Qui Pantianicco. 23

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Anno Domini 2002 Anno Domini 2002 Qui Pantianicco Qui Pantianicco

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2002, bollettino parrocchiale di Pantianicco

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Anno Domini 2002Anno Domini 2002

Qui PantianiccoQui Pantianicco

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EDITORIALEricevuto, senza chiudere gli occhi ele orecchie, e neanche il cuore.Purtroppo, il Vangelo è un libro sco-nosciuto per tante famiglie e sirischia che scompaia anche dallenostre comunità, sempre più esposteallo svuotamento che fanno imasmedia. Forse siamo anche noi unpo’ come la “pelle di serpente”:quando la cambia, il serpente escefuori e resta un involucro vuoto.

Quanta povertà spirituale! Duesono gli ambiti decisivi per la tra-smissione dei valori e del Vangelo: igiovani, perché rappresentano ilfuturo del credere, e la famiglia per-ché è il luogo dell’incontro tra gene-razioni, dove la più anziana ha qual-cosa da comunicare alla più giovane,ma anche in uno scambio reciproco.È un trasmettere quello che si haricevuto. Quando tutto cambia e conrapidità, come nella nostra epoca, èimportante avere solidi punti di rife-rimento, altrimenti si rischia lo sban-damento, la dispersione, o lo scorag-giamento, l’avvilimento. Cosa dob-biamo fare? Dare qualità allanostra fede. Ripartire da GesùCristo, morto e risorto, che si è fattovicino ad ognuno di noi e ci accogliecome giusti o peccatori, sani oammalati. Come i due discepoli diEmmaus, anche noi ci possiamo sen-tire scoraggiati e delusi con un fortedeficit di speranza. Anche noi comeloro, siamo affiancati da Gesù risor-to, il Vivente che ci spiega leScritture “Parola di Dio” e lo ricono-scono nello spezzare il pane(Eucarestia). È solo così che riesco-

Ogni organismo, se è vivo, si rin-nova.

Come comunità ecclesiale cattoli-ca siamo invitati ad una presenza piùincisiva nel mondo del nostro territo-rio, che risente delle forti tensioni eintolleranze, dopo l’11 settembredell’anno scorso, con la distruzionedelle “Torri Gemelle” a New York,con la superficialità religiosa, l’atei-smo pratico, l’immagine e la torre diBabele sociale, economica, di emi-grazione.

Il cristiano è un essere di comu-nione e di speranza, un comunicatoredel Vangelo in un mondo di continuae rapida trasformazione.

Siamo chiamati alla conversione eal rinnovamento radicale e integrale,pastorale, intellettuale, spirituale eculturale.

C’è stato il Giubileo del 2000 incui si parlava di nuova evangelizza-zione, ma le nostre chiese hanno rac-colto poco l’invito a fare della mis-sione la via privilegiata e permanen-te. Si è forse verificato un fuoco dipaglia senza portare a cambiamentisignificativi. Certo è, che quello cheabbiamo fatto finora non basta.

L’essere cristiano non conosceparcheggi o zone di sosta, ma tra-guardi da cui ripartire con semprenuovo slancio.

Le nostre parrocchie devono pun-tare, anche secondo il programmapastorale: “Formazione” per i cri-stiani delle nostre comunità eccle-siali in vista di una maturazionepersonale e comunitaria nella fedeper conseguente affidamento eassunzione di responsabilità mini-steriali.

Quindi, si deve puntare sulla qua-lità degli evangelizzatori, degli ani-matori pastorali, sulla loro formazio-ne, sulle loro motivazioni di fondo,sul metodo dell’annuncio e deglistrumenti per la sensibilizzazionedegli abitanti della nostra zona. È“questo tempo” che Dio ama ed è inquesto che il cristiano deve esseretestimone di Cristo, per il battesimo

Saluto dellaRedazione

Il nostro più cordiale saluto raggiun-ga tutti i pantianicchesi, dai più vici-ni ai più lontani, attraverso questepagine, che si rinnovano annualmen-te, con l’obiettivo di fissare i princi-pali avvenimenti dell’anno che staper concludersi e ricordare un po’della nostra storia locale.Il proprio paese resta sempre unpunto di riferimento nella vita, anchese per le nuove generazioni questoconcetto di appartenenza si è affievo-lito, ma con l’andare degli anni, conla maturità, si ha la sensazione che“un paese vuol dire non essere soli,sapere che nella gente, nelle piante,nella terra c’è qualcosa di tuo”.Noi continuiamo a raccontare ilnostro paese attraverso i fatti che lastoria ha segnato, in modo indelebile,nella memoria e nel ricordo dellagente, come le guerre, le inondazioni,l’emigrazione; attraverso “li contis”argute testimonianze dell’umorismodei nostri vecchi e attraverso le chie-se ed i monumenti che loro hannocostruito sasso dopo sasso, con laloro miseria e la loro grande fede. Epoi raccontiamo le persone delpaese, quelle di ieri e quelle di oggi,senza distinzione tra gente comune epersonaggi illustri, in quanto tutti,ognuno per la propria capacità,hanno contribuito a scrivere unapagina della nostra storia.Questo giornalino vuole essere inol-tre un doveroso omaggio a tutti colo-ro, e sono tanti, che per secoli,uscendo dalla nostra terra, sonoandati “via pal mont” a guadagnarsila vita e a far conoscere le rare capa-cità delle genti friulane.E non dimentichiamo le nuove gene-razioni di pantianicchesi, il nostropresente e il nostro futuro, che con illoro studio e il loro lavoro ci fannoonore in paese e fuori. Questo gior-nalino è dedicato anche a loro, per-chè non perdano la loro identità etutto ciò che di bello, nel bene e nelmale, ci ha dato la nostra terra.Per tutti, l’augurio di proseguire nelterzo millennio in salute, nella pace enella prosperità.

Don Giovanni unito alConsiglio Pastorale, alConsiglio Amministrativo e ai collaboratori delBollettino Parrocchiale,augura ai Pantianicchesiresidenti e sparsi per ilmondo un Felice Natale edun buon 2003!

continua a pag. 3

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ADEGUAMENTO DELLE CHIESESEGNO DI FEDELTÀ AL CONCILIO

La riforma liturgica, le cui basisono state poste dal concilioVaticano II nel 1963, a quasi qua-rant’anni dalla sua conclusione,sono un impegnativo cammino dirinnovamento della nostra mentalitànella celebrazione del mistero diCristo.

L’edificio di culto è un luogoprivilegiato per l’incontro sacra-mentale con Dio. La Chiesa è unluogo vivo per uomini vivi.

La Chiesa intende evitare di dis-sipare i tesori e di relegarli al rangod’oggetti da museo ed è per questoche è giunto il momento di porretermine alla stagione di provviso-rietà venutasi a creare dopo il con-cilio; così anche la nostra chiesaparrocchiale, procedendo con pru-denza per evitare danni al patrimo-nio storico-artistico, si è sottopostaad alcuni cambiamenti liturgici. Per

questo sono stati richiesti non colpidi genio ma una conoscenza liturgi-ca e professionale mediante l’ap-porto di persone collaboranti edesperte che, elaborando le variesoluzioni, sono state scelte quellepiù consone ed ecco quanto è statoeseguito.

Si è provveduto alla costruzionedi un piano in tavole, sostenute dasupporti di ferro, che collega allastessa linea ed altezza il presbiteriocon i due altari laterali dedicati allaMadonna Immacolata e a S. LuigiGonzaga.

Questo lavoro fa in modo di for-mare una scalinata unica che attra-versa tutta la chiesa permettendocosì di portare più avanti l’altaredelle celebrazioni, l’ambone, e col-locare il battistero in pietra che nonsi usava più e che era relegato in unangolo in fondo alla chiesa; inoltresi è provveduto a spostare la custo-dia dell’Eucarestia dall’altare mag-giore al tabernacolo dell’altaredell’Immacolata.

Attingendo dalle norme emanatedal Consiglio Episcopale Italiano,cercherò di dare una risposta al per-ché di questi adeguamenti. I tre luo-ghi preminenti del presbiterio sonol’altare, l’ambone e la sede del pre-

sidente. L’altare, nell’assemblea liturgi-

ca è i l segno della presenza diCristo, è la mensa del sacrificio edel convito pasquale ed è per questoche l’altare deve essere visibile datutti affinché tutti ci sentiamo chia-mati a prenderne parte ed è ovvia-mente necessario che sia uno nellaChiesa per essere il centro al qualela comunità si rivolge.

La collocazione dell’altare deverendere possibile la celebrazionerivolta al popolo e deve consentiredi compiere agevolmente tutti igesti liturgici ad esso inerente, que-st’altare dovrebbe essere fisso, dovequesto non è possibile sia almenodefinitivo ed inamovibile. Per l’al-tare preesistente si eviti di coprirela sua mensa con tovaglie e lo siadorni molto sobriamente in mododa lasciare nella dovuta evidenza lamensa dell’unico altare per la cele-brazione.

L’ambone, è il luogo propriodal quale viene proclamata la paro-la di Dio e va collocato in prossi-mità dell’assemblea in modo dacostituire un’unione tra il presbite-rio e l’assemblea stessa. L’ambonedeve essere una nobile, stabile edelevata tribuna, non un semplice

no a riprendere il cammino, ritornarealla comunità, dalla quale si eranostaccati con delusione e amarezza,riscoprire la gioia dei “fratelli che sitrovano insieme” e, dalla forza delloSpirito Santo, sono scaraventati intutto il mondo a evangelizzare.

Tutti siamo invitati a questa espe-rienza di Emmaus, a vivere nel gior-no del Signore, la Domenica. Invitatialla mensa del Cristo, ascoltiamo lasua Parola viva e ci nutriamo dellostesso cibo spirituale, l’Eucarestia,cuore della Messa, per uscire dinuovo nella vita di tutti i giorni, maprofondamente trasformati. Non pos-siamo continuare a pensare solo ai

nostri interessi. Se pensassimo di piùagli interessi di Dio, la vita persona-le, la famiglia, il paese, la società, ilmondo cambierebbe in una esistenzapiù felice per tutti.

Il “mondo” porta al fallimento ealla morte. Bastano alcuni esempi:figli contesi dai genitori perché sepa-rati, fidanzati che uccidono le findan-zate, genitori che uccidono i figli, ifigli che uccidono i genitori, droga,alcolismo, libertinaggio, unabomber,Argentina, con tutta l’America lati-na, Medio Oriente, Pakistan, Africa… dove c’è il male c’è sempre ilpotere, il denaro, la supremazia chenon tiene conto della persona.

Per i cristiani, “regnare”, “averepotere”, significa “servire”, “dare

vita” per la giustizia, la verità, per ilvalore dell’uomo, di ogni persona,figli dello stesso Padre. Per questo,tutti dobbiamo ritornare allaDomenica, all’Eucarestia, al Giornodi Dio e non dell’Io. In questo temponatalizio, in modo particolare ricordoi nostri compaesani argentini e tutti isofferenti per le ingiustizie e le rapi-ne legalizzate dei prepotenti, checonfondono il bene comune con gliinteressi della “famiglia”.

Auguro a tutti una rinascita spiritua-le di speranza, di fede, di comunione.

Buon e Santo Natale e sereno egioioso Anno Nuovo.

Il ParrocoDon Giovanni Boz

n. 23 Novembre 2002

Numero unico dellaparrocchia di

PANTIANICCOPiazza Cortina, 5

33036 Mereto di Tomba - tel. 0432.860064

Aut. Trib. Ud n. 13 del 25.10.48Sped. in abb. post. gr. IV/50%

segue da pag. 2 - Editoriale

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leggio mobile; accanto ad esso èconveniente mettere il cero pasqua-le che vi rimane durante il tempolirturgico opportuno.

La custodia Eucaristica, nellenostre chiese, per note ragioni stori-che l’elemento centrale, dominantesullo stesso altare, è stato per circaquattro secoli, il tabernacolo eucari-stico.

L’adeguamento liturgico dellechiese esistenti, è mirato ad esaltareil primato della celebrazione eucari-stica e quindi la centralità dell’alta-re, ma deve riconoscere anche lafunzione specifica della riservaeucaristica e quindi in occasionedell’adeguamento sia dedicata unaparticolare cura al luogo e allecaratteristiche della riserva eucari-stica, luogo che deve essere facileda individuare, deve avere un acces-so diretto, raccolto e favorevoleall’adorazione personale che nellanostra chiesa sarebbe la cappelladella Madonna del rosario ma cheper comodità durante le celebrazio-ni si è pensato di collocare la custo-dia eucaristica nel tabernacolo del-l’altare dell’Immacolata.

Sede del presidente, esprime il

ministero di colui cheguida e presiede lacelebrazione nellapersona di Cristo,capo e pastore e nellapersona della Chiesa,suo corpo. Deve esse-re visibile a tutti e indiretta comunicazionecon l’assemblea, perfavorire la guida dellapreghiera, il dialogo el’animazione.Il Battistero, la cele-brazione del battesimoviene riconosciutacome la “porta dellafede” , i l cui valoreessenziale può essererecuperato, lungo lavita del cristiano,anche grazie allacostante visibilità delbattistero, vero“memoriale” delsacramento.Nel collocare il batti-stero, fra l’altare dellecelebrazioni e quello

di S. Luigi, si è pensato, oltre adusufruire della nostra pregevoleopera, di favorire la partecipazionedi tutta l’assemblea alla celebrazio-ne del battesimo.

Il posto del coro durante le variecelebrazioni; essendo il coro parteintegrante dell’assemblea deveessere collocato nell’aula tra il pre-sbiterio e l’assemblea in modo daconsentire ai suoi membri di parte-cipare alle azioni liturgiche e diguidare il canto dell’assemblea.

“Per un migliore rispetto deiruoli celebrativi, è bene che il coronon si collochi alle spalle del cele-brante presidente né sui gradini del-l’altare antico”.

La soluzione per la sede confes-sionale si è lasciata l’area all’in-gresso della Chiesa, vicino allaporta (l’immagine della penitenzacome punto d’arrivo del camminodi conversione, luogo del ritorno aDio e del passaggio alla vitanuova).

Il sagrato e la piazza, la curadel sagrato e della piazza ad essoeventualmente collegata è segnodella disponibilità cristiana in tutti i

suoi gesti e quindi a maggior ragio-ne in occasione delle celebrazioniliturgiche; se il sagrato e la piazzasono ben presentabili, anche lacomunità troverà più gradevole lapermanenza nella Chiesa, e questocome avviene nelle nostre case,tutti siamo chiamati a dare unamano.

Sul sagrato ci si incontra e siscambia il dialogo, purtroppo oggisi tende a darsi un frettoloso salutoper poi andare per i propri fatti.

Che cosa dobbiamo trarre noicristiani da tutti questi adeguamentie da quanti altri ci potranno esserein futuro? Ci devono servire ad unapartecipazione più attiva allo svol-gimento di tutte le azioni liturgichee a rafforzarci nel progetto di nuovaevangelizzazione che la Chiesa cipropone di attuare durante tutta lanostra esistenza terrena a favore delnostro prossimo.

V.M.

La semplicitâtdal vivi

Nadâl al nasintun cûr di frutte semplicitât dal viviincjarnatsion di veretenerece.Tal vivi sempliç,scuvierzintafiets e valôrs umansal nas Nadâl.Invuluçât il cûrdi tenerecea si pronte palNadâl.In cheste gnovenassiteune incjarnatsion.Cjalarìn in cîlla stele, par purificâsidenant di chel frut.Sperancis di tancja si unissin intuncjant melodiôsa consolânus.Nadâl al naste semplicitât dal vivi.

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Contis di Agnul Covas(dal libri “Chei… din chê volte” - Ribis)

UN BARBÎR

Tancj ains indaûr tal gno paîs, ilbarbîr al jere un mistîr che nol rinde-ve e par vivi bisugnave fâ alcaltri.

Jo o ài cognossût un ch’al faseve ilmarangon, ‘Zuan e chei altris i conta-dins e mi pâr di ricuardâ… il Nini diBelo, Toni Tinat e Fonte.

Se si voleve fâsi servî par ben bisu-gnave lâ a Udin o a Codroip e ultima-mentri ancje a Basilian.

Un ch’al faseve il barbîr comesecont lavôr, nol jere simpri pront, masôl lis sornadis di ploe, la sabide disere e la domenie buinore e… cualchiscjapiande ogni tant e vignive fûr…che, la scjalinade de glesie di Madonedi Gracie, no veve confront!

Chel ch’al voleve… al podeve fâancje la barbe e il rasôr, secont che idave di fîl, al tajave ce plui ce man-cul.

Prin lu passave su di une biele slà-vare di Quâr e po su la cinturie daibregons.

Mi visi ancjemò che une sere inpaîs al jere dut un ce dî parvie ch’avevin puartât Nando a Merêt dalMiedi.

Nando strac di vore, jevât a tre botsdi buinore, seât dute la sante zornade,mintri che ‘Zuan i faseve la barbe, alsi jere indurmidît.

A un ciart pont si svee di strabalz e‘Zuan i domande: “Par câs, a misdì,àstu mangjât pastessute cul pomodoroo cu la conserve?”.

Nando: “Ma… no o o! Mi pârpropi di nò, Nò. O soi sigûr di nò!”.

‘Zuan: “Ben… cjalemo… inalore”e continuant cun tune vôs di mieçfunerâl, “Cjâr Nando, o scuen dîti cheti ài tajât di cualchi bande e mi pâr…ancje vonde ben”.

VIGJ DAL MULIN

In paîs tu rivis a savê il non just diune persone dome cuant ch’e mûr.

Il mulinâr, o miôr, Vigj dal mulin,al veve non inveci Felìz.

O vevi cognossût ancje so pariToni e, tant un che chel altri, doi…ruspiôs!

Vigj, fin a pôc timp indaûr, lu cja-tavi in pueste a Merêt il siet dai mês

dìspars a tirâ la pension.Si saludavin simpri come vecjos

amîs e a la mê domande “Cemût stâ-stu Vigj?”, mi rispuindeve sec: “A tì,ce t’impuartial?” e po o continuavina fevelâ, e tra une bestleme e chêaltre al tirave fûr la sô filosofie.

Jo lu contradivi, prin par che no lucapivi e in secont lûc no acetavi chelch’al diseve su la vite e su la societât.

Inalore lui si inrabiave e al tacavea spiegâmi lis sôs teoriis anarchichis.

Cun me al finive simpri cul dîmiche no capivi nuje e che la scuele e imiei parinc’ predis, mi vevin ruvinât,e jo o siaravi il discors disintj: “Vigj,dreciti! Tu sês unevore stramp.Cambie filosofie. Dutcâs ti perdoniparvie che tu metis il mulin pe cultu-re, cu lis “Gnots Furlanis”.

Mi cjalave e al rideve… O pensich’a jerin la sô glorie.

O voi scuàsi ogni setemane insimitieri a impiâ un lumin ai mieimuarts e jentrant dongje il riscjel, aman zampe, o cjali la sepulture di“Felice Cogoi”, e mi ven l’istint didomandâj: “Cemût Vigj”; ma, mistraten e mi decît subìt par un“requiem” par pore di sintîlu a dî:“Ce t’impuartial a tì?”.

BARUFÂ CU LIS CUVIARTIS

Si sint a dî daspes che unevolte al jere plui frêt di cumò.

Bisugne ancje considerâ l’a-limentazion e che lis cjasis novevin lis comoditâts di vuê: noljere il riscjaldament centrâl, sifaseve fûc solamentri in cusine,la sere si lave in file te stale, liscjamaris e lis stanziis no jerinsofitadis e par scjaldâ il jet simeteve la boce cu l’aghe cjaldeo la muinie cu lis boris.

Ancje in cjase di Pieri diAgnin si faseve come in dutislis fameis.

La femine subìt cenât e pre-parave i jets e po e lave in filete stale dai Ucej, indulà che sicjatavin une ventine di perso-nis dal borc.

Une sere tôr lis dîs, nancjech’al fos stât dât un segnâl,

ducj a durmî, prin ch’e rivi la nêf,cussì al stave disint il vecjo.

Buine gnot, buine gnot… buine eancje Pieri, la sô femine, so nevôt ece sajo jo, vie tal cusso… disviestîsia la svelte, par no cjapâ frêt, e sot liscuviartis.

Nol jere nancje scjaldât, che Pierisi cjatà scuviart. La coltre e il plu-min, dut parsore de femine.

“Orpo” al borbotà, “no sta sco-menzâ a remenâti” e al tornà acuviargisi.

La femine e ronceave e Pieri alveve apene siarât i voj che lis cuviar-tis a jerin di gnûf ladis jù de bande defemine. Nol capive chel ch’al stavesucedint: la femine e jere indurmidi-de, no si jere mote e lis cuviartis ajerin coladis.

Pieri al risistemà il jet e, nol si jerenancje voltât, che lis cuviartis a jerintornadis a movisi.

Par dî il vêr al cjapà un pocje dipore e al pocà la femine ch’e durmi-ve come un agnulut.

“Ce àstu, tarocon? Pieri finissile dimateâ cu lis cuviartis e lasse durmîchei ch’a son stracs di lavôr”, cussì edisè la femine.

Pieri: “No soi jo ch’o tiri liscuviartis, al è alc che nol va. O àipôre…”

La femine: “Nol sarà migo il diaul

Pantianicco anni 40Visentini Luigina con la sua mamma.

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a puartâti vie, par dutis lis blestemische tu disis ogni dì?”.

Pieri a sintî nominâ il diaul al saltàjù dal jet, al si inzopedà tal urinâr, alcolà par tiare e cuant che Diu al àolût al rivà a cjatâ la scjate dai fumi-nants e a impiâ il ferâr.

La femine vosant: “Setu deventâtmat? Sono poris di fâmi cjapâ a che-stis oris?”.

Pieri, blanc come la cere e cenceflât, al disè planchin: “No viodistuche lis cuviartis a si movin besso-lis?”.

La femine inalore: “Eh… la cus-sience…!”.

Pieri al lè a cjapâ sù lis cuviartis aplanc planc e al viodè doi spalistacâts ch’a lavin sot par une fessuredal paviment. Inalore al disè un ble-stemon e jù, crot, di sburide pes scja-lis, a riscjo di rompisi il vues dalcuel, a viodi cui ch’al jere a tirâ ispaj te stanzie sot.

Sot a jerin: so nevôt, Gjgi di ucel,il mul di Momi e altris doi fantats dalborc che si tignivin la panze a fuarcedi ridi.

Pieri al cjapà in man la scove, maprin ch’al rivas a doprâle, la mulariea jere bielzà scjampade viars il Quâr,lassant Pieri ch’al vosave: “Us àicognossûts, o vedarês doman ce fricoche us doi!”.

IL MIEDI CONDOT

Mê puare mari e diseve sim-pri ch’o jeri un frut avondesan, ma la prime pidimie ch’ecapitave tal paîs, o jeri simpriil prin a cjapâle: il varuscli, ilmarmul o il mâl dal cjastron,la rosolìe, la tos pagane, l’in-fluence, il mâl di orelis e cesajo jo.Il miedi al stave tal comun aMerêt e dôs voltis par sete-mane al girave pai paîs. Inche volte al jere miedi condotil dotôr Pordenon. La fameech’e veve dibisugne di lui, elave a notâsi in cooperative.Tal gno paisut, al rivave culso biroz tirât di un cjaval e,qualchi volte, al veve sentadedongje ancje siore Milie, lacomari.La int ju saludave e lis babissi domandavin subìt: “Cuissàlà ch’a van uê? ise qualchifemine ch’e spiete o ch’e jein dificoltât?”.D’istât al vignive cu la moto,ma al veve ancje un otomobil

che no lu doprave tant.Se si veve di clamâlu a la svelte,

bisugnave lâ di persone a Merêt. Seil câs al jere gravon, si usave clamâancje il plevan.

Poben no us conti ce ch’al sucede-ve s’al rivave prin di lui siôr santul,il plevan. Al tacave a cjaminâ sù e jùpe cjamare e al vosave: “…Eh… sì!O… D… prin il plevan e dopo ilmiedi. S’al vuaris al è merit dalSignôr, s’al mûr ‘e je colpe dal dotôr.Eh… sì! O… D…”. E al ripeteve nosai cetantis voltis. E cuant che Diuvoleve, dopo vê stufât duc’ i sans dalparadîs, si bonave; al faseve la rècipee, prin di lâ vie: “Us racomandi,cafelat ogni dôr oris e aghe e sucarcuant ch’al ûl. Jo ‘o torni doman”.

In ospedâl si lave unevore pôc. Ilmiedi al tajave, al cusive, al gjavavedinc’, al ingessave, al faseve lis ana-lisis des urinis…

Simpri il dotôr Pordenon, quantch’o soi colât de carete lant tal ôrt (ovevi cinc ains) e ch’o mi jeri rot ilbraz zamp, mi lu à ingessât cence fâune plèe e cence fâ ragjos: un lavôrdi fin.

Il miedi al vignive pes scuelis cunsiore Milie e in un cuatri dîs al incla-mave la uaruèle a dute la mularie dalcomun di Merêt.

Une volte, ch’o jeri bielzà fantat,

o soi lât a Merêt par fa une visite, nomi visi ce ch’o vevi. A cjase mivevin visât di no lâ a spandi prin,parvie che il miedi al vares analizâtlis urinis.

Fedêl a lis racomandazions, rivâtdal miedi mi soi sentât cuietut tuncjanton cirint di no pensâ parvie chela sen si faseve bielzà sintî.

Al rivà il gno turno. Il miedi midomandà il mutîf ch’o jeri lât di lui emi fasè lis solitis domandis in gje-nerâl su la salût… Mi fasè discrotà emi disé: “Daûr la paradane, ch’alorini in tune impolète” e al jessî dalambulatori.

Oh Signôr ce liberazion! O cjapil’impolète in man, la jempli… manol jere câs di fermâ… O cjali atôr…no savevi dulà continuâ… e… o sco-menzai a jemplâ impolètis une daûrchealtre. No sai a d îus tropisch’o’nd’ài jempladis.

Liberât di un pês, content di vêvût avonde licuit di provinâ, mi sen-tai sul jetut a spietâ ch’al tornas den-tri.

Quant ch’al jentrà mi domandà:“Fat?”, e jo: “Si, dotôr”.

Al va daûr la paradane, al cjale, altorne tal miez de stanzie e fasinsi unspagnolet (cjartine e tabac) al tacà:“Eh… sì! O… D… Eh sì… ca o vinpissàz par cuinzâ un ort”. E sù e jùpal ambulatôri. E quant ch’al tacavenol jere câs di fermâlu. A un certpont si sintì a bati te puarte e jentrâsiore Iside, la sô femine.

Siore Iside e capì subìt ch’al jerealc che nol lave e cun tune pazienze,che mi soleve ancjemò il cûr dome apensâ e tacà a dîsij: “Sù Leo, norabiarte. Il fantat nol à fat apueste. Esì che tu sâs, quant che si tache a nosi rive a fermâle”.

E lui: “Eh… sì. O… D… el pode-va far nel canton e no sporcarmetutte le provette”.

“Sù, sù, sù Leo… dames che t’estorni a lavâ” a continuà Iside, e vol-tansi viars di mè: “Cui sestu?”…“Vedi Leo… questo giovane el sedell’anno di nostra fia Maria…”.

Crodeimi di fede, mi jeri tant ver-gognât pal fat sucedût che no rivimai a dismenteâ lu. “Eh s ì! O…D…!”.

Un’altre volte o stavi spietant, cunaltre int, simpri di lâ dal miedi. Lamassàrie nus veve visât ch’al varesritardât un pôc e di vê pazienze.

Luigi Brandolino, Argia, Maria Luisa e FrancoCragno in gita al mare nel 1956.

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Pantianicco 1956I coscritti del 1936.

13 - 17 Doi numers Doi Santsdi Angelo Covazzi

DOI SANT DI NON TONI

Al po’ sucedi di incuintrâ personische ti domandin informazions su diun cjant o su di une preiere come il“Si quaeris miracula” e a tàchin a dîlusù ae maniere lâr, cun tun strambolotdaûr chel altri.

No savint ce fâ, e cjapât di sprovi-ste, tu prometis di savêur a dî alc pluiindenant.

Viodìn subìt che il “Si quaerismiracula” al è un cjant gregorian, unepreiere a Sant Antoni di Padue.

Jo o soi di un paîs, Pantianins,indulà che une volte il “Si quaerismiracula”, al vignive cjantât dopoogni messe ch’e vignive dite tune gle-seute di campagne vodade a SantAntoni Abât.

Cemût mai? Stranis robis: la int, eforsit ancje i predis, no van tant palsutîl e par dî sù chê preiere, bastave ilnon famôs di Sant Antoni, cence badâse di Padue o di Vienne1.

Stant che o stin lant tal 2000, AnSant, an di piligrinaçs, o vuei dî che,glesis ospizis, tes stradis di comunica-zions, a jerin i ponts salts di riferi-ment dai piligrins.

Dutis lis stradis batudis dal divotsincjaminâts di e par Rome, di e parCompostela, a vevin il carater deduplicitât divozionâl e culturâl.Glesiis, capelis, ospizis diluncvie apuartavin di volte in volte elements diriferiment al piligrinaç, “romeo” e achel “jacopeo”.

La strade al piligrin a jere segnadede ubicazion di chês glesiis:

1) viers Nord-ovest si cjatavinsimpri chês vodadis a Sant Jacum e aSant Antoni di Vienne;

2) viers Sud-est, chês che a fase-vin alusion a Rome e a Jerusalem, evodadis la pluralitât a San Pieri e alSant Sepulcri.

SANT ANTONI DI VIENNE

Sant Antoni di Vienne al jere nas-sût tal 250 a Coma (vuê Queman) sula spuinde ocidentâl dal flum Nilo(Egjt mezan) di gjenitôrs cristians e inpodè, e al è muart vecjon, tal 356.

Al è venerât come protetôr dai

dumiestis e la glesie e à fissât la sôfieste il 17 di zenâr.

In tantis bandis, viers il meridiond’Italie, te gnot fra il 16 e il 17, pardomandâ la protezion dal Sant suducj, si impiin i fugarons.

Par chel che al rivuarde il Friûl, ladivozion si lee ae tradizion lisandrinetes lidrîs de glesie aquileiese. Ma osavìn che Sant Atanasi, che al à scritla vite di Toni, al è stât in esili par unpôc di tim a Aquilee, e dal sigûr al àfevelât e spandût la sô divozion.

Il Sant al ven rapresentât ancje culfûc in tune man.

Chei di Merêt a savevin bielzàch’al jere lât a cjoli là di Tamburlin aUdin, l’otomobil gnûf.

Tôr lis quatri si sintì une pivetadee un otomobil al rivà “imburît comeune clapadade” tal curtîl e po unrepeton.

Duc’ fûr di corse a viodi ce ch’aljere sucedût.

Il miedi al veve fracassade suldenant la machine gnove.

Un vecjut di Plasencis, pluicoragjôs di duc’, al jentrà te arie eviodint che il dotôr al jere bielzàimpîs j disè: “Ch’al scusi siôr dotôr,si ìsal fat mâl?”.

“No, no, grazie… nuje” al

rispuindè Pordenon.Il vecjut: “Ma… dotôr, cun chei

impresc’ modernos, bisugne lâ planc,in particulâr tal curtîl”.

Il miedi alore al tacà: “Eh sì! O…D…, eh sì! O… D…, eh sì… lu polaver anche rason; ma mi no go puteipicoli… posso andare a cento io nelcortile! Eh sì!… O… D…”. E vieindenant dal garâs al ambulatôri e nosai a dîus par trop timp… “Possoandare a cento io; no ‘nd’ài fruz piz-zui iò… O… D…”.

Eh sì, in font in font al jere ancjeun brâf miedi; ma in chê volte no sipodeve lâ di altris bandis cence il sopermes, us siguri jo!

Provait a domandâ a Faustin diMerêt quant ch’al veve di puartâ sopari a Udin par fâlu viodi di un spe-cialist.

Il miedi alore al tacà a vosâj: “Ehsì!… O… D…, fascista onesto suopadre, ma voi giovani tutti asini. Ehsì!… O… D…, voi tutti asini! Eh sì!tutti asini…”. E no sai a dîus sal àrivât a puartâ so pari dal specialist;ma o soi sigûr che il Signôr lu à judâta tornâ di ca.

continua da pag. 6

1S. Antoni Abât al ven clamât ancje: di Vienne,dal desert o dal purcit.

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La tradizion e je leade a la crodin-ce che il Sant al vuaris i malâts dierpes, une forme di dermatite diorigjine virâl, clamade “herpeszoster”.

A Vienne Isère2, tal Delfinât inFrance, su la rive çampe dal Rodano,antighe capitâl dai “allobrogi”, unevolte colonie romane sot Dioclezian ecapolûc de “provincie viennensis”, alè un Santuari cu lis relicuiis dal SantAbât.

Mintri che a stavin strasmudant lisrelicuiis in chê citât e jere une epide-mie di “herpes zoster” e lis vua-rigjions e son stadis tantissimis e inpont e in blanc, al è diventât un lûc dipiligrinaç e la malatie e à parfin cam-biât non: e je cognossude di ducjcome “fûc di Sant Antoni”. Ancje ifurlans a lavin une volte in piligrinaçin chê citât ch’e vignive consideradedopo Jerusalem, Rome e Santiago,une destinazion impuartante.

La storie dal fûc e à origjine didôs circostancis ben precisis:

1) la prime e ven des pagjinis scri-tis di Atanasio, indulà che a vegnindescritis lis lotis che Toni al à vût culdemoni, simbul dal pecjât, ma ancjedal fûc eterno;

2) des vuarigjons ch’o ai bielzàdite pe herpes zoster.

PURCITS

E cumò viodin i purcits.Simpri a Vienne, un ciert Gaston

al à vût te sô famee une vuarigjonmiraculose. Il fì maladòn par interces-sion di Sant Antoni al è tornât di ca.

Gaston inalore al à fondât une

congregazion cun ancje dongje unospedâl. E cussì al è nassût “l’Ordindai Canonics Regulârs di Sant Antonide Viennois”. Ma lis spesis dutcâs ajerin tantis e il Gaston al à pensât ditirâ sù purcits, che molâts libars pestradis, a vevin di vivi di caritât publi-che e par fâsi sintî ur veve picjât talcuel un campanel.

Une prime suposizion partant e fâscapî che i purcits a son stâts mitûtssot la protezion dal Sant.

Altris invecit a disin che tal purcitsi à di viodi il diaul che sbaraiât e vintdal Sant, il Signôr lu à condanât a lâidaûr sot la forme di chê bestie.Inalore da un pieçon di agns, si po’viodi dongje la statue di Sant AntoniAbât, in bas, un purcitut.

Il Sant al ven rapresentât ancjeinvuluçât in tune tonie, cun tun bastona forme di T, un campanel, in tuneman al ten une flame ardinte, simpripo cu la muse di vieli e la barbeblancje lungjone.

No mancin purpûr altris figura-zions cu la mitre sul cjâf, come inestris abâts. Al à simpri dutcâs, il fûcin man e il purcit sotvie e des voltisdome il diaul.

Ancje tal Friûl fin dopo l’ultimevuere, tai agns 47/48, si podeve viodia zirâ par cualchi paîs un purcit, ilpurcit di Sant Antoni, che une voltegrant, al vignive vendût e cui beçs sicomprave il pan pai puars.

Si pues domandâ par ce robis cheo vin di preâ chest Sant?

Ve’ culì:- pe Herpes zoster;- per furuncolose: bruscs, bru-

gnacs, faronclis, brufui, bugnons evuarbits;

2 E je une citât zimule di Udin.3 Fraterne = confraternite, pie societât.4 Porcjâr / porcjare = vuardian di purcits5 Cjamerâr = aministradôr e cassîr tes istituzionscivîls e religjosis6 Pividôr = sunadôr di baghe (p.t. cornamusa)

- pe peste, scorobùs e mai con-tagjôs;

- pes ativitâts agriculis;- pai arlevaments.Par otignî la sô protezion lu prein:

i pizighets, i geârs, i tessidôrs, itosadôrs, i becjârs, i butegârs di gras-sine, i scaletirs.

Tai paîs indulà che a vevin uneglesie vodade al Sant e jere ancje parsolit une fraterne, “La Fraterne3 diSant Antoni Abât” (o dal purcit).

De fraterne a fasevin part comeconfradis, pastôrs, contadins e dute lapuere int dal paîs che e veve unepiore, une vacjute o un purcitut parpodè mangjâ alc e vê di cuinçâ ancjepôc ma par dut l’an.

La fraterne e tignive ancje unporcjâr (o ancje une porcjare)4 che alpuartave a passon i purcits de comu-nitât.

La direzion di dut la veve in manil “Priôr” judât di un cjamerâr5.Chescj a vevin ancje la incarghe diinmaniâ la fieste dal 17 di zenâr: pre-parâ il mangjâ pai predis presints sul’altâr, pai cantôrs, pal muini, lamerinde pai fedêi ch’e consisteve inpan e vin, paiâ il pividôr6 che al vevesunât in procession (no ducj i paîs epodevin procurâsi une bande o ungrop di sunadôrs). Un compit unevoreimpuartant dal Priôr al jere, in câs didisgraciis, come murie di bestiis, dijudâ la puere int a comprâ une altrebestie, in pocjis peraulis e jere unecasse mutue di socors vicendevul.

Secont ciertis detulis popolârs, cuiche al è colpît di une disgracie nospietade e fûr dal ordenari, “al à di vêrobât il purcit di Sant Antoni’;

mintri i trapolons, i scrocons “avan di puarte in puarte, come il purcitdi Sant Antoni”;

ancje che persone che no sta mai acjase “e va a tôr come il purcit di SantAntoni”.

SAN ANTONI DI PADUE

Al jere di Lisbone n. 1195, france-scan, dotôr de glesie e al è muart diviners 13 di jugn tal 1231 ad Arcella esapulît tal marters 17 (visinsi che ilviners e il martes - 13 e 17 - no puar-

Celia Manazzone a scuola di cucina dalle suore a Fagagna nel 1950-51.

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tin sfurtune se si pree Sant Antoni echel che al vûl al po’ partî e ancjesposâsi!).

Al jere un grant predicjadôr,clamât ancje il “martiel dai eretics”,missionari in Afriche e al à zirât laFrance e l’Italie in lunc e in larc.

Al à fat tagn meracui e al continuea fânt.

Al protêç il racolt, lis fantatis chea an di sposâsi, nol ocôr fevelâ destentazions dal demoni, dai taramots,des pestilencis, al jude a fâ rivâ sveltee ben la pueste e a fâ cjatâ lis robispierdudis.

A proposit di judâ a cjatâ lis robispierdudis, o pues sigurâus che mêmari cuant che no cjatave une robe sifermave e diseve un “Si QuerisMiracula” e po e partive di gnûf acirî.

Une siore olandese, che e vîf tachel paîs, e che d’unvier e rive aTarcint, ma ch’e à frequentât bielzàdai cors di furlan a Orgnan diBasilian, mi à sigurât che sô mari eancje jê, cuant che no cjatin une robe,a prein Sant Antoni cul “Si Quaerismiracula” e po a son siguris di cjatâchel che a vevin pierdût o no si visa-vin indulà che a vevin metude chêrobe.

Chest Sant al ven invocât ancje peprotezion dai frutins e dai vuarfins.

S. Antoni di Padue al è un santsimpri vîf e la int no lu à mai disme-teât.

Dal pont di viste liturgjic, a sonstadis simpri trê lis fiestis antonianisanuâl:

- il 15 di fevrâr, la fieste de lengheo de translazion;

- il 13 di jugn, il dies natalis dalSant;

- la fieste de otave, tignude apontvot dîs dopo, o te domenie “infraoctavam”.

Purpûr il Sant al à dai ciclis divo-zionâl:

- par ogni dì;- par setemane;- par mês;- par an.A lis fiestis impuartantis e je leade

simpri la celebrazion de “Tredicine”:13 Pater; 13 Ave Marie, 13 GloriaPatri.

Dodis si disin in memorie des 12graciis pandudis tal Responsori che ilSant di continuo al intercêt; e un adonôr e glorie dal Signôr, che lisconcêt pai merits dal Sant, a nôdivots.

MARTERS DI SANT ANTONI

Tra lis pratichis leadis al cult dichest Sant, o podìn ricuardâ i cussìclamats marters di Sant Antoni, uneforme di devozion plui popolâr viersil Sant.

Sant Antoni al è muart di viners,po puartât de ARCELE a Sante MarieMater Domini, cuatri dîs dopo, vâl adî di marters.

I malâts, ta che dì stesse, che a anvût la furtune di jessi stâts puartâtsdongje de casse e che a son rivâts atocjâle, a son ducj vuarîts.

Al è stât unevore facil ae pietât

popolâr leâ cheste sornade “marters”a ducj che altris marters dal an.

Tal libri di Pasquetti “Grazie eMiracoli” si po’ lei “da quell’hora inpoi impresso nelle menti dei fedeli ilgiorno di martedì … nel quale Iddiodispensò i Tesori delle sue grazie aidivoti del suo gran servo SantAntoni”.

Un altri cressiment ae divozion dalMARTERS al è vignût di un doplimeracul sucedût a Bologne tal 1617.

Une siore par 22 agns no rivave ameti al mont fîs. Une biele dì mintrich’e preave denant l’altâr di SantAntoni di Padue, i comparì il Sant chei disè di lâ par nûf marters a preâlu. Evignì scoltade. E à vût un frutin, mamalformât. Jê lu à fat puartâ inaloresul altâr di Sant Antoni, indulà che ijere comparît, e i lu an ripuartât biel,ma biel come un agnulut.

Il fat lu an savût “non solum perItaliam, sed etiam Hispaniam,Galliam, Germaniam, Belgique…”par dute l’Europe insumis e cussì lapratiche dai nûf marters e à cjapâtancjemò plui pît.

La pratiche dai nûf marters in onôrdal Sant a deventàrin po 13, parvieche tal mont antonian il tredis al è unnumer scuasit sacrât, pe muart dalSant, sucedude in chê dì. E cussì lacelebrazion dal marters e je vignudecun facilitât a ducj i marters dal an.

Pe divozion de coroncine di SantAntoni, si à di dî 13 Pater, 13 AveMarie, 13 Gloria Patri. E di culì e jenassude l’idee popolâr che il marters,Sant Antoni al concêt 13 graciis.

Par preparâsi ae fieste di SantAntoni, secont une usance unevoreantighe, a vuelin 13 dîs, in onôr daimeracui che a vegnin proclamâts tal“Si Quaeris Miracula) e ancje parvieche il Sant al jere muart il 13 di jugn.

Secont che si cjate scrit tal mano-scrit numar 746 de BibliotecheAntoniane, il “Si Quaeris Miracula”si à di cjantâlu dopo la benediziondade dal celebrant.

No stin a dismenteâ il “BREVEDI S. ANTONIO” ‘Il curt di S.A.)che al va puartât intorsi e sul daûr dalsantut al è scrit un sproc, che il Santin persone in tune aparizion, i vevepalesât a une indemoniade portoghe-se: “Ecce crucem Domini, fugite par-tes adversae! Vicit leo de tribù deJuda, radix David. Alleluia, alleluia”(ecco la croce del Signore, fuggiteavversari! Il leone della tribù diGiuda, stirpe di Davide, ha vinto!).

Pantianicco 1960 - Curtîl di RomaninEttore Toppano con lo zio Cirillo Cragno, padre di Ettore Cragno

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Un dai meracui che ducj fevele, alè chel dal frutin inneât in tune vasche.La mari e à preât cun tante fede ilSant, prometint di dâ ai puers tant for-ment cuant che al pesave il frut.

Il frut al è resurît e di culì indenante tacà la tradizion dal “Pan dai Puers”.

PANTIANINS E LA GLESEU-TE DI SANT ANTONI ABÂT

Tornin un moment a Pantianins…fin al 1944 cun pre Silvio Noacco, tegleseute di campagne vodade a S.Antoni ab., il mês di zenâr e il mês dijugn, ogni marters a buinore, tôr lis7,30 e vignive dite une messe e simpriprin di lassâsi, si cjantave il “SiQuaeris Miracula”.

A la fin dal mês di jugn podopo silave pes fameis a tirâ sù l’ufierte pesmessis ditis, ch’e consisteve in unmezut di forment, ma cui che al pode-ve, al dave ancje di plui.

Il 17 di zenâr il vicjari (cussì aljere il titul dal predi in chê volte) vierslis 11 al zirave pal paîs a binidî lisvacjis, cjavai, mui, mus, pioris, che laint e meteve denant cjase.

Cumò a ven dite une Messe dijoibe solamentri tal mês di jugn e unarlevadôr di purcits al regale un, cheal ven cuet su la gridele e mangjâtsubìt Messe il 13 di jugn, se al cole didomenie e se nò la domenie dopo.

Dut il paîs al è invidât a mangjâ alaviert, fûr de glesiute vodade a SantAntoni Abât (o di Vienne o dalpurcìt).

O podìn sierâ il discors e dî che cula difusione dal cult di Sant Antoni diPadue, i doi Sants a si confusionin talcjâf dai fedêi; lis pratichis e lis preie-ris a si mistùrin cussì come che si po’viodi tai cuadruts “P.G.R.” (par graziericevude) indulà che no si rive a capìa cuâl Toni che al è dedicât. Fiestis poin onôr di “Toni dal purcìt” spostadiste sornade de fieste di “Toni di Padue”si cjatin par ogni bande.

A Pantianins, e no dome lì, al è unesempli unevore clâr!

TITUI DAI SANTS

Cualchidun al po’ domandâ la cua-litât dai titui, il parcè di un titul a unSant e no a chel altri, e vie indenant.

Inalore si cjate che i titui a son ditrê categoriis.

- A la prime a son di partignince ititui glesiastics e, par capîsi, culì o

cjatìn par esempli: S. Pieri, S. Pauli,S. Tomâs…;

- Te seconde, i Sants taumaturgs-popolârs come S. Martin, S. Nardin,S. Antoni di Padue e vie discorint;

- Te tierce, i Sants che a dan unaiût speciâl cuintri cualche malatieparticulâr: S. Roc (malatiis de piel), S.Blâs (gole), S. Antoni Abât (fûc di S.Antoni), S. Apolonie (mâl di dincj).

A chest pont si rindìn cont checierts Sants a puedin jèssi plens dilavôr, cun tantis richiestis e altrisinvecit disocupats.

Il prin disocupât al è dal sigûr il“Bon Ladron”, picjât ae drete de crôsdi nestri Signôr. Il prin Sant dalCristianesim, e fat dal Signôr in per-sone! Ce voleiso di plui?

Il secont al è un dai Apuestui, macul non dutcâs di un detestât: GIUDE!Chest Sant al è Giude Iscariote.

Jo o cognos tante int, o ai ancjelavorât te anagrafe dal Comun diUdin, ma no ai mai cjatât un cun chelnon.

Il gjornalist Rino Cammilleri alconsee di preâ ancje chescj doi Santse al conclût: “cuissà che no fasin unegracie plui grosse di chê domanda-de?”

SANT ANTONI E IL DIAUL(Liende popolâr)

Il diaul al stave fasint dispiets a ungrop di gjavepieris su la mont diMigjee e al someave propri che si stesdivertint un mont.

Cuant che cheste puere int e rivavea vore te matine e cjatave lis jentradisdes gjavis, sieradis cun tantis pieris eclas che, par jentrâ e veve di lavorâplui di mieze sornade. No baste: ilpuest di lavôr colmât di scais, il canâlpreparât pes minis, plen di aghe; juimprescj di lavôr sparniçats par dutela mont.

Chestis birbantagjinis a fasevinpierdi, ai gjavepieris, tant tim e cussìancje il vuadagn, ma plui di dut jufaseve lâ fûr dai semenâts e ancje ble-stemâ.

Il diaul al veve fat ben i soi contspar cuistâ lis lôr animis.

Il capelan dal lûc, un sant predi,informât de robe e dopo vê preât eben pensât, al conseà di fâ sù, su lamont, une gleseute vodade a SantAntoni di Padue.

I gjavepieris no an pierdût tim e lagleseute e vignì fate ipso facto!

Al diaul i brusave chê glesie e chel

sant che a vevin metût dentri, ma alcontinuà a fâ dispiets.

Sant Antoni nol durmive e prin chea rivassin i gjavepieris a vore, al tor-nave a meti dut a puest.

Il demoni viodint la sô fadie anu-lade da part di Sant Antoni di Padue,al pensà di usâ l’astuzie.

Si metè inalore in spiete par fevelàcul sant, vistût cun tune gabanate nerelungje lungje, par scuindi ben la code,une gobe e fasint une muse diMadalene pentide. Viodût rivâ SantAntoni, i va incuintri come une gjatebagnade e cun tun fîl di vôs al tacà:“Jo o soi ca su prime di vô e la mont eje partant mê e vô o seis vignût talgno teren. Cirin di no fâ barufe eacordinsi”.

San Antoni, armât di tante pazien-ce, al disè: “Sintin mo”.

Il diaul: “Alin sui cops de vuestreglesie, o vin di saltà, prin vô e dopojo… e chel che al saltarà plui lontanal restarà ca sù”.

Sant Antoni: “Va ben!”Montâts sul tet, Sant Antoni al

saltà par prin e indulà che la petà ilsalt al lassà il segn dai pîts su la piere.

“A ti cumò” al disè Sant Antoni aldiaul.

E patapunfete! Il diaul imbredeâttes cotolatis che al veve metût, al dèune grandissime culade par tiere, maunevore plui in ca di Sant Antoni, las-sant il stamp des culatis ben indentrites pieris.

La mont par cheste stramazzade etremà dutecuante, tant che une scossedi taramot.

Il diaul non rivave a tirâsi fûr, alsomeave di jessi colât tun stamp fat dipueste.

Sant Antoni alore al slungjave ilbraç e in at di comant mostranti culdêt la strade, i ordenà: “Vie di ca,Satane! E guai a ti se tu tornis a metipît ca sù”.

A chestis peraulis il diaul, comecjapât di une bissebove, al si rondolàa precipizi jù pai claps de montagne.

F. Del Torre, al siere cheste liendepopolâr, disint che ancjemò cualchivecjute e mostre lis improntis dai pîtsdi Sant Antoni sul ôr di chê busate,daûr de gleseute.

La int che passe dongje, e met laman te aghe che simpri si cjate dentri,e po e fâs il segn de crôs.

La busate la clamin “la buse o lustam dal cûl dal diaul”.

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Tal pensâ al bôrc dal Poç là ch’isin stâs frus nô che cumò i sin nonosvecjus, là ch’i vin comenciada la vitanô che ca di un pôc i varin di lassala,a vegnin tal cjâf tainc’ piciui fatarei.A son robis di pôc, ma c’a nus ripuar-tin in t’un piciul mont c’a nol é pùi, enus fàsin ricuardâ tainc’ di lôr c’a nusàn lassâs. Atris timps, atra int, atrivìvi. Un vìvi puer, ma ce biei ricuârs!

Par antiga tradision, la prima per-sona c’a s’incuntrava il prin di genâr,a segnava l’andamènt da l’an gnouf:fortuna s’a si viodeva un omp, disfor-tuna s’a si viodeva una fèmina.

A era usancia che sul cricâ dal dì,al prin da l’an, la banda a fasés il gîrdal paîs par una sunada di augûr eduncje i prins a mòvisi pa’la vila aerin i musicàns. Cussì lôr, cjatansi fraomps, a vevin la sorta di comenciâl’anada cun buna sperancia.

Ven a stai che, puntuâl como unorloi, ogni prin di genâr propit al’auròra, encje una fèmina di four dibôrc a vigniva a cjoli l’aga sul poç.Par tant frêt o encje nêf c’a fos, je arivava cula sela e il cjardeir picjâs talbuinç, cula cuarda ta la man e cunduta calma a tirava su la so aga. Eduncje, man man c’a jessivin di cjasa,i sunadôrs dal bôrc dal Poç a erindestinâs, an par an, a viodi je prin diqualunque atri e a vê cussì una brutaspieta pa l’anada. A erin tant rabiôs dichist fat, c’a rugnavin e bruntulavinun grum, e a batevin che je a faseva apuesta a presentâsi lì, par malignitât,par faur dispiét e damp, parcè che nopodeva sei un intivo che puntualitât int’un orari cussì four da l’ordenari.

C’al sevi stat propit un câs?

❃ ❃ ❃

Agnòns indevour, prin c’a fos labanda a Pantianins, a clamavin che diCodêr pa’li ocasions impuartantis.Ma fra paîs, al era qualche contrast dicjampanîl e cussì una fèmina dal bôrcdal Poç à pensât ben di cjoli via a somût chei musicàns foresc’. A eracognossuda pal so carater rustic e laso anda di omenàt. E duncje quant c’ason passâs pal nestri bôrc sunant, a sié metuda devour di lôr cun t’un copin t’una man e un rotam di tecja tache atra, batint il timp cula musica e

vosànt, simpri a timp: "Tal cit, tal cop/ tal cit, tal cop / tal cit, tal cop…"

Ven a stai che, finît il gîr, isunadôrs rabiôs in bestia a son tornâstal bôrc a cirila fin tal so curtîl, pardai un frac di pachis. E à rivat adora aplatassi, se no a cjapava un bonguano!

❃ ❃ ❃

No mancjavin stens una volta, ne ala int ne a li bestis, e parfin li pantia-nis a vevin di dut, four che bondansiadi mangjà. Difat no ur à parût vêr dipodê roseâ il soflit che una fèminaingegnosa a veva impovisât cun tantimpegn.

Tal nestri bôrc, como ta chei atris,li stansis da li cjasis pa la gran pârt noerin soflitadis e a vevin i trâs discu-viêrs. Encje che fèmina a veva il lòuccussì e a veva volût parassi dal polverc’a i colava iù tala cjamara, dal toglâtparsora. Brèis e trâs a vevin bûs efressuris, e alora, sèvie pal fen sèviepa li pantianis c’a corevin di gnot paltoglât, il fastidi dal polver al eragrant.

A no erin bês par soflitâ e alora jeà pensât ben di comprâ qualche sfueidi cjarta di cavaleirs e di tacàla taitrâs como soflit. Par còla e à doprâtuna pastela fata in cjasa cun farina disiela. Cula fan c’a vevin, li pantianis eàn sintût sùbit l’odôr e la sera, apenache la cjasa si é cidinada, a si sonbutadis in sdruma su chel ben di dio.Mangjant la còla di siela, a roseavin

encje la cjarta e cussì a colavin unadevour che atra tala cjamera di chebiada fèmina e dal so omp, c’a erin adurmî. Ce colavin sul jét, ce sui sga-bei, ce sul armaròn… un coréç daldiaul duta la gnot e i doi malcapitâs avosâ, cori devour, parâ via, bati, copâ,movi la mobilia, tirâ ciavatis di ognibanda e mòcui a plena vôs! Unbatifondo di no podê parassi. E ànmateât e bassilât tant c’àn volût e taldoman, puera int, àn scugnût tirâ viadut ce c’al restava di chel soflitpustiç.

❃ ❃ ❃

A voltis i frus, magari cencia savê,a pòdin vê qualche maliciuta propitberbànta.

Ué no pòdin nencie imaginâ ce c’àera par nô una caramela, un biscot,una feta di torta. A erin robis four dal’ordenari, si li viodeva da râr, a pare-vin golosés di siôrs e s’in veva unagola che mai. Il mangjâ al era misurâte a si veva sula tàula ce c’a si podeva,ven a stai ché e simpri ché. E duncje,quant c’a si veva un bombon, si cirivadi mangjâlu cencia fassi viodi di atrisfrus, golôs como nô.

I vevin una compagna tal bôrc,c’a era invessi duta contenta di fassiviodi a mangjâ la fiacia. Cula feta tala man a si sentava sul clap four dalpuartòn e nô frus sùbit i làvin dongjaa tirâ la gola, cula sperancia c’a nusdes di cèrcia. Iè, no nus dava nencje

ATÔR DAL POÇ UNA VOLTA

Nâs, cressûs e muârs atôr dal poç, Limpio e Murisi (cl. 1905 e 1907).

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un fregul, nus lassava domo cjalâ ecun di pùi a mangjava che feta plancplanc, un fruciòn a la volta, par tirâlaa lunc e fanus sclopâ di voa. A la fin,i tornavin a cjasa a bocja suta, comoch’i erin rivâs.

Ce sorta difarent che àn i frus dicumò e no san il ben c’a ur tocja!

❃ ❃ ❃

Quant ch’i erin pìciui, si giuiavainsiema pa’li stradis e li placis, iessìntc’a nol era trafic di machinis e periculcomo cumò. A si giuiava di picùt, tuc,classus, balutis, campo…

Ma ogni tant, qualchedun di nô alveva un’idea gnova, di qualche inis-siativa four da l’ordenari e alora, cunt’un slanç di ingegn e di fantasia, icirìvin di svualâ cencia alis. Comoche volta dal teatro.

Nus veva vignût tal cjâf di meti inpeis la rècita di una storia dal libri discuela. Dit e fat, in siet o vot di nô i sisin spartidis li pârs e, cun t’unaimpuartancia che mai, i cjaminàvin sue iù pal bôrc, studiant ognun la so, aalta vôs. Cencia miés, ma cun granmanéç e passion di frus, i la vin metu-da duta: i vin puartât dongja qualchevestît c’a nus sameava adàt ai perso-nagjos e i vin parecjât encje il palc,miôr ch’i vin podût. Si tratava di uncjâr sburtât sot il mûr, dulà che, da lascjaleta ai spiròns, i vin tirât un telocun t’un spali, par lâ devour a gam-biassi chei quatri sbrendui di costums.Il dì dal spetacul a erin vignûs duc’ ifrus dal paîs, e nô i erin ducju contense indafarâs par ch’i vevin una vora dipublic. Il presentadôr al veva apenafinît il discôrs di introdussion, quantc’al é colât di colp il telo parcè c’a siera rot il spali. Po’ dassi c’a nus ves-sin fat un dispiét, fatostà che no atôrsi erin devour a preparâsi e i si cjatavina sei miés vestûs e miés disvestûs.Duta che sdrùma di frus, a viòdinuscussì e à comenciât a scivilâ, a ridiche mai, a mincjonâ in t’una confu-sion dal diaul, a fa dispiés e barùfacun no ch’i cirìvin di parâssi. Cussì al’é finît il teatro. In pôc timp i spe-tadôrs a son lâs via, c’a sclopavin diridi e nus sbefavin tant c’a podevin.

Al é stât un gran smac par no, i sinrestâs malòn e un pôc i erin rabiôs, unpôc nus vigniva di vaî.

Il spetacul no l’é stât como ch’ivevin volût, ma una pìciula farsa a érisultada distés.

❃ ❃ ❃

Nol veva un gran biel carater e nolera di animo tant mugnestri chelnestri borghesan, e cussì a la veva sucun diviêrs di lôr. Stant c’a nol vevavoa di tignîlis tal stomi e nol fidaval’ora di molâlis, al veva cjatât un somût di sbrocassi cencia riscjâ pùi ditant.

Ogni dì al menava a bevi li do’vacjutis e il cjavalùt ta la ledra diGjuliu e s’al cjatava qualchedun c’a istava sui stìs, al vosava a li béstis dutce c’al bramava di dî a la persona,ven a stai ogni sorta di ofesa:"Mascalson! Pelandron! Voa di fanuja! Pandolo!…" e encje di piês. Parsolit, chei cjapâs di mira, c’a capìvinbenon la solfa, a rugnàvin par sot,cirìnt di no tirâ a ciment. Ma no lavapropit simpri cussì dreta. Una dì, unbiel toc di omp, stuf di sintîlis, a si éplantât tal mieç da la strada quan' chechel al passava cui nemai e a si émetût a fissalu dret tai voi, cun t’unbacon di pala ta la man. Nol à vûtbisugna di fa nujatri: il berbànt, c’alera piciulùt, nol à pùi vierta la bocjacuntra di lui.

E d’istésu n ’ a t r avolta, al àcjatât cheliust che,invessi disintî svi-lanàdis econtinuâ atasê, a lu àfermât su laledra e i àtirât unpòdin diaga, pardismeti lalitanìa. Elui, c’a nolera un cam-pion dicoragjo a l’às ù b i tdismetùda.Nol eranèncje uncampion dis a l û t ,puerét, esula setanti-na, a si émalât c’anol podevamai durmî

di gnot. Alora al spalancava il barcòne si sentava dongja a sunâ la sunetafin sul cricâ dal dì. Cussì nol lassavapolsâ nencje cheatris che, magaristracs muârs, a vevin bisugna domo didurmî, ma no ussàvin a protestâ, parvia dala malatia.

Insoma, s’al podeva fa un dispiétcencia paâ il dassi, lu faseva volentéir.

❃ ❃ ❃

A son simpri stâs di chei caratersmateòns, prons al schêrs par cjoli viaqualchedun e ridi di lui. Ma stant chesbefâ i gràins e i furbos al é rircjôs enol torna cont, si cjapa di mira puivolentéir un c’al sevi a la buna, unpôc lelo magari, par là sul sigûr, cen-cia paâ il dassi. Pieri, un biât omp chepar campâ al vigniva a cirî la caritâtpa’li cjasis, a si prestava una vora asei mincjonât. A disevin c’al era diFlaiban e lu vevin nomenât Pieri Ploa,par via che ogni volta c’al baretava laperaula al ripeteva como un ritornèl:"Ploe, ploe…" E se i domandavin dicjantâ, lui pront al tacava: "Amabile

Udine - Palazzo della Provincia.Feste natalizie 1956Un gruppo di pantianicchesi invitati a fare gli auguri ai parentiresidenti in Argentina.In piedi da sin.: Toppano Giovanni - Toppano Ottavio - CisilinoLidio - Cragno Teresa - Cisilino Leone - Cisilino Vilma - CisilinoLino - Cisilino Sidrac - Cisilino Giuseppe - Cisilino Antonio -Cisilino Aldo.Sotto da sin.: Manazzone Ugo - i fratelli Filomena, Guerrino e InesDella Picca - Manazzone Riccardo.

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LA LIBERAZIONE

DOPO I MESI FEROCI DELLAGUERRA, PROSEGUIAMO CONI RICORDI DI UN TEMPO:LA PRIMA ESTATE DOPO LALIBERAZIONE.

1 - L’ESTATE FELICE DEL 45Ottorino Burelli, uno dei più fini

conoscitori dell’anima e delle tradi-zioni del nostro Friuli, scrisse qual-che tempo fa che “nella storia diquesta terra di confine, forse pochestagioni furono tanto felici come iprimissimi mesi dopo la liberazionedi 57 anni fa: collocati nel temposono il maggio ed il giugno 1945”.

“Quando le campane dei paesifriulani si sciolsero in uno stupefat-to guardare l’arrivo delle colonnealleate, sembrò che il mondo cam-biasse volto: scompaiono gli stivalitedeschi, i mitra tedeschi, gli ordinigridati dai tedeschi e arrivano, attesida una vita eterna, i”liberatoriî, gliamericani. E questi americani sonotali anche se sono australiani, neo-zelandesi, sudanesi, marocchini,

algerini, canadesi ed inglesi. Tuttisono americani, sono la pace vera,sono la fine di un incubo. Ci hannoregalato una parentesi di felicità:durerà poco, ma per chi aveva tantosofferto, era già molto.

Mancano tante cose, ci aspettanograndi sacrifici, ma di buono e pertutti c’è la speranza che il domanisia migliore dell’oggi.”

2 - GLI ALLEATI A PANTIA-NICCO

Questa mi è sembrata l’introdu-zione ideale per ricordare la libera-zione e l’arrivo degli alleati aPantianicco.

25 APRILELo scampanio gioioso delle

nostre amate campane, di cui aveva-mo perso la memoria durante i lun-ghi mesi di occupazione, fa sussul-tare il paese e fa accorrere tutti inpiazza, sembra verso mezzogiorno.

Memorie e testimonianze del tempo di guerra

Germania 1917-18Manazzone Gaetano - classe 1896 - prigioniero di guerra n. 337/2 - infermiere (primo da sinistra.

Maria / mia gioia e mio contento! …"Al saveva domo ché.

Una dì in plen estât, tala canìcula,tre o quatri fantàs plens di bon timp,lu an viodût rivâ tal bôrc dopo gustât,quan’che la int a era a durmî. Svels ai àn puartada una cjadrea, e cun gra-cia lu àn fat sentâ, c’al tiràs un po’ diflât, sot un barcòn. A savevin ben chedentri di chel barcòn al era a durmî unomp scjaldinôs c’a nol sopuartava disei disturbât tal polsâ. Po’ chei fur-bacjòs e àn domandât cun bielamaniera a Pieri Ploa di fa una cjanta-da di gust, che lôr a vèvin tanta sodi-sfassion a sintîlu. Chel biât ju à sùbitcontentâs, e intant c’al tacava"Amabile Maria…" che’ atris a sonlâs di corsa a platassi. Pieri nol àpodût lâ tant indevant cul so cjant,che i à rivât un pòdin di aga pal cjâf,iù dal barcòn parsora, insiema cuicolps c’a i mandava chel omp, rabiôsche mai par sei stât sveât. Bagnâtcomo un rasùt, Pieri Ploa al à scugnût

scjampâ, vosant encje lui tant c’alpodeva e strissinànt il pas parcè che,puarét, al era encje ciuét.

❃ ❃ ❃

Ué la int a é un grum smaliciada,ma una volta, c’a si era pùi a la buna,a si veva scrùpui e poris che cumò afàsin ridi. E cussì, un omp plen dimiseria, che nol saveva ce mûtcampâ, al à cjatât il mût di procurassiun po’ di roba purcina, mediant c’a sifaseva passâ par striòn. A si era fatche nomèa, parcè c’al diseva di conti-nuo che chei c’a tignìvin la roba pur-citada domo par sè, no podevin vênissuna fortuna e che s’a no i dàvinalc a lui, a làvin incuntra a un destindisgraciât. Al era simpri a mandâcolps e maledisiòns a cui c’a no luvés scoltât e in chel mût al spauriva lifèminis dal bôrc par c’a no si dismen-teàssin di puartâi qualche lujània omusét quant c’a purcitavin. Una di lôr

a si é stufada di che menda e un an,par dismetila, no i à dât nencje un uésdal purcit c’a veva copât. Alora lui alà sùbit comenciât a sentensiâ: "Tu tinequargiarâs ben di vê sbagliât… tuvarâs di pentîti…" Ma je no i à dâtreta.

Ce ìsel ce no ìsel, l’an dopo, ilpurcitut c’à veva comprât par tirâlusu, nol voleva savê di mangjâ. Je lutratava como un bambin, a i stavadongja, a i dava giùf di chel bon e labestia, par rispuesta, a cjapava il cjar-derùt cul mustìc e lu faseva cori atôrpal cjôt. Al pareva pròpit un stria-ment! A la fin, il purcit si é calmât,ma la parona a era restada cussìimpressionada c’a no à pùi mancjât dicontentâ il striòn. E stant c’a contavail fat a ducju e c’a era una vora crodu-da, iessìnt calcolada par fèmina ave-duda, la sogjessiòn dal striòn a édeventada encjemò pùi salda.

L.

continua da pag. 12

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Tutti i giovani e gli uomini eufo-rici sparavano in alto (mai vistiprima tanti fucili e tante rivoltelleall’aperto!) mentre donne, bambinied anziani si abbracciavano e ride-vano come non avevano mai fatto.

“Liberazione, liberazione” era laparola magica che rimbalzava dibocca in bocca: quanto l’avevanosospirata tutti ed in modo particola-re gli uomini ed i giovani che ascol-tavano ogni sera, di nascosto,Radio Londra, nel forno.

Qualche giorno dopo altro scam-panio gioioso per annunciare l’arri-vo degli alleati in carne ed ossa,come dimostra i l maestroLanzafame Luigi, presente assiemea Neli sugli scalini della chiesa,allo storico evento. “A son rivâs iMerecans!” ripeteva con soddisfa-zione la nostra gente, potevanoessere di qualsiasi altra nazionalità,ma per i nostri compaesani eranosempre “Merecans”.

Più precisamente da noi si sonostanziati gli australiani: hanno alle-stito in poco tempo un campo contante comode tende in località “Prâsda la figa” nelle nostre campagneche confinano con Beano. Si tratta-va di Ufficiali e Sottufficiali piloti eanche di semplici soldati che sicuravano della manutenzione degliaerei che avevano occupato l’areo-porto di Villaorba, dopo la ritiratadegli aerei tedeschi.

Contemporaneamente all’orga-nizzazione del campo militare, gliaustraliani prelevarono”l’ostaria diBelo” per gestirla in proprio e chie-sero anche di poter fare uso del vec-chio forno (situato al posto dell’at-tuale canonica) dopo che il fornaioaveva finito il suo lavoro, per cuoce-re ogni giorno grosse pagnotte dipane bianchissimo e golosissimepastine, cose mai viste nel nostropaese.

Giordano e Fonso si presentaronosubito al campo a chiedere lavoro.Furono assunti immediatamente:Giordano come cameriere allamensa ufficiali e sottufficiali eFonso lavorava nel magazzino.Giordano ha un ottimo ricordo degliaustraliani, erano educati e genero-si, ogni giorno tornava a casa con ilpane bianco, la cioccolata e le siga-

rette. Inoltre gli australiani pagava-no bene ogni servizio richiesto:molte donne del paese lavavano labiancheria degli ufficiali ed eranoben remunerate.

Spesso Giordano ha chiesto l’in-tervento del medico militare pervisitare qualche nostro compaesanoin difficoltà ed è sempre statoaccontentato con gentilezza e gratis.“L’ostaria di Belo” era gestita dadue militari inglesi Robert e Alberte da Charlie pasticcere australiano.

Per esplicare le prime formalitàfra gli alleati ed i locali ha fatto dainterprete “Delfina la Drindulina”Delfina Rossi che conosceva benel’inglese.

Tre volte al giorno i militari arri-vavano in paese al bar dove poteva-no bere tè caffè e cioccolata chevenivano preparati da Pipi di Mos eBlasin. Ma c’era anche bisogno diragazze per servire da bere e per lepulizie: sono state assunte Lucia,Sinuta, Francisa e Isiola. Anche perloro è stata una bella esperienza,peccato che la cuccagna è duratasolo tre mesi.

Inizialmente nessuna ragazzavoleva andare a lavorare per i mili-tari alleati, perpaura del giu-dizio dellagente, ma poi,quando hannoconstatato chele quattro com-paesane si tro-vavano benissi-mo, tuttea v r e b b e r ovoluto essereassunte. Oltre aessere benpagate, le quat-tro ragazze,ogni 15 giorni,portavano acasa una grossaborsa con ogniben di Dio chesfamava tuttala famiglia:scatolette dicarne di maialee di pecora,scatolette diminestra, sca-tolette di uovain polvere, tè,

caffè, cioccolata, pane bianco epastine.

Tanti bambini e ragazzi di queltempo, andavano”nel Borg dal Poç,devant da l’ostaria di Belo” ognigiorno ad aspettare che Francisadistribuisse le pastine avanzate.Mentre gli uomini ed i giovani chie-devano le sigarette dal profumo ditabacco dolcissimo, mai sentito.

L’estate del 45 è stata proprio lastagione del pane bianco, delle sca-tolette, della cioccolata, del saponeprofumato, sigarette d’ogni tipo,della gomma da masticare e tantamusica Jazz, il cui ritmo facevadimenticare i momenti tristi appenapassati e dava entusiasmo e gioiaper tanto tempo sopiti.

C’era infatti una gran voglia diballare, nei fine settimana, nei corti-li e nelle piazze ed in particolarmodo nella grande sala sopra la lat-teria dove sono stati organizzati tor-nei di ballo dal maggio del 45 finoal carnevale del 46, con grandissi-mo dispiacere di Pre Toni e conse-guenti rimbrotti alla messa festiva.

C’era una pista da ballo anche“ tal curti l dal Bacher” (BarCentrale) e Pre Toni ha perfino

Pantianicco 1964Ricordo della Prima Comunione

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cambiato l’itinerario della proces-sione per non passare davanti.

La gente sapeva che tutto questoera provvisorio, ma intanto godevadel nuovo ordine e della nuovapace.

Questa era anche la stagione delbaratto e della vendita fuori mercatodi ogni merce trattabile (mercatonero): nascono e crescono proprioin quei mesi traffici clandestini tramilitari e civili .

La Military Police faceva quelloche poteva.

C’era anche chi approfittava delparticolare momento di confusioneper sfruttare la situazione .

Una famiglia si recò a Udine incarretta con un quintale di frumentonel sacco, da barattare con un paccodi caffè. L’anziana mamma malata acasa, desiderava tanto un po’ dibuon caffè.

In città c’era un conoscente cheaveva promesso lo scambio e loscambio si fece.....ma quando a casasi preparavano a gustare la tantodesiderata bevanda, si trovaronodavanti ad un intero pacco di fondidi caffè essicati; ed in un altro casoad una scatola ben sigillata piena disemola invece che di caffè.

“I merecans” erano giovanottonialti, belli, cordiali, generosi, semprepronti a regalare un pò del lorobenessere, sempre pronti a ridere escherzare.

Ricorda Giordano che, più di unavolta, qualche pilota scorazzava conun bombardiere sulle piste costruitedai tedeschi, poi alzato in volo, sor-volava il campo radente sulle loroteste, spalancava i portelloni facen-do finta di bombardare. Una volta aterra seguivano grandi risate e pac-che sulle spalle di tutta la compa-gnia come congratulazioni per ladimostrazione effettuata.

Il campo era comunque organiz-zato con grande ordine e disciplinae tutte le infrazioni venivano severa-mente punite: a tal proposito unaronda vigilava 24 ore su 24.

Succedeva che i militari in liberauscita si ubriacassero facilmentecon vino e grappa nella cooperativa:fuori era pronta la ronda con tremilitari che caricavano il malcapita-to collega ubriaco sulla jep e loriportavano nell’accampamento, dadove non usciva più per parecchi

giorni, sia per il conseguente males-sere, sia per la punizione.

Il regolamento proibiva anche aimilitari alleati rapporti con le fami-glie, ma anche loro avevano bisognodi un contatto umano: ricordo cheun gruppetto, all’imbrunire, arrivavaattraverso gli orti nella casa di miononno Guerin di Tarmat a bere unpò di buon vino e a chiacchierare inuno stentato italiano, appena impa-rato. Hanno giocato tanto con me eci hanno lasciato una buona scortadi cioccolata, quadratini di zucche-ro, caffè e tè.

Un ricordo di quei tempi eranoanche i paracaduti rinvenuti negliorti e nei campi. Erano una cosamisteriosa ed affascinante per noibambini, molto più pratica ed utileper le nostre mamme e per le ragaz-ze che confezionavano bellissimecamicette con la loro preziosa setabeige.

Il mio primo cappottino azzurroera stato confezionato con unacoperta regalata o comprata “daimerecans”.

A Udine in Via Treppo, vicino altribunale, la ditta Fiascaris vendettea lungo coperte, lenzuola e vestiariomilitare dopo la partenza deglialleati.

IL COMITATO DI LIBERAZIONE C.L.N.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre1943, salirono in montagna o si die-dero alla macchia civili e militari.Erano semplici cittadini, soldati, masoprattutto ufficiali del discioltoesercito italiano e attivisti dei partitiantifascisti. Si formarono così iprimi nuclei partigiani. I partiti anti-fascisti più attivi avviarono imme-diatamente un’opera di coordina-mento e di stimolo verso i nascentigruppi partigiani. Questa ragnatelaclandestina ci riporta alla memoria iMoti Carbonari del 1848. Nacquerocos ì in tutta Italia i Comitati diLiberazione Nazionale. Divenneroin pratica gli organi polit ici diGoverno della Resistenza. Si artico-larono poi in comitati regionali, pro-vinciali, di città o di paese.

Di norma vedevano all’interno irappresentanti dei cinque principalipartiti: la Democrazia Cristiana, il

Parti to Socialista, i l Parti toComunista, del Partito d’Azione, delRaggruppamento di RicostruzioneLiberale. Localmente, a questi grup-pi base, si aggiungevano rappresen-tanti di gruppi o formazioni locali.

I l Comitato di LiberazioneComunale di Mereto di TombaC.L.C., era formato da 25 persone ecome Presidente era stato elettoCisilino Balilla di Celso Orazio.Dopo il 25 aprile il C.L.C. passadalla clandestinità alla legalità ed ilsuo compito è stato quello di nomi-nare una nuova giunta ed il Sindacoprovvisorio, in attesa delle elezionidel 1946.

Così si legge nel Registro delleDeliberazioni del Potestà di Meretodi Tomba:

“ 21 maggio 1945Convocata la giunta municipale,

nominata dal locale Comitato diLiberazione e dal Governo MilitareAlleato”. Seguono i nominativi deinuovi assessori e del Sindaco prov-visorio Furlano Elso.

I componenti del Comitato diLiberazione di Pantianicco erano,oltre al Presidente: Bertolissi Eligio,Cisilino Anidos, Cisilino Giuseppe,Cisil ino Luigi (Ucel), MolaroMarcello.

Su alcuni di questi nominativi cisono delle riserve: essendo le fontiesclusivamente orali perché il C.L.C.era clandestino e quindi non suppor-tato da documentazioni scritte, nontutti i testimoni oculari del temporicordano o riportano gli stessinominativi . I componenti delComitato di Liberazione di paeseavevano poteri decisionali nei picco-li problemi che si presentavano inogni frazione.

Si ricorda, per esempio che, inostri compaesani sopracitati, hannovenduto un compressore di proprietàdel paese che, alla ritirata dei tede-schi, era stato sequestrato allaTODT.

Con il ricavato hanno compratouna pompa elettrica per far funziona-re il pozzo.

Verso la fine del 1945 il ComitatoNazionale di Liberazione si sciolsein tutta Italia, perché aveva esauritoil suo compito e non aveva più ragio-ne di esistere.

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TESTIMONIANZA DEL MAESTRO

LUIGI LANZAFAME

“Mi piace ricordare una cosa cheforse mai nessuno ha detto sullaliberazione: i primi militari ameri-cani che sono entrati a Pantianiccoerano due motociclisti con la mitra-glia sul manubrio che si sono fer-mati davanti alla Chiesa principale.Ci hanno chiesto se c’erano tede-schi e confermato che le truppealleate erano giunte a Codroipo.

Io ero in compagnia di Neli(Brandolino Armando) e fu lui asuonare le campane a festa percomunicare a tutti la liberazione.

Il Parroco era i l fratello diLiduina e Cirillo il sacrestano.

Fu un momento di grandissimagioia per tutti, ma di più per glisbandati che ritornavano a casa.Non ricordo esattamente il giorno,ma erano le ore 17.

Per tutta la notte e durante i duegiorni seguenti abbiamo visto pas-sare dal mulino verso Udine velo-cissimi mezzi corazzati, moltissimicingolati e camion che portavanoarmi, benzina e munizioni.

Dopo tre giorni ritornarono i par-tigiani che erano stati a Udine perliberarla dai tedeschi e, nella casa diAttilio Bernava di Pantianicco sifece una grandissima festa perricordare il grande evento ed i figlidi Pantianicco morti per la patria”.

Catania, 10 aprile 2001

Luigi Lanzafame

1º MAGGIO 1945 LIBERAZIONE DI UDINE

I testi di storia così riportano:“1º maggio 45, l iberazione diUdine, combattimenti durano peròin carnia e nella valle del But fino al7 maggio”.

Dal giornale dell’epoca risultache: l’opera dei patrioti con ardi-mento ammirabile è r iuscita adoccupare i punti nodali della città,impedendo alle truppe tedescheulteriori distruzioni - Udine liberata,nel pomeriggio di martedì 1º mag-gio era così in mano dei patrioti e

verso le 14,30 da Viale Venezia glialleati facevano ingresso nella capi-tale del Friuli, accolti da una mareadi udinesi festeggianti la tantosospirata fine della guerra”.

Dopo una sosta in PiazzaContarena, cuore di Udine, prose-guirono e si fermarono in Piazza 1ºmaggio che prese il nome proprioda quel glorioso giorno. Erano undrappello di 50 soldati neozelandesiappartenenti al celebre 28º batta-glione Maori “HIKOI MAU-MAHARA” una delle milizie piùeroiche che le Colonie fornivanoall’esercito della Corona. Eranoaffiancati anche da un manipolo dimilitari inglesi.

Finalmente, oltre un anno dopoessere sbarcati ad Anzio (22 gen-naio 44) gli alleati sono giunti inFriuli: gli inglesi in maggio e, piùtardi, in agosto gli americani.

Nel pomeriggio del 2 maggio,decine di migliaia di cittadini udine-si si sono radunati in PiazzaContarena, ormai diventata PiazzaLibertà, per ascoltare il ComitatoProvinciale di Liberazione.

❖ ❖ ❖ ❖ ❖

“Nel settembre 2001, invitati dalComune di Udine sono arrivati incittà una decina di veterani neoze-landesi che hanno combattuto laseconda guerra mondiale in Italia eche hanno messo piede per primi aUdine, guidati dal Maggiore FredPrece, con dieci jeep e tre tanks,carri armati anfibi.

Gli ex soldati maori hanno accol-to con soddisfazione l’invito delComune ed il loro grido di guerra ètornato a risuonare in PiazzaLibertà, dove, dopo la deposizionedi una corona di alloro al tempiettoai caduti dalla Loggia di S.Giovanni, la delegazione ha insce-nato la loro famosa danza di guerra“hake” un rito propiziatorio digrandissima suggestione che affon-da le radici nel più ancestrale patri-monio della tribù che abitavano eabitano la Neozelanda.” (DalMessaggero Veneto - Settembre2001)

Riflettendo sugli avvenimentidell’estate del 45 si può dire che per

la nostra gente l’improvvisa brevis-sima ventata di benessere è statacome una ubriacatura, come se conla guerra fossero finite anche lamiseria e le preoccupazioni per ildomani. In realtà nessuno ha maidimenticato le precarie condizionidella nostra terra e l’incertezza delfuturo; infatti, smaltita l’euforiadella liberazione, tutti hanno affron-tato con grinta e determinazione igravissimi problemi che ci affligge-vano, riuscendo in pochi lustri asconfiggere l’atavica miseria ed aregalare un futuro migliore a figli enipoti.

Quel periodo ( 1950 - 1970 ) fudefinito da esperti internazionalicome il miracolo economico italia-no.

Il rischio delle nuove generazio-ni, tutte proiettate verso il futuro ele nuove tecnologie, è quello di per-dere coscienza delle proprie origini,di disinteressarsi dell’evoluzionedelle condizioni di vita e di lavorodei nonni e bisnonni e di non cono-scere la nostra microstoria, pregnadi sacrifici e di rinunce.

Ci auguriamo che i nostri giovanitrovino stimoli per salvare e proteg-gere l’integrità culturale e spiritualedella nostra gente.

Abbiamo voluto ricordare tuttoquesto perché non c’è vita senzamemoria.

Ricerca a cura di Ines Della Picca

PENSIERI

Nella prima metà della vita l’uo-mo spreca la salute per farequattrini e nella seconda metàspreca i quattrini per rimediare lasalute rovinata.

(Anonimo)❖ ❖ ❖ ❖ ❖

Cinque sono le strade che porta-no alla saggezza: tacere, ascolta-re, ricordarsi, studiare, fare.

(Anonimo)❖ ❖ ❖ ❖ ❖

I sentimenti da soli sono una cat-tiva regola di condotta.

(Balmes J.L.)

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C o m e e r a v a m o …RICERCA A CURA DI INES DELLA PICCA

Se il nono nol conte e il nevôt nol scolte........s’interrompe il filo della continuità tra generazioni, che è poi il filo dellavita.Negli ultimi 30 anni in Friuli e nel nostro paese abbiamo già assistito a un profondo travolgimento di valori: è come seaccanto allo scossone sismico vero e proprio, di cui siamo stati testimoni, ne sia passato un altro morale che ha stra-volto il nostro abituale modo di vivere e di pensare, facendo crollare i punti fermi della fede, della famiglia e della suaunità e rifiutando quasi le nostre radici.È per questo che, senza pretese e “col cuore in mano” nella speranza che non si disperda del tutto nel tempo il messag-gio delle rughe dei nostri padri e delle nostre madri, che io continuo a scavare e scavare nella memoria collettiva.Tutto ciò affinché possiamo ancora udire i racconti e, attraverso le fotografie, immaginare la vita quotidiana, i senti-menti, le gioie, i tormenti, la storia di questa nostra piccola comunità.

LA’ DI FOTEL A IUDAVINDUCJU I PUERS

A Pantianicco la famiglia di Fotelè sempre stata considerata benestantedal tempo dei tempi. Si racconta cheagli inizi del 1800, un giovane di dettafamiglia, pur non mancandogli niente,lasciò il paese e partì all’avventura, incerca di fortuna per conto suo... sostòun periodo a Trieste, poi si spostò inCarinzia e poi chissà dove. Stette lon-tano parecchi anni ed infine ritornò acasa dopo aver realizzato un discretogruzzoletto. In famiglia raccontò che isuoi primi anni di emigrazione eranostati durissimi, aveva patito tantafame, ma così tanta, che nella riacqui-stata abbondanza si fece promettere

dai figli e dai nipoti e con tanto ditestamento anche ai discendenti ditrattare sempre bene tutti i poveri cheavessero bussato alla porta di Fotel,conosciuti o sconosciuti che fossero.

Si fece promettere di offrire rico-vero nella stalla o nel fienile per lanotte a tutti i mendicanti di passaggioe di sfamarli con un po’ di polenta equalche crosta di formaggio. E cosìfu per tanti e tanti anni, fino alla finedegli anni quaranta, quando “ipuers“ sono scomparsi: la famigliadi Fotel ha sempre accolto e sfamatotutte le persone di passaggio in paese,in memoria di quell’antica promessa.

Quando arrivava il circo in paese,con i carri chiusi da teloni tipo FAR-WEST, tutta la gente che vi lavorava,la notte dormiva nei fienili di Fotel,come , più tardi, le donne che arriva-vano dalla Carnia a vendere utensili dilegno o quelle che scambiavano melee castagne con un po’ di pannocchie eperfino gli zingari... tutta la gentedi passaggio per Pantianicco, ormaisapeva che avrebbe trovato ospitalità“là di FOTEL”.

Questa è veramente una storiamolto bella che ci dà il senso dellasolidarietà esemplare del mondo con-tadino di una volta. La testimonianzarisale al 1930 circa.

Che “là di Fotel a iudasin ducju ipuers“ lo afferma anche quest’altratestimonianza, sempre degli anni trenta.

Angjelica di Forgjarin (CisilinoAngelica 1870) zia di Sara Cisilino,ormai anziana, raccontava che quandoera ragazzina nella sua famigliaimperversavano le disgrazie e la mise-ria più nera.

Nel 1883 circa era morto molto

giovane suo padre Checo (CisilinoFrancesco) partito con la febbre apiedi “par là a fà madon ta liGjermanis” lasciando la moglieTaresia con undici bocche da sfamare.Spesso la sera la povera Taresia nonsapendo come accontentare tutti queifigli, diceva ad Angjelica: “Va ta l’o-staria di Belo (Manazzone Luigi) edomanda par plasè un puingn di sal dali saradelis e dopo tu pasis par là diFotel a domandà un po’ di polenta parcenà”. Angjelica ubbidiva: “la diBelo e là di Fotel” le davano quantochiedeva e al suo ritorno, mamma ebambini si mettevano in cerchio, toc-cavano la loro piccola razione dipolenta fredda nel sale delle sardellenella carta da pacco al centro dellatavola. Cenavano così quegli undicibambini e poi via a dormire ammassatisui pagliericci di foglie di granoturco.

A quel tempo e per lunghissimianni “là di FOTEL” facevano duegrandi polente al giorno, una a pranzoed una a cena per sfamare la famiglia,“i fameis” e tutti i poveri che si pre-sentavano.

Questa è una grande lezione diciviltà che ci arriva da più di un seco-lo fa, da chi aveva molto meno di noi.

C’erano una volta “i puers”: se lipossono ricordare soltanto le personedi una precisa generazione, quella cheha vissuto, nell’adolescenza o nellaprimissima giovinezza, la secondaguerra mondiale ed i nostri grandianziani, perché nelle stagioni dell’im-mediato dopoguerra sono scomparsi .

“I puers” erano mendicanti, nullatenenti assoluti, senza abitazione,senza documenti di nessun genere,senza riferimenti parentali, provenien-

Pantianicco 1926I fratelli Cisilino Serena e Luigi diVigjan.

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ti da chissà dove, che vivevano soltan-to di elemosina quotidiana, di pezzi dipolenta fredda, qualche raro tozzo dipane vecchio, pugni di farina che spa-rivano in una specie di bisaccia appe-sa alla spalla, sempre aperta adinghiottire tutto, perfino qualche rapao qualche torsolo. Non avevano nean-che un nome, in paese li chiamavanoattraverso le loro caratteristiche fisi-che: “il gobo, il zuèt, il vuarb”, raris-simamente erano respinti e, quandocapitava, anche “il puer” sembravarendersi conto che in quella famiglianon c’era di più di quanto aveva nellasua saccoccia.

Nel nostro paese, al tempo dellevicende raccontate e anche dopo,moltissime famiglie riuscivano a sten-to a sopravvivere, ma sopravvisseroanche grazie alla grande solidarietàfra più o meno poveri... così si ricor-dano pochissimi casi di mendicantilocali che passavano di casa in casa achiedere la carità in paese o fuori: laCirenaica e Nardina.

A Pantianicco, oltre alla famigliadi FOTEL, c’erano altre famiglie cheospitavano “i puers” di passaggionelle stagioni rigide in un angolinodella stalla, accanto agli animali enella bella stagione tra le riserve difieno.

I “puers” non davano fastidio anessuno, ringraziavano e camminava-no, camminavano sempre con il lorocarico di sofferenze e di bisogni.

Questi mendicanti erano una com-ponente della società arcaica, quandoquesta società ha cominciato ad

espandersi per essi non c’è statopiù spazio e sono scomparsi.

FURBISIS par bevi un tai a scroc

“Una dì il sartorùt di Craign e socusin Berto (Cragno Ermenegildoe Alberto) a vevin tanta gola di untai di vin ma no vevin i bes parpaalu’.I due, che erano famosi in paeseper fare scherzi, trovarono subitoil modo di attuare il loro progetto.Si sedettero soddisfatti nell’osteriadi Vitorio (Covazzi Vittorio) pro-prio di fronte al “SUEI” e mentreguardavano le donne a risciacqua-re la biancheria ed i bambini agiocare ordinarono il vino.Vittorio arrivò “cu la boça” pienadi vino e loro iniziarono a berlo a

piccoli sorsi con viva soddisfazione.Nell’ultimo sorso del suo bicchiere il“sartorùt” buttò un pescetto che avevaraccolto poco prima nel canale eBerto, con voce scandalizzata disse aVittorio mostrando il bicchiere:“Allungate almeno il vino con l’acquadi pozzo, non con quella del “suei !!!”Vittorio, mortificato, corse vicino altavolo e cominciò a difendersi: “Nonè vero, noi non allunghiamo mai ilvino, sono le donne che vanno arisciacquare damigiane nel “suei”.Scusate, scusate, ma per l’amor diDio, non raccontate in giro, mi racco-mando.

Non vi faccio pagare niente, anzi,bevete ancora un taglietto. E così fu.E dopo un po’ i due mattacchioni sene tornarono a casa felici e dissetati.

I CONFES DAL SARTORUTDI CRAIGN

CRAGNO ERMENEGILDO(1874-1936) era un uomo piccolo,simpatico, dalla battuta sempre prontaper divertire i compaesani. Partito erientrato più volte dall’Argentina, inpaese faceva il sarto, ma siccome iguadagni erano molto magri trovòlavoro come infermiere a Udine nel-l’ospedale civile.

Negli anni 1907-1908, il sartorut,essendo rimasto vedovo molto prestodella prima moglie, si accingeva asposare TISIA (Mattiussi Letizia).

Tutto il Bòrg di Sot si stava prepa-

rando all’evento: bisognava costruireun baldacchino, sotto il quale il vedo-vo doveva recarsi a prendere la nuovasposa ed insieme andare in chiesa perla cerimonia, inoltre “a vevin di pre-parasi a bati la carderada”, com’eral’usanza.

C’era poi una certa MIUTA, donnatanto golosa, che più volte gli avevadetto: “Gjldo, tu mi daras i confesquant chi tu ti sposis!” “Eh, altroché,altroché!” rispondeva lui ridendo.

Arrivato il gran giorno, il baldac-chino presto fatto con un telo di saccolegato a quattro pali, gli amici mattac-chioni si presentarono alla sua portacon un gran codazzo di bambini eragazzi vocianti.

Per fortuna che in quel giorno pio-veva e Gjldo è andato volentieri sottoil baldacchino per non bagnarsi. Perandare a prendere Tisia “nel Bòrg diSora, là di Matia di Lucresio”, la stra-da era lunga e il sartorut l’ha percorsaridendo e scherzando sotto il baldac-chino, con i compaesani che venivanoa salutarlo e poi lo accompagnavanobattendo “la carderada.”

Ogni tanto raccomandava agliamici che sostenevano il baldacchinodi tenere più alti i pali, perché altri-menti il sacco gli bagnava il cappello.

Miuta, ricordando la promessa, siavvicinò al baldacchino e chiese iconfetti. Gjldo mise la mano in tascae poi l’aprì davanti a Miuta: nel palmoc’era una manciata di confetti piccolima bianchissimi, lucidi, invitanti,tanto che lei li prese contenta e miseimmediatamente uno in bocca.

Il sorriso goloso si trasformò inuna smorfia di disgusto, mentre Gjldosi divertiva: “Ma iodeit ce bocjatis cafas, invesi di ringrasiami!” “Pota disartor, ce confes sono chei chi?” silamentava Miuta, sputando per terra:“.....a erin carabulis di piora ben pitu-radis........!!”

Inutile dire che tutto il paese si èdivertito alle nozze del sartorut diCraign, se questa simpatica storiella,di bocca in bocca, è arrivata fino al2000.

ELINA SU LA VÎT E LACIRINAICA TAL SO IET

Sicuramente nessuno dormì lanotte del 19 settembre 1920: stavaper arrivare la più grande inondazione

Pantianicco 1932Celia, Raffaello ed Erasmo Manazzone

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che il nostro paese ricordi. In pocheore di tremendi tuoni e fulmini caddetanta acqua da far straripare il Cornodalla parte di S.Antonio, ed in menche non si dica arrivò anche in paesedalla strada bassa.

Nelle strade buie del paese lagente correva da tutte le parti: chiusciva di casa ad informarsi dellasituazione, chi invece scappava dentroe tutti gridavano: “A ven l’aga.... aven l’aga !!”

“Tal curtil da la Cita” vivevano“Delaide da la Cita” con i nipoti,“Elina da la Cita” e la “Cirinaica” .Tra queste due ultime donne non cor-reva buon sangue.

All’arrivo dell’acqua la Cirinaica,non riuscendo a raggiungere la suaabitazione, entrò nella porta più vici-na, cioè nella casa di Elina. L’acquastava già invadendo la cucina, alloralei salì le scale e si rifugiò in camera.

Nello stesso tempo anche Elina,che in cortile stava cercando di mette-re in salvo le tre galline che aveva, sitrovò in mezzo all’acqua che entravaa ondate dal portone e aumentavasempre più. Allora lei, cosciente delpericolo che correva e di non poterraggiungere la porta di casa, siarrampicò sulla vite che formava lapergola davanti alla finestra della suacamera.

La povera donna era terrorizzata:era buio pesto e alla luce dei lampi, inbasso vedeva un fiume d’acqua limac-ciosa che entrava dal portone e facevamulinello in mezzo al cortile e dall’al-to scendeva altra acqua a catinelle elei non poteva far altro che gridare:“Aiuto, aiuto, aiuto !”.

La Cirinaica con calma serafica siaffacciò alla finestra della camera diElina e chiese: “Ce vutu vè ?” Lapovera naufraga, abbracciata alla vitegridando per superare il frastuono del-l’acqua, tentò di spiegarle che se legettava un lenzuolo messo di sbieco,attorcigliato e fissato al davanzaleforse lei sarebbe riuscita ad arrampi-carsi e a raggiungere la finestra dellacamera.

Ma la Cirinaica, che non avevanessuna intenzione di aiutarla, lerispose: “Jò no pos iudati, al vignaràqualchedun, si sta tant ben chi tal toiet...!”

Da attendibili testimonianze oralisembra proprio che la Cirinaica non

l’abbia aiutata ed Elina ha dovuto pas-sare quella terribile notte e parte delgiorno dopo, aggrappata alla vite,sospesa su un mare di acqua.

E per questo è entrata di dirittonella piccola storia della nostra comu-nità, come la donna che si è salvatasulla vite.

LI COMARIS

La comare, la levatrice era unafigura di donna importante, che dasempre, andando indietro nel tempofino agli anni cinquanta, percorreva inlungo ed in largo le strade dei nostripaesi, divisi in condotte, prima a piedie poi in bicicletta, accorrendo a farnascere i bambini.

Soprattutto nei nostri piccoli cen-tri, quello della comare era un ruolopari per importanza a quello del dot-tore, del prete e del maestro, forse piùdelicato ancora, perché alla comare cisi rivolgeva anche per le cose piùinconfessabili.

Era questo un mondo in cui la vitaera scandita secondo i tempi ed i ritmidella natura. Viene spontaneo il con-fronto con un parto odierno nel conte-sto di un moderno ospedale: un andi-rivieni di medici, ostetriche e infer-miere nelle camere, nelle sale trava-glio e nelle sale parto, con macchineper la misurazione delle contrazioni,flebo di tutti i tipi e dimensioni emacchine per il controllo dei battiticardiaci del feto... ma come facevanole donne una volta, quando tutto que-sto non esisteva ?

Per ricercare “LI COMARIS DIPANTIANINS” è stato necessarioattingere alla memoria storica dellenostre nonne che testimoniano il vis-suto delle loro mamme: così si puòrisalire alla fine del 1800 ed agli inizidel 1900.

Nonostante già agli inizi del seco-lo scorso in ogni Comune fosse in ser-vizio l’ostetrica comunale, le donne diPantianicco, a quei tempi, non sirivolgevano mai né all’ostetrica né aldottore, perché bisognava pagarli esoldi non ce n’erano nelle famiglie.

Mandavano a chiamare invecedelle donne del paese “ch’a fasevindi comari” che s’intendevano un po’di queste cose e aiutavano, come pote-vano la partoriente.

La prima “comari” di cui nessuno

ricorda il nome che riaffiora nei rac-conti tramandati da madre in figlia,verso la fine del 1800, viene menzio-nata perché protagonista di un fattoimpressionante: mentre stava aiutan-do a partorire la moglie di Gjuan diTarmât (Cisilino Giovanni) sembrache la “comari”, credendo di tirare ilneonato, tirasse invece con forza ilfilo della schiena della poveretta, pro-vocandone la morte.

Ci furono tante morti di parto aquei tempi e schiere di fratellini cherimanevano orfani, ma per fortuna,nella famiglia patriarcale, c’era sem-pre qualche zia o nonna che si occu-pava di loro.

Queste morti venivano chiamatedisgrazie, venivano affrontate contanta rassegnazione dalle famiglie,accettate come avvenimenti inelutta-bili a cui non ci si doveva ribellare.

Tranquila di Forgjarin (CisilinoTranquilla), già anziana, negli anniquaranta diceva a Tila (CervinoDomitilla): “Siete fortunate voi oggiche potete partorire a letto; noi dove-vamo metterci in piedi davanti ad unasedia, stringere lo schienale con lemani e spingere forte”.

È sufficiente questa testimonianzaper farci capire in quale precario con-testo igienico-sanitario ed umanoerano costrette a mettere al mondo ifigli le donne che ci hanno precedutoun secolo fa, inoltre esse lavoravanofino all’ultimo momento e così

Roma 1934Galotti Irma (classe 1914) adottatada Tita Basili (Galotti Giobatta). Lafamiglia abitava nell’attuale abita-zione di Rina Cisilino Cervino.

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rischiavano di partorire nei campi,nella stalla e perfino in chiesa.

La conseguenza di questa situazio-ne e della grande miseria, era ildecesso di tante partorienti e di tantis-simi bambini. Generalmente moriva-no dai venti ai venticinque bambiniall’anno a Pantianicco e nel periodoin cui imperversava il tifo (1911 -1916) molti di più.

La prima “comari” di Pantianiccodi cui si ricordi un minimo di nome fuMENIA che abitava nel cortile diFalduta (Cragno Mafalda).

Sembra che abbia aiutato a farnascere i bambini verso la fine del1800 fino al 1915 circa. Per un perio-do molto lungo, nei primi decenni delsecolo è stata molto apprezzata, comelevatrice, TILDA (Cragno Matilde1870 - 1946 mamma di Olga Primus1903 ).

Dalle testimonianze delle personeanziane TILDA risulta la persona piùimportante di Pantianicco nell’assi-stenza alle numerosissime nascite diquei tempi.

Era molto scrupolosa, pulita, fida-ta, aveva imparato il mestiere dall’o-stetrica comunale.

Allora qualche partoriente si rivol-geva anche a “Veronica, la feminadal talian” (Manazzone Veronica).

Nel 1925 era rientratodall’Argentina Santin di Scjavo(Schiavo Sante) infermiere diplomato,apprezzato nell’ospedale italianocome un ginecologo. Molte donneincinte andavano nella sua stalla achiedere consigli e pareri sui lorodisturbi e sul modo di comportarsi nelloro stato.

Dal 1920 al 1952 l’ostetricacomunale è stata la Signora ButtiEmilia in Fabrici (1886) “la sioraMilia o la comari vecja” come lachiamavano in paese. I più anziani laricordano arrivare a Pantianicco con ilsirè assieme al Dottor Pordenon,oppure in bicicletta. Lei ha aiutato anascere tutti i sessantenni e cinquan-tenni di oggi. La “siora Milia” eradolce e comprensiva, aveva un buonrapporto con le partorienti, sapevacome insegnare ad essere pazienti eassecondare il tempo misterioso delpartorire anche nei suoi momenti didolore.

Nel 1952 prese per due anni l’in-carico di ostetrica comunaleLauzzana Adele di Rivignano, moglie

di Cisilino Balilla, fratello diEugenio.

Verso la fine degli anni cinquanta,gradatamente, con l’istituzione dellaCassa Mutua obbligatoria, le donneiniziarono a preferire le struttureospedaliere per far nascere i lorobambini.

L’ultima ostetrica del Comune diMereto di Tomba è stata la SignoraForgiarini Lucia, ma ormai il ruolodell’ostetrica era cambiato, perché ilmondo era cambiato.

Da questa ricerca ne esce il quadrodi un’umanità paesana prevalente-mente femminile, segnata da milledifficoltà: miseria, ignoranza, paura esofferenza, ma nello stesso tempoforte di un rispetto innato, quasisacro, per il rito del nascere, del vive-re e del morire.

E fra questa umanità “la comari”era l’operatrice insostituibile.

SANTO CRAGNOSANTIN DI CRAIGN

(un sant omp di non e di fat)

Era il nonno di Ferdina, di Nelidoe il bisnonno di Aldo di Putelini.

Tutti dicevano che era un santo:aveva un carattere mite, era compren-

sivo e buono con qualsiasi persona,equilibrato, giusto ed onesto. Inoltreamava e seguiva la famiglia e soprat-tutto i nipoti a cui faceva da padre.Era anche un convinto cattolico pra-ticante. Insomma riassumeva in se lemigliori qualità e per questo era sti-mato e benvoluto da tutta la suanumerosa parentela ed anche daicompaesani. Alcuni lo ricordano convenerazione ancora oggi.

Aveva cinque figli: Raffaele,Marcellino, Albina, Emilia eMargherita. Quindici nipoti.L’antica fotografia che ci ha permes-so di ricordarlo dovrebbe essere del1917: il patriarca Santin è attorniatodalle nuore Brigida e Rosina e dainipoti: Agata (1910), Sieno e Mino(1911), Pipi e Fonso (1913), Nini eFerdina (1914) e Albina (1916),mentre i figli Raffaele e Marcellinoerano emigrati. La fotografia rappre-senta la tipica situazione famigliaredel nostro paese, in quei tempi dimiseria nera che costringeva gliuomini validi ed anche i ragazzini di9 - 10 anni “a là pa li Gjermaniis a famadon” mentre le donne restavano acasa a crescere i figli, ad assistere glianziani e a lavorare i campi con ilsostegno e líaiuto di una mucca.

Durante la prima guerra mondia-

Pantianicco 1917Sante Cragno con nuore e nipoti: da sin.: in alto: Brigida con in braccio la figliaAlbina, Sante, Cragno Agata e Schiavo Rosina. Da sin. in basso: Cragno Enzo,Ferdina, Sieno, Anselmo, Erminio, Alfonso.

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le, nei primi mesi del 1918 i soldatiaustriaci sganciarono le campane dalnostro campanile e le portarono afondere per farne nuovi cannoni.L’amarezza ed il dispiacere dellanostra gente, già fortemente provata,furono grandi: Santin non si davapace per il grave sacrilegio che erastato perpretato nei confronti dioggetti sacri quali le campane.

Ricordava che nel lontano 1870 lagente si era unita in una gara di gene-rosità, offrendo al Cappellano tantimonili d’argento perché fossero fusicon il bronzo e dessero alle campanequel suono argentino di cui tuttiandavano fieri.

Rimuginava tutto questo il vec-chio Santin e si preoccupava e sistruggeva per trovare il modo diricomprare almeno una campana e adun certo punto decise di vendere l’u-nica mucca che possedeva, l’unicafonte di cibo per i suoi numerosinipotini... e l’avrebbe certamentefatto se la nuora Brigida non si fossefermamente opposta, in nome di tuttequelle bocche da sfamare! Le trecampane poi, la grande, la mezzana ela piccola furono donate dallo Stato,come risarcimento ai danni di guerra,e furono issate sul campanile il 7agosto 1922, in una emozionante,indimenticabile giornata.

A PASSON CU LI VACJS

Nei primi anni 40, portare alpascolo le mucche per i prati era com-pito di molte ragazze di 14-15 anni. Aquell’età i ragazzi lavoravano già icampi con i genitori, o “a erin fameis”presso famiglie che avevano tanticampi, dove vivevano e lavoravanonella stalla ed in campagna, o “a erinsot paron” toccava alle ragazze, dopoaver collaborato ai lavori di casa : neipomeriggi d’autunno portavano lemucche a pascolare “l’antioul”, unfieno sottile che cresceva tardi, dopol’annuale taglio.

Questa operazione risparmiava lacena degli animali nella stalla e sisvolgeva in genere “nei pras di poc oda la figa”, prima che arrivasse il fred-do. E così, dopo aver pranzato unpiatto di minestra, Angjelina e Solia siinviarono verso Beano ridendo escherzando con due mucche ciascunada custodire e già strada facendo gio-cavano a corrersi dietro.

Nello spiazzo dove si fermavano afar pascolare le mucche, a metà traBeano e Pantianicco, si ritrovavanotante ragazze e qualche ragazzo,anche di Beano e insieme giocavano aliberarsi o a rincorrersi. Intanto lemucche mangiavano tranquille.

Quando sentivano i morsi dellafame Solia e Angjelina andavano acercare ”i cions” pannocchiette di cin-quantino rimaste piccole perché poconutrite, poi preparavano un fornelloimprovvisato con dei grossi sassi, loriempivano al centro di legnetti e

“sclanusons”, accendevano il fuoco,arrostivano “i cions” e poi li mangia-vano con soddisfazione conditi contante risate.

Naturalmente, tutte prese da que-ste faccende, le ragazze si dimentica-vano delle mucche e così un tardopomeriggio, all’ora del rientro, andan-do alla ricerca delle proprie mucchefra le tante, non le trovarono.

Per mezz’ora, preoccupatissime, lecercarono nei prati, in tutte le direzio-ni. Sparite. Man mano che i minutipassavano cresceva la preoccupazio-ne: la mucca costituiva il bene prima-rio della famiglia, era sacra, tanto chequando ne moriva una per averinghiottito un filo di ferro o per altriproblemi, era una tragedia in famiglia,come se fosse morto un componente.

Non parliamo poi dei castighi chesarebbero seguiti se fosse successoqualcosa ad una mucca non custodita:tutte queste preoccupanti riflessioni“a balinavin” nelle testoline diAngjelina e Solia mentre correvanoper i prati alla loro ricerca.

Stava già imbrunendo e calando lasera , quando, ragionando, hannodedotto che le mucche certamenteavevano seguito quelle di Beano cheerano rincasate più presto. Le dueragazze hanno fatto di corsa la stradadai prati a Beano e finalmente lehanno trovate già in paese.

Intanto Matia, fratello diAngjelina, preoccupato era andato “ladi Scjavo” e, non trovando né leragazze né le mucche, si era inviatoper la strada vecchia per Beano perandare incontro alle ritardatarie.Rifletteva che era buio, la gente inco-minciava già ad andare a portare illatte in latteria e le sue mucche eranoancora in giro per i campi, ancora damungere.

Finalmente trovò il quartetto inpiena campagna fra Beano ePantianicco... Angjelina e Solia gli rac-contarono ridendo l’accaduto, felici diaver ritrovato le mucche sane e salve,e, nella loro beata incoscienza di ado-lescenti, neanche sentivano i rimbrottie le sgridate del povero Matia.

RINGRAZIAMENTOI soi riconoscenta a li personis ca anvût la pasiensia di contami chistisvicendis

Ines Della PiccaPantianicco 1961La gioventù di Pantianicco al matrimonio di Maria Luisa e Ilio.

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SANTE BARBARE TARAMOTADE

4 DICEMBAR DAL 1976

Viars la fin di un an bisest,poc di bon, e nie di sest,si dan dongie, chi, a Tombe,duc i fabricanz di bombe,dai guardians ai sorestanz,dai scientifics ai periz,ai mecanics, ai dotors,impiegaz e muradors,falegnamps e atris di lor,che si dedichin la vitea produsi......dinamite!E je buine tradizion,che si tigni la riunion,dopo mese, in refetori,par che dut el uditoripuedi esprimi simpatiea duc chei che van, in rie,a cjapà la medaonecu la efigje de Patrone,di picjasi ator dal cuel,par salvà cuarp e zarviel,onoreficenzie grande,che ven dade, cun creanze,a duc chei che an lavoratpar dis ains, cun fedeltàt.

Ma chest’an, setantesis,si cisiche, fra lis ris,che sgarfant tal sgabuzen,di un tal Aldo Cisilin,e cjalant ben tal libron,plen di polvar, tal stanzon,al risulte a tanc di lor,che, chel folc dal Diretor,al vares di festegja, salvo eror,vincjecenc ains di lavor.Qualchidun al à tentatdi puartà el discors sul fat,cun cautele e discrezion,e cun dute cunvigninze,prufitant de so prisinze,ma, sicome lamp e ton,l’ha rugnit, come un leon,si è scurit el voli e il cei,e nisun l’ha viart el chei!Si capìs che il Diretoral pò vè resons di vendi,par pratindi che l’oblio al taponi ogni brusio,in chest an calamitòs,di fastidis e di cròs,ma speren che nus sapuartise chi, insieme, sot el puarti,lu tignen par un moment,scomodant el sentiment,

e o ciren di ricuardà,cun lacunis, ben si sa,el crescendo de cariere,che partes, dopo la guere,dal nufcentcinquanteon,tal gran cjalt, quatri di jun.Si menave ju, di Udin, ben,in treno, l’ingignir,ti rivave a Basilian,al saltave in biciclete,e ti leve jù, a saete,pedalant di bon matin,in te nebie, tal pulven,tra i agaz, i poi, i niz,e al rivave, incrudilit,sul porton de Dinamit.Se d’unviar al neveave,e la plane si sblancjave,par Dal Dan nol è problema:al partes.....sciant, adore,te criure da l’aurore,e, di “fondo” gran campion,si presente sul porton.Ma il progres nol à rispietpal spurtif nè pal dilet,e, cun doc i soi sparains,misuraz, in chei prins ains,e ti compre el motorinodi gran mode: un biel “Guzino”.

Dinamite - anni 50: Fine di un turno di lavoro.

Per gli ultrasessantenni come me,gli anni cinquanta e sessanta restanospeciali: prima di tutto perché hanno ilsapore della gioventù e poi perché erail periodo nel quale si stava realizzan-do il sogno di lasciarsi alle spalle lebrutture della guerra e si cominciavaad assaporare quello che poi sarebbestato definito il boom economico, pas-sando dalla condizione di provinciaprevalentemente agricola a industriale.

“La DINAMITE”, prima fabbricasorta nella nostra zona, ha dato il via aquesto passaggio, portando negli anni50 - 60 il primo reddito sicuro in moltedelle nostre famiglie, scacciando cosìlo spauracchio della miseria cheincombeva su di noi da secoli.

In cinquant’anni di attività, con unamedia di circa duecento dipendenti, la“DINAMITE” ha dato un forte impul-so all’economia dei nostri paesi e perquesto gliene siamo grati.

Per me sono anni da ricordare quel-li, perché eravamo tutti più semplici,genuini, schietti e ciò ci permetteva diaffrontare con fiducia ed allegria tuttoquello che la vita ci presentava, dallecose positive alle inevitabili difficoltà.

Si tratta di un mondo che sembranon esistere più, ma che continua a

vivere nella memoria di chi lo portaancora dentro di sè: in paese ed in fab-brica c’era tanta solidarietà, rispettoreciproco, collaborazione, amicizia chedavano tante soddisfazioni umane.

Per tutto questo il pensiero ritorna aquegli anni con rimpianto e nostalgia.

La realtà è che oggi corriamo trop-po e non riusciamo più a coltivare tuttiquesti bei sentimenti.

Vorrei far rivivere quegli anni d’oroproponendo i versi “in furlan tarcen-tin” con i quali la cara collega AnnaGori ha voluto festeggiare l’indimenti-cabile direttore ingegner Franco DalDan in occasione del suo venticinque-simo anno di lavoro alla “DINAMI-TE”.

(a cura di Aldo Cisilino)

Una “SANTA BARBARA” indimenticabile

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LEON DISEGNADÔR ATÔR E CORIDÔR

Alcuni anni fa, nel 1995, attraversoqueste pagine, abbiamo avuto modo dicongratularci con Graziella Della Picca,figlia di Silvana e Adelino, professores-sa superiore di disegno e pittura: fra letante sue opere aveva ideato e realizzatoun dipinto sulla parete di una casa nelcaratteristico e coloratissimo Barrio deLa Boca in Buenos Aires. Ora, al di

qua dell’oceano, vogliamo fare la stessacosa, cioè congratularci con un altromembro della stessa famiglia, LeoneCisilino, cugino di Graziella.

Leone fin da bambino ha avuto unagrande passione per il disegno a carbon-cino e, come autodidatta da più di cin-quant’anni sta portando avanti questosuo hobby in ogni momento libero.

Chiaramente sono evidenti le grandidifferenze di base fra i due cugini: perLeone l’ambientazione è Pantianicconegli anni della guerra e del dopoguerra,mentre a Graziella, una gerenazionedopo, la famiglia e Buenos Aires hannoofferto stimoli, basi e scuole, cioè gran-di possibilità di formazione.

Ed è proprio per questo che Leone,autodidatta, merita il nostro plauso, per-ché seguendo il suo istinto e senza nes-sun aiuto, ha creduto in se stesso ed hacontinuato a disegnare, in silenzio, inmodo personale, semplice e genuino persua soddisfazione, ma anche su richiestadi tanti compaesani e conoscenti fuoripaese che apprezzano i suoi lavori.

Il maestro Zoratto aveva raccoman-dato al papà Elio di far proseguire gli

studi a Leone, almeno a scuola di dise-gno, ma per vari motivi che ora, dopopiù di mezzo secolo non è il caso diapprofondire, Leone ragazzino halasciato il corso di disegno a Basiliano enon ha mai frequentato altri corsi, puressendosi iscritto per tre anni successi-vi.

Leone è famoso anche come carica-

Pase il timp, e cres la dite,e si rive a cumbinà di acordasipar comprà un motocaro,model antiquat,che, soflant, al va indenant.Alore si slargje la compagnie,doc i “udines” e si cjatin, in rie,in vial Vignesie, ogni matine,par petà un saltin tal cason dal motocaro,la grande invenzion,che cun Deison,mecanic di bordo,e si è, a la fin, inviat,dopo che a lunc, sul vial,lu an sburtat.“Se dut va ben,se no si sbuse,se baste miscele,se ten la cjandele,- sentenzie Deison -sarin sul lavortor cinc e mieze,o lì ator!”L’è ben visasi che,in ches anadis,si lavoravedi un scur a chel atri;dopo sis oris di ativitàt,quant che mesdè al sunave, pal prat,e si cjatavin al HILTON HOTEL,

là di cjavon, dongje un brantièl,e consumavin in armuniela mortadele, o pan cence nie,e dos sedons di zardiniere,e sopis di asèt, in te zupiere!A une in pont, cun ogni temp,tornavin doc in stabiliment,e fin a sere ti talpinavin,e......al chiar di luna, e rientravin.Direz a Udin, su chel arnàcul,racomandansi a San Ermacul,fasevin tàpe là di Fiorendo,a Coloret, al bon bevendo,par disfredà ben il motor,e resentasi el glutidor!E van su i ains, e cresin lis pais,ma ancje i fastidis, e atris tramais!Ognun al rive a vè el tomobil,o qualchi atri trabàcul mobil,ma, si disgreghe la compagnìe,lis ocasions di stà in ligrìe,ognun si siare tal sò casòn,e ti subentre......l’alienazion!Nol è, chi, temp di nostalgje,se cres tal cur, paraile vie!A chest pont si conclut la memorie,chè, oramai jè complete la storie!Sin rivaz a veturis perfetis,che no fasin rimplanzi carètis,sin sigurs che qualchi atri motorl’è in te liste dal sior Diretor:

scrutinant sul impegno atual,nus semee, che nol fares mala pratindi di vè, in dotazion,un licotero, o un jet a reazion,ma un augurio, a chest vot, si com-pagne,che nol lasi la vite in campagne,che al procuri di fa qualchi ì staco ì,che si gjoldi la barcje, perbaco,e che al tiri, ogni tant, un respir,liberant el zarviel dal pinsir.O volen che al mantigni la forme,che nol sedi impegnat fur di norme,che par ains di salut e di vitetigni in stangje la Dinamite,e al perdoni, se, in chiste ocasion,ven mancjat di rispièt al so non,e so ven, chi, cjapade licenzedi tratalu cun gran cunfidenze !Cognossent ogni poc l’ingignir,l’ere clar, par ognun, el pinsirche ogni forme ufizial di ricuarta i sares, a dì poc, lade in stuàrt;nuie targhis, discors, artifizis,che ti corin ator pai ufÏzis,ma un puar sbrendul,di cjarte cartucje,e un biel grazie, cusì, cence nie,cul ricuart de sò gran compagnie !

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IL VECCHIO OROLOGIO DEL CAMPANILE

“10 agosto 1924”Pantianicco mancava di un orolo-

gio pubblico, poichè quello che esiste-va nella torre campanaria, antico di

quasi 150 anni, non funzionava daquasi 10 anni. I capi famiglia delpaese, messisi d’accordo, si tassaronoper l’acquisto di un nuovo orologio,dando facoltà al Vicario di trattare conla ditta fratelli Solari di Pesariis.

La spesa per l’acquisto dell’orolo-gio fu di L. 5.300. Oggi si fa l’inaugu-razione. “Così lasciò scritto il VicarioDon Pietro Tonelli nel libro storicodella parrocchia. Questo orologio,costruito nel 1922, funzionò meccani-camente fino agli anni sessanta; ilnonzolo Serilo con i ragazzi salivaogni giorno sul campanile a ricaricar-lo: con una manovella riportava le duegrosse pietre appese a corde d’acciaioall’inizio della corsa del macchinario,così facendo, tramite gli ingranaggidell’orologio, le pietre ridiscendevanolentamente azionando il tic-tac deisecondi, segnando le ore nei quadranti

esterni e facendole battere sulla cam-pana fino all’indomani.

Don Guido Cappellari nel 1962rimediò a questo sistema di ricaricagiornaliera facendo applicare dai tecni-ci della Solari un motore elettrico almacchinario del vecchio orologio.

Nello stesso tempo il Parroco prov-vide all’elettrificazione del suono dellecampane con la ditta Broili di Udine.

In occasione di lavori alla cellacampanaria, alla fine degli anni 80,Don Claudio Bevilacqua dotò il cam-panile di un nuovo orologio a funzio-namento elettronico. Così il vecchioorologio ha reso un lungo, onorato eprezioso servizio alla nostra comunitàper settant’anni: è stato il punto diriferimento che ha scandito la vitaquotidiana di più generazioni di pan-tianicchesi, perchè a quel tempo pochefamiglie potevano permettersi sveglie

turista: da tanti anni parenti ed amici digiovani laureandi, bussano alla suaporta per farsi preparare il cartellonecaricaturale che annuncia la laurea delneodottore, in paese e nel circondario.Ha cominciato presto a fare caricature:lo ha spinto soprattutto “Vigj diMulâr”: prima di ogni partita di calcioa Gigi piaceva esporre nel bar qualchedivertente disegno e Leone lo acconten-tava volentieri. Una volta, in occasionedi un incontro fra celibi - ammogliati,tracciò addirittura la caricatura di tutti eventidue giocatori in campo.

Durante il servizio militare poi,Leone è stato molto apprezzato ed usatoper la sua capacità di ingrandire cartetopografiche e tracciare velocementeschizzi panoramici a giro d’orizzonte

che servivano per il tiro al mortaio.Si può dire che il buon Dio ha dato

tanti talenti a Leone, anche se nonhanno poi fruttato in denaro, ma solo insemplici soddisfazioni personali. Si èdistinto anche nel teatro, nel ciclismo enelle bocce.

In gioventù “ha calcato le scene” perventicinque anni, dal dopoguerra fino al1969, interpretando con grande estro emaestria le parti drammatiche come lecomiche. (leggi “Il teatro a Pantianicco”Boll.Parr. n. 16 - 1995 ).

Indimenticabile, per chi ha vissutoquelle stagioni giovanili, è stato Leonenella parte di Arpagone, nei cinque attidell’Avaro di Molière, tanto che il criti-co del Messaggero Veneto ha definitostraordinaria l’interpretazione del prota-

gonista Leone Cisilino.In quegli anni ricevette anche una

convocazione a Milano per un provinocome attore, ma rinunciò subito pensan-do di non esserne all’altezza, mancan-dogli una cultura di base.

Anche il ciclismo gli ha dato grossesoddisfazioni: nel 1953 ha partecipatosia ai campionati regionali di ciclismo,classificandosi al primo posto, sia aicampionati italiani allievi, in seguito hagareggiato per due anni distinguendosifra i dilettanti ed infine ha dovuto riti-rarsi per sopraggiunti problemi di salu-te.

Così anno dopo anno il tempo è pas-sato: qualche colpetto l’ha avuto nelfrattempo Leone, e anche forte, ma concoraggio l’ha superato. I casi e le vicen-de della vita gli hanno imposto dellescelte e delle rinunce e lui ha saputostare al passo con i tempi, adattandosi aimutamenti con equilibrio e autoironia,mantenendo intatta la sua vitalità, desi-deroso di partecipare al presente, ricor-dando il passato. Leone ama la compa-gnia, è ricercato per le sue battute spiri-tose, sempre amabile e sorridente,sguardo sereno ed arguto, sprizza sim-patia e calore umano.

Cosa augurargli?Che il vento soffi sempre alle sue

spalle, portandogli salute e meritatesoddisfazioni.

I.D.P..

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ed orologi in casa.Ogni famiglia aveva un punto della

casa (o dal solâr, dal ôrt o dal toglât)dal quale di giorno si poteva vederel’ora del campanile, mentre nel buio enel silenzio della notte ci si regolavacon il battito delle ore. In campagna,lontano dal paese, la gente sapeva per-cepire l’ora dalla posizione del solenel cielo e soprattutto dall’ombraproiettata dai “morârs” sul terreno.Addirittura nei prati verso Beano,“quant ca lavin là da la ferada a fa fen”desumevano l’ora dal passaggio deitreni: “Al è pasât chel da lis dôs” ecosì si regolavano.

Mentre nei turni per dar l’acqua aicampi, la faccenda era più delicata,allora, con molto acume, ci pensò arisolverla il segretario del consorzioirriguo di Pantianicco, AngeloMattiussi: dotò i tre canali maestri ditre sveglie che servivano tutti gli utentidi giorno e di notte. Le aveva incasto-nate in tre gabbie di legno, protette dalastre di vetro (tipo ferar) e aveva toltoil dispositivo per cambiare l’ora. Così,il tempo uguale per tutti evitava il sor-gere di malintesi e contestazioni.

---------------Interessante è anche la storia del

recupero e del restauro del vecchioorologio: in occasione dei lavori disistemazione del tetto del campanile,nel 2000, Luciano decide di salire sulcampanile con Roviglio, per vederequesto reperto storico in disuso da unadecina d’anni. I due si guardano:“Perchè non recuperarlo?” Un oggettoche ha segnato per generazioni la vitadella nostra comunità è meritevole direcupero: Detto - fatto: in quattro per-sone hanno provveduto a farlo scivolare lungo le scale del cam-panile e a trasportarlo nel luogo

del restauro, nel laboratorio di“Pietrasanta” in casa del nostro“Michelangelo” Luciano.

Le sue abili e pazienti mani lohanno completamente smontato e revi-sionato pezzo per pezzo, in un secon-do momento ha provveduto a trattareogni singolo pezzo con vernici specialied infine li ha rimontati con un collau-do definitivo. Sì, perchè il vecchioorologio meccanico è ora perfettamen-te funzionante. Inoltre per personaliz-zarlo maggiormente, Luciano conpazienza da certosino, ha scolpitosulle pietre pendenti i tre monumenti -simbolo di Pantianicco: la chiesa par-rocchiale, la chiesetta di S. Antonio eil monumento ai caduti.

Attualmente il vecchio orologio sipuò ammirare in fondo alla navatadestra del nostro “Duomo”.

Che dire di più? Non ci resta cheringraziare Luciano e le altre personecome lui che dedicano il loro tempolibero alla manutenzione ed al restaurodel nostro patrimonio storico.

Il vecchio campanile, costruito nel1813 e completato definitivamente nel1873, ha sempre avuto un ruoloimportantissimo nella vita della nostracomunità: quotidianamente la campa-na grande suonava la sveglia all’albacon l’Ave Maria, seguita dai rintocchiper la messa, a mezzogiorno l’Angelusavvisava che era l’ora del pranzo,soprattutto per chi lavorava nei campi,all’imbrunire suonava ancora l’AveMaria come conclusione della giornatalavorativa ed infine il De Profundis,sembrava dare il buon riposo a tutti,vivi e defunti.

Si può desumere che la vita conta-dina durante l’ottocento e la primametà del secolo scorso, scorreva col

ritmo delle campane. Esse poi comu-nicavano al paese altri messaggi lieti etristi: “il scampanotà” preannunciavale sagre che coincidevano con le piùimportanti feste religiose, le visitedell’Arcivescovo, la fine delle guerre,la sospirata liberazione.

I ragazzi più grandi facevano agara per salire sul campanile a impara-re a “scampanotà” cioè a produrrequei suoni armoniosi che nessuno hamai dimenticato.

Lo scampanio festoso delle trecampane insieme accompagnavanoinoltre tutte le cerimonie importantidella comunità come battesimi, comu-nioni e matrimoni.

Le campane diffondevano anchemessaggi preoccupati come il suonoper il triduo per invocare la pioggiaper l’allarmante siccità ed il suono perdissolvere il pericolo di un minacciosotemporale (A fulgure et tempestate...liberanus Domine!)

Ed infine i messaggi tristi e tragici,un suono subito riconosciuto e temuto:la campana mezzana informava cheera morto un compaesano e assiemealla piccola ci accompagnava triste-mente tutto il giorno dei morti; mentreera ancora compito della grandecomunicare alla gente che il fuocobruciava una casa o un fienile, chel’acqua del Corno stava per allagare ilpaese e dare l’allarme per un’immi-nente incursione aerea.

E tutto questo sempre e solo amano: il “muni Serilo” lo ha fatto pertrent’anni, dimostrando una dedizioneindescrivibile. A lui e a tutti gli altrinonzoli che silenziosamente hannoservito la comunità vada la nostra rico-noscenza.

Aldo Cisilino

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Padre Luigi Scrosoppi di Udinedichiarato Santo il 10 giugno 2001

È il primo Santo friulano dopo1200 anni. L’ultimo fu il santopatriarca Paolino di Aquileia, mortonel 802.

Nell’estate del 1855 è stato certa-mente anche a Pantianicco.

Luigi Domenico Scrosoppi nasce aUdine il 4 agosto 1804 da famigliaprofondamente cristiana.

Il padre “Siôr Meni Scrosoppi”, diprofessione orefice, con bottega inPiazza San Giacomo, è conosciuto datutti come “Meni Sentesin” per la suaonestà e precisione nel gestire i suoiaffari.

La madre Antonia Lazzarini, rima-sta vedova, sposa in seconde nozzel’orefice Meni.

Dalla unione nascono due figlimaschi.

Il figlio del primo matrimonio diAntonia, Carlo Filaferro, si avvia alsacerdozio nella congregazione del-l’oratorio di San Filippo Neri, favo-rendo in Luigi e nel fratello GiovanniBattista il nascere della vocazionesacerdotale.

Nel 1817, Luigi entra in seminariocome alunno esterno.

È tra i migliori nello studio, neicostumi e nel coltivare le virtù. Vieneordinato sacerdote il 31 marzo del1827 e il 1º di aprile celebra la primamessa nella chiesa di Santa MariaMaddalena, con accanto i due fratellisacerdoti e i genitori.

La chiesa di S. Maria Maddalena,non esiste più. Era ubicata in via V.Veneto, dove ora sorge la PostaCentrale.

Padre Luigi esercita il ministero inquesta chiesa dando una mano al fra-tello Carlo e collaborando con lui inuna piccola istituzione, nata per acco-gliere bambine e adolescenti abbando-nate.

Carlo vorrebbe farsi cappuccino,ma le piccole ospiti della “Casetta” incalle delle Dimesse, non lo permetto-no. La situazione economica della“Casetta” è disastrosa e Luigi comeun mendicante va in giro per la città eper i paesi circostanti a chiedere l’ele-mosina.

La casa viene ampliata e riesce aricevere 80 orfane interne e 200 ester-ne.

Luigi si occupa dell’educazione edella formazione cristiana delle ragaz-ze.

Nel 1854 viene aggiunta la casa del“Provvedimento” per ex alunne rima-ste senza lavoro e nel 1857 iniziaun’opera per sordomuti.

La notte di Natale del 1845, dà ini-zio alla CONGREGAZIONE delleSUORE della PROVVIDENZA, sottola protezione di San Gaetano diThiene.

Don Luigi risponde subito agliappelli della carità e le invia tra i feritidella rivoluzione del 1848, tra i cole-rosi del 1855 e negli ospedali militari,durante le guerre del 1859 e del 1866.

Nell’estate del 1855 il coleraimperversa per tutto il Friuli e simuore.

Le suore, a due a due, dopo averricevuto dal buon dott. Zambelli alcu-ne nozioni sulle cure da portare agliammalati, sono partite serene, senzabadare al rischio.

Padre Luigi non le abbandona e vaa trovarle, girando da un paese all’al-tro per sostenerle.

Le richieste sono tante e padreLuigi non sa come fare per acconten-tare tutti.

Il deputato Comunale di Lestizzaprotesta: ha chiesto due suore perNespoledo, colpito dal colera. PadreLuigi gliele manda, ma il dottorZambelli le requisisce per inviarle aPantianicco, dove la situazione è piùgrave.

È in questa occasione che padreLuigi va a Pantianicco a far visita allesue due suore e si ferma anche aconfortare i moribondi.

Il morbo però colpisce anche la“Casa delle derelitte”!

Con l’autunno cessa l’epidemia e leinfermiere itineranti sparse per tutto ilFriuli possono finalmente rientrare.

Padre Luigi muore il 3 ottobre1884 nella Casa delle Derelitte eviene tumulato ad Orzano in una pic-cola cappella fatta da lui costruire sulmodello della Casa di Loreto.

Nel 1952 i resti furono traslocati aUdine nella Chiesa della Provvidenza(casa madre) ove tuttora si trovano.

A padre Luigi furono attribuite gra-zie fin dai primissimi giorni della suamorte e continuarono in seguito invari luoghi dove le Suore dellaProvvidenza lo facevano conoscere.

Nel 1932 venne promosso a Udineil processo sulle virtù eroiche delServo di Dio:

- il 22 febbraio 1937 gli atti vengo-no trasmessi a Roma, alla SacraCongregazione dei Riti;

- nel febbraio 1964 inizia a Romala causa di beatificazione che si con-clude il 12 giugno 1978, con la pro-clamazione eroica delle virtù;

- il 5 ottobre 1981 in Piazza SanPietro il papa Giovanni Paolo II lodichiara BEATO.

Dopo il decreto di approvazione diun terzo miracolo, avvenuto per Suaintercessione (1 luglio 2000) la pro-clamazione solenne della sua santitàavviene il 10 giugno 2001.

Il santo LUIGI SCROSOPPI, nonvolle mai lasciarsi fotografare.

Le suore che desideravano conser-vare la Sua immagine, dopo la suamorte, chiamarono il pittore AntonioMilanopulo, per trarre i lineamenti delvolto e ne presero anche la maschera.

A.C.

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Un martire del nostro Comune: EVARISTO MIGOTTI

Ritengo doveroso segnalare,con queste quattro righe, che nel-l’elenco promosso dal PapaGiovanni Paolo II per l’AnnoSanto 2000, fra i c.d. “NuoviMartiri” vi è un nostro conterra-neo: EVARISTO MIGOTTI.

Evaristo Migotti, era nato aTomba di Mereto (provincia ediocesi di Udine) il 24 ottobre1922.

Bambino buono e tranquillotanto da essere giudicato “un po’indietro” come si suol dire.Giudizio smentito poi dai fatti:egli imparerà in seguito dieci lin-gue, di cui sei africane difficilis-sime e si dimostrerà un ottimoinsegnante e un santo sacerdote.

La mamma prima di accompa-gnarlo in Seminario a Castellerio,lo portò davanti alla statua dellaMadonna e gli disse queste paro-le: “Ricordati che ora, laMadonna sarà la tua mamma!”

Egli tenne in cuor suo pertanto tempo l’idea di farsi missio-nario e solamente in secondaliceo, confidò al Rettore delSeminario questo segreto.

Nel 1942 Evaristo venneaccompagnato dal suo parroconel Seminario missionario deicomboniani a Venegono in prov.di Varese.

Il parroco lo presentò così ai

superiori di quel seminario: “Miprivo a malincuore della presenzadi Evaristo. La sua buona intelli-genza e la sua semplicità suppli-ranno senza dubbio a certe defi-cenze…”.

Dal seminario di Venegono,passò per gli studi superiori aVerona e i l 16 giugno 1948,venne ordinato sacerdote e subitoassegnato, come insegnante, alcollegio Comboniani di Asmara(Etiopia). Qui imparò il “Tigrinoe il ghez”.

La domenica, in bicicletta,andava in giro per i villaggi acelebrare la Messa, insegnarecatechismo, battezzare e seguire iproblemi di quella povera gente.

Sulle strade che percorrevac’erano molti ribelli, ma riuscì acavarsela.

Nel 1953 venne mandato inSudan e il giovane missionarionon si risparmiò!

La situazione in questa terrastava però precipitando e conavvisaglie di persecuzione: infattiper aver costruito una cappellinadi paglia e fango venne messo inprigione e picchiato duramente.

Dal carcere usc ì dopo unmese, perché qualcuno avevapagato per lui una multa di 30

sterline.Il 12 gennaio del 1963, assie-

me ad altri missionari, venneespulso dal Sudan.

Così potè ritornare felicementea rivedere la sua terra natale, mapiù felice di lui fu la mamma!

Subito però chiese ai suoiSuperiori di essere mandato nelloZaire.

Alla mamma, che aveva pauraper la sua vita, rispose così: “Cevutu ch’al fasi il Signôr di uncome me? Par murî màrtar, bisu-gne jèssi plui sants di me!”

Partì per lo Zaire e cominciòla sua opera fra delle tribù primi-tive che praticavano il cannibali-smo.

Dimenticavo che padreEvaristo era un rabdomante esapeva trovare l’acqua, dicendocon precisione anche la profon-dità. (Si legge che non sfuggivanoalla sua bacchetta neanche certiminerali).

La guerra civile nel 1964sconvolse la vita di quel paese e il1º dicembre 1964 assieme ad altrimissionari sul ponte del fiuleBomokandi ricevette la palma delmartirio.

a cura di A.C.

Evaristo Migotti di Tomba di Mereto.

Pantianicco 1960 - Ricordo della Prima Comunione.

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Ancje i furlàns a àn vût un Pape!Cualchidun al dubite parvie che

lis notiziis ch’o vin a son scjarsutis.Cjapìn in man la guide “I Sommi

Pontefici Romani” e al numer dîs ocjatìn un Pape “San Pio I” (p.f. SantPius I), une conferme nus l’e dàancje il libri “Santi Martiri nel Friulie nella Venezia Julia” a cura diWalter Arzaretti e lant plui indaûrancjemò, tes fonts antighis, sul“Liber Pontificalis, StoriaEcclesiastica di Eusebio di Cesarea”o scuviarzìn che, chest Pape, aldovarès jessi stât di divignince aqui-lejese. Al jere fì di un ciert Rufìn e

fradi di Erma, autôr de famose opare“Il Pastôr”.

Pius I al dovares jessi stât eletpape dal 140 al 146, mintri tal 155cirche, al vignì martirizât.

Al à fissât la celebrazion dePasche te Domenie dopo il plenilunidi març e ancje des regulis pe con-version dai gjudeos.

Al à combatût e condanât l’eresiedi Marcione, teolic grec, fì di Sinope.

Une biele figure di chest Pape e jeafrescade te capele des Relicuiis taldomo di Udin. Si puedin cjatâ ancjetal domo di Pienza, te Capele Sistinein Vatican, S. Pauli fûr des murais…

Chel che al à ricuardât pe primevolte la divignince aquileiese di chestpape, al è stât il doge di VignesieDree Dandolo, viers la metât dal1300 tal so “Chronicon”.

E par finî: Dante Alighieri al à fatdî a San Pieri tal Cjant XXVII dalParadîs: “Ma per acquisto d’estoviver lietoe Sisto e Pio e Calisto ed Urbano,Sparser lo sangue dopo molto fleto”.

La glesie lu à tal calendari il 10 diLui.

A.C.

Sant Pius I - Un Pape furlan

San CanzianoLa parrocchia di Pantianicco è

dedicata a San Canziano.Chissà quante volte abbiamo sen-

tito la sua “Passio” e sicuramente ilgiorno in cui ricorre la memoria - 30maggio.

Canzio, Canziano e Canzianillaerano tre fratelli romani, parenti dellanobile e potente famiglia degli Anici,educati alla fede cristiana dal loropedagogo Proto (fine III sec. inizioIV sec.).

Quando si intensificò la persecu-zione contro i cristiani, i Canzianinon avendo più appoggio a Roma,essendo morto l’imperatore Carino,loro parente, decisero di abbandona-re la città.

Assieme al loro pedagogo, parti-rono per Aquileia dove potevanocontare sull’amicizia di Crisogono.

Arrivati nella città altoadriatica,appresero la notizia del suo martirioavvenuto a San Canzian d’Isonzo.

Andarono a pregare sulla suatomba, ma vennero raggiunti daimagistrati aquileiesi Dulcidio eSisinnio e avendo rifiutato di abiura-re vennero decapitati il 31 maggiodell’anno 303 e sepolti vicino aCrisogono, dal sacerdote Zoilo.

Dopo l’editto di Costantino del313, la comunità di Aquileia eressesulla loro tomba una memoria e nelV sec. venne costruita una basilica.

Il luogo divenne subito meta di

molti pellegrinaggi.Le invasioni degli Ungari dalla

fine del IX sec. alla metà del X sec.,distrussero: la basilica, il monasteroche ivi era sorto e ogni memoria.

Negli anni sessanta, l’Istituto diArcheologia Cristianadell’Università di Trieste, diretto dalprof. Mario Mirabella Roberti, iniziòalcune campagne di scavi proprio asan Canzian d’Isonzo, nei pressidella parrocchiale, della cappella diSan Proto e della Chiesa di SantoSpirito.

Gli archeologi non solo riportaro-no alla luce molte testimonianzeantiche sulle origini romane dell’at-tuale paese, ma rinvennero anche leuniche reliquie certe dei martiri aqui-leiesi: La tomba dei fratelli Canziani.In essa c’erano i resti scheletrici di

tre giovani (due maschi e una femmi-na legati da vincoli parentelari). Iltutto accertato dall’esame morfome-trico fatto dall’Istituto di antropolo-gia dell’Università di Padova.

Ogni anno a San Canziand’Isonzo, la prima domenica di giu-gno si svolge la processione dei SantiMartiri.

Le preziose reliquie sono conte-nute in tre cassette e depositate nel-l’altare centrale della chiesa parroc-chiale.

C’è pure un trittico raffigurante itre martiri: al centro San Canziano, adestra Canzio e a sinistraCanzianilla.

I due fratelli sono rappresentati investi militari, in quanto la tradizioneli vuole legionari romani.

A. Covazzi

PENSIERI

Se i grandi sapessero unirsi ai piccoli, tutti starebbero bene.(Esopo)

❖ ❖ ❖ ❖ ❖

Un solo “eccomi” vale più di cento “Il Signore ti aiuti”.(Proverbio cinese)

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Grande uomo è colui che non perde il suo cuore da bambino. (Anonimo)

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Se non dici niente non ti diranno di ripeterlo.(C. Coolidge)

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LE PAGINE DELL’EMIGRANTE

Mettiamo al corrente i compaesani argentini che abbiamo abbinato due bollettini per busta inalcuni casi di famiglie vicine, di parenti o amici. Questo per risparmiare sulla spesa di spedizione,avendo constatato che sia per un bollettino che per due nella stessa busta, la tassa postale restainvariata. Certi della vostra comprensione e grati per la vostra collaborazione confidiamo che ognifamiglia riceverà il suo bollettino.

Grazie LA REDAZIONE

Pipa e pantofole? Noo… Micavero! Anche se questo è il sogno dimolti uomini: godersi il meritato ripo-so dopo un’intensa vita di lavoro.Questo non è certo il caso di Remigio,che andato in pensione ha scoperto unsuo antico amore giovanile: LA BICI-CLETTA.

Eccolo lì nella foto con la medagliadi bronzo guadagnata per il terzoposto nella 60 kilometri su strada,appena ritornato da Prince George,città nel nord della British Columbia(Canada), distante km. 946 da PowerRiver, dove quest’anno dal 28 al 31agosto si sono svolti i B.C SeniorsGames, cioè i Giochi degli anzianidella British Columbia, una specie diolimpiade, cui si può partecipare solo

REMIGIO IN PENSIONE

LUIS BUTTAZZONI - una vita esemplare

dopo aver compiuto i 55 anni.Altra data importante per Remigio

il 30 giugno 2002, quando nella cittàdi Comox sul circuito stradale di LittleRiver, che significa piccolo fiume,nella 40 kilometri arrivò primo, guada-gnandosi la medaglia d’oro, semprenella categoria anziani sopra i 55.Mica male per uno che ha appenacompiuto 21 anni… tre volte. Cosìfacendo le classiche pantofole e pipasono ancora lontane. I pantianicchesiovunque si trovino sono come ilvino… migliorano con il passare deltempo.

A tutti un affettuoso mandi e unasbraciata di cour!

Remigio CisilinoPowel River, 09.09.02

Così lo ricorda il figlio Juan.

Iniziare una rassegna di ciò chefu il proprio padre è assai difficile.Però cercherò di riassumere i suoipassi in questa vita e l’insegnamentoche ci lasciò.

Come ogni emigrante giunse alpaese con l’umiltà propria di coloroche desideravano progredire con l’o-nesto lavoro, per l’educazione e l’e-sempio dei loro progenitori.

Giunse al paese per la prima voltaquando era ancora un ragazzo di 17anni appena compiuti e percorse que-sta terra facendo disparati lavori:bovaro, peone da campo, etc., per poirientrare nella sua terra d’origine perprestare servizio militare nella primaguerra mondiale.

Qui ebbero inizio i suoi primiapprendimenti di quella che nel suofuturo sarebbe stata la sua vera voca-zione: l’infermieristica.

Esercitò su vari fronti la sua mis-sione con professionalità, finché una

malattia lo fece rientrare a casa, econ questo salvò la sua vita, perchéera stato assegnato ad un contingentein partenza per l’Africa, che maiarrivò a destinazione, perché la navefu affondata durante il viaggio.

In questa tappa aveva già formatola sua famiglia ed erano nati due deisuoi tre figli: Ernesto e Armanda e inseguito colui che riporta questo pic-colo racconto.

Siccome allora, come in tuttaEuropa, il lavoro scarseggiava, ripre-se nuovamente la via per l’America,lasciando la sua famiglia nel piccolopaese di Pantianicco.

Giunto a B. Aires nell’anno 1922inizia il suo pellegrinaggio, facendovari lavori con il suo piccolo baga-glio di conoscenza di infermieristicae su consiglio dei suoi amicidell’Ospedale italiano dà inizio adopere di cura agli infermi di famiglieagiate di questa città, fino a quando,su richiesta di un fratello della sposa,arriva nella città di Mar de Plata,

sempre in qualità di infermiere. Masempre irrequieto e desideroso disistemarsi definitivamente viene asapere che nella città di CarlosCasares, allora invero piccolo paese,mancava un capo infermiere per l’o-

Monolito dedicato a LUIS BUTTAZZO-NI in Carlos Casares (prov. di B.A.).Nella foto Marta Susanna, nipote di Luis,febbraio 2001.

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spedale, che appena veniva inaugura-to, e quivi arrivava.

E inizia un lavoro arduo per accu-mulare il denato sufficiente per man-tenere la famiglia, che in breve si riu-nisce nel marzo dell’anno 1923.

Appena arriva in quel paese, affit-ta una casa di fronte alla stazionelocale, però la meta, come per unbuon lottatore, era quella di avereuna sua propria casa; e questa metatanto desiderata è così infine rag-giunta dopo tanti anni di lotta.

In questi anni non c’erano regoleper il lavoro e lui si trovava semprepresente qualunque giorno ed inqualsiasi ora al servizio della gente,sia come anestesista, radiologo, den-tista, o per il lavoro necessario dafare, sempre con umiltà e al serviziodella persona che avesse bisogno.

Così trascorse la sua vita sempli-ce, senza ostentazione, unito ai suoi,a coloro cui sempre si dedicò; e allo-ra gli ha portato per la felicità dicoloro che sono presenti, questoriconoscimento ai suoi molti anni dilotta, da parte delle autorità e dellapopolazione di Carlos Casares nelrendergli l’omaggio di dare il suo

nome a una piazza e a un quartiere,stimando che con esso si onora nonsolo il luogo che lo ospitò, ma anchela Regione che un giorno lo vide par-tire come emigrante pieno di illusio-ni, che seppe capitalizzare con la suaonestà , con la sua semplicità , eamore del prossimo. Nel giornale diCarlos Casares è pubblicato: “Cosìvisse la sua vita dando l’esempio dilavoro e d’umiltà al prossimo e den-tro questi esempi noi cresciamo isuoi figli, cercando di inculcare ainostri figli enipoti tuttoquell’insegna-mento ricevu-to, tanto dalpadre come danostra madre,che pure ebbela sua parte eche non dob-biamo dimen-ticare.

Perciò i lpaese, che nonscorda l’operacompiuta, havoluto offrire

questo sentito omaggio a quest’uomosemplice, che tutto offrì, senza chie-dere niente in suo favore, dando ilsuo nome a una piazza e a un quar-tiere della bella città di CarlosCasares”.

Molte grazie per tutto ciò alleAutorità e Cittadinanza di CarloCasares.

Traduzione a cura di EnnioButtazzoni

Avellaneda anni 50.Silvano Cragno al suo primo lavoro.

LE PAGINE DELL’EMIGRANTE

LA SECONDA PRIGIONIA(Tratto da un quotidiano diAvellaneda di alcuni anni fa).

La storia di Giovanni Cisilino èquella di una vita travagliata e riccadi eventi, scandita da continue sepa-

razioni, ricongiunzioni e mutamenti.Nato a Pantianicco il 23 ottobre

1917, all’età di dieci anni vive laprima separazione dalla madre laquale, per mantenere la famiglia, ècostretta a raggiungere il padre in

A r g e n t i n a ,lasciando cosìi sei figli e ilmarito, reducedalla primaG u e r r aM o n d i a l e .Passano altridieci anniprima cheG i o v a n n ipossa rivederela madre, mala ricongiun-zione dellafamiglia non

dura che seimesi, trascorsi i

quali la donna parte di nuovo.Pochi anni dopo, la nuova guerra

costringe anche Giovanni a lasciare isuoi cari: assegnato al 24ºReggimento di Fanteria a Postumia,parte per il fronte e da quel momentola sua esistenza è segnata per ottolunghi anni, dai tragici eventi cheinevitabilmente occorrono nella vitadi un combattente. Le battaglie, leassegnazioni a diversi Reggimenti, laprigionia, una fucilazione evitatasolo grazie ad una fortuita congiun-zione di eventi che gli permettono lafuga; e poi di nuovo la cattura, questavolta da parte dei partigiani di Tito einfine l’ “inenarrabile esperienza” -come lui stesso la definisce - di esse-re trattato come un criminale di guer-ra.

Finalmente, nel ‘47, otto mesidopo il suo ritorno dalla prigionia,parte anche lui, come i suoi fratelli,per l’Argentina, dove riabbraccia la

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Olivos, 24.12,1971Il padrino Giovanni Cisilino e la madrina Silvana Cragno tengono abattesimo Leonardo Cragno.

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Olga Sabbadini de Galli festeggia i suoi 87 anni insieme ai figli e ai nipoti. - 29 giugno 2001.

LE PAGINE DELL’EMIGRANTE

madre.Ma la separazione dal paesenatio significa anche l’inizio di unadura vita di lavoro e di sacrifici, incui Giovanni si adatterà a fare ditutto, imparando i mestieri più diver-si. Lavora dapprima come operaio,mentre la moglie, Norma Bertolissidi Zoppola, sposata per procura, siimpiega in una fabbrica tessile. Poi,su esortazione dell’amico Elso DellaPicca, passa a fare il misuratore dilegnami per un’impresa di lamina-zioni e segherie di proprietà di duefratelli genovesi. Qui diviene talmen-te bravo nel suo mestiere da guada-gnarsi in poco tempo la stima e l’af-fetto dei fratelli Capurro, i padroni, iquali lo innalzano al grado di impie-gato amministrativo e gerente del-l’impresa.

Nonostante tutto, la distanza con-siderevole tra il suo Paese e il posto

di lavoro lo convince a cercarsi unanuova occupazione. Così, sempretramite l’amico Della Picca, lui e suamoglie si adattano al ruolo di “buffe-teri” al Circolo Friulano diAvellaneda; vi lavorano duramenteper due anni e con i risparmi cosìracimolati possono coronare final-mente il sogno di una casa di loroproprietà.

Nel 1960 Giovanni e Normafanno un viaggio in Italia, con incuore la speranza di potersi sistema-re nella loro terra natia e ristabilirvisidefinitivamente; ma la mancanza dititoli di studio lo rende impossibile edevono rassegnarsi all’idea che laloro vita ormai è in Argentina, dovefanno ritorno.

Giovanni lavora ancora dai fratel-li Capurro, che lo riaccolgono abraccia aperte; poi in un’industria di

Mar de Plata 1949.Dante Agostini (cl. 1910 primo in piedi a sinistra) con l‘orchestra di cui faceva parte,alla festa per l’arrivo di Giordano in Argentina.

laminazione; infine in una fabbricadi “voile”, sempre occupando postidi responsabilità, con incarichi difiducia e ottenendo invariabilmentela benevolenza dei suoi principali.

Infine, nell’’83 Giovanni riceve lapensione italiana che gli permette divivere bene senza dover più lavorare.

L’Argentina, insomma, ha datomolto a questo friulano, onesto eorgoglioso come tutti i suoi conterra-nei, che, senza “chiedere niente anessuno”, è riuscito a condurre unavita dignitosa, nonostante i sacrifici:“senza titoli di studio - sono parolesue - in Italia non avrei mai potutofare quello che ho fatto inArgentina”.

Eppure, nell’ intimo del suocuore, è sempre rimasta una nostal-gia struggente per la sua Patria e,nonostante i successi lavorativi e lesoddisfazioni, gli riesce tuttora diffi-cile sentirsi felice in quella che,ancora dopo tanti anni, chiama “casad’altri”: “in certo qual modo, permolti anni ho considerato, questa,una seconda prigionia…”. E confes-sa, quasi sommessamente, di conser-vare ancora il sogno di fare ritorno inItalia… “perché il pane altrui è sem-pre un poco amaro”.

Giovanni Cisilino è deceduto nelluglio 2000 ad Avellaneda.

Elaborato da Giulia Zotti

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Mar de Plata 1950 Giordano Agostini col fratello Dolfi e le cognate.

LETTERE

Bethlehem (USA) 2 gennaio 2002Grazie per il bollettino diPantianicco, interessante, bello e benfatto.

Mons. Paolino Della Picca

San Justo, dicembre 2001Don Giovanni,Ti ricordo sempre e per mezzo tuoinvitio gli auguri di Buon Natale atutto il paese di Pantianicco. L’amicodi sempre

Cragno Severo

Quilmes, 9 gennaio 2002Caro Don Giovanni,ringrazio Lei e la Sua comunità per ilbollettino che ci avete inviato.Auguriamo a tutti pace e bene.Auguri di Buon Natale e Buon Anno.

Dora e Alicia Cisilino eJuan Carlos Pajoni

Canada - B.C. - Power River 09.09.02Tanti saluti a tutti, particolarmente aivolontari del bollettino, ai predis DonGiovanni e Don Claudio, agli amici,ai coscritti, ai paesani: un grandeaffettuoso abbraccio da tutti noi.Mandi!

Remigio e famigliaP.S. Aggiungo un piccolo aiuto per ilbollettino.

LE PAGINE DELL’EMIGRANTE

MATRIMONI

Alessandra Colombo (nipote di Vaita e Ciro Lovatti).

EMIGRANTI CHECI HANNO LASCIATO

MARFISA CISILINO decedu-ta in Argentina il 14 gennaio2002 alla veneranda età dianni 87, avrebbe compiuto 88anni il 6 febbraio. Era partico-larmente affezionata al nostrobollettino parrocchiale, sia conl’annuale lettera di ringrazia-mento e di stima, sia con qual-che piccola contribuzione. Ilnipote Remigio nel comunicar-ci la data del decesso dal lon-tano Canada nel cristiano spi-rito di rassegnazione ci scrive:“Il Signôr a la volût cussì!”

Foscarino Alessia figlia di Monica Agostini e diDomenico. È stata battezzata il 23 giugno 2002 aWindsor, Ontario Canada.

BATTESIMO

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TRE SERATE CON L’ASSOCIAZIONE CULTURALE “LA GRAME”

Nella prima serata di venerdì 22 febbraio 2002 è stato proiettato nella sala della “Pro-Loco Pantianins” il film “IlTierç Lion”. Il film parla del mito dei Benandanti: antiche figure di un Friuli Medioevale, legate a culti agrari e creden-ze religiose, persone dotate di poteri soprannaturali che combattevano le forze del male a salvaguardia dei raccolti dellaterra e per la salvezza dell’uomo.

La storia è un giallo investigativo ambientato nella Udine di oggi.Il film ha avuto molti estimatori in Regioni e grande successo negli Stati Uniti d’America.

Continuano venerdì 1 marzo e venerdì 22 marzo le serate culturali promosse da “LA GRAME”, Ente Friuli nelmondo, Pro-Loco Pantianins e con il patrocinio della Provincia di Udine in ricordo di ENO MATTIUSSI. Due seratededicate a “LOS FRIULANOS DI IÂR E DI VUÈ: IL FRIÛL E L’ARGJENTINE”.

Nella serata del 1º marzo intervengono il presidente della “GRAME” Eros Cisilino, il presidente dell’Ente Friuli nelMondo sen. Mario Toros, l’assessore alla cultura della provincia di Udine, Fabrizio Cigolot ed il presidente della Pro-Loco Pantianins, Lucio Cisilino. Segue la relazione della sig.na Corinna Mestroni, fresca di laurea in scienze politicheche ci presenta la sua tesi: “L’Emigrazione di Mereto di Tomba in Argentina” è una ricerca dettagliata e molto interes-sante sull’emigrazione di ieri dei nostri paesani in Argentina. Il periodo analizzato è il 1800 e la prima metà del 1900.

La serata si conclude con la relazione di Ennio Buttazzoni, che di seguito riportiamo: in presentazione del libro edell’autore: Eno Mattiussi e Los friulanos.

Eno Mattiussi nacque nel 1929 aPantianicco, ove visse la sua infanziae adolescenza, finché all’età di 18anni partì per l’Argentina insieme conla sorella Vana per congiungersi aigenitori, ivi emigrati prima della guer-ra. A Buenos Aires riprese gli studidall’inizio ed in una decina di annisuperò tutti i gradi di istruzione finoalla laurea in medicina; successiva-mente si specializzò in clinica medi-ca, cardiologia e medicina del lavoro.Svolse principalmente il suo lavoro dimedico presso l’ospedale Rivadavia diBuenos Aires.

Però oltre che nel ramo professio-nale, fu particolarmente attivo nel-l’ambito culturale e sociale:

- presidente della commissione diCultura della Federazione dellesocietà friulane in Argentina;

- cofondatore e primo presidentedel Centro di Cultura Argentino-Friulano di Buenos Aires (C.C.A.F.),di cui successivamente è presidenteonorario;

- membro della commissione con-sultiva dell’Associazione “DanteAlighieri” di Buenos Aires.

Per meriti professionali ricevette ilpremio “Samuel Molina” dalMinistero Argentino della Sanità e nel1986 il premio “BernardinoRivadavia”.

In Friuli la “Pro Tarcento” gli con-ferì il “Premio Epifania”, prestigiosoriconoscimento per i friulani illustri.

Per il suo impegno in seno allacomunità friulana è stato nominato

“Cavaliere al merito della RepubblicaItaliana”, inoltre è stato insignito deltitolo di “Friulano de Merito” da partedella Confederazione delle SocietàFriulane in Argentina.

Come si può notare, fu una vitaintensa di lavoro e di impegni, maanche di meritati premi e onorificen-ze.

Il dr. Eno venne a mancare il 12aprile 1998, colpito da un male incu-rabile, all’età di anni 69.Particolarmente vanno ricordate le suedoti di affabilità e cordialità verso

tutti. Nessuno lo vide mai arrabbiato.Era sempre disponibile e sorridentecon una filosofia diretta essenzial-mente al bene sociale e alla vita ope-rosa e insieme tranquilla.

Negli ultimi anni si era dedicatoalla Storia, dando alle stampe tramitela Dante Alighieri di Buenos Aires illibro “LOS FRIULANOS”, operainserita nella collana “ITALIANOSEN L’ARGENTINA”.

In questo libro prezioso viene datoun quadro generale dell’emigrazionefriulana in Argentina. La dedica va

ENO MATTIUSSI E LOS FRIULANOS

Pantianicco 1970Il Dott. Eno Mattiussi saluta l’assessore regionale Giacomo Romano a tavola con ilProf. Ottavio Valerio e Don Guido Cappellari.

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alla madre Norma Cisilino e al suoce-ro Gino Tomada, esempi di vita efonte di tante informazioni.

Lo scopo di questo lavoro vieneenunciato nel prologo ed è: “far cono-scere agli argentini di oggi e in parti-colare ai discendenti degli immigratile loro origini e il loro apporto allaformazione della Nazione Argentina.

L’autore mette in evidenza chel’oggetto del libro è costituito daglistessi emigranti friulani in Argentina edal loro lavoro. Il periodo preso inconsiderazione va dal 1870 al 1950:rilevato che, su un totale di 1.278.023italiani, la comunità friulana di 78.000emigrati risulta la terza comunità ita-liana, preceduta da quella dei sicilianie dei calabresi.

Relativamente alle fonti di infor-mazione, Eno ci dice che esistonoeccellenti lavori sui friulani diResistencia, Avellaneda, Santa Fè,Colonia Caroya, Provincia diCordova, però manca uno scritto cheabbracci i 120 anni di presenza friula-na in ambito nazionale e manca purela distribuzione alle biblioteche dilibri pubblicati sull’argomento, ondepoterli consultare.

“Per riempire questo vuoto di fontidi informazione, e a prescindere chenon sono uno storico, ho consideratoutile intraprendere il presente lavorosull’immigrazione friulana inArgentina, anche se penso che l’argo-mento dovrebbe venir trattato da sto-rici di professione. Il contenuto diquest’opera è frutto di un continuointeresse sul tema, di esser stato vici-no a dirigenti come Abele Mattiussi,Elso Della Picca, Fortunato Rizzi ealtri, e delle conoscenze acquisite in18 anni di attività nel Centro diCultura Argentino-Friulano. In questostudio si sono privilegiati i riferimential lavoro dei pionieri, al lavoro artisti-co e intellettuale, alla creatività e alladedizione nei campi sociale e cultura-le, più che al guadagno personale.Inoltre sono state segnalate caratteri-stiche del modo di essere dei friulani.

Il titolo “Friulano de Merito”, cheappare alla fine di alcuni capitoli, fuassegnato dalla Confederazione dellesocietà friulane in Argentina nell’anno1991 ad alcune persone per aver ono-rato la comunità: è quanto va premes-so al lettore.

Il libro si sviluppa nei capitoliseguenti:I - Argentina e Friuli: cicli storiciII - I Friulani in ArgentinaIII - L’emigrazione contrattata per lecolonie agricole nazionaliIV - L’emigrazione e le colonie agri-cole privateV - L’emigrazione contrattata

VI - I religiosiVII- La grande emigrazione sponta-nea.

A pag. 111 sotto il titolo “CHI EPERCHÉ EMIGRAVANO” si legge:“Pantianicco è una località di 700 abi-tanti, ubicata in una pianura di terrenoghiaioso, poco fertile. Nel periododella prima emigrazione ogni famigliaera proprietaria di una casa con pian-terreno, primo piano e talvolta unsecondo piano, costruita con pietre emattoni, che ospitava anche gli ani-mali domestici e i raccolti. Vicino allacasa c’era un piccolo orto con alberida frutto e un piccolo vigneto. Quasitutti erano anche proprietari di unafetta di terra, che andava da meno diun ettaro ai 15 o 20 ettari dei maggio-ri possessori. Verso gli anni “20” c’e-rano solo due o tre famiglie senzaterra da coltivare e le stesse riceveva-no un piccolo aiuto dal Comune”.

Invece nelle zone del Friuli, in cuila terra era più fertile, questa era pro-prietà di latifondisti, che erano padro-ni anche delle case, dove erano allog-giati gli agricoltori. A questi contadiniil futuro non prometteva nulla.

Emigravano per i seguenti motivi:1) Quando la famiglia era numero-

sa e questi emigranti lo facevano invia definitiva.

2) Quando la terra era scarsa. Eneppure questi emigranti ritornavano.

3) Alcuni emigravano per potercomprare più terreni, e questi general-mente ritornavano.

4) Infine alcuni se ne andava-no per spirito di avventura, edanche molti di questi ritornavano.

In tutti i capitoli emerge comel’emigrazione friulana si sia diffu-sa in tutte le province argentinedalle terre di frontiera del GranChaco fino alla Terra dei Fuoco.In ciascuna località importantec’è un fogolâr ed in diversi inse-diamenti c’è chi si è distinto come“Friulano de merito”.

Nella Capital Federal e nellaProvincia di Buenos Aires ci sonocoloro che si sono affermati neirami della scienza, della tecnica,dell’ingegneria, delle costruzioni;e poi gli industriali, i dirigenti, imaestri e professori, i pubblicifunzionari, tra cui ArnoldoCisilino, figlio di padre pantianic-chese; nel giornalismo, nell’artescenica, nelle arti plastiche, nelballo folkloristico; e poi ci sonogli scrittori, i musici, i religiosi e icomplessi religiosi educativi, tracui il santuario di MADONE DIMONT in Pablo Podestà, distrettodi San Martìn, per la cui costru-zione nel 1964 una dozzina di

friulani tra cui i padri AlbertoCimbaro e Carisio Pizzoni fondaronoun Fogolâr.

Poi segue ad illustrare i friulaniche si sono distinti nei vari sportcome le bocce, il ciclismo, il motoci-clismo e l’andismo.

Seguono piccole grandi storie, trale quali va notata quella del nostrocompaesano Raffael Manazzone, cheper pura passione è diventato un gran-de esperto in paleontologia.

Nell’epilogo alquanto filosoficoviene data un’impostazione in meritoad un razionale sfruttamento dell’a-gricoltura, che potrebbe risolvere lacrisi che da tanti anni angustial’Argentina.

Eno Mattiussi qui cita il grandefilosofo tedesco Giorgio GuglielmoFederico Hegel e conclude: “Questo èil destino, che un sognatore immigra-to friulano e gli eroi di queste paginehanno augurato e augurano al genero-so paese che ha dato loro ospitalità”.

Documento dell’operosità e del-l’intraprendenza dell’emigrante friu-lano e della solidarietà di un popololegato da tutti i fogolârs, sparsi per leprovince argentine, il libro resteràperennemente con il suo autore nellastoria argentina e friulana.

Pantianicco, 1 marzo 2002

Ennio Buttazzoni

Pantianicco fine anni 40 - Tosca,Lindo e Luigina Visentini

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TERZA SERATA CULTURALE PROMOSSA DA “LA GRAME”Nella serata finale del 22 marzo

2002 in ricordo di ENO MATTIUSSI,promossa da “LA GRAME”, con lapartecipazione del Presidente dell’EnteFriuli nel mondo e del direttoreFerruccio Clavora, vengono trattatiproblemi attuali relativi alla crisidell’Argentina di oggi.

In sintesi gli eventi negli ultimitempi sono i seguenti.

Introducendo la parità tra il peso eil dollaro, il ministro Cavallo riuscì astabilizzare i prezzi e bloccare l’infla-zione.

Nel medio periodo ciò provocòeffetti positivi in termini di maggiorstabilità economica, maggiori investi-menti esteri e maggiore crescita.Bloccando il peso al dollaro, tuttavia,l’Argentina ha fatto sì che le proprieesportazioni ed importazioni fosseroaltamente dipendenti dal valore deldollaro sui mercati mondiali. Quandoil dollaro si è apprezzato rispetto allealtre maggiori monete mondiali, leesportazioni argentine ne hanno soffer-to, poiché i beni argentini, prezzati indollari, diventavano più cari sui merca-ti mondiali. Nel tempo questo ha pro-vocato una forte riduzione delleesportazioni argentine e un disavanzocommerciale.

Inizialmente il disavanzo era abbi-nato ad una situazione di crescita eco-nomica interna e non fu difficile perl’Argentina trovare finanziamenti,principalmente in dollari, sui mercatimondiali. Il dollaro però si è mantenu-to forte per un periodo di tempo moltolungo. L’Argentina non è riuscita adutilizzare i finanziamenti, provenientidall’estero, per migliorare la produtti-vità interna e riguadagnare quote dimercato sui mercati mondiali. Inoltre,la crescita della domanda interna eratrainata principalmente da spesa pub-blica (federale, regionale e locale), det-tata dalle politiche populistadell’Amministrazione Menem.

Tali spese non erano investimenti,ma spese correnti e quindi con limitatieffetti sulla produttività del sistema-paese. Nel tempo queste politichehanno portato ad un problema aggiun-tivo: il forte indebitamento delleamministrazioni pubbliche argentine atutti i livelli. Se il dollaro si fossedeprezzato, la produttività internafosse migliorata o la spesa delle ammi-nistrazioni pubbliche argentine fossestata meno sfrenata e più oculata, la

crisi non ci sarebbe stata. Nessuno diquesti tre eventi si è verificato e lasituazione è peggiorata portando poi alcollasso finale.

Ciò è avvenuto in fasi. La crescitadell’indebitamento ha fatto sì che icreditori internazionali iniziassero adiffidare della reale capacitàdell’Argentina di mantenere la paritàcol dollaro e di pagare i propri debiti.Conseguentemente hanno iniziato arichiedere più alti tassi di interesse emanovre correttive sulla spesa. Lamaggior incertezza ha ridotto i flussidi investimento estero. I maggiori tassidi interesse hanno aumentato i paga-menti verso l’estero. I tentativi ditagliare la spesa pubblica hanno ridot-to la domanda interna. Questi fenome-ni combinati hanno portato ad un ral-lentamento dell’economia, che hacreato ancora maggior nervosismonegli investitori stranieri, portanto aulteriori riduzioni negli investimenti ead un aumento del tasso d’interesse.

Il rallentamento ha anche ridotto lacrescita delle entrate fiscali, aumentan-do i problemi della finanza pubblica.Si è creato un circolo vizioso. Il pro-dotto interno lordo argentino ne haconseguentemente risentito vistosa-mente. Uscire da un siffatto circolovizioso è sempre molto difficile. Ingenere si riesce con un piano ben arti-colato e credibile, messo in opera daleaders capaci e credibili internazio-nalmente.

Ciò non è avvenuto perl’Argentina, dove invece i presidenti sisono succeduti settimanalmente, e pre-sidente, parlamento e governo non

erano d’accordo su come uscire dallacrisi. Alla fine sia gli investitori inter-nazionali che i cittadini argentinihanno perso fiducia nel sistema dellaparità col dollaro e hanno iniziato acorrere ai ripari. Gli investitori stranie-ri hanno cercato di ritirare i propririsparmi dall’Argentina, mentre i citta-dini argentini, anticipando una svaluta-zione del peso, hanno cercato di con-vertire i propri risparmi in dollariliquidi. In qualsiasi paese del mondose un numero sufficente di risparmia-tori cerca di ritirare dalle banche i pro-pri risparmi, il sistema bancario va incrisi. La liquidità del sistema è suffi-ciente a soddisfare a malapena il 10%dei risparmiatori. Il sistema sta in piedibasandosi sulla reciproca fiducia,senza la quale il sistema crolla. Questoè quello che è successo in Argentinanella fase di maggior caos. I cittadinicercavano di ritirare i propri risparmidalle banche, e il governo, per cercaredi salvare il sistema finanziario e man-tenere la parità col dollaro, ha intro-dotto limiti forzosi a quanto i rispar-miatori potevano ritirare dalle banche.Ciò ha provocato danni all’economia,rallentandola ulteriormente, e ha pro-vocato l’ira dei risparmiatori e non hacomunque permesso di salvare laparità col dollaro.

Cercando una via d’uscita alternati-va, il governo ha di fatto svalutato ilpeso introducendo una nuova paritàpeso-dollaro, convertendo forzosamen-te i risparmi dei cittadini argentini innuovi pesos, provocando ovviamenteuna significativa riduzione dei rispar-mi, calcolati in dollari.

Pantianicco anni 80 - Todon Otello, figlio di Maria di Vigjan, dal Canada in visita aPantianicco dagli zii Giordano e Serena.

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ERBORISTERIACELTICA

Di fronte a questi problemi dimacroeconomia politica, difficilmenterisolvibili in tempo breve sorge il pro-blema degli “Emigranti in rimpatrio:un lavoro in Friuli”. L’argomento èesposto da Ferruccio Clavora.

Quello che può fare la RegioneFriuli-V.G. non è molto . È invece pos-sibile operare nel mondo giovanile conscambi culturali e con l’addestramentodi nuovi tecnici e di nuovi imprendito-ri. È impensabile l’ondata di ritornoalla grande, sia per i problemi abitati-vi, sia per i problemi inerenti alle qua-lifiche del lavoro stesso: non si puòimprovvisare. Ci sono inoltre tantefamiglie di origine friulana, che un po’alla volta hanno rotto completamente ilegami con la patria d’origine, e l’EnteFriuli nel mondo si fa protagonista nelriaccendere la fiamma della friulanità,dov’essa si sta spegnendo.

Lo fa con artisti e musicisti friula-ni, che raggiungono i vari fogolàrs,disseminati per l’Argentina, per fareun lavoro di animazione e d’insegna-mento della lingua friulana in partico-lare tra i bambini.

Ed uno di questi è il musicista qui

presente Guido Carrara, che ci raccon-ta la sua esperienza di insegnare il friu-lano in Argentina con la musica. Eglisi rivolge particolarmente al mondodei bambini, perché molto più apertoverso la musica friulana e verso leforme stesse del fantastico e dell’irrea-le, con cui riesce a far colpo.

Infatti il video che ci viene proiet-tato, il cui titolo è “I BENEANDANSDAI GRIIS” ci mostra il suo lavoro inmezzo ai bimbi di vari fogolars. Egliriesce a fondere il mondo dell’immagi-nario e della fantasia con il mondodella musica popolare. È un lavoroveramente esemplare.

E così nella prima serata con il filmil “TIERC LION” ci siamo imbattutinei “BENEANDANTI” ora in sensoallegorico incontriamo i “Beneandantsdai griis”. Tutti noi, quando eravamobambini, ci divertivamo con un sottilefuscello a far uscire dal buco il grillodicendo: “Gri, gri salta fûr di lì!”. Ilmondo fanciullesco non cambia, anchese oggigiorno i grilli e i prati sonoquasi un ricordo, almeno qui da noi.

E se in Argentina le maestre bona-riamente chiamano i nostri animatori

“benandants dai griis”, significa chesentono ancora la voce della loro terracon tutti i suoi miti e i suoi personaggifiabeschi.

Ennio Buttazzoni

Cerioli Maria all’età di 5 anni.

Il nostro giovane compaesanoEros Cisilino ha pubblicato recen-temente i l l ibro “ErboristeriaCeltica”. È una descrizione di quel-lo che poteva essere la medicina el’erboristeria druidica. I druidierano dei maghi ma anche deimatematici, dei filosofi e al tempostesso dei medici, dei grandi sacer-doti e dei botanici, dei consiglieridi re, dei veggenti e degli esperti didiritto, degli astronomi stimati per-sino dalle popolazioni mediterra-nee.

Questo libro è una via per sco-prire l’affascinante modo di viveree di pensare della civiltà celtica cheha occupato una posizione princi-pale nel la s toria del l’Europa.Inoltre offre la possibilità di avven-turarsi in un breve viaggio dentrole conoscenze druidiche, costituiteda un sapiente studio dei cicli ,degli astri, dei simboli e, soprattut-to, dei quattro elementi celtici fon-damentali: l’acqua, il fuoco, laterra e l’aria.

RENDICONTO 2001 DELLA PARROCCHIA di S. CANCIANO MARTIRE IN PANTIANICCO

ENTRATE- Offerte in Chiesa Lire 10.387.270- Candele votive ” 2.965.050- Offerte per servizi (battesimi, matrimoni, funerali,benedizione famiglie, animatico, ecc.) ” 22.139.000

- Entrate per attività parrocchiali (Bollettino, stampa cattolica e attività varie) ” 1.722.000

- Offerte da enti e privati (contributi vari) ” 2.769.550- Affitto e reddito da terreni ” 10.688.546- Giornate e collette imperate ” 3.974.400- Entrate straordinarie ” 60.393.742TOTALE ENTRATE Lire 115.039.558

USCITE- Imposte, tasse, Assicurazioni Lire 10.387.270- Spese di culto (candele, ostie, vino, arredi, libri, ecc.) ” 1.577.000- Spese gestionali (ENEL, SIP, riscaldamento, vitto ospiti, ecc.) ” 8.371.776- Spese per attività parrocchiali (Bollettino

e stampa cattolica e attività varie ” 2.729.500- Remunerazione stipendi e contributi(parroco, Vicari parrocchiali e persone a libro paga) ” 1.966.500

- Manut. ordinaria fabbricati e acquisto attrezzature ” 2.335.450- Contributo Attività Diocesane (lire 500 per abitante) ” 1.023.000- Giornate e collette imperate ” 3.974.400- Uscite straordinarie ” 87.905.000TOTALE USCITE Lire 113.582.473ATTIVO Lire 1.457.085

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SPSPAZIO GIOAZIO GIOVVANIANIa cura di Elisa - Elisabetta - Giulia - Valentina

Con questa nuova rubrica ci proponiamo di gettare uno sguardo sulla “gioventù Pantianicchese”, per farvela cono-scere più da vicino. Facendo anche noi parte della suddetta gioventù ci siamo accorte che, in una realtà pur piccolacome quella di Pantianicco, c’è un discreto numero di ragazzi che spiccano per talento e qualità.In questo numero vi parleremo di Davide Della Picca.Augurandovi una buona lettura vi invitiamo a segnalarci altri giovani compaesani da annoverare tra le pagine delnostro bollettino.

D a v i d eDella Piccaha 19 anniessendo natoi l 17 feb-braio 1983 aUdine. Lasua carrierac a l c i s t i c a

inizia alla tenera età di 9 anni trale fila del Mereto Don Bosco.Attualmente mil i ta nel laPrimavera del l ’Udinese. Loabbiamo incontrato e ci siamofatte i “fatti suoi”.

Come mai hai deciso di giocarea calcio e non a un altro sport?Ho sempre giocato a pallone mafino a 9 anni facevo atletica, poiè stato Lauro Toneguzzo, il mio

primo allenatore, a convincermia giocare in squadra, i Pulcinidel Mereto Don Bosco.

Come sei arrivato a indossare lacasacca dell’Udinese?A tredici anni, dopo essere statonotato sul campo, sono statochiamato per sostenere una sele-zione, la quale prevedeva unaserie di provini che ho superatoe l ’anno dopo giocavonell’Udinese.

Quali ritieni siano le tue qualitàcalcistiche migliori e quali idifetti?Ritengo che l’altruismo sia unadelle mie migliori qualità, perquanto riguarda i miei difettipotrei migliorare il senso del

gol.

Tu sei un centrocam-pis ta , hai semprericoperto questoruolo?No, ho giocato anchein difesa e in attaccoma quello che prefe-r isco è g iocare inmezzo al campo.

Qual era fino all’an-no scorso la tuagiornata tipo?Mi svegl iavo al le6,30 per recarmial l’Is t . Bertoni , lascuola che frequenta-vo, alle 13,00 termi-navano le lezioni epranzavo in albergocon i miei compagnidi squadra, dalle 15

al le 17,30 ci a l lenavamo.Dopodiché tornavo a casa percenare e dedicarmi allo studio.

Che studi stai facendo ora?Solo al 1º anno di Economia eCommercio al l’Universi tà diUdine.

Come utilizzi il tempo libero cheti rimane?Frequento i miei amici, vado alcinema e poi mi piace molto leg-gere libri.

Qual è il tuo giocatore preferi-to?Roberto Baggio in assoluto, èfra quelli che ho potuto ammira-re da vicino, r i tengo cheGiuliano Giannichedda sia ilmigliore. Ho avuto la possibilitàdi giocare con lui in allenamentoe devo dire che prima di essereun grande giocatore è una gran-de persona, sempre disponibile adispensare consigli e soprattuttonon fa pesare il fatto di esserefamoso.

Vedi il calcio nel tuo futuro?Spero di continuare a giocare eanche se non diventerò un gran-de giocatore, mi accontenterò digiocare per divertirmi.

Una sola domanda tra quelle chegl i abbiamo fat to è r imastasenza risposta: “Qual è il tuosogno nel cassetto?”, forse pertimidezza o per non soddisfarela nostra innata curiosi tà harisposto con un sorriso: “È unsegreto!”.Brandolino Mauro, il nostro aspirante organista

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DOMENICA 14 OTTOBRE 2001Prima messa celebrata a Pantianicco dal Padre salesianoDon Angelo, che sarà collaboratore di zona.

SABATO 3 NOVEMBREC’è stato il 1º raduno di tutte le mietitrebbie della zonacon la celebrazione della S. Messa.

DOMENICA 25 NOVEMBREFesta del Ringraziamento con la benedizione dei veicolialla quale ha fatto seguito il pranzo presso il capannonedella Coop. S. Luigi (buona partecipazione).

GENNAIO 2002È DAL MESE DI NOVEMBRE CHE NON PIOVE. IPRIMI 20 GIORNI LE TEMPERATURE HANNORAGGIUNTO ANCHE I -6º, POI C’È STATA NEBBIAE PIOGGIA.

DOMENICA 6 GENNAIOAccensione del tradizionale “Pan & Vin” alle ore 20.30

DOMENICA 20 GENNAIOLustri di matrimonio a Pantianicco.

FEBBRAIOIN MONTAGNA C’È STATA UNA GROSSA NEVI-CATA CON GRANDE SODDISFAZIONE DI TUTTI.IL RESTO DEL MESE È STATO NUVOLOSO E PIO-VOSO CON POCHE GIORNATE DI SERENO.

MARZOI PRIMI 20 GIORNI SONO STATI UGGIOSI, MA ILMESE È TERMINATO CON IL SERENO ANCHE SELA TEMPERATURA È ARRIVATA A 0º.

DAL 7 AL 10 MARZOPellegrinaggio a Medgjugorie.

SABATO 23 MARZORaccolta dei vestiti usati, scarpe e borse per la “Caritas”.

MERCOLEDI 27 MARZOIgnoti vandali per la terza volta, non riuscendo ad aprilei catenacci hanno sfondato la porta della Chiesetta di S.Antonio e sono entrati: “Non c’è niente da rubare!!!”…

GIOVEDI 28 MARZOInizio delle celebrazioni per la Settimana Santa con latradizionale Lavanda dei piedi presso la Chiesa diTomba.

VENERDI 29 MARZOTradizionale “Via Crucis” per il venerdì Santo, quest’an-no l’hanno “celebrata” Raffaele, Jan, Padre Riccardo,Tovar e Giovanni dalla Colombia.

SABATO 30 MARZOMessa del Sabato Santo per tutte le comunità aPantianicco.

APRILEUN MESE ALL’INSEGNA DELLA VARIABILITÀ:SERENO, NUVOLOSO E PIOVOSO. IL GIORNO 20C’È STATA UNA FORTE GRANDINATA.

DOMENICA 14 APRILEMostra Ornitologica presso il campo sportivo organizza-ta dalla Pro Loco. Pranzo presso il Capannone per laLaurea di Silvia Buttazzoni.

DOMENICA 28 APRILECresime presso la Chiesa di Pantianicco.

MAGGIOTEMPO VARIABILE CON TANTAUMIDITÀ, LE TEMPERATUREHANNO RAGGIUNTO ANCHE I 30º.

GIUGNOGIORNI DI SERENO PER QUASITUTTO IL MESE CON TEMPERA-TURE VICINI AI 36º E UNA FORTEUMIDITÀ. IL MESE SI È CONCLU-SO CON LA PIOGGIA, TROMBAD’ARIA A FLAIBANO.

DOMENICA 16 GIUGNOFesta di S. Antonio con la tradizionalelotteria del maiale.

C R O N C R O N A C A C AA

Pantianicco 01.04.02 - Padre Riccardo e Giovanni in visita a Pantianicco dalla Colombia.

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LUGLIOALTERNANZA DI CALDO AFOSO CON 35º EFREDDO UMIDO CON ABBASSAMENTO DI TEM-PERATURA.

DOMENICA 7 LUGLIOCome ogni anno si è rinnovato l’appuntamento con il“VII Memorial Christian Cisilino”, con un gran riscon-tro da parte dei giovani del paese.

SABATO 13 LUGLIOSi è rinnovato in piazza il tradizionale appuntamentoorganizzato dai giovani del paese con il “Purcit inPlace”. Quest’anno hanno partecipato circa 250 personeche hanno potuto godere di una piacevole serata.

DOMENICA 14 LUGLIORitiro spirituale presso la Chiesetta di S. Antonio.

DOMENICA 21 LUGLIOPranzo per la laurea di Raffaele Brandolino.Congratulazioni all’apprezzatissimo collaboratore dellaparrocchia.

SABATO 27 LUGLIOCena “Borg di Sot”.

AGOSTOVARIABILITÀ: SOLE, PIOGGIA E AFA. UN MESEANOMALO.

SABATO 31 AGOSTOPresso il Capannone della Coop. S. Luigi, apprezzatissi-ma da tutto il paese, si è svolta la cena a cui eravamotutti invitati: Alfonsino ha voluto in questo modo festeg-giare la sua quasi guarigione dopo lo spaventoso inci-dente.

SETTEMBREI PRIMI 20 GIORNI IL CIELO È STATO SERENO. INSEGUITO HA PIOVUTO E CI SONO STATI TEMPORA-LI. IL MESE SI È CONCLUSO CON IL BEL TEMPO.

VENERDI 20 SETTEMBREInizio festeggiamenti Sagra della Mela.

SABATO 28 SETTEMBREPranzo per gli anziani presso i tendoni della Sagra.

DOMENICA 29 SETTEMBREApertura dell’anno catechistico per la nostra zona pasto-rale.Pranzo per tutta la comunità presso i tendoni dellaSagra.

Pantianicco 2002 - La piazza dopo i lavori svoltidall’Amministrazione comunale.

I MIEI OTTANT’ANNIHo imparato che il mio voltonon sfiorisce con l’andar del tempo,anzi migliora a parer mio.Con l’avanzare degli annimi guardo il viso:sono le rughe invisibili del cuore,le accarezzo dolcemente e le nascondodietro un sorriso.Ogni giorno mi sveglio con lo stuporedella vita, della natura,di questi luoghi dove sono nata,ogni istante mi trovo a lottare

con piccoli problemi,con la felicità di essere ogni giorno vivae di essere me stessaanche se comporta qualche guaio:ma accetto questocercando il lato positivo in ogni cosa.Percorro la mia stradaconsapevole della mia forza,cammino affrontando le ripide salitedi queste montagne della vita.Grazie Signore!

Anno 2000Una compaesana

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ANNIVERSARI

Pantianicco 15.10.2002 - 25º

Anniversario di matrimonio di Anna

Monte e Luigino Manazzone

Pantianicco 19 gennaio 1957-2002

Fachin Ernesto e Manazzone Adelina festeggia-

no 45 anni di matrimonio.

Pantianicco 18 aprile 1942-2002

Nozze di diamante per Mattiussi Sereno e Cisilino

Lida.

RedazioneButtazzoni EnnioCisilino Elisabetta e ValentinaCovazzi AngeloCragno OffeliaDella Picca InesManazzone VilmoMolaro IsaToppano ElisaZotti Giulia

Ringraziamento

La redazione ringrazia tuttele persone che hanno contri-buito all’uscita di questogiornalino offrendo la propriadisponibilità, articoli, foto-grafie, offerte.Un sentito ringraziamentoa l l ’ A m m i n i s t r a z i o n eComunale per il prezioso con-tributo annuale.

CollaboratoriDon Giovanni BozBertolissi Cragno SaritaCisilino AldoCisilino ErosCisilino LidaCisilino GiovanniCisilino Remigio (Canada)Brandolino RaffaeleManazzone Luigino

Pantianicco, Carnevale 2002 -sei allegri compaesani lo festeggianodegnamente: un premio a chi li riconosce!

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VIVONO NELLA PACE DI DIO!

Mattiussi Serenoanni 87 - 26.05.2002

Tonello Lucianoanni 80 - 14.09.2002

Cragno Mercedes ved.Cisilino

anni 84 - 01.07.2002

Manazzone Mariaved. Cisilino

anni 84 - 15.12.2001

Moretton Bernardinoanni 77 - 07.10.2002

Cisilino Cristina in Cisilinoanni 74 - 02.04.2002

Consolaisi cun noducju vuatrisch’j us vin volût ben.J lassin un mont didolôrpar un di pâs.Sintinûs dongja,parce che l’amôral vîf par simpri.

SIGNORE, NON HO TEMPO

Sono uscito, Signore: fuori tutti andavano venivano, camminavano correvano.Correvano le bici, le macchine, i camion, la strada,la città, tutti…Arrivederci scusi… non ho tempoNon posso attendere, ripasserò… non ho tempoTermino questa lettera perché non ho tempoAvrei voluto aiutarti… ma non ho tempoNon posso accettare perché non ho tempoNon posso riflettere, leggere non ho tempoVorrei pregare, ma non ho tempoTu comprendi, Signore, vero?… non abbiamotempo…Il bambino gioca: non ha tempo subito più tardi…Lo scolaro deve fare i compiti: non ha tempo… piùtardi…Lo studente ha un sacco di lavoro: non ha tempo…più tardi…

Il giovane ha gli allenamenti da fare: non ha tempo…più tardiLo sposo novello ha la casa da arredare:non ha tempo… più tardi…Il padre di famiglia ha i bambini: non ha tempo… piùtardi…I nonni hanno i nipotini… non hanno tempo… piùtardi…Sono malati! Hanno le loro cure: non hanno tempo…più tardi.Sono moribondi, non hanno…Troppo tardi!… non hanno più tempo!…Signore, tu che sei fuori del temposorridi nel vederci lottare col tempo.Tu sai quello che fai e non ti sbagli quandodistribuisci il tempo agli uomini.Stasera ti chiedo di fare conscienziosamentenel tempo che Tu mi dai,quello che Tu vuoi che io faccia.

Realtà

Ecco qui la vita:l’avevo tra le mani.e mi è subito fuggita…Odio il tuo potere, morte

perché ipotechi il mio domanima questa è la nostra sorte.Canto te, amoreche se il trionfo della vitae duri anchequando è fermo il cuore.

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L A U R E E

STEFANO BIRARDA - figlio diMattiussi Milvia e Giuliano Birarda,si è laureato in Scienze Politiche pres-so l’Università degli Studi di Trieste,discutendo, con la chiarissimaProfessoressa Maria Paola Pagnini, latesi in materia di geografia politica “IlDivario Digitale” con votazione finaledi 110 e lode.Al neo dottore vivissime congratula-zioni e auguri da parenti e amici.

Il 9 luglio presso l’Università degliStudi di Udine, RAFFAELEBRANDOLINO si è laureato con ilpunteggio di 102/110 discutendo conil chiarissimo prof. Luca Selmi la tesiin microelettronica dal titolo:“Caratterizzazione della corrente digate di Mosfet con ossidi di silicioultra-sottili”. Al neo dottore inIngegneria Gestionale felicitazionevivissime per l’ottimo risultato rag-giunto e “in bocca al lupo” per il futu-ro ingresso nel mondo del lavoro dafamigliari e amici.

Il giorno 11 aprile 2002 pressol’Università degli Studi di Trieste si èlaureata a pieni voti in ScienzePolitiche SILVIA BUTTAZZONI,figlia di Ennio e Isa Molaro, discuten-do la tesi in Sociologia dal titolo:“L’identità friulana nell’epoca dellaglobalizzazione: un’analisi dei sitiweb riguardanti la friulanità”.Relatore: chiar.mo prof. GiovanniDelli Zotti, correlatore: Dott. PaoloRoseano.Per questa tesi di laurea Silvia è statapremiata da parte della SocietàFilologica Friulana ed è stata intervi-stata da Paolo Cantarutti di radioOnde Furlane. Complimenti a Silvia!

BIGOTTO MARCO , nipote diLuigina Visentini, si è laureato convoto 110 in Ingegneria Gestionale,discutendo la tesi: “Analisi di unMicrosistema per la generazione dienergia”.11 aprile 2002 - CONGRATULA-ZIONI

Milano - novembre 2001RENATA CISILINO, figlia di Italo eMaria Pia ha sostenuto l’esame distato per esercitare la professione diavvocato.Vivissime felicitazioni e congratula-zioni.

Il giorno 18.10.2002 pressol’Università degli Studi di Udine, si èlaureato in INGEGNERIA CIVILE,FABBRO IVANO, figlio di Adino eGiacomini Maria, discutendo la tesi“Durabilità del calcestruzzo normalee ad alte prestazioni: modellazionedegli effetti della penetrazione deicloruri”.Relatore chiar.mo prof. NatalinoMattesco.

AI NEO DOTTORI VIVISSIME FELICITAZIONI DA PARTE DELL’INTERA COMUNITÀ DI PANTIANICCO

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MatrimoniMatrimoni

Rocco Eugenio, Cordenons Simonetta e Rocco Emanuele- Pantianicco, 03.08.2002

Cisilino Andrea e Giavedoni Marina, Codroipo 06.07.2002Bisaggio Fausto e Benedetto Sara, Grions 15.12.2001

Santeodoro Cristina e Uliana Eddy, Pantianicco 07.09.2002

Manazzone Mariella e Marchese Luigino, Pantianicco21.09.2002

Consentino Cosimo e Calò Federica, Carbonara Nola(NA), 02.05.2002

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Tomba 14 ottobre 2001 - Hanno ricevuto la PrimaComunione:CANNELONGA Michele NICOLETTI MatteoDE MARCO Christian PIRON SamanthaDEL MESTRE Luca QUERIN GiuliaDEL MESTRE Roberto TOPPANO GessicaFACHIN Leonardo VIOLINO MattiaMANZON Lisa

Prima Comunione Battesimi

Cresime

BARBIERI Andrea

BROTTO Federica

BRUNO Andrea

CASTENETTI Marco

CISILINO Mirko

COMINATO Genny

DE GIORGIO Stefano

DE GIORGIO Davide

D’ODORICO Giulio

FABRO Jessica

MICOLI Sara

MOLARO Michele

TONASSO Marco

TOPPANO Paolo

TOPPANO Simone

VERSACI Stefania

28 aprile 2002 - Celebrante: arcivescovo Mons. PIETRO BROLLO

Toppano Chiara di Cristian e Chittaro RaffaellaBattezzata il 29.09.2002

Rocco Emanuele di Eugenio e di Cordenons SimonettaBattezzato il 03.08.2002