QUELLA UTOPIA CHE...QUELLA UTOPIA CHE SOPRA: finto testo dida trattore. A DESTRA: La raccolta del...

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2 GALATEA Campeggine, Reggio Emilia. A metà giornata di metà agosto dell’estate canicolare. La prima scena della coo- perativa di agricoltura biologica “La Lucerna” è il set, il paradigma di questa estate: la macchina rossa per instal- lare le piantine di insalata avanza lenta in pieno sole nel campo di terra gialla, Daniele, figlio di Pietro, e Paolo sono seduti a rimorchio e infilano le piantine – una per una – nei cilindri che le innestano nella terra, Pietro gui- da il trattore e di continuo scende tra i solchi davanti al- la macchina, controlla e aggiusta i filari, si piega, rad- drizza e reinnesta davanti e a sinistra. Dalla terra polve- rosa non si alza polvere, non si alzano voci, nell’aria fer- ma, nella luce ferma del sole. Di questa terra che lavora insieme agli altri e di questa stagione Pietro Ghirardini, presidente della cooperativa dice: “Un anno come quest’anno mi sta avvilendo, lotta- re contro la stagione è lottare contro i mulini a vento. Ab- biamo fatto cinquanta notti di gelo, l’ultima gelata è sta- società Nell’Inghilterra del seicento avrebbero fatto parte dei movimenti utopisti sociali e religiosi - livellatori, “diggers” zappatori, “ranters” predicatori - all’interno della rivoluzione cromwelliana, nell’Italia cattolica hanno le loro radici nel cristianesimo che si dedica ai poveri e agli svantaggiati. Cooptati dal movimento europeo dell’agricoltura biologica, ne sono promotori nel Bel Paese. Fondano una delle esperienze più coerenti di cooperazione tra diversi e di impresa agricola rispettosa della natura e della salute sociale. Sono quelli de “La Lucerna”. Nell’Italia delle devastazioni, dei condoni edilizi e dei conflitti impudenti di interessi, fanno notizia. di Piero Del Giudice QUELLA UTOPIA CHE SOPRA: finto testo dida trattore. A DESTRA: La raccolta del pomodoro.

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    Campeggine, Reggio Emilia. A metà giornata di metàagosto dell’estate canicolare. La prima scena della coo-perativa di agricoltura biologica “La Lucerna” è il set, ilparadigma di questa estate: la macchina rossa per instal-lare le piantine di insalata avanza lenta in pieno sole nelcampo di terra gialla, Daniele, figlio di Pietro, e Paolosono seduti a rimorchio e infilano le piantine – una peruna – nei cilindri che le innestano nella terra, Pietro gui-da il trattore e di continuo scende tra i solchi davanti al-

    la macchina, controlla e aggiusta i filari, si piega, rad-drizza e reinnesta davanti e a sinistra. Dalla terra polve-rosa non si alza polvere, non si alzano voci, nell’aria fer-ma, nella luce ferma del sole. Di questa terra che lavora insieme agli altri e di questastagione Pietro Ghirardini, presidente della cooperativadice: “Un anno come quest’anno mi sta avvilendo, lotta-re contro la stagione è lottare contro i mulini a vento. Ab-biamo fatto cinquanta notti di gelo, l’ultima gelata è sta-

    società

    Nell’Inghilterra del seicento avrebbero fatto

    parte dei movimenti utopisti sociali e

    religiosi - livellatori, “diggers” zappatori,

    “ranters” predicatori - all’interno della

    rivoluzione cromwelliana, nell’Italia cattolica

    hanno le loro radici nel cristianesimo che si

    dedica ai poveri e agli svantaggiati. Cooptati

    dal movimento europeo dell’agricoltura

    biologica, ne sono

    promotori nel Bel Paese.

    Fondano una delle

    esperienze più coerenti

    di cooperazione tra

    diversi e di impresa

    agricola rispettosa della

    natura e della salute

    sociale. Sono quelli de

    “La Lucerna”. Nell’Italia delle devastazioni,

    dei condoni edilizi e dei conflitti impudenti

    di interessi, fanno notizia. di Piero Del Giudice

    QUELLA UTOPIA CHE

    SOPRA: finto testodida trattore.

    A DESTRA: La raccoltadel pomodoro.

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    ta l’8 aprile, non c’è stata primavera ed è cominciata l’e-state. E’ stata massacrante. Se hai la stagione e riesci aprendere un ritmo tu sai già che quando piove aggiusti,prepari. Così ti scombina tutto. Sono tre mesi che annaf-fio tutti i giorni continuamente, non faccio altro che ba-gnare”. Nella pianura padana l’acqua per esserci c’è, mabisogna sostituirsi a tre mesi di siccità e a quelli della Lu-cerna, come a tutti, più che a tutti sono venuti “cattivipensieri”, come dice Paolo Arduini, vicepresidente del-

    la cooperativa: “Ho avuto dei brutti pensieri con questastagione un po’ strana, mi sono chiesto delle responsabi-lità dell’uomo – nel clima mutato, nello scioglimentodei ghiacciai – me lo sono chiesto ed ho pensato di sì. Spe-ro che non sia troppo tardi per tornare indietro. Spero checi sia la possibilità di riscendere un attimo. Spero.”Una stagione. Forse ce ne dimenticheremo, forse se ne di-menticheranno quelli della Lucerna. Ma questo assedioqui intorno alle loro terre segnate dalle siepi, la succes-

    S I CHIAMA LUCERNA

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    sione continua di case, costruzioni, capannoni, tralicci?La pianura padana che altro non è che un contenitore dicolate di cemento, di autostrade, di strade, di nuove stra-de ad alta velocità? Paolo: “La pianura, sempre più stret-ta, chimicizzata. Credo che con la terra che abbiamo sia-mo giusti, ma quando esco da qui vedo dei terreni che daagricoli sono passati a industriali, a edificabili. Anche at-torno a noi stiamo lottando coi denti, stanno lottandocon i denti i contadini contro l’espansionismo industria-le. Mi viene un colpo al cuore quando vedo tutti i can-tieri che ci sono adesso, costruzioni futuristiche incredi-bili che mangiano terra alla agricoltura. Mi fa male alcuore, sto male”.Una storia diversa. Un’impresa diversa. Un gruppo digiovani cattolici, uomini e donne, con rapporti inter-

    personali che si fondano nell’adolescenza in parrocchia enel volontariato, una visione della vita come pratica discambio con i poveri. Dopo le prime esperienze, le pri-me prove – raccolte di stracci, assemblaggio, due stanzeda dividere tutti, diversi e normali – la nostalgia dellaterra, il ritorno alla terra. Così comincia la storia dellacooperativa di agricoltura biologica La Lucerna su que-ste terre nel 1987. Ci voleva coraggio e l’hanno avuto. Inquegli anni di biologico si parlava in qualche regioned’Europa, poco o niente in dialetto emiliano. Pietro, pe-rito agrario, lo dice così: “Abbiamo affrontato il proble-ma del biologico quando non c’era quasi niente. Si sape-va di gente in Germania, in Svizzera e in Francia, ma ilmovimento italiano non c’era. Ci siamo posti il proble-

    ma dal punto di vista etico. Ci sono persone che produ-cono da mangiare per sé e per la gente, rifiutando di uti-lizzare diserbanti e cose che avvelenano noi e il terreno,perché non provare noi anche in base a tutti i principi eti-ci e religiosi che abbiamo? Anche da un punto di vista difede il Signore ci ha messo come custodi del terreno, delCreato, non come padroni. I custodi cercano di fare il me-glio possibile e cercano anche di preservare, salvaguar-dare il terreno, la fertilità. Tutto questo è stato donato,noi prendiamo quello che c’è. Abbiamo provato, conmolto scetticismo il primo anno. Certo, sono perito agra-rio, ma ho fatto una scuola dove non si parlava affatto dibiologico, l’impostazione era il concime chimico, il di-serbante, l’antiparassitario. Abbiamo fatto un corso, ab-biamo conosciuto un altro coltivatore e ci siamo resi con-

    to che non era una cosa così stratosferica. Abbiamo pro-vato e la roba veniva. Più parlavamo, più conoscevamoaltre persone, più ci rendevamo conto che era giusto, cheera una scelta doverosa. Bene o male è l’unica strada chepossa dare un futuro, garantire un futuro anche alle ge-nerazioni che vengono. Il terreno se non lo rispetto si de-sertifica. La fertilità c’è, è una cosa che si riproduce, si ri-genera, però l’uomo può anche distruggerla. Il movi-mento si è allargato, abbiamo conosciuto altra gente, so-no arrivate le leggi, c’è stato un riconoscimento della va-lidità della scelta. Contemporaneamente andava avantila costruzione della cooperativa, del modo di lavorare,del modo di organizzarci, di dividere i soldi, nel frat-tempo si sono formate delle famiglie, sono nati i figli, il

    Il terreno se non lo rispetto si desertifica. La fertilità c’è, è una cosa

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    gruppo si è ingrandito.” Paolo: “I concimi sintetizzati inlaboratorio vengono dati direttamente alla pianta, ilconcetto dell’agricoltura biologica è che nutri il terrenoe poi il terreno da alla pianta le sostanze di cui questa habisogno. Coltivare in questo modo è più lento perchédebbo aspettare che sia il terreno a dare, che abbia il suociclo, se invece voglio avere una cosa veloce do il conci-me direttamente alla pianta, le devo dare un concime chela spinga subito ed è contro natura. Questo impoverisceil terreno, è come crescere un bambino tenendolo sem-pre sulla carrozzella, ma nel momento in cui vuole cam-minare non lo sa fare…Ho visto un campo di pomodoriqui vicino, nel giro di due giorni è diventato rosso, eratutto verde, allora gli hanno dato sopra una sostanza chelo ha fatto maturare, ma non è maturato per il sole, per

    l’acqua. E questa sostanza dove va a finire? Quanto nuo-ce a chi la mangia? E nel terreno dove si ferma? Cosa c’èsotto, arriva all’acqua?”.Le culture si incrociano, il rispetto dell’ecosistema di-venta una pratica di fede, la protezione della terra e deicicli stagionali è responsabilità verso gli altri viventi eopzione sul futuro. Per sapere da dove vengono questeconvinzioni e dove mette radici la sua cultura Paolo – giàvolontario con i tossicodipendenti, già attivo in parroc-chia, anche perito agrario – affronta la sua biografia: “Iovengo da una famiglia di contadini. Mio nonno era con-tadino, mio padre veterinario che però mi ha sempre par-lato di quando lavorava nella stalla con suo padre. Un po’nel sangue ce l’ho, me lo sento addosso. Quando parlo del

    nutrire il terreno piuttosto che la pianta che voglio col-tivare, tutte le volte che parlo ho questa immagine dellemie zie nei campi a portare l’erba, di quando mia zia michiudeva nella stalla, voleva mungere e non voleva cheandassi in giro a fare danni, mi chiudeva nello stallinodove tenevano i bidoni del latte quando ero da loro incampagna. Ce l’ho e me la sento”. Per camminare all’in-dietro sulle strade di Pietro, di sua moglie Giuliana e dialtri soci della Lucerna bisogna parlare della grande espe-rienza delle “case della carità” in Emilia.Fontanaluccia è un piccolo paese dal nome gentile sul-l’alto Appennino. Una comunità di qualche centinaio diabitanti. Questo teatro montano di un disegno di Dio,lo si incontra a mille metri di altezza facendo il passo diSan Pellegrino sulla montagna tra Modena e Reggio:

    “La chiesina e poco altro, la piazzettina, il cinemetto,frazioni, borghetti, c’è ancora l’ospizio, la prima Casa diCarità, ristrutturata è diventata la casa madre superioredella congregazione mariana della case della carità.” Laprima Casa della Carità viene fondata durante la guerraa Fontanaluccia da un uomo schietto, deciso, con un for-te carisma, don Mario Prandi, parroco di quel postosperduto nella montagna, che decide di affrontare legrandi miserie e tribolazioni di quegli anni e di queiluoghi, non solo con preghiere, ma con opere. Apre laparrocchia e ospita anziani, malati, svantaggiati. La pre-dicazione di don Prandi guadagna altri passi e altremontagne, si diffonde sull’Appennino e scende per levalli in pianura, la sua volontà e le sue opere sono così

    che si riproduce, si rigenera, però l’uomo può anche distruggerla.

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    coinvolgenti ed efficaci da creare un movimento che di-vulga le sue esperienze e le sue case in una trentina diparrocchie dell’Emilia e in una decina di missioni inpaesi del Terzo Mondo, India, Brasile, Madagascar. Ilpovero è la nostra ricchezza, diceva don Prandi. E i gio-vani che fondano la Lucerna lo prendono in parola. Conloro lavorano, alla loro mensa mangiano, con loro vivo-no poveri e svantaggiati. Giuliana, moglie di Pietro emamma di Daniele – quello che innesta piantine di in-salata nel campo d’agosto, ha 15 anni e studia agraria –e poi di Giovanni 13 anni, di Gemma 10, di Matteo 6anni e del piccolo Filippo di 3 anni, si occupa soprat-tutto della casa – di tutti , prepara il pranzo e cura l’al-lestimento dello spaccio e la vendita al minuto dei pro-dotti. Giuliana che ha una sorella suora nelle Case dellaCarità dice: “Mi ha spinto all’inizio il fatto di lavorarecon altre persone. Creare legami, rapporti con le perso-ne è la cosa più bella, soprattutto anche con persone chehanno un po’ difficoltà nel mondo comune a inserirsi, atrovare il loro posto. Sono persone che hanno molto dadare agli altri, c’è una povertà che ci si scambia, noi ab-

    biamo la nostra povertà.Da loro ricevo molta ac-coglienza.” L’accoglien-za, altro punto cardine diquesti cattolici. Il lavorosi paga, l’accoglienza sidona. Lucia Bonazzi, so-cia storica della coopera-tiva, addetta alla bottegadi vendita con Giuliana ea cento altre mansioniparla dei soggetti del-l’accoglienza: “L’essen-ziale della vita sfuggequando ci si lascia andare troppo dal correre, dalla pro-duttività, dall’efficentismo. Persone che non possonocorrere troppo, non possono essere produttive, hanno unmodo di vivere più semplice e i valori normali riesconoad avere più spazio. Io ci sto bene con certe persone, rie-sco probabilmente ad avere un rapporto abbastanza in-tenso anche con persone in difficoltà, a me sembra così.Il discorso del lavorare mi piace perché riesco ad offrireanche a loro delle opportunità che non potrebbero riu-scire ad avere se noi non facessimo questa proposta. E’facile calpestare certe persone, perché quando si correnon si sta attenti e sono le persone più fragili. Poi è un

    discorso di giustizia. Non mi sembra che sia giusto per-ché magari io sono più dotata, ho delle possibilità chealtre persone meno dotate non hanno, che io non condi-vida.”E’ sul tema della giustizia che in Emilia Romagna si con-frontano e spesso si fondono dai primi decenni del seco-lo la cultura laica della eguaglianza e la cultura cattolicadella solidarietà. Dalle esperienze dei “piccoli apostoli”a quella della “case della carità”, da don Zeno della cittàdei ragazzi a Dossetti, dal fronte comune contro il fasci-smo all’aiuto agli ebrei. L’Emilia è stata e in parte rima-ne il laboratorio di queste esperienze e delle sinergiemesse in atto dai due grandi filoni popolari. Tuttavia, con il mondo in generale come va, con l’Italiacome paese come va, la cooperativa La Lucerna rischia divivere in una ridotta o in un altro pianeta. Le tecniche perevitare l’isolamento sono state messe in atto sin dalla fon-dazione. Buoni i rapporti con gli agricoltori vicini. I con-tadini dei campi che confinano con i 36 ettari della coo-perativa hanno accolto la novità di questo gruppo di gio-vani, che si è avventurato nelle campagne portando il

    verbo nuovo delle colti-vazioni biologiche, constupore e con speranza.Poi la scelta decisiva del-la vendita diretta al det-taglio sia con lo spacciointerno, sia con la vendi-ta ambulante nei tre mer-cati del biologico - mar-tedì a Modena, giovedì aCarpi, sabato a Reggio.Ottantamila contattiesterni in un anno non so-no pochi, tanti sono i ta-

    gliandi di vendita. Il biologico ha un suo mercato, unasua clientela. Arrivano in bicicletta, in agosto, nella sto-rica e bella p.za Fontanesi ai banchi della Lucerna. Mol-te coppie giovani, figure eccentriche della città, signoredall’aria intelligente e civile. Produttori del biologico econsumatori fanno un tutt’uno. L’estraneità e l’astio, ilregime di necessità e di rivendicazione che caratterizza edivide produttori, distributori e consumatori dei pro-dotti convenzionali, lascia il passo a rapporti diversi e al-ternativi, a comprensione e solidarietà, a franchezza etrasparenza. E insieme alle nuove culture del consumosono intervenuti i finanziamenti della Comunità euro-

    Ottantamila contatti esterni in un anno non sono pochi, tanti sono in un anno

  • pea e della Regione. Anche se: “Sono due anni – dice Pao-lo - che la comunità europea dà poco e niente. Sino a dueanni fa finanziavano i metri quadrati di siepe che im-piantavi. Ti obbligavano a mettere giù la siepe perché èun fattore fondamentale per l’agricoltura biologica. Perl’ecosistema, la siepe intorno che fa da barriera, che fa daprotezione, che fa da nidi per gli uccelli che ti aiutanonella coltivazione, nidi per gli insetti utili. Adesso nonlo fanno più anche perché nel biologico è finito un po’ ditutto c’è gente che l’ha fatto solo perché c’erano dei fi-nanziamenti.” Il reseau della Lucerna è questo: prima di tutto i sei so-ci che lavorano e i rapporti tra questi soci, attorno a lo-ro una quarantina di soci sostenitori della cooperativa.I loro rapporti sono di continuo saldati e attivati dalleriunioni settimanali e mensili, le ore di preghiera e leassemblee, le messe e i seminari di discussione. Subitoattorno a questo nucleo i soci “conferitori”, poi i vicinidi campo e di cascina e quotidianamente o settimanal-mente il contatto diretto con la gente attraverso la ven-dita al minuto nella bottega interna e i banchetti sui

    mercati. Ma soprattutto quelli della Lucerna si sento-no e sono dentro un movimento del nuovo e del rispet-to dell’ambiente, un movimento con forti pulsioni al-l’eguaglianza e allo scambio equo. E’ così che ci si met-te a fianco dei popoli più sfruttati della Terra, al TerzoMondo. Nella cooperativa - anche lui agronomo, an-che lui cattolico con forti esperienze di volontariato – èsoprattutto Paolo Vincenzi che porta avanti questo di-scorso. Ha fatto il servizio civile volontario internazio-nale in Madagascar in un programma per lo sviluppo diaziende agricole. Il suo racconto sulle coltivazioni delcaffè in collina e del riso in pianura, delle paludi, delmare e delle falaises, delle aziende nazionalizzate e de-gli ultimi coloni europei con mogli malgasce rimasti inMadagascar, è dettagliato, pieno di nostalgia per quel-la esperienza e quelle culture diverse. Da quella espe-rienza passa in Italia in una azienda agricola conven-zionale che però ospita per stages e corsi di formazionegiovani agricoltori o studenti di paesi terzi. Da lì al bio-logico e alla Lucerna: “In questi anni le distanze si so-no molto accorciate, persone dal Terzo Mondo ne pas-

    i tagliandi di vendita. Il biologico ha un suo mercato, una sua clientela.

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    sano tante, la possibilità di inserirsi nei progetti è mol-to maggiore, è nato il discorso del commercio equo so-lidale, che è parente del biologico e parente con i pro-getti di sviluppo. A lungo andare credo che l’importa-zione di prodotti agricoli da parte dei paesi sviluppatidai paesi sottosviluppati andrà ad aumentare, l’esigen-za del biologico andrà ad affermarsi. Ma questo com-mercio va fatto con modalità diverse da quello che stan-no avvenendo. Ci sono banane e ananas da agricolturabiologica vendute in negozi da agricoltura biologica,non sempre sono anche da commercio equo e solidale,non sempre dietro questi prodotti c’è uno sviluppo rea-le delle popolazioni che li producono e li coltivano.”Dunque, qual è il sogno? “Sogni ne ho tanti. Potrebbeessere trasmettere la nostra esperienza, quella fatta qui.

    La nostra esperienza è un capitale che potrebbe far co-modo ad altri popoli, ad altri gruppi, basta guardarel’Albania, per arrivare sino all’Africa e via. Questo ca-pitale di esperienza potrebbe essere trasmesso. Potreidare molto di più oggi di quello che ho dato quando so-no andato a 20 anni in Madagascar. Potrei trasmettereuna esperienza tecnica e anche culturale molto mag-giore. Si può fare spostandosi là, si può fare accoglien-do persone che vengono qui, si può fare con il commer-cio, potremmo anche avere una cooperativa all’esteroche ci fornisce alcuni prodotti che non possono esserecoltivati qui o che è meglio coltivare là e noi occuparcidella commercializzazione”.I soci “conferitori” sono una voce crescente della rete

    duttile di rapporti della Lucerna. Conferiscono alcunecooperative del sud olio e altri prodotti, cooperative deltrentino mele e altre frutta, conferiscono soci che si di-vidono tra il lavoro nelle terre affittate dalla Lucerna eproprie coltivazioni. Uno di questi è Dario Mazzoni chequest’anno ha fatto una vendemmia eccezionale. Dario29 anni, nonni contadini, padre ceramista tutta la vita,qualche problema: “La terra era dei nonni a Barco di Bi-biano. Ho cominciato a mettere su i filari nel ’98. Quelvigneto lì è diviso in tre settori, una parte è più giova-ne, una parte è più vecchia. C’è l’irrorazione d’acqua agoccia. Quest’anno abbiamo avuto alcuni problemi conun tipo d’uva, la Lancellotta, una malattia che chia-miamo “flavescenza dorata”. L’abbiamo combattuta eabbiamo perso un centinaio di piante. Ci sono 76 filari

    per 2500 piante, abbiamo perso poco. Ricaviamo 500quintali d’uva e l’uva si vende al quintale a 45/50 euromassimo. Ci tiro fuori un po’ di soldi. Prima di inizia-re a lavorare ho fatto un po’ di esperienza alla casa del-la carità di Carvriago. A quei tempi c’era la sorella del-la Giulia e mi ha consigliato - Vè c’è mia sorella che cer-ca delle persone da lavorare, se vuoi provare -. Io sonovenuto, ho provato, m’è piaciuto. Prima ho provato an-che in fabbrica, ma facevo fatica. Qui mi piace il rap-porto con la gente, il modo di fare, stare all’aria apertaa contatto con la natura. Vengo tre giorni alla Lucernae gli altri sto a casa e il sabato vado nella vigna. Lì miaiuta mio padre Lino, con lui discutiamo delle volte,siccome io faccio fatica fare delle cose, allora mio padre

    ...quello che serve all’uomo per poter mangiare. La terra è un dono

    finto testo dida finto testofinto testofinto testofinto testofinto testofinto testofinto testofinto testofinto testo.

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    mi deve insegnare due, tre volte, sui campi. A guidareil trattore a fare manovra con i carri io non riesco tantobene, lui mi insegna e delle volte si arrabbia”. La Lucerna non è un piccolo “paradiso terrestre” conbuoni e laboriosi cristiani dentro che, mescolati a figlidi un dio minore, danno la loro testimonianza, recinta-ti da siepi ecologiche, dentro la struttura nobile e di an-tica architettura di una cascina della bassa con il vec-chio silos delle granaglie. La Lucerna non è neanche sol-tanto un esempio. E’ una scelta di vita, un tentativo distare nel mondo per cambiarlo dall’interno, la ricercadi un equilibrio. Alla terra viene chiesta una fertilitàche si possa rinnovare, i guadagni che il lavoro durissi-mo dà - e soltanto negli ultimi anni – sono misuratisullo stretto necessario per vivere. Pietro e Giulia ven-

    gono remunerati, insieme, con 1500 euro al mese, edhanno cinque figli. Paolo Arduini ha un reddito di 650euro al mese, riesce a farcela perchè lavora anche la mo-glie Chiara, assistente sociale e insieme possono darequalche garanzia alla figlia Sara. Il marito di Lucia è in-gegnere, ma hanno quattro figli. Dario arrotonda conla vigna sulla terra dei nonni. Paolo Vincenzi ha due fi-gli ma lavora anche la moglie. Ecco perché Ercole Gi-roldini di Canossa, anni 45, il socio più anziano, per 25anni odontotecnico, ha potuto soltanto da poco venirea lavorare sui campi. Ercole dal robusto appetito è unuomo piccolo e mite nonostante il nome, discendentedi mugnai attivi in uno dei più antichi mulini delle col-line, ha tre figli e una moglie, Rita, che fa la commessa

    ed è socia fondatrice della cooperativa: “La cooperativanasce anche con me anche se io come lavoro effettivo hofatto sempre l’odontotecnico, sino a due-tre anni fa. Erotra i primi, da sempre mi ci dedico, ho fatto un periodoche facevo tre pomeriggi alla settimana qui da volon-tario. Ho potuto prendere questa decisione difficile an-che perché adesso oltre a condividere un lavoro un po’più umanizzante e molte cose, possiamo condividereun po’ di guadagno tra di noi e anche con persone in dif-ficoltà. Mi interessava fare una esperienza di questo ti-po anche perché ti mette già in guida su certi valori chenon sono principalmente il guadagno, anche se il gua-dagno è necessario. Il biologico rientra comunque inquella filosofia di vita che è poi il messaggio del Van-gelo. La terra è vita. Credendo molto alla vita crediamo

    che vada rispettata in tutte le sue forme. Lo sfrutta-mento normale è quello che serve all’uomo per poteremangiare. La terra è un dono grosso dal cielo, lo sfrut-tarlo è evangelico, abusarne non lo è. E’ una scelta im-portante il biologico perché fa parte del discorso, dopo19 anni, tribolando ci siamo riusciti, siamo stati unadelle prime scelte biologiche in Italia”.Tribolare, questo è il verbo. E un futuro in bilico, dicePietro. Forse siamo ancora in tempo. Forse il punto dicrisi maggiore è passato, il neoliberismo è in crisi, i con-sumi si fermano nonostante le sollecitazioni e i modelliselvaggi, la società no future ricomincia a pensare. E’ tut-to in bilico ancora, ma forse siamo in tempo: salvare noi,salvare la Lucerna. �

    grosso dal cielo, lo sfruttamento è evangelico, abusarne non lo è.

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