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1 QUESTO NUMERO È INTERAMENTE DEDICATO AL REPORTAGE: APICOLTURA NELLA FORESTA DEL BENGALA (SUNDERBAN) di Padre Luigi Paggi s.x. In Bangladesh l’apicoltura secondo la nostra tecnologia occidentale non ha molti anni di vita. Deve essere iniziata soltanto una quindicina di anni fa. Ma la raccolta del miele ha una lunga tradizione che viene avanti da secoli, forse da millenni. Nei villaggi adiacenti la foresta del Bengala (nella lingua locale chiamata Foresta del Sunderban) il lavoro di raccolta del miele è svolto dai “mouali(raccoglitori di miele: nella lingua bengalese mou significa cera). Per circa otto mesi all’anno questi mouli si avventurano nella foresta con le loro barchette sfidando la famosa tigre reale del Bengala, coccodrilli e serpentacci vari. Oltre agli animali feroci nella foresta trovano rifugio i “jolodosshu(banditi dell’acqua), gente che ha commesso qualche crimine punibile con la pena di morte. Per evitare la galera e l’impiccagione questi criminali si annidano nella foresta e vivono per lo più sulle barche (per questo sono chiamati banditi dell’acqua). Ma devono pur sopravvivere anche loro e spesso sequestrano chi ha il coraggio di avventurarsi nella foresta che deve poi essere riscattato a caro prezzo. I mouali, oltre al pericolo degli animali feroci, devono affrontare anche quello del sequestro da parte dei jolodoshhu. E quindi ogni volta che i mouali partono in cerca di miele si affidano a Bon Bibi (Foto 1), la Signora della Foresta, la divinità femminile che dovrebbe proteggerli e dagli animali feroci e dai banditi dell’acqua. Il miele che i mouali raccolgono nella foresta è prodotto da un tipo di ape chiamato nella lingua locale “dash poka[Apis dorsata, ndr]. Si tratta di un’ape molto grossa e piuttosto rabbiosa (Foto 2).

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    QUESTO NUMERO È INTERAMENTE DEDICATO AL “REPORTAGE”:

    APICOLTURA NELLA FORESTA DEL BENGALA (SUNDERBAN) di Padre Luigi Paggi s.x.

    In Bangladesh l’apicoltura secondo la nostra tecnologia occidentale non ha molti anni di vita. Deve essere iniziata soltanto una quindicina di anni fa. Ma la raccolta del miele ha una lunga tradizione che viene avanti da secoli, forse da millenni. Nei villaggi adiacenti la foresta del Bengala (nella lingua locale chiamata Foresta del Sunderban) il lavoro di raccolta del miele è svolto dai “mouali” (raccoglitori di miele: nella lingua bengalese mou significa cera). Per circa otto mesi all’anno questi mouli si avventurano nella foresta con le loro barchette sfidando la famosa tigre reale del Bengala, coccodrilli e serpentacci vari. Oltre agli animali feroci nella foresta trovano rifugio i “jolodosshu” (banditi dell’acqua), gente che ha commesso qualche crimine punibile con la pena di morte. Per evitare la galera e l’impiccagione questi criminali si annidano nella foresta e vivono per lo più sulle barche (per questo sono chiamati banditi dell’acqua). Ma devono pur sopravvivere anche loro e spesso sequestrano chi ha il coraggio di avventurarsi nella foresta che deve poi essere riscattato a caro prezzo. I mouali, oltre al pericolo degli animali feroci, devono affrontare anche quello del sequestro da parte dei jolodoshhu. E quindi ogni volta che i mouali partono in cerca di miele si affidano a Bon Bibi (Foto 1), la Signora della Foresta, la divinità femminile che dovrebbe proteggerli e dagli animali feroci e dai banditi dell’acqua. Il miele che i mouali raccolgono nella foresta è prodotto da un tipo di ape chiamato nella lingua locale “dash poka” [Apis dorsata, ndr]. Si tratta di un’ape molto grossa e piuttosto rabbiosa (Foto 2).

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    Per proteggersi dal pungiglione di queste api l’attrezzatura dei mouali è piuttosto rudimentale: una torcia fumogena e una “gamcha” (fazzolettone) con il quale si coprono la faccia (Foto 3). Questa ape mastodontica costruisce un favo enorme normalmente sui rami delle piante all’interno della Foresta (Foto 4 e 5) ma si possono trovare dei favi anche nei luoghi abitati (Foto 6). Il favo può contenere fino a 10 chili di miele e viene tagliato dai mouali con un falcetto e raccolto in cestini. Viene poi schiacciato a mano e messo in appositi contenitori. Chiaramente questo tipo di ape che costruisce un solo favo non si può addomesticare e racchiudere in un arnia, per cui l’apicoltura cosiddetta scientifica con l’ape mastodontica della foresta è da abbandonare. Un tipo di apicoltura di tipo occidentale è possibile con l’ape “Indiana” che è molto piccola. Questo tipo di ape è addomesticabile e può costruire dai cinque ai sette favi e quindi è possibile racchiuderla in una arnietta di piccole dimensioni. Essendo di piccole dimensioni e per di più piuttosto pigra (come la gente del Subcontinente Indiano.) l’apicoltura con questo tipo di ape non si presta per una buona produzione di miele. Una quindicina di anni fa qualcuno ebbe la brillante idea di importare dall’Australia l’ape mellifera. Quest’ape di medie dimensioni è instancabile e per otto mesi all’anno può produrre una buona quantità di miele. Il periodo di inattività per l’ape mellifera è quello della stagione delle piogge durante il quale ci sono solo fiori ornamentali. In questo periodo l’ape mellifera va custodita con cura perché è esposta a vari pericoli che potrebbero indebolirla e provocarne l’estinzione. L’apicoltura con l’ape mellifera è per lo più un tipo di apicoltura nomade. Le varie arnie da ottobre a maggio vengono portate dove ci sono fiori in abbondanza. I fiori da cui l’ape mellifera ricava miele in abbondanza sono quelli del ravizzone (ottobre-novembre e dicembre), quelli della fioritura dei manghi e dei lici (gennaio-febbraio) e i fiori della foresta (marzo-aprile e maggio).

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    Sapendo che l’apicoltura potrebbe essere una buona fonte di guadagno, lo scorso autunno a due ragazze Munda (Sushoma e Bahamoni) fu offerta la possibilità di addentrarsi nel mondo meraviglioso delle api (Foto 6-14). Con un corso di due mesi finanziato dal Governo del Bangladesh, Sushoma e Bahamoni Munda impararono i primi rudimenti di apicoltura che incominciarono a praticare con l’acquisto di 5 arnie e di una macchina per smielare. Quest’anno a gennaio Sushoma e Bahamoni dalla prima smielatura ottennero una trentina di chili di miele. Incoraggiate da questo successo alle 5 arnie di loro proprietà ne aggiunsero altre 5 arrivando così a duplicare la produzione di miele. Per le spese di acquisto delle arnie e della macchina per smielare le due ragazze avevano ottenuto un prestito di circa 300 Euro da una ONG (organizzazione non governativa). Il prestito è già stato restituito perché dalla Bottega della Solidarietà di Sondrio è arrivato un contributo di 400 Euro. Adesso Sushoma e Bahamoni Munda sono padrone di 10 arnie. Hanno in mente di raddoppiarne il numero il prossimo anno. Tra i Munda della foresta del Bengala Sushoma e Bahamoni sono le prime apicoltrici. Senz’altro qualcun’altro seguirà il loro esempio! Il miele delle loro api al momento è già arrivato fino a Dhaka, la capitale (Foto 15 e 16). Chissà mai che prima o poi il miele Mundarico non possa andare anche più lontano! 21 Giugno 2014, dalla Foresta del Bengala, Luigi Paggi

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    Foto 1 (da Internet) Uno dei tanti altarini dove vengono deposte le “offerte” a Bon Bibi, la Signora della Foresta, divinità femminile che dovrebbe proteggere i mouali dagli animali feroci e dai banditi dell’acqua.

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    Foto 2 (da Internet) La feroce ed inaddomesticabile “dash poka” (Apis dorsata).

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    Foto 3 (da Internet) Per proteggersi dal pungiglione delle api “dash poka”, l’attrezzatura dei mouali è piuttosto rudimentale: una torcia fumogena e una “gamcha” (fazzolettone con il quale si coprono la faccia).

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    Foto 4 (© Luigi Paggi) Il favo gigantesco costruito dalla mastodontica ape “dash poka” su un albero della Foresta.

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    Foto 5 (© Luigi Paggi) Il favo della “dash poka” può contenere fino a 10 chili di miele.

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    Foto 6 (© Luigi Paggi) Si possono trovare dei favi della “dash poka” anche nei luoghi abitati.

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    Foto 7 (© Luigi Paggi) Le prime arnie per l’allevamento della addomesticabile ape mellifera.

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    Foto 8 (© Luigi Paggi) Le prime “lezioni” del corso di apicoltura.

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    Foto 9 (© Luigi Paggi) Le orgogliose apicoltrici: Sushoma Munda e Bahamoni Munda!

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    Foto 10 (© Luigi Paggi) Dopo aver “addomesticato” le api… ed imparato il “mestiere”… Sushoma e Bahamoni possono operare senza alcuna protezione.

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    Foto 11 (© Luigi Paggi) Le arnie vanno poste in luogo ombreggiato.

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    Foto 12 (© Luigi Paggi) Le arnie devono essere protette con un telo di plastica dalla pioggia..

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    Foto 13 (© Luigi Paggi) Smielatura “a mano”.

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    Foto 14 (© Luigi Paggi) La macchina per smielare.

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    Foto 15 (© Luigi Paggi) Il prodotto preparato a Dhaka per la commercializzazione.

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    Foto 16 (© Luigi Paggi) Guardare l’etichetta... e diffidare dalle imitazioni!

    L’unico vero

    আদিবাসী মুন্ডা সম্প্রিায়ের মধু MIELE DELLA COMUNITÀ INDIGENA MUNDA!

    Un vasetto da un chilo costa

    ২৫০ টাকা 250 Taka

    cioè 2,50 Euro.

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    Note di redazione

    Padre Luigi Paggi, missionario in Bangladesh da più di quarant’anni, è originario di Sorico (CO) e in occasione delle sue rare e brevi visite al paesello natio… ha voluto approfondire la sua conoscenza dell’apicoltura visitando i piccoli allevamenti locali, intuendo la possibilità di farne una preziosa risorsa per i Munda del Sunderban, a cominciare dalle ragazze della sua missione (Jisur nam Ashrom) ai margini della Foresta.

    Per chi fosse interessato ad approfondimenti sull’apicultura quale risorsa per le fasce più povere della popolazione rurale del Bangladesh, ecco i riferimenti a documenti online nella Library del Munda Education Centre:

    Mowal the honey collectors http://issuu.com/munda.education.centre.bd/docs/mowal_the_honey_collectors

    Welcome to apicolture in Bangladesh http://issuu.com/munda.education.centre.bd/docs/welcome_to_apicolture_in_bangladesh

    Beekeeping in Bangladesh http://issuu.com/munda.education.centre.bd/docs/beekeeping_in_bangladesh

    - - - I numeri arretrati di sono online all’indirizzo:

    http://issuu.com/munda.education.centre.bd