di bacino stralcio sul bilancio idrico art.91 l.r 18/99"

10 DGR 396/2006, ad oggetto: “ Approvazione dei criteri per la redazione della normativa di attuazione dei piani di bacino stralcio sul bilancio idrico art.91 l.r.18/99”

11 DGR 1624/2004 ad oggetto: “Approvazione chiarimenti in merito all’art. 97 comma 15 della l.r. 18/1999, relativo alle modifiche e/o integrazioni dei piani di bacino regionali”

12 DGR 1532/2005 ad oggetto: “Indirizzi procedurali in merito all’aggiornamento dei piani di bacino regionali conseguente all’individuazione degli “ambiti normativi delle fasce di inondabilità in funzione di tiranti idrici e velocità di scorrimento” ex D.G.R. 250/05.”

13 DGR 1634/2004 ad oggetto: “Indirizzi procedurali per l’aggiornamento dei piani di bacino regionali vigenti in relazione a modifiche dei valori delle portate di piena di riferimento.”

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quelle “sostanziali” di cui al c. 3 dello stesso articolo, rispondano a specifiche disposizioni delle Norme di attuazione dei Piani e ai criteri vigenti.

Per tale ragione, si ritiene necessario che gli organi dell’Autorità di Bacino si attengano ad un’applicazione coerente con lo spirito e le finalità degli indirizzi e dei criteri emanati, considerati nel loro complesso, in considerazione anche della necessità in particolare di non “snaturare” la visione unitaria a scala di bacino.

5. DOCUMENTAZIONE

Ai fini dell’espressione del parere del Comitato ex art. 10, c. 4 e 5, ed in continuità con quanto già previsto nel regime previgente, la richiesta di parere al Comitato deve essere accompagnata da una relazione istruttoria, da produrre a cura degli uffici provinciali, finalizzata ad illustrare nel dettaglio, sulla base degli elementi acquisiti e degli atti assunti in merito, la modifica proposta e le motivazioni tecniche sottese, inclusi gli elaborati di analisi necessari per la comprensione della modifica apportata.

In particolare la suddetta relazione istruttoria (da inviare agli uffici regionali anche in formato informatico ai fini dei successivi adempimenti) deve avere i seguenti contenuti essenziali:

1) Indicazione di : - oggetto della modifica di cui trattasi ed indicazione del piano di bacino e del bacino di

riferimento in cui ricade, con specificazione della localizzazione della modifica (comune, corso d’acqua, località, etc.);

- Soggetto proponente (Comune o Provincia) - Relatore/ istruttore della pratica, afferente agli uffici provinciali individuati a supporto delle

attività dell’Autorità di Bacino

2) Elenco della documentazione presentata dal proponente a corredo della proposta, agli atti della segreteria del Comitato stesso, eventualmente anche su sopporto informatico.

3) Illustrazione dei contenuti della variante , comprensiva degli aspetti di seguito elencati a titolo esemplificativo: - descrizione dello stato attuale nel piano di bacino e della modifica proposta, con

specificazione dell’area interessata e delle sue caratteristiche, relativa tipologia di pericolosità, tipologia della modifica stessa, specificazione delle carte di piano modificate, etc.;

- descrizione degli elementi acquisiti in merito alla modifica proposta con individuazione degli elementi tecnici determinanti che hanno supportato la modifica proposta.

4) Inquadramento della modifica nell’ambito della p ianificazione di bacino, comprensivo degli aspetti di seguito elencati a titolo esemplificativo: - descrizione della fattispecie in cui ricade la modifica proposta rispetto al piano di bacino e

rinvio ai criteri dell’Autorità di Bacino rilevanti ai fini della proposta stessa; - descrizione di dettaglio degli elementi di approfondimento acquisiti (ad esempio: rilievi

topografici, studi di dettaglio, approfondimenti tecnici, rilevamenti geologici e geotecnci, monitoraggi, etc) e degli specifici effetti di tali elementi sulle risultanze degli studi e sulle modifiche approvate, anche in rapporto a quanto previsto dai criteri dell’Autorità di bacino.

5) Valutazioni tecniche istruttorie, comprensive degli aspetti di seguito elencati a titolo esemplificativo: - valutazioni tecniche in merito ai contenuti della variante e degli studi e/o approfondimento

a suo corredo;

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- considerazioni istruttorie in relazione all’adeguatezza degli studi di cui sopra e delle relative risultanze rispetto ai criteri dell’Autorità di Bacino;

- eventuali criticità o carenze riscontrate, anche in relazione ai criteri dell’Autorità di Bacino; - eventuali necessità di chiarimenti, approfondimenti, modifiche rispetto a quanto

presentato ai fini della compatibilità con i criteri dell’Autorità di Bacino.

Tale relazione istruttoria deve, inoltre, essere corredata almeno dai necessari stralci cartografici, corredati dai rispettivi file vettoriali, che evidenzino tutte le modifiche o integrazioni proposte agli elaborati del piano e riportino il necessario raffronto con il piano oggetto della modifica stessa.

La relazione istruttoria degli uffici provinciali competenti sarà posta agli atti dei lavori del Comitato, integrata con valutazioni sulla rispondenza delle modifiche proposte ai criteri dell’Autorità di Bacino, elaborate anche con il supporto degli uffici regionali competenti, anche ai fini dell’omogeneità di applicazione a scala regionale.

Si ricorda, infine, che a conclusione dell’iter procedurale previsto dagli artt. 9 e 10 della Legge, all’atto dell’approvazione della varianti, dovranno essere trasmessi agli uffici regionali competenti copia degli elaborati finali, anche ai fini dell’attuazione del disposto dell’art. 10. c.7 della Legge, congiuntamente ai corrispondenti file informatici ai fini dell’aggiornamento sul sito web regionale, di cui all’art. 33 della l.r. 29/2006.

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

INDIRIZZI PROCEDURALI E MODALITÀ OPERATIVE PER IL FUNZIONAMENTO DELL’AUTORITÀ DI BACINO

REGIONALE AI SENSI DELL’ART. 3, C.1, LETT. H) E ART. 8, C.5, DELLA

L.R. 58/2009 .

INTEGRAZIONI AGLI INDIRIZZI EX DGR 894/2010 IN MERITO ALLE PROCEDURE DI APPROVAZIONE

DI VARIANTI NON SOSTANZIALI AI PIANI DI BACINO VIGENTI.

Documento approvato con DGR n.987/2011

Documento 3.2

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Integrazione agli indirizzi ex Dgr n. 894/2010 procedure di approvazione varianti non sostanziali

Dgr n.987/2011

Documento 3.2 Pagina 1 di 3

ALLEGATO 1 DGR N.987/2011

INTEGRAZIONI AGLI INDIRIZZI EX DGR 894/2010 IN MERITO ALLE PROCEDURE DI APPROVAZIONE DI

VARIANTI NON SOSTANZIALI AI PIANI DI BACINO VIGENTI .

PREMESSA

La l.r. 58/2009, recante “Modifiche all’assetto dell’Autorità di Bacino di rilievo regionale”, prevede, all’art. 101 , due fattispecie di varianti ai piani di bacino vigenti:

a) varianti di tipo “sostanziale”, di cui al c. 3 dell’ art. 10, la cui procedura di approvazione, come disposto dal c. 4 dello stesso articolo, è quella ordinaria di formazione di nuovi piani di bacino, anche stralcio, di cui all’art. 9 della Legge;

b) varianti cosiddette di tipo “non sostanziale”, in quanto non ricadenti nella tipologia di cui al punto precedente, disciplinate dal c. 5 dell’art. 10, consistenti in particolare nel recepimento di approfondimenti tecnici e degli esiti di studi di dettaglio e dell’aggiornamento del quadro di pericolosità a seguito della realizzazione di interventi di sistemazione idrogeologica o di nuovi eventi. In tal caso la Legge prevede una procedura approvativa semplificata, che implica l’approvazione della variante da parte della sola Giunta Provinciale, a seguito di parere obbligatorio e vincolante del Comitato Tecnico di Bacino.

Nel caso di varianti “non sostanziali” al piano vigente di cui alla lettera b), la legge prevede inoltre il ricorso a procedure di pubblicità partecipata, preventive alla definitiva approvazione e obbligatorie nel caso interessino ampie porzioni di territorio o territori non precedentemente vincolati, al fine di fornire l’adeguata conoscenza delle varianti in approvazione da parte di

1 Estratto art. 10, l.r. 58/009: [omissis]

3 Il Piano di bacino è oggetto di una variante sostanziale nel caso in cui emerga l’esigenza di riformulare le strategie e le scelte fondamentali del Piano stesso, o nel caso di modifiche od integrazioni che incidono significativamente sulle sue previsioni.

4 La formazione e l’approvazione delle varianti di cui al comma 3 seguono la procedura di cui all’articolo 9.

4 bis. Le varianti di cui al comma 3, che consistono nel recepimento di criteri e di indirizzi approvati dall’Autorità di bacino ai sensi dell’articolo 3, comma 1, ovvero previsti da normative regionali o nazionali, sono approvate con le modalità di cui al comma 5, garantendo, in ogni caso, l’attivazione delle adeguate forme di pubblicità partecipativa nei termini indicati nel medesimo comma

5 Modifiche od integrazioni che non ricadano nelle fattispecie di cui al comma 3 sono approvate dalla Giunta provinciale acquisito il parere vincolante del Comitato, che si esprime entro sessanta giorni in relazione ai criteri ed indirizzi dell’Autorità di bacino. Qualora le modifiche od integrazioni interessino ampie porzioni di territorio o territori non precedentemente vincolati, l’approvazione è preceduta da adeguate forme di pubblicità, che consentano a chiunque di esprimere osservazioni entro il termine massimo di trenta giorni.

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Integrazione agli indirizzi ex Dgr n. 894/2010 procedure di approvazione varianti non sostanziali

Dgr n.987/2011

Documento 3.2 Pagina 2 di 3

altri soggetti, pubblici o privati, nonché l’espressione di eventuali osservazioni, di cui dare atto nella fase approvativa.

Con DGR 894/2010, ai sensi dell’art. 3, c. 1, lett. h) e art. 8, c. 5 della l.r. 58/2009, sono stati approvati gli indirizzi procedurali e modalità operative per il funzionamento dell’autorità di bacino regionale, relativi alle varianti ai piani di bacino vigenti, nell’ambito dei quali sono stati, tra l’altro, forniti alcuni primi indirizzi in relazione all’iter procedurale per la presentazione delle istanze e la richiesta del previsto parere al Comitato Tecnico di Bacino nonché alle suddette procedure di pubblicità.

In considerazione di dubbi interpretativi ed alcune difficoltà operative emerse, anche nell’ambito dei lavori del Comitato Tecnico, nelle prima fasi applicative del disposto della l.r. 58/2009 in merito all’iter di approvazione delle varianti ai piani vigenti di tipo non sostanziale, si forniscono i seguenti chiarimenti ed integrazioni a quanto già previsto dai primi indirizzi di cui alla DGR 894/2010, in particolare in relazione ai provvedimenti da assumere nella fase pre-approvativa, anche a fini di uniformità di azione a livello regionale.

ITER PROCEDURALE DI APPROVAZIONE DELLE VARIANTI EX ART. 10, C. 5.

Ai sensi di legge, a seguito dell’invio dell’istanza di variante non sostanziale al Comitato di Bacino al piano di bacino vigente da parte della Provincia competente, anche su richiesta del Comune competente, e dopo l’acquisizione del parere favorevole del Comitato Tecnico di Bacino, la Provincia avvia (obbligatoriamente nei casi previsti dalla legge, facoltativamente negli altri casi) procedure di pubblicità partecipativa rispetto agli elaborati della variante, che secondo quanto già specificato con DGR 894/2010, devono prevedere almeno la pubblicazione della variante sul sito web della provincia interessata e la pubblicazione all’albo pretorio dei Comuni interessati.

In tale contesto, ad integrazione di quanto già disposto con gli indirizzi approvati con DGR 894/2010, si forniscono i seguenti chiarimenti e precisazioni.

a) A seguito del parere, obbligatorio e vincolante, del Comitato Tecnico di Bacino, la Provincia deve predisporre la versione definitiva degli elaborati della variante proposta al piano vigente, recependo anche eventuali prescrizioni o raccomandazioni contenute nel parere stesso, ai fini del successivo iter di approvazione;

b) Nel caso si avvii la procedura di pubblicità, preventiva all’approvazione, che rende nota anche a soggetti terzi l’intenzione dell’Amministrazione di approvare la variante in argomento, la stessa deve essere oggetto di un preventivo passaggio in sede dell’organo preposto alla pianificazione di bacino regionale ai sensi di legge, in quanto titolato poi alla definitiva approvazione della variante stessa. La Provincia può predisporre il tipo di atto dell’organo politico più adeguato in relazione alla propria organizzazione interna, che, peraltro dovrebbe configurarsi come una adozione od almeno una presa d’atto della variante che si intende approvare, contestuale all’indizione della fase di pubblicità partecipativa. In tale atto potranno essere, tra l’altro, stabilite le modalità ed i termini di divulgazione, confronto e presentazione delle osservazioni.

c) Gli elaborati da sottoporre alla presa d’atto dell’organo politico e da assoggettare alla fase di inchiesta pubblica devono essere completi e modificati in relazione alle eventuali osservazioni emerse in fase di espressione del parere del Comitato di Bacino, quali verrebbero approvati se non pervenissero osservazioni in merito, evitando la pubblicazione del parere del Comitato, che rappresenta un atto endoprocedimentale. È necessario piuttosto che nel provvedimento di adozione e indizione dell’inchiesta pubblica (o almeno in quello definitivo di approvazione) sia dato dichiaratamente atto del

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Integrazione agli indirizzi ex Dgr n. 894/2010 procedure di approvazione varianti non sostanziali

Dgr n.987/2011

Documento 3.2 Pagina 3 di 3

recepimento delle prescrizioni e delle verifiche eventualmente richieste nel parere stesso.

d) In considerazione del primario interesse della tutela dal rischio idrogeologico, affinché nel periodo che intercorre tra l’inizio delle procedure di pubblicità e l’approvazione e l’effettiva entrata in vigore della variante, non vengano avviate iniziative relative ad interventi di tipo urbanistico-edilizi in possibile contrasto con la variante che verrà approvata, è opportuno che nell’atto di adozione e indizione della fase di pubblicità sia stabilito un adeguato regime transitorio, che fissi adeguate misure di salvaguardia e/o di attenzione fino all’entrata in vigore definitiva della variante, in analogia con quanto previsto per le varianti di tipo sostanziale ex art. 10, c. 3, della l.r. 58/2009.

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

INDIRIZZI PROCEDURALI E MODALITÀ OPERATIVE PER IL FUNZIONAMENTO DELL’AUTORITÀ DI BACINO

REGIONALE ART. 3, C.1, LETT. H) E ART. 8, C.5, DELLA L.R. 58/ 2009

ED IN OTTEMPERANZA AL DISPOSTO DI CUI ALL’ART. 3, C.1, LETT. G) E ART. 11, C. 4, LETT. B)

ESPRESSIONE DEI PARERI DI COMPATIBILITÀ DEGLI INTERVENTI DI SISTEMAZIONE IDRAULICA E

GEOLOGICA EX ART. 5, C.1, LETT. D) DELLA L.R. 58/2009

Documento approvato con DGR n. 1361/2010

Documento 3.3

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Indirizzi procedurali per espressione pareri di compatibilità degli interventi di sistemazione

Dgr n.1361/2010

Documento 3.3 Pagina 1 di 9

ALLEGATO 1 DGR N. 1361/2010

INDIRIZZI PROCEDURALI E MODALITÀ OPERATIVE PER L ’ESPRESSIONE DEI PARERI DI COMPATIBILITÀ DEGLI INTERVENTI DI SISTEMAZIONE I DRAULICA E GEOLOGICA DI CUI ALL ’ART. 5, C.1, LETT. D) DELLA L .R. 58/2009, AI SENSI DELL ’ART. 3, C.1, LETT. G) E H) 1. PREMESSA Con la legge regionale n. 58 del 4 dicembre 2009, pubblicata sul BURL n. 23 , parte I, del 16.12.2009, è stata introdotta una parziale modifica all’attuale assetto organizzativo dell’Autorità di bacino di rilievo regionale, rispetto a quanto previsto dal previgente articolo 96 della l.r. 21/06/1999, n.18.

Con circolare prot. n. PG/2010/31794 del 25.2.2010, pubblicata sul BURL n. 11, Parte II del17.03.2010, sono state fornite indicazioni su alcuni aspetti peculiari e di novità della nuova legge, con particolare riferimento alle competenze della Regione e delle Province, nonché ai compiti e al funzionamento del Comitato Tecnico di Bacino, nell’ambito della novellata Autorità di Bacino regionale.

In particolare, ai sensi dell’art. 5 della l.r. 58/2009, il Comitato Tecnico di Bacino (di seguito Comitato), ha competenza specifica relativamente a:

• proposte di criteri, indirizzi e metodi, da sottoporre all’approvazione della Giunta Regionale;

• pareri su piani di bacino e loro varianti, anche non sostanziali;

• pareri di compatibilità dei progetti di sistemazione idrogeologica la cui realizzazione comporta aggiornamento ai piani.

Ai sensi di legge, con particolare riferimento al disposto di cui all’art. 3, c.1, lett. h) e art. 8, c.5, possono essere stabiliti dalla Giunta Regionale modalità operative ed indirizzi procedurali per il funzionamento dell’Autorità di Bacino, nonché la definizione di criteri ed indirizzi a fini applicativi della legge. Inoltre, secondo l’art. 3, c.1, lett. g) e l’art. 11, c.4, lett. b), è riservata alla Giunta regionale l’individuazione e la specificazione, con apposito atto, delle tipologie di intervento oggetto del parere di compatibilità di cui all’art. 5, c.1, lett. d) relativo agli interventi di sistemazione idraulica e geologica..

Con DGR 894/2010 sono già stati forniti indirizzi procedurali e modalità operative relativamente alle varianti ai piani di bacino vigenti, di cui agli artt. 9 e 10 della citata l.r. 58/2009, con indicazione in particolare dell’iter procedurale da seguire per l’espressione dei pareri di competenza del Comitato e della documentazione da acquisire e trasmettere in fase istruttoria da parte degli uffici provinciali.

Si forniscono, pertanto, di seguito ulteriori indirizzi e modalità operative al fine di garantire l’adeguata applicazione della legge regionale 58/2009, in relazione alla prevista espressione del Comitato circa la compatibilità dei progetti di sistemazione idrogeologica, ottemperando contestualmente a quanto previsto dagli artt. 3, c.1, lett. g) e 11, c.4, lett. b) in merito alle tipologie di progetti da sottoporre all’esame del Comitato stesso.

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Indirizzi procedurali per espressione pareri di compatibilità degli interventi di sistemazione

Dgr n.1361/2010

Documento 3.3 Pagina 2 di 9

2. PARERE DI COMPATIBILITÀ DI INTERVENTI DI SISTEM AZIONE IDROGEOLOGICA

2.1 Finalità del parere Ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. d)1 della legge regionale 58/2009, come specificato anche nell’art. 11, c.4, lett b)2 riferito alle modalità di gestione ed attuazione dei piani di bacino vigenti, il Comitato ha il compito di esprimere pareri di compatibilità, rispetto ai Piani di bacino ed ai criteri ed indirizzi dell’Autorità di bacino, dei progetti di sistemazione idraulica e geologica, la cui realizzazione comporterà aggiornamento ai piani medesimi. Tale aggiornamento, ai sensi dell’art. 10 della legge, è soggetto al parere del Comitato in quanto variante ai piani di bacino vigenti.

La ratio sottesa alla previsione legislativa risiede quindi nell’opportunità che il Comitato, che è chiamato, in ogni caso, ad esprimere un parere vincolante sulle riperimetrazioni di aree a diversa pericolosità dei piani di bacino (in particolare: fasce di inondabilità e aree in frane e a suscettività al dissesto) a seguito della realizzazione di interventi, valuti la loro compatibilità già in fase di progettazione. Ciò al fine di assicurare coerenza, tecnica ad amministrativa, alle varie fasi del procedimento ed evitare la realizzazione e/o l’eventuale finanziamento di opere che possano successivamente risultare non adeguate per raggiungere gli obiettivi preposti, anche nell’ottica della tutela dei diritti di terzi.

Il parere previsto sulla progettazione degli interventi è pertanto finalizzato ad una valutazione complessiva della coerenza e dell’adeguatezza degli interventi in progetto nonché delle analisi effettuate a supporto della progettazione, con particolare riferimento ai contenuti dei criteri dell’Autorità di Bacino, in funzione delle finalità e degli obiettivi degli interventi stessi.

Il Comitato pertanto non procede ad alcuna approvazione dei progetti, il cui iter rimane quello in vigore e stabilito delle leggi in materia, ma esprime un parere di compatibilità sulla progettazione di interventi di sistemazione in quanto attuativi del piano di bacino.

Peraltro, come già specificato nella circolare n.1/2010, applicativa della l.r. 58/2009, (BURL n.11 del 17.2.2010), il parere di competenza del Comitato fa salve, e pertanto non sostituisce in alcun modo, le competenze della Provincia, o di altro Ente, in materia di autorizzazioni, pareri o nulla osta, quali quelli in materia di polizia idraulica ex R.D. 523/1904 o di vincolo idrogeologico ex R.D 3267/1923.

1 Articolo 5 (Compiti del Comitato)

omissis d) esprime i pareri di compatibilità, rispetto ai Piani di bacino, anche stralcio ed ai criteri ed indirizzi dell’Autorità di bacino, dei progetti di sistemazione idraulica e geologica, la cui realizzazione comporta aggiornamento ai piani medesimi;

2 Articolo 11 (Norme finali e transitorie)

omissis 4. Nella gestione ed attuazione dei Piani di bacino regionali vigenti all’atto dell’entrata in vigore della

presente legge: a) omissis b) il Comitato esprime i pareri di compatibilità, rispetto ai Piani ed ai criteri ed indirizzi dell’Autorità di

bacino, in merito agli interventi di sistemazione idraulica e geomorfologica, la cui realizzazione comporta modifiche ai Piani vigenti. La Giunta regionale può specificare, con successivo atto, le tipologie di intervento oggetto di tali pareri.

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Indirizzi procedurali per espressione pareri di compatibilità degli interventi di sistemazione

Dgr n.1361/2010

Documento 3.3 Pagina 3 di 9

2.2 Richiedenti Il parere di compatibilità degli interventi di sistemazione idraulica e geologica può essere richiesto al Comitato dagli organi dell’Autorità di Bacino, e pertanto gli uffici regionali e provinciali, nonché dai Comuni interessati, attraverso il coordinamento degli uffici provinciali, in analogia a quanto disposto per le varianti ai piani di bacino ai sensi della l.r. 58/2009.

Di norma, le richieste di parere devono essere presentate dall’Ente al quale sono assegnate dalla legislazione vigente le funzioni amministrative del procedimento; il richiedente sarà pertanto l’ente competente, in qualità di soggetto attuatore e/o competente all’approvazione del progetto.

Nel caso di progettazione di interventi di mitigazione del rischio idraulico o geologico oggetto di approvazione in relativa conferenza dei servizi, ovvero di interventi di sistemazione idraulica compresi nelle proposte di strumenti urbanistici attuativi quale presupposto necessario per l’approvazione degli stessi, il parere sarà richiesto ed acquisito da parte dell’Ente titolare dell’iter approvativo, anche qualora il progetto fosse realizzato da soggetti privati.

2.3 Tipologia di progetti da sottoporre a parere Il disposto normativo ex l.r. 58/2009 specifica che la tipologia generale di progetti di interventi da esaminare da parte del Comitato è quella la cui finalità è la riduzione delle condizioni di pericolosità idrogeologica (idraulica e geologica) mappate ed accertate dai piani di bacino vigenti, ed il possibile conseguente aggiornamento delle relative cartografie a conclusione della realizzazione degli interventi previsti.

Si tratta pertanto di interventi attuativi del piano di bacino, il cui risultato atteso è la riduzione delle condizioni di pericolosità e rischio ivi determinate.

Non saranno pertanto oggetto del suddetto parere interventi che non possano comportare (per la loro tipologia e finalità) successive riperimetrazioni di aree a diversa pericolosità mappate nel piano di bacino (fasce di inondabilità e aree a suscettività al dissesto), quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria o interventi di tipo locale finalizzati ad far fronte a situazioni di pericolo locali.

In generale si tratta quindi di interventi di “messa in sicurezza” idraulica o geologica finalizzati a riportare il rischio idrogeologico a livelli compatibili secondo il piano di bacino in ampie zone di territorio, e riguardanti, in particolare: le intere zone perimetrate come a rischio di inondazione e comunque tratti significativi dei corsi d’acqua per l’assetto idraulico; e gli interi areali perimetrati come a rischio geomorfologico e comunque relativi areali di ampiezza significativa per l’assetto geomorfologico.

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Indirizzi procedurali per espressione pareri di compatibilità degli interventi di sistemazione

Dgr n.1361/2010

Documento 3.3 Pagina 4 di 9

Possono peraltro essere sottoposti al parere lotti “funzionali”3 degli interventi stessi, cioè stralci successivi di interventi complessivi di sistemazione idrogeologica, che garantiscano la diminuzione della pericolosità ai livelli stabiliti di porzioni significative delle aree interessate dal progetto complessivo, senza aggravi in altre aree, Il parere sarà pertanto espresso su lotti di interventi, solo laddove sia dimostrato che siano “funzionali”, e quindi adeguati per eventuali riperimetrazioni parziali della aree pericolose, e che non venga pregiudicata la soluzione definitiva del dissesto in questione.

A riguardo del livello progettuale, in coerenza con lo spirito e la finalità del disposto legislativo, il Comitato, al fine di verificare la compatibilità delle scelte progettuali proposte in funzione dei criteri dell’Autorità di Bacino e della loro adeguatezza rispetto al risultato atteso, si esprime, di norma, su progetti di sistemazione di livello preliminare ai sensi del D. Lgs. 163/2006. Sui contenuti dei progetti e sui principali elementi di valutazione su cui formulare il previsto parere si rimanda al successivo punto 3; si sottolinea fin d’ora, peraltro, che i progetti da sottoporre a parere devono presentare almeno i contenuti di riferimento di cui all’appendice all’allegato 1 alla DGR 1395/2007.4

In fase di espressione del parere, potranno essere fornite dal Comitato, se del caso, prescrizioni o raccomandazioni da seguire o indicazioni su aspetti che si ritiene siano da approfondire nelle successive fasi dell’iter progettuale, nell’ambito della redazione della progettazione ai successivi livelli.

Di norma, laddove il Comitato abbia espresso il proprio parere ex art.5, c.1, lett. d) su un progetto di livello preliminare, non è obbligatoria l’espressione di un nuovo parere sul progetto definitivo.

La verifica delle eventuali prescrizioni, raccomandazioni o indicazioni fornite nel parere sono demandate alle successive fasi approvative, ad esempio in sede di autorizzazione idraulica e/o di approvazione del progetto con le previste forme concertative.

Se ritenuto opportuno, in particolare in casi di interventi complessi e/o significativamente estesi, il Comitato, nell’ambito dell’espressione del parere, può prevedere una propria verifica di ottemperanza alle indicazioni fornite, e/o prescrivere comunque una successiva espressione di parere sulla progettazione definitiva.

Inoltre, nel caso di varianti ai progetti su cui si sia già espresso il parere di compatibilità ex l.r. 58/2009, verrà espresso un nuovo parere solo se le modifiche apportate risultino sostanziali e significative rispetto alle soluzioni progettuali già esaminate ed ai loro studi di supporto, e comunque solo in relazione alle varianti proposte. Analoghe considerazioni valgono per varianti a progetti già approvati con le procedure previgenti prima dell’entrata in vigore della l.r. 58/2009.

3 Per lotto “funzionale” si intende l’insieme di opere ed interventi che garantisca una efficacia

complessiva in termini di mitigazione del rischio, che consenta, cioè, di ottenere la riduzione della pericolosità idrogeologica ai livelli stabiliti (messa in sicurezza o mitigazione) di porzioni significative delle aree interessate dal progetto complessivo, senza comportare aggravi significativi delle condizioni di pericolosità e rischio in altre aree. Nel caso dell’inondabilità, in particolare, la valutazione della “funzionalità” del lotto di intervento deve riguardare l’assetto idraulico complessivo dell’area protetta dalla difesa idraulica, con riferimento ad esempio alla possibile inondabilità proveniente da monte o da valle, ed il non aggravio a valle o in sponda opposta. (definizione estratta da DGR 1395/2007).

4 D.G.R. n. 1395 del 23.11.2007, ad oggetto “Criteri ed indirizzi per la programmazione regionale in materia di difesa del suolo di cui agli artt. 42 e 43 della l.r. 20/2006”. Appendice 1: “Contenuti dei progetti e degli studi a corredo delle istanze di finanziamento”. (Estratto riportato in appendice al presente documento.)

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Indirizzi procedurali per espressione pareri di compatibilità degli interventi di sistemazione

Dgr n.1361/2010

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Progettazioni definitive potranno essere sottoposte direttamente all’esame del Comitato nel caso di progetti già in corso all’entrata in vigore della l.r. 58/2009, per i quali il Comitato non si sia potuto esprimere sulla progettazione preliminare, ovvero nel caso in cui sia richiesta l’approvazione di una riperimetrazione “preventiva” delle fasce di inondabilità (cfr. anche indirizzi ex DGR 894/2010).

A riguardo dei progetti di livello definitivo, l’eventuale espressione di parere sarà effettuata, su istanza dei soggetti titolati, quando siano avviate le procedure approvative. A riguardo dell’eventuale c.d. “riperimetrazione preventiva”, il parere verrà espresso solo in relazione agli interventi per cui siano avviate le procedure approvative del progetto definitivo (o suoi lotti) e sia stato aperto un procedimento in relazione alla necessità di riperimetrazione, a seguito della verifica dei suoi presupposti (ad es. approvazione di SUA o parere ex art. 110-bis lr 18/1999).

In merito alla programmazione regionale in materia di difesa del suolo di cui alla l.r. 20/2006, le progettazioni relative agli interventi inseriti nel programma annuale ex art. 43 della stessa legge, se ricadenti nelle fattispecie individuate dall’art. 5, c.1, lett. d), saranno sottoposte all’esame del Comitato per il previsto parere di compatibilità su istanza degli uffici regionali competenti.

3. CONTENUTO DEL PARERE DI COMPATIBILITÀ Come detto, il parere di compatibilità sulla progettazione di interventi di sistemazione idrogeologica ex art. 5, c.1, lett. d), è finalizzato a valutare la coerenza delle soluzioni progettuali proposte, nel loro complesso, rispetto ai contenuti dei piani di bacino e ai criteri ed indirizzi dell’Autorità di Bacino, ed in considerazione degli obiettivi della pianificazione di bacino.

Al fine di un’espressione di compatibilità favorevole verranno tenuti in considerazione gli elementi di seguito illustrati.

a) Compatibilità degli interventi proposti con il quadro conoscitivo e con le previsioni dei piani di bacino, con valutazione delle motivazioni che eventualmente abbiano condotto a discostarsene, con particolare riferimento all’acquisizione di nuovi dati o di studi di dettaglio.

b) Conformità della progettazione e degli studi di supporto rispetto ai criteri ed indirizzi dell’Autorità di bacino regionale, anche in funzione della successiva possibilità di riperimetrazione o riclassificazione delle aree pericolose a seguito della realizzazione degli interventi previsti. A tale proposito si ricorda che sono in vigore i criteri e gli indirizzi approvati dall’Autorità di Bacino regionale ai sensi del regime normativo previgente di cui alla l.r. 18/99. Nella fattispecie, si fa riferimento, in particolare, oltre ai criteri generali di cui alla DGR 357/2001 e ss. mm., al contenuto della DGR 16/20075 per l’assetto idraulico e della DGR 265/20106 per l’assetto geologico.

c) Adeguatezza degli studi e delle analisi a supporto della progettazione ai fini del raggiungimento degli obiettivi della pianificazione di bacino e del risultato atteso, ivi incluse l’analisi delle cause che generano la situazione di pericolo.

d) Analisi delle possibili soluzioni progettuali atte al raggiungimento dei risultati attesi, anche con considerazioni di tipo costo-efficacia.

e) Organicità della progettazione ed eventuale individuazione di lotti “funzionali” da poter realizzare per fasi successive, coerenti con la sistemazione complessiva. 5 DGR 16/2007, ad oggetto: “Indirizzi relativi alla riperimetrazione delle fasce di inondabilità nell’ambito

della pianificazione di bacino stralcio per l’assetto idrogeologico di rilievo regionale” 6 DGR 265/2010, ad oggetto: "Criteri per la definizione di classi di pericolosità relativa in aree a

suscettività al dissesto elevata e molto elevata per frana a cinematica ridotta nonché integrazioni alla DGR 1338/08”

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Indirizzi procedurali per espressione pareri di compatibilità degli interventi di sistemazione

Dgr n.1361/2010

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Al fine di consentire l’analisi degli elementi sopra ricordati, i progetti di intervento per i quali si richiede l’espressione del parere di compatibilità da parte del Comitato devono presentare contenuti adeguati, pur con un grado di approfondimento commisurato alle caratteristiche e all’entità del dissesto e al livello progettuale.

In tal senso, per l’individuazione dei principali contenuti dei progetti si può fare riferimento a quelli indicati nella già citata appendice 1 all’allegato alla DGR 1395/2007, ai fini della redazione della programmazione regionale di difesa del suolo, per completezza riportati in allegato al presente documento.

Resta ferma, in ogni caso, la necessità che la progettazione e gli studi di supporto rispettino i disposti normativi in vigore e, segnatamente, le Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC- DM14/1/2008) e norme ad esse correlate, nonché la necessità di coerenza tra gli interventi progettati e le relative figure professioni coinvolte, negli specifici settori di competenza. Si sottolinea a questo proposito l’importanza, in particolare riguardo all’espressione del parere sugli interventi di sistemazione geologica, del livello di conoscenze raggiunto, dell’affidabilità dei dati disponibili e dei metodi di progettazione adottati (NTC- § 6.2.; 6.3; 6.3.4; 6.3.5).

4. DOCUMENTAZIONE

Ai fini dell’espressione del parere del Comitato ex art. 5, c. 1 lett. d), la richiesta di parere al Comitato deve essere corredata dalla necessaria documentazione progettuale, anche su sopporto informatico, da conservarsi agli atti della segreteria del Comitato. È necessario trasmettere, in particolare per i progetti di livello definitivo, solo gli elaborati di rilievo per le finalità del parere di che trattasi.

In analogia a quanto disposto per le varianti ai piani di bacino ai sensi della l.r. 58/2009, le richieste provenienti dalla Provincia o dai Comuni devono altresì essere accompagnate da una relazione istruttoria, da produrre a cura degli uffici provinciali, finalizzata ad illustrare nel dettaglio, sulla base degli elementi acquisiti e degli atti assunti in merito, la soluzione progettuale proposta, nonché a verificare la rispondenza della progettazione ai criteri dell’Autorità di Bacino. I contenuti di tale relazione sono analoghi a quelli previsti negli indirizzi di cui alla DGR 894/2010 relativa alla varianti ai piani di bacino e devono consentire l’analisi e la verifica degli elementi ricordati al precedente punto 3.

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Indirizzi procedurali per espressione pareri di compatibilità degli interventi di sistemazione

Dgr n.1361/2010

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ESTRATTO DA DGR 1395/2007

“Criteri ed indirizzi per la programmazione regionale in materia

di difesa del suolo di cui agli artt. 42 e 43 della l.r. 20/2006”.

Allegato 1: “Tipologie di Intervento e Modalità Attuative”

Appendice 1: Contenuti dei progetti e degli studi a corredo delle istanze di finanziamento

Premessa

La progettazione degli interventi finalizzati alla messa in sicurezza o alla mitigazione delle condizioni di rischio idrogeologico, ai fini dell’ammissione degli stessi nel programma regionale degli interventi di difesa del suolo, deve comprendere tutti gli studi e gli approfondimenti necessari per garantire il raggiungimento degli obiettivi preposti.

In particolare, fermo restando che i contenuti progettuali devono essere conformi alla normativa vigente sui LL.PP. e dato atto che l’approfondimento progettuale deve essere commisurato alla rilevanza e all’importo degli interventi previsti, è necessario che le attività propedeutiche di studi e/o indagini e la progettazione si sviluppi secondo un “percorso”, basato su fasi organiche e coordinate i cui contenuti di riferimento sono schematicamente rappresentati nei punti seguenti.

Tale “percorso” deve essere seguito già in fase di progettazione preliminare degli interventi, nell’ambito della quale devono essere individuati gli interventi da realizzare a seguito dell’analisi e comparazione delle possibili soluzioni progettuali atte ad affrontare la criticità in esame, nonché gli eventuali studi ed approfondimenti necessari per le successive fasi progettuali.

Nel seguito si elencano pertanto, suddivisi in funzione della tipologia di dissesto e di pericolosità idrogeologica, gli elementi di riferimento da prevedere, con un grado di approfondimento commisurato all’entità del dissesto e al livello progettuale, negli elaborati allegati alle richieste di finanziamento.

1. INTERVENTI SUI VERSANTI DI TIPO GEOLOGICO

a) Inquadramento rispetto alla pianificazione di bacino in termini di stralci cartografici relativi alla pericolosità ed al rischio nonché riferimenti al piano degli interventi.

b) Raccolta ed analisi critica della documentazione tecnico-bibliografica disponibile, relativa sia agli studi svolti che ai progetti in corso e agli interventi realizzati.

c) Rilevamento geologico-tecnico e geomorfologico di dettaglio svolto in un areale significativo e rappresentato su scala adeguata corredato di materiale grafico-documentale esauriente, a riguardo delle problematiche da approfondire.

d) Redazione della relazione geologica, che analizzi e valuti gli elementi elencati ai punti precedenti nonché quelli dei successivi punti (e) e (f), e riporti le risultanze delle indagini svolte e dei monitoraggi disponibili, ai fini dell’attestazione dello stato delle conoscenze del modello geologico del fenomeno.

e) Nel progetto preliminare dovrà essere definito il programma delle indagini geologico-stratigrafiche e geotecniche ed il piano di monitoraggio strumentale, corredati di adeguata documentazione grafica esplicativa. Il programma dell’indagine geologica e geotecnica deve essere definito, in maniera analitica, specificando la tipologia, quantità, ubicazione e caratteristiche delle prospezioni geognostiche da svolgersi; e dovrà essere rappresentato anche in un elaborato cartografico.

Qualora si preveda la necessità di attivare una campagna di monitoraggio strumentale del sito dovrà essere inoltre indicata e motivata la necessità dei monitoraggi, la tipologia di strumentazione da installarsi, la durata complessiva dell’attività di monitoraggio e la cadenza delle misure. Tale esigenza sarà valutata , se del caso, nella sezione specifica relativa ai monitoraggi nell’ambito della programmazione regionale .

Il programma delle indagini ed il piano dei monitoraggi dovranno essere corredati da un quadro economico esaustivo.

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Indirizzi procedurali per espressione pareri di compatibilità degli interventi di sistemazione

Dgr n.1361/2010

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f) Inquadramento delle criticità in essere e definizione del fenomeno in atto, del suo stato di attività, tipologia sulla base delle analisi a scala locale effettuate. Definizione del possibile quadro evolutivo del fenomeno indagato anche in termini di entità e di uso del suolo degli areali coinvolti.

Con riferimento alle caratteristiche geometriche del fenomeno, ai fini di una stima dell’intensità del fenomeno in esame, dovrà essere valutato :

− per i fenomeni di crollo che si verificano per singoli blocchi: il volume del massimo blocco potenzialmente mobilizzabile;

− per le altre tipologie di frana, compreso il crollo in massa: il volume del corpo interessato dal dissesto stimato in base alle risultanze delle indagini geognostiche.

g) Definizione a scala locale degli elementi a rischio ricadenti nelle aree in dissesto che si prevede che risulteranno difese dalla realizzazione degli interventi proposti al fine di definire le condizioni attuali di rischio relative, nell’ambito delle classi della pianificazione di bacino In particolare verrà indicato il numero di edifici pubblici e privati, la presenza di infrastrutture di servizio (acquedotto, fognatura, depuratore, linee elettriche, ecc), di vie di comunicazioni strategiche (provinciali, comunali, ferrovie, autostrade ecc.), di attività economiche-commerciali, di beni culturali, di corsi d’acqua soggetti a potenziale sbarramento.

h) Valutazione di possibili diversi scenari di intervento e definizione delle possibili soluzioni progettuali che consentano di riportare la pericolosità geomorfologica a livelli prefissati.

Al fine di poter valutare preventivamente l’adeguatezza degli interventi proposti, dovranno essere indicate e descritte le opere previste a progetto e rappresentati sinteticamente gli elementi “geologici” condizionanti la cinematica della frana derivanti dalle analisi geologiche a corredo del progetto, esplicitando, così, la relazione tra opere a progetto e risultanze degli studi geologici.

i) Definizione della soluzione progettuale più adeguata con valutazione dei costi in rapporto all’effettiva efficacia degli interventi rispetto alle diverse ipotesi di intervento e delle problematiche connesse alla prefattibilità ambientale. Individuazione e progettazione degli interventi previsti.

Definizione dei lotti funzionali di intervento con indicazione dell'ordine di priorità degli stessi.

Al fine di poter valutare preventivamente l’adeguatezza degli interventi proposti, deve essere descritto, ed adeguatamente rappresentato su cartografia tematica, il quadro degli eventuali interventi di sistemazione del dissesto già eseguiti, suddivisi in lotti oggetto di precedenti finanziamenti pubblici.

j) Valutazione dell’efficacia degli interventi previsti in termini di pericolosità e definizione dell’eventuale livello di pericolosità residua a completamento degli interventi possibili o nelle fasi transitorie rispetto ai lotti funzionali previsti, con conseguente predisposizione delle più adeguate misure non strutturali di gestione del rischio.

k) Definizione delle necessità di monitoraggio e/o di manutenzione degli interventi progettati a seguito della loro realizzazione, con relativa quantificazione economica.

2. INTERVENTI DI TIPO IDRAULICO

a) Raccolta ed analisi critica della documentazione tecnico - bibliografica disponibile, relativa sia agli studi svolti che ai progetti in corso e agli interventi realizzati.

b) Inquadramento rispetto alla pianificazione di bacino per l’assetto idrogeologico.

c) Inquadramento rispetto ad altri piani o vincoli di rilievo nelle aree di interesse, con particolare riferimento alle aree parco ed ai Sic e ZPS.

d) Analisi delle criticità nel loro insieme almeno per un tratto significativo del corso d’acqua e in relazione alle determinazioni e alle criticità a scala di bacino.

e) Acquisizione degli approfondimenti e dei dati di base necessari.

f) Analisi di dettaglio delle problematiche idrauliche nello stato attuale sulla base della modellazione idraulica più adeguata rispetto alle caratteristiche del territorio e alla tipologia delle criticità.

g) Definizione a scala locale degli elementi a rischio ricadenti nelle aree che risulteranno difese dalla realizzazione degli interventi proposti al fine di definire le condizioni attuali di rischio relative, nell’ambito delle classi della pianificazione di bacino. In particolare verrà indicato il numero di edifici pubblici e privati, la presenza di infrastrutture di servizio (acquedotto, fognatura, depuratore, linee elettriche, ecc), di vie di comunicazioni strategiche (provinciali, comunali,

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Indirizzi procedurali per espressione pareri di compatibilità degli interventi di sistemazione

Dgr n.1361/2010

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ferrovie, autostrade ecc.), di attività economiche-commerciali, di beni culturali, di corsi d’acqua soggetti a potenziale sbarramento

h) Valutazione di possibili diversi scenari di intervento e definizione delle possibili soluzioni progettuali che consentano di riportare la pericolosità idraulica a livelli prefissati.

i) Definizione della soluzione progettuale più adeguata con valutazione dei costi in rapporto all’effettiva efficacia degli interventi rispetto alle diverse ipotesi di intervento e delle problematiche connesse alla prefattibilità ambientale. Individuazione e progettazione preliminare degli interventi previsti.

j) Definizione dei lotti funzionali di intervento con indicazione dell'ordine di priorità degli stessi.

k) Relazione tecnica atta a quantificare l’efficacia dell’intervento in termini di efficacia e risultato atteso delle opere e di mitigazione del rischio presente nelle aree interessate dall’intervento. In particolare, tale relazione conterrà indicazioni specifiche in relazione alle condizioni di pericolosità residua previste a seguito della realizzazione delle opere progettate, secondo i criteri in vigore presso le rispettive Autorità di Bacino.

l) Per gli interventi da eseguirsi attraverso più lotti funzionali dovrà essere rappresentata la pericolosità residua a seguito della realizzazione dei vari lotti e dovranno conseguentemente essere individuate eventuali misure non strutturali di gestione del rischio.

m) Definizione delle necessità di monitoraggio e/o di manutenzione degli interventi progettati a seguito della loro realizzazione, con relativa quantificazione economica.

Si ricorda che alcuni dei principi sopra esposti sono stati sviluppati e precisati nel documento “Schema di specifiche tecniche relative all’affidamento di studi idraulici di dettaglio ed annessa progettazione

preliminare delle opere di sistemazione idraulica”, approvato dal Comitato Tecnico dell’Autorità di Bacino di rilievo regionale nella seduta del 7.03.2002.

A tale documento può essere fatto riferimento per l’affidamento degli studi di dettaglio e delle progettazioni preliminari di mitigazione del rischio idraulico.

A riguardo della valutazione delle condizioni di pericolosità e rischio residuo, per le progettazioni di livello definitivo, dovranno essere prodotti scenari preliminari di pericolosità residua, sulla base di adeguata documentazione, e, laddove possibile, previo parere positivo dell’organo competente alle successive riperimetrazioni.

Infine, riguardo all’approccio progettuale da adottare in relazione alle criticità idrauliche nonché agli indirizzi operativi e alle linee d’azione da seguire nel predisporre gli interventi sui corsi d’acqua, si dovrà fare concreto riferimento ai principi della riqualificazione fluviale.7 In tal senso, a monte della scelta della strategia di intervento occorre acquisire una conoscenza ed una visione integrata (che consideri quindi tutte le componenti del sistema oggetto di intervento e le loro relazioni) e multiobiettivo (che consideri cioè i vari obiettivi in gioco).

7 Per una trattazione completa, vedere, ad esempio: CIRF. La riqualificazione fluviale in Italia. Linee guida, strumenti ed esperienze per gestire i corsi d’acqua e il territorio. Mazzanti Editori, Venezia, 2006

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

INDIRIZZI PROCEDURALI PER L’AGGIORNAMENTO DEI PIANI DI

BACINO REGIONALI VIGENTI IN RELAZIONE A MODIFICHE DEI VALORI

DELLE PORTATE DI PIENA DI RIFERIMENTO

Documento approvato con DGR n.1634/2005

Documento 4.1

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Documento 4.1

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ALLEGATO 1 ALLA DGR 1634/2005

INDIRIZZI PROCEDURALI IN MERITO ALL’AGGIORNAMENTO

DEI PIANI DI BACINO VIGENTI RELATIVAMENTE ALLA

MODIFICA DEI VALORI DI RIFERIMENTO

PER LE PORTATE MASSIME ANNUALI

A FISSATI TEMPI DI RITORNO

Premessa I piani di bacino stralcio per l’assetto idrogeologico hanno tra i loro compiti fondamentali quello di individuare, attraverso adeguati studi idrologici, i valori di portata massima annuale per fissati tempi di ritorno, sulla base dei quali è determinato il quadro di pericolosità idraulica attuale, e quindi le aree inondabili a diverse probabilità di accadimento, nonché il quadro degli interventi di messa in sicurezza o mitigazione del rischio necessari per riportare il territorio a condizioni di pericolosità compatibili. Si ricorda che nei piani di bacino stralcio vigenti sul territorio dell’Autorità di Bacino di rilievo regionale si sono assunte come riferimento per le fasce di inondabilità le portate a tempi di ritorno pari a 50, 200 e 500 anni e come portata di progetto per la “messa in sicurezza”, e quindi di norma per la progettazione delle opere di sistemazione idraulica, la portata a tempo di ritorno 200ennale.

È fondamentale quindi evidenziare innanzitutto che, in generale, la variazione dei valori di portata massima annuale di riferimento individuati dal piano di bacino approvato, riveste una notevole rilevanza nell’ambito del piano di bacino stesso, comportando, in primis, inevitabili valutazioni in relazione sia al quadro di pericolosità attuale sia al piano degli interventi di messa in sicurezza previsti.

Gli eventuali adeguamenti necessari da una revisione della determinazione dei valori di portata saranno, naturalmente, tanto più rimarchevoli quanto più i valori aggiornati si discostano da quelli approvati.

Nell’ambito della normativa dei piani di bacino è prevista, peraltro, la possibilità di variare il valore della portata di progetto, in relazione al possibile sopravvenire di nuove evidenze scientifiche o della realizzazione di studi idrologici più dettagliati, con l’obiettivo di giungere a valutazioni via via più approfondite ed affidabili. Per esempio, ciò può avvenire in occasione della realizzazione di studi idraulici di dettaglio o della progettazione di interventi di sistemazione idraulica di una certa complessità, che richiedono una valutazione più approfondita dell’idrogramma e del colmo di piena rispetto a quanto effettuato dal piano di bacino.

Va da sé che si tratta, in ogni caso, di una modifica da attivarsi con la massima cautela, anzitutto nei casi in cui si intenda ridurre significativamente il valore di portata di riferimento. In particolare deve essere verificato che gli studi sulla base dei quali viene effettuata la nuova stima siano effettivamente di maggior dettaglio e di approfondimento rispetto a quelli del piano di bacino vigente e che risultino chiare le ragioni tecniche che portano ad una diversa valutazione del valore della stessa entità.

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Allegato 1 alla DGR 1634/2005 Indirizzi procedurali per l’aggiornamento dei piani di bacino regionali vigenti

in relazione a modifiche dei valori delle portate di piena di riferimento.

Documento 4.1

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Procedura di aggiornamento del piano di bacino Per quanto sopra premesso, non è immediato valutare se e quando la modifica dei valori delle portate di riferimento, ancorché si tratti di valutazioni di tipo tecnico, sia tale da potersi considerare “puntuale” e non incidere sulle linee fondamentali del piano di bacino, presupposto per l’attivazione della procedura semplificata di cui al comma 15 dell’art. 97 della L.R. 18/99.

Dalle considerazioni precedenti emerge, infatti, che la determinazione in tal senso non possa che effettuarsi attraverso valutazioni caso per caso, sulla base della specificità delle varie condizioni che si possono verificare e delle ricadute e dell’incidenza che una tale modifica ha sul piano di bacino nel suo complesso.

Si dovrà quindi procedere ad una valutazione caso per caso sulla rilevanza e sugli effetti che la diversa stima di portata comportano alle risultanze e alle previsioni del piano vigente, adottando la procedura semplificata del comma 15 dell’art. 97 solo nei casi in cui tali effetti siano modesti e non risultanti incidenti sulle linee fondamentali del piano stesso.

Al fine di procedere alla variazione dei valori di portata di riferimento la Provincia, in via preliminare, deve, in ogni caso, analizzare i seguenti aspetti ed effettuare almeno le seguenti verifiche, formalizzandone gli esiti nell’iter procedurale:

- deve essere verificato ed attestato che gli studi idrologici sulla base dei quali viene effettuata la nuova stima siano effettivamente di maggior dettaglio e di approfondimento rispetto a quelli del piano di bacino vigente;

- deve inoltre essere verificato che lo studio porti sempre ad una determinazione più affidabile del valore della massima portata di piena a ciascun tempo di ritorno, assicurandosi quindi che l’approfondimento abbia presupposti tecnico-scientifici tali da escludere ragionevolmente che eventuali ulteriori affinamenti possano nuovamente mutare in modo sostanziale i risultati ottenuti; ciò in particolare nei casi in cui lo studio conduca ad una riduzione di tale valore, tenuto conto dell’esigenza della tutela della pubblica e privata incolumità;

- in tal senso, devono, in particolare, risultare evidenziate le ragioni tecniche che portano ad una diversa valutazione del valore della stessa entità (ad es. eliminazione di errori materiali, diversi valori dei dati di base, diverso dettaglio nella delimitazione e caratterizzazione del bacino, diversa e più approfondita modellazione idrologica, etc.)

- devono sempre essere valutate e verificate tutte le conseguenze della modifica proposta sulle determinazioni del piano vigente, in termini sia di determinazione delle criticità idraulica e conseguenti aree inondabili sia di interventi di sistemazione idraulica previsti.

Per quanto sopra, quindi, la modifica dei valori di portata di un piano di bacino vigente non può mai costituire una modifica a sé stante, ma deve necessariamente includere la valutazione degli effetti sulla cartografia di piano e sulle conseguenti previsioni. La variante di cui trattasi, sia essa configurata come variante sostanziale al piano e pertanto soggetta alla procedura di cui al comma 14 dello stesso articolo o come modifica “puntuale” ai sensi del comma 15 dell’art. 97 nei casi di modesta rilevanza, dovrà quindi essere costituita almeno dai seguenti elaborati:

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Allegato 1 alla DGR 1634/2005 Indirizzi procedurali per l’aggiornamento dei piani di bacino regionali vigenti

in relazione a modifiche dei valori delle portate di piena di riferimento.

Documento 4.1

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a) studio idrologico di dettaglio per tutte le portate di riferimento, e quindi almeno per i tempi di ritorno di 50, 200 e 500 anni, e preferibilmente per 30 e 100 anni, con le specificazioni di cui sopra;

b) verifica e revisione delle verifiche idrauliche condotte nel piano alla luce dei nuovi valori;

c) verifica ed eventuale revisione delle criticità idrauliche individuate e delle aree inondabili perimetrate per i vari tempi di ritorno;

d) verifica ed eventuale revisione del quadro di interventi di messa in sicurezza o mitigazione del rischio previsti.

Solo sulla base delle suddette verifiche sarà possibile evincere quando le modifiche sono sostanziali e necessitanti quindi di una nuova adozione, e quando possono essere ritenute “puntuali”, ed eventualmente soggette a forme di pubblicità e condivisione quali forme di inchiesta pubblica.

In ogni caso, appare una modifica che, anche quando comportante riflessi “puntuali” sul piano, e come tale da non richiedere l’attivazione della procedura di adozione di variante sostanziale di cui al comma 14 dell’articolo citato, ricade in quei casi evidenziati dai chiarimenti di cui alla DGR 1624/2004, per i quali risulta opportuna una preventiva verifica e confronto con i soggetti pubblici e privati interessati, o comunque l’attivazione di adeguate forme di pubblicità. In particolare appare necessario un coinvolgimento della Sezione per le funzioni dell’Autorità di Bacino del Comitato Tecnico Regionale, organo dell’Autorità di Bacino di rilievo regionale, eventualmente anche nella forma di un apporto istruttorio di “primo livello”, al fine di giungere a risultati condivisi e conformi ai criteri regionali.

Al fine di consentire una migliore applicazione dei criteri sopra esposti il CTR fornirà indicazioni di tipo tecnico, che, in particolare, individuano la metodologia ed il contenuto minimo degli studi idrologici di “maggior dettaglio” qualora si intenda procedere ad una verifica ed eventuale modifica dei valori assunti dal piano di bacino vigente per le portate di massima piena, al fine di assicurarne una rideterminazione più affidabile ed omogenea.

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

INDIRIZZI RELATIVI ALLA RIPERIMETRAZIONE

DELLE FASCE DI INONDABILITÀ A SEGUITO DI

INTERVENTI DI SISTEMAZIONE IDRAULICA

Documento approvato con DGR n.16/2007 – Allegato 1

Documento 4.2/a

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Documento 4.2/a

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ALLEGATO 1 ALLA DGR 16/07

INDIRIZZI RELATIVI ALLA

RIPERIMETRAZIONE DELLE FASCE DI INONDABILITÀ

A SEGUITO DI INTERVENTI DI SISTEMAZIONE IDRAULICA.

1. Premessa

I piani di bacino stralcio per l’assetto idrogeologico determinano le aree inondabili a diversi tempi di ritorno in funzione delle varie criticità idrauliche individuate per i vari corsi d’acqua indagati. Individuano altresì il quadro di interventi di sistemazione idraulica che consentano l’eliminazione o la riduzione delle criticità idrauliche e di conseguenza la mitigazione delle condizioni di pericolosità delle aree limitrofe.

I criteri per la normativa di attuazione dei piani di bacino stralcio di cui alla DGR 357/01 e ss.mm. prevedono che a seguito della realizzazione degli interventi previsti i limiti delle fasce di inondabilità possano essere modificati da parte della Provincia al fine di conformarli alla nuova situazione con la procedura semplificata di cui al comma 15, dell’art. 97 della l.r. n.18/99. Tali criteri sono stati recepiti dalla normativa-tipo di cui all’allegato 2 della DGR 357/011 e dalle normative di attuazione dei vari piani stralcio regionali approvati. Con DGR 848/03 sono stati emanati alcuni chiarimenti ed indirizzi interpretativi sulla normativa di cui sopra, trattando, tra l’altro, anche l’aspetto delle riperimetrazioni delle aree inondabili conseguenti ad interventi di messa in sicurezza idraulica. In quella sede, infatti, a seguito di manifestati dubbi interpretativi si è reso opportuno richiamare i requisiti minimi per procedere, in tali casi, alle riperimetrazioni delle aree inondabili.

Si ricorda ancora che, secondo i criteri regionali, in coerenza con gli indirizzi nazionali, la “messa in sicurezza” del corso d’acqua e conseguentemente delle corrispondenti aree perifluviali è stata convenzionalmente associata allo smaltimento senza esondazioni e con adeguato franco di sicurezza della portata a tempo di ritorno 1 Il comma 7 dell’articolo 15 della normativa-tipo recita:

“A seguito della realizzazione degli interventi di sistemazione idraulica previsti dal Piano, la Provincia provvede alla conseguente modifica dei limiti della fasce A, B, C di cui ai commi precedenti, al fine di conformarli alla nuova situazione, con la procedura di cui al comma 15 dell'art. 97, della l.r. n.18/99. Nel caso di interventi complessi, sottoposti a strumentazione urbanistica attuativa, comprensivi anche del progetto delle opere di sistemazione idraulica congruenti con quelle previste dal Piano, la riperimetrazione delle fasce A, B e C può essere deliberata dalla Provincia, ai sensi del comma 15 dell'art. 97, della l.r. n.18/99, anche contestualmente all’approvazione e/o al controllo dello strumento attuativo, ferma restando la natura prioritaria delle opere di sistemazione idraulica, la cui effettiva esecuzione, previa verifica della Provincia, condiziona l’efficacia della riperimetrazione e costituisce presupposto per le successive concessioni edilizie.”

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Indirizzi relativi alla riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di interventi di sistemazione idraulica

Allegato 1 alla Dgr n. 16/2007

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duecentennale. Benché questa rappresenti di norma la finalità degli interventi di sistemazione idraulica, è peraltro possibile procedere ad interventi dimensionati su portate a tempi di ritorno inferiori, nei casi in cui non sia possibile raggiungere la messa in sicurezza a breve termine e comunque sui tratti di interventi che si configurino come una fase realizzativa intermedia e che consentano una significativa mitigazione del rischio, individuando contestualmente lo stato di pericolosità residua per le portate superiori a quelle di progetto.

Poiché allo stato attuale sono stati finanziati molti interventi di sistemazione idraulica ed una buona parte di essi si trovano in fase realizzativa o sono stati conclusi, assume particolare rilevanza l’omogeneità a livello regionale nell’applicazione dei criteri per le riperimetrazioni e la valutazione degli esiti delle riperimetrazioni stesse sul territorio, anche avuto riguardo alle conseguenze sul regime normativo delle fasce.

2. Elementi per riperimetrazione di aree inondabili a seguito di interventi idraulici Si richiamano gli elementi forniti nell’allegato 1 alla DGR 848/2003 contenente “Indirizzi interpretativi e chiarimenti in merito ai criteri per la redazione della normativa dei piani di bacino per la tutela dal rischio idrogeologico di cui alla DGR 357/01”. Al punto 8, in particolare, è stato specificato che, ai fini dell’efficacia della riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito degli interventi di sistemazione idraulica, deve esse verificata la sussistenza dei seguenti presupposti:

a) Le opere realizzate devono essere conformi al Piano di bacino relativo ed, in ogni caso, al progetto approvato dagli Enti competenti, previa acquisizione degli eventuali necessari pareri di conformità al Piano di bacino.

b) Le opere realizzate devono riguardare la realizzazione di lotti funzionali dell’intervento complessivo previsto dal Piano e comunque essere in grado di eliminare il livello di pericolosità di inondazione per il quale sono state progettate (di norma T=200 anni) in porzioni significative del territorio. Sulla base di idonea documentazione, da acquisire qualora non fosse stata prodotta in sede progettuale, dovrà essere valutata e perimetrata l’eventuale pericolosità residua in relazione alla portata di progetto, nonché all’assetto idraulico complessivo dell’area protetta dalla difesa idraulica (a titolo di esempio, interferenze con eventuali colatori minori o inondabilità residua proveniente da monte).

c) Le opere devono essere state regolarmente terminate e collaudate.

d) Deve essere specificato il soggetto responsabile della manutenzione delle opere al fine di assicurarne la corretta funzionalità nel tempo ed il conseguente mantenimento delle raggiunte condizioni di mitigazione della pericolosità idraulica.

Tali criteri vanno applicati anche nei casi di riperimetrazione “preventiva”, laddove la stessa, cioè, possa venire approvata già sulla base del progetto di sistemazione, restando ferma la necessità di verificare la sussistenza degli elementi evidenziati a seguito del completamento degli interventi, ai fini dell’efficacia normativa della riperimetrazione stessa. Questo aspetto è stato, tra l’altro, sottolineato anche nella

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Indirizzi relativi alla riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di interventi di sistemazione idraulica

Allegato 1 alla Dgr n. 16/2007

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circolare prot. n.27699/519 del 2.8.2005, pubblicata sul BURL n. 8 parte II del 23.2.2005 relativa all’applicazione dell’art. 110 bis della L.R. 18/99.

Nel confermare la validità generale di tali criteri, ed a fronte della esigenza di assicurare l’omogeneità a livello regionale delle procedure di riperimetrazione, si forniscono nel seguito alcuni ulteriori elementi tecnici, ad integrazione e migliore esplicitazione dei criteri di cui alla DGR 357/01 e ss.mm.m in particolare a riguardo della fase di determinazione della pericolosità residua, richiamata anche tra gli elementi sopra ricordati.

3. Pericolosità residua a seguito di interventi di sistemazione idraulica

La realizzazione di interventi di sistemazione idraulica comporta, di norma, l’aggiornamento delle fasce di inondabilità previgenti, attraverso la valutazione delle condizioni di pericolosità residua, come già specificato al precedente punto 2, lett. b), che risulta connessa alla valutazione dell’efficacia degli interventi stessi rispetto alle portate di progetto.

La determinazione delle condizioni di pericolosità residua a seguito di interventi di sistemazione idraulica rappresenta un’operazione delicata e talvolta complessa, che richiede la necessaria attenzione e valutazione al fine della consapevolezza degli effettivi livelli di rischio raggiunti e della loro adeguata gestione nell’ottica della tutela della pubblica e privata incolumità.

In proposito, si ricorda che si possono verificare due grandi categorie di situazioni in relazione alla tipologia di interventi di sistemazione idraulica posti in essere:

1) interventi c.d. di “messa in sicurezza”, dimensionati cioè per lo smaltimento senza esondazioni della portata di piena duecentennale con adeguato franco, conformemente agli indirizzi regionali e nazionali recepiti nei piani di bacino;

2) interventi c.d. di “mitigazione del rischio”, dimensionati cioè su portate inferiori rispetto alla portata duecentennale o che comunque non assicurino in modo certo il contenimento di tale portata, ma che contribuiscano a ridurre in modo significativo il livello di pericolosità e rischio attuale.

Va ricordato, innanzitutto, che le condizioni di rischio nullo non sono mai raggiungibili nella realtà, e che la cosiddetta “messa in sicurezza” è corrispondente ad una soglia stabilita convenzionalmente. Anche in questo caso, quindi, è necessario valutare le potenziali condizioni di pericolosità residua, tenendo anche conto che la progettazione degli interventi ed il successivo studio delle aree inondabili residue sono necessariamente basati su modellazioni idrauliche, e quindi su schematizzazioni e semplificazioni matematico-numeriche.

Pertanto, si evidenzia che, anche in aree protette da opere idrauliche, esiste la possibilità che si verifichino eventi di tipo alluvionale, sia per il realizzarsi di eventi di entità superiore a quelli utilizzati come riferimento nella progettazione, comunque possibili (sormonto arginale), o per fenomeni non tenuti in considerazione nella modellazione matematica (quali ostruzioni, trasporto solido, accumulo delle acque a tergo delle strutture, etc.), sia per problemi di funzionalità delle opere idrauliche di difesa (quale ad es. il cedimento di una struttura arginale).

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Indirizzi relativi alla riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di interventi di sistemazione idraulica

Allegato 1 alla Dgr n. 16/2007

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Nell’ambito della documentazione tecnica da produrre ai fini della riperimetrazione delle aree inondabili dovranno quindi essere valutate tutte le condizioni che possano condurre a livelli di pericolosità residua sui territori protetti da opere di sistemazione idraulica, sia nel caso di interventi dimensionati sulla portata duecentennale, sia, ancor di più, di quelli dimensionati su portate inferiori.

Si evidenziano nel seguito, a maggior precisazione dei criteri tecnici già forniti, alcuni aspetti generali da tenere in considerazione e requisiti minimi da rispettare nella fase della valutazione delle condizioni di pericolosità residua ai fini delle riperimetrazioni, della cui valutazione dare atto esplicitamente nell’ambito dei relativi atti.

1. Valutazione esplicita e documentata del quadro di pericolosità residua attesa, con riferimento allo scenario che si prefigura a seguito della realizzazione dell’intero progetto di messa in sicurezza idraulica nonché di quello del progetto del lotto di interesse, con una loro comparazione ai fini della valutazione del grado di efficacia raggiunto tramite la realizzazione del lotto stesso.

2. Ove il lotto non preveda il raggiungimento della messa in sicurezza da piene con tempo di ritorno duecentennale, determinazione della pericolosità residua riferita alla inondabilità che ancora permane rispetto alle portate con tempi di ritorno di 50, 200 e 500 anni, e ove, possibile a quelle con tempi di ritorno di 30 e 100 anni. Va da sé che alle perimetrazioni delle aree inondabili corrispondenti alle portate di riferimento sarà associata la corrispondente normativa in relazione al livello di pericolosità in cui ricade.

In tali casi andrà anche assicurata, già in fase di progettazione, l’adeguatezza delle strutture di difesa ai fini della funzionalità ed affidabilità delle opere (ad esempio, progettazione di argini sormontabili), ovvero sarà necessario analizzare e determinare le condizioni di funzionalità e di possibile criticità delle opere in caso di accadimento di eventi con portate superiori a quelle di progetto.

3. Valutazione, anche di prima approssimazione, sulle possibili condizioni di pericolosità residua riferita all’opera di difesa eseguita nel lotto, in relazione a scenari di sifonamento e/o di crollo e/o di sormonto per cedimento fondazionale. Sulla base degli esiti di tale valutazione, in casi particolari, anche in funzione della tipologia ed entità dell’opera o del contesto in cui la stessa ricade, potrà risultare necessario produrre analisi o studi specifici per le valutazione di dettaglio delle problematiche sopra accennate.

Resta ferma naturalmente la necessità di verificare altre cause di inondabilità o allagamento delle zone in questione (ad es. interazione con altri corsi d’acqua o colatori minori, acque di esondazione provenienti da tratti a monte, etc.). Nel caso in cui gli interventi realizzati assicurino il contenimento della portata duecentennale con adeguato franco e non si riscontri la necessità di valutazioni specifiche più approfondite di cui ai punti precedenti, si ritiene che, a fini di conoscenza storica e di protezione civile, ed in coerenza con quanto effettuato nell’ambito dei piani vigenti per le aree storicamente inondate, sia necessario, come livello minimo, perimetrare le aree a pericolosità residua in corrispondenza a quelle precedentemente

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Indirizzi relativi alla riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di interventi di sistemazione idraulica

Allegato 1 alla Dgr n. 16/2007

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inondabili con tempo di ritorno di 200/500 anni, facendole rientrare in fascia C, e distinguendole graficamente dalle reali aree inondabili 500-ennali post-intervento per una più facile lettura ed interpretazione. Si richiama infine l’attenzione sulla cautela che richiede la perimetrazione della pericolosità residua in due fattispecie di intervento, per le quali risulta necessario procedere a specifiche valutazioni caso per caso: a) Interventi di risagomatura delle sezioni idrauliche e scavo del fondo alveo .

Tali interventi, pur potendosi configurare come interventi di mitigazione del rischio, non si configurano, in generale, come interventi di messa in sicurezza in quanto non è certa, a priori, la stabilità nel tempo della configurazione di progetto, e pertanto non presuppongono, di norma, una riperimetrazione delle aree inondabili. Nel caso in cui tali interventi esulino da una normale manutenzione e presentino i presupposti per una riperimetrazione delle aree inondabili, la valutazione del livello di pericolosità residua non potrà che essere effettuata sulla base di studi specifici ed approfonditi comprensivi di analisi sul trasporto solido e sulla morfodinamica fluviale. L’efficacia della riperimetrazione conseguente agli interventi di cui trattasi dovrà quindi essere subordinata: − a studi ed indagini che consentano di valutare già a livello progettuale la

stabilità della configurazione ottenuta e di garantirla nel tempo, anche attraverso la definizione di specifici piani di manutenzione, che descrivano modalità, tempistica e costi della stessa; si sottolinea la necessità di individuazione esplicita del soggetto preposto alla manutenzione (vedi paragrafo 2, lett d), in questo caso particolarmente rilevante;

ovvero

− alla esecuzione di adeguati programmi di monitoraggi successivi alla realizzazione dell’intervento, da individuare già in sede progettuale, al fine di verificare la variabilità della configurazione attesa nel tempo, per tratti significativi anche a monte e a valle del tratto di interesse.

b) Interventi di sistemazione idraulica dimensionati s u portata duecentennale

ma senza il franco di sicurezza previsto . Si ricorda a questo proposito che il franco idraulico rappresenta il coefficiente di sicurezza che assicura il corretto funzionamento delle opere realizzate, tenendo conto di tutte le incertezze legate alla modellazione idrologico-idraulica e ai vari fenomeni che possono occorrere durante l’evento di piena, dei quali la modellazione non tiene solitamente conto, in particolare fenomeni di trasporto solido e di flottanti durante l’evento stesso. Nel caso, quindi, che gli interventi realizzati non prevedano l’adeguato franco idraulico, è necessaria una valutazione specifica e dettagliata che consenta di analizzarne le conseguenze. Qualora, in particolare, la deroga al franco previsto dal piano di bacino non sia supportata da specifiche motivazioni tecniche che consentano di escludere ragionevolmente la possibilità di livelli di piena superiori rispetto a quanto determinato con la modellazione utilizzata (vedere in particolare il

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Indirizzi relativi alla riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di interventi di sistemazione idraulica

Allegato 1 alla Dgr n. 16/2007

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documento approvato dal CTR nella seduta del 11 novembre 2002 e trasmesso agli uffici provinciali con nota n.165209/4714/2002), è necessario prevedere la permanenza di una pericolosità residua, e quindi la permanenza di aree inondabili, per la portata di progetto. In particolare, in accordo con il contenuto del documento sopracitato, la portata per la quale l’opera progettata assicura il deflusso senza esondazioni deve essere identificata con la portata smaltibile con l’adeguato franco, presupponendo, quindi, un livello di pericolosità residua per le portate superiori.

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

INDIRIZZI RELATIVI ALLA RIPERIMETRAZIONE

DELLE FASCE DI INONDABILITÀ A SEGUITO DI STUDI DI MAGGIOR DETTAGLIO

Documento approvato con DGR n.16/2007 – Allegato 2

Documento 4.2/b

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Documento 4.2/b

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ALLEGATO 2 ALLA DGR 16/2007

INDIRIZZI RELATIVI ALLA

RIPERIMETRAZIONE DELLE FASCE DI INONDABILITÀ

A SEGUITO DI STUDI DI MAGGIOR DETTAGLIO 1. Premessa I piani di bacino stralcio per l’assetto idrogeologico determinano le aree inondabili a diversi tempi di ritorno in funzione delle varie criticità idrauliche individuate per i vari corsi d’acqua indagati.

I criteri per la normativa di attuazione dei piani di bacino stralcio di cui alla DGR 357/01 e ss.mm. prevedono che i limiti delle fasce di inondabilità possano essere aggiornati da parte della Provincia con la procedura semplificata di cui all’art.97, c.15 della l.r.18/1999, sulla base di studi di maggior dettaglio, quali studi integrativi eseguiti dalla Provincia ovvero quelli svolti nell’ambito degli studi fondativi degli strumenti urbanistici comunali, riguardanti le intere zone perimetrate o che interessino, in ogni caso, tratti e/o areali di ampiezza significativa.

Tali criteri sono stati recepiti dalla normativa-tipo di cui all’allegato 2 della DGR 357/011 e dalle normative di attuazione dei vari piani stralcio regionali approvati e vigenti.

Gli studi idraulici finalizzati alla determinazione o aggiornamento delle aree inondabili devono corrispondere alle indicazioni minime dell’allegato A dei criteri di cui alla DGR 357/01 (Allegato 3 della normativo-tipo di cui all’allegato 2 alla DGR 357/01).

2. Aggiornamento delle perimetrazioni delle fasce d i inondabilità

2.1 Aspetti generali Secondo quanto previsto dai criteri per la redazione dei piani di bacino, principio generale alla base dell’aggiornamento e la modifica della cartografia relativa alle fasce di inondabilità, sulla quale si applica la disciplina del piano per i diversi livelli di pericolosità idraulica, è che tali aggiornamenti devono derivare dall’acquisizione di nuove conoscenze o da studi o indagini di maggior dettaglio rispetto a quanto effettuato nell’ambito della redazione del Piano stralcio.

1 Il comma 7 dell’articolo 15 della normativa-tipo recita: “La Provincia può altresì ridefinire, con le procedure di cui al comma 15, dell’art.97, le classi di pericolosità idraulica e procedere alla conseguente modifica dei limiti della fasce A, B, C, B* (A*) a seguito di studi di maggior dettaglio riguardanti le intere zone perimetrate e comunque tratti significativi dei corsi d’acqua, quali quelli svolti nell’ambito degli studi fondativi degli strumenti urbanistici comunali ovvero quelli integrativi eseguiti dalla Provincia stessa.”

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Indirizzi relativi alla riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di studi di maggior dettaglio

Allegato 2 alla DGR 16/2007

Documento 4.2/b

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Si sottolinea, quindi, che, in generale, al fine di approvare nuovi studi volti a riperimetrare aree inondabili:

- deve essere verificato che gli studi sulla base dei quali vengono effettuate la nuove determinazioni siano effettivamente di maggior dettaglio e di approfondimento rispetto a quelli del piano di bacino vigente;

- deve inoltre essere verificato che lo studio porti sempre ad una determinazione più affidabile delle aree inondabili e delle relative caratteristiche di inondazione, avendo cura di determinare i margini di incertezza sia delle aree inondabili gia’ perimetrate, sia delle nuove perimetrazioni;

- in tal senso, devono risultare evidenziate, in particolare, le ragioni tecniche che portano ad una diversa valutazione del valore delle stesse grandezze e parametri (ad es. eliminazione di errori materiali, diversi valori dei dati di base, diverso e più dettagliato supporto cartografico, diverso dettaglio nella delimitazione e caratterizzazione del bacino, diversa e più approfondita modellazione idraulica, etc.)

Pur dando atto che il tipo di indagine e di acquisizione di nuovi dati devono essere commisurati anche all’entità e alla motivazione della riperimetrazione richiesta, e che il “maggior dettaglio” dipende da vari fattori, spesso interagenti, si rileva quindi che la modifica alle perimetrazioni vigenti va sempre accompagnata da un reale e concreto approfondimento di dati di base, valutazioni, modellistica, etc., come meglio evidenziato ai paragrafi seguenti.

Tutto ciò va evidenziato in uno specifico allegato tecnico di sintesi che illustri le peculiarità dello studio di dettaglio rispetto agli studi precedenti a fondamento delle perimetrazioni del piano in essere e che verifichi che gli studi presentati contengano gli elementi adeguati per valutare tali aspetti e certifichi la sussistenza delle condizioni di cui sopra.

2.2 Rilievi topografici e di sezioni Benché, come detto, gli approfondimenti di “maggior dettaglio” possano riguardare vari aspetti, si ritiene che gli stessi non possano prescindere da un adeguato rilievo topografico di dettaglio dei luoghi, che potrà peraltro essere proporzionato all’entità e alla rilevanza della modifica.

Pertanto gli studi finalizzati all’aggiornamento delle perimetrazioni, per assumere caratteristiche di “maggior dettaglio”, devono prevedere rilievi topografici sufficientemente accurati della zona di indagine, riguardanti le sezioni d’alveo, le golene e comunque le aree interessate dalla propagazione della piena e limitrofe.

L’estensione dei rilievi plano-altimetrici e la numerosità dei punti battuti sarà commisurata all’entità ed alla rilevanza della modifica richiesta, risultando sufficiente, ad esempio, estendere l’indagine su aree limitrofe in caso di errori materiali o di modeste modifiche conseguenti alla sola morfologia locale.

Fermo restando che i rilievi di cui trattasi debbano essere acquisiti e restituiti in quote assolute, indicazioni d’ordine generale sul dettaglio topografico necessario alla conduzione degli studi di dettaglio, rispettivamente per il piano quotato dell’area potenzialmente inondabile e per il transetto che comprende la sezione “attiva”

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Indirizzi relativi alla riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di studi di maggior dettaglio

Allegato 2 alla DGR 16/2007

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dell’alveo fluviale, possono essere dedotte da direttive della FEMA (Federal Emergency Management Agency) americana, sinteticamente riprese nella DGR 299/03 e riportate in allegato al presente documento.

2.3 Tratto di corso d’acqua oggetto di studio Le verifiche idrauliche, ai fini della loro affidabilità, devono sempre riguardare tratti di corsi d’acqua “idraulicamente significativi”.

Dal punto di vista della simulazione idraulica in alveo, nell’allegato A ai criteri di cui alla DGR 357/01 sono già definiti come “idraulicamente significativi” tratti di corso d’acqua “delimitati da sezioni per le quali sia possibile assegnare a priori il livello idrico della corrente” (es. attraversamento della profondità critica per brusco restringimento o allargamento, presenza di soglie, ponti, traverse etc. oppure, ad esempio, deflusso in un ricettore con livello noto). Questo principio consente di individuare tratti di corso d’acqua idraulicamente “sconnessi” l’uno dall’altro, tali da poter assumere che il comportamento idraulico di un tratto non sia influenzato e non sia influenzabile da tratti a monte e a valle.

Ai fini dell’omogeneità e dell’affidabilità dei risultati degli studi in termini di aree inondabili appare tuttavia necessaria una ulteriore precisazione riguardo la significatività del tratto studiato.

Considerato che la riperimetrazione proposta va ad inserirsi in aree già perimetrate, è comunque preferibile che gli approfondimenti interessino l’intero tratto studiato nell’ambito del piano di bacino vigente, in particolare per corsi d’acqua di dimensioni limitate.

Nel caso, tuttavia, si debba procedere per stralci più limitati, deve essere valutato e dimostrato che, oltre al tratto di corso d’acqua, anche le aree inondabili oggetto di studio e di approfondimento risultino “sconnesse” da quelle limitrofe, poste a monte e a valle.

Ciò significa, in generale, che le rideterminazioni effettuate in una zona, per poter costituire aggiornamento delle perimetrazioni di piano, devono risultare coerenti con quelle delle aree limitrofe e devono essere tali da non influire sulle valutazioni precedentemente effettuate, e da non essere influenzate da fenomeni di esondazione indiretti provenienti da sezioni del corso d’acqua esterne al tratto indagato. Analogamente dovrà essere dimostrato che i fenomeni di esondazione che si verificano nel tratto oggetto di indagine non interessino aree a valle di quella di studio.

2.4 Modellistica idraulica L’aggiornamento del quadro conoscitivo conseguente alla presentazione di studi ed indagini di maggiore dettaglio deve sempre avvenire in un contesto di coerenza ed omogeneità tecnica con gli studi condotti nell’ambito del piano vigente.

Come sopra evidenziato, nel caso di approfondimenti riferiti a porzioni di aree già oggetto di studi, è necessario che tali studi riguardino un intorno idraulicamente significativo, in modo da assicurare la coerenza dei risultati rispetto alle aree limitrofe o comunque idraulicamente connesse.

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Indirizzi relativi alla riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di studi di maggior dettaglio

Allegato 2 alla DGR 16/2007

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Qualora infine le valutazioni relative al deflusso delle acque di piena siano basate su ipotesi relative alla dinamica dell’esondazione diverse da quelle previste negli studi originari, deve essere adeguatamente dimostrata la fondatezza delle nuove ipotesi di base.

Inoltre, lo studio idraulico di dettaglio deve riportare una validazione del metodo adottato basata sulla ricostruzione delle alluvioni salienti registrate nel sito. Essa va condotta tramite la ricostruzione idrologica dell’evento generatore, la ricostruzione dell’area allagata e il confronto tra tale ricostruzione e le tracce dell’evento determinate da un’approfondita analisi storico documentale, tenendo altresì conto dell’effettivo assetto topografico dell’epoca, riportato sulla base cartografica di dettaglio adottata. In assenza di episodi documentati nel sito in esame, la validazione andrà comunque condotta su un sito campione.

In particolare quando il moto ed il deflusso risulti condizionato da situazioni non rappresentate da opere idrauliche (quali ad esempio allagamento tramite sottopassi, aperture o discontinuità nelle opere esistenti, ovvero presenza di “muretti” o recinzioni, etc.), e pertanto legato a situazioni che possono rivelarsi contingenti, in quanto derivanti da motivi e condizioni di tipo urbanistico-edilizio, deve essere garantito che le ipotesi poste a base dello studio non abbiano a venir meno né siano influenzate e modificate da eventuali interventi antropici, in quanto questi interventi non risultano soggetti a pareri ed autorizzazioni da parte delle autorità idrauliche competenti.

In assenza delle garanzie suddette devono essere assunte perimetrazioni che prendano contemporaneamente in considerazione le diverse ipotesi di dinamica dell’evento di esondazione, attraverso l’inviluppo dei diversi possibili scenari di pericolosità idraulica od una loro opportuna combinazione sulla base della loro probabilità di evenienza.

In tal senso vanno evitate, di norma, riperimetrazioni che dipendono esclusivamente da fattori urbanistico-edilizi.

Le fasce di inondabilità sono infatti delle zone a valenza normativa derivanti dalle aree inondabili e non possono presentare morfologie ad “isola” in corrispondenza di manufatti edilizi o blocchi di manufatti o interi isolati. A meno che tale morfologia non risulti suffragata da particolari conformazioni topografiche, evidenziate dalla planimetria e dai transetti, tale morfologia non è consentita anche qualora la tipologia e conformazione degli edifici, dei blocchi o degli isolati li renda protetti da barriere impermeabili.

Le eventuali protezioni edilizie corrispondono, infatti, non ad una “messa in sicurezza” areale della zone, ma piuttosto ad accorgimenti tecnico-costruttivi, attivabili nelle zone a rischio, al fine di proteggere passivamente gli insediamenti dagli allagamenti e di non aumentare il rischio attuale. Proprio perché tali interventi non rappresentano opere idrauliche con obbligo di controllo e manutenzione, né sono soggetti a polizia idraulica né sono di proprietà demaniale, essi non sono soggetti ad alcuna autorizzazione di tipo idraulico in occasione di modifiche degli elementi edilizi in questione. Di conseguenza, le aree protette da strumenti di difesa passiva a scala locale non possono essere tenuti in considerazione ai fini della perimetrazione delle aree a pericolosità idraulica di cui si tratta.

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Indirizzi relativi alla riperimetrazione delle fasce di inondabilità a seguito di studi di maggior dettaglio

Allegato 2 alla DGR 16/2007

Documento 4.2/b

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Estratto da allegato a DGRL 299/03 – Paragrafo 6

[omissis] Seguendo le prescrizioni della Federal Emergency Management Agency si possono suggerire le seguenti indicazioni d’ordine generale sul dettaglio topografico necessario alla conduzione degli studi di dettaglio, rispettivamente per il piano quotato dell’area potenzialmente inondabile e per il transetto che comprende la sezione “attiva” dell’alveo fluviale.

Area potenzialmente inondabile

La base topografica del terreno su cui si propaga l’inondazione va ricostruita con un dettaglio adeguato in considerazione della sua influenza sull’affidabilità della previsione delle grandezze in gioco.

In particolare il rilievo topografico delle aree è necessario al fine di ricostruire il piano quotato delle aree interessate dalle inondazioni delle aree al fine dell’applicazione dei modelli matematico-numerici di inondazione. In tal senso, quindi, va definito l’adeguato dettaglio del rilievo che, deve rappresentare adeguatamente la morfologia e le quote delle aree interessate al fine di ottenere risultati affidabili dall’applicazione dei modelli, in termini sia di perimetrazione di aree che di valutazione delle caratteristiche delle inondazioni quali tiranti e velocità; di conseguenza il dettaglio di tale rilievo può anche, ove del caso, essere differenziato ed adeguatamente infittito in relazione alle caratteristiche morfologiche delle aree, prevedendo il rilievo con un dettaglio diverso in zone in cui si prevedano variazioni più rapide delle grandezze idrauliche di riferimento da zone più uniformi rispetto alle quote.

Per il rilievo dell’area potenzialmente inondabile, il relativo piano quotato deve essere caratterizzato indicativamente da:

- una risoluzione verticale delle isoipse sul supporto cartografico - ovvero da una risoluzione delle quote dei modelli digitali del terreno (DEM) della porzione di territorio potenzialmente inondabile - almeno pari a 30÷50 cm nelle zone pianeggianti e 80÷120 cm altrove;

- l’adeguato rilievo di tutti i bruschi cambiamenti di quota relativi, p.e., a infrastrutture viarie e ferroviarie, rilevati in genere, ecc.;

- l’opportuno aggiornamento del rilevamento topografico rispetto ai cambiamenti intervenuti in seguito alla costruzione del supporto cartografico standard eventualmente utilizzato.

Transetto e sezione fluviali

Le sezioni fluviali devono essere rilevate avendo cura che:

♦ la distanza verticale tra due punti adiacenti lungo il transetto della piana alluvionale non superi il 10% della dimensione verticale totale (altezza) del transetto;

♦ la distanza orizzontale tra due punti adiacenti lungo il transetto della piana alluvionale non superi il 5% della larghezza totale del transetto;

♦ la distanza orizzontale tra due punti adiacenti lungo la sezione dell’alveo fluviale non superi il 10% della larghezza totale della sezione attiva.

Opere idrauliche

Sia le opere longitudinali, sia quelle trasversali presenti nell’alveo attivo e nella zona golenale devono essere accuratamente rilevate, con una tolleranza verticale inferiore almeno della metà di quella adottata nel rilievo del piano quotato e una tolleranza orizzontale appropriata alla geometria e alla dimensione dei particolari di interesse idraulico dell’opera.

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

CRITERI E DIRETTIVE

IN MATERIA DI ASPORTAZIONE

DI MATERIALI LITOIDI DAI CORSI D’ACQUA

DEI BACINI IDROGRAFICI REGIONALI

Documento approvato con DGR 226/2009

Documento 4.3/a

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Documento 4.3/a

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ALLEGATO 1 ALLA DGR 226/2009

CRITERI E DIRETTIVE

IN MATERIA DI ASPORTAZIONE DI MATERIALE LITOIDE

DAI CORSI D’ACQUA DEI BACINI IDROGRAFICI REGIONALI

PREMESSA Il presente documento è finalizzato a specificare le direttive vincolanti in materia di movimentazione ed asportazione di materiale litoide e di gestione degli stessi nei corsi d’acqua dell’Autorità di Bacino regionale, quale riorganizzazione ed aggiornamento integrazione di criteri, indirizzi e direttive già emanati.

Tali criteri e direttive sono pertanto elaborati in continuità con quanto già disposto precedentemente in merito dall’Autorità di Bacino regionale, ed in coerenza con quanto disposto dalle altre Autorità di Bacino operanti sul territorio sulla stessa materia e si configurano come direttive vincolanti per l’esercizio delle competenze in materia di polizia idraulica in capo alle Province, di cui all’art. 8 della l.r. 9/93, nonché come criteri ed indirizzi per la formazione dei piani di bacino, ad integrazione della DGR 357/01 e ss.mm.

Il presente provvedimento sarà integrato da linee guida su aspetti tecnici al fine della predisposizione di studi e progetti che interessino aspetti di morfodinamica fluviale, sulla base degli esiti della convenzione sottoscritta con il DICAT dell’Università di Genova.

CRITERI E DIRETTIVE Al fine di mantenere il regime dei corsi d’acqua e perseguire l’equilibrio del trasporto solido nei corsi d’acqua e nei bacini idrografici, con riferimento agli impatti generati sui sistemi idrogeologici ed ecologico–ambientali, sugli arenili dei litorali connessi ai bacini idrografici, e sui sistemi idrogeologici di fondovalle, sono approvati i seguenti criteri e direttive vincolanti per i bacini idrografici ricadenti nel territorio di competenza dell’Autorità di bacino di rilievo regionale.

1. Nei bacini idrografici ricadenti nel territorio di competenza dell’Autorità di bacino di rilievo regionale è vietata l’asportazione di materiale litoide dagli alvei dei corsi d’acqua, dal demanio fluviale e lacuale, ad eccezione degli interventi di seguito specificati.

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Allegato 1 alla DGR 226/2009 Criteri e direttive in materia di asportazione

di materiali litoidi dai corsi d’acqua

Documento 4.3/a

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2. L’asportazione dei materiale litoide dagli alvei dei corsi d’acqua e dalle aree di demanio fluviale e lacuale è consentita, salvo obblighi derivanti da norme speciali in materia ambientale, solo nei seguenti casi:

a) interventi che si rendano necessari per finalità di riduzione delle condizioni di rischio idraulico e di connessa tutela della pubblica e privata incolumità. Si possono configurare in particolare come:

a1) interventi finalizzati alla conservazione della sezione utile di deflusso, alla eliminazione di manifesti sovralluvionamenti di alveo a seguito di eventi di piena eccezionali, al mantenimento o al recupero dell’officiosità delle opere e delle infrastrutture, laddove, sulla base di adeguati studi, verifiche e progettazioni, tali interventi risultino necessari ed adeguati alla mitigazione del rischio idraulico;

a2) asportazioni incluse, sulla base di adeguati studi e verifiche, in interventi di difesa e sistemazione idraulica finalizzati alla riduzione delle condizioni di rischio idraulico, purché conformi ai criteri ed indirizzi dell’Autorità di bacino regionale;

b) asportazione di materiali in bacini regolati da opere di sbarramento idraulico, al fine di mantenere l’officiosità idraulica dei canali di scarico e/o del volume di ritenzione dei bacini stessi;

c) asportazioni costituenti parte integrante di interventi di rinaturazione e riqualificazione di ambiti fluviali.

3. Non possono essere qualificati come interventi di manutenzione ordinaria, di cui agli artt. 42 e 43 della l.r. 20/2006, recante “Nuovo ordinamento dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Ligure e riorganizzazione delle attività e degli organismi di pianificazione, programmazione, gestione e controllo in campo ambientale”, gli interventi di asportazione e rimozione di materiale litoide non finalizzati alla movimentazione, fatti salvi gli interventi necessari per il mantenimento di sezioni di deflusso di progetto derivanti da interventi di sistemazione idraulica approvati che, sulla base dei criteri dell’Autorità di bacino (cfr. in particolare punto 3, lett. a), dell’all.1 alla DGR 16/07), hanno condotto alla mitigazione del rischio di inondazione e alla riperimetrazione delle aree inondabili.

4. L’asportazione e la movimentazione di materiale litoide dalla barra di foce dei corsi d’acqua non rientra nel disposto della presente direttiva in quanto la stessa barra di foce è parte integrante del sistema spiaggia, per il quale vigono specifici criteri e direttive, emanati ai sensi della l.r. 28 aprile 1999 n. 13, recante ”Disciplina delle funzioni in materia di difesa della costa, ripascimento degli arenili, protezione e osservazione dell'ambiente marino e costiero, demanio marittimo e porti”.

5. Fermi restando i presupposti di ammissibilità degli interventi di cui al punto 2, e richiamate, in particolare, le finalità di mitigazione del rischio idraulico e di tutela della pubblica incolumità di cui alla lettera a), gli interventi previsti al punto 2 sono consentiti a condizione che il materiale asportato sia utilizzato, salvo obblighi derivanti da norme speciali in materia ambientale, nei seguenti modi e priorità, da definirsi nell’ambito delle relative progettazioni:

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Allegato 1 alla DGR 226/2009 Criteri e direttive in materia di asportazione

di materiali litoidi dai corsi d’acqua

Documento 4.3/a

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a) movimentazione in loco o nelle immediate pertinenze dell’alveo del medesimo corso d’acqua;

b) risistemazione in sezioni dello stesso corso d’acqua;

c) ripascimento dei litorali afferenti all’unità fisiografica sottesa al bacino di prelievo, come definite dal “Piano della Costa” regionale e dalla DGR 173/2006;

d) solo per le quantità per cui sia dimostrata, sulla base di specifiche analisi e valutazioni, l’impossibilità della risistemazione nei modi di cui sopra, previa intesa tra gli enti interessati, in particolare con i Comuni ricadenti nell’ambito dell’unità fisiografica in relazione all’uso prioritario di cui alla precedente lett. c), è consentito l’utilizzo per:

- realizzazione di opere di sistemazione idraulica in loco;

- ripascimento di litorali al di fuori dell’unità fisiografica.

6. Utilizzi diversi da quelli previsti al precedente punto 5 sono consentiti, ferma restando la loro ammissibilità rispetto alla legislazione e alle normative vigenti, solo a condizione che il materiale asportato risulti non idoneo per gli utilizzi di cui al medesimo punto 5.

7. Tutti gli interventi di asportazione di materiale litoide di cui ai punti precedenti, anche ai fini autorizzativi, devono essere oggetto di adeguata progettazione, in conformità alla disposizioni della legislazione vigente e sulla base dei criteri ed indirizzi tecnici dall’Autorità di bacino stessa.

8. La progettazione degli interventi di cui trattasi deve contenere gli elementi e gli approfondimenti necessari per garantire il raggiungimento degli obiettivi preposti e assicurare la rispondenza degli interventi ai criteri di ammissibilità e di priorità di cui ai presenti criteri. A tale scopo la progettazione deve contenere almeno i seguenti elementi, fermo restando che l’approfondimento progettuale sarà commisurato alla rilevanza e all’importo degli interventi previsti:

a) adeguate valutazioni e studi al fine di dimostrare la necessità degli interventi ai sensi del punto 2, con particolare riferimento alle situazioni di rischio da mitigare, nonché di definirne le modalità di utilizzo di cui al punto 5; tali valutazioni, devono, in particolare, evidenziare i previsti benefici idraulici sulla base di adeguate analisi, anche di tipo morfodinamico, estese a tratti significativi del corso d’acqua, anche in relazione alla stabilità nel tempo della configurazione ottenuta ed alle possibili ripercussioni a monte e a valle;

b) la previsione di specifici piani di manutenzione, laddove necessari per la garanzia di mantenimento delle sezioni di deflusso ottenuto, che individuino modalità, tempistica e costi della stessa, nonché indicazione esplicita del soggetto preposto alla manutenzione stessa, in coerenza con quanto previsto nell’allegato 1 alla DGR 16/07;

c) adeguate valutazioni sugli aspetti di tutela degli elementi ambientali coinvolti dagli interventi, anche in relazione al contesto ambientale-naturalistico in cui l’intervento si inserisce;

d) previsione di attività di monitoraggio a seguito della realizzazione dell’intervento, di norma attraverso un monitoraggio delle sezioni interessate

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Allegato 1 alla DGR 226/2009 Criteri e direttive in materia di asportazione

di materiali litoidi dai corsi d’acqua

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anche al fine della verifica della tendenza evolutiva del corso d’acqua, di durata, modalità e caratteristiche da valutare nell’ambito delle progettazioni in funzione delle tipologie dell’intervento.

9. Gli studi e le valutazioni necessarie a stabilire la necessità e le modalità di intervento ai sensi dei punti 2 e 5, da effettuarsi nell’ambito delle relative progettazioni di cui al punto 8, sono verificati ed approvati dalle Province, in qualità di Amministrazioni competenti al rilascio del provvedimento autorizzativo. Nell’ambito del procedimento autorizzativo, in particolare, la Provincia, nella sua qualità di organo dell’Autorità di Bacino Regionale, valuta ed esplicita la compatibilità del progetto con i criteri ed indirizzi dell’Autorità di bacino stessa.

10. L’asportazione dei materiale litoide dalle aree golenali limitrofe all’alveo attivo ed, in particolare, dalle aree individuate come fascia di riassetto fluviale ai sensi della definizione di cui alla DGR 357/01 e ss.mm., può riguardare, oltre gli interventi di cui al punto 2:

a) interventi di sistemazione idraulica e/o di rinaturalizzazione degli alvei fluviali e dei territori alluvionali connessi, anche mediante la creazione di zone umide o di ripristino dei collegamenti con le zone di pertinenza fluviale;

b) interventi finalizzati alla creazione di aree di espansione o casse di laminazione.

I relativi progetti di asportazione sono approvati previo parere della Provincia, nella sua qualità di organo dell’Autorità di Bacino regionale ed il materiale rimosso deve essere utilizzato nei modi e con le priorità indicate al punto 5.

11. A fini di monitoraggio e di verifica dell’impatto degli interventi, le Province inviano alla Sezione dell’Autorità di Bacino del Comitato Tecnico Regionale per il territorio una relazione informativa annuale a consuntivo, riguardante lo stato di approvazione ed attuazione degli interventi di cui al punto 2.

12. Resta fermo quanto già disposto dai criteri ed indirizzi regionali dell’Autorità di Bacino in relazione alla possibilità di riperimetrazione delle aree inondabili a seguito di interventi di risagomatura e di scavo degli alvei, con particolare riferimento a quanto previsto nell’allegato 1 alla DGR 16/07, nonché quanto disposto in criteri e direttive emanati dalla Giunta regionale in materia di ripascimento degli arenili, con particolare riferimento a quanto previsto dalla DGR 173/06.

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

RACCOMANDAZIONI TECNICHE PER LA VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI MORFODINAMICI

NELL’AMBITO DELLA REDAZIONE DI STUDI E PROGETTI DI INTERVENTI IDRAULICI

in attuazione della DGR 226/09

e ad integrazione del “Manuale di Morfodinamica” redatto dal DICAT dell’Università di Genova

Documento approvato dal Comitato Tecnico di bacino seduta del 29.07.2009

Documento 4.3/b

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Raccomandazioni tecniche in materia di morfodinamica fluviale Seduta CTR 29 luglio 2009

Documento 4.3/b Pagina 1 di 6

RACCOMANDAZIONI TECNICHE PER LA VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI MORFODINAMICI

NELL ’AMBITO DELLA REDAZIONE DI STUDI E PROGETTI DI INTER VENTI IDRAULICI

Premessa Con DGR 226/2009 sono stati approvati, quale aggiornamento e riorganizzazione delle direttive vigenti, i criteri e le direttive in materia di asportazione di materiale litoide dai corsi d’acqua nell’ambito del territorio di competenza dell’Autorità di Bacino di rilievo regionale. Tale deliberazione, tra l’altro, demandava alla elaborazione, da parte dell’Autorità di Bacino, di linee guida di tipo tecnico per la redazione di studi e progetti di interventi che abbiano effetti sulla morfodinamica fluviale, da redigere sulla base degli esiti della convenzione di ricerca sottoscritta con il dipartimento di Ingegneria delle Costruzioni, dell’Ambiente e del Territorio (DICAT) dell’Università di Genova in merito al ruolo della morfodinamica fluviale nei problemi di pianificazione di bacino e di progettazione idraulica. Tale convenzione ha portato in particolare all’elaborazione di un “Manuale di morfodinamica fluviale”, finalizzato ad individuare le metodologie per la valutazione dell’impatto morfologico negli studi e nelle progettazioni idrauliche, contenente anche la trattazione di casi di studio-tipo, utili ai fini applicativi per l’impostazione e la verifica di risultati progettuali. Ha fornito inoltre gli elementi essenziali propedeutici alla elaborazione delle presenti raccomandazioni.

Fermo restando quanto previsto dalle direttive di cui alla DGR 226/09, che permangono il riferimento normativo cogente in materia di asportazione di sedimenti, le presenti raccomandazioni tecniche rappresentano l’attuazione del mandato corrisposto al CTR stesso nell’ambito della stessa DGR 226/09 e sono pertanto da considerarsi integrative, sotto il profilo tecnico, rispetto alle direttive stesse, con particolare riferimento al disposto di cui al punto 8. Esse, in particolare, insieme al “Manuale di morfodinamica fluviale” redatto dall’Università di Genova su incarico della Regione Liguria, rappresentano criteri di riferimento, sia per i progettisti sia per i funzionari degli enti pubblici, per l’individuazione dei principali aspetti tecnici da trattare ed approfondire nell’ambito di studi e/o progetti per le diverse tipologie di interventi in relazione a possibili effetti morfodinamici.

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Raccomandazioni tecniche in materia di morfodinamica fluviale Seduta CTR 29 luglio 2009

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Raccomandazioni e criteri tecnici

Fermo restando quanto già indicato nelle direttive regionali di cui alla DGR 226/09 ad oggetto “Criteri e direttive in materia di asportazione di materiale litoide dai corsi d’acqua dei bacini idrografici regionali”, la raccomandazione di carattere generale consiste nell'esigenza di:

� analizzare preventivamente l'impatto morfodinamico di qualsiasi tipo di intervento da effettuarsi sui corsi d'acqua e, inoltre,

� verificare ex-post la correttezza delle previsioni attraverso sistematiche pratiche di monitoraggio.

Tale raccomandazione deve essere opportunamente declinata per le diverse tipologie di interventi, come di seguito esemplificato, precisando peraltro che le considerazioni che seguono si riferiscono a situazioni in cui l’alveo del corso d’acqua non sia invaso da vegetazione che rende i sedimenti meno mobili, ne intercetta il flusso inducendo indesiderati fenomeni di deposito e impedisce alle forme di fondo di grande scala (le barre fluviali) di migrare.

Come accennato, le seguenti raccomandazioni vanno lette in modo complementare ed integrato con il “Manuale di morfodinamica fluviale ” redatto dal DICAT dell’Università di Genova (di seguito denominato Manuale), riferimento sia per gli aspetti di impostazione concettuale e metodologica, sia per quelli applicativi ed operativi.

Resta ferma la necessità di tutti gli studi ed approfondimenti necessari in relazione alla tematiche naturalistico-ambientali (cfr. anche punto 8, lett. c) dell’allegato alla DGR 226/09), con particolare riferimento ai corsi d’acqua interessati da siti NATURA 2000 (aree SIC o ZPS).

1. Interventi di sistemazione dei corsi d’acqua.

I casi studio discussi nel Manuale mostrano che le proposte progettuali relative ad opere di sistemazione dei corsi d’acqua debbono includere l’analisi dell’impatto che, a breve o lungo termine, tali opere potranno avere sull’assetto morfologico del corso d’acqua. Prescindere dalla capacità della corrente di movimentare sedimenti e di modellare il fondo alveo, come avviene quando si adottano modelli a fondo fisso, può infatti comportare la predizione di comportamenti idraulici significativamente diversi da quelli reali, tali da suggerire soluzioni sistematorie che, nel tempo, si riveleranno inadeguate. Di seguito si indicano i criteri principali che dovranno essere adottati nella progettazione per alcune tipologie di intervento significative.

1.1 A riguardo di interventi di laminazione delle piene, l’efficacia di casse di laminazione, essendo condizionata dai processi di deposito determinati dall'idrodinamica delle casse, va verificata sollecitando l’opera con una sequenza di eventi caratterizzati da una portata al colmo pari alla portata di progetto, come descritto in maggior dettagli nel “Manuale” (cap. 5, caso 5.3.15). Criteri di progettazione analoghi vanno adottati per la progettazione di scolmatori di piena. È necessaria in entrambi i casi: - la verifica dell'entità dei processi erosivi che potranno manifestarsi a valle dell’opera nel

transitorio conseguente alla sua realizzazione, accertando, con i metodi discussi nel cap. 5 del Manuale e con riferimento agli stessi eventi utilizzati per la progettazione, che l'onda erosiva che si manifesterà in conseguenza dell’intervento proposto non metta in crisi alcuna delle opere che insistono in alveo nel tratto interessato, ovvero prevedendone gli opportuni interventi di protezione;

- la previsione di un adeguato programma di monitoraggio ex-post;

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Raccomandazioni tecniche in materia di morfodinamica fluviale Seduta CTR 29 luglio 2009

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- un progetto di gestione dei depositi, allo scopo di consentire l'attenuazione dei processi erosivi a valle e/o il ripascimento delle spiagge.

1.2 La progettazione di un diversivo o deviatore, anche parziale va eseguita proporzionando l’opera di diversione con riferimento ai profili della superficie libera e del fondo che si realizzano, all’equilibrio, con la partizione delle portate liquide e solide di progetto.

1.3 I benefici ottenibili attraverso l'introduzione di canali by-pass, per es. per il miglioramento delle condizioni di deflusso delle piene nell'attraversamento dei tratti cittadini, vanno verificati attraverso modelli a fondo mobile:

- sollecitando l’opera con la portata liquida di progetto e con la associata portata solida;

- determinando, con i metodi discussi nel cap. 4 del Manuale, l’assetto di equilibrio morfodinamico asintoticamente raggiunto dal fondo sia nel corso d’acqua principale che nel canale by-pass nonché i profili della superficie libera in ciascuno dei rami nelle dette condizioni.

1.4 Lo studio sulla sistemazione dei tratti focivi dei corsi d’acqua va eseguita con riferimento ai profili della superficie libera e del fondo che si realizzano, all’equilibrio morfodinamico, per la portata di progetto. A tale scopo si può fare utile riferimento in particolare a due casi studio trattati nel Cap. 5 del “Manuale”, i casi n. 15.3.13 e 5.3.14.

1.5 La progettazione di attraversamenti dotati di pile o spalle va eseguita al contrario sulla base di modelli a fondo fisso, a cui corrispondono condizioni di deflusso più gravose, dunque a favore della sicurezza. L’adozione di modelli a fondo mobile (vedi casi studio 5.3.10-11-12 riportati nel “Manuale”) è di ausilio allo scopo di individuare la quota più adeguata dell’eventuale plateazione rispetto al fondo indisturbato, al fine di ridurre gli effetti di rigurgito a monte.

2. Interventi di asportazione di materiali litoidi in presenza di fenomeni di sovralluvionamento

Una fattispecie di interventi in alveo che merita una menzione particolare è rappresentata dagli interventi che prevedono asportazioni di materiale litoide. Tale fattispecie può essere prevista nell’ambito di interventi di manutenzione straordinaria in casi di depositi/sovralluvionamenti che possano compromettere le condizioni di officiosità idraulica e/o, in specifiche situazioni, nell’ambito di interventi di sistemazione idraulica. La definizione e progettazione di questi interventi è certamente delicata, in quanto richiede di ricercare un adeguato equilibrio tra la necessità/opportunità di mitigare il rischio idraulico e gli impatti idraulico-ambientali che tali interventi comportano sia sul corso d’acqua stesso sia sui litorali connessi. Per conseguire questo delicato equilibrio occorre un concorso di contributi, nel rispetto dei criteri seguenti.

2.1 In linea generale si evidenzia innanzitutto che:

- in coerenza con il disposto della DGR 226/09, asportazioni di materiali litoidi da corsi d’acqua possono essere autorizzate, ove ne venga dimostrata la necessità ai fini della conservazione della sezione utile di deflusso e al mantenimento della officiosità delle opere e delle infrastrutture che insistono sul corso d’acqua;

- asportazioni o movimentazioni possono essere consentite se l'alveo ha subito in tempi recenti fenomeni di sovralluvionamento; di contro, non devono comunque essere autorizzati prelievi in alvei che sono in fase erosiva;

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Raccomandazioni tecniche in materia di morfodinamica fluviale Seduta CTR 29 luglio 2009

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- le autorizzazioni di asportazione di inerti devono essere fondate sulla conoscenza dello scostamento dell'assetto attuale del fondo da condizioni di equilibrio, determinabili utilizzando i procedimenti discussi nel Capitolo 4 del Manuale.

2.2 Al fine di stabilire soglie massime per i volumi asportabili e/o individuare la tipologia degli studi da effettuare, occorre disporre delle seguenti stime:

- da una parte, l’ammontare medio di sedimenti messi annualmente a disposizione del corso d’acqua da parte del bacino idrografico attraverso i processi ordinari di dilavamento del suolo e di collassi superficiali dei versanti,

- dall’altra l'ammontare medio di sedimenti trasportati da un evento di piena con periodo di ritorno prestabilito.

Allo stato attuale delle conoscenza e della pratica tecnico-progettuale, la prima stima risulta particolarmente complessa e incerta; si ritiene pertanto maggiormente percorribile collegare, in via ordinaria, le suddette soglie al secondo tipo di valutazione, ferma restando la possibilità di integrarle con stime del primo tipo, nei casi in cui esse possano essere affidabilmente effettuate.

2.3 Per quanto sopra, nell’ambito di studi/progetti che prevedano asportazione di materiali litoidi, dovrà anzitutto essere determinato il volume totale di sedimenti trasportati al fondo da l corso d’acqua , nel tratto considerato, in corrispondenza di un evento tipico caratterizzato da portata al colmo pari al valore a tteso dei valori di portata massima annuale (portata indice) del corso d’acqua, con idrogramma costruito secondo le procedure già previste dalle linee guida regionali ex DGR 357/08. Il calcolo del volume di sedimenti trasportato al fondo dal corso d’acqua in corrispondenza di tale evento si effettua con i metodi illustrati nel “Manuale”, Capitolo 2, confrontando opportunamente i risultati ottenuti con diverse metodologie ed il loro scostamento. Nel caso di risultati significativamente diversi sarà valutata caso per caso l’opportunità di adottare la formulazione più cautelativa, o eventuali valori medi. Si consiglia di effettuare il calcolo utilizzando la formula di Meyer Peter & Muller (cfr. Cap. 2, relazione (2.4.14)) e la formula di Parker (cfr. Cap. 2, relazioni (2.4.16, 17)).

2.4 Se il volume di sedimenti da asportare in un anno è inferiore ad una frazione dell’ordine del 10% del volume totale di sedimenti trasportati al fondo come sopra definito, il progetto relativo potrà essere corredato dalla documentazione fotografica del contesto ambientale in cui l’intervento si inserisce e da una relazione tecnico-idraulica che: - giustifichi l’esigenza dell’intervento a scopi di riduzione del rischio idraulico; - documenti che la tendenza del corso d’acqua non sia erosiva; - verifichi che l’intervento non induca o non peggiori situazioni di crisi dell’alveo nei tratti

circostanti, con particolare riferimento ad opere esistenti in alveo e non produca effetti dannosi in termini ambientali.

2.5 Se la richiesta di autorizzazione riguarda un volume di sedimenti superiore alla suddetta quota del volume totale di sedimenti trasportato al fondo dal corso d’acqua, nel tratto considerato, come sopra definito, la richiesta di autorizzazione all’asportazione dovrà essere basata su un adeguato progetto corredato da una documentazione tecnica più approfondita, che analizzi gli effetti dell’intervento in termini morfodinamici per l’intero corso d’acqua o tratti significativi, a breve e lungo termine. A tal fine le relazioni tecnico-progettuali e gli studi a supporto dovranno comprendere (oltre ovviamente agli ordinari studi ed indagini tipiche del livello progettuale) almeno le seguenti analisi ed approfondimenti:

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Raccomandazioni tecniche in materia di morfodinamica fluviale Seduta CTR 29 luglio 2009

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a) indagine geomorfologica finalizzata a definire ed illustrare il contesto ambientale nel quale l'intervento si inserisce, con l'analisi, per il tratto di corso d’acqua interessato, del grado di stabilità attuale dell'alveo e delle sponde, di eventuali dissesti in atto o potenziali e delle probabili tendenze evolutive degli stessi.

b) Indagini e valutazioni tecniche che descrivano ed dimostrino le motivazioni a supporto dell’esigenza dell’intervento, attraverso le seguenti attività:

- indagine morfologica che dimostri l’esistenza di un processo di sedimentazione in atto, per confronto fra rilievi del profilo longitudinale eseguiti in tempi recenti nel tratto di corso d’acqua interessato ed un rilievo del profilo attuale; ove non siano disponibili profili precedenti a quello attuale, devono tuttavia sussistere evidenze del fenomeno di sovralluvionamento accertate in un consistente numero di sezioni attraverso l’esame di manufatti esistenti, opere di difesa, quote della piana alluvionale, di cui siano accertate le configurazioni originarie;

- qualora nessuna delle suddette informazioni sia disponibile va comunque determinato il profilo di equilibrio e verificato che esistano situazioni di sovralluvionamento;

- una volta accertata l’esistenza di un processo di sedimentazione, verifica che ciò non sia causato dal fatto che il corso d’acqua non sia in una fase in cui tende a ripristinare il suo equilibrio morfodinamico modificato da processi erosivi indotti da eventuali eventi di piena eccezionali o da recenti interventi di sistemazione idraulica; tale verifica va effettuata utilizzando i metodi per la determinazione del profilo di equilibrio di un corso d’acqua discussi nel Manuale, con riferimento al colmo di portata liquida relativa all’evento tipico definito al punto 2.3 e alla portata solida pari alla corrispondente capacità di trasporto della corrente.

- indagine idraulica che attesti e dimostri che il processo di sedimentazione in atto ha accresciuto il rischio di esondazione del corso d’acqua nel tratto interessato dal previsto intervento e che quest’ultimo sia in grado di ridurre efficacemente le condizioni di rischio determinando condizioni non peggiori di quelle preesistenti al processo di sedimentazione.

- analisi idraulico-morfodinamica dell’evoluzione del profilo del fondo, dunque degli eventuali processi erosivi o di deposito, previsti nel tempo a seguito della realizzazione degli interventi proposti.

2.6 Particolare cautela va posta nella progettazione e verifica di interventi che prevedano una asportazione di materiale litoide superiore al volume totale di sedimenti trasportato al fondo in occasione di un evento calcolato secondo la metodologia discussa al punto 2.3. Tale valore dovrebbe di norma essere assunto come non superabile, a meno di casi particolari, debitamente documentati in relazione alle condizioni specifiche di sovralluvionamento e rischio idraulico connesso ovvero all’importanza del contributo che il corso d’acqua fornisce direttamente o indirettamente al trasporto solido costiero.

2.7 A riguardo delle modalità di rimozione degli inerti, le stesse dovranno essere tali da alterare il meno possibile le strutture morfologiche esistenti.

2.8 Dovrà essere verificato a posteriori l’impatto dell’intervento eseguito attraverso sistematiche pratiche di monitoraggio esplicitamente previste già in fase progettuale. Il monitoraggio dovrà consistere nell’acquisizione periodica di una documentazione fotografica e nel rilievo periodico, con cadenza annuale, del thalweg del corso d’acqua e di un congruo numero di sezioni nel tronco oggetto dell’intervento.

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Raccomandazioni tecniche in materia di morfodinamica fluviale Seduta CTR 29 luglio 2009

Documento 4.3/b Pagina 6 di 6

2.9 Nell’ambito dell’autorizzazione all’asportazione di materiale, va verificato se siano già stati realizzati altri interventi analoghi nel corso d’acqua, in particolare in periodi recenti. Anche nel caso di interventi di modesta entità, si deve tener conto della avvenuta autorizzazione/realizzazione di tali interventi e, preliminarmente alla nuova autorizzazione, vanno individuati ed analizzati gli effetti indotti dai precedenti interventi, attraverso opportuni monitoraggi, come indicato al punto 2.8.

2.10 A riguardo degli interventi di risagomatura e scavo del fondo alveo finalizzati ad aumentare la sezione di deflusso e conseguentemente ridurre il rischio idraulico, richiamando integralmente quanto già disposto dall’allegato 1 alla DGR 16/07, punto 3, lett. a), si specifica che gli studi a supporto di tali interventi dovranno, in ogni caso, far riferimento a quanto indicato ai punti precedenti.

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

CRITERI PER LA INDIVIDUAZIONE DI AREE A MINOR PERICOLOSITÀ RELATIVA E DI AMBITI NORMATIVI NELLA

FASCIA B DEI PIANI DI BACINO STRALCIO PER L’ASSETTO

IDROGEOLOGICO

Documento approvato con DGR n. 91/2013

Documento 4.4

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Criteri per individuazione aree a minor pericolosità Fascia B

Dgr n. 91/2013

Documento 4.4 Pagina 1 di 10

ALLEGATO 1 ALLA D.G.R. 91 DEL 01/02/2013

CRITERI PER LA INDIVIDUAZIONE DI AREE A MINOR PERICOLOSITÀ

RELATIVA E DI AMBITI NORMATIVI NELLA FASCIA B

DEI PIANI DI BACINO STRALCIO PER L’ASSETTO IDROGEOLOGICO

PREMESSA

Con la DGR 250/2005 sono stati approvati dalla Giunta Regionale, nella sua qualità di organo dell’Autorità di Bacino regionale, i criteri per la definizione dei cosiddetti “ambiti normativi delle fasce di inondabilità in funzione di tiranti idrici e velocità di scorrimento”, finalizzati in particolare ad individuare, nell’ambito delle fasce di inondabilità ad assegnati tempi di ritorno (fasce A e B) aree a “minor pericolosità relativa” tali da consentire diverse possibilità edificatorie.

Tali criteri fornivano, da una parte indicazioni per la determinazione delle soglie caratteristiche di tiranti idrici e velocità di scorrimento nelle aree inondabili che consentano una discriminazione dei livelli pericolosità in relazione alla normativa di piano di bacino, e, dall’altra, la corrispondente normativa di riferimento.

Si ricorda peraltro che la finalità del criterio era definire, sulla base delle caratteristiche di inondabilità delle zone, specifici ambiti sui quali prevedere una disciplina differenziata, connessa, in sostanza, alla possibilità di nuova edificazione in sicurezza. La definizione degli ambiti normativi non era quindi connessa alla definizione della pericolosità in senso assoluto, ai fini ad esempio di protezione civile o di conoscenza del rischio attuale, ma alla individuazione di un criterio a fini normativi, da applicare nel contesto normativo della pianificazione di bacino.

A seguito degli eventi alluvionali dell’autunno 2010 e 2011, per alcuni aspetti più intensi e frequenti degli eventi precedentemente occorsi, si è resa opportuna una valutazione dell’adeguatezza e dell’attualità dei criteri ex DGR 250/2005, con analisi di eventuali modifiche od integrazioni da apportare agli stessi.

In particolare, è stato ritenuto necessario che per la fascia A, corrispondente alle aree a più alta pericolosità idraulica in quanto inondabili a T=50 anni, debba essere sempre applicata la normativa ordinaria di fascia A, di cui al testo integrato dei criteri ex DGR 1265/2011. È stata pertanto prevista l’eliminazione della possibilità di individuazione di aree a minor pericolosità nella fascia A, tali da consentire una riclassificazione della stessa a fascia B, come previsto dalla DGR 250/2005.

Si è ritenuto inoltre necessario aggiornare il criterio tecnico di “minor pericolosità” da applicarsi in fascia B, sulla base dei criteri vigenti dal 2001, nell’obiettivo di privilegiare gli studi di dettaglio a scala di bacino o riguardanti tratti significativi di corso d’acqua, in quanto maggiormente affidabili rispetto a studi locali finalizzati alle singole edificazioni.

Il presente documento rappresenta l’aggiornamento dei criteri ex DGR 250/2005, che si intendono pertanto superati.

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Criteri per individuazione aree a minor pericolosità Fascia B

Dgr n. 91/2013

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CRITERI PER L’INDIVIDUAZIONE DI AREE

A MINOR PERICOLOSITÀ RELATIVA NELLA FASCIA B

Il criterio di pericolosità relativa in funzione di tiranti idrici e velocità di scorrimento può essere applicato a fini normativi solo nelle aree di fascia B, ed è articolato come illustrato nel seguito.

Si ricorda che la normativa regionale relativa alla fascia di inondabilità B (ex DGR 357/2001 e ss.mm. , come risulta dal testo integrato ex DGR 1265/2011) prevede la possibilità di nuova edificazione e/o ristrutturazione urbanistica in aree di tessuto urbano consolidato o da consolidare e a “minor pericolosità” in termini di tiranti idrici e velocità di scorrimento, con la messa in opera di accorgimenti tecnico-costruttivi efficaci per il non aumento del rischio accompagnati dalle adeguate misure di protezione civile.

Nel seguito vengono individuate le soglie di tiranti idrici massimi e velocità per aree a minor pericolosità in fascia B, laddove utilizzate per la determinazione di ambiti c.d. B0 nell’ambito della fascia B ovvero come applicazione della norma “ordinaria” di cui all’art. 15, c. 3, lett. a) dei piani di bacino vigenti.

Si specifica inoltre che le determinazioni che seguono prendono, in ogni caso, a riferimento gli esiti della consulenza tecnico-scientifica affidata negli anni 2003/2004 al Politecnico di Milano per la definizione di aree a minor pericolosità relativa nell’ambito delle fasce di inondabilità nonché l’individuazione dei più adeguati valori dei parametri di riferimento.

1. DETERMINAZIONE DEGLI AMBITI NORMATIVI DI FASCIA B NEL PIANO DI BACINO .

a) Cartografia degli ambiti normativi di fascia B

All’interno della fascia B possono essere individuate, sulla base delle caratteristiche dell’inondazione a T=200 anni, come già previsto dai criteri ex DGR 250/2005, aree a “minor pericolosità relativa”, B0, nelle quali sia consentito procedere ad interventi di nuova edificazione e di ristrutturazione urbanistica con la messa in opera di accorgimenti tecnico-costruttivi efficaci per il non aumento del rischio accompagnati dalle adeguate misure di protezione civile. Sulle restanti aree, BB, rimane appropriata la normativa generale di fascia B.

In continuità con quanto previsto nei criteri ex DGR 250/2005, le aree B0 sono individuate con il criterio di cui alla figura e tabella seguenti.

Figura 1. Soglie di pericolosità relativa in termini di tirante idrico locale h200 condizionato

alla velocità locale della corrente v200 ai fini della definizione degli ambiti normativi in fascia B

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Criteri per individuazione aree a minor pericolosità Fascia B

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Fascia B – Evento di piena per T= 200 anni

individuazione ambiti B0

Condizioni di velocità di scorrimento

Condizioni di tirante idrico

0 m/s < v < 1 m/s h ≤ 0,70 m

1 m/s < v < 1,5 m/s h ≤ 0,50 m

1,5 m/s < v < 2 m/s h ≤ 0,30 m

L’applicazione della metodologia di individuazione cartografica degli ambiti normativi qui delineata deve, in ogni caso, basarsi su risultati di studi idraulici di dettaglio, che permettano di determinare affidabilmente, oltre alla perimetrazione delle aree inondabili, le entità dei tiranti idrici e delle velocità di scorrimento che vi si realizzano. A tale proposito si richiama, tra l’altro, il disposto dell’allegato 2 alla DGR 16/2007. Tali studi dovranno prendere in considerazione l’intero corso d’acqua, o, in caso di bacini di rilevanti dimensioni, tratti significativi di corso d’acqua e/o l’area inondabile interessata nella sua interezza.

Non è esclusa peraltro la possibilità di addivenire all’individuazione degli ambiti B0 e BB anche sulla base di studi idraulici di supporto caratterizzati da un minor grado di approfondimento della modellistica matematica, quali quelli ad esempio che non consentano di determinare affidabilmente le velocità nelle aree inondabili, purché lo studio idraulico di supporto abbia comunque caratteristiche di sufficiente approfondimento, tali da permettere l’individuazione dell’entità dei tiranti idrici massimi all’interno delle aree inondabili stesse, e purché una valutazione, anche di massima, permetta di garantire che non vi si possano realizzare velocità elevate. In tali casi si può procedere alla redazione della carta degli ambiti normativi classificando, le zone B0 quali quelle in cui si verifichino valori dei tiranti massimi 200ennali inferiori a 0,30 m(valore che, sulla base degli studi effettuati, rappresenta la soglia che individua, in generale, condizioni di pericolosità modeste).

Fermo restando che, in assenza di studi di dettaglio, le fasce di inondabilità attualmente mappate mantengono la loro classificazione in zone A B e C, gli esiti degli studi di cui sopra saranno rappresentati in una apposita carta, in cui siano mappate le aree di fascia A, gli ambiti BB e B0, e la fascia C, come meglio specificato al punto b).

Si ricorda che i valori dei tiranti idrici e delle velocità, cui si fa riferimento nella procedura delineata ai paragrafi precedenti per l’individuazione della “minor pericolosità”, sono, in ogni zona, rispettivamente quelli massimi che si possono realizzare nella zona stessa durante l’evoluzione della piena. Solo in casi particolari, tuttavia, laddove possa risultare significativa la non contestualità dei valori massimi di tiranti e velocità nel corso della piena, possono, in alternativa, essere utilizzati i valori massimi del solo tirante idrico accoppiati ai contestuali valori di velocità.

Nella cartografia dovrà essere evitata la mappatura di aree a bassa pericolosità relativa inglobate in aree ad alta pericolosità relativa, specie se di modesta estensione rispetto all’area complessiva, anche se risultante dalla applicazione automatica dei criteri descritti (ad es. ambito B0 completamente contornate da un ambito BB o A); le singole situazioni dovranno, quindi, essere valutate nel merito dal redattore dello studio, in quanto tali “isole”, derivanti dalla mera applicazione della procedura sui risultati degli studi idraulici, sono da ritenersi non significative in termini di

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Criteri per individuazione aree a minor pericolosità Fascia B

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pianificazione di bacino. Sono inoltre da evitare, in coerenza con i criteri ex DGR 16/2007, mappature di aree inondabili o ambiti normativi significativamente condizionati da elementi urbanistico-edilizi.

b) Variante al piano di bacino vigente ed elaborati cartografici

L’aggiornamento del piano di bacino per il recepimento della definizione degli ambiti normativi di cui al punto a) deve comprendere i seguenti elaborati:

1) Carta aggiornata delle aree inondabili ai tempi di ritorno di 50, 200 e 500 anni (senza distinzione di tiranti e velocità) sulla base della modellistica di maggior dettaglio utilizzata;

2) Carta dei tiranti idrici massimi e carta delle velocità di scorrimento massime per le aree inondabili a tempi di ritorno 200 anni. Tali carte possono far parte degli elaborati di analisi e di supporto al piano, quali carte di riferimento senza costituire elaborati essenziali di piano da pubblicare e divulgare.

Fermo restando che dagli studi originali alla base della cartografia deve essere possibile dedurre la effettiva entità delle grandezze idrauliche nelle specifiche zone, le stesse possono essere rappresentate in classi nel modo ritenuto più adeguato, in relazione alla tipologia di bacino e alle risultanze degli studi condotti, prevedendo in ogni caso almeno le seguenti classi:

- per la carta dei tiranti idrici massimi: 0-30, 30-50, 50-70, 70-100, >100 cm. Laddove siano riscontrate entità di tiranti idrici attesi molto elevate, è opportuno introdurre ulteriori classi al fine di evidenziare la maggiore pericolosità delle zone, quali 100-200 cm, etc.

- per la carta delle velocità massime: 0-0.5, 0.5-1, 1-1.5, 1.5-2, >2 m/s. Valgono le considerazioni di cui sopra nel caso si riscontrino entità di velocità molto elevate.

3) Carta degli ambiti normativi (che per le zone di interesse sostituisce, a fini normativi, quella della fasce di inondabilità) con perimetrazione della aree A, BB, B0, e C ovvero aggiornamento della carta delle fasce di inondabilità purché risultino chiaramente distinte graficamente le zone ricadenti in una fascia B indifferenziata (in quanto non oggetto di studi di dettaglio a livello di piano di bacino) da quelle in cui si ha la differenziazione in ambiti BB e B0.

Le cartografie delle classi di tiranti e velocità delle aree inondabili a tempi di ritorno 50 e 500 anni, derivanti dagli stessi studi idraulici di dettaglio ed utilizzati per la definizione delle perimetrazioni delle fasce A e C, potranno comunque far parte degli elaborati a supporto del piano come implementazione del quadro conoscitivo, anche ai fini della pianificazione urbanistica e di protezione civile.

E’ importante ricordare che la definizione di “minor pericolosità relativa” si riferisce alla valutazione della più appropriata disciplina per gli interventi di nuova realizzazione rispetto alle specifiche caratteristiche delle inondazioni e non alla pericolosità intesa in senso prettamente tecnico delle zone, che, in relazione alla frequenza attesa delle inondazioni (tempi di ritorno), continuano a mantenere caratteristiche di pericolosità non trascurabili e richiederanno comunque l’adeguata considerazione in termini di protezione civile e di tutela degli insediamenti esistenti.

La carta del rischio del piano di bacino pertanto dovrà essere sempre prodotta sulla base delle fasce di inondabilità, non differenziate in termini di tiranti idrici e velocità.

c) Normativa associata agli ambiti normativi

Per le porzioni di territorio relativamente alle quali siano stati individuati gli ambiti normativi BB e B0, tali ambiti sostituiscono la fascia di inondabilità B “ordinaria” con la seguente articolazione

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generale:

- nell’ambito BB vige la norma generale di fascia B (cfr. art. 15, c.3, lett. b) e c) normativa-tipo ex DGR 1265/2011, con l’esclusione quindi della possibilità di nuova edificazione e ristrutturazione urbanistica. Ciò in quanto le aree a “minor pericolosità” risultano già escluse di fatto all’atto della perimetrazione dell’ambito BB;

- nell’ambito B0 vige la norma della fascia B nella sua interezza (cfr. art. 15, c.3, lett. a) normativa-tipo ex DGR 1265/2011), che prevede la ammissibilità, quindi, anche di nuova edificazione e ristrutturazione urbanistica in tessuto urbano consolidato o da completare, previo parere favorevole della Provincia, come specificato alla successiva lettera d), e purché siano assunte le opportune misure od accorgimenti tecnico-costruttivi nonché le azioni e le misure di protezione civile.

In ogni caso, su aree in cui il tirante idrico duecentennale previsto sia superiore a 30 cm non sono ammessi interventi interrati o seminterrati.

Fermo restando il principio generale sotteso alla pianificazione di bacino regionale di non insediare ulteriormente aree attualmente caratterizzate da un modesto o nullo grado di urbanizzazione al fine di non aumentarne il rischio attuale e di mantenerne la capacità di laminazione, qualora siano stati individuati gli ambiti normativi relativi alla fascia B di cui sopra possono essere consentiti, in deroga alla normativa generale ed esclusivamente nell’ambito B0, interventi sul patrimonio edilizio esistente eccedenti la ristrutturazione edilizia (quali interventi di ampliamento superiori alle soglie predeterminate dagli strumenti urbanistici), ivi compresa la demolizione con ricostruzione non fedele, senza cambio di destinazione d’uso, e a condizione che:

a) siano corredati da parere favorevole della Provincia, che, sulla base di eventuale documentazione tecnica a corredo della progettazione, verifichi in particolare che gli interventi previsti:

− non incidano negativamente sulle condizioni di pericolosità e di rischio dell’area di interesse e delle aree limitrofe, a monte e a valle, nel contesto anche dell’intera area B0;

− non pregiudichino la possibilità di realizzazione degli interventi di messa in sicurezza previsti dal Piano e non interferiscano con la fascia di riassetto fluviale;

e che tenga conto degli eventuali pareri già rilasciati, al fine di evitare che gli interventi incidano negativamente sul complessivo del livello di pericolosità e di grado di rischio rispetto allo stato originario dell’area inondabile in oggetto, unitariamente considerata, con riferimento anche a quanto specificato alla successiva lettera d);

b) siano previste le opportune misure od accorgimenti tecnico-costruttivi per la riduzione della vulnerabilità dei fabbricati;

c) risultino assunte le adeguate azioni e misure di protezione civile.

La definizione degli ambiti normativi delle fasce di inondabilità come sopra illustrata rientra nell’impostazione vigente della normativa dei piani di bacino stralcio per l’assetto idrogeologico, così come delineata dai criteri di cui al testo integrato ex DGR 1265/2011, trattandosi di fatto di una loro maggiore specificazione. La variante di recepimento di tali ambiti potrà pertanto essere approvata con l’iter semplificato di cui all’art. 10, c. 5 della l.r. 58/2009.

d) Misure di protezione passiva dagli allagamenti

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Condizioni essenziali per l’ammissibilità di nuove edificazioni nell’ambito B0 sono quindi l’adozione di misure ed accorgimenti tecnico costruttivi per la protezione passiva dagli allagamenti e la riduzione della vulnerabilità dei fabbricati, ed il parere positivo della Provincia.

Sarà compito della progettazione dei singoli interventi valutare la possibilità di individuare, nelle specifiche situazioni e caratteristiche dell’evento atteso, accorgimenti tecnico-costruttivi o altre misure che consentano l’adeguata protezione dell’elemento dalle inondazioni, e prevederne la messa in opera, anche attraverso ulteriori analisi di dettaglio relative al sito specifico.

La Provincia, ai fini dell’espressione del parere previsto dalla disciplina in questione, valuterà, nell’ambito del previsto parere di competenza, l’efficacia e l’affidabilità delle misure progettate in funzione delle grandezze idrauliche di riferimento. Inoltre, effettuerà, anche in funzione dell’entità dell’intervento edilizio in questione e dell’entità delle grandezze idrauliche di riferimento, una valutazione della possibile influenza sia dell’intervento edilizio richiesto sia degli accorgimenti costruttivi proposti sulla dinamica dell’inondazione, garantendo che non vengano aumentate le condizioni di pericolosità e di rischio nelle aree limitrofe.

In mancanza di altri dati, nel formulare il parere di competenza la Provincia tiene conto degli eventuali pareri già rilasciati, al fine di evitare un significativo aumento complessivo del livello di pericolosità, rispetto allo stato originario, dell’area inondabile, unitariamente considerata. (*)

Tenuto conto della delicatezza e complessità delle valutazioni di cui sopra, è opportuno prevedere nell’ambito degli studi idraulici di dettaglio che conducono alla determinazione degli ambiti B0, adeguate analisi e simulazioni finalizzate ad individuare il limite massimo di edificabilità complessivo delle aree inondabili (in termini di superficie e volume sottraibile alla piena) tale da non provocare aumenti di pericolosità e rischio nella zone limitrofe, in particolare a discapito delle edificazioni già esistenti, spesso non dotate di accorgimenti e misure di protezione locale. Tali studi potranno essere recepiti nei PUC quale presupposto per accertare la compatibilità della previsione di nuove edificazioni in aree inondabili B0, ovvero, nelle more degli adeguamenti degli strumenti urbanistici, costituire uno strumento di supporto per i pareri della Provincia.

A riguardo delle misure di protezione passiva dagli allagamenti, si ricorda che si tratta di interventi e/o misure finalizzati a ridurre le condizioni di rischio locale non attraverso la riduzione delle condizioni di pericolosità ma eliminando o riducendo la vulnerabilità delle edificazioni e manufatti, in modo che siano protetti dagli allagamenti e sia pertanto eliminato o significativamente ridotto il danno atteso in caso di evento alluvionale. Una indicazione esemplificativa, e non esaustiva, è riportata nell’allegato 5 della normativa dei piani di bacino, di cui al testo integrato ex DGR 1265/2011, allegato al presente documento per completezza. Gli accorgimenti possono essere utilizzati in contemporanea tra loro per una maggiore sicurezza ed affidabilità.

Si specifica inoltre che, a fini di compatibilità idraulica, devono essere privilegiate tipologie costruttive che non causino ostacoli al deflusso o limitino la capacità di invaso delle aree. La (*) Per quanto concerne la valutazione dell’aumento delle condizioni di pericolosità, per aumento non significativo si

intende un aumento trascurabile, in termini percentuali ed assoluti, delle attuali condizioni, da valutarsi negli specifici

casi, sulla base di adeguate analisi. In particolare, al fine di non alterare significativamente le condizioni di

pericolosità, deve essere garantito che i volumi sottratti alla espansione della piena di riferimento siano

percentualmente non rilevanti e non condizionino la dinamica attuale dell’esondazione, anche con riferimento

all’intero tratto di corso d’acqua analizzato. In tal senso, non devono in ogni caso risultare ampliate le fasce di

inondabilità a classe di pericolosità superiore, garantendo di non interessare con l’allagamento zone che attualmente

non ne sono raggiunte e di non aumentarne la classe di pericolosità idraulica, né risultare aumentati in modo

percentualmente significativo i volumi invasati, le entità dei tiranti idrici e delle velocità di scorrimento previste.

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tipologia maggiormente compatibile risulta pertanto quella di sopraelevazione a quote adeguate con fondazioni aperte (pilotis o similari). Nel caso in cui tali tipologie non possano essere adottate, va valutato l’eventuale aggravio che possa comportare l’edificazione, sia nei pressi della stessa sia più in generale nell’ambito dell’area inondabile.

Si ricorda ancora che i vari tipi di misure di protezione passiva dagli allagamenti (quali sopraelevazioni, cinturazioni o confinamenti idraulici, impermeabilizzazioni interne ed esterne) possono essere adottate anche in combinazione tra loro, al fine di aumentare la sicurezza degli insediamenti e la tutela di persone e beni.

Resta fermo che, in ogni caso, la quota del piano abitabile e/o agibile delle nuove edificazioni deve essere posta ad un livello almeno 0,5 m superiore a quello del tirante idrico associato alla piena duecentennale. Le eventuali strutture interrate, che possono essere realizzate solo in aree con tiranti idrici massimi non superiori a 30 cm, devono prevedere accessi posti ad una quota superiore al tirante anzidetto maggiorato di almeno 0.50 metri ed essere completamente stagne e non collegate direttamente con le reti di smaltimento bianche e nere.

Si specifica infine che gli accorgimenti tecnico-costruttivi e/o le misure di protezione passiva o autoprotezione, tenuto conto che la loro messa in opera è presupposto per l’ammissibilità delle edificazioni nelle fasce di inondabilità, devono far parte integrante dei progetti edilizi approvati e dei relativi titoli edilizi, ed essere vincolati al loro mantenimento senza modifiche nel tempo, anche in caso di atti compravendita. Qualora inoltre tali accorgimenti non siano realizzati o mantenuti conformemente ai pareri o autorizzazioni rilasciati , non potranno essere riconosciuti rimborsi per danni alluvionali.

Si ricorda inoltre la necessità che la realizzazione di interventi in aree B0, aree che sono comunque suscettibili di inondazione, sia accompagnata da tutte le adeguate misure e azioni di protezione civile, previste dai piani di bacino vigenti nonché dalla L.R. 9/2000, ivi comprese le adeguate misure di autoprotezione, con particolare riferimento ad interventi di tipo industriale, commerciale o ricreativo, o altri locali aperti al pubblico. (cfr. ad esempio allegato 7 della normativa dei piani di bacino, di cui al testo integrato ex DGR 1265/2011, allegato al presente documento per completezza).

2. APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA DI FASCIA B PER AR EE A MINOR PERICOLOSITÀ Laddove non si proceda alla individuazione degli ambiti normativi BB e B0 di cui al precedente punto 1) , la disciplina di fascia B come attualmente vigente, prevede in ogni caso per le c.d. “aree a minor pericolosità”, come da art. 15, c. 3, lett. a), la possibilità di nuova edificazione e ristrutturazione urbanistica in tessuto urbano consolidato o da completare, previo parere della Provincia da esprimere caso per caso.

Fermi restando gli interventi comunque ammessi nella fascia B, indipendentemente dall’entità di tiranti e velocità, come da art. 15, c.3, lett b) e c), tenuto conto che studi locali o limitati a ristrette aree interessate dalla previsione di nuove edificazioni non possono dare garanzie di affidabilità pari a quello di uno studio complessivo (per cui si ricadrebbe nella fattispecie del punto 1.) per la definizione di aree a minor pericolosità si fa riferimento alla soglia massima di 30 cm per il massimo tirante idrico, purché sia comunque verificato, anche con stime speditive, che l’entità delle velocità massime sia inferiore ai 2 m/s. .

Fa eccezione la valutazione di ammissibilità di interventi urbanistico-edilizi sul patrimonio edilizio esistente , sempre ricadenti in ambiti di tessuto urbano consolidato e da completare, eccedenti la ristrutturazione edilizia (quali gli ampliamenti superiori alle soglie predeterminate dagli strumenti

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urbanistici e/o la realizzazione di un piano abitativo in sommità degli edifici esistenti), per cui si può fare riferimento al grafico della figura 1 per le condizioni di minor pericolosità, purché nella realizzazione degli interventi edilizi si riduca contestualmente la vulnerabilità dell’edificio esistente.

Vale inoltre anche in questo caso quanto espresso alla lettera d) del precedente punto 1.

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Estratto normativa-tipo ex DGR 357/2011 e ss.mm., come da testo integrato ex DGR 1265/2011 (Allegati 5 e 7)

ACCORGIMENTI TECNICO-COSTRUTTIVI PER IL

NON AUMENTO DELLE CONDIZIONI DI RISCHIO IDRAULICO

Vengono di seguito definiti gli accorgimenti tecnico-costruttivi finalizzati al non aumento del rischio attuale, da adottarsi ai sensi delle lettere a) e b) del comma 3 nonché del comma 8 dell’art. 15 della presente normativa-tipo. A tal fine rileva la definizione di rischio idrogeologico assunta nel presente Piano, che, come è noto, risulta dalla combinazione dei seguenti tre fattori: (1) pericolosità, (2) valore degli elementi a rischio in termini di persone e beni; (3) vulnerabilità degli elementi a rischio, intesa come capacità dell’elemento a resistere all’evento. Nella specie, con riferimento al rischio idraulico, la pericolosità è rappresentata dalle fasce di inondabilità. Dalla definizione generale del rischio si evince che, affinché l’introduzione di un nuovo elemento in un’area interessata da possibili inondazioni non determini un aumento delle condizioni di rischio, deve poter essere eliminata la vulnerabilità dell’elemento stesso nei confronti dell’evento temuto. Pertanto gli accorgimenti tecnico-costruttivi finalizzati al non aumento del rischio attuale devono essere in grado di proteggere l’elemento stesso dagli allagamenti e limitare gli effetti dannosi per la pubblica incolumità conseguenti all’introduzione del nuovo elemento in occasione di un evento alluvionale. Ai fini della ammissibilità degli interventi di cui alle lettere a) e b) del comma 3 e di cui al comma 8 dell’art. 15 della presente normativa, occorre verificare, caso per caso, l’efficacia degli accorgimenti nella protezione del nuovo elemento dagli allagamenti, in considerazione in particolare sia delle caratteristiche dell’evento atteso (quali altezze idriche e velocità di scorrimento previste in caso di piena duecentennale) sia della alta vulnerabilità intrinseca di alcuni elementi (per esempio locali interrati o campeggi); tale verifica deve essere effettuata mediante un’analisi tecnico-idraulica basata sulle determinazioni del presente piano relativamente alla portata duecentennale. Qualora tali determinazioni non risultino sufficientemente approfondite per i casi in questione deve essere prodotto uno studio idraulico di dettaglio finalizzato a valutare l’entità e le caratteristiche del fenomeno nell’area interessata dall’edificazione. Le finalità sopra indicate possono essere perseguite attraverso l’adozione, sia singolarmente sia congiuntamente, delle seguenti misure od accorgimenti tecnico-costruttivi, elencati a titolo meramente esemplificativo:

1. il confinamento idraulico dell’area oggetto dell’intervento mediante sopraelevazione o realizzazione di barriere fisiche per la corrente di inondazione;

2. l’impermeabilizzazione dei manufatti fino a una quota congruamente superiore al livello di piena di riferimento mediante il relativo sovralzo delle soglie di accesso, delle prese d’aria e, in generale, di qualsiasi apertura;

3. il diniego di concessioni per locali interrati o insediamenti ad alta vulnerabilità; 4. il divieto di destinazioni d’uso che comportino la permanenza nei locali interrati.

In ogni caso la quota del piano terra abitabile delle nuove edificazioni deve essere posta ad un livello adeguatamente superiore a quello del tirante idirico associato alla piena duecentennale e le eventuali strutture interrate devono prevedere accessi posti ad una quota superiore al tirante anzidetto maggiorato di metri 0.50 ed essere completamente stagne e non collegate direttamente con le reti di smaltimento bianche e nere.

Ulteriori accorgimenti tecnico-costruttivi complementari ai precedenti possono essere: 1. l’installazione di stazioni di pompaggio; 2. la riorganizzazione della rete di smaltimento delle acque meteoriche nelle aree limitrofe; 3. la difesa mediante sistemi passivi dal rigurgito delle acque nella rete di smaltimento delle acque meteoriche, dei

quali sia predisposto un adeguato programma di manutenzione; 4. l’installazione di sistemi di allarme.

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INDIRIZZI DI PROTEZIONE CIVILE (Prevenzione ed emergenza)

Le carte di pericolosità redatte nell’ambito del presente Piano, quali la carta della suscettività a dissesto e la carta delle fasce di inondabilità, nonché la carta del rischio idrogeologico, sono propedeutiche alla predisposizione dei piani di protezione civile provinciali e comunali di cui alla l.r. n.9/2000 per quanto attiene al rischio idrogeologico. Nell’ambito di tali piani spetta ai Comuni competenti:

1. redigere una carta del rischio idrogeologico di maggior dettaglio finalizzata all’individuazione di situazioni puntuali con problematiche specifiche di protezione civile, ed in particolare che individui gli specifici elementi presenti e che diversifichi, in considerazione della loro caratteristica vulnerabilità, le aree a rischio.

2. individuare, relativamente ai manufatti soggetti a rischio elevato, attraverso analisi di dettaglio anche sotto l’aspetto costi-benefici, le soluzioni più opportune per la riduzione del rischio connesso (quali delocalizzazione, cambi di destinazione d’uso, provvedimenti di inabitabilità, sistemi di allarme, accorgimenti tecnico-costruttivi, ecc.).

3. fornire adeguata informazione alla cittadinanza circa il grado di esposizione al rischio desunto dalle carte di pericolosità e rischio, ed in particolare disporre l’apposizione lungo la viabilità ed in adiacenza ai manufatti siti in zone inserite nelle fasce di inondabilità, parzialmente o totalmente inondabili e/o allagabili, apposita segnaletica permanente del pericolo, e nei punti nevralgici, di pannelli a messaggio variabile, con alimentazione autonoma, che, sulla base dei bollettini di allerta, informano la popolazione sulle possibili situazioni di rischio.

Relativamente agli immobili destinati ad uso commerciale o ricreativo, agli impianti sportivi e ad altri locali aperti al pubblico devono essere predisposti idonei piani di evacuazione e/o messa in sicurezza degli edifici, coordinati con le azioni previste dal piano comunale di protezione civile.

In ogni caso, spetta al Comune vietare e/o disciplinare, mediante apposite segnalazioni o tramite la polizia comunale, la limitazione o la interdizione degli accessi nelle aree o infrastrutture esposte al rischio, la permanenza nei locali interrati e/o seminterrati nonché in quelli siti allo stesso livello del piano stradale a rischio di inondazione e/o di allagamento contestualmente alla diramazione dello stato di allerta.

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

INDIRIZZI PER LA RIPERIMETRAZIONE E LA RICLASSIFICAZIONE DELLE FRANE ATTIVE E QUIESCENTI, CHE DETERMINANO AREE A SUSCETTIVITÀ AL DISSESTO ELEVATA E MOLTO ELEVATA (PG 3 E PG4), A SEGUITO DI

STUDI DI MAGGIOR DETTAGLIO NELLA PIANIFICAZIONE DI BACINO STRALCIO PER L’ASSETTO IDROGEOLOGICO DI

RILIEVO REGIONALE.

Documento approvato con DGR n.1338/2007

Documento 5.1

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Indirizzi riperimetrazione e riclassificazione frane Dgr n.1338/2007

Documento 5.1 Pagina 1 di 8

ALLEGATO 1 ALLA DGR N. 1338/2007

PARTE A

INDIRIZZI PER LA RIPERIMETRAZIONE 1 E LA RICLASSIFICAZIONE 2 DELLE FRANE ATTIVE E QUIESCENTI, CHE DETERMINANO AREE A SUSCETTIVITÀ AL DISSESTO ELEVATA E M OLTO ELEVATA (PG3 E PG4), A SEGUITO DI STUDI DI MAGGIOR DETTAGLIO NELLA PIANIFICAZION E DI BACINO STRALCIO PER L ’ASSETTO IDROGEOLOGICO DI RILIEVO REGIONALE . Premessa. I criteri per la normativa di attuazione dei piani di bacino stralcio di cui alla DGR 357/01 e ss.mm. prevedono che le classi di suscettività al dissesto e le relative perimetrazioni possano essere modificate da parte delle Province con la procedura semplificata di cui all’art.97, c.15 della l.r.18/1999. A tal fine individuano nella realizzazione di interventi di sistemazione e di bonifica del dissesto ovvero nell’elaborazione di studi di maggior dettaglio i presupposti della modifica. Nell’attuale fase di gestione dei piani di bacino stralcio risultano frequenti le modifiche alle classi di pericolosità elevata e molto elevata, Pg3 e Pg4 , definite nella cartografia della suscettività al dissesto dei piani, conseguenti ad approfondimenti del quadro conoscitivo dei corpi franosi basati su studi di maggior dettaglio. Al riguardo i criteri di cui al paragrafo 4, approvati con DGR 357/01, dispongono che gli studi di maggior dettaglio prendano in esame l’intero areale perimetrato e comunque areali di ampiezza significativa, quali quelli svolti nell’ambito degli studi fondativi degli strumenti urbanistici comunali ovvero quelli integrativi eseguiti dalla Provincia stessa. Tali criteri sono stati recepiti dalla normativa-tipo di cui all’allegato 2 della DGR 357/01 (art. 16 comma 7 bis) e dalle normative di attuazione dei vari piani stralcio regionali approvati e vigenti. Assume, pertanto, particolare rilevanza, tenuto conto delle conseguenze sul regime normativo dei piani di bacino, tracciare un percorso metodologico omogeneo, attraverso una migliore esplicitazione dei criteri vigenti, che definisca ulteriori elementi tecnici relativi, in particolare, al contenuto degli studi di maggior dettaglio, anche al fine di assicurarne l’uniformità a livello regionale in sede di applicazione. A tale scopo vengono individuati i contenuti tecnici essenziali che assumono carattere vincolante, nel momento in cui si proceda alla riperimetrazione delle aree a suscettività al dissesto sulla base di studi di dettaglio.

1 Per riperimetrazione di frana si intende la ridefinizione del perimetro della frana stessa senza modifica dello stato di attività. 2 Per riclassificazione si intende il passaggio dello stato di attività della frana da attivo a quiescente, da quiescente a stabilizzato.

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Indirizzi riperimetrazione e riclassificazione frane Dgr n.1338/2007

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Si fornisce, inoltre, una Linea guida, non vincolante, avente ad oggetto gli elaborati geologici a supporto delle istanze di riperimetrazione e riclassificazione delle aree di frana attiva e quiescente che determinano aree a suscettività al dissesto elevata e molto elevata Pg3 e Pg4, che costituisce, peraltro, un valido strumento di riferimento, quale manuale d’uso, nel caso si proceda ad approfondimenti tecnici sui corpi franosi. Tale documento, infatti, individua gli aspetti qualitativi della documentazione tecnica a supporto delle istanze in oggetto, esplicitando i rilievi, le carte, le indagini e le analisi che concorrono alla definizione del modello geologico e del modello geotecnico dell’areale oggetto della proposta di modifica. Elementi per la riperimetrazione e riclassificazion e delle frane attive e quiescenti a seguito di studi di maggior dettaglio. In base a quanto previsto dai criteri per la redazione dei piani di bacino, richiamati in premessa, le richieste di modifica relative alla perimetrazione ed alla classificazione delle aree Pg3 e Pg4 direttamente conseguenti alle proposte di riperimetrazione e di riclassificazione di corpi franosi, devono essere supportate da un approfondimento del quadro conoscitivo del piano mediante l’acquisizione di nuove conoscenze, studi e/o indagini di maggior dettaglio, fatti salvi gli errori cartografici materiali, e devono riguardare interi corpi di frana o porzioni di essi. L’approvazione delle modifiche di che trattasi da parte delle Province, in quanto organo dell’Autorità di Bacino di rilievo regionale, presuppone la sussistenza dei seguenti elementi tecnici vincolanti, che costituiscono una integrazione e migliore specificazione dei criteri generali sopra enunciati. L’areale oggetto dello studio deve essere identificato nell’intero corpo di frana o in una porzione dello stesso caratterizzata, in ogni caso, da una propria identità e dinamica geomorfologica. Lo studio deve inoltre considerare ed escludere che eventuali evoluzioni nel tempo di settori di frana contigui interessino o abbiano ripercussioni sui settori riperimetrati. La riclassazione dello stato di attività e la riperimetrazione del corpo franoso devono essere supportate da osservazioni di campagna, da indagini geologiche, geotecniche ed idonee tecniche di monitoraggio nei termini di seguito esplicitati. E’ necessario innanzitutto inquadrare l’area oggetto di modifica nel contesto generale di assetto geologico, geomorfologico, idrogeologico, d’uso del suolo (presenza di eventuali elementi a rischio), suscettività d'uso, esteso ad un areale significativo del versante, con particolare riguardo agli elementi che possano produrre fenomeni di instabilità attivi o potenziali ed alle problematiche connesse con la circolazione idrica delle acque superficiali e sotterranee. Per areale significativo si deve intendere l’areale che comprende il territorio che, caso per caso, include gli elementi geolitologico - formazionali, tettonico - strutturali, geomorfologici e idrogeologici facenti capo all'unità geomorfologica di riferimento nel quale ricade la richiesta di riperimetrazione o di riclassificazione; l'analisi di tali elementi concorre, insieme alla ricostruzione dei caratteri stratigrafici, alla definizione del modello geologico dell'area in esame. E’ pertanto fondamentale, sulla base di rilievi, analisi di dettaglio, studi e ricerche, considerare i seguenti elementi: a) lineamenti geologici e geomorfologici, derivati da osservazioni di campagna integrate da analisi

di fotointerpretazione e comunque sempre desunti da rilievi specificatamente finalizzati, che rappresentino gli affioramenti, l’assetto stratigrafico, tettonico-strutturale e giaciturale, la

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valutazione della potenza delle coltri detritiche ed ogni altro elemento ritenuto significativo ai fini della riperimetrazione o riclassificazione dell’area;

b) raccolta di notizie storiche riferite all’evoluzione morfologica del versante con specifico riferimento agli eventi franosi storicamente documentabili nonché ad eventuali danni subiti dalle strutture o infrastutture esistenti;

c) rilievo di indicatori cinematici significativi, quali ad esempio lo stato di consistenza dei manufatti nel tempo, compresa l’analisi temporale del quadro fessurativo (geometrie, sviluppo, evoluzione ecc. delle lesioni), l’assenza o la presenza sul terreno di fratture, trincee, crolli, rigonfiamenti ecc., lo stato e lo sviluppo della copertura vegetazionale comprese le condizioni del soprassuolo;

d) schema della circolazione idrica sia superficiale che sotterranea, per valutare eventuali rapporti con possibili fenomeni di innesco e di riattivazione del corpo franoso;

e) eventuale presenza ed efficienza di interventi di consolidamento precedentemente realizzati . Qualora l’insieme delle risultanze degli elementi sopraindicati non risultasse sufficiente ed esaustivo per la ricostruzione dei caratteri stratigrafici, strutturali, idrogeologici, e più in generale di pericolosità geologica ai fini della caratterizzazione e della modellazione geologica del sito per la riperimetrazione e la riclassificazione dei corpi franosi, il quadro degli approfondimenti deve essere completato con l’acquisizione dei dati stratigrafici e geotecnici di sottosuolo e con l’utilizzo di strumenti e tecniche di monitoraggio. Gli strumenti e le tecniche di monitoraggio, quali inclinometri, fessurimetri, GPS, traguardi topografici, interferometria radar-satellitare, ecc., utilizzati anche in modo complementare, costituiscono, infatti, oggettivi strumenti a supporto delle istanze, qualora siano disponibili misure per un periodo temporale adeguato, e, comunque, caratterizzato da valori di precipitazione rientranti almeno nelle medie annuali, su cui fondare la determinazione dello stato di attività del corpo franoso. La riclassificazione dell’area non può essere, in ogni caso, basata esclusivamente sugli esiti dei monitoraggi strumentali ma necessariamente deve anche derivare da valutazioni d’insieme del corpo franoso con particolare riferimento alle evidenze geomorfologiche ed alla presenza o meno di elementi potenzialmente destabilizzanti (es. erosione al piede da corso d’acqua ecc.). Dei dati raccolti attraverso le indagini geologiche, le indagini geotecniche ed i monitoraggi strumentali si deve tener conto nella verifica di stabilità del versante. La superficie del pendio deve essere definita attraverso un rilievo plano-altimetrico in scala adeguata ed esteso ad una zona sufficientemente ampia a monte e valle del pendio stesso e comunque riguardare tutta l’area oggetto della richiesta ed un intorno significativo. La verifica deve essere effettuata con metodi che tengano conto della forma della superficie di scorrimento, dell’assetto strutturale, dei parametri geotecnici e del regime delle pressioni interstiziali. Si evidenzia, infine, che le problematiche connesse a valutazioni di eventuali interferenze tra eventi sismici attesi e possibili riattivazioni di corpi franosi, ritenute meritevoli di considerazione, verranno affrontate in un successivo aggiornamento dei presenti indirizzi che terrà conto dei riferimenti tecnico-normativi in materia, allo stato attuale in fase di definizione a livello regionale. Ad ogni buon conto si ritiene comunque opportuno tenere fin d’ora in considerazione, almeno nell’ambito della procedura delle verifiche di stabilità per le istanze di riclassificazione da frana quiescente a stabilizzata, dei possibili effetti dovuti all’azione sismica locale in base alle normative vigenti.

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Indirizzi riperimetrazione e riclassificazione frane Dgr n.1338/2007

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PARTE B

LINEA GUIDA IN MERITO AGLI ELABORATI GEOLOGICI A SU PPORTO DELLE ISTANZE DI RIPERIMETRAZIONE E RICLASSIFICAZIONE DELLE AREE DI FRANA ATTIVA E QUIESCENTE CHE DETERMINANO AREE A SUSCETTIVITÀ AL D ISSESTO ELEVATA E MOLTO ELEVATA (PG3 E PG4), A SEGUITO DI STUDI DI MAGGIOR DETTAGLIO NELLA PIANIFICAZIONE DI BACINO DI RILIEVO REGIONALE – MODIFICHE AI SENSI DELL ’ART.97, COMMA 15 DELLA L.R.18/1999

Il presente documento vuole costituire una prima edizione di un “manuale d’uso” di riferimento per i professionisti ed i tecnici degli enti locali chiamati a definire ed esaminare la documentazione tecnica a supporto delle istanze di riperimetrazione e riclassificazione al fine di poter disporre, in maniera sistematica, di riferimenti efficaci ed uniformi agli scopi prefissi.1 1 Cartografia L’istanza di riperimetrazione o riclassificazione è corredata dai seguenti stralci cartografici alla scala di maggior dettaglio e comunque adeguata ad una rappresentazione esaustiva delle problematiche. Le simbologie delle legende fanno riferimento agli standard già codificati con le seguenti Raccomandazioni: n.3bis/1999 "Legende per: Carta Geolitologica - Carta dell'orientamento dei versanti - Carta dell'acclività dei versanti - carta Idrogeologica - Carta Geomorfologica" e n.4/1996 "Legende per: Carta della vegetazione reale - Carta di copertura e di uso del suolo- Carta di dettaglio dei movimenti franosi- Scheda per il censimento dei movimenti franosi". L’area viene inquadrata nel contesto geologico generale attraverso: - Cartografia geologica nella quale sono riportati gli affioramenti del substrato roccioso, le aree

con roccia sub affiorante (spessore copertura < 1 m) e le coperture, indicandone la natura (eluvio – colluviali, gravitative) e lo spessore stimato (almeno diviso nelle due categorie “coperture sottili” – spessore da 1 a 3 m e “coperture potenti” – spessore oltre 3 m). Sono, inoltre, cartografate le eventuali giaciture di strato, i sistemi di discontinuità e le lineazioni tettoniche riconosciute o presunte.

La rappresentazione degli aspetti specifici di dettaglio vengono definiti nei seguenti elaborati:

1 La struttura di tale guida richiama in buona parte quella del documento approvato dal Comitato Tecnico dell’Autorità di Bacino del F.Magra nella seduta del 19/06/07 ad oggetto “Allegato 7 – modalità applicative”.

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- Carta geomorfologica: in merito all’individuazione, perimetrazione e classificazione dei dissesti (scivolamento rotazionale, scivolamento planare, crollo, colamento ecc.) è specificato, con apposita simbologia, se si tratti di forme superficiali o profonde che coinvolgono il substrato roccioso. E’, inoltre, segnalata l’eventuale presenza di indicatori cinematici (lesioni dei manufatti, inclinazione di alberi e tralicci, deformazioni di muri di contenimento e sedi stradali, rigonfiamenti e contropendenze, fratture di trazione ecc.), riconoscendo anche le principali forme, processi e depositi presenti, dovuti sia alla gravità che alle acque correnti superficiali che all’azione antropica, nonché le relative tendenze evolutive (ad es. scarpate in erosione, alvei in approfondimento ecc). Si raccomanda, ovunque possibile, di integrare il rilievo di campagna con fotointerpretazione, preferibilmente multitemporale (citando voli, anno di ripresa, scala, strisciata e fotogrammi nella Relazione geologico-tecnica di seguito definita al punto 8).

- Carta idrogeologica: vengono riportate, oltre la permeabilità relativa delle formazioni presenti

ed il reticolo idrografico superficiale, anche le eventuali sorgenti (libere o captate), pozzi (profondità, stratigrafia e livello di falda se disponibili) e le aree caratterizzate da ristagni idrici; sono anche individuati eventuali punti critici (attraversamenti, tombamenti, pozzetti, griglie ecc.). Sono fornite indicazioni in merito alla presenza/assenza di falda sotterranea, derivanti da osservazioni dirette di piezometri e/o pozzi esistenti e/o appositamente installati o realizzati.

- Carta della suscettività al dissesto e delle modifiche proposte: cartografia in scala idonea

(almeno uguale a quella della cartografia di piano) contenente la proposta di nuova perimetrazione e/o classificazione del grado di suscettività al dissesto, anche con stato di raffronto rispetto alla perimetrazione/classificazione riportata nel piano di bacino. Tale cartografia è da redigersi secondo i criteri e le classificazioni adottate nei piani di bacino. In ogni caso si ribadisce che le riperimetrazioni proposte devono avere un “significato geomorfologico” e non essere limitate a singoli lotti di terreno.

2 Caratterizzazione litotecnica : Le formazioni ed i terreni presenti possono essere classificati in Unità litologico–tecniche in base al comportamento geotecnico. Per valutare il comportamento globale di un ammasso roccioso in termini di resistenza, si può ricorrere a: - metodi indiretti basati su indici di qualità (classificazioni geomeccaniche) - criteri di rottura empirici e semiempirici (tipo Hoek e Brown) - modelli matematici basati su back analysis. Tale cartografia tematica può altresì utilizzare i dati ricavati dalle prove in situ e dalle eventuali prospezioni geofisiche. 3 Sezioni geologiche Le sezioni geologiche sono convenientemente estese in senso longitudinale e trasversale al versante e realizzate in scala adeguata. Il loro numero deve essere tale da consentire la ricostruzione e la comprensione dell’assetto stratigrafico e geologico-strutturale dell’area indagata. Ove effettuate vengono altresì riportati i dati acquisiti con le prove in situ. Viene evidenziato l’andamento dell’eventuale stratificazione/fratturazione del substrato e dei piani di scivolamento riconosciuti o ipotizzati, sia nella coltre superficiale che nel substrato roccioso.

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4 Indagini in sito e in laboratorio L’indagine viene corredata da indagini di tipo diretto (sondaggi, pozzetti, prove penetrometriche dinamiche e/o statiche ecc.) e indiretto (geofisiche, stese sismiche ecc.) eseguite ex-novo o derivanti dalla bibliografia raccolta relativamente ad indagini pregresse già eseguite in loco. I sondaggi potranno essere, se del caso, attrezzati con piezometri, per la rilevazione dell'andamento dei livelli di falda/e, e con inclinometri atti a determinare il movimento e direzione del corpo di frana e la superficie/i di scivolamento. Verrà eseguito un programma di campionamento nei fori di sonda e nei pozzetti geognostici, i campioni, indisturbati e rimaneggiati, verranno sottoposti alle prove di laboratorio necessarie ad individuare i parametri geotecnici dei litotipi che caratterizzano il corpo di frana, necessari allo sviluppo delle verifiche di stabilità. L’insieme delle indagini in sito concorre, con i rilievi di campagna di maggior dettaglio, alla definizione della caratterizzazione e modellazione geologica e del modello geotecnico dell’area in esame, definiti al successivo punto 8. Le indagini e le prove eseguite devono essere ubicate in cartografia. 5 Verifiche di stabilità del versante Sulla base del modello geologico di riferimento, ricostruito ed adeguatamente illustrato con le sezioni geologiche e dagli esiti di specifiche indagini per la caratterizzazione geotecnica dei terreni e delle rocce dovrà essere elaborato il modello geotecnico adottato per le verifiche di stabilità del versante. Le verifiche di stabilità del versante sono redatte in scala adeguata ed eseguite secondo le disposizioni di legge vigenti condotte tenendo conto delle più recenti normative di settore; devono essere, comunque, effettuate con metodi che tengano conto della forma della superficie di scorrimento, dell’assetto strutturale, dei parametri geotecnici e del regime delle pressioni interstiziali. Le verifiche di stabilità dovranno riguardare tutta l’area oggetto della richiesta ed essere estese ad una zona sufficientemente ampia a monte e a valle del pendio stesso e comprendere anche eventuali superfici profonde; fondamentale è la valutazione della presenza della falda acquifera. Si esplicita la metodologia adottata, lo schema di calcolo nonché sono riportate tutte le superfici studiate con i relativi risultati. Ulteriori elementi da valutare nell’insieme dei dati raccolti sono costituiti dallo stato della vegetazione e dalle condizioni del soprassuolo. In particolare viene rilevato lo stato e la funzionalità idrogeologica della copertura vegetazionale, con particolare riferimento a forma di governo e struttura del soprassuolo (stratificata, monoplana, ecc.), composizione specifica (copertura del suolo, sviluppo degli apparati radicali ecc.), stato vegetativo e fitosanitario, valutazione della stabilità complessiva del soprassuolo, presenza di indicatori di ristagno idrico (specie igrofile) e/o di movimento dell’area (singoli fusti e/o soprassuoli inclinati, distacco di ceppaie,..), valutazione dei precedenti aspetti in relazione allo stato dei suoli. Infine per le istanze di riclassificazione da frana quiescente a stabilizzata è opportuno tenere conto in tali verifiche dei possibili effetti dovuti all’azione sismica locale utilizzando i parametri di riferimento in base alla normativa vigente, a tale proposito si richiamano le indicazioni contenute nelle Nuove norme tecniche per le costruzioni (NTC) in corso di imminente emanazione. 6 Valutazioni sull’evoluzione pregressa del dissest o La valutazione del comportamento pregresso dell’area indagata può essere ottenuta mediante l’analisi multitemporale di foto aeree (ortofoto, immagini da satellite o altro, citando, come precedentemente indicato, volo, anno di ripresa, scala, strisciata e fotogrammi), da analisi di fonti storiche e documentali (ricerche d’archivio) nonché da quanto eventualmente rilevato sul terreno. Tra le possibili ed auspicabili indagini capaci di fornire dati sullo stato di acquisita o congenita stabilità, ovvero di quiescenza o di attività, e sulle caratteristiche dell’evoluzione geomorfologica del corpo in esame nei decenni precedenti, si raccomanda il rilevamento strutturale e dello stato di consistenza dei manufatti nel tempo, compresa l’analisi temporale del quadro fessurativo: rilievo

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delle geometrie, dello sviluppo e considerazione dell’evoluzione delle lesioni sui fabbricati esistenti all’interno ed eventualmente nell’immediata periferia del corpo franoso. Tali rilievi sono sottoscritti da tecnico competente. 7 Monitoraggi Sulla base del grado di conoscenza delle caratteristiche cinematiche del corpo di frana viene stabilita la necessità dell’impiego di tecniche e strumenti di monitoraggio quali: inclinometri, fessurimetri, crepemetri, traguardi topografici, rilievi GPS, ecc. Inoltre valutazioni in merito alle risultanze di analisi dei dati di interferometria radar-satellitare relative al periodo temporale 1996-2003, qualora disponibili, possono essere messi a disposizione dalla Regione. Gli strumenti di monitoraggio in generale devono essere letti per un periodo significativo e sufficiente e comunque caratterizzato da valori di precipitazione rientranti almeno nelle medie annuali. 8 Relazione geologico - tecnica La Relazione geologico-tecnica in particolare descrive la metodologia di lavoro adottata e la finalità perseguita, commenta tutte le cartografie prodotte, le indagini svolte ed i risultati conseguiti. In particolare, fermo restando quanto disposto dalla legislazione vigente, vengono descritte l’area studiata (ubicazione, quote massima e minima, esposizione, pendenza media, uso del suolo, idrografia) e tutte le evidenze geometriche, geologiche e geomorfologiche di campagna. Con specifico riferimento alla cartografia ed agli elaborati prodotti in allegato viene fornita una valutazione, anche qualitativa, del grado di stabilità dell’area studiata ed una descrizione delle modifiche cartografiche richieste, con riferimento a quanto riportato nel piano di bacino.. Tutte le informazioni raccolte durante le indagini geologiche servono per definire la caratterizzazione e la modellazione geologica2 dell’area. Qualora siano state effettuate indagini geotecniche la relazione deve altresì motivare adeguatamente ed esplicitamente le scelte progettuali riguardanti il tipo ed i mezzi d’indagine utilizzati, la natura, l’ubicazione e la quantità delle indagini effettuate, in accordo con le condizioni geologiche locali e con l’estensione dell’area oggetto della richiesta; la significatività dei dati ottenuti, che concorrono alla definizione del modello geotecnico3, deve essere esplicitamente attestata con assunzione specifica di responsabilità da parte del professionista. 9 Documentazione fotografica A corredo di quanto sopra viene prodotta idonea documentazione fotografica dell’area indagata, degli affioramenti, del rilevamento strutturale e dello stato di integrità dei manufatti, della campagna di indagini condotta e dei saggi, se eseguiti, e comunque di tutti gli aspetti ritenuti più significativi. I punti e le direzioni di ripresa sono ubicati su idonea cartografia ed opportunamente numerati. BIBLIOGRAFIA – DOCUMENTI CONSULTATI - Allegato tecnico alla DGR n. 1182/2002 “ Approvazione ai sensi dell’art. 17,c.6, della L.R.

183/89 delle disposizioni riguardanti l’attuazione del PAI del F.Po nel settore urbanistico”– Regione Liguria

2 La caratterizzazione e la modellazione geologica del sito consiste nella ricostruzione dei caratteri litologici, stratigrafici, strutturali, idrogeologic, geomorfologici e, più in generale, di pericolosità geologica del territorio. 3 Per modello geotecnico si intende, in generale, uno schema rappresentativo delle condizioni stratigrafiche, del regime delle pressioni interstiziali e della caratterizzazione fisico-meccanica dei terreni e delle rocce, comprese nel volume significativo, finalizzato all’analisi quantitativa di uno specifico problema geotecnico.

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Indirizzi riperimetrazione e riclassificazione frane Dgr n.1338/2007

Documento 5.1 Pagina 8 di 8

- “Allegato 7 – Modalità applicative” Comitato Tecnico dell’Autorità di Bacino del F.Magra seduta

del 19/06/2007 - Bozza “Norme Tecniche per le costruzioni” testo approvato dall’Assemblea Generale del

Consiglio Superiore dei LL.PP. in data 27/07/2007

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

INTEGRAZIONI E SPECIFICAZIONI ALLA DGR 1338/07 RECANTE “INDIRIZZI PER LA RIPERIMETRAZIONE E

RICLASSIFICAZIONE DELLE FRANE ATTIVE E QUIESCENTI, CHE DETERMINANO AREE A SUSCETTIVITÀ AL DISSESTO

ELEVATA E MOLTO ELEVATA, A SEGUITO DI STUDI DI MAGGIOR DETTAGLIO NELLA PIANIFICAZIONE DI BACINO DI

RILIEVO REGIONALE”

Documento approvato con DGR n.265/2010 – Allegato 1

Documento 5.2

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Integrazioni alla Dgr n. 1338/2007 Indirizzi per riperimetrazione e riclassificazione frane

Dgr n.265/2010

Documento 5.2 Pagina 1 di 29

ALLEGATO 1 ALLA DGR N .265/2010

INTEGRAZIONI E SPECIFICAZIONI ALLA DGR 1338/07 RECANTE “ INDIRIZZI PER LA RIPERIMETRAZIONE E RICLASSIFICAZIONE DELLE FRANE AT TIVE E QUIESCENTI, CHE DETERMINANO AREE A SUSCETTIVITÀ AL DISSESTO ELEVATA E MOLTO ELEVATA , A

SEGUITO DI STUDI DI MAGGIOR DETTAGLIO NELLA PIANIFI CAZIONE DI BACINO DI RILIEVO REGIONALE ”

PREMESSA

Con la DGR 1338/2007 sono stati integrati e meglio esplicitati i criteri vigenti, stabiliti con la deliberazione n. 357/2001, con alcuni ulteriori elementi tecnici, a carattere vincolante, in particolare a riguardo delle riperimetrazioni e riclassificazioni delle frane attive e quiescenti, che determinano aree a suscettività al dissesto elevata e molto elevata (Pg3 e Pg4), a seguito di studi di maggior dettaglio. Nel contempo, sono stati forniti indirizzi, non vincolanti, quale linea guida di riferimento per professionisti e tecnici degli enti locali avente ad oggetto gli elaborati geologici a supporto delle istanze nel caso si proceda ad approfondimenti tecnici sui corpi franosi.

Nella fase di gestione dei piani di bacino stralcio, risultando frequenti le modifiche alle classi di pericolosità elevata e molto elevata, Pg3 e Pg4, è emersa, peraltro, la necessità di definire un processo metodologico quali-quantitativo e tecnico-scientifico di riferimento per la riperimetrazione e la riclassificazione delle aree a suscettività al dissesto per frana, anche in funzione della individuazione all’interno dei corpi franosi di aree a pericolosità geomorfologia differenziata. Il presente documento definisce, pertanto, alla luce delle risultanze di apposito incarico conferito al Dipartimento di Scienze della Terra (DST) dell’Università degli Studi di Firenze, ulteriori indirizzi ai fini della riperimetrazione dei corpi franosi, individuando, altresì, una metodologia che permette di determinare le soglie caratteristiche di velocità di scorrimento dei corpi franosi, per la riclassificazione dei fenomeni a cinematica ridotta. 1. INTEGRAZIONI ED ULTERIORI SPECIFICAZIONI CIRCA G LI APPROFONDIMENTI E

STUDI DI MAGGIOR DETTAGLIO DI AREE A SUSCETTIIVTA’ AL DISSESTO ELEVATA E MOLTO ELEVATA PER FRANA, DI CUI ALLA DGR 1338/07

Come già indicato nella DGR 1338/2007, l’areale oggetto dello studio di approfondimento deve essere identificato nell’intero corpo di frana o in una porzione dello stesso caratterizzata, in ogni caso, da una propria identità e dinamica geomorfologica.

E’ necessario inquadrare l’area oggetto di modifica nel contesto generale di assetto geologico, geomorfologico, idrogeologico, d’uso del suolo (presenza di eventuali elementi a rischio), suscettività d'uso, esteso ad un areale significativo del versante1, con particolare riguardo agli elementi che possano produrre fenomeni di instabilità attivi o potenziali ed alle problematiche connesse con la circolazione idrica delle acque superficiali e sotterranee.

1 Per areale significativo si deve intendere l’areale che comprende il territorio che, caso per caso, include gli elementi geolitologico - formazionali, tettonico - strutturali, geomorfologici e idrogeologici facenti capo all'unità geomorfologica di riferimento nel quale ricade la richiesta di riperimetrazione o di riclassificazione; l'analisi di tali elementi concorre, insieme alla ricostruzione dei caratteri stratigrafici, alla definizione del modello geologico dell'area in esame.

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Lo studio deve, inoltre, considerare ed escludere che eventuali evoluzioni nel tempo di settori di frana contigui possano interessare o abbiano ripercussioni sui settori oggetto di riperimetrazione o riclassificazione.

La riclassificazione dello stato di attività e la riperimetrazione di un corpo franoso devono essere supportate da osservazioni di campagna, indagini geologiche, geotecniche ed idonee tecniche di monitoraggio, da svolgersi in fasi successive ed organiche nell’ambito di un adeguato percorso di approfondimento tecnico.

La qualità e la quantità delle indagini devono ispirarsi a finalità tali da ricondurre con certezza alle ricostruzioni stratigrafiche, geotecniche e sismiche dell’intera area indagata ed alla definizione dei rapporti con le aree al contorno.

Il programma delle indagini deve tenere conto dei caratteri intrinseci del processo morfoevolutivo (superficie interessata, volumi mobilizzati o mobilizzabili, velocità, ecc.) e delle specificità del sito (frane storiche, caratteri pluviometrici ed idrologici, interventi antropici significativi per le condizioni di stabilità del versante, etc.).

I diversi strumenti e le tecniche di monitoraggio, finalizzati a verificare la presenza di spostamenti in profondità o in superficie, rappresentano indispensabili strumenti a supporto delle istanze su cui fondare la determinazione dello stato di attività del corpo franoso. Richiamando quanto esposto nella DGR 1338/07 è opportuno precisare che la riclassificazione di un’area non può essere basata esclusivamente sugli esiti dei monitoraggi strumentali ma necessariamente deve derivare anche da valutazioni d’insieme del corpo franoso, con particolare riferimento alla modellazione geologica e geotecnica, alle evidenze geomorfologiche ed alla presenza o meno di elementi potenzialmente destabilizzanti a margine della stessa. Gli approfondimenti conoscitivi di maggior dettaglio, svolti sul corpo geomorfologico, devono essere coerenti con quanto previsto dal DM 14 gennaio 2008 recante “Norme tecniche sulle costruzioni” (NTC) e rispettive “Istruzioni per l’applicazione” a cura del Consiglio Superiore dei LL.PP., relativamente alla progettazione di carattere geotecnico, come definita al Cap. 6. Devono consentire la definizione del modello geologico e di quello geotecnico , come indicati ai Cap. 6.2.1 e 6.2.2 delle NTC, secondo le specifiche riguardanti la stabilità dei pendii naturali di cui al Cap. 6.3 delle NTC per fornire indicazioni circa la: • caratterizzazione stratigrafica e geotecnica dei terreni costituenti il corpo di frana; • caratterizzazione geomorfologica del corpo di frana e del suo intorno; • caratterizzazione idrogeologica del versante (ricostruzione delle isofreatiche, evoluzione

temporale della falda, …); • caratterizzazione 3D del fenomeno, ovvero individuazione della/e superficie/i di scorrimento,

della distribuzione verticale dello spostamento e zonizzazione areale per velocità di spostamento;

• tipologia e stile di attività della frana.

Al riguardo si richiama che la caratterizzazione e la modellazione geologica del sito consiste nella ricostruzione dei caratteri litologici, stratigrafici, strutturali, idrogeologici, geomorfologici e che, ai sensi della normativa vigente sui lavori pubblici, deve consentire l’identificazione del conseguente livello di pericolosità geologica.

Il modello geotecnico rappresenta, invece, lo schema delle condizioni stratigrafiche, del regime delle pressioni interstiziali e della caratterizzazione fisico-meccanica dei terreni e delle rocce, comprese nel volume significativo, finalizzato all’analisi quantitativa di uno specifico problema geotecnico.

Le valutazioni relative alla stabilità dei versanti devono necessariamente tenere conto anche degli aspetti dinamici relativi alla definizione dell’azione sismica al fine di verificare, in primo luogo, la

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fattibilità delle previsioni nonché la valutazione degli effetti locali e di sito in relazione all’obiettivo più generale della riduzione del rischio sismico.

Nel prosieguo del presente documento vengono delineati gli indirizzi tecnici, che costituiscono una migliore definizione degli studi, delle indagini e dei contenuti degli approfondimenti di carattere geologico tecnico, coerenti con quanto già indicato nella DGR 1338/07 e rappresentano il riferimento per sviluppare gli elaborati tecnici a supporto delle riperimetrazioni o riclassificazioni dei corpi franosi. 2. INDAGINI DI CARATTERE GEOLOGICO-TECNICO NEGLI ST UDI DI

APPROFONDIMENTO E FINALIZZATE ALLA DEFINIZIONE DEI MODELLI GEOLOGICO E GEOTECNICO DEI CORPI DI FRANA

Sono, di seguito, disciplinate le attività essenziali, di carattere tecnico da svolgere al fine sia di presentare una documentazione coerente con gli aspetti evidenziati dalla Pianificazione di Bacino che di pervenire ad un dettagliato riscontro dei processi in atto. 2.1 INDAGINI PRELIMINARI

Questa fase, finalizzata alla programmazione delle attività di cui alle fasi successive ed alla ricostruzione storica dei processi morfoevolutivi verificatisi nell’area, richiede il reperimento e lo studio di dati bibliografici a carattere regionale, di relazioni e di risultanze di indagini geognostiche eseguite per altri scopi quando correlabili con l’area oggetto di intervento. Occorre anche svolgere una ricerca storica volta ad acquisire il patrimonio conoscitivo sui processi di instabilità progressi, mediante accurate ricerche da svolgere presso gli archivi locali2, finalizzata a ricostruire, anche sotto il profilo cronologico, l’evoluzione morfologica del versante, con riferimento agli eventi franosi documentabili nonché ai danni subiti dalle strutture o infrastutture esistenti.

Criteri per l'esecuzione di una ricerca storica

La raccolta e l'analisi delle notizie storiche inerenti i dissesti debbono consentire, per l'area in esame, la ricostruzione cronologica degli eventi e degli effetti, la descrizione delle principali tipologie dissestive, la loro localizzazione, e l’individuazione delle zone particolarmente colpite. Al fine di una corretta valutazione delle informazioni, è indispensabile che tutte le fasi dell'analisi storica siano svolte da personale tecnico esperto in grado di vagliare criticamente il dato originale. La ricerca andrà sviluppata in riferimento alla dinamica dei versanti ed alla dinamica fluviale (con particolare attenzione agli eventi alluvionali pregressi) in relazione, anche, alle opere ed agli interventi antropici che hanno maggiormente contribuito alla “modificazione” del territorio. La ricerca storica è corredata di una specifica Relazione Tecnica che costituire un contributo originale e di dettaglio, sviluppato sulla base della rielaborazione delle informazioni raccolte, che deve risultare comunque verificabile, e fornisce un quadro sintetico di quanto raccolto. Per garantire la validità scientifica della ricerca occorre che le informazioni raccolte siano corredate da: - titolo del documento; - fonte di provenienza (es. archivio comunale, biblioteca, testimonianze locali, ecc.); - data del documento; - data del fenomeno; - tipologia del fenomeno ed eventuale dinamica; quando risulti possibile è importante evidenziare eventuali dati quantitativi (es. altezza idrometrica, fronti frane, dimensioni, spessori, ora innesco, velocità evoluzione, ecc.); - danni ed effetti; - località coinvolta/e; - autore. La Relazione Tecnica deve essere corredata da cartografia tematica di sintesi in cui sia rappresentata l'ubicazione del/dei dissesti (anche sommaria se non individuabile correttamente in base al documento storico) sulla cartografia tecnica regionale CTR in scala 1:10.000. E’ anche opportuno che venga allegata la fotocopia del documento originale.

2 E’ opportuno consultare il maggior numero di archivi disponibili (Comuni, Com. Montane, Provincie, Parchi, …).

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2.2 INDAGINI, RILIEVI E ACCERTAMENTI DI DETTAGLIO

Rilievi e analisi di dettaglio, da condursi su un areale significativo del versante e derivati da osservazioni di campagna integrate da fotointerpretazione, finalizzati, alla definizione del modello geologico (e geomorfologico). Al riguardo occorre considerare almeno i seguenti elementi: a. lineamenti geologici e geomorfologici che rappresentino gli affioramenti, l’assetto stratigrafico,

tettonico-strutturale e giaciturale, la valutazione della potenza delle coltri detritiche ed ogni altro elemento significativo ai fini della riperimetrazione o riclassificazione dell’area. Nello specifico: • natura delle coperture, evidenziando anche le descrizioni inerenti la tessitura, e gli aspetti

tecnicamente utili sotto il profilo applicativo; • stato fisico dell’ammasso roccioso con descrizione: dello stato di alterazione dei complessi

litologici affioranti, dello stato di fratturazione con orientazione dei principali sistemi di discontinuità, del grado di apertura delle discontinuità, della natura del riempimento delle stesse. Occorre inoltre che le formazioni presenti siano caratterizzate sotto il profilo litotecnico e classificate in Unità litologico–tecniche in base al comportamento geotecnico3. Le fotografie degli affioramenti naturali, e/o della successione stratigrafica presente nei pozzetti esplorativi eventualmente realizzati, comprensive di relativa ubicazione, devono essere allegate alla documentazione tecnica;

• rilievo delle forme e dei processi geomorfologici distinti per tipologia e stato di attività4, perciò: i. processi attivi (se legati a processi in atto al momento del rilevamento o non in atto,

ma ricorrenti), ii. processi quiescenti (forme non attive al momento del rilevamento ma con oggettiva

possibilità di riattivazione in quanto ancora in evoluzione nel sistema morfoclimatico in cui ricadono),

iii. processi inattivi, anche a seguito di interventi antropici;

b. rilievo di indicatori cinematici significativi, quali ad esempio lo stato di consistenza dei manufatti nel tempo, compresa l’analisi temporale del quadro fessurativo (geometrie, sviluppo, evoluzione ecc. delle lesioni), l’assenza o la presenza sul terreno di fratture, trincee, crolli, rigonfiamenti, contropendenze significative ecc., lo stato e lo sviluppo della copertura vegetazionale comprese le condizioni del soprassuolo, fenomeni di erosione concentrata o accelerata;

c. schema della circolazione idrica sia superficiale che sotterranea, per valutare eventuali rapporti con possibili fenomeni di innesco e di riattivazione del corpo franoso. Nello specifico: • idrografia superficiale (precisando il tipo di erosione),

3 Per valutare il comportamento globale di un ammasso roccioso in termini di resistenza, si può ricorrere a: metodi indiretti basati su indici di qualità (classificazioni geomeccaniche), criteri di rottura empirici e semiempirici (tipo Hoek e Brown) e modelli matematici basati su back analysis. 4 Al fine di una valutazione sommaria dello stato di attività delle forme in campo, su base esclusivamente geomorfologica, ed in assenza di strumentazione di controllo e monitoraggio, su richiama la direttiva tecnica prodotta nell’ambito del Progetto IFFI “Determinazione dello stato di attività dei fenomeni gravitativi nella scheda di 1° livello”, a cura di A. Giglia, L. Paro e M. Ramasco (Regione Piemonte). Questo documento propone di valutare lo stato di attività in relazione ad un determinato grado di rimodellamento che esprime di “quanto” (in termini qualitativi) forme e corpi, le cui origini sono legate ad un particolare processo, risultino modificati dall’azione di processi di altro o dello stesso tipo. In relazione alle forme legate alla dinamica gravitativa, il grado di rimodellamento è considerato: - da nullo a basso: quando l’elemento conserva praticamente l’aspetto originale (superfici di taglio nette, accumuli ben individuabili, indicatori cinematici evidenti); - da basso a medio: quando l’elemento presenta ancora l’aspetto originale ma è stato interessato, del tutto o in parte, da una blanda azione di rimodellamento operata sia dalle acque ruscellanti, sia dalle attività antropiche o da altri tipi di processo ad azione prevalentemente superficiale; - da medio ad alto: quando l’elemento risulta in gran parte o del tutto modificato rispetto alle condizioni originarie ma, nonostante ciò, è ancora possibile definirne l’origine gravitativa. Il grado di rimodellamento da medio ad alto è caratterizzato anche dalla presenza di un reticolo idrografico in parte gerarchizzato che incide il corpo di accumulo e talvolta anche la zona di distacco. Per la determinazione dello stato di attività, relazionata del grado di rimodellamento delle forme, risulta, la seguente suddivisione:

GRADO DI RIMODELLAMENTO STATO DI ATTIVITA’ Da nullo a basso Attivo Da basso a medio Quiescente Da medio a alto Stabilizzato o relitto (inattivo)

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• regime delle acque superficiali e sotterranee, • ubicazione di sorgenti, pozzi, ristagni d’acqua;

d. eventuale presenza ed efficienza di interventi di consolidamento precedentemente realizzati (gradonature, piantumazioni, muri di sostegno, muri a secco, gabbionate, opere di ingegneria naturalistica, ecc.);

e. ulteriori elementi da valutare nell’insieme dei dati raccolti sono costituiti dallo stato della vegetazione e dalle condizioni del soprassuolo. In particolare viene rilevato lo stato e la funzionalità idrogeologica della copertura vegetazionale, con particolare riferimento a forma di governo e struttura del soprassuolo (stratificata, monoplana, ecc.), valutazione della stabilità complessiva del soprassuolo, presenza di indicatori di ristagno idrico (specie igrofile) e/o di movimento dell’area (singoli fusti e/o soprassuoli inclinati, distacco di ceppaie,..).

Tutte le attività comprese in questa fase devono essere originali e non devono fare riferimento a dati bibliografici e/o relazioni eseguite per altri scopi anche se correlabili con quelli oggetto di studio, utili invece per la sola fase preliminare.

Con riferimento all’analisi fotointepretativa da condursi nell’ambito della procedura di riperimetrazione si riportano di seguito due tabelle, derivate da fonti bibliografiche, che, nella Tabella 1, propongono dei suggerimenti riguardo la bontà della fotointepretazione e del rilievo di campagna nell’individuazione degli indicatori geomorfologici e nella Tabella 2, suggeriscono l’età e la scala delle foto aeree e delle CTR da utilizzare nell’analisi fotointerpretativa.

Tabella 1: Suggerimenti per scelta del metodo di analisi nel rilievo geomorfologico. (xxx:ottima, xx: buona, x:scarsa)

Rilievo di campagna Fotointerpretazione I 1:Evidenza di scarpate, terrazzi e crepacci con bordi netti XXX XXX I 2: Nette variazioni di curvatura lungo il profilo lo ngitudinale del versante

X XXX

I 3:Sconvolgimento del sistema di drenaggio, ristagni d’acqua, depressioni a drenaggio interno, deviazioni dell’alveo fluviale

XX XXX

I 4: Assenza di sviluppo di suolo, affioramenti di substrato denudato XXX XX

I 5:Differenza netta di vegetazione all’interno della frana XX XXX

I 6:Alberi inclinati XXX X I 7:Lesioni negli edifici XXX -

Tabella 2: Suggerimenti per la scala e l’età delle foto aeree da utilizzare nell’analisi.

Indicatori Fotointerpretazione I 1:Evidenza di scarpate, terrazzi e crepacci con bordi netti Foto aerea e CTR:

Scala >1:10.000 Tempo: la più recente e comunque non più vecchia di 10 a

I 2: Nette variazioni di curvatura lungo il profilo longitudinale del versante

Foto aerea e CTR: Scala >1:10.000 Tempo: la più recente e comunque non più vecchia di 10 a

I 3:Sconvolgimento del sistema di drenaggio, ristagni d’acqua, depressioni a drenaggio interno, deviazioni dell’alveo fluviale

Foto aerea e CTR: Scala >1:10.000 Tempo: la più recente e comunque non più vecchia di 10 a

I 4: Assenza di sviluppo di suolo, affioramenti di substrato denudato

Foto aerea: Scala ≥1:5.000 Tempo ≤ 2 a

I 5:Differenza netta di vegetazione all’interno della frana Foto aerea : Scala >1:10.000 Tempo: la più recente e comunque non più vecchia di 10 a

I 6:Alberi inclinati Foto aerea: Scala ≥1:5.000 Tempo: la più recente e comunque non più vecchia di 10 a

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2.3 INDAGINI GEOTECNICHE IN SITO E DI LABORATORIO

L’insieme delle risultanze degli elementi necessari ai fini della caratterizzazione e della modellazione geologica del sito, deve essere completato con l’acquisizione dei dati stratigrafici e geotecnici di sottosuolo per giungere, così, alla definizione del modello geotecnico dell’area in esame.

Le indagini geotecniche da eseguirsi nelle aree a pericolosità elevata e molto elevata devono essere redatte ai fini della qualità ed ai sensi delle norme tecniche di settore (NTC, Cap. 6.2.2). Si tratta di indagini di tipo diretto (sondaggi, pozzetti, prove penetrometriche dinamiche e/o statiche ecc.) ed indiretto (geofisiche, stese sismiche ecc.), eseguite ex-novo ed integrate da dati e informazioni derivanti dalla bibliografia raccolta relativamente ad indagini pregresse già eseguite in loco.

Nel merito, le prove ed indagini geognostiche finalizzate a supportare adeguatamente gli studi di approfondimento sulle aree a pericolosità per frana risultano:

• sondaggi stratigrafici a carotaggio continuo, ai fini dell’accertamento della successione stratigrafica nel suo complesso e degli spessori delle coperture detritiche. Vanno eseguiti in quantità opportune, proporzionate all’area da indagare, e comunque mai meno di tre per garantire la ricostruzione tridimensionale della successione stratigrafica. La profondità dei sondaggi dovrà essere programmata per un valore pari a 1,5 volte lo spessore del presunto corpo di frana, spingendo poi il sondaggio per 5-10 m all’interno della formazione stabile. L’uso di acqua di perforazione andrà limitato al fine di consentire il riconoscimento della presenza o dell’assenza (certificata in entrambi i casi) di elementi indicativi di depositi rimossi e rielaborati, quali paleosuoli, zone ossidate, fessurazione e superfici di taglio, frammenti lapidei, strati ammorbiditi, successioni destrutturate, colore (differente dalla formazione di base). I sondaggi andranno eseguiti su allineamenti disposti lungo le linee di massima pendenza. L’accertamento della successione stratigrafica non potrà essere in alcun modo eseguito con tecniche che non siano i carotaggi continui. Le stratigrafie dei sondaggi andranno allegate alla relazione conclusiva; le carote di terreno prelevate andranno collocate in cassette catalogatrici e poi fotografate entro 24 ore, previo loro scotico. Le informazioni riportate sulle cassette circa il cantiere, la data di perforazione, il numero di sondaggio e di cassetta, l’intervallo di profondità carotato, ecc., dovranno essere leggibili ed incluse nelle foto; il fascicolo con le foto originali andrà allegato alla Relazione.

• prelievo di campioni indisturbati di terreno da sottoporre a prove di laboratorio, sulla base di un predefinito programma di campionamento, tali da caratterizzare geotecnicamente tutti i differenti strati. Il campionamento dovrà essere eseguito con campionatore con diametro (> 85 mm) sufficiente a carotare eventuali inclusi lapidei, frequenti nelle coltri rielaborate.

• prove di laboratorio finalizzate alla definizione di un modello del sottosuolo da utilizzare per il calcolo della stabilità del versante e la progettazione di opere civili o degli interventi di consolidamento. Il modello dovrà comprendere anche il regime delle acque sotterranee e i sistemi di discontinuità. Andranno perciò determinate le principali proprietà fisiche e meccaniche dei terreni (granulometria, peso specifico, peso di volume, contenuto d'acqua, limiti di Atterberg, coesione, attrito interno, resistenza al taglio, anche residuo nel caso di frane attive o riattivate).

• le indagini geofisiche, che consentono di integrare i sondaggi ed estendere “lateralmente” la rappresentazione stratigrafica del sottosuolo. Specificatamente sismica a rifrazione che risulta particolarmente efficace se accoppiata ad indagini MASW su profilo 2D, ciò poiché il confronto tra le due differenti metodologie geofisiche permette di ridurre l’ambiguità interpretativa propria delle metodologie di indagine indiretta.

• prove penetrometriche statiche (CPT) e dinamiche del tipo superpesante standardizzate (DPSH), nonché pozzetti geognostici, per integrare ulteriormente le indagini. Al riguardo si

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precisa che ai fini degli approfondimenti di dettaglio per la riclassificazione dello stato di attività e la riperimetrazione di un corpo franoso viene escluso l’utilizzo di prove penetrometriche dinamiche leggere e medie (tipo DL-030). E’ anche possibile eseguire pozzetti geognostici per la caratterizzazione dei livello superficiale del terreno.

I rilievi stratigrafici, geotecnici, sismici, piezometrici, inclinometrici e quanto altro riguardante le indagini eseguite, devono contenere indicazioni relative all’impresa esecutrice ed essere sottoscritti da un Porfessionista Abilitato. Le indagini, devono essere corredate da rilievi fotografici con indicazione certa della data e luogo di esecuzione, opportunamente numerati e facilmente individuabili nell’allegato fotografico. Le indagini e le prove eseguite devono essere ubicate in cartografia.

2.4 MONITORAGGI

Al fine di definire le caratteristiche cinematiche del corpo di frana è necessario l’impiego di tecniche e strumenti di monitoraggio geotecnico e geodetico che devono essere utilizzati per quanto possibile in modo complementare. Relativamente alle risultanze di analisi dei dati di interferometria radar-satellitare, con tecnica tecnica dei diffusori permanenti Permanent Scatterers, PS5, relative al periodo temporale 1992-2000, e di altre finestre temporali, qualora disponibili, possono essere messi a disposizione dalla Regione.

Gli strumenti di monitoraggio devono essere letti per un periodo significativo e sufficiente. Nel merito la strumentazione di monitoraggio finalizzata a supportare adeguatamente gli studi di approfondimento sulle aree a pericolosità per frana può essere costituito da: • inclinometri, per il controllo degli spostamenti orizzontali profondi nel corpo geomorfologico, in

numero idoneo alla definizione dell’andamento della potenziale superficie di scorrimento, e comunque disposti lungo la stessa verticale;

• piezometri (a seconda dei casi, a tubo aperto o Casagrande), per il controllo del regime delle acque sotterranee, in numero idoneo alla definizione dell’andamento della falda e comunque disposti lungo la stessa verticale; la scelta dei piezometri è connessa alla natura dei terreni e ai valori attesi delle altezze piezometriche;

• capisaldi topografici/GPS, interni ed esterni alla zona instabile, per la misura degli spostamenti superficiali;

• strumentazione geotecnica, di controllo su manufatti antropici e/o elementi o strutture geologicamente “significative” (fessurimetri, crepemetri, traguardi topografici, ecc..). Al riguardo il rilevamento strutturale e dello stato di consistenza nel tempo di manufatti e fabbricati, compresa l’analisi temporale del quadro fessurativo, devono essere sottoscritti da tecnico competente.

Con riferimento all’attività di monitoraggio e controllo geotecnica viene di seguito indicata la densità minima dei punti di misura da utilizzarsi per gli studi di approfondimento dei corpi franosi, nonché esposte considerazioni di ordine tecnico relative all’accuratezza e precisione delle misure.

Densità dei punti di misura

a) Installazioni inclinometriche, il numero (N) deve essere proporzionale all’area del corpo geomorfologico secondo la formula che

segue: 410

+≥ AN

L’area (A) del fenomeno franoso è espressa in ettari, (N) è il numero di punti di monitoraggio inclinometrico. Se l’area del fenomeno è pari o minore ad 1 ha il numero di punti di monitoraggio deve essere almeno pari a 3.

b) monitoraggio attraverso tecniche di rilievo topografico, il numero (N) di punti è di seguito definito:

• nr. 4 caposaldi esterni all’area da monitorare, disposti in maniera tale da contenere l’area di indagine;

5 La Tecnica PS consente l’elaborazione dei dati acquisiti da sensori radar montati a bordo di satelliti (vedi il Glossario). I PS sono costituiti da riflettori radar presenti al suolo, rappresentati da oggetti, rocce esposte o manufatti che mantengono pressoché immutate le loro caratteristiche fisiche e geometriche durante l’intervallo di tempo investigato.

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• 1-2 caposaldi per ettaro nelle aree non urbanizzate e 3 caposaldi per ettaro nelle aree urbanizzate;

è opportuno precisare che per garantire che i rilievi rispettino criteri di qualità ed affidabilità la distanza tra i punti di misura e da misurare sia contenuta entro 800 –1000 metri.

c) monitoraggio attraverso tecniche di rilevo GPS, il numero (N) di punti è di seguito definito:

• nr. 2 caposaldi “master”, dove posizionare l’antenna fissa, esterni all’area da indagare; • nr. 2 caposaldi di controllo, esterni all’area da indagare in area stabile; • 1-2 caposaldi “rover” per ettaro nelle aree non urbanizzate e 3 caposaldi per ettaro nelle aree urbanizzate.

d) controllo condotto attraverso monitoraggio satellitare con tecnica PS risulta che per eseguire stime accurate dei disturbi atmosferici è necessario che la densità spaziale di PS sia sufficientemente elevata (maggiore di 5-10 PS/kmq), vincolo sempre verificato in aree urbane, e che siano utilizzate per l’analisi dei dataset consistenti, di almeno 25-30 immagini. I dati desunti da questa tecnica di indagine possono essere ritenuti significativi per le prescritte finalità solo se all’interno del corpo geomorfologico esaminato ricadono almeno 5 PS distanziati fra loro non più di 100 metri. Attraverso il monitoraggio periodico mediante strumentazione geotecnica e/o geodetica vengono acquisite misure di spostamento del corpo geomorfologico; è importante evidenziare che tali valori costituiscono un insieme di dati puntuali arealmente distribuiti, di valore assoluto differente, relativi alle installazioni ed ai capisaldi di misura presenti, od opportunamente predisposti, sul corpo di frana. I dati di cui sopra devono essere posti in relazione con la cinematica della frana mediante operazioni di aggregazione spaziale dei valori di spostamento/velocità; esprimendo, cioè, un unico valore rappresentativo dello spostamento dell’unità geomorfologica indagata o di porzioni elementari di essa qualora vengano individuati più valori caratteristici , operando così una zonizzazione per velocità di spostamento, del corpo. Si evidenzia, inoltre, la necessità di raccordare tra loro le misure “di superficie” e quelle “di profondità”, al fine di delineare con completezza la cinematica del corpo geomorfologico; facendo ciò si tenga, però conto che: • le tecniche di misura precedentemente indicate sono tra loro diverse sia per le strumentazioni e per le tecniche di rilievo impiegate

e, conseguentemente, per le accuratezze massime consentibili sia perché misurano “oggetti” diversi; • le misure, in termini di valori assoluti, non sono tra loro confrontabili direttamente, occorre eseguire procedimenti di trasformazione

che tengano conto del significato fisico e geometrico dei vettori rappresentanti gli spostamenti misurati, al riguardo si evidenzia che: *) gli inclinometri forniscono il valore dello spostamento orizzontale all’interno del corpo di frana

*) il monitoraggio geodetico (topografico/GPS) il valore di spostamento, nei tre assi, della superficie del terreno attraverso la misura differenziale di capisaldi materializzati su strutture o resi solidali con il terreno,

*) il rilievo satellitare con tecnica PS fornisce una velocità media annua, riferita al periodo di tempo indagato nel dataset a disposizione (es. 1992-2000 per i dati ERS e 2003-oggi per i dati ENVISAT o RADARSAT), dello spostamento di un oggetto al suolo (Permanent Scatterer – PS) lungo la congiungente satellite-bersaglio;

Per quanto sopra riportato occorre, pertanto, porre a confronto i trend di spostamento misurati con le diverse tecniche per giungere ad una valutazione coerente delle caratteristiche cinematiche ed evolutive, del corpo geomorfologico oggetto di monitoraggio.

Accuratezza e precisione delle misure

Ai fini della gestione delle misure di spostamento è importante quantificare il grado di accuratezza dei dati che vengono raccolti attraverso un’attività di monitoraggio: infatti la precisione di un sistema di misura varia per le differenti tecniche comunemente in uso, pertanto la definizione dell’accuratezza del sistema di misura garantisce il corretto equilibrio fra la precisione richiesta e la tecnica di rilevo utilizzata. Nello specifico: • per una installazione inclinometrica standard di 30 m di lunghezza, sottoposta a letture incrementali con passo di 0,5 m,

l’accuratezza del sistema è di circa ± 8 mm (è possibile raggiungere una precisione massima di ± 1,5 mm ogni 30 m in presenza di installazioni perfettamente verticali, prive di eccessiva curvatura e mediante operazioni di “post-processing” dei dati);

• per installazioni di misura di geodetiche, di tipo topografico, attraverso l’utilizzo di strumentazione tecnologicamente avanzata (stazione totale di ultima generazione e mire ottiche di precisione) l’accuratezza del sistema è di circa ± 3 mm;

• per installazioni di misura di geodetiche, di tipo GPS, attraverso l’utilizzo di strumentazione tecnologicamente avanzata e corrette procedure di rilievo l’accuratezza del sistema è di circa ± 1 cm;

• per quanto attiene i dati di interferometria satellitare PS l’accuratezza del sistema è variabile da punto a punto in funzione della deviazione standard della velocità. Si può comunque assumere un’accuratezza media di +/- 2 mm/anno.

Nell’utilizzare questi dati è inoltre necessario tenere conto delle loro caratteristiche intrinseche di seguito riassunte: 1. la velocità di spostamento medio annua associata ai target radar si riferisce alla congiungente sensore-bersaglio, e presenta,

pertanto, una forte componente verticale; ciò implica che i movimenti a prevalente carattere orizzontale possono essere fortemente sottostimati;

2. la risoluzione planimetrica del dato PS non consente una precisa individuazione del riflettore, pertanto può accadere che PS ubicati in corrispondenza di fabbricati siano, in realtà, associati a manufatti od oggetti presenti nel loro immediato intorno, non particolarmente idonei per caratteristiche strutturali a fornire indicazioni circa la stabilità di un comparto territoriale (Es.: manufatti pertinenziali di abitazioni edificati in maniera approssimativa, baracche in lamiera, guard-rail, ricoveri attrezzi, tettoie, massi disarticolati, ecc.);

3. tutti i satelliti dotati di sistemi SAR percorrono orbite grossomodo dirette N-S ed i sensori acquisiscono con geometria obliqua. Tali caratteristiche orbitali fanno sì che le deformazioni che vengono meglio rilevate, oltre che nel piano verticale, avvengono anche in quello orizzontale purché abbiano direzione grossomodo E-W;

4. le velocità medie annue di spostamento associate ai PS hanno valore negativo quando i bersagli si allontanano dal satellite, viceversa assumono valori positivi. Ad esempio, un PS posizionato su un versante esposto a W interessato da deformazioni attive per frana, assunto che la frana evolva nella direzione di massima pendenza del versante stesso, si allontanerà certamente dal

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satellite che acquisisce in orbita discendente (da N a S), mentre tenderà ad avvicinarsi allo stesso quando acquisisce in orbita ascendente.

2.4.1 Indicazioni tecniche riguardanti il controll o degli spostamenti orizzontali in profondità mediante attrezzatura inclinometrica

Una campagna di monitoraggio inclinometrico deve essere improntata ai principi di qualità, rispettando procedure standardizzate, sia per quanto attiene gli aspetti di impianto della strumentazione che di esecuzione delle letture; ciò poiché a fronte di una relativa “semplicità” della tecnica accade che a causa di una non corretta installazione della tubazione inclinometrica, delle modalità di esecuzione delle misure, di problemi di taratura della sonda removibile i dati inclinometrici risultino di ambigua interpretazione, conducendo, anche, ad errate valutazioni circa l’entità, in valore assoluto, degli spostamenti rilevati. Per una valutazione corretta degli esiti di una campagna di monitoraggio le letture di spostamento devono essere sottoposte ad un'analisi di validazione che conduca alla correzione degli errori sistematici, potenzialmente sempre presenti entro un dataset di letture inclinometriche, o quantomeno alla definizione dell'incidenza degli stessi sulle misure

In particolare ai fini di limitare le problematiche intrinseche all’esecuzione ed interpretazione delle letture e necessario: • i dati delle letture siano analizzati in tempi brevi dalla loro acquisizione in campagna, lo stesso

giorno o pochi giorni dopo; solo così è possibile, nel caso vengano riscontrati errori, procedere ad una immediata correzione e/o ripetizione delle misure e, qualora, si registrino spostamenti evidenti, modificare il programma temporale delle letture;

• i grafici siano elaborati con scale opportune per limitare il disturbo prodotto dal rumore strumentale;

• le analisi siano sviluppate su letture inclinometriche attendibili e “coerenti”. Il caso più comune è quello di confondere l’errore definito di bias-shift con spostamenti del terreno: lo spostamento lungo un piano di taglio è evidente quando è superiore ad almeno 2-4 mm e le letture di movimento dei punti sopra il piano sono significativamente “traslate” rispetto a quelle sottostanti;

• l’esecuzione delle letture e l’interpretazione dei dati siano affidate a tecnici che vantino specifiche competenze e forniscano garanzie di qualità;

• la calibrazione periodica della sonda sia eseguita utilizzando tutti gli elementi che compongono la catena di misura (sonda, cavo e centralina di misura);

• siano adottate procedure esecutive che minimizzino l’insorgenza di errori: *) immorsare la colonna inclinometrica nel terreno stabile; *) effettuazione della lettura di zero sulle quattro guide; *) esecuzione delle letture di esercizio sulle quattro guide; *) verifica della accettabilità/affidabilità dei dataset di lettura; *) le letture di esercizio devono superare i test di accettabilità.

Installazione della strumentazione e modalità di lettura In fase di realizzazione del foro di sondaggio è necessario accertarsi che esso avanzi per almeno 5 m nel terreno stabile e che la deviazione della perforazione rispetto alla verticale sia inferiore al 2,5%. Le operazioni di posa della colonna inclinometrica devono, inoltre, garantire la sua integrità e l’assenza di deformazioni, scollamenti dei giunti o intasamenti e incrostazioni all’interno della tubazione. Le installazioni inclinometriche dovranno essere collaudate con cura entro pochi giorni dalla posa in opera, al fine di garantire la loro funzionalità e l’assenza di deformazioni che possano pregiudicare la bontà delle letture.

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Le sequenze di lettura dovranno essere eseguite da personale esperto e qualificato, preparato ad eseguire procedure rigorosamente standardizzate. E’ opportuno che i cicli di lettura sulle stesse installazioni siano eseguite sempre dalla stessa squadra di operatori e assolutamente sempre con la medesima strumentazione. La lettura di zero deve sempre essere eseguita sulle 4 guide. Ove possibile, anche le letture di esercizio devono essere eseguite sulle 4 guide; se ciò dovesse risultare impossibile, è almeno opportuno che 1 – 2 letture l’anno, per ogni installlazione, vengano eseguite su tutte le guide. Il passo delle letture deve essere di 50 cm. La sonda deve essere calibrata almeno una volta l’anno.

Test di accettabilità e precisione delle misure

La rispondenza dei dati ai criteri di accettabilità viene verificata attraverso l’esame del “checksum”, definito come la somma delle opposte letture (es. A1+A3) rilevate allo stesso intervallo di profondità6.

Nei casi reali il checksum presenta un comportamento differente da quello teorico (costante e pari a 2b) in quanto le misure di campagna sono affette da “condizioni” che vanno ad incidere sulla grandezza misurata, cosicché, all’interno del dataset, per le diverse profondità di lettura, non viene mantenuto costante il valore di 2b ma si verifica una variazione dello stesso: la variazione del valore di checksum con la profondità deve presentare un profilo grossomodo verticale, senza eccessive oscillazioni e senza la presenza di valori anomali (picchi) entro il dataset.

I controlli si esplicano nella verifica di due parametri principali: 1. lo scostamento dei valori di checksum dei singoli intervalli di lettura rispetto alla checksum media, per entrambi gli assi, nell’ambito

della stessa lettura oggetto di verifica7 ;

2. lo scostamento della deviazione standard dei valori di checksum della lettura di esercizio oggetto di verifica rispetto a quelli della lettura di zero per entrambi gli assi8.

E’ importante precisare che ai fini dell’accettabilità di un dataset di lettura di esercizio devono essere verificate contemporaneamente entrambe le condizioni imposte per i valori di checksum e di deviazione standard.

Come già anticipato le misure inclinometriche possono essere affette da errori grossolani e sistematici imputabili a diverse cause possibili9. In linea generale, a fronte di letture di spostamento rilevanti in termini di valore assoluto ed in un contesto di corrette procedure di installazione della colonna inclinometrica e di utilizzo di strumentazione di misura adeguata, l’influenza degli errori sull’entità degli spostamenti rilevati può considerarsi contenuta e, pertanto, le misure relative alla cinematicità dello spostamento possono ritenersi sufficientemente attendibili. Nel caso, invece, di spostamenti di ridotta entità, appena superiori alla precisione strumentale, è possibile che il valore sia suscettibile di essere influenzato dalla presenza di errori sistematici, i relativi diagrammi inclinometrici risultano, così, di difficile o ambigua interpretazione.

Gli errori random sono imputabili alla somma del contributo di una lunga serie di fattori che vanno dalle caratteristiche costruttive dei vari componenti della sonda (servo-accelerometri, connettori, rotelle), del cavo (tacche di riferimento, allungamento), della centralina di acquisizione (taratura, temperatura di esercizio) e del tubo inclinometrico (inclinazione, parallelismo delle guide, curvatura, ecc.). Va detto che, per lo più, questo tipo di errore tende a rimanere costante in tutte le serie di misure eseguite nella medesima installazione ed il suo valore può essere assimilato al limite di precisione massimo raggiungibile.

Gli errori sistematici, invece, tendono a variare fra una campagna di misure e le altre e possono essere generati da uno dei seguenti fattori, o dalla loro combinazione: − errore di “scostamento” della sonda (bias-shift); − deriva di sensibilità della sonda; − rotazione dell’allineamento del sensore; − errori di posizionamento di profondità;

questi errori possono essere anche corretti, quando se ne comprende l’origine, a seguito di un’attenta analisi dei dati.

6 La checksum, nel caso “ideale” di una misura eseguita sul banco di taratura equivale al doppio del valore di bias proprio della sonda utilizzata; per la misura dell’inclinazione di 1°, effettuata con una sonda che presenta un valore di bias (b) pari a 10 digit, risulta pari a 20 digits (=2b). 7 Per quanto attiene il parametro di scostamento dei valori di checksum (1), la letteratura esistente in materia stabilisce che, affinché una lettura inclinometrica sia accettabile, i valori di checksum per l’asse A devono essere compresi fra +/- 10 digit rispetto al valore medio delle checksum per questo asse. Relativamente all’asse B l’intervallo di ammissibilità è doppio, cioè +/- 20 digit rispetto al valore medio delle checksum per questo asse. In sostanza, questo controllo consente di evidenziare immediatamente l’eventuale presenza di picchi anomali dei valori di checksum nelle singole letture relative ai vari intervalli di profondità 8 Per quanto attiene il parametro di scostamento della deviazione standard (2), invece, la letteratura riporta che i valori di deviazione standard delle checksum sui due assi dovrebbero essere compresi fra 3-5 unità rispetto al valore di deviazione standard dell’asse omologo per la lettura di zero. Nel caso di installazioni particolarmente difficoltose e complesse per ubicazione e lunghezza, il range di 5 unità rispetto al valore di deviazione standard della lettura di zero potrà intendersi raddoppiato. Nel caso di misure eseguite su installazioni pre-esistenti, delle quali non siano note nel dettaglio le modalità di installazione, i criteri di accettabilità potranno necessariamente essere più larghi.

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2.5 VALUTAZIONE SOLLECITAZIONE SISMICA

Le valutazioni relative alla stabilità dei versanti devono prendere in considerazione gli aspetti dinamici relativi alla definizione dell’azione sismica e valutare gli effetti locali e di sito (pericolosità sismica locale).

Per quanto attiene agli aspetti sismici, a seguito di quanto espresso nell’Ordinanza del Presidente Consiglio dei Ministri 20 marzo 2003 n. 3274 e successive modifiche ed integrazioni, tutto il territorio nazionale viene considerato sismico e distinto in differenti zone sismiche sulla base del differente grado di pericolosità sismica di base. A livello regionale la zonizzazione sismica è stata definita con DGR 1308 del 24/10/2008 recante “O.P.C.M. n. 3519/2006 Nuova Classificazione Sismica della Regione Liguria”.

Per quanto riguarda le modalità di modellazione geologica e caratterizzazione sismica dei terreni si rimanda al D.M. del 14/01/08 (Norme tecniche per le costruzioni), mentre per ciò che attiene lo studio della pericolosità sismica ed i criteri e modalità di esecuzione delle indagini geognostiche, geotecniche e geofisiche si rimanda, quale documento di riferimento, agli “Indirizzi e criteri generali per la Microzonazione Sismica” approvati a livello nazionale nel dicembre 2008, nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni, nonché degli eventuali ed ulteriori Criteri di carattere regionale in materia.

Elementi per la valutazione degli effetti locali e di sito

La valutazione degli effetti locali e di sito combinata alle successive fasi di caratterizzazione sismica dei terreni e di parametrizzazione dinamica consentono la realizzazione o verifica dell’edificato.

A tal fine, oltre all’acquisizione di ogni informazione esistente finalizzata alla conoscenza del territorio sotto il profilo geologico e geomorfologico è necessario acquisire gli elementi finalizzati alla ricostruzione del modello geologico-tecnico di sottosuolo, anche in termini di parametrizzazione dinamica del terreno principalmente in relazione alla misura diretta delle Vsh (velocità di propagazione delle onde di taglio polarizzate orizzontalmente), secondo le modalità e i criteri meglio specificati negli Indirizzi nazionali.

La valutazione preliminare degli effetti locali o di sito deve indicare: 1. probabili fenomeni di amplificazione stratigrafica, topografica e per morfologie sepolte, 2. la presenza di faglie e/o strutture tettoniche, 3. i contatti tra litotipi a caratteristiche fisico-meccaniche significativamente differenti, 4. accentuazione della instabilità dei pendii, 5. terreni suscettibili a liquefazione e/o addensamento, 6. terreni soggetti a cedimenti diffusi e differenziali.

Tale valutazione viene rappresentata mediante una cartografia delle zone a maggior pericolosità sismica locale (ovvero Carta delle aree suscettibili di effetti locali) che individua qualitativamente gli elementi in grado di generare i fenomeni di amplificazione locale ed instabilità dinamica.

Si evidenzia, altresì, che per quanto attiene una valutazione più approfondita degli aspetti dinamici: • nelle zone con possibile amplificazione sismica connesse al bordo della valle e/o aree di raccordo con il versante, deve essere

svolta una campagna di indagini geofisiche, opportunamente estesa ad un intorno significativo, che definisca in termini di geometrie la morfologia sepolta del bedrock sismico ed i contrasti di rigidità sismica (rapporti tra velocità sismiche in termini di Vsh delle coperture e del substrato);

• nelle zone con possibile amplificazione stratigrafica, deve essere svolta una campagna di indagini geofisica e geotecnica che definisca spessori, geometrie e velocità sismiche dei litotipi sepolti al fine di valutare l’entità del contrasto di rigidità sismica dei terreni tra alluvioni e bedrock sismico;

• in presenza di zone di contatto tra litotipi con caratteristiche fisico-meccaniche significativamente diverse e in presenza di faglie e/o contatti tettonici la campagna di indagini geofisica deve consentire di definire la variazione di velocità delle Vsh relative ai litotipi presenti e la presenza di strutture tettoniche anche sepolte.

9 La letteratura esistente in materia riporta che, per una installazione inclinometrica standard di 30 m di lunghezza, sottoposta a letture incrementali con passo di 0,5 m, l’accuratezza del sistema è di circa +/- 8 mm. Il valore di accuratezza è considerato cautelativo e deriva dalla somma del contributo degli errori di tipo “random” e di quelli a carattere sistematico.

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3 METODOLOGIA PER LA RIPERIMETRAZIONE E/O RICLASSIF ICAZIONE DEI

FENOMENI FRANOSI I processi di riperimetrazione e/o riclassificazione vengono svolti attraverso un modello concettuale a “diagramma di flusso” costituito da una sequenza di scelte che “guidano” l’operatore nel processo di ridefinizione dello stato di pericolosità geomorfologica dell’area indagata.

Come evidenziato nello schema generale, di seguito proposto (Fig.1), le procedure di riperimetrazione e riclassificazione necessitano di una prima fase di approfondimento tecnico-conoscitivo, da condursi nei termini già definiti dalla DGR 1338/07, che vengono meglio definiti ed integrati con il presente documento. Nel corso di questa prima fase dovranno essere ricercati gli “indicatori cinematico-geomorfologici” (I) che definiscono l’ “indice di cinematicità territoriale” (g), necessario per selezionare la corretta procedura di riperimetrazione e/o riclassificazione, quest’ultima da proporsi con o senza esecuzione di interventi di bonifica e dovrà essere, anche, definito il modello geologico, e geotecnico, di riferimento degli studi di approfondimento e maggior dettaglio. La procedura di riperimetrazione rappresenta la prima azione da intraprendere quando si intende svolgere approfondimenti conoscitivi su un corpo franoso ed ha la finalità di individuare con maggiore dettaglio la geometria del corpo franoso, conducendo all’esclusione di porzioni di territorio impropriamente mappate come parte integrante della frana stessa. Tale azione non necessita, di norma, di azioni di monitoraggio strumentale o della previsione di opere di consolidamento in quanto parte dal presupposto che l’area da stralciare non appartiene ad un corpo di frana.

Con riferimento alle procedure di riperimentrazione e riclassificazione si precisa che mentre una porzione di una frana può essere riperimetrata, essa non può, al contrario, essere riclassificata; la riclassificazione riguarda, infatti, la frana nel suo complesso: ed una volta stabilita l’esattezza del suo perimetro essa deve essere intesa come un unico corpo (che si muove unitariamente).

La condizione necessaria perché la RIPERIMETRAZIONE e la RICLASSIFICAZIONE abbiano efficacia è l’esclusione di ripercussioni e/o interferenze dell’unità geomorfologica oggetto di revisione con dinamiche gravitative prossimali. Pertanto, una volta completati gli approfondimenti che conducono alla riconsiderazione dello stato di pericolosità, dovrà essere verificata, anche mediante procedimenti analitici, la condizione di non interferenza dell’unità geomorfologica con le dinamiche evolutive del corpo geomorfologico residuo.

E’ anche opportuno evidenziare che la procedura di riperimetreazione non può comportare la formazione di “buchi” all’interno del corpo geomorfologico indagato, ovvero l’elisione del piede dello stesso.

Fig. 1

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3.1 RIPERIMETRAZIONE DEI FENOMENI FRANOSI A SEGUITO DI STUDI DI MAGGIOR DETTAGLIO Il processo di approfondimento si sviluppa secondo una sequenza logica di scelte guidate che passano attraverso varie fasi. � FASE 1 (Riconoscimento degli indicatori geomorfolog ici) In questo caso l’areale oggetto dello studio deve essere identificato nell’intero corpo di frana perché la procedura consiste nella verifica del perimetro della frana su base geomorfologica. La frana si manifesta sul territorio tramite Indicatori Geomorfologici, quali la presenza di scarpate, sconvolgimento del sistema di drenaggio, assenza di sviluppo di suolo, ecc.. La presenza o assenza di tali evidenze rappresenta un punto fondamentale di partenza qualora si voglia intraprendere una procedura di declassificazione e di deperimetrazione. Un dettagliato rilievo geomorfologico è quindi alla base dell’analisi di tali indicatori e serve a definire l’esattezza o meno dell’originale perimetro della frane, in modo da individuare le zone passibili di riperimetrazione.

Riconoscimento Indicatori Cinematici

Il rilievo geomorfologico si basa sul riconoscimento di indicatori geomorfologici (Ii), cioè quegli elementi che per la loro natura, quando esistenti danno indicazioni di un movimento presente e/o passato. Nell’ambito di questo studio gli indicatori considerati, in parte ripresi da Crozier (1986) sono i seguenti: I1:Evidenza di scarpate e crepacci con bordi netti; I2: Nette variazioni di curvatura lungo il profilo longitudinale del versante; I3:Sconvolgimento del sistema di drenaggio, ristagni d’acqua, depressioni a drenaggio interno, deviazioni dell’alveo fluviale; I4: Assenza di sviluppo di suolo e/o di affioramenti di substrato; I5:Differenze nette di vegetazione all’interno del perimetro della frana; I6:Alberi inclinati; I7: Lesioni negli edifici od in altre opere antropiche.

L’indicatore I7, ovvero le lesioni sugli edifici ed altri manufatti, è un parametro che generalmente non costituisce parte integrante del rilievo geomorfologico sensu strictu, ma lo integra in maniera sostanziale in quanto molto spesso si manifesta in maniera evidente ed in concomitanza di fenomeni franosi. Sulla base di necessità contingenti tale elemento può essere anche integrato, o reso maggiormente significativo, mediante la messa in opera di strumentazione geotecnica di controllo (fessurimetri, crepemetri,…) su manufatti, fabbricati o elementi morfologici significativi.

L’individuazione degli indicatori geomorfologici avviene mediante l’utilizzo di due metodi: fotointerpretazione e rilievo di campagna. Alcuni indicatori geomorfologici sono meglio osservabili e riconoscibili da foto aerea mentre altri elementi richiedono per una migliore identificazione una ulteriore indagine di campagna. A tal proposito negli allegati Indirizzi Tecnici (rif. §1.2) del presente documento, vengono fornite indicazioni per l’individuazione degli indicatori mediante fotointepretazione e rilievo di campagna ed, anche, circa l’età e la scala delle foto aeree e delle CTR da utilizzare nell’analisi fotointerpretativa. Gli indicatori geomorfologici (Ii) vengono analizzati separatamente in modo da definire le zone dove sono presenti o assenti (unità territorioriali omogenee). Il risultato, vedi Fig. 2, per ogni indicatore, sarà una mappa della sua distribuzione spaziale che assume due soli valori:

• 0: assenza dell’indicatore, • 1: presenza dell’indicatore La sovrapposizione delle mappe, anche attraverso una semplice procedure di overlay in ambiente GIS, permette di ottenere delle unità territoriali omogenee (u.t.o), ognuna con un proprio codice binario univoco, zero o uno. All’interno di ogni unità viene calcolato l’indice g, come sotto rappresentato:

Fig. 2

+ + + =

1

0

1

0

I1 I2 I3 I4

0

11

0

NiIg

Σ=

g=0

g>0

u.t.o

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u.G

Fig. 3

Le unità territoriali omogenee (u.t.o) che presenta no un valore g=0 possono essere soggette a riperimetrazione. La riperimetrazione permette di modificare il perimetro della frana e rappresenta pertanto la prima verifica da compiersi quando si intende svolgere degli approfondimenti conoscitivi su di un corpo franoso.

� FASE 2 (Analisi fotointerpretativa) l’individuazione dell’unità territoriale avente g = 0, caratterizzata dall’assenza di indicatori geomorfologici (Ii), consente di sviluppare la procedura di riperimentrazione del corpo di frana. A tal fine è prevista su di essa una successiva fase di analisi fotointerpretativa, mediante un’analisi di tipo multitemporale, tra i 10-20 anni precedenti al momento di applicazione della procedura. Tale analisi deve concentrarsi sul riconoscimento di elementi morfologici che indicano l’esistenza di una frana nel passato, quali quelli utilizzati nella fase di identificazione dell’indice g. Durante questa fase sono da preferire gli indicatori che si prestano meglio ad essere osservati da foto aerea (vedi quanto indicato al §.2).

� FASE 3 (Ricerca storica e conclusione procedura) a questo punto la procedura può seguire due diverse fasi, ovvero:

1. la fotointerpretazione ha rilevato indicazioni di movimento. In questo caso l’area non può essere riperimetrata; la frana nel suo insieme può essere comunque soggetta a riclassificazione;

2. la fotointerpretazione non ha rilevato indicazioni di movimento. In questo caso la riperimetrazione procede mediante la verifica attraverso la Ricerca Storica, di cui al §.2, delle segnalazioni di movimento/instabilità volte a supportare univocamente la stabilità dell’area.

Nel caso la Ricerca Storica fornisca esito negativo, ovvero non risultino riscontri di situazioni di instabilità pregresse riguardanti l’area di indagine10, è possibile procedere alla riperimetrazione del corpo franoso escludendo dalla perimetrazione dello stesso l’areale avente g=0. Per l’unità territoriale avente g > 0, deve essere ridefinita la perimetrazione “residuale” secondo caratteri di omogeneità geomorfologica, definendo, così, un’unità geomorfologica omogenea (u.G.) - vedi Fig.3. La frana nel suo insieme potrà però essere comunque soggetta a riclassificazione mediante approfondimenti di maggior dettaglio. Le situazioni che risultano suscettibili di riperimetrazione devono rispettare la condizione di non interferenza con le dinamiche evolutive del corpo geomorfologico residuo, occorre pertanto che nell’ambito degli approfondimenti vengano svolte analisi specificatamente mirate a verificare tale

10 Intendendosi segnalazioni/riscontri documentali relative a dissesti pregressi, interventi eseguiti, ordinanze connesse a condizioni di pericolosità,….

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condizione e che nella Relazione Tecnica vengano adeguatamente supportate le motivazioni di esclusione di interferenze.

3.1.1 Elaborati Tecnici Viene di seguito definita la documentazione tecnica di riferimento a supporto delle istanze di riperimetrazione. La cartografia tematica dovrà essere redatta in funzione della superficie indagata e la scala di rappresentazione prescelta dovrà evidenziare in maniera chiara ed inequivocabile gli elementi rilevati (scala 1:10.000 per l’inquadramento generale del sito e scala 1:5.000 o 1:2.000 per la cartografia tematica di dettaglio). Tutti gli elaborati cartografici di base, e quelli tematici, sono estesi a superfici utili per la comprensione del fenomeno franoso (incluse le aree di alimentazione e di possibile invasione) tali da rappresentare sia il processo di frana nella sua interezza, sulla base di criteri morfologici, genetici ed evolutivi, sia i rapporti tra processo franoso ed aree al contorno.

Elaborati tecnici e cartografici

1. Relazione Tecnica, comprensiva delle analisi e delle valutazioni poste alla base della proposta di riperimetrazione che descrive le attività svolte, illustra la metodologia di lavoro adottata e commenta le cartografie prodotte, le indagini svolte ed i risultati conseguiti. Essa analizza ed approfondisce, rispetto al quadro conoscitivo derivante dalla pianificazione di bacino, i caratteri geolitologici, geomorfologici, geostrutturali, idrologici, idrogeologici e geologico-tecnici del suolo e del sottosuolo dell’area di interesse. Sono descritti e definiti gli elementi che supportano l’identificazione dell’unità geomorfologica omogenea (u.G.) che discretizza il settore da stralciare dal corpo di frana. La Relazione è svolta coerentemente alle indicazioni metodologiche definite nella Parte Generale del presente documento, fornisce, anche, una valutazione del grado di stabilità dell’area studiata sulla base degli studi svolti, eventualmente accompagnati dal rilevamento strutturale e dello stato di consistenza dei manufatti e fabbricati esistenti all’interno e nell’immediata periferia del corpo geomorfologico. Devono essere illustrate compiutamente le valutazioni sull’evoluzione pregressa del dissesto e dell’area indagata ottenibili mediante l’analisi multitemporale di foto aeree (citando volo, anno di ripresa, scala, strisciata e fotogrammi), nonché le risultanze derivanti dalla Ricerca Storica (ricerche d’archivio). Sulla base del modello geologico (e geomorfologico), e di eventuali valutazioni analitiche, dovrà essere verificata la condizione di non interferenza della u.G., oggetto di riperimetrazione, con le dinamiche evolutive del corpo geomorfologico residuo. La relazione deve essere conforme a quanto disposto al Cap. 6.2.1 delle NTC ed alla modellazione geologica nell’ambito dello studio delle condizioni di stabilità dei pendii naturali (cfr. Cap. 6.3, 6.3.2).

2. Elaborati grafici da allegare alla relazione tecnica:

� Corografia generale del sito. � Stralci della cartografia tematica di Piano di Bacino vigente relativa alla zona indagata (carta

geomorfologia, carta franosità reale con perimetrazione dell’area in frana, carta di suscettività al dissesto,carta idrogeologica).

� Carta geolitologica (comprensiva di carta degli affioramenti) relativa all’area in frana e ad un suo congruo intorno, alla scala minima di 1:5.000) sono riportati gli affioramenti del substrato roccioso, le aree con roccia sub affiorante (spessore copertura < 1 m) e le coperture, indicandone la natura (eluvio – colluviali, gravitative) e lo

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spessore stimato (almeno diviso nelle due categorie “coperture sottili” – spessore da 1 a 3 m e “coperture potenti” – spessore oltre 3 m). Sono, inoltre, cartografate le eventuali giaciture di strato, i sistemi di discontinuità e le lineazioni tettoniche riconosciute o presunte.

� Sezioni geologiche interpretative devono essere convenientemente estese in senso longitudinale e trasversale al versante e realizzate in scala adeguata. Il loro numero deve essere tale da consentire la ricostruzione e la comprensione dell’assetto stratigrafico e geologico-strutturale dell’area indagata.

� Carta geomorfologica relativa all’area in frana e ad un suo congruo intorno, alla scala minima di 1:5.000 secondo le specifiche individuate nel Volume 4 dei Quaderni del Servizio Geologico Nazionale (Quaderni serie III): in particolare sono individuati, perimetrati e classificati i dissesti ed è specificato, con apposita simbologia, se si tratti di forme superficiali o profonde che coinvolgono il substrato roccioso. Deve essere segnalata l’eventuale presenza di indicatori cinematici (lesioni dei manufatti, inclinazione di alberi e tralicci, deformazioni di muri di contenimento e sedi stradali, rigonfiamenti e contropendenze, fratture di trazione ecc.), riconoscendo anche le principali forme, processi e depositi presenti, dovuti sia alla gravità che alle acque correnti superficiali che all’azione antropica, nonché le relative tendenze evolutive (ad es. scarpate in erosione, alvei in approfondimento ecc). Devono essere anche rappresentati gli elementi di idrografia e idrogeologia significativi (zone di impregnazione, sorgenti, …).

� Carte tematiche degli indicatori cinematico-geomorfologici (I) con riferimento all’indicatore I7 deve essere rappresentato, e dettagliato, il quadro lesivo presente sui manufatti presenti sul corpo geomorfologico e prodotto un rapporto analitico dello stesso, anche attraverso la schedatura delle lesioni sui manufatti.

� Carta sintetica dell’indice cinematico territoriale (g) con definizione delle/della unità geomorfologica omogenea (u.G.).

� Carta della proposta di riperimetrazione della pericolosità da frana. � Documentazione iconografica/fotografica

idonea documentazione fotografica dell’area indagata, degli affioramenti, del rilevamento strutturale e dello stato di integrità dei manufatti, della campagna di indagini condotta e dei saggi, se eseguiti, e comunque di tutti gli aspetti ritenuti più significativi. I punti e le direzioni di ripresa sono ubicati su idonea cartografia ed opportunamente numerati.

� Risultanze dei dati bibliografici di carattere geologico-tecnico (studi e indagini pregresse) dello Ricerca Storica, e - qualora condotti al fine di una migliore definizione degli indicatori cinematici - di eventuali misure e/o monitoraggi condotti, adeguatamente illustrati e rappresentati su base cartografica.

3.2 RICLASSIFICAZIONE DI AREE A SUSCETTIVITA’ AL DISSESTO ELEVATA E MOLTO

ELEVATA PER FRANA, A SEGUITO DI APPROFONDIMENTI GEOLOGICI E STUDI DI MAGGIOR DETTAGLIO, PER FRANE A CINEMATICA RIDOTTA

Vengono di seguito delinati gli indirizzi da applicare nel caso si intensa procedere ad una riclassiifcazione che riguardi le FRANE A CINEMATICA RIDOTTA alla cui categoria, prendendo a riferimento le tipologie utilizzate nella pianificazione di bacino, possono essere ascritte le frane di scorrimento rotazionale, le frane complesse 11, i colamenti lenti e le espansioni laterali.

11 Frane complesse nei casi in cui la componente principale è riconducibile a scorrimenti e colamenti lenti ed in cui non sono presenti crolli e colate rapide.

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Per le frane definibili come FRANE A CINEMATICA RAPIDA, in cui vanno compresi crolli , ribaltamenti e colamenti rapidi (debris flow), scivolamenti planari in roccia e scivolamenti “rapidi” di detrito (soil slip) restano validi gli indirizzi generali indicati nella DGR 1338/07.

Le velocità attese dai movimenti a cinematica ridotta non sono mai molto elevate ed i volumi coinvolti possono anche raggiungere dimensioni rilevanti (milioni di mc); a tale categoria è associata una velocità di spostamento corrispondente alle Classi 1 e 2 IUGS/WGL (fino a 1,6 m/anno).

I fenomeni ascrivibili alla categoria delle frane a cinematica ridotta esplicano la loro attività in modo permanente sia nel tempo sia nello spazio. Le frane ricadenti in questo raggruppamento di tipologie sono caratterizzate dallo sviluppo, sulla superficie del corpo (zona di distacco e di accumulo) e nelle aree contigue, di una serie di forme caratteristiche: scarpate, dorsali, depressioni, fenditure del terreno, ecc. La loro evoluzione è caratterizzata da cicli in cui si alternano periodi di inattività (situazioni caratterizzate da assenza di movimento o da presenza di movimento estremamente lento e non apprezzabile) a periodi di attività (ripresa o accelerazione del movimento); questi ultimi si sviluppano generalmente in un ambito spaziale abbastanza ben delimitabile, dislocando tutta la massa o parte di questa con spostamenti generalmente contenuti, e trasformandosi, in alcuni casi ed in situazioni del tutto particolari (collasso dell’intera massa o di parte di questa), in fenomeni franosi di altro tipo.

3.2.1 Procedura di riclassificazione La riclassificazione si applica ai corpi geomorfologici che presentano un indice geomorfologico g (così come definito al §. 2 > di 0 (cfr. Fig.2), oppure alle frane che pur presentando un indice uguale a 0 hanno mostrato nel passato chiare indicazioni di movimento.

La procedura di riclassificazione prevede l’analisi dei seguenti elementi discriminanti:

• Modello geologico e geotecnico del corpo di frana, come anticipato al §.1 del presente documento;

• Velocità di spostamento del movimento franoso, da intendersi come velocità media annua, derivante dai valori riferiti a misure di spostamento del corpo geomorfologico acquisite mediante una opportuna strumentazione di monitoraggio;

• Valutazione della classe di sismicità territoriale.

La riclassificazione si basa prevalentemente sull’analisi dei dati di monitoraggio, in quanto gli indicatori geomorfologici seppur fondamentali nel discriminare la presenza o l’assenza delle frana, si ritengono insufficienti a definire in maniera univoca lo stato di attività di fenomeni franosi a cinematismo lento. Nel contempo si richiama quanto indicato nel §.1 del presente documento precisando che la riclassificazione di un’area non può essere basata esclusivamente sugli esiti dei monitoraggi strumentali ma necessariamente deve derivare anche da valutazioni d’insieme del corpo franoso, con particolare riferimento alla modellazione geologica e geotecnica, alle evidenze geomorfologiche ed alla presenza o meno di elementi potenzialmente destabilizzanti a margine della stessa.

Per stabilire lo stato di attività dei fenomeni franosi viene proposto l’utilizzo di una matrice di attività di Fig. 4 (matrice 1) la quale raccoglie le informazioni derivanti dai dati di monitoraggio in diversi intervalli temporali12. Questa matrice deriva dalla considerazione che una corretta attribuzione dello stato di attività dei fenomeni franosi si basa sull’analisi di dati pregressi e attuali riguardanti i valori di movimento.

12 Si chiarisce che la progettazione di un adeguato sistema di monitoraggio del corpo di frana necessità della preliminare definizione del modello geologico e geotecnico di riferimento.

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La matrice riportata in Fig. 4 prevede sulle colonne la velocità del movimento registrata in un intervallo temporale di 10 anni, ovvero l’informazione riguardante il dato pregresso del movimento, mentre sulle righe viene riportata la velocità del movimento registrata negli ultimi 3 anni. I limiti delle classi di velocità sono pari a 2 mm/anno e 16 mm/anno, il limite superiore è, invece, rappresentato dal valore di velocità pari a 1,6 m/anno.

I limiti di velocità di 16 mm/anno e 1,6 m/anno fanno riferimento alla “Scala delle velocità e dei danni prodotti dalle frane” da IUGS/WGL (1995), sulla base dei lavori di MORGENSTERN (1985) e da CRUDEN & VARNES (1995). E’ opportuno anche rilevare che il valore di 2 mm/anno, indicato nelle matrice 1, rappresenta un valore limite “convenzionale” da intendersi come assenza di spostamenti rilevabili o apprezzabili dalla strumentazione di misura comunemente impiegata per il monitoraggio territoriale in relazione alla soglia di accuratezza della stessa.

I valori di velocità si intendono come valori medi annuali ricalcolati nel periodo considerato. Per quanto concerne la matrice 1, i valori delle velocità riportati in ascisse si possono dedurre più frequentemente dai monitoraggio satellitare; sono altresì utilizzabili le velocità derivanti dal monitoraggio geotecnico o, anche, le analisi di carattere multitemporale sulle foto aeree; l’utilizzo di un certo tipo di monitoraggio piuttosto che di un altro è principalmente legato alla disponibilità stessa del dato13. I valori di velocità riportati in ordinate, della matrice 1, sono riferiti a misure ricavabili mediante monitoraggio inclinometrico e/o geodetico (topografico/GPS) usate, anche, congiuntamente ed anch’esse opportunamente confrontate.

Nel caso in cui non siano disponibili né dati satellitari né geotecnici/geodetici nell’arco temporale degli ultimi 10 anni, da utilizzarsi lungo le ascisse della matrice di attività, l’indicazione di movimento può essere ricavata unicamente dalla fotointerpretazione multitemporale; in tal caso la matrice 1 si semplifica nella matrice 2, riportata in Figura 5, ovvero non si avranno più delle classi di velocità ma semplicemente una informazione riguardante l’attivazione o meno del movimento negli ultimi 10 anni. 13 Occorre in ogni caso tenere conto delle differenze insite in ciascuna metodologia di misura strumentale e conseguentemente della significatività dei relativi valori che devono essere, pertanto, opportunamente “confrontati”.

(Ix0)

Attivo continuo (Ixy)

0= nessun movimento1= movimento molto lento2= movimento lento

Velocità (mm/anno)

10 anni2 10

Vel

ocità

(m

m/a

nno)

3 an

ni

2

10

I00 I01 I02

I10 I11 I12

I22I21I20

Inattivo stabilizzato(I00)

Inattivo quiescente (I0y)

Attivo riattivato

Attivo

Fig.4

16

16

2

molto lento

estremamente lento

MATRICE 1

1,6

m/a

nn

o

1,6 m/anno

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Le velocità poste sulle righe della matrice, relative ad un intervallo temporale di 5 anni, sono riferiti, come per la matrice 1, a misure ricavabili mediante monitoraggio inclinometrico e/o geodetico (topografico/GPS). I limiti delle classi sono gli stessi adottati nell’analisi a 10 anni, della matrice 1, e anche in questo caso le velocità sono da intendersi come velocità medie annuali calcolate su un periodo 5 anni.

Per utilizzare efficacemente le matrici suindicate il numero di strumenti per il monitoraggio geotecnico/geodetico ed i PS del monitoraggio satellitare devono essere sufficienti a definire l’entità dei movimenti; al riguardo al §.2 del presente documento viene indicata la densità minima dei punti di misura da utilizzarsi per gli studi di approfondimento dei corpi franosi. Con riferimento ai dati di interferometria satellitare PS occorre tenere conto delle caratteristiche tecniche del sistema per un corretto utilizzo delle informazioni satellitari.

La procedura di riclassificazione è cosi definita: Richiamando le fasi preliminari relative alla riperimetrazione, per l’unità territoriale avente g > 0, derivante dall’intersezione di poligoni a differente valore di g, si procede alla identificazione delle possibili unità geomorfologiche omogenee (u.G.) che devono presentare caratteri di omogeneità geomorfologica (FASE 2 – Analisi fotointerpretativa ).

� FASE 3 (Definizione classe di attività) a questo punto si passa all’analisi dei dati di monitoraggio mediante l’utilizzo delle matrici di attività, la matrice 1 qualora per l’area si abbiano a disposizione dati riconducibili ai 10 anni pregressi, ovvero la matrice 2 nel caso contrario.

Sulla base dei valori di spostamento rilevati, ovvero dei dati derivanti dalla Ricerca Storica e dalla sintesi bibliografica e/o misure pregresse, si attribuisce all’unità geomorfologica (u.G.) di interesse la classe di attività (I00, I01, I02,…) derivante dall’applicazione delle matrici 1 e 2.

Fig. 5

In d ic a z io n ed im o v im e n to

n e g liu lt im i 1 0a n n i

2

1 0

I0 0 I0 1

I1 0 I1 1

I2 1I2 0

In a ttiv o s ta b iliz z a to 0 0)

In a ttiv o q u ie s c e n te 0 y)

A tt iv o r ia t t iv a to x 0)

A tt iv o c o n tin u o x y)

0 = n e s s u n m o v im e n to1 = m o v im e n to m o lto le n to2 = m o v im e n to le n to

N O S I

In d ic a z io n ed im o v im e n to

n e g liu lt im i 1 0a n n i

Vel

ocità

(m

m/a

nno)

5 an

niI0 0 I0 1

I1 0 I1 1

I2 1I2 0

(I

( I

( I

( I

N O S I

molto lento estremamente lento

1,6 m/anno MATRICE 2

16

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(Pg2/Fs) (Pg3/Fq)

(Pg4/Fa) (Pg4/Fa) (Pg4/Fa)

(Pg3/Fq) (Pg2/Fs)

Sulle matrici che definiscono le classi di attività è possibile definire nuove classi riferite alle frane a cinematica ridotta a cui associare le classi di pericolosità già definite nei Criteri dell’Autorità di Bacino Regionale (DGR 357/01) secondo la graduazione rappresentata nelle matrici di Fig. 6; nello specifico:

• per le classi di attività I22, nella matrice 1, e I21 e I20 della matrice 2, si definisce la classe di pericolosità Aa, rappresentata dai movimenti continui-attivi che trova corrispondenza con la classe Pg4/Fa;

• per le classi di attività I02 (matrice 1) e I01 (matrice 2), si definisce la classe di pericolosità Iq, rappresentata dai movimenti inattivi-quiescenti che trova corrispondenza con la classe Pg3/Fq;

• per la classe di attività I00, si definisce la classe di pericolosità Is, rappresentata dai movimenti inattivi-stabilizzati che trova corrispondenza con la classe Pg2/Fs;

• per tutti gli stati di attività intermedi tra quelli precedentemente indicati, da inattivo quiescente a attivo-continuo, è possibile definire attraverso il proseguo della procedura delle classi di pericolosità relativa (Pgr).

� FASE 4 (Valutazione pericolosità sismica del sito e conclusione procedura) a) le diverse classi di attività sono poste in relazione con la classe di zonizzazione sismica associata al territorio regionale, come definita dalla DGR 1308/2008. • per Zona sismica 3S e per Zona sismica 3, sotto-zone 3A e 3B, deve essere valutata la

“pericolosità sismica locale”14 per individuare le aree dove in occasione dei terremoti attesi possono verificarsi effetti locali (effetti locali e di sito) che, evidentemente devono essere escluse dai settori suscettibili di riclassificazione. Deve essere anche verificata la risposta del corpo geomorfologico alla sollecitazione sismica corrispondente alla relativa classe di sismicità (pericolosità sismica di base). Qualora la stabilità del corpo geomorfologico in condizioni sismiche sia verificata, ai sensi delle norme vigenti, si procede alla riclassificazione dei settori esenti da effetti “locali e di sito” in caso contrario la frana non è riclassificabile.

• per la Zona sismica 4, devono essere valutati gli “effetti locali e di sito”, nelle zone esenti da effetti è possibile effettuare la riclassificazione.

14 La «pericolosità sismica locale»dipende: dalle caratteristiche geologiche e morfologiche del territorio, in quanto alcuni depositi e forme del paesaggio possono modificare le caratteristiche del moto sismico in superficie e costituire aspetti predisponenti al verificarsi di effetti locali quali fenomeni di amplificazione o di instabilità dei terreni (cedimenti, frane, fenomeni di liquefazione).

Fig. 6

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La valutazione degli effetti sismici, locali e di sito, deve essere svolta mediante gli specifici approfondimenti indicati al §.2, la verifica della sollecitazione sismica è svolta con metodi analitici sulla base del modello geologico e geotecnico del corpo geomorfologico.

b) a seguito della verifica in termini positivi della “sostenibilità” della possibile riclassificazione nei confronti della pericolosità sismica occorre accertarsi che le aree suscettibili di riclassificazione rispettino la condizione di non interferenza con le dinamiche evolutive del corpo geomorfologico residuo; occorre pertanto che nell’ambito degli approfondimenti vengano svolte analisi specificatamente mirate a verificare tale condizione e che nella Relazione Tecnica vengano adeguatamente supportate le motivazioni di esclusione di interferenze.

c) per le situazioni che hanno superato positivamente i filtri della procedura, Il processo di riclassificazione si completa con la conferma della sussistenza di classi di pericolosità differenziata, a cui vengono associati specifici regimi normativi.

5.2.2 Elaborati Tecnici

Viene di seguito definita la documentazione tecnica di riferimento a supporto delle istanze di riclassificazione a seguito di studi di approfondimento. La cartografia tematica va redatta in funzione della superficie indagata alla scala e la scala di rappresentazione prescelta dovrà evidenziare in maniera chiara ed inequivocabile gli elementi rilevati (scala 1:10.000 per l’inquadramento generale del sito e scala 1:5.000 o 1:2.000 per la cartografia tematica di dettaglio). Tutta la cartografia di base, e quella tematica, deve essere estesa a superfici utili per la comprensione del fenomeno franoso (incluse le aree di alimentazione e di possibile invasione) tali da rappresentare sia il processo di frana nella sua interezza, sulla base di criteri morfologici, genetici ed evolutivi, sia i rapporti tra processo franoso ed aree al contorno.

Elaborati tecnici a corredo della riclassificazione: Il processo di riclassificazione va corredato da documentazione che supporti la procedura di approfondimento del quadro conoscitivo; in tal senso gli elementi che definiscono i modelli geologico e geotecnico (tipologia del dissesto, profondità delle superfici di scorrimento, volume e caratterizzazione geotecnica e stratigrafica del materiale coinvolto, valutazioni in merito alla cinematica del dissesto) devono supportare le risultanze dell’applicazione della matrice di attività e devono giustificare la definizione dello scenario di pericolosità diversificato fornendo, anche, indicazioni di massima circa le modificazioni morfologiche, idrologiche ed idrogeologiche compatibili. Sulla base del modello geologico (e geomorfologico) e geotecnico, e di valutazioni analitiche, deve essere verificata la condizione di non interferenza della u.G., oggetto di riclassificazione, con le dinamiche evolutive del corpo geomorfologico residuo. Gli elaborati di carattere geologico e tecnico comprendono:

1) Relazione Tecnica che analizzi ed approfondisca, rispetto al quadro conoscitivo derivante dalla pianificazione di bacino, i caratteri geolitologici, geomorfologici, geostrutturali, idrologici, idrogeologici e geologico-tecnici del suolo e del sottosuolo dell’area di interesse. Deve essere illustrato, adeguatamente sviluppato e supportato, il processo di approfondimento conoscitivo definito nella presente sezione del documento, con particolare riguardo all’analisi della velocità di spostamento del corpo di frana. Devono essere inoltre descritti e definiti gli elementi che supportano la discretizzazione per unità geomorfologiche omogenee (u.G.) del corpo di frana e la zonizzazione degli ambiti

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normativi risultanti, anche mediante l’operazione di aggregazione spaziale dei valori di spostamento. La Relazione, oltre ad essere comprensiva degli elementi come innanzi indicato, dovrà essere coerente con le indicazioni metodologiche ed i contenti definiti nel presente documento, con particolare riferimento alla modellazione geologica e geotecnica. Le cartografie prodotte, le indagini svolte ed i risultati conseguiti dovranno essere adeguatamente commentati e deve essere fornita, anche, una valutazione del grado di stabilità dell’area studiata sulla base delle indagini conoscitive condotte e delle conoscenze pregresse di carattere geologico tecnico, nonché sulla base delle risultanze dei monitoraggi, anche di tipo strutturale, relativamente allo stato di consistenza dei fabbricati, condotti. Devono essere adeguatamente illustrate le valutazioni sull’evoluzione pregressa del dissesto e dell’area indagata ottenibili mediante l’analisi multitemporale di foto aeree (citando volo, anno di ripresa, scala, strisciata e fotogrammi) e dall’analisi di fonti storiche e documentali (ricerche d’archivio). Deve essere verificata la condizione di non interferenza della u.G., oggetto di riperimetrazione, con le dinamiche evolutive del corpo geomorfologico residuo. Sono fornite analisi di carattere idrogeologico in merito alla presenza/assenza di falda sotterranea, derivanti da osservazioni dirette di piezometri e/o pozzi esistenti e/o appositamente installati o realizzati. Deve essere, anche, definito il Piano di Monitoraggio geotecnico e/o geodetico della u.G., relazionato al modello geologico-geomorfologico e geotecnico, che individua, tra i sistemi di controllo posti in essere nell’ambito degli studi di approfondimento, quelli che sono funzionali a verificare la sussistenza, nel tempo, delle condizioni di pericolosità assunte a seguito della riclassificazione. La relazione deve essere conforme a quanto disposto al Cap. 6.2.1 e 6.2.2 delle NTC relativamente alla modellazione geologica e geotecnica nell’ambito dello studio delle condizioni di stabilità dei pendii naturali (cfr. Cap. 6.3, 6.3.2, 6.3.3). nonché, relativamente alla Relazione Geologica, a quanto indicato nella normativa tecnica sui lavori pubblici relativamente alla identificazione del conseguente livello di pericolosità geologica.

Tutte le informazioni raccolte durante le indagini geologiche servono per definire la caratterizzazione e la modellazione geologica dell’area. Relativamente alle indagini geotecniche effettuate la relazione deve altresì motivare adeguatamente ed esplicitamente le scelte progettuali riguardanti il tipo ed i mezzi d’indagine utilizzati, la natura, l’ubicazione e la quantità delle indagini effettuate, in accordo con le condizioni geologiche locali e con l’estensione dell’area oggetto della richiesta; la significatività dei dati ottenuti, che concorrono alla definizione del modello geotecnico , deve essere esplicitamente attestata con assunzione specifica di responsabilità da parte del professionista. 2. Elaborati grafici da allegare alla relazione tecnica:

� Corografia generale del sito. � Stralci della cartografia tematica di Piano di Bacino vigente relativa alla zona indagata (carta

geomorfologia, carta franosità reale con perimetrazione dell’area in frana, carta di suscettività al dissesto).

� Carta geolitologica (comprensiva di carta degli affioramenti) relativa all’area in frana e ad un suo congruo intorno, alla scala minima di 1:5.000). Nella quale sono riportati gli affioramenti del substrato roccioso, le aree con roccia sub affiorante (spessore copertura < 1 m) e le coperture, indicandone la natura (eluvio – colluviali, gravitative) e lo spessore stimato (almeno diviso nelle due categorie “coperture sottili” – spessore da 1 a 3 m e “coperture potenti” – spessore oltre 3 m). Sono, inoltre, cartografate le eventuali giaciture di strato, i sistemi di discontinuità e le lineazioni tettoniche riconosciute o presunte.

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� Sezioni geologiche e geologico-tecniche interpretative. Devono essere convenientemente estese in senso longitudinale e trasversale al versante e realizzate in scala adeguata. Il loro numero deve essere tale da consentire la ricostruzione e la comprensione dell’assetto stratigrafico e geologico-strutturale dell’area indagata. Ove effettuate vengono altresì riportati i dati acquisiti con le prove in situ. Viene evidenziato l’andamento dell’eventuale stratificazione/fratturazione del substrato e dei piani di scivolamento riconosciuti o ipotizzati, sia nella coltre superficiale che nel substrato roccioso.

� Carta geomorfologica relativa all’area in frana e ad un suo congruo intorno, alla scala di 1:5.000/1:10.000 Secondo le specifiche individuate nel Volume 4 dei Quaderni del Servizio Geologico Nazionale (Quaderni serie III): in particolare sono individuati, perimetrati e classificati i dissesti ed è specificato, con apposita simbologia, se si tratti di forme superficiali o profonde che coinvolgono il substrato roccioso. Deve essere segnalata l’eventuale presenza di indicatori cinematici (lesioni dei manufatti, inclinazione di alberi e tralicci, deformazioni di muri di contenimento e sedi stradali, rigonfiamenti e contropendenze, fratture di trazione ecc.), riconoscendo anche le principali forme, processi e depositi presenti, dovuti sia alla gravità che alle acque correnti superficiali che all’azione antropica, nonché le relative tendenze evolutive (ad es. scarpate in erosione, alvei in approfondimento ecc).

� Carta tematica di indirizzo idrogeologico. Vengono riportate, oltre la permeabilità relativa delle formazioni presenti ed il reticolo idrografico superficiale, anche le eventuali sorgenti (libere o captate), pozzi (profondità, stratigrafia e livello di falda se disponibili) e le aree caratterizzate da ristagni idrici; sono anche individuati eventuali punti critici (attraversamenti, tombamenti, pozzetti, griglie ecc.).

� Mappe tematiche degli indicatori cinematico-geomorfologici (I) delle u.t.o, come definite al § 3.1.

� Carta sintetica dell’indice cinematico territoriale (g) con definizione delle/della unità geomorfologica omogenea (u.G.).

� Carta dell’ubicazione delle prospezioni geognostiche e prove in sito. � Stratigrafie di sondaggio, esiti di indagini e prove geognostiche, geotecniche e/o geofisiche e

risultati di analisi di laboratorio. Per quanto attiene i sondaggi a carotaggio continuo, le stratigrafie andranno allegate alla relazione conclusiva, come le fotografie delle cassette catalogatrici, le informazioni riportate sulle cassette circa il cantiere, la data di perforazione, il numero di sondaggio e di cassetta, l’intervallo di profondità carotato, ecc., dovranno essere leggibili ed incluse nelle foto. Similmente andrà fatto per le foto degli affioramenti naturali e/o della successione stratigrafica presente nei pozzetti esplorativi.

� Carta dei “capisaldi di misura dello spostamento” superficiali e profondi, alla scala 1:2.000/1:5.000.

� Carta delle lesioni dei manufatti, alla scala 1:2.000/1:5.000 e rapporto analitico del quadro lesivo, anche attraverso la schedatura dello stesso.

� Carta tematica della zonizzazione per classi di velocità del corpo di frana, mediante aggregazione spaziale dei valori, alla scala 1:5.000/1:10.000.

� Risultanze dell’analisi di spostamento (diagrammi inclinometrici, e diagrammi di spostamento dei capisaldi superficiali).

� Risultanze delle analisi di carattere sismico volte allo studio della pericolosità sismica locale comprensive delle verifiche stabilità del corpo geomorfologico in condizioni dinamiche.

� Cartografia tematica delle microzone omogenee in prospettiva sismica. � Carta tematica degli ambiti normativi, cartografia in scala idonea (alla scala 1:5.000 o almeno

uguale a quella della cartografia di piano) Contenente la proposta di nuova perimetrazione e/o classificazione del grado di suscettività al dissesto, anche con stato di raffronto rispetto alla perimetrazione/classificazione riportata nel piano di bacino. Tale cartografia è da redigersi

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secondo i criteri e le classificazioni adottate nei piani di bacino. In ogni caso si ribadisce che le riperimetrazioni proposte devono avere un “significato geomorfologico”, riferite cioè alle u.g.o. e non essere, pertanto, limitate a singoli lotti di terreno.

� Documentazione iconografica/fotografica, Idonea documentazione fotografica dell’area indagata, degli affioramenti, del rilevamento strutturale e dello stato di integrità dei manufatti, della campagna di indagini condotta e dei saggi, se eseguiti, e comunque di tutti gli aspetti ritenuti più significativi. I punti e le direzioni di ripresa sono ubicati su idonea cartografia ed opportunamente numerati.

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3.3. INDIRIZZI PER LA RIPERIMETRAZIONE DI AREE A SUSCETTIVITA’ PER FRANA, MEDIANTE INTERVENTI DI CONSOLIDAMENTO

In coerenza con quanto già stabilito nella DGR 357/0, al par. 4 All.1, e ad ulteriore specificazione delle indicazioni relative alla riperimetrazione delle aree a suscettività al dissesto elevata e molto elevata, a seguito degli interventi di sistemazione, stabilite nella DGR 1338/07 si indicano i seguenti indirizzi. In particolare deve esse verificata la sussistenza dei seguenti presupposti:

a. le opere realizzate devono essere conformi al Piano di bacino relativo ed, in ogni caso, al progetto approvato dagli Enti competenti, previa acquisizione degli eventuali necessari pareri di conformità al Piano di bacino;

b. le opere realizzate devono risolvere le condizioni di pericolosità del corpo di frana, verso le quali sono state progettate, ovvero possono riguardare la realizzazione di lotti funzionali dell’intervento complessivo previsto dal Piano, che definiscono, così, delle “unità territoriali elementari 15 (UTE)”, vedi Fig. 9, per la quale deve essere escluso il coinvolgimento con le dinamiche evolutive del corpo geomorfologico residuo;

c. gli interventi di messa in sicurezza, definiti sulla base di studi geologici, idrogeologici e

geotecnici, devono essere comunque tali da non pregiudicare le condizioni di stabilità nelle aree adiacenti, da non limitare la possibilità di realizzare interventi definitivi di stabilizzazione dei fenomeni franosi, nel caso di realizzazione di lotti funzionali, e da consentire la manutenzione delle opere di messa in sicurezza;

d. le opere devono essere state regolarmente terminate e collaudate; e. deve essere svolto un periodo di monitoraggio geotecnico/geodetico di almeno 2 anni,

successivi alla realizzazione dell’intervento, dell’area oggetto di intervento, sulla base di un programma di monitoraggio definito in sede progettuale in relazione, anche, alla tipologia del dissesto;

f. deve essere definito uno specifico piano di manutenzione , che descriva modalità, tempistica e costi della stessa al fine di garantire nel tempo il mantenimento delle raggiunte condizioni di la stabilità ottenute con le opere, è altresì necessario specificare il soggetto responsabile/preposto della manutenzione delle stesse al fine di assicurarne la corretta funzionalità nel tempo;

g. l’avvenuta messa in sicurezza conseguente la realizzazione ed il collaudo delle opere di consolidamento, gli esiti positivi del sistema di monitoraggio attivato e la delimitazione delle aree risultanti in sicurezza devono essere certificati.

Con riferimento alla disciplina vigente16, anche relativa alla progettazione delle opere di ingegneria (Norme Tecniche sulle Costruzioni, di cui al DM 14/01/2008) si precisa che gli studi di

15 Rappresentano degli areali, afferenti il corpo di frana, caratterizzati da una propria identità e dinamica geomorfologica relativamente alle quali gli interventi di consolidamento progettati sono in grado di risolvere le condizioni di pericolosità e costituiscono, di fatto, i settori di influenza delle opere di consolidamento. 16 Il progetto degli interventi di consolidamento deve:

u.G..

Fig. 9

UTE

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approfondimento di carattere geologico-tecnico e geomorfologico devono consentire la definizione dei modelli geologico e geotecnico di riferimento ed essere coerenti con quanto indicato al §.2, segnatamente: indagini preliminari, Indagini e accertamenti di dettaglio, Indagini geognostiche e geotecniche, Monitoraggi.

Il progetto sarà finalizzato all’ottenimento di idonei fattori di sicurezza rispetto alle possibili superfici di scorrimento, con le considerazioni di cui al Cap.6.3.4 delle NTC sopra richiamate, operando sia a livello strutturale che con interventi di regimazione delle acque superficiali che sottosuperficiali.

Il progetto di sistemazione idrogelogica deve essere supportato dalla conoscenza dei processi e dei fattori che hanno innescato o che possono innescare il dissesto ed occorre confrontare il coefficiente di sicurezza prima e dopo l’intervento per valutare l’effettivo miglioramento delle condizioni di stabilità raggiunta.

I parametri geotecnici e geomeccanici forniti dal consulente geologo dovranno essere adottati dal progettista per i calcoli e le verifiche: • delle opere di sostegno e della loro compatibilità con l’assetto geomorfologico; • delle opere di fondazione.

Per tutti i calcoli e le verifiche dovranno essere sempre valutate le escursioni di falda ed eventuali sovraccarichi. Le analisi relative alla stabilità dei versanti devono prendere in considerazione gli aspetti dinamici relativi alla definizione dell’azi one sismica al fine di verificare la fattibilità delle previsioni - con riferimento ai contenuti della normativa tecnica delle costruzioni la progettazione deve valutare le condizioni di stabilità del complesso opera-pendio in presenza delle azioni sismiche - e valutare gli effetti locali e di sito, in relazione all’obiettivo più generale della riduzione del rischio sismico.

In relazione a quanto indicato ai precedeti punti b) e c) poiché la riperimetrazione è possibile unicamente a seguito della comprovata risoluzione della situazione di pericolosità del corpo di frana, o di una unità territoriale omogenea, occorre che la condizione di “messa in sicurezza” venga adeguatamente supportata, con riferimento alle caratteristiche ed all’efficacia degli interventi realizzati, nonché dell’assetto geomorfologico dell’area protetta dalle opere di difesa idrogeologica. Al riguardo osservando che si possono identificare due grandi categorie di interventi in relazione alla sistemazione posta in essere:

• interventi c.d. di “messa in sicurezza”, dimensionati cioè per la risoluzione definitiva delle condizioni di pericolosità, che vanno ad incidere sulle cause innescanti, e per quanto possibile predisponenti, del dissesto,

• interventi c.d. di “mitigazione del rischio”, la cui efficacia non garantisce la risoluzione della condizione di pericolosità, ma che contribuiscano comunque a ridurre in modo significativo il livello di pericolosità e rischio attuale;

si precisa che la seconda tipologia di opere non consente di svolgere la riperimetrazione dell’area di intervento poiché, evidentemnete, permane la condizione di rischio, come accade peraltro anche nei settori del corpo di frana non appartenenti alla unità territoriale elementare.

La riperimetrazione conseguente alla realizzazione degli interventi di consolidamento consente l’aggiornamento dei limiti delle aree di pericolosità previgenti e, nel contempo, la riclassificazione dell’area interessata dal consolidamento, la quale, ai fini di conoscenza storica e di protezione civile, è necessario che sia distinta graficamente negli elaborati di piano per una più facile lettura ed interpretazione.

• essere coerente con i contenuti documentali previsti dal DPR 554/1999, “Regolamento di attuazione della legge quadro sui LL.PP. n. 109/1994 e

s.m.i.”, relativamente al livello di progettazione indicato (Sez. III), • rispondere a quanto indicato nelle NTC2008, e relative “Istruzioni per l’applicazione”, per quanto riguarda a progettazione di carattere geotecnico,

come definita al Cap.6, ed alla modellazione geologica e geotecnica (Cap. 6.2.1 e 6.2.2) nell’ambito dello studio delle condizioni di stabilità dei pendii naturali (cfr. Cap. 6.3, 6.3.2, 6.3.3),

e, per quanto attiene la Relazione Geologica, a quanto indicato all’art. 27 del DPR 554/1999 relativamente alla identificazione del “…conseguente livello di pericolosità geologica e il comportamento in assenza ed in presenza delle opere”.

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In particolare per tali areali viene identificata una specifica classe di pericolosità, rappresentativa della condizione di “frana stabilizzata artificialmente ”.

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4. DEFINIZIONI Ai fini del presente documento valgono le seguenti definizioni tecniche: • Velocità: si fa riferimento alla scala di intensità dei fenomeni franosi proposta da IUGS/WGL (1995),

basata sulla velocità del movimento ed associata ad una scala dei danni prodotti dalla frana proposta da MORGENSTERN (1985) e da CRUDEN & VARNES (1995).

Classe

Descrizione Danni osservabili Scala delle velocità

1 ESTREM. LENTO

Impercettibile senza strumenti di monitoraggio. Costruzione di edifici possibile con precauzioni.

16 mm/anno

5 10-10 m/s

2 MOLTO LENTO

Alcune strutture permanenti possono non essere danneggiate dal movimento.

1.6 m/anno

5 10-8 m/s

3 LENTO Possibilità di intraprendere lavori di rinforzo e restauro durante il movimento. Le strutture meno danneggiabili possono essere mantenute con frequenti lavori di rinforzo se lo spostamento totale non è troppo grande durante una particolare fase di accelerazione.

13 m/mese

5 10-6 m/s

4 MODERATO Alcune strutture temporanee o poco danneggiabili possono essere mantenute

1.8 m/h

5 10-4 m/s

5 RAPIDO Evacuazione possibile. Distruzione di strutture, immobili ed installazioni permanenti.

3 m/min

5 10-2 m/s

6 MOLTO RAPIDO

Perdita di alcune vite umane. Velocità troppo elevata per permettere l'evacuazione delle persone.

5 m/s

5 m/s

7 ESTREM. RAPIDO

Catastrofe di eccezionale violenza. Edifici distrutti per l'impatto del materiale spostato. Molti morti. Fuga impossibile.

Scala delle velocità e dei danni prodotti dalle frane (da IUGS/WGL, 1995) • Distribuzione spazio-temporale d’attività: si rinvia a quanto previsto nell’Allegato Tecnico n. 1, paragrafo

2.9.2 del Progetto IFFI17. Per la definizione di distribuzione temporale d’attività si fa riferimento alle seguenti classi: CONTINUO – si definisce continuo un movimento che, pur mostrando rallentamenti e accelerazioni, non evidenzi significative fasi di stasi; STAGIONALE – movimento caratterizzato da una curva tempo/spostamento ad andamento sinusoidale, con valori massimi in corrispondenza delle stagioni piovose e nulli in quelli siccitosi; IMPULSIVO – movimento che si riattiva a intervalli di tempo brevi (al massimo alcuni anni) ma irregolari.

• Stile di attività: indica l’eventuale combinazione e ripetizione di più meccanismi di movimento, le relative definizioni (per quanto previsto nell’Allegato Tecnico n. 1 paragrafo 2.9.3 del Progetto IFFI) risultano: singolo (single): fenomeno che consiste in un singolo movimento del materiale spostato, spesso costituito da un unico blocco relativamente intatto. complesso (complex): fenomeno caratterizzato dalla combinazione di due o più tipi di movimento; il termine è limitato ai casi in cui i diversi tipi di movimento sono in sequenza temporale. composito (composite): fenomeno in cui due o più meccanismi di movimento avvengono in parti diverse della massa spostata, talvolta simultaneamente. Zone diverse della massa spostata possono presentare sequenze di movimento diverse; si considera per convenzione come primo movimento quello a quota topograficamente più elevata. successivo (successive): molteplice ripetizione dello stesso tipo di movimento in cui le diverse masse spostate non condividono la superficie di rottura; fenomeno dato da un insieme di movimenti identici ma individuali. multiplo (multiple): molteplice ripetizione dello stesso tipo di movimento, che causa un ampliamento della superficie di rottura; la nuova massa spostata è in contatto con la massa spostata precedentemente e spesso condivide con essa la superficie di rottura.

• Stato di attività dei corpi franosi, con riferimento alla bibliografia consolidata (Raccomandazioni del WP/WLI e Cruden & Varnes,1996) si considera attiva (active) una frana attualmente in movimento, riattivata (reactivated) una frana nuovamente attiva dopo un periodo di inattività, sospesa (suspended) una frana che non si muove attualmente, ma che si è mossa nell’ultimo ciclo stagionale. Una frana che non si muove è definita quiescente (dormant) se si ritiene possibile una sua riattivazione oppure stabilizzata (stabilized) se non si ritiene possibile una sua riattivazione, distinguendo ancora tra naturalmente stabilizzata (abandoned) o artificialmente stabilizzata (artificially stabilized). Infine è

17 Il Progetto IFFI è l’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia (IFFI) promosso dal Comitato dei Ministri per la difesa del Suolo ex lege 183/89 (verbale Com. Min. 17 gennaio 1997) realizzato con il concorso del Ex-Servizio Geologico della Presidenza del Consiglio dei Ministri (ora APAT), delle Amministrazioni Regionali e delle Provincie Autonome.

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definito relitto (relict) un fenomeno che si è sviluppato in condizioni geomorfologiche o climatiche considerevolmente diverse dalle attuali, di cui si propone un’estesa discussione nel paragrafo seguente

• Areale significativo/congruo intorno, si intende l’areale che comprende il territorio che, caso per caso, include gli elementi geolitologico - formazionali, tettonico - strutturali, geomorfologici e idrogeologici facenti capo all'unità geomorfologica di riferimento nel quale ricade la richiesta di riperimetrazione o di riclassificazione; l'analisi di tali elementi concorre, insieme alla ricostruzione dei caratteri stratigrafici, alla definizione del modello geologico dell'area in esame.

• La Tecnica PS è un algoritmo per l’elaborazione dei dati acquisiti da sensori radar di tipo SAR (Synthetic Aperture Radar) montati a bordo di satelliti. Attraverso questa tecnica innovativa è possibile evidenziare nelle immagini radar un insieme di capisaldi a terra (corrispondenti tipicamente a manufatti, strutture metalliche, rocce esposte) ove risultano possibili misure estremamente accurate di movimento (l’accuratezza è dell’ordine del millimetro sui capisaldi migliori). Tali punti sono detti Permanent Scatterers (PS) e costituiscono di fatto una rete geodetica “naturale”, per ogni caposaldo radar risulta possibile estrarre una serie storica di variazione della sua distanza rispetto all’orbita del satellite evidenziando eventuali spostamenti lungo la congiungente sensore-bersaglio a terra. I PS preservano infatti l’informazione di fase nel tempo e al variare della geometria di acquisizione. Per ricavare l’informazione utile è necessario che la densità spaziale di PS sia sufficientemente elevata (maggiore di 5-10 PS/km²), e i moti dei bersagli radar siano sufficientemente lenti (velocità inferiori a 5-6 cm/anno).

• Unità Territoriale Omogenea (U.T.O.) rappresenta una porzione fisica del territorio, delimitata su base geomorfologica, che risulta caratterizzata dalla presenza, o dall’assenza, di indicatori cinematici (Ii), quegli elementi, cioè, che quando presenti danno indicazioni della presenza di un movimento presente e/o passato.

• Unità Geomorfologica Omogenea (u.G.) rappresenta una porzione fisica del territorio, che residua da un processo di riperimetrazione e la cui geometria viene definita su base geomorfologica.

• Unità Territoriale Elementare (UTE) rappresenta, nell’ambito del processo di riclassificazione mediante opere di consolidamento, una porzione fisica di territorio, entro un corpo di frana, caratterizzata da una propria identità e dinamica geomorfologica su cui si agiscono gli interventi di consolidamento.

• Modello Geologico rappresenta la caratterizzazione e modellazione geologica del sito e consiste nella ricostruzione dei caratteri litologici, stratigrafici, strutturali, idrogeologici, geomorfologici e, più in generale, di pericolosità geologica del territorio (rif. NTC 2008, §6.2.1).Lo studio del modello geologico deve definire, con preciso riferimento al progetto, i lineamenti geomorfologici della zona nonché gli eventuali processi morfologici ed i dissesti in atto o potenziali e la loro tendenza evolutiva, la successione litostratigrafica locale, con la descrizione della natura e della distribuzione spaziale dei litotipi, del loro stato di alterazione e fratturazione e della loro degradabilità; inoltre, deve illustrare i caratteri geostrutturali generali, la geometria e le caratteristiche delle superfici di discontinuità e fornire lo schema della circolazione idrica superficiale e sotterranea (rif. Circolare esplicativa NTC 2008, §C6.2.1).

• Modello Geotecnico indica lo schema rappresentativo delle condizioni stratigrafiche, del regime delle pressioni interstiziali e della caratterizzazione fisico-meccanica dei terreni e delle rocce comprese nel volume significativo, finalizzato all’analisi quantitativa di uno specifico problema geotecnico (rif. NTC 2008, §6.2.2).

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

CRITERI PER LA DEFINIZIONE DI CLASSI DI PERICOLOSIT À RELATIVA IN AREE A SUSCETTIVITÀ AL DISSESTO ELEVATA E MOLTO ELE VATA PER

FRANA A CINEMATICA RIDOTTA

Documento approvato con DGR n.265/2010 – Allegato 2

Documento 5.3

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Criteri per definizione classi di pericolosità relativa per frane a cinematica ridotta

Documento 5.3 Pagina 1 di 4

ALLEGATO 1 ALLA DGR N . 265/2010

CRITERI PER LA DEFINIZIONE DI CLASSI DI PERICOLOSIT À RELATIVA IN AREE A SUSCETTIVITÀ AL DISSESTO ELEVATA E MOLTO ELEVATA PE R FRANA A CINEMATICA

RIDOTTA PREMESSA

I criteri dell’Autorità di Bacino regionale di cui alla DGR 357/20011 prevedono l’attribuzione della classe a suscettività al dissesto molto elevata ed elevata rispettivamente ad aree in cui siano presenti movimenti franosi attivi e quiescenti, associando, a tali aree, denominate Pg4 (frane attive) Pg3 (frane quiescenti) regimi normativi che limitano la fruibilità del territorio ai fini edificatori, inibendo la possibilità di realizzare nuove costruzioni.

Considerato che sulla base degli approfondimenti di carattere geologico e tecnico, sviluppati secondo la metodologia, che differenzia la pericolosità dei fenomeni franosi a cinematica ridotta, è possibile individuare aree a pericolosità geomorfologia differenziata, è necessario definire dei criteri per la definizione di nuove classi a pericolosità relativa, per frane a cinematica ridotta, cui associare la corrispondente disciplina normativa. Il presente documento individua, pertanto, sulla base delle caratteristiche di pericolosità delle aree considerate, specifici ambiti sui quali è consentita anche la possibilità di realizzare interventi di nuova edificazione, fermo restando il fine del non aumento delle condizioni di rischio attuale e della tutela della pubblica e privata incolumità. La definizione dei presenti criteri consente, tra l’altro, un allineamento dei regimi nomativi in materia, approvati dalle Autorità di bacino operanti sul territorio ligure, che già prevedono interventi di nuova costruzione in area di frana quiescente. CRITERI PER LA DEFINIZIONE DI NUOVE CLASSI DI PERIC OLOSITA’ RELATIVA NELLE AREE A SUSCETTIVITA’ ELEVATA E MOLTO ELEVATA (PG3 E PG4), PER FRANA A CINEMATICA RIDOTTA, E DEFINIZIONE DI CLASSI DI PERI COLOSITA’ I criteri regionali per la redazione della normativa dei piani di bacino prevedono la definizione di differenti classi di suscettività al dissesto, corrispondenti a diverse gradazioni della pericolosità geomorfologica, a cui sono associate specifiche indicazioni normative volte ad un corretto governo del territorio relativamente alla gestione delle situazioni di rischio. Alle classi di pericolosità previste con la DGR 357/01 (Disciplina dell’assetto geomorfologico, cfr. par. 3.2, comma a) dell’All. 1) vengono affiancate nuove classi, riguardanti i fenomeni franosi a cinematica ridotta, definite attraverso specifici studi ed approfondimenti di carattere geologico tecnico come stabilito nell’Allegato 1.

Il principio fondante, già richiamato, è quello di definire interventi urbanistico-edilizi che presentino una vulnerabilità ridotta, in relazione alla situazione di attività del dissesto ovvero di rendere possibili “azioni” tese alla riduzione della vulnerabilità delle opere esistenti, anche ai fini di migliorare la tutela della pubblica e privata incolumità, e che non determinino un aumento apprezzabile del numero di abitanti, addetti o utenti2 o della classe di rischio attuale.

1 di cui alla: a) Raccomandazione n. 4B/1996 ”Valutazione della pericolosità e del rischio idrogeologico – carte derivate”;

b) Linea guida n. 2/2000 “Indicazioni metodologiche per la redazione della carta di suscettività al dissesto dei versanti”; c) DGR 357/2001 e successive modificazioni ed integrazioni.

2 Secondo il principio già espresso nella DGR 848/2003 circa l’ammissibilità degli interventi sul patrimonio edilizio esistente.

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Criteri per definizione classi di pericolosità relativa per frane a cinematica ridotta

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Il regime normativo associato alle nuove classi rinvia al D.P.R. n. 380/2001 ai fini dell’individuazione delle tipologie degli interventi urbanistico edilizi consentiti. Per quanto concerne la disciplina dell’assetto gemorfologico circa la riclassificazione delle aree a suscettività molto elevata ed elevata, per frana a cinematica ridotta, mediante l’applicazione della matrice di attività, di cui all’Allegato 1, che individua delle classi a pericolosità differenziata, risulta che per le:

⇒ I21, I22 e I20, (classi di attività determinate nell’Allegato 1), sono definite nella classe di pericolosità Aa e presentano caratteristiche di pericolosità tali da essere soggetti al regime normativo delle aree Pg4, suscettività al dissesto molto elevata per fra na attiva , secondo i criteri definiti al par. 3.2, comma a) dell’Allegato 1 DGR 357/2001. Di seguito si riporta la definizione di tale classe di pericolosità: Classe di pericolosità Aa in aree a suscettività al dissesto molto elevata, per frana a cinematica ridotta : caratterizzate da una condizione di pericolosità, di livello molto elevato, definita a seguito di approfondimenti conoscitivi e studi di maggior dettaglio.

• I22 (in tessuto urbano consolidato 3) e I21 (in tessuto urbano consolidato) e I20, (in tessuto urbano consolidato), sono ricomprese nella classe di attività Aa e purché ricadenti in ambiti di tessuto urbano consolidato viene definito uno specifico ambito normativo differenziato (AaCO). Nella fattispecie, la disciplina dell’assetto gemorfologico viene integrata come segue: Classe di pericolosità Aa in aree a suscettività al dissesto molto elevata, per frana a cinematica ridotta, e ricadenti in tessuto urbano c onsolidato : caratterizzate da una condizione di pericolosità, di livello molto elevato, definita a seguito di approfondimenti conoscitivi e studi di maggior dettaglio. In considerazione delle caratteristiche di pericolosità di queste aree sono consentiti interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici esistenti con la stessa volumetria fisica e sagoma di quello preesistente strettamente necessari a ridurre la vulnerabilità e supportati da progetti, da sottoporre a parere obbligatorio e vincolante della Provincia.

⇒ I10 , I11, I12, sono definiti nella classe di pericolosità Aa* e presentano caratteristiche di “minor pericolosità relativa” rispetto alla classe Aa. Pertanto, nella fattispecie, la disciplina dell’assetto gemorfologico viene integrata come segue: Classe di pericolosità Aa* in aree a suscettività a l dissesto molto elevata, per frana a cinematica ridotta: caratterizzate da una condizione di pericolosità relativa definita a seguito di approfondimenti conoscitivi e studi di maggior dettaglio, diversificata rispetto al grado di pericolosità geomorfologica Aa. In considerazione delle caratteristiche di pericolosità relativa di queste aree, sono consentiti interventi di ristrutturazione edilizia, come definita all’Art.3, comma 1 lett. d), del DPR 380/2001, a condizione che determinino la diminuzione della vulnerabilità e dell’esposizione al rischio Per gli edifici esistenti, ai fini della diminuzione dell’esposizione al rischio idrogeologico, è ammessa altresì la possibilità della demolizione e successiva ricostruzione di un volume fisico pari o inferiore a quello esistente con scostamento dallo stesso sedime. Sono altresì consentiti interventi quali le sistemazioni di spazi aperti anche mediante modifiche alle quote del terreno preesistente e la realizzazione di muri di contenimento di natura pertinenziale o la demolizione di manufatti e costruzioni.

3 Si intende, per analogia con quanto già precisato nella circolare esplicativa di cui alla DGR 848/2003, fare riferimento a zone omogenee classificate di tipo “A” e/o “B” in base al DM 02.04.1968. Vi possono rientrare anche zone di tipo “D” che inglobino insediamenti produttivi di varia natura già esistenti o da riconvertire o da completare, nonché altre zone comunque classificate, e quindi anche di tipo “C” che siano sostanzialmente assimilabili a zone di tipo “A” e “B” e che in ogni caso risultino caratterizzate dalla presenza di un tessuto edilizio consolidato ovvero da completare in alcune sue parti. Tali completamenti devono necessariamente riguardare lotti di limitata estensione ancora liberi ma interni a zone già densamente edificate.

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Criteri per definizione classi di pericolosità relativa per frane a cinematica ridotta

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Sono inoltre consentiti la ristrutturazione e la realizzazione di infrastrutture lineari e a rete riferite a servizi pubblici essenziali, non altrimenti localizzabili, corredati di progetti supportati dal parere vincolante della Provincia, basati su specifici studi di dettaglio e che garantiscano la sicurezza dell’esercizio delle funzioni per cui sono destinati, tenuto conto dello stato di dissesto in essere. Gli interventi ammessi, in ogni caso, non devono aumentare la vulnerabilità degli edifici e le condizioni di rischio rispetto ai fenomeni di dissesto e non devono comportare un apprezzabile incremento del numero di abitanti, addetti o di utenti; nel caso di interventi di demolizione con ricostruzione deve essere assicurata la riduzione della vulnerabilità dell’edificio, rendendo il manufatto maggiormente compatibile con la condizione di elevata pericolosità dell’area, anche attraverso la messa in opera di tutti gli accorgimenti tecnici e le misure finalizzate a tutelare la pubblica incolumità.

⇒ I02 (della matrice 1), I01 (della matrice 2), sono definiti nella classe di pericolosità Iq e presentano caratteristiche di pericolosità tali da essere assoggettati al regime normativo delle Pg3, secondo i criteri definiti al par. 3.2, comma b) dell’Allegato 1 DGR 357/2001. Di seguito si riporta la definizione per tale classe di pericolosità: Classe di pericolosità Iq in aree a suscettività al dissesto elevata, per frana a cinematica ridotta: caratterizzate da una condizione di pericolosità, di livello elevato, definita a seguito di approfondimenti conoscitivi e studi di maggior dettaglio.

• I02 (della matrice 1, in tessuto urbano consolidato) e I01 (della matrice 2, in tessuto urbano consolidato), sono ricomprese nella classe di attività Iq e purché ricadenti in ambiti di tessuto urbano consolidato, viene definito uno specifico ambito normativo differenziato (IqCO). Nella fattispecie, la disciplina dell’assetto gemorfologico viene integrata come segue: Classe di pericolosità Iq in area a suscettività al dissesto elevata, per aree ricadenti in tessuto urbano consolidato , in cui sono presenti movimenti di massa caratterizzati da una condizione di pericolosità relativa di livello elevato, secondo quanto definito a seguito di approfondimenti conoscitivi. In queste aree sono consentiti interventi edilizi fino alla nuova edificazione supportati da progetti, da sottoporre a parere obbligatorio e vincolante della Provincia ed accompagnanti da specifiche indagini di approfondimento, che dettaglino: − le caratteristiche geologiche, geomorfologiche e geologico-tecniche relative sia all’area

di interesse che al dissesto nel suo complesso, nonché la rispondenza delle indagini agli Indirizzi Tecnici riguardanti gli approfondimenti conoscitivi nelle aree a suscettività per frana;

− la valutazione dell’incidenza dell’opera sulle condizioni generali di stabilità dell’area; − gli interventi accessori di sistemazione previsti, nonché gli accorgimenti tecnico-

costruttivi che si intende realizzare in relazione alle caratteristiche del dissesto, ai fini di assicurare il non aumento della pericolosità e del rischio connesso e la tutela della pubblica e privata incolumità.

⇒ I00, I01, sono definiti nella classe di pericolosità Is e presentano caratteristiche di pericolosità tali da essere soggetti al regime normativo delle Pg2, secondo i criteri definiti al par. 3.2, comma c) dell’Allegato 1 DGR 357/2001. Di seguito si riporta la definizione per tale classe di pericolosità: Classe di pericolosità Is in aree a suscettività al dissesto media, per frana a cinematica ridotta: caratterizzate da una condizione di pericolosità, di livello medio, definita a seguito di approfondimenti conoscitivi e studi di maggior dettaglio.

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Criteri per definizione classi di pericolosità relativa per frane a cinematica ridotta

Documento 5.3 Pagina 4 di 4

Nel seguito si riportano le matrici di attività, già presentate nell’Allegato 1, integrate con le corrispondenti classi di pericolosità precedentemente descritte:

Per quanto concerne la Disciplina dell’assetto gemorfologico relativamente alla classe di pericolosità derivante da interventi di consolidamento dei versanti di cui al par. 4, all.1 della DGR 357/01 e ss. mm. e ii. si prevede quanto segue:

⇒ gli areali derivanti da una procedura di riperimetrazione a seguito degli interventi di consolidamento descritta nell’Allegato 1, presentano caratteristiche di pericolosità tali da prevedere una classe di pericolosità Pg2*. Nella fattispecie, la disciplina dell’assetto gemorfologico di cui al par. 3.2 comma c) dell’All. 1 della DGR 357/01 viene integrata come segue: Classe di pericolosità Pg2*, in area a suscettività al dissesto media: aree in cui sono presenti elementi geomorfologici ed interventi antropici, che identificano una frana stabilizzata “artificialmente”, dalla cui valutazione combinata si risulta una propensione al dissesto di grado inferiore alla classe Pg3. In considerazione delle caratteristiche di pericolosità di queste aree si demanda ai Comuni, nell’ambito della norma geologica di attuazione degli strumenti urbanistici o in occasione dell’approvazione, sotto il profilo urbanistico-edilizio, di nuovi interventi insediativi e infrastrutturali, la definizione della disciplina specifica di dette aree, attraverso indagini specifiche, che tengano conto del relativo grado di suscettività al dissesto. Tali indagini devono essere volte a definire gli elementi che determinano il livello di pericolosità, ad individuare le modalità tecnico-esecutive dell’intervento, nonché ad attestare che gli stessi non aggravino le condizioni di stabilità del versante. Gli interventi consentiti devono essere, comunque, supportati da azioni indirette, non strutturali, di protezione civile (sistemi di controllo e di allerta, piani di emergenza e misure di autoprotezione e sensibilizzazione) in attuazione degli indirizzi previsti dai Criteri regionali (par. 7 dell’All.1 DGR 357/01) e recepiti dalla normativa-tipo di cui all’Allegato 2 della DGR 357/01(Art. 18, Allegato 7).

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AUTORITA’ DI BACINO REGIONALE

CRITERI IN MATERIA DI RIORDINO DEL VINCOLO IDROGEOLOGICO

AGGIORNAMENTO DELLA CARTOGRAFIA DI RIFERIMENTO

Documento approvato con DGR n.1795/2009

Documento 5.4

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Criteri in materia di riordino vincolo idrogeologico Dgr n.1795/2009

Documento 5.4 Pagina 1 di 5

ALLEGATO 1 ALLA DGR N .1795/2009

CRITERI IN MATERIA DI RIORDINO DEL VINCOLO IDROGEOL OGICO AGGIORNAMENTO DELLA CARTOGRAFIA DI RIFERIMENTO

Premessa Come è noto il RD n.3267 del 1923 ha istituito il vincolo per scopi idrogeologici al fine di tutelare i terreni, di qualsiasi natura e destinazione, in termini di prevenzione del danno pubblico a seguito di utilizzazioni del suolo che possano indurre denudazioni delle aree, perdita di stabilità o turbativa del regime delle acque. La disciplina del riordino di tale vincolo compete alla pianificazione di bacino già ai sensi della L.183/1989, che si era data carico di inserirlo tra i possibili contenuti dei piani, indicazione rilanciata dal D. Lgs.152/2006 che colloca il riordino del vincolo idrogeologico tra le attività di programmazione e pianificazione dell’Autorità di bacino distrettuale. La LR n.4/1999 recante ”Norme in materia di foreste e di assetto idrogeologico”, tuttora vigente, subentrata alla 22/84, recepisce le disposizioni della normativa nazionale riconducendo la ridefinizione delle zone sottoposte a tale vincolo, nonché di quelle da esentare, nei contenuti dei piani di bacino di cui all’art.15 della LR 9/93”. L’applicazione dei disposti normativi soprarichiamati portano ad approfondire le opportune correlazioni tra le più recenti risultanze della pianificazione di bacino ed i più radicati principi perseguiti fino dagli anni 50-60 nell’applicazione del vincolo idrogeologico. E’ necessario tener presente che: - la pianificazione di bacino, sulla base di una cartografia di zonizzazione della suscettività al

dissesto, impone, a scala di bacino, un regime vincolistico di destinazione d’uso del suolo in ragione dei gradi di pericolosità individuati. Nelle zone individuate dalla pianificazione di bacino, in specie per aree di frana attiva e quiescenti, sono inibiti in modo assoluto gli interventi di nuova edificazione. Inoltre per le aree a suscettività al dissesto elevata, non per frana, la previsione di interventi edificatori è subordinata ad uno specifico parere della Provincia che, sulla base di indagini di maggior dettaglio, valuta ed accerta le condizioni di minor pericolosità, nonché la compatibilità degli interventi proposti con le condizioni locali di dissesto.

- Il vincolo idrogeologico, interessa estesi areali, non è preclusivo della possibilità di

trasformazione o di nuova utilizzazione del territorio, persegue lo scopo principale di preservare l’ambiente fisico, mira alla tutela dell’interesse pubblico in termini di prevenzione del danno pubblico a seguito di utilizzazioni del suolo che inducano denudazioni delle aree, perdita di stabilità o turbativa del regime delle acque. Il vincolo idrogeologico garantisce, attraverso opportune verifiche tecniche, operate a scala progettuale, che gli interventi di trasformazione del territorio, che comportino movimento di terreno, non vadano ad alterare la stabilità dei terreni e la regimazione delle acque.

Gli obiettivi perseguiti dal vincolo idrogeologico si ritengono pertanto ancora efficaci, anche alla luce delle tutele poste dalla pianificazione di bacino, in quanto, vigilando sulle entità e sulle modalità di realizzazione dei movimenti di terra in rapporto alle condizioni dei versanti, alla situazione della vegetazione ed al regime delle acque, accertano e verificano a scala locale che

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Criteri in materia di riordino vincolo idrogeologico Dgr n.1795/2009

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l’attuazione degli interventi non comportino operazioni di destabilizzazione dei suoli, svolgendo una preziosa funzione di prevenzione dall’eventuale innesco di nuovi fenomeni di dissesto. Pertanto si rende necessario individuare un percorso tecnico-procedurale che coordini e relazioni le disposizioni e gli adempimenti che derivano delle rispettive discipline anche nell’ottica di traguardare l’obiettivo dello snellimento e della semplificazione delle procedure in essere. L’esame delle problematiche da affrontare ha messo in luce i seguenti obiettivi: - la necessità, non più rimandabile, di disporre, per l’applicazione del vincolo, di una cartografia

di riferimento aggiornata, su una base topografica più aderente all’attuale configurazione del territorio e ad una scala territoriale di maggior dettaglio;

- l’opportunità che il vincolo tenga conto delle criticità emerse dalla pianificazione di bacino; - la risposta alle richieste di sottrarre al regime del vincolo alcune tipologie di intervento di

ininfluente entità, per meglio focalizzare le istruttorie su situazioni che rilevino ai fini della tutela posta in essere, ciò comporta modifiche alla LR n4/1999;

- l’esigenza di una globale riconsiderazione ed integrazione dei vari adempimenti in materia

autorizzativa, ai fini della tutela della stabilità dei versanti e dei suoli, in termini di vincolo idrogeologico, pianificazione di bacino e concessione edlizia,

- la ridistribuzione delle funzioni in materia a seguito del riordino delle Comunità montane

operato ai sensi della LR 24/2008 e della DGR 1788/2008. Il presente documento definisce, pertanto, quale prima fase delle attività da porre in essere nella complessa materia di riordino del vincolo idrogeologico, i criteri per l’aggiornamento della cartografia di zonizzazione per l’applicazione del vincolo ad integrazione dei contenuti della pianificazione di bacino stralcio per il rischio o per l’assetto idrogeologico. 1. Criteri per l’aggiornamento della cartografia di riferimento per l’applicazione del

vincolo idrogeologico. L’aggiornamento della cartografia di riferimento per l’applicazione del regime del vincolo idrogeologico avviene attraverso l’integrazione o la modifica degli elaborati cartografici dei singoli piani di bacino stralcio per l’assetto o per il rischio idrogeologico sulla base di criteri emanati, dal Comitato Tecnico dall’Autorità di Bacino, ai sensi dell’art.91 comma 1 lett.a) della LR n.18/1999. Gli strumenti oggi in uso per l’individuazione delle zone soggette all’applicazione del vincolo idrogeologico consistono in una zonizzazione riportata su mappa catastale o su base topografica IGMI alla scala 1:25000, risalente agli anni 60, accompagnata da descrizioni, cosiddette “declaratorie”, che richiamano elementi territoriali non più riscontrabili sul territorio per le numerose modificazioni d’uso operate nel tempo. Si avverte pertanto l’esigenza di poter disporre di uno strumento di riferimento cartografico aggiornato finalizzato a: - consentire l’inequivocabile riconoscimento dei limiti di confine sul terreno. La scala nominale

della base topografica dovrà essere almeno 1:10.000 per analogia anche allo standard della cartografia di base utilizzata, in linea generale, nella pianificazione di bacino di rilievo regionale (a riguardo già l’art. 2 del R.D.L. n.3267/1923 auspicava questo livello di scala);

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Criteri in materia di riordino vincolo idrogeologico Dgr n.1795/2009

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- operare un aggiornamento dello stato dei luoghi, tenendo conto in particolare di livelli informativi recenti di uso del suolo;

- integrare l’attuale livello di riferimento del vincolo con gli esiti della pianificazione di bacino

stralcio per il rischio idrogeologico, sottoponendo al regime del vincolo le aree a pericolosità geomorfologica elevata e molto elevata.

Si individuano di seguito i criteri metodologici per la rideterminazione degli elaborati cartografici di riferimento relativi alle aree da sottoporre al regime del vincolo idrogeologico. Fase1 Come prima operazione, al fine di permettere l’inequivocabile riconoscimento sul terreno dei limiti delle aree da assoggettare all’applicazione del vincolo idrogeologico e ridurre i margini interpretativi derivati dalla scala 1/25000 della cartografia oggi in uso, occorre riportare i limiti del vincolo in oggi vigente sulla base topografica CTR alla scala 1/10.000. A tale scopo dovranno essere utilizzate le mappature originali e le declaratorie definite a suo tempo dal Corpo Forestale che descrivevano i confini delle aree soggette a vincolo. Per la trasposizione del tracciato dalla scala 1/25000, o dai mappali catastali, sulla base topografica della CTR alla scala 1/10000 il criterio da utilizzare è quello di appoggiare i confini a oggetti morfologici identificabili, quali corsi d’acqua e crinali, o a manufatti facilmente riconoscibili sulla base topografica, quali strade o muri di contenimento. Qualora non siano presenti gli elementi sopracitati, si dovrà fare riferimento ad elementi contenuti sulla base topografica catastale, quali ad esempio i tracciati delle strade vicinali ecc. In circostanze del tutto eccezionali, come nel caso di infrastrutture recenti, nuove strade ed autostrade non presenti sulla base topografica IGM, il limite originale potrà subire leggere variazioni al fine di tener conto di tali nuove evidenze. Fase2 Questo step ha come obiettivo l’aggiornamento del livello informativo tenendo conto delle profonde trasformazioni d’uso del territorio prodotte dall’espansione urbanistica dagli anni ‘60 ad oggi Si richiama che la cartografia vigente, scala 1:25.000, stralcia già dall’applicazione del vincolo le aree, in allora, densamente insediate in quanto, per l’intensa antropizzazione, non conservano più gli aspetti territoriali oggetto di tutela. Si tratta quindi, ai fini dell’aggiornamento, di estendere tale principio anche alle aree sede di ulteriore completamento e di nuova espansione urbanistica. Per quanto sopra, sullo strato informativo “di base”, ottenuto seguendo le modalità indicate nella fase precedente, vengono sovrapposte e sottratte le aree in oggi urbanizzate come di seguito definite. Si fa riferimento alle aree comprese nel livello della macroclasse 1 AREE ARTIFICIALI della legenda CORINE. Si richiama che tale legenda, oggi utilizzata per la nuova carta regionale di uso del suolo alla scala 1:10.000 in fase di redazione, era già stata a suo tempo utilizzata quale riferimento per la “carta di copertura ed uso del suolo”, vedi Raccomandazione n.4A/1996 dei criteri per la redazione delle cartografie di base dei piani di bacino. In particolare sono da considerare i seguenti livelli. 1.1.1. Tessuto urbano continuo Spazi strutturati dagli edifici residenziali e dalla viabilità. Gli edifici, la viabilità e le superfici ricoperte artificialmente occupano più dell’80% della superficie totale. All’interno o in continuità del tessuto urbano continuo vanno compresi i seguenti livelli informativi:

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Criteri in materia di riordino vincolo idrogeologico Dgr n.1795/2009

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1.2.1 aree industriali o commerciali Zone produttive e insediamenti di grandi impianti di servizi pubblici e privati. Aree a copertura artificiale (in cemento, asfalto o stabilizzate: per esempio terra battuta), senza vegetazione, che occupano la maggior parte del terreno (più del 50% della superficie). 1.2.2 reti autostradali, ferrovie e spazi accessor i Reti autostradali e ferroviarie comprese le superfici annesse (stazioni, binari, terrapieni, ecc). e le reti ferroviarie che penetrano nella città. Sono compresi i grandi svincoli stradali e le stazioni di smistamento. 1.2.3 aree portuali Porti ed infrastrutture delle zone portuali compresi i binari, i cantieri navali e i porti da diporto. 1.2.4 aeroporti Infrastrutture degli aeroporti e degli eliporti: piste di vario tipo, edifici e superfici associate come le aerostazioni e i terminal, gli hangar, i depositi e magazzini di servizio, i parcheggi per le auto ecc.. 1.4.1 aree verdi urbane Spazi, nel tessuto urbano, ricoperti da vegetazione che raggiungono la superficie di 0,5 ha. Ne fanno parte i parchi urbani di varia natura, le ville comunali, i giardini pubblici e privati. Gli strati informativi sopraelencati si trovano nella carta d’uso del suolo definita nella pianificazione di bacino e, come si è detto, sono oggetto di aggiornamento, con le medesime specifiche tecniche, nella carta d’uso del suolo regionale alla scala 1:10.000 in fase di redazione. Si raccomanda, pertanto, l’utilizzo dei livelli informativi disponibili più aggiornati al momento della definizione della cartografia. A tal fine potranno essere richiesti ed utilizzati gli elaborati cartografici realizzati e messi a disposizione dal Settore Sistemi Informativi e Telematici della Regione. In fase applicativa, ai fini della semplificazione cartografica e tenuto conto del contesto territoriale, può essere valutata l’opportunità di stralciate dal regime del vincolo solo quegli areali, come sopra ottenuti, con superficie attorno o superiore ai 10 ettari. Fase3 Ottenuto lo strato informativo secondo le fasi precedenti vengono sovrapposti ed aggiunti i poligoni delle aree a pericolosità geomorfologica elevata e molto elevata; per i piani stralcio per il rischio idrogeologico (DL 180/1998) riguardano i poligoni definiti Pg4 e Pg3, compresi Pg3a e Pg3b.1 Si segnala l’opportunità di “mergiare” i poligoni adiacenti al fine di ottenere aree unitarie per le successive fasi. L’operazione di raccordo con gli elementi di criticità scaturiti dalla pianificazione di bacino rende operativa la sintesi tra le due distinte discipline, permettendo di recuperare la dovuta “attenzione” per ambiti che, a suo tempo, erano stati stralciati dall’applicazione del vincolo in quanto, probabilmente, sede di colture intensive, ma in oggi risultati “fragili” alla luce dei più recenti approfondimenti della pianificazione di bacino. Pertanto tutte le aree a suscettività al dissesto elevata e molto elevata, cartografate nella pianificazione di bacino, vigenti alla data di realizzazione del presente aggiornamento cartografico, vengono assoggettate al regime del vincolo idrogeologico. Possono essere fatte delle eccezioni esclusivamente, anche sulla base di puntuali riscontri sul terreno, per quegli eventuali areali, classificati Pg3 o Pg4, di limitata estensione costituiti essenzialmente da scarpate, rotture di pendio, (vedi ad esempio Via Dino Col in Comune di Genova) che ricadono in un tessuto urbano continuo tale da non rappresentare più gli elementi naturali di tutela del vincolo. Fase 4 La definizione degli elaborati di cui alle fasi precedenti si avvale essenzialmente dell’utilizzo di procedure informatiche e pertanto elabora e restituisce anche poligoni di dimensioni minimali, derivati dalle sovrapposizioni degli strati informatici utilizzati, che potrebbero essere privi di 1 Nel caso dei piani stralcio per l’Assetto Idrogeologico (L183/1989) saranno sovrapposte le aree a suscettività al dissesto molto elevata ed elevata o altre classificazioni che riguardino aree per le quali il piano segnali problematiche di stabilità.

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Criteri in materia di riordino vincolo idrogeologico Dgr n.1795/2009

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significato territoriale. Inoltre, in qualche caso, lo strato informativo della suscettività al dissesto può risultare eccessivamente frammentato. Al fine di rendere l’elaborato finale un’efficace strumento di riferimento, occorre, pertanto, operare un’ulteriore “pulizia” tenendo conto, in primo luogo, dell’unità minima cartografabile, pari ad 1 ettaro. Occorre altresì che tale operazione sia effettuata anche sulle geometrie “collection” eventualmente autogeneratesi dalle fasi precedenti. Inoltre per i casi in cui gli areali presentino ancora frammentazione o perimetri frastagliati è necessario rimodulare le perimetrazioni attraverso operazioni “ragionate” di ridisegno manuale, se del caso anche sulla base di verifiche e riscontri sul terreno, operando raggruppamenti di areali nel rispetto della classificazione prevalente in termini di versante o di sottobacino. Si rimanda, anche per questa fase, ai criteri già individuati nella precedente fase 1 al fine della semplificazione ed agevolazione del riconoscimento sul territorio dei limiti di vincolo. A tale proposito si ritiene, infine, importante accompagnare la cartografia con un documento di “declaratoria” che descriva, come già in uso, i confini del vincolo sulla base di elementi riconoscibili in modo inequivocabile sul terreno. Infine considerato che il ridisegno del vincolo idrogeologico costituisce elaborato integrativo dei singoli piani di bacino, si segnala la necessità di curare la perfetta sovrapposizione delle linee di confine tra i vari bacini contigui. Fase transitoria Tenuto conto di elaborati cartografici di maggior dettaglio alla scala 1/10.000 già definiti da alcune Province, al fine di permettere l’inequivocabile riconoscimento sul terreno dei limiti delle aree da assoggettare all’applicazione del vincolo idrogeologico in oggi vigente così da ridurre i margini interpretativi, i piani di bacino possono essere integrati con gli elaborati cartografici prodotti a seguito della procedura descritta alla fase 1, quale fase transitoria dell’attività posta in essere.