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| 96 | Hematology Meeting Reports 2008;2(6):96-99 Introduzione La mucosite è una complicanza che colpisce approssimativamente il 35-40% dei pazienti che ricevo- no chemio-radioterapia, 1 ma la sua frequenza può essere più alta nei pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali emopoietiche. La mucosite è il risultato degli effetti sistemici degli agenti cito- tossici chemioterapici e degli effetti locali delle radiazioni sulla mucosa orale. L’infiammazione della bocca si manifesta inizial- mente con eritema della mucosa e sensazione di bruciore e successi- vamente con comparsa di ulcera- zioni. Soggettivamente i pazienti lamentano dolore anche molto severo, incapacità ad alimentarsi, bere, deglutire ed anche parlare. In casi estremi e fortunatamente rari la severa ostruzione a livello farin- geo, causata dall’edema e dalla formazione di “pseudomembrane infiammatorie”, può richiedere una tracheotomia d’urgenza. Il danno mucoso si può estendere dal cavo orale al faringe e all’intero tratto gastro-intestinale. Inoltre la rottura della barriera mucosa dovuta alle ulcerazioni è un fatto- re di rischio per infezioni seconda- rie (batteriche, fungine e virali) che, nel paziente neutropenico come quello ematologico o sotto- posto a trapianto di cellule stami- nali emopoietiche, possono diven- tare sistemiche e mettere a rischio la vita. 2 Etiologia e fattori di rischio Numerosi fattori influenzano l’estensione e la severità della mucosite; farmaci utilizzati, dosi, modalità, via e frequenza di som- ministrazione, tollerabilità indivi- duale. 3 Agenti chemioterapici DNA ciclo-specifici (come bleomicina, cisplatino, 5FU, metotrexate) sono più stomatotossici di quelli non fase specifici. 4 Inoltre certi farma- ci che vengono secreti nella saliva (metotrexate, etoposide) aumenta- no in tal modo la loro tossicità sulle mucose. Tra i farmaci quelli più frequentemente associati a mucosite sono: citosina arabinosi- de, doxorubicina, etoposide, 5FU, metotrexate. Anche la Total Body Irradiation (TBI) nei regimi di condiziona- mento pre-trapianto è considerata fattore di rischio. La presenza di patologie preesi- stenti del cavo orale sembra aumentare il rischio di mucosite indotta da chemioterapia. Condizioni dentali come malattia periodontale, carie, scarsa igiene orale sono associate ad un aumen- tato rischio di stomato-tossicità. Trattamenti radianti su capo e collo inducono un aumentato rischio di mucosite alterando La mucosite orale D. Baronciani C. Depau M. Pettinau F. Zaccheddu F. Pilo C. Targhetta C. Cogoni E. Angelucci Struttura Complessa di Ematologia, Centro Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche, Ospedale Oncologico di riferimento regionale “Armando Businco“, Cagliari, Italy QUINTA SESSIONE

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Introduzione

La mucosite è una complicanzache colpisce approssimativamenteil 35-40% dei pazienti che ricevo-no chemio-radioterapia,1 ma la suafrequenza può essere più alta neipazienti sottoposti a trapianto dicellule staminali emopoietiche.

La mucosite è il risultato deglieffetti sistemici degli agenti cito-tossici chemioterapici e deglieffetti locali delle radiazioni sullamucosa orale. L’infiammazionedella bocca si manifesta inizial-mente con eritema della mucosa esensazione di bruciore e successi-vamente con comparsa di ulcera-zioni. Soggettivamente i pazientilamentano dolore anche moltosevero, incapacità ad alimentarsi,bere, deglutire ed anche parlare. Incasi estremi e fortunatamente rarila severa ostruzione a livello farin-geo, causata dall’edema e dallaformazione di “pseudomembraneinfiammatorie”, può richiedereuna tracheotomia d’urgenza. Ildanno mucoso si può estendere dalcavo orale al faringe e all’interotratto gastro-intestinale. Inoltre larottura della barriera mucosadovuta alle ulcerazioni è un fatto-re di rischio per infezioni seconda-rie (batteriche, fungine e virali)che, nel paziente neutropenicocome quello ematologico o sotto-posto a trapianto di cellule stami-nali emopoietiche, possono diven-

tare sistemiche e mettere a rischiola vita.2

Etiologia e fattori di rischio

Numerosi fattori influenzanol’estensione e la severità dellamucosite; farmaci utilizzati, dosi,modalità, via e frequenza di som-ministrazione, tollerabilità indivi-duale.3

Agenti chemioterapici DNAciclo-specifici (come bleomicina,cisplatino, 5FU, metotrexate) sonopiù stomatotossici di quelli nonfase specifici.4 Inoltre certi farma-ci che vengono secreti nella saliva(metotrexate, etoposide) aumenta-no in tal modo la loro tossicitàsulle mucose. Tra i farmaci quellipiù frequentemente associati amucosite sono: citosina arabinosi-de, doxorubicina, etoposide, 5FU,metotrexate.

Anche la Total Body Irradiation(TBI) nei regimi di condiziona-mento pre-trapianto è consideratafattore di rischio.

La presenza di patologie preesi-stenti del cavo orale sembraaumentare il rischio di mucositeindotta da chemioterapia.Condizioni dentali come malattiaperiodontale, carie, scarsa igieneorale sono associate ad un aumen-tato rischio di stomato-tossicità.Trattamenti radianti su capo ecollo inducono un aumentatorischio di mucosite alterando

La mucosite orale D. BaroncianiC. DepauM. PettinauF. ZacchedduF. PiloC. TarghettaC. CogoniE. Angelucci

Struttura Complessa diEmatologia, Centro Trapiantodi Cellule StaminaliEmopoietiche, OspedaleOncologico di riferimentoregionale “ArmandoBusinco“, Cagliari, Italy

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La terapia di condizionamento nel trapianto di cellule staminali emopoietiche

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direttamente la mucosa orale e altre strutturecome le ghiandole salivari e l’osso.

Altri fattori legati al paziente sono età (ipazienti giovani sembrano essere a più altorischio per l’elevata proliferazione dell’epite-lio), decadimento delle condizioni generali,patologia di base, conta dei neutrofili, utilizzodei fattori di crescita.5

Patobiologia

Il meccanismo patobiologico alla base deldanno della mucosa orale è complesso. Sonostati individuati alcuni stadi per riassumerlo:

1) Inizio: la chemio-radio terapia danneggiail DNA, sia con meccanismo diretto che attra-verso la formazione di ROS (reactive oxigenspecies).

2) Produzione di segnali di messaggio: ildanno iniziale attiva la trascrizione di un fatto-re nucleare κ-B che induce la produzione diproteine biologicamente attive fra cui le cito-chine proinfiammatorie.

3) Amplificazione del segnale: le citochinepro-infiammatorie si accumulano e danneg-giano i tessuti direttamente e indirettamente.Questa fase precede la mucosite clinica.

4) Ulcerazione: perdita della integrità muco-sa con comparsa di lesioni clinicamentedolenti e possibilità di colonizzazione batteri-ca.

5) Guarigione: la cicatrizzazione iniziaquando l’insulto è superato e (nel pazienteematologico) quando si risolve la neutropenia.

Manifestazioni cliniche

Clinicamente la mucosite è molto eteroge-nea: da un lieve bruciore del cavo orale ad undolore severo, urente, che impedisce qualsiasiintroduzione di cibo e bevande, ed anche lacapacità di parlare.

Le forme severe, pseudomembranose, sonoa rischio d’infezioni secondarie anche gravi.La relazione fra mucosite e sepsi batteriche èstata anche riportata in letteratura in pazientisottoposti a trapianto autologo.6

Nei casi più severi i pazienti necessitano diNutrizione Parenterale Totale (NPT) e di tera-pia analgesica con oppiacei.

La severità della mucosite è stata valutatacon vari sistemi di grading che consideranosia dati oggettivi che soggettivi: WHO crite-ria, National Cancer Institute CommonToxicity Criteria, University of Nebraska OralAssessment Score.7

Trattamenti preventivi

Visto l’importante impatto che la mucositeorale può avere per il paziente, è fondamenta-le cercare di prevenirla con ogni mezzo;attualmente numerosi interventi sono disponi-bili, ma nessuno di loro è stato validato inmodo definitivo. I diversi trattamenti preven-tivi utilizzati possono essere categorizzati neiseguenti modi.

Protocolli di cura orale preventiva

Un’accurata visita del cavo orale è impor-tante prima di qualsiasi trattamento chemiote-rapico. Sebbene i dati disponibili siano limita-ti sembra che una cura profilattica orale pre-ventiva diminuisca l’incidenza delle compli-canze orali della chemioterapia. Questi tratta-menti includono sia le tipiche cure dentali pereliminare le carie e le patologie gengivali, siala minuziosa pulizia della cavità orale nonchéestrazioni dentarie se necessario.

Interventi che riducono la tossicità sulle mucosedei farmaci chemioterapici

Gli interventi usati per minimizzare la tos-sicità sulla mucosa includono la crioterapia e

gli sciacqui del cavo orale con varie sostanze(allopurinolo, benzidamide idrocloridrato, cor-ticosteroidi, camomilla ecc).8

La crioterapia consiste nel raffreddamentorapido del cavo orale usando cubetti di ghiac-cio durante l’infusione dei farmaci citotossici(in particolare quelli a breve emivita come il5FU); la vasocostrizione locale indotta riduceil flusso sanguigno limitando la quantità di far-maco che raggiunge le membrane mucose equindi l’attività citotossica.9

Agenti immunomodulanti

Fattori stimolanti le colonie di granulocitimacrofagi (GM-CSF) e fattori stimolanti lecolonie di granulociti (G-CSF) sono citochineche stimolano l’emopoiesi e modulano le fun-zioni dei leucociti. Benché non siano statidimostrati effetti benefici usando sciacqui con-tenti GM-CSF, i risultati di un altro studiodimostravano una ridotta incidenza e severitàdella mucosite utilizzando G-CSF.

Anche la somministrazione di Immunoglo-buline umane, conferendo immunità passiva,può ridurre la severità della mucosità.

Antisettici topici

La lidocaina viscosa e la xilocaina per glisciacqui buccali sono raccomandate per ipazienti il cui dolore da mucosite è molto seve-ro, ma non ci sono evidenze che ne supportinol’uso di routine.

Antisettici

Una vasta gamma di soluzioni antisettiche èvariamente utilizzata: Clorexidina, Iodio povi-done, Acqua ossigenata (Perossido d’idrogeno).

Sembra comunque che la cura sistematicadel cavo orale sia più importante dello specifi-co agente utilizzato per risciacquare la bocca.

Antibatterici, antimicotici, antivirali

Molti protocolli di cura orale includono l’uti-

lizzo di una profilassi antibatterica, antimicoti-ca e antivirale. Gli agenti più utilizzati a que-sto scopo sono clotrimazolo, nistatina e acy-clovir.

Barriera della mucosa

Alcuni agenti sono utilizzati per fungere dabarriera per la mucosa; tra questi il sucralfatoche non essendo assorbito, si lega elettrostati-camente alle ulcere gastriche agendo comebarriera.alle sostanze irritanti. Il suo utilizzonella mucosite orale deve però essere convali-dato.

Citoprotettori

Betacarotene (provitamina A), vitamina E,pentossifillina hanno proprietà citoprotettive esono stati utilizzati nei pazienti neoplastici permigliorare la mucosite.

Stimolanti delle mucose

Alcune sostanze in grado di promuovere laproliferazione delle cellule epiteliali sono statevalutate per il trattamento delle mucositi. Fraqueste il Palifermin, un fattore di crescitaricombinante dei cheratinociti che stimola laproliferazione e la differenziazione delle cellu-le epiteliali, incluse quelle del tratto gastro-intestinale. L’efficacia del palifermin endove-na come profilassi della mucosite è stata dimo-strata inizialmente in un trial multicentrico adoppio cieco in cui 212 pazienti sottoposti atrapianto di cellule staminali emopoietiche perpatologie ematologiche maligne erano asse-gnati a ricevere o palifermin o placebo. Il grup-po di pazienti riceventi palifermin mostrò unariduzione significativa dell’incidenza dellamucosite severa e della sua durata.10 Poiché ilpalifermin ha dimostrato di ridurre l’incidenzadi mucositi anche in altri trial, linee guide dipratica clinica suggeriscono il suo utilizzo inpazienti ematologici che ricevono alte dosi dichemioterapia.11

D. Baronciani et al.

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Anche la Terapia con Laser a bassa energia(helium neon laser) induce la proliferazionedelle cellule della mucosa, riducendo la severi-tà della mucosite in pazienti sottoposti a regi-me di condizionamento pre-trapianto.12

Nonostante questo trattamento sia citato e rac-comandato nelle linee guida, esso richiede per-sonale e strutture altamente specializzate chene limitano l’utilizzo.

Trattamento della mucosite già stabilizzata

Il trattamento della mucosite si basa sullaterapia di supporto volta al controllo dei sinto-mi. Igiene del cavo orale, protettori dellamucosa, analgesici topici e sistemici sono uti-lizzati con risultati variabili.

Quando il dolore è molto severo da richiede-re un’analgesia sistemica la morfina rimane ilfarmaco oppioide di prima scelta per la suaefficacia e facile gestione.

Bibliografia

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11. Keefe DM, Schubert MM, Elting LS, Sonis ST, EpsteinJB, Raber-Durlacher JE, et al. Updated clinical practiceguidelines for the prevention and treatment of mucositis.Mucositis Study Section of the Multinational Associationof Supportive Care in Cancer and the InternationalSociety for Oral Oncology. Cancer 2007;109:820.

12. Cowen D, Tardieu C, Schubert M, Peterson D, ResbeutM, Faucher C, et al. Low energy helium neon laser in theprevention of oral mucositis in patients undergoing bonemarrow transplant: results of a double blind randomizedtrial. Int J Radiat Oncol Biol Phys 1997;38:697-703.

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Introduzione

La mucosite è una delle piùcomuni e severe complicanze oralidel trapianto di cellule staminaliematopoietiche (Stephen et al.1990; Schubert et al. 1998), ed èassociata ad un’ elevata morbilità.

Questa patologia ha un’originemultifattoriale e viene definitacome un “assottigliamento epite-liale associato a intenso eritema,ulcere, dolore, sanguinamento eaumentato rischio di contrarreinfezioni”. La mucosite si presen-ta con maggior frequenza nellafase di condizionamento e diattecchimento del trapianto(Wingard et al. 1991; McGuire etal. 1993; Pico et al. 1998;Ruescher et al. 1998; Elad et al.1999; Peterson 1999). La mucosaorale in condizioni di normalitàfunge da complessa barriera fisicae chimica alla penetrazione diagenti patogeni. L’epitelio di rive-stimento della mucosa è caratte-rizzato da un elevato turn-over el’elevata citotossicità nei confron-ti dei tessuti ad elevato turn-overdei farmaci antineoplastici spiegal’elevata sensibilità delle mucoseorali nei confronti di questi farma-ci. L’alterazione di questa barrieraespone i pazienti ad un elevataprobabilità di contrarre infezionilocali e sistemiche. L’incidenzagenerale, che risulta essere del 30-40% di tutti i soggetti trattati, rag-

giunge tassi dell’80% nei pazientisottoposti chemioterapia ad altedosi nel trapianto cellule stamina-li (National Cancer Institute2004). Le problematiche associatealla mucosite del cavo orale com-promettono in maniera importantela qualità della vita del paziente epossono interferire con la gestionedella malattia primaria. Attual-mente, non sono disponibili tera-pie autorizzate per la prevenzionedella mucosite da radio-chemiote-rapia e il suo trattamento si basaessenzialmente su terapia di sup-porto volta a limitarne i sintomi(analgesici e nutrizione parentera-le) e per la prevenzione delle infe-zioni (profilassi antibiotica).

Questo elaborato ha l’obiettivo difornire una panoramica generalesugli aspetti fisiopatologici checaratterizzano la mucosite orale masoprattutto si focalizza sul ruolodell’infermiere nella prevenzionedelle infezioni del cavo orale, conparticolare riferimento all’igienedel cavo orale, all’educazione alpaziente ed alla valutazione emonitoraggio della cavità orale edei sintomi ad essi associati.

Definizione di mucosite orale

Storicamente il termine mucosi-te orale e stomatite sono statiusati dalla letteratura in modointercambiabile, ma non riflettonolo stesso processo. La definizione

Prevenzione delle infezioni del cavoorale

L. Orlando1

A. Piredda1

M. Ritella2

1Istituto Europeo diOncologia, Milano; 2Ospedale Niguarda, Milano,Italy

QUINTA SESSIONE

di mucosite orale è emersa verso la fine deglianni ’80 per descrivere l’infiammazione dellamucosa della bocca indotta dagli agenti che-mioterapici e dalle radiazioni. La stomatiteinvece, si riferisce a qualsiasi condizioneinfiammatoria, per definizione della bocca,includendo le mucose, la dentizione e il perio-donto (www.cancer.gov).

Biopatologia del processo lesivo

La mucosite orale è un processo biologicocomplesso, chiarito solo di recente. Infatti, sipensava che i danni della chemio e radiotera-pia coinvolgessero solo le cellule basali epite-liali causando la perdita della capacità di rin-novamento dell’epitelio, con conseguenteassottigliamento del tessuto, atrofia e ulcera-zione. Questo processo era diviso in quattrofasi: infiammatoria o vascolare, epiteliale,ulcerativa e guarigione (Sonis ST, 1998). Sullabase delle nuove conoscenze molecolari e isto-logiche e, con la guida di altri esperti in onco-logia e salute orale, il dr. St. Sonis ha sviluppa-to recentemente un nuovo modello di cinquefasi, in cui si evidenzia che non solo l’epitelio,ma l’interazione di tutti gli elementi dellamucosa, compresa la matrice extracellulare,contribuiscono a creare il danno lesivo. Questomodello, oltre ad aiutare la comprensione delprocesso biopatologico, serve da base per laspiegazione logica degli interventi terapeutici,e la sua applicazione ha inoltre favorito lo svi-luppo della ricerca di nuovi trattamenti sia perquanto riguarda la prevenzione sia per la cura.Le fasi del processo biopatologico si distin-guono in: inizio, iper-regolazione e generazio-ne del messaggio, amplificazione del segnale,ulcerazione, guarigione come evidenziatonella Figura 1.

Clinicamente, i cambiamenti a carico dellamucosa orale sono visibili tipicamente 5-10giorni dopo il trattamento mieloablativo

(Schubert et al. 1993). Inizialmente, la mucosa appare atrofica ed

insorge un intenso eritema, l’atrofia evolve inulcerazioni che tendono ad aggravarsi 7-11giorni dopo il trapianto. Le ulcere si localizza-no quasi esclusivamente a livello delle mucosenon cheratinizzate: il pavimento orale, lemucose geniene, le mucose labiali e la linguasono le sedi più frequentemente colpite(Blijlevens et al. 2000).

La mucosite può essere accompagnata dasanguinamento al cavo orale soprattutto duran-te la fase di trombocitopenia grave indottadalla mielodepressione. I processi di guarigio-ne a carico della mucosa orale tendono a com-parire dopo circa due settimane. I siti che sem-brano essere più colpiti, includono la superfi-cie laterale e ventrale della lingua, la mucosalabiale e quella buccale (Walter et al. 1995).

Scale di valutazione

Un buon sistema di valutazione deve rispon-dere ad almeno due criteri: la validità, cioè lacapacità di valutare il fenomeno per cui è stato

La terapia di condizionamento nel trapianto di cellule staminali emopoietiche

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Figura 1. Patobiologia della Mucosite. (Adattata da Sonis S.“Pathogenisis-based Treatment of Mucositis” e integrata dallaSessione Educativa, ASCO)

predisposto e la riproducibilità, cioè la possi-bilità che tutti gli utilizzatori valutino lo stessofenomeno in modo univoco. Per la valutazionedella mucosite sono comunemente usate dellescale per descrivere la stomatotossicità risul-tante dai differenti trattamenti antitumorali.Questi strumenti comprendono quattro o cin-que punti per descrivere lo stato della boccarispetto alle mucose, la capacità funzionalerispetto all’alimentazione e la severità del

dolore. A partire dalla scala elaboratadall’Organizzazione Mondiale della Sanità(scala WHO)1 nel 1979, diversi sistemi simila-ri sono stati sviluppati da gruppi e istituzioni diricerca sul cancro. Il National Cancer Instituteha generato tre sistemi diversi di classificazio-ne (NCI-CTC)2 per i diversi tipi di trattamento:chemioterapia convenzionale, ad alta doseassociata al trapianto della cellule staminali eradioterapia.

Una seconda categoria di classificazionevaluta sintomi oggettivi e funzionali utilizzan-do un numero maggiore di parametri relativialle lesioni orali, alla funzionalità della bocca ealle complicazioni correlate, come ad esempiola OAG.3 Invece, nella scala di Tardieu4 si uti-lizzano 16 parametri e il dolore viene analizza-to mediante una scala analogico-visiva (VAS)con un punteggio che va da 1 a 10. Questaseconda categoria di scale, pur più sensibilenel valutare i cambiamenti della mucosa e lecapacità funzionali del paziente, risulta esserepiù complessa rispetto alla prima e richiede piùesperienza e più tempo alle infermiere. Anchese nessun sistema è universalmente accettato,le classificazioni più comunemente usate sonola WHO e l’NCI-CTC; in circa 400 studi ana-lizzati, durante il lavoro di ricerca delle evi-denze per lo sviluppo delle linee guida, è statovalutato che la maggior parte degli studi hannoutilizzato le scale di valutazione NCI (43%) oWHO (38%)5.

Protocolli di cura orale

Le evidenze scientifiche sostengono che pro-tocolli di cura orale, che includono l’educazio-ne del paziente per una pulizia sistemica deidenti e delle mucose con una soluzione nontraumatizzante, sia la pratica migliore almomento, insieme a una valutazione costantedel cavo orale, ma è necessaria ulteriore ricer-ca per identificare gli agenti, i dispositivi e i

L. Orlando et al.

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Tabella 1. Scala di valutazione WHO.

Grado Parametri

Grado 0 Nessun sintomo,

Grado 1 Lieve fastidio±eritema, nessuna ulcerazione

Grado 2 Eritema, edema o ulcere dolorose ma i cibi solidi sono tollerati

Grado 3 Eritema, edema o ulcere; non è possibile alimentarsi con cibi solidi

Grado 4 La mucosite è così estesa che l’alimentazione orale è impossibile

(necessità di supporto parenterale o entrale)

Tabella 2. Scala di valutazione NCI-CTCl.

Grado Parametri

Grado 0 Nessun sintomo

Grado 1 Eritema della mucosa; pochi sintomi, dieta normale

Grado 2 Ulcere sparse o pseudomembrana; fase sintomatica ma la deglutizione e l’alimentazione è ancora possibile

Grado 3 Ulcere confluenti o pseudomembrane; sanguinamenti al minimo trauma;

fase sintomatica, incapacità ad un’adeguata alimentazione

e idratazione orale Grado 4 Severe ulcerazioni, necrosi tissutale,

sanguinamenti spontanei, sintomi associatia conseguenze minacciose per la vita

Grado 5 Morte relativa a tossicità

programmi ottimali (Eilers J., 2004). Essendola cura orale una pratica integrale del nursing,le associazioni infermieristiche e alcune istitu-zioni hanno elaborato dei modelli di protocollidi cura orale, nel tentativo di uniformare icomportamenti, responsabilizzare i professio-nisti e dare una risposta più efficace ai proble-mi assistenziali del paziente con la mucosite. Ivari modelli di protocollo hanno come obietti-vo comune la promozione e la cura della salu-te orale, per ridurre la severità dei danni e limi-tare le infezioni opportunistiche che si deter-minano sulla mucosa danneggiata.

Per raggiungere questi risultati, tutti i pazien-ti devono essere muniti di strumenti di cono-scenza sui segni e i sintomi della mucosite, edessere educati alla cura sistematica del cavoorale e a una nutrizione adeguata. In particola-re, nelle situazioni con pazienti ad alto rischio(trapianto staminali e radioterapia collo/testa)sono stati elaborati dei protocolli di cura oralecome componenti essenziali dei programmi siadi prevenzione sia di gestione della mucosite.In questi protocolli gli interventi infermieristi-ci devono includere: l’educazione sanitaria delpaziente sulla cura di sé; l’individuazione deipazienti ad alto rischio; la valutazione e moni-toraggio della mucosite; la gestione dei sinto-mi e delle complicanze.

Promozione della cura di sé e informazioneal paziente

L’igiene orale ha la funzione di prevenire laformazione della placca batterica sui denti esulla lingua contribuendo a mantenere l’inte-grità delle mucose e prevenire le infezioni.

Gli esperti dichiarano che una corretta igieneorale di base durante la terapia antineoplasticaha lo scopo di ridurre l’effetto della floramicrobica orale, il dolore, i sanguinamenti eprevenire le infezioni. Inoltre, il mantenimentodi una buona igiene orale può ridurre il rischio

di complicazioni dentali, compresa la carie e lagengivite. Per questi motivi si può affermareche la cura e la protezione della bocca sono unobiettivo prioritario prima e durante il tratta-mento antitumorale. Un programma specificodi auto-cura della bocca Pro-Self MouthAware,6 elaborato per ridurre l’incidenza dellamucosite chemioterapia-indotta, si basa su tredimensioni: le informazioni didattiche, le eser-citazioni di auto-cura per sviluppare l’abilitàdel paziente, il supporto infermieristico. Lacura orale dovrebbe iniziare almeno due setti-mane prima della terapia e continuare durantetutto il trattamento, ponendo attenzione all’in-formazione sulla mucosite, alla formazione eall’aderenza della persona alla cura. Le istru-zioni da dare al paziente e ai familiari per laprotezione della bocca vertono su cinque puntifondamentali: profilassi dentale, pulizia deidenti, sciacqui, alimentazione e stili di vita,valutazione della bocca.

Profilassi dentale

Prima di iniziare il trattamento bisognerebbeeseguire un’attenta valutazione dello statoorale per eliminare i focolai infettivi, program-mare l’estrazione degli elementi dentari com-promessi, otturare gli elementi dentari concarie dello smalto, riadattare le protesi rimovi-bili incongrue (Denarosi F., et al., 2002). Lemalattie dentali o orali preesistenti aumentanoil rischio di complicazioni settiche, in partico-lar modo nei pazienti neutropenici; in aggiun-ta, i denti o i dispositivi orali non in buone con-dizioni possono creare piccoli traumi ai tessutiorali aumentando il rischio di mucositi. Per isoggetti immunocompromessi o piastrinopeni-ci i trattamenti dentali dovrebbero essere pro-grammati con la consultazione dell’oncologo.

La pulizia dei denti

La pulizia dei denti deve essere delicata eapplicata a tutta la superficie del dente siainterna sia esterna, e comprendere anche le

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gengive; deve essere eseguita per almeno 90secondi dopo ogni pasto (sempre dopo la cola-zione e prima di andare a dormire). Le spazzo-le devono essere morbide (si possono ammor-bidire immergendole in acqua calda); in casodi pulizia dolorosa o in pazienti piastrinopeni-ci, si può utilizzare un attrezzo morbido di spu-gna o un tampone di garza (anche se non sonoequivalenti allo spazzolino in quanto nonrimuovono la placca).

Occorre spazzolare anche la lingua perrimuovere i batteri e rinfrescare l’alito. Leistruzioni per i portatori di dentiere includono:la rimozione della dentiera ogni volta cheviene praticata l’igiene orale, la pulizia e l’im-mersione in soluzioni a base di acqua e disin-fettante da cambiare quotidianamente. In casodi danneggiamento delle mucose viene consi-gliato di usare la dentiera solo per alimentarsi.

Gli sciacqui

Gli sciacqui sono un capitolo importantenella cura orale. Vanno effettuati dopo ognipulizia dei denti e almeno quattro volte al gior-no (soprattutto dopo i pasti e prima di coricar-si) durante tutto il trattamento chemioterapico.Possono essere eseguiti con l’utilizzo di acquasemplice o con soluzioni neutre (soluzionefisiologica, sale e bicarbonato di sodio); in pre-senza di mucosite il loro uso va intensificato.Sono da evitare i collutori a base di alcool per-ché tendono a disidratare la mucosa orale epossono provocare dolore o ustioni in presen-za di ulcere.

Alimentazione e stile di vita

La dieta deve garantire l’introito di alimentiproteici per consentire la rigenerazione dei tes-suti, ma il cibo deve essere di consistenza mor-bida per non traumatizzare e irritare le mucose.Il mantenimento di un adeguato apporto calo-rico è un obiettivo fondamentale che deveessere garantito anche in presenza di mucositeorale. Devono essere evitati gli alimenti ruvidi

o duri, perché traumatizzanti per le mucose e icibi caldi e speziati perché potenzialmente irri-tanti. Per lo stesso motivo bisogna evitare l’as-sunzione di alcool e il consumo di tabacco,quest’ultimo può contenere funghi e batteri equindi aggravare lo stato della mucosa. Si con-siglia di bere molta acqua e liquidi in generale(1.500 mL/die) per garantire l’idratazione. Glialimenti vanno consumati a temperaturaambiente o fredda. Per proteggere le labbra emantenerle ben idratate vanno applicate fre-quentemente sostanze emollienti (esempioburro cacao, vaselina).

Valutazione della bocca

Insieme alla cura di sé il paziente dovrebbeessere educato a esaminare giornalmente labocca con uno specchio, a saper differenziarele situazioni normali e non, in modo da notifi-care tempestivamente i cambiamenti al perso-nale sanitario di riferimento. Importante ancheche il paziente sia informato sulle possibilialterazioni di alcuni funzioni come masticare,deglutire e comunicare e che venga tranquilliz-zato e indirizzato a medici e infermieri per lagestione del dolore.

Conclusioni

Dai numerosi articoli in letteratura si evinceche, nonostante l’interesse diffuso per la pre-venzione e il trattamento della mucosite e l’uti-lizzo di una vasta gamma di agenti, al momen-to attuale manca una strategia di cura veramen-te efficace. Molte terapie non vengono conside-rate nelle linee guida perché gli studi effettuatinon rispondevano agli standard stabiliti (es.errori metodologici o dei sistemi di valutazio-ne) o perché non si sono raggiunte prove suffi-cienti per sostenere una raccomandazione afavore o contro. La maggior parte dei tratta-menti sono volti ad alleviare i sintomi, alla pre-venzione delle complicanze e alla promozione

L. Orlando et al.

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della guarigione e comprendono principalmen-te: misure di igiene orale intensificate, criotera-pia, cure palliative e controllo del dolore conl’utilizzo di analgesici locali o sistemici. Alcunipazienti sono ad alto rischio di complicazioniorali. L’identificazione di questi pazienti, primadell’inizio del trattamento, è molto importanteper programmare gli interventi e rispondere inmaniera appropriata ai loro bisogni. Il ruolodell’infermiere nella prevenzione delle infezio-ni è fondamentale, in quanto è il professionistaa più stretto contatto con il paziente ed è ingrado di valutare e riconoscere tempestivamen-te segni e sintomi della MO e di valutare i rischiintervenendo con strategie preventive (KeefeDM, 2007). Inoltre l’infermiere ha un ruoloimportante nell’aiutare il paziente a svilupparela consapevolezza della cura di sé stesso.Infatti, quando i pazienti sono provvisti di stru-menti adatti quali una corretta informazionesulla mucosite, sulle possibili complicanze esulle misure preventive da mettere in atto,hanno più capacità di controllo e sono più incli-ni ad assumersi la responsabilità della cura di sestessi (Larson et al., 1998).

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La terapia di condizionamento nel trapianto di cellule staminali emopoietiche

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Introduzione

La cistite emorragica (CE) è unacomplicanza maggiore correlata altrapianto di cellule staminali ema-topoietiche (TCSE), in particolareal trapianto allogenico, caratteriz-zata dalla presenza di ematuriamacroscopica continua che insor-ge in assenza di malattie ginecolo-giche, urologiche o infezioni bat-teriche e fungine dell’apparatogenito-urinario.1,2 Con sintomi chesi esprimono con ematuria isolatafino a quelli propri dell’insuffi-cienza renale, la CE compromettein modo significativo la qualità divita dei pazienti, prolunga di setti-mane o mesi la loro ospedalizza-zione ed in alcune forme di tipointrattabile può costituire causadiretta di mortalità.

I pazienti sottoposti a trapiantoallogenico di CSE sono partico-larmente esposti al rischio di svi-luppare CE. Tuttavia le discrepan-ze nel definire i criteri diagnosticidella CE sono in parte responsabi-li della variabilità nella sua inci-denza, che viene riportata tra 10 e40%. Il tipo di sorgente delle CSEper il trapianto, il regime di condi-zionamento al trapianto e la pre-senza di graft versus host disease(GVHD) sono stati identificaticome i fattori maggiormenteimplicati nell’insorgenza della CEpost-trapianto.1-4 La riattivazionedei polioma-virus, BK-virus, JC-

virus, la GVHD di grado >2, iltrapianto da donatore volontarionon correlato o da sangue di cor-done ombelicale, l’età del pazien-te >28 anni sono stati identificaticome fattori di rischio significati-vamente correlati ad una elevataincidenza di CE con segni clinicidi grado >2.1-8

Sono descritte due forme clini-che di CE post-trapianto: 1) laforma precoce che insorge nellaprima settimana dal trapianto eche generalmente è attribuitaall’effetto tossico diretto sullamucosa vescicale dei trattamentichemio-radioterapici impiegatinei regimi di condizionamento altrapianto; 2) la forma tardiva cheinsorge dopo 10 giorni o più daltrapianto e che può perdurare persettimane o mesi (Leung, 2005).

Sulla base della severità del-l’ematuria, la CE può essere clas-sificata in 4 gradi: grado 1, conematuria microscopica; grado 2,con ematuria macroscopica;grado 3, con ematuria macrosco-pica e coaguli, che richiede sup-porto trasfusionale; grado 4 conematuria macroscopica con coa-guli e insufficienza renale.2,3

Ad oggi il trattamento dellacistite emorragica non è statoancora standardizzato e sulla basedella gravità dei sintomi clinicivaria dalla iperidratazione finoalla cistectomia totale nelle formeintrattabili.4,9-20

La cistite emorragica nel trapiantoallogenico di cellule staminaliemopoietiche

M.C. Tirindelli

Università CampusBioMedico di Roma, Italy

QUINTA SESSIONE

La cistite emorragica post-trapianto di cel-lule staminali ematopoietiche

Le caratteristiche clinico-patologiche ed ifattori prognostici della CE post TCSE varia-no in relazione alla sua insorgenza precoce(pre-attecchimento) o tardiva (post-attecchi-mento). La CE precoce è correlata principal-mente alla tossicità diretta della chemio/radio-terapia sulla mucosa vescicale. Ciclo-fosfamide, ifosfamide, busulfano e la prece-dente irradiazione pelvica sono maggiormenteresponsabili del danno dell’urotelio. In parti-colare per il metabolita acroleina della ciclo-fosfamide è stata dimostrata un’elevata tossi-cità diretta sull’urotelio, che può essere effica-cemente controllata nella maggior parte deicasi dall’impiego del 2-mercaptoetano-sulfo-nato (MESNA). La CE pre-attecchimento ègeneralmente lieve, limitata nel tempo erispondente alla terapia medica. La CE post-attecchimento è al contrario una complicanzamaggiore e spesso refrattaria ai trattamenti.Insorge entro un mese dall’attecchimento deineutrofili e può perdurare da qualche settima-na a 4-6 mesi. Numerosi studi retrospettivihanno esaminato i fattori di rischio associatialla insorgenza e gravità della CE tardiva.Questi studi però si differenziano per la defi-nizione di CE e per i protocolli terapeutici delTCSE, pertanto un confronto diretto dell’inci-denza dei fattori di rischio esaminati ed il loroimpatto sulla gravità della CE tardiva nonrisultano uniformemente concordi. Tuttavia,l’impiego del busulfano ed i regimi di condi-zionamento mieloablativo, il trapianto alloge-nico come fonte di CSE, il trapianto da dona-tore compatibile non correlato (MUD) e laGVHD, sono associati ad un aumentatorischio di CE tardiva. La presenza di numero-si fattori di rischio indica come la CE sia daconsiderare come una malattia a patogenesimultifattoriale, per la quale ad oggi non è statoancora chiaramente definito quale fattore di

rischio sia più rilevante dal punto di vista pro-gnostico. In tale ottica la frequente identifica-zione nelle urine di pazienti con CE di agentivirali, tra cui il BK virus risulta essere il piùfrequente, suggeriscono che all’infezionevirale possa essere attribuito un ruolo rilevan-te nella patogenesi di tale patologia.

Virus BK e cistite emorragica

La correlazione tra BKV e CE è stata ipotiz-zata dal 1976, quando particelle virali simili aipapovavirus sono state riscontrate nelle urinedi pazienti con CE. Da allora, le indagini dia-gnostiche, con l’impiego di tecniche immuno-enzimatiche fino alle attuali e più sensibilimetodiche di indagine molecolare (PCR),hanno consentito di dimostrare la presenza diBKV nel siero e nelle urine dei pazienti. Ilriscontro di BK viruria in pazienti immuno-compromessi in assenza di sintomi urinaripone il quesito se la presenza di BKV sial’espressione di uno stato di riattivazione vira-le correlato alla condizione di immunosop-pressione o possa essere considerato come unfattore di rischio per l’insorgenza della CE.Infatti circa il 50-100% dei pazienti riceventiil TCSE presentano una viruria positiva perBK, e solo il 5-40% dei pazienti sottoposti atrapianto sviluppano una CE post-trapianto.Al fine di stabilire una relazione causale traBKV e CE è necessario che si verifichinoalcune condizioni specifiche: la concentrazio-ne virale sia correlata all’insorgenza della CEpost-trapianto, in particolare livelli di viruria>104-105 copie BKV /mL risultano significa-tivi per lo sviluppo di CE; incrementi signifi-cativi di viruria BK generalmente precedanol’insorgenza dei sintomi di CE; la riduzionedell’infezione da BKV possa determinare unariduzione della presenza e severità dei sintomidi CE tardiva.

M.C. Tirindelli

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Alloimmunità e cistite emorragica

L’osservazione che non tutti i pazienti conBK viruria manifestino la CE fa ritenere che lapositività di viruria BK non sia di per sé unacondizione sufficiente per lo sviluppo della CE(Bedi, 1995; Azzi, 2000; Seber, 1999). LaGVHD e la presenza di mutazioni specifichedel BKV sono state correlate con una maggio-re incidenza di CE e i pazienti con tali caratte-ristiche spesso eliminano nelle urine un’eleva-ta concentrazione di BKV rispetto ai pazientiasintomatici per CE. Inoltre pazienti con CEmostrano un’elevata concentrazione di BKVnelle urine, associata alla presenza di GVHD,prima o nella fase di insorgenza della CE.Queste osservazioni consentono di ritenere chele reazioni alloimmuni del ricevente siano unimportante fattore causale per la CE. A favoredi questa ipotesi è l’osservazione comune chel’incidenza della CE tardiva sia molto rara neipazienti sottoposti a trapianto autologo di CSE(Bogdanovic 1996) e più frequente nei pazien-ti sottoposti a trapianto allogenico da donatorenon correlato rispetto al trapianto correlato1 edin particolare quando esso venga condizionatocon regimi mieloablativi rispetto a quelli adintensità ridotta (Yamamoto, 2003 e Giraud,2006). Leung et al, 2005) hanno proposto unmodello di patogenesi della CE tardiva suddi-viso in 3 fasi. Nella prima fase, durante il regi-me di condizionamento, l’impiego dichemio/radioterapia provoca il danno dell’uro-telio. La conseguente rigenerazione-riparazio-ne dell’urotelio rappresenta il substrato per lareplicazione virale del BKV (Hirsh, 2003).L’effetto immunosoppressivo dei regimi dicondizionamento riduce la reattività cellulareimmune specifica. Questo favorisce la replica-zione virale. Nella seconda fase la replicazionevirale incontrollata del BKV determina uneffetto citopatico con rilascio dei virus nellavescica documentato dall’aumento dei livellidi viruria BK. Nella fase finale, la ricostituzio-

ne ematopoietica, successiva all’attecchimentodelle CSE del donatore, determina il ripristinodell’immunità specifica anti-BKV da parte deilinfociti T del donatore. Le cellule immuno-competenti del donatore sviluppano una rea-zione immune contro gli antigeni virali presen-ti sulle cellule dell’urotelio. Questa reazioneimmune, che può essere o meno parte di unareazione sistemica da GVHD, provoca undanno esteso della mucosa vescicale e l’insor-genza dei sintomi di CE. Il modello propostorientra quindi nell’ambito delle patologie daimmunoricostituzione, in cui i sintomi acutidella malattia, correlata alla preesistente infe-zione virale, si manifestano nel momento incui avviene la ricostituzione immunologica nelricevente.

Ruolo di altri agenti virali nella cistite emor-ragica post-trapianto di cellule staminaliematopoietiche

Accanto al BKV, altri virus sembrano con-correre all’insorgenza della CE. Nei pazientipediatrici gli adenovirus (AD) sono causa diCE acuta. Alcuni studi nella popolazione giap-ponese hanno correlato la CE post-trapiantoall’infezione da AD, in relazione alla più altaincidenza di tale virus riscontrata nei campioniurinari testati. Studi prospettici hanno succes-sivamente dimostrato che mentre la presenzadi BKV è significativamente associata a CE,non è stata riscontrata nessuna correlazionestatisticamente significativa tra AD e CE neltrapianto. È stata invece proposta un’associa-zione tra BKV e riattivazione virale diCytomegalovirus (CMV) in pazienti sottopostia TCSE. Infatti l’escrezione urinaria del BKVpuò precedere quella del CMV, la cui replica-zione viene attivata dall’antigene BKV-T, chedetermina una transattivazione trascrizionaleeterologa sul promoter IE del CMV(Kristoffersen, 1997). Saranno necessari studi

La terapia di condizionamento nel trapianto di cellule staminali emopoietiche

Hematology Meeting Reports 2008;2(6) | 109 |

prospettici per chiarire il significato e la rela-zione temporale delle concentrazioni urinariedi CMV e BKV, durante il trapianto ed il lororuolo nella CE.

Profilassi della cistite emorragica post-tra-pianto di cellule staminali ematopoietiche

La CE precoce nei pazienti sottoposti a regi-mi di condizionamento con ciclofosfamide puòessere prevenuta, nella maggioranza dei casi,dall’impiego del MESNA e dall’iperidratazio-ne ed iperdiuresi (Hadjiabaie, 2008). Alcuniautori hanno indicato il MESNA come un fat-tore di rischio per l’insorgenza della CE preco-ce (Tsuboi, 2003), mentre in altri studi cliniciMESNA non ha influenzato in maniera signifi-cativa l’insorgenza di CE severa (Seber, 1999)né è stato in grado di prevenire in ogni casol’insorgenza di CE tardiva. Recenti studi sumodelli animali (Yildrim, 2004; Morais, 1999)hanno comunque confermato l’utilità diMESNA in combinazione con iperidratazionee tale trattamento è generalmente accettatonella profilassi della CE. Un efficace regime diprofilassi per la CE tardiva, invece, non è statoancora ad oggi definito. Poiché gli agenti vira-li quali BKV, JCV, AD, CMV e recentemente ilSimian virus 40 sono stati riconosciuti comefattori di rischio rilevanti nella patogenesidella CE tardiva è stato ipotizzato che l’impie-go di farmaci antivirali sarebbe potuto risulta-re efficace nella sua prevenzione. Il cidofovirinibisce la replicazione del BKV in vitro ed invivo (Leung AYH, 2005), ma a causa della mie-lotossicità e nefrotossicità, il suo uso profilatti-co nella CE non è stato estensivamente appli-cato. Leung et al. hanno valutato che i chino-lonici, in particolare la levofloxacina, mostra-no una moderata inibizione della replicazionedel BKV in vitro, sebbene non siano farmaciantivirali. Il loro impiego nella profilassi dellaCE tardiva deve quindi essere valutato in studi

clinici randomizzati cosi come quello dei deri-vati dell’acido retinoico e l’acido nalidixico.

Terapia della cistite emorragica post tra-pianto di cellule staminali ematopoietiche

La CE tardiva rimane una complicanza mag-giore postTSCE, per la quale ad oggi il tratta-mento non è stato ancora standardizzato in par-ticolare nelle forme severe di grado >2. Lapatogenesi multifattoriale della malattia rendecomplessa e variabile la strategia terapeuticada adottare. I pazienti che presentano sintoma-tologia dolorosa ed ematuria necessitano di unattento monitoraggio diagnostico che prevedal’esame microscopico e citologico delle urine,gli esami colturali e virologici sul sangue esulle urine, lo studio coagulativo e la contadelle piastrine. I pazienti che presentano un’ematuria microscopica (grado 1) possono esse-re osservati. L’ematuria macroscopica (grado2) prevede l’iperidratazione, l’irrigazionevescicale per prevenire la formazione dei coa-guli ed il supporto trasfusionale, associati allasomministrazione di analgesici maggiori e dimisoprostol per la protezione della mucosauroteliale. In caso di CE di grado >2 o persi-stenza dei sintomi per un tempo superiore a 7giorni la diagnostica strumentale ecografica etomografica ed il consulto con l’urologo risul-tano necessari per valutare l’opportunità diprocedere all’esecuzione della cistoscopiaeffettuando la rimozione dei coaguli e la caute-rizzazione delle ulcerazioni mucose sangui-nanti. In tutti i pazienti con CE severa di grado>2 è necessaria la correzione della trombocito-penia e delle alterazioni coagulative permigliorare il controllo dell’ematuria. Sonoinoltre da prevenire le complicanze causatedalla prolungata immobilizzazione e spesso sirende necessario il supporto psicologico acausa della demoralizzante esperienza per ilpaziente di una protratta cateterizzazione

M.C. Tirindelli

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vescicale. Numerosi approcci terapeutici sonostati tentati nei pazienti con CE refrattaria aitrattamenti convenzionali. Tra questi l’impiegodella formalina,9 prostaglandine E2,11 ossigenoiperbarico,12 somministrazione di fattore VIIricombinante,14 estrogeni,16 cidofovir,17,18 vidara-bina, ribavirina, ganciclovir, instillazioni intra-vescicali con sodio ialuronato19 (Han, 2008),GM- CSF endovescicale (Vela-Ojeda J, 1999)e più recentemente l’infusione di cellule stami-nali mesenchimali (Ringden, 2007), sono statiutilizzati con risultati non sempre riproducibi-li, poichè legati all’esperienza del singolo cen-tro trapianto.

Molte delle terapie descritte sono costose edin alcuni casi complicate da rilevanti effetticollaterali come fibrosi vescicale, incontinenzaurinaria, tossicità renale o neurologica. Le pro-cedure terapeutiche invasive come la folgora-zione, l’embolizzazione delle arterie vescica-li,13,15 la nefrotomia, la resezione ureterale e lacistectomia parziale o totale sono state propo-ste come ultima risorsa terapeutica in pazientigravemente debilitati con CE refrattaria ointrattabile.20 La colla di fibrina (CF), un agen-te emostatico derivato dal plasma umano e lar-gamente impiegato in chirurgia per il controllodelle emorragie e per le sue proprietà adesiveai tessuti, è stato impiegato anche in ambitourologico con risultati favorevoli.21 Essendoderivato dal plasma umano è un prodotto bio-compatibile, bioassorbibile e non è associatoad infiammazione, fibrosi o necrosi tessutale.In letteratura. sono stati descritti due pazienticon CE refrattaria in cui l’impiego della CF èrisultata efficace per il controllo della CE postTCSE.22,23 In uno studio pilota condotto nellanostra istituzione per RTN (Rome TransplantNetwork) in 221 pazienti sottoposti a TCSE, 5di essi, affetti da CE refrattaria di grado >3,profondamente immunodepressi dopo TCSEallogenico, sono stati sottoposti a trattamentocon CF sulla mucosa vescicale, medianteapplicazione per via endoscopica in corso di

cistoscopia. Una risposta completa è stata otte-nuta in tre pazienti, parziale in un paziente,assente nell’ultimo paziente il cui decorso cli-nico è stato gravemente complicato da GVHDacuta e insufficienza multiorgano. I risultatiottenuti, da confermare in una serie più ampiadi pazienti, hanno dimostrato che tale procedu-ra terapeutica, secondo le modalità di applica-zione per via endoscopica utilizzate, potrebbedimostrarsi una valida alternativa per il tratta-mento della CE tardiva, poiché semplice epoco invasiva in pazienti fragili. Il suo impie-go, in una fase precoce dall’insorgenza dellaCE tardiva di grado 1-2, potrebbe risultare effi-cace nel controllo tempestivo dell’ematuria enel prevenire l’estensione del danno dellamucosa vescicale sostenuto dagli agenti viralie dalla GVHD. Studi prospettici in un’ampiaserie di pazienti potrebbero consentire di valu-tarne l’impatto sulla riduzione dei tempi diospedalizzazione, del fabbisogno trasfusiona-le, del costo dei trattamenti e sul miglioramen-to della qualità di vita del paziente.24

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Hematology Meeting Reports 2008;2(6):113-117

L’introduzione di un cateterevescicale (CV) in corso di trapian-to di cellule staminali emopoieti-che (TCSE) può rendersi necessa-ria per diversi obiettivi assisten-ziali:1) Evacuativo

a. Per ritenzione urinaria daostruzione acuta o cronica dellevie urinarie;b. Per decompressione dellavescica;c. Nell’incontinenza urinariagrave (nel caso non sia possibi-le usare metodi alternativi,come i condom o i pannoloni).

2) Diagnostico a. Per un monitoraggio accura-to della diuresi, in particolarenei pazienti critici (shock,coma, alterazione dello stato dicoscienza);b. Per verificare le cause di oli-guria/anuria.

3) Terapeuticoa. Per l’introduzione di sostan-ze farmacologiche;b. Per irrigazioni vescicali, incaso di piuria e particolarmentein caso di macroematuria perevitare il tamponamento vesci-cale.

4) Preventivoa. Per l’irrigazione vescicalecontinua per ridurre il rischio dicistite emorragica (CE) da anti-blastici (in particolare ciclofo-sfamide ed ifofosfamide).

I CV per posizionarsi in vescicadevono attraversare l’uretra supe-rando i normali sistemi di difesadell’organismo. I principali rischiconnessi ai CV sono le infezionidelle vie urinarie (IVU), checostituiscono il 20-40% di tutte leinfezioni ospedaliere. Nell’80%dei casi le IVU sono associateproprio all’uso del catetere vesci-cale. Altre potenziali complicanzesono rappresentate da uretriti, ste-nosi uretrali, ematuria, perfora-zione vescicale e occlusione delcatetere con blocco del flusso uri-nario. È evidente che per unpaziente sottoposto a TCSE ilrischio che si verifichino compli-canze è sicuramente più alto inconsiderazione di diversi fattoripredisponenti quali l’immunode-pressione, l’alterazione dei mec-canismi di riparazione tissutale, lapiastrinopenia.

Le principali raccomandazioniper una corretta gestione del CVsono:- l’impiego di tecniche asetticheper l’introduzione del CV;- la scelta del CV più appropriato(materiale, calibro, numero di vie)in riferimento all’età, al tempo dipermanenza programmato, allapatologia del paziente; - l’adozione di un sistema “a cir-cuito chiuso” per il drenaggio del-l’urina (sacca di raccolta sterilecon valvola antireflusso e rubinet-

Studio osservazionale sulla gestionedel catetere vescicale in corso dicistite emorragica nel trapianto dicellule staminali emopoietiche

G. Gargiulo

Programma T.C.S.E.U.O.C. di Ematologia,Azienda OspedalieraUniversitaria “Federico II” Napoli, Italy

QUINTA SESSIONE

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G. Gargiulo

to distale per lo svuotamento) per evitare fre-quenti disconnessioni al catetere che rappre-sentano un rischio di contaminazione batterica;- un’accurata igiene perineale e del meato uri-nario;- la massima igiene nelle varie procedure digestione del CV (lavaggio mani, uso di guan-ti);- la registrazione accurata degli interventi pra-ticati per la gestione del CV;- la rimozione del CV appena sono superate lecondizioni che ne hanno reso necessario l’im-piego (la cosiddetta ginnastica vescicale pre-rimozione è sconsigliata sia per l’inefficaciasulla muscolatura vescicale che per l’aumentodella carica batterica vescicale);- la formazione continua degli operatori e deicaregivers.

È opportuno che ciascun ProgrammaTrapianti Cellule Staminali Emopoietiche (PT)disponga di protocolli e procedure per lagestione del CV conformi alle diverse LineeGuida specifiche e di comprovata efficacia

predisposte da organismi quali il CDC diAtlanta e l’Istituto Superiore di Sanità. La CEè uno degli scenari assistenziali più complessiin corso di TCSE.I principali fattori di rischio sono:

(i) l’impiego nella terapia di condizionamen-to di ciclofosfamide ad alte dosi (con effettitossici prodotti dai metaboliti sui tessuti vesci-cali), come unico farmaco o in associazione adaltri chemioterapici (thiotepa o busulfano) o aradioterapia estesa - Total Body Irradiation(TBI);

(ii) infezioni delle vie urinarie in particolareda virus quali citomegalovirus, papovavirus(BK virus) e adenovirus.

In letteratura sono presenti numerose pubbli-cazioni relative alle diverse modalità di tratta-mento della CE, mentre sono poche quellemirate alla gestione del CV in corso di CE nelTCSE. Molto spesso l’approccio è quindi pre-valentemente empirico e basato sulle racco-mandazioni generali per la gestione del CV.

Nel 2006 il PT dell’Azienda Ospedaliera

Tabella 1. Studio osservazionale sugli interventi per la prevenzione e il trattamento della CE nel TCSE (Programma Trapianti Az. Osp.Careggi - Firenze, 2006).

N. programmi % Programmi Programmiche attuano Adulti Pediatricil’intervento

Interventi adottati durante il condizionamento per la prevenzione della cistite emorragica

Iperidratazione 34 94 24 10Alcalinizzazione delle urine 23 64 17 6Infusione di Mesna 35 97 25 10Posizionamento catetere vescicale 9 25 7 2Profilassi con antibiotici chinolonici (ciprofluoxacina, levofluoxacina) 18 50 15 3Lavaggi vescicali continui 2 5.5 2 0

Interventi in corso di cistite emorragicaPosizionamento catetere vescicale 29 80 21 8Lavaggi vescicali continui 29 80 22 7Estrogeni 2 5.5 2 0Infusione di cidofovir sistemico 8 22 5 3Infusione di prostaglandine intravescicale 6 16 4 2Infusione di fattore VII 2 5.5 2 0Ossigenoterapia iperbarica 10 27 5 5Acido Tranexamico sistemico 1 2.7 1 0Iperidratazione 3 8.3 1 2Terapia antivirale in casi selezionati 2 5.5 1 1

La terapia di condizionamento nel trapianto di cellule staminali emopoietiche

Hematology Meeting Reports 2008;2(6) | 115 |

Careggi di Firenze ha condotto uno studioosservazionale sugli interventi promossi per laprevenzione e il trattamento della CE nelTCSE. I PT partecipanti allo studio sono stati36 di cui 26 per pazienti adulti e 10 per pazien-ti pediatrici. I trattamenti preventivi maggior-

mente impiegati sono risultati l’iperidratazio-ne, l’infusione di Mesna e l’alcalinizzazionedelle urine, mentre quelli adottati in corso diCE sono risultati il posizionamento di un CV el’irrigazione vescicale continua.

Nel mese di maggio del 2008 la sezione

Tabella 2. Studio osservazionale sugli interventi per la gestione del CV in corso di CE nel TCSE (Programma Trapianti A.O.U “FedericoII”, Napoli, 2008).

Interventi per la gestione del catetere vescicale N. dei programmi che % N. Programmi N. Programmiin corso di Cistite Emorragica attuano l’intervento Adulti e Misti Pediatrici

Documentazione disponibile per la gestione del CVLinee guida 11 21 9 2Protocolli 19 36.5 17 2Procedure 25 48 21 4

Documentazione disponibile per la gestione del CV in corso di CELinee guida 9 17 7 2Protocolli 9 17 7 2Procedure 17 32 14 3

Tipologia di CV impiegato come prima scelta a tre vie 34 65 33 1a due vie 17 32 11 6Foley 37 71 29 8Couvelaire 7 13 7 0Dufour 1 2 1 0

Sistema di raccolta standarda circuito chiuso 42 80.8 38 4a circuito aperto 10 19.2 8 2

Sistema di raccolta in corso di CECircuito chiuso con sacca da 2.000 ml 29 55 25 4Circuito aperto con sacca da 2.000 ml 7 42 5 2Circuito aperto con sacca da 5.000 ml 15 28.8 14 1

Inserimento CV prevalentemente da parte di Infermiere 33 63.5 28 5Urologo 19 36.5 16 3

Intervento principale in caso di ostruzione del CVLavaggio con siringa da 50 ml. di sol. fisiologica 48 92 40 8Sostituzione 3 5 3 0Altri interventi 1 2 1 0

Somministrazione terapia antidolorifica Di routine 14 26 11 3Solo al bisogno 36 69 31 5

Timing inserimento CVAppena compare macroematuria 10 19 10 0Dopo 24 – 48 di macroematuria 17 32 16 1Solo in presenza di coaguli che bloccano la minzione 21 40 16 5

Richiesta di consulenza urologicasempre 23 44 23 0in caso di difficoltà nell’inserimento del CV 19 36 16 3solo in caso di ostruzioni frequenti del CV 8 15 5 3

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G. Gargiulo

infermieristica del GITMO – Gruppo ItalianoTrapianti Midollo Osseo - ha condotto uno stu-dio osservazionale sulla gestione del CV incorso di CE, coordinato dal PT dell’AOU“Federico II” di Napoli. Obiettivi dello studiosono stati: 1. conoscere l’approccio dei diversiProgrammi Trapianto verso la CE; 2. verifica-re la presenza di linee guida, procedure e pro-tocolli per la gestione del CV nei PT sia in sce-nari assistenziali di “routine” che in corso diCE.

(iii) PT per la gestione del CV in corso diCE. Lo studio è stato realizzato attraverso unquestionario con dieci domande a rispostachiusa, prevedendo la possibilità di evidenzia-re ulteriori osservazioni complementari. MoltiPT hanno comunicato che i casi di CE sonodiminuiti nel corso degli ultimi anni; alcuni, inparticolare quelli dedicati esclusivamente agliautotrapianti, hanno comunicato di aver avutorare o nessuna esperienze di CE. Due PTPediatrici hanno sottolineato la difficoltà nelreperire CV a tre vie di calibro adeguato ai loropazienti. Tre PT non hanno indicato nessunarisposta per i punti del questionario per i qualinon disponevano di dati consolidati; pertantoalcuni report risultano incompleti.

Su 84 PT invitati a partecipare allo studio nehanno aderito 52 (62%) di cui 34 dedicatiesclusivamente a pz. adulti (65.3%), 8 pedia-trici (15.3%) e 10 misti (19.2%).

Trentasei PT (69%) effettuano auto e allo tra-pianti, inclusi quelli MUD, 10 (19% ) sia autoche allo-trapianti, 6 (11.5%) solo auto-trapian-ti. I risultati del questionario hanno evidenzia-to che:

1. riguardo la disponibilità di documentazio-ne per la gestione “routinaria” del CV, 11 PT(21%) dispongono di Linee Guida specifiche,19 (36.5%) di protocolli, 25 (48%) di procedu-re;

2. per la gestione del CV in corso di CE 9 PT(17%) dispongono di Linee Guida specifiche,

9 (17%) di protocolli, 17 (32%) di procedure;3. per il trattamento della CE 34 PT (65%)

impiegano un CV a tre vie, 17 (32%) a due vie,1 non risponde. Il CV maggiormente adottatorisulta il Foley a tre vie, scelto da 37 PT (71%);7 (13%) impiegano un Couvelaire, (CV rigidoo semirigido con becco a punta di flauto e duefori laterali, particolarmente raccomandato incaso di grave macroematuria); 1 adotta ilDufour, (CV semirigido, con punta curvata di30°, a becco di flauto con 2 fori laterali con-trapposti, particolarmente indicato in caso digrave macroematuria e inserimento difficolto-so), 1 PT un modello non specificato, mentre 6non hanno risposto;

4. il sistema più diffuso per la raccolta routi-naria dell’urina è quello a circuito chiuso, inuso in 42 PT (80.8%). Tale sistema è fortemen-te raccomandato da tutte le linee guida per lariduzione del rischio di contaminazione batte-rica derivante dalle ripetute disconnessionidella sacca di raccolta dal CV, manovra fre-quente nel sistema a circuito aperto, impiegatoda 10 PT (19.2%);

5. in corso di CE, 29 PT (55%) adottano ilsistema di raccolta a circuito chiuso con saccada 2.000 mL 22 (42%) il sistema a circuitoaperto; di questi 7 (13%) impiegano sacche da2.000 mL, mentre 15 (28.8% ) adottano unasacca di raccolta da 5.000 mL;

6. il CV viene inserito prevalentemente dal-l’infermiere in 33 PT (63.5%), mentre in 19(36.5%) dall’urologo;

7. uno dei problemi più frequenti in corso diCE è l’ostruzione del CV, causata dalla presen-za di coaguli o frustoli che impediscono il dre-naggio, causando forti dolori ai pazienti; talecomplicanza richiede un intervento immediatoed efficace. Nello studio, 48 PT (92%) eseguo-no lavaggi con soluzione fisiologica tramiteuna siringa da 50 mL con cono da cateteredirettamente nel CV (tale manovra va pratica-ta con una certa pressione per poter creare un

La terapia di condizionamento nel trapianto di cellule staminali emopoietiche

Hematology Meeting Reports 2008;2(6) | 117 |

“vortice” in grado di rimuovere i coaguli daifori di drenaggio e poterli aspirare attraverso lastessa siringa), 3 PT (5%) procedono invecealla sostituzione del CV; 1 (3%) interrompetemporaneamente l’irrigazione;

8. in corso di CE può essere presente dolore,causato da spasmi, ostruzioni o bruciore alivello vescicale. Quattordici PT (26%) avvia-no di routine una terapia con antidolorifici,mentre 36 (69%) solo al bisogno;

9. il timing dell’inserimento del CV non evi-denzia nessuna scelta prevalente: 10 PT (19%)applicano il CV appena compare macroematu-ria, 17 (32%) dopo 24-48 di macroematuria, 21(40%) solo in presenza di coaguli che ostaco-lano la minzione;

10. per la gestione della CE, 23 PT (44%)richiedono sempre una consulenza urologica,19 (36% ) solo in caso di difficoltà nell’inseri-mento del CV, 8 (15%) in presenza di ostruzio-ni frequenti del CV.

Conclusioni

La CE è percepita dagli infermieri come unacomplicanza di estrema complessità, ma sem-pre meno frequente, in particolare negli auto-trapianti. Gli interventi preventivi maggior-

mente adottati (iperidratazione, infusione diMesna, alcalinizzazione delle urine) sembranodimostrare una loro efficacia, seppure da veri-ficare ulteriormente. Larga parte dei PT osser-va le principali raccomandazioni per la gestio-ne routinaria del CV, mentre la scarsa diffusio-ne di protocolli e procedure potrebbe esserealla base delle evidenti differenze fra i diversiinterventi attuati per la gestione del CV nellaCE. È opportuno quindi che ciascun PT elabo-ri un protocollo specifico per la CE, conside-rando anche che il continuo turn-over del per-sonale infermieristico potrebbe disperdere lafondamentale esperienza sviluppata sulcampo.

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Hematology Meeting Reports 2008;2(6):118-122

Introduzione

Nonostante i continui successidel trapianto di cellule staminaliemopoietiche (TCSE) nel tratta-mento di un largo numero didisordini emopoietici nell’ambitodi malattie maligne e non mali-gne, la microangiopatia tromboti-ca (MAT) rimane una delle piùsevere e frequenti complicanzepost-TCSE.1

Il danno endoteliale indotto damolti fattori come i regimi di con-dizionamento, la tempesta cito-chinica post-trapianto, la graft-versus-host disease (GVHD),l’uso di alcuni agenti immunosop-pressivi ed infine alcune infezionimediate dal Cytomegalovirus o daorganismi fungini, sembranoessere tra i più importanti fattoripatogenetici della MAT.2,3

L’incidenza della MAT1,4 variaconsiderevolmente a secondadegli studi, ma sembra più elevata(5-60%) nei riceventi di allotra-pianto che nei pazienti autotra-piantati (3-20%) con un incre-mento legato alla maggior com-plessità dei TCSE eseguiti negliultimi dieci anni. Oltre alla consi-derevole incidenza della MAT, lamaggior parte degli autori ne sot-tolinea la gravità con una mortali-tà che varia dal 30 al 70%.1

Patofisiologia della MAT

Il processo patologico dellaMAT è caratterizzato dalla pre-senza di un largo numero di trom-bi ialini prevalentemente compo-sti da aggregati piastrinici presen-ti nel microcircolo di numerosiorgani. Nel 1924 Moschowitzdescrisse per primo nei particolariquesta malattia in un paziente,5

ma solo successivamente ne èstata sottolineata la possibile pato-genesi caratterizzata da un dannoendoteliale che, assieme all’atti-vazione piastrinica, sembra essereuno dei fattori più precocementeconnesso alla MAT o alla sindro-me emolitico-uremica (SEU) che,in passato, è stata associata anchead eclampsia in gravidanza, tumo-ri, danni da farmaci, lupus siste-mico, sclerosi sistemica, iperten-sione maligna.6 Il processo princi-pale della MAT è di fatto contrad-distinto da un danno endotelialecui segue un severo consumo pia-strinico che induce un danno dellecellule eritroidi con formazione dimicrotrombi o di prodotti di fibri-na che ostruiscono il microcirco-lo.

La possibilità di un associatograve deficit della metalloproteasiADAMTS 13 (enzima in grado dilisare i cosiddetti “ultralarge Von

Microangiopatia trombotica dopotrapianto di cellule staminali emopoietiche: aspetti patogenetici,clinici e terapeutici

C. Uderzo

Direttore del ProgrammaTrapianto di Midollo, CentroTrapianto di Midollo Osseo,Clinica Pediatricadell’Università di Milano-Bicocca, Ospedale S. Gerardodi Monza, Italy

QUINTA SESSIONE

Willebrand factors” provenienti dal dannoendoteliale) o una sua inibizione così come siverifica nelle forme di MAT idiopatiche dovela terapia con prodotti del plasma atta a sosti-tuire la carenza di ADAMTS 13 sembra utile,non è stata provata nei pazienti affetti da MATsottoposti sia ad allo che ad autotrapianto.6

Recentemente due studi prospettici sull’attivi-tà di ADAMTS 13 nei pazienti trapiantatihanno messo in evidenza, anche se raramente,una diminuzione severa e protratta di questaproteasi dopo il regime di condizionamento.6

Solo uno dei 74 pazienti segnalati ebbe unvalore di ADAMTS 13 inferiore al 10% e que-sto paziente fu l’unico dei 5 riportati a presen-tare una MAT. In conclusione il deficit diADAMTS 13 nei soggetti trapiantati non puòesser il componente principale nella patofisio-logia della MAT post-trapianto. Per tale moti-vo la MAT post-trapianto può assomigliare avolte più ad una SEU che ad una classicamicroangiopatia idiopatica.

Fattori di rischio che possono influenzarel’insorgenza ed il decorso della MAT

L’età, il sesso dei pazienti, il tipo di sorgentedi cellule staminali, il tipo di compatibilitàHLA del donatore ed il grado di GVHD sonostati recentemente indagati nell’ambito dei fat-tori di rischio più frequentemente in grado dicondizionare l’insorgenza ed il decorso dellaMAT.7 Anche la ciclosporina A con il suo effet-to citotossico sulle cellule endoteliali con atti-vazione contemporanea della proteina C e laformazione di complessi trombina/trombomo-dulina4 o l’aumentato rilascio di tromboplasti-na da cellule endoteliali mononucleate, è sem-brata essere uno dei fattori causali importantinella patogenesi della MAT. A fronte di talimeccanismi, il ruolo della ciclosporina o dialtri agenti immunosoppressivi come l’FK 506nel dare inizio alla MAT, rimane controverso.

Anche l’irradiazione totale corporea (TBI)ed i suoi effetti vascolari sistemici con degene-razione endoteliale cellulare, vasocostrizione,effetti protrombotici ed alterazione della pro-duzione di PGI-2, può inoltre contribuireall’insorgenza della MAT.6

Alcune segnalazioni sostengono inoltre ilruolo delle citochine come l’IFN-γ ed il TNF-α nell’esaltare l’espressione degli antigeniMHC di classe II nei confronti delle celluleendoteliali comportando alla fine un dannoendoteliale nel corso della GVHD e costituen-do il “primum movens” della MAT.8 Un recen-te studio retrospettivo di Martinez9 arriva aconcludere che la MAT rappresenta una parti-colare forma di GVHD. Anche l’attivazionemacrofagica nella fase iniziale di attecchimen-to, la presenza di cellule dendritiche e di linfo-citi della linea B stimolati da agenti infettivi,sono responsabili infine della produzione diinterleuchina 12. Questa citochina proinfiam-matoria è stata riconosciuta come un potenteattivatore delle cellule natural killer e delle T-cells e quindi dei fattori di permeabilità vasco-lare. L’aumento di IL-12 nella fase di precoceripresa dell’emopoiesi post-trapianto potrebbecondurre ad una rapida insorgenza dellaMAT.10

In un nostro studio retrospettivo7 abbiamosottolineato il ruolo dei più rilevanti fattori dirischio che possono influenzare l’insorgenza(Tabella 1) ed il decorso (Tabella 2) della MATin 539 pazienti trapiantati studiati mediantecriteri diagnostici omogenei.

Criteri diagnostici per la MAT post-trapianto

Molti autori hanno sostenuto in passato ladifficoltà nel porre la diagnosi di MAT post-TCSE.1,6,7,11,12 Una recente review di George haevidenziato come 38 diversi criteri diagnosticisono stati utilizzati per la diagnosi di MAT inben 35 studi.1 Questa difficoltà era basata

La terapia di condizionamento nel trapianto di cellule staminali emopoietiche

Hematology Meeting Reports 2008;2(6) | 119 |

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C. Uderzo

anche sul fatto che molte complicanze dellafase post-trapianto possono concorrere nel ren-dere problematica o confondere la diagnosi diMAT. Nel nostro studio policentrico7 un rapidoincremento dell’enzima LDH (indice di emoli-si) assieme ad una evidente diminuzione deivalori di Emoglobina e della conta piastrinicain pazienti con precedente buon attecchimentodi tutte le serie emopoietiche, sembrano costi-tuire il primo fondato sospetto di MAT e con-temporaneamente dovrebbero stimolare ilmedico trapiantologo a cercare altri specificisegni clinici o di laboratorio utili alla diagnosidi microangiopatia.

Due differenti comitati scientifici internazio-nali13,14 hanno cercato recentemente di megliodefinire come eseguire in pratica la diagnosi diMAT (Tabella 3), arrivando a conclusioni simi-li a quanto rilevato dal nostro studio.7 L’unicalieve differenza dei criteri adottati dallaCommissione Europea14 rispetto a quelli dellaCommissione Americana13 ed ai nostri,7 riguar-dava l’aumento del livello di aptoglobina neipazienti affetti da MAT post-TCSE. A nostroavviso un relativo aumento dei livelli di apto-globina post-trapianto può esser spesso soloespressione di una fase infiammatoria in atto(GVHD, infezioni ad esempio) e non indice diemolisi come si verifica nella MAT.

Nel panorama complesso dei criteri da adot-tare per la diagnosi di MAT noi vorremmo for-temente sottolineare come l’esordio della MATcon tutto il suo corredo sintomatologico (segnidi emolisi, diatesi emorragica, piastrinopenia,crisi convulsive, insufficienza renale, insuffi-cienza epatica, insufficienza respiratoria) siverifichi prevalentemente nei primi 100 giornipost-TCSE e come il decorso sia spesso conco-mitante ad altre complicanze che possonomascherare la microangiopatia stessa.Tuttavia, al minimo sospetto di MAT i medicidei centri trapianto dovrebbero adottare i crite-ri clinici e di laboratorio sopra citati in mododa giungere rapidamente alla diagnosi ed ini-

Tabella 1. Fattori che influenzano l’insorgenza della MAT median-te analisi multivariata.7

N° Rischio prelativo value

Adulti/bambini 333/204 1.04 0.89Maschi/femmine 232/307 1.893 0.02Donatore allo familiare(6/6 – 5/6 AG) 314 0.528 0.03Donatore allo 225non familiare+aploTBI-SI’/NO 258/281 0.420 0.041GVHD acuta-</> II° 318/202 0.286 <0.0001

Tabella 2. Fattori che influenzano il decorso della MAT medianteanalisi multivariata.7

N° Rischio prelativo value

Adulti/Bambini 37/27 8.242 0.09Maschi/Femmine 29/35 0.579 0.44Donatore familiare/ non familiare+aplo 28/36 7.585 0.0187TMA index<20 13 4.703≥20 39>100 12LDH </> II° 23/41 1.347 0.67GVHD </> II° 22/42 0.471 0.32Stop ciclosporina 14/50 1.459 0.687Condizionamento 4/60 2.271 0.538intensità ridotta

Tabella 3. Diagnosi di MAT.13,14

Presenza contemporanea di:

1) Aumentata percentuale di “schistociti” (>4%) con o senza pre-senza di eritroblasti nel sangue periferico

2) Prolungata, rapida e progressiva discesa della conta piastrinica(<50.000/L)

3) Diminuzione rapida del valore di emoglobina (in assenza digravi episodi emorragici)

4) Possibile presenza contemporanea di danno neurologico orenale (senza altre spiegazioni)

5) COOMBS diretto/indiretto negativo

ziare il più presto possibile la terapia ad oggipiù accreditata. Questo atteggiamento porteràad un controllo rapido della microangiopatiaprima che si instaurino le complicanze piùsevere della stessa.

Trattamento

“Più presto, è meglio”, questo è l’imperativo.In sintesi, nonostante manchino evidenze dalpunto di vista sperimentale, pensiamo che untrattamento tardivo della MAT possa dare inizioad una cascata di eventi negativi in organi doveil microcircolo vascolare può esser sede di dannia volte irreversibili (sistema nervoso centrale,reni, fegato, polmoni). Come sottolineato nelsottocapitolo “Patofisiologia” di questo articolo,non ci sono le basi per un trattamento con pla-smaferesi o supporto con plasma nei pazientiaffetti da MAT dopo TCSE, tanto che ognipotenziale efficacia non è distinguibile dal nonprovato beneficio che si ottiene sospendendo iltrattamento immunosoppressivo con ciclospori-na o essere analoga a spontanee remissioni dellaMAT.15

La mortalità della MAT dopo trattamento conplasmaferesi è superiore all’80% rispetto al 20%dei pazienti con MAT idiopatica sottoposti aquesta procedura terapeutica. Inoltre non vannodimenticate le numerose complicanze associatealla plasmaferesi in pazienti a rischio come isoggetti trapiantati (infezioni sistemiche, trom-bosi, emorragie, pneumotorace, tamponamentocardiaco, ipossia, ipotensione, anafilassi).

Alcuni autori hanno riportato un certo benefi-cio dal trattamento con alte dosi diImmunoglobuline aspecifiche con o senza asso-ciazione di corticosteroidi.

Pazienti affetti da severa GVHD trattata consuccesso dopo infusione di anticorpo monoclo-nale anti-CD25 hanno avuto anche una discretaregressione dell’associata MAT.6

Un effetto immunomodulatore da parte del

Rituximab potrebbe essere alla base di una anco-ra non ben provata efficacia di tale farmaco neiconfronti della MAT post-trapianto.

Considerata l’efficacia del defibrotide, farma-co antitrombotico ed antifibrinolitico, nel tratta-mento della malattia venoocclusiva epatica post-TCSE dove esiste un danno endoteliale, alcunesegnalazioni di favorevole risposta a tale poly-deoxyribonucleotide nei pazienti trapiantatiaffetti da MAT, sono state recentemente tra le piùincoraggianti. Nella nostra esperienza7-16 il tratta-mento con defibrotide è stato favorevole in piùdel 60% dei casi con MAT severa, soprattutto seinstaurato nei primi 10 giorni dall’insorgenzadella complicanza microangiopatica e se condosi adeguate (dose d’attacco: 40-60mg/kg/giorno/via endovenosa per almeno 15giorni; dose di mantenimento: 20-30mg/kg/giorno anche via orale in assenza dimalassorbimento intestinale, per almeno due-tremesi). Effetti collaterali di rilievo non sono statida noi segnalati se si eccettuano minimi sangui-namenti in pazienti chiaramente piastrinopenici.Tali fenomeni emorragici si sono per altro dimo-strati prontamente reversibili con la sospensionedel farmaco.

Ovviamente l’impiego del defibrotide dovràesser consolidato da studi controllati/randomiz-zati su vaste casistiche prima di essere conside-rato di sicuro successo nel trattamento dellaMAT post-trapianto.

In aggiunta ai suddetti agenti terapeutici, esisteoggi6 tutta una serie di composti già utilizzati inaltre patologie per attenuare gli effetti negatividel danno endoteliale durante il TCSE. Si posso-no citare in questo contesto le statine che riduco-no la risposta infiammatoria endoteliale nel-l’ischemia miocardia, l’iloprost, un analogodelle prostacicline che è stato dimostrato ridurrei marcatori plasmatici del danno endoteliale nelcorso di artrite reumatoide, gli antagonisti deirecettori endoteliali come il Bosentan che invitro si è dimostrato efficace nel migliorare ildanno microvascolare indotto da ciclosporina.

La terapia di condizionamento nel trapianto di cellule staminali emopoietiche

Hematology Meeting Reports 2008;2(6) | 121 |

| 122 | Hematology Meeting Reports 2008;2(6)

C. Uderzo

Conclusione

La MAT post-trapianto di CSE va ritenutauna delle più frequenti e temibili complicanzepresenti nei primi mesi dopo tale importanteprocedura terapeutica.

Tra i maggiori commenti nel contesto dellaMAT post-TCSE, ci sembra utile sottolineareche oggi è mandatorio individuare quali fattori(GVHD, tipo di donatore di cellule staminali,tipo di condizionamento, sesso, età dei rice-venti) possono predire in anticipo quali pazien-ti sono più a rischio di MAT. Accanto a talepossibilità vanno aggiunti gli straordinari pro-gressi nell’ambito diagnostico, tanto da poteraffermare che nell’epoca attuale non è più pos-sibile confondere la MAT con altre complican-ze precoci post-TCSE. Tale atteggiamento è digrande vantaggio perché consente di iniziare ilpiù presto possibile il trattamento più adegua-to impedendo alla MAT di proseguire inesora-bilmente sino alla cosiddetta “Multiorgan fai-lure”. Da ricordare anche che una inadeguataterapia della MAT implica una frequente reci-diva della stessa.

Altra acquisizione importante, in parte deri-vata dal nostro personale contributo, è la pos-sibilità di predire, in base a determinati fattoridi rischio (età adulta, diversa compatibilitàdonatore/ricevente …) il destino dei pazienticon MAT. Tutte queste conoscenze dovrebberoorientare i clinici ad un approccio sempre piùomogeneo sia nella diagnosi che nella terapiadella MAT.

Compito del presente e non del futuro è quel-lo di approntare protocolli di studio policentri-ci in modo da ottenere le migliori conoscenzepossibili nella prevenzione o nella terapia di uncosì grave complicanza.

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