QUATTRO DOMANDE A ALESSANDRO BERGONZONI

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Semestrale Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 456) art. 1 comma 1 - DCB – Bologna. In caso di mancato recapito inviare al CMP di Bologna per la restituzione al mittente previo pagamento resi. QUANDO IL SUONO ABBRACCIA L’IDEA Alessandro Taverna LA “RESILIENZA”: UNA LUCE NEL BUIO Giancarlo Roversi e Danila Valenti QUATTRO DOMANDE A... ALESSANDRO BERGONZONI Simona Poli Anno 7 Numero 13 - I/2012

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Semestrale Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonam

ento postale D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 456) art. 1 comma 1 - DCB – Bologna.

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QUANDO IL SUONO ABBRACCIA L’IDEAAlessandro Taverna

LA “RESILIENZA”: UNA LUCE NEL BUIOGiancarlo Roversi e Danila Valenti

QUATTRO DOMANDE A... ALESSANDRO BERGONZONISimona Poli

Anno 7 Numero 13 - I/2012

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DIECI ANNI DI ESPERIENZA PER GUARDARE AL FUTURO

Carissimi lettori,ogni numero di Hospes è un’occasione per riflettere sui risultati dell’attività che l’Hospice MT.C. Seràgnoli svolge, insieme atutte le altre realtà da esso germinate (Associazione Amici, Accademia, Master). Ma questo numero ha un compito speciale:inaugurare l’anno che segna il decennale dell’apertura dell’Hospice di Bentivoglio.Se dovessi sintetizzare il risultato principale di questi anni pionieristici direi che è stato quello di aver contribuito ad unavera e propria “rivoluzione culturale”, in grado di far passare le cure palliative da uno status di oscura marginalità alladignità di una legge (la 38 del 2010) che ne riconosce l’indispensabile ruolo per garantire la dignità della persona anchequando si presenta nella sua fragilità di essere finito. Non solo la struttura di Bentivoglio è stata tra le prime in Italia adadottare questo approccio alle cure palliative, sviluppando il proprio modello anche negli altri Hospice bolognesi (Bellariae Casalecchio), ma ha da subito attivato iniziative che curassero la diffusione della nuova cultura, trovandosi ora nellacondizione di poter offrire servizi a tutto campo per chi lavora nell’ambito delle pratiche palliative. Come gli articolicontenuti in questo numero dimostrano, la Fondazione Hospice ha ormai attivato molteplici corsi a tutti i livelli, incontri,seminari, convegni e tirocini rivolti a segmenti diversi di operatori del campo, che stanno portando anche a pubblicazionispecializzate.Essenziali sono pure gli incontri dell’Accademia, volti a scandagliare il retroterra culturale delle cure palliative, che si rifàad una concezione del lavoro e della vita fondata sui principi di inviolabilità della dignità umana e di solidarietà.Scoprirà il lettore che anche l’articolo sulla “resilienza”, che sembrerebbe scollegato dal tema centrale, ci rinvia inveceal cuore di questa nuova cultura, che non è una cultura di morte, ma di vita armoniosa.Buona lettura!

* Presidente dell’Associazione Amici dell’Hospice MT.C. Seràgnoli

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EDITORIALE

DIECI ANNI DI ESPERIENZA

PER GUARDARE AL FUTURO

di Vera Negri Zamagni /pag. 3

UN INTENSO E FECONDO

CAMMINO A SERVIZIO DELLA

DIGNITÀ DELLA PERSONA

di GianCarlo De Martis /pag. 4

QUANDO IL SUONO

ABBRACCIA L’IDEA

di Alessandro Taverna /pag. 6

QUATTRO DOMANDE...

A ALESSANDRO BERGONZONI

di Simona Poli /pag. 8

LA COMUNICAZIONE

IN CAMPO MEDICO:

COME, DOVE E QUANDO

di Franca Silvestri /pag. 10

UN CONFRONTO POSITIVO

E STIMOLANTE

di Gianlorenzo Scaccabarozzi e Danila Valenti /pag. 12

LA NOSTRA ESPERIENZA

COME CONTRIBUTO DI RIFLESSIONE

di Deborah Bolognesi e Monica Bravi /pag. 13

PROFIT NON PROFIT:

IL FRAGILE INTRECCIO

TRA PROFITTO E VALORE

di Laura Pappacena /pag. 14

LA “RESILIENZA”:

UNA LUCE NEL BUIO

di Giancarlo Roversi e Danila Valenti /pag. 16

/pag. 18

EDITORIALE

IN PRIMO PIANO

I NOSTRI EVENTI

APPROFONDIMENTI

GLOSSARIO

RINGRAZIAMENTI

HOSPESPeriodico della Fondazione HospiceMariaTeresa Chiantore Seràgnoli OnlusAnno 7 Numero 13 - I/2012

Direttore EditorialeVera Negri Zamagni

Direttore ResponsabileGiancarlo Roversi

Coordinamento editorialeSimona Poli

Progetto graficoHumus Design

StampaDigigraf

Stampato su carta con fibre riciclate

IN PRIMO PIANO

APPROFONDIMENTI

I NOSTRI EVENTI

EVENTOA SOSTEGNODELL’HOSPICESERÀGNOLI

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Vera Negri Zamagni*

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IN PRIMO PIANO IN PRIMO PIANO

persona gli hospice della Gran Bretagna, culla delmovimento delle cure palliative sorto negli anni Sessantaproprio in un quartiere di Londra grazie all’opera dialcuni volontari che iniziaronono a occuparsi dei malatiabbandonati dal Sistema Sanitario. La famiglia Seràgnoliaderì immediatamente al progetto sostenendoloeconomicamente attraverso la G.D. L’Hospice Seràgnoli è stato sin dalla sua creazione unastruttura all’avanguardia: è stato il primo hospice in Italiaad essere costruito appositamente per l’accoglienza deimalati inguaribili e questo ha permesso al professorMaltoni e alla famiglia Seràgnoli di adeguarlo allenecessità di cura cui era destinato. La posizione, in mezzoalla campagna bentivolesca ma al contempo accanto adun ospedale, la sua peculiare forma “a stella” che si integraperfettamente, quasi a diventare un tutt’uno con lanatura, gli spazi interni, gli arredi, i colori usati: tutto sumisura per rendere la permanenza dei Pazienti e deifamiliari il più serena e accogliente possibile.L’Hospice Seràgnoli ha aperto le porte ai primi Pazientinel 2002, poco dopo la morte del professor Maltoni, e daallora un’équipe multidisciplinare di altissima qualità èstata determinante per caratterizzare l’hospice come unastruttura di eccellenza nel panorama italiano soprattuttoin un momento in cui anche a livello istituzionale non viera alcun riferimento in materia di cure palliative(si è dovuto attendere il 2010 e la legge 38 per avere untermine di paragone accreditato a livello nazionale).L’équipe dei professionisti dell’Hospice Seràgnoli hacontribuito a rendere la struttura sanitaria un luogoad elevato contenuto relazionale e umano ricordando allaComunità il bisogno intrinseco di ogni persona malataa mantenere i contatti con il proprio mondo, superandoquindi la logica pietistica che spesso accompagna ipazienti, soprattutto se inguaribili, e opponendosi allacondizione di abbandono che rischia di aggravare lecondizioni di salute fisica e psicologica degli assistiti.Dal 2002 l’Hospice Seràgnoli è gestito dalla FondazioneHospice MT. C. Seràgnoli Onlus che grazie all'esperienzamaturata con la struttura di Bentivoglio e all’alta qualitàdei servizi erogati, si è vista riconoscere dall'Ausl diBologna un ruolo fondamentale nell'assistenza ai malatiinguaribili. Nel 2007 l’Ausl ha infatti, affidato allaFondazione la gestione dell’Hospice Bellaria dove è statoriproposto con successo lo stesso modello di alta qualitàdell’Hospice Seràgnoli e che ben presto verrà esportato

anche a Casalecchio. Dal momento della sua creazione adoggi tanti sono stati i traguardi raggiunti, ricordo i piùsignificativi: nel 2004 è nata l’Associazione Amicidell’Hospice con l’obbiettivo di divulgare la cultura dellecure palliative all’interno della società civile e dicontribuire al fund raising della Fondazione; nel 2005l’Hospice Seràgnoli è stato il primo dell’Emilia Romagnaa ottenere l’accreditamento istituzionale; nel 2007 è stato

redatto per la prima volta il Bilancio di Missione,strumento di rendicontazione indispensabile sia per inostri azionisti sociali sia per tutti i professionisti chelavorano negli hospice.Per stimolare un costante miglioramento nell'assistenzae per un aggiornamento continuo delle pratiche cliniche,la Fondazione Hospice è stata tra i fondatori, nel 2006,dell’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa.Questo ha permesso da un lato lo sviluppo di percorsi diformazione universitaria, (si pensi al Master in MedicinaPalliativa), dall’altro la possibilità di formare in modocontinuativo gli operatori che già lavorano in hospice,affinché siano sempre pronti a rispondere alle sfide deitempi. Sono trascorsi 10 anni da quando è statointrapreso questo viaggio nel mondo delle cure palliative:tanta strada è stata percorsa, numerose difficoltà si sonospesso interposte alle mete che di volta in volta venivanoprefissate. Ma queste difficoltà non hanno mai spento ladedizione e la passione che, sin dagli inizi, hanno animatoil nostro lavoro che, sono certo, continuerà ad essere ilsostegno più valido per i malati e le famiglie che sitrovano nella necessità di affrontare un percorso moltodifficile della loro vita.

Quest’anno l’Hospice Seràgnoli celebra un anniversariomolto importante: i primi dieci anni di attività nelmondo delle Cure Palliative, un traguardo degno di notaraggiunto con non pochi sforzi e con tanta passione daparte di un team di persone che ha creduto fermamente,e continua a credere, in uno dei valori essenzialidel vivere umano, la dignità della persona, anche,e soprattutto, durante le ultime fasi della malattia.Questo il motore che ha spinto, sin dalla fine degli anniNovanta, i fondatori, gli operatori sanitari e i sostenitoridell’Hospice a intraprendere una vera e propria battagliaculturale per affermare le cure palliative in Italia in unmomento storico in cui questo filone della medicina nonera affatto conosciuto nel nostro Paese, anzi, soffriva diuna errata lettura semantica. Il pensiero dominante inquel periodo interpretava le “cure palliative” come “cure

inutili, lenitive e momentanee”, avendo come punto dipartenza del proprio modello mentale “la malattia” e non“la persona malata”. L’accezione corretta delle curepalliative, invece, capovolge questa visione ponendoil malato al centro dell’attenzione e delle cure deiprofessionisti sanitari che prendono in carico non solo ilPaziente ma anche i loro familiari tenendo sotto controlloil dolore fisico, psicologico e spirituale che si manifesta inquesta delicata fase della malattia.L’Hospice Seràgnoli è nato proprio con questo scopo:accudire i Pazienti inguaribili che erano spesso lasciati solinegli ospedali o che non potevano essere curati nelleproprie case. Agli inizi degli anni Novanta, l’idea dicreare una struttura dedicata ai malati oncologici in faseavanzata di malattia prese corpo nella mente del professorCesare Maltoni che aveva avuto modo di vedere in prima

Anniversari: il Decennale Hospice Seràgnoli

UN INTENSO E FECONDOCAMMINO A SERVIZIODELLA DIGNITÀ DELLA PERSONAdi GianCarlo De Martis

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palcoscenici di tutto il mondo e - come era stato conil Don Giovanni filmato da Joseph Losey - prestandoil proprio volto perfino sul grande schermo. Ma è statoun ritorno anche per Anna Caterina Antonacci che aBologna aveva mosso i primi passi di una carriera segnatada inimitabili interpretazioni liriche, spaziando dal baroccoagli autori francesi, prescelti proprio per quest’occasione:Carmen oltre ad una raccolta di cinque canzoni indialetto veneziano composte da Reynaldo Hahn. Ed èstato con le opere di Giuseppe Verdi che i due cantantihanno ritrovato un terreno comune, con due pagine diDon Carlos e Otello con cui si è dimostrato ancora unavolta come il canto scaturisca sempre da quella capacitàdi identificazione, da quella fusione del suono e dell’idea.E il canto è stato inesauribile fonte di ispirazione di unmusicista che non ha mai scritto un melodramma ma chepure non ha smesso di ricreare al pianoforte le emozionidi una voce e il virtuosismo esibito dai cantanti dell’operaitaliana. Due pagine di Fryderyk Chopin sono statel’ulteriore tassello offerto da un pianista del prestigio diLeone Magiera, dal sodalizio lunghissimo e senza paragonia fianco di Luciano Pavarotti e dalla carriera altrettantolunga come direttore d’orchestra, pianista, didatta,scrittore. Altre due pagine sono state scelte da LucioDalla, affidate alla voce di Marco Alemanno,

accompagnato allo strumento da Pedro Memelsdorff.Erano due sonetti firmati da Michelangelo Buonarroti eFrancesco Francia: due artisti del Rinascimento italiano -più celebre certo il primo del secondo, che fu rinomatopittore bolognese - che endecasillabi e rime li sepperousare con la stessa maestria dimostrata nel maneggiarescalpelli e pennelli. “Ciò che costituisce la bellezza vera, il valore vero, la vera

ragion d’essere del canto, è l’unione del suono e dell’idea.Il suono per quanto bello possa essere non è ‘purabellezza materiale’ di una voce. È difficile dire quale siail vero segreto del canto; si tratta di qualcosa che riguardala stretta relazione degli elementi del canto e del parlare.”È passato quasi un secolo da quando Reynaldo Hahnpronunciò queste frasi con cui s’inaugurò a Parigi uncelebre ciclo di lezioni dedicate al canto.Il compositore venezuelano, amico dello scrittore MarcelProust, continuava così: “Chi studia canto non ha maifinito di imparare. I progressi di un cantante nonfiniscono mai, se non quando muore, perché la stessaperdita della voce non vuol dire nulla, in quanto il verolavoro del canto è mentale”. Il canto che dimora nellamente più che in gola, il canto che si pensa ancor primache si traduca in respiro: immagini che si attagliano benead accompagnare l’ascolto delle pagine musicali proposteal Teatro Comunale di Bologna nel concerto nato dalla

volontà dell’Associazione Amici dell’Hospice e realizzatoin collaborazione con il Centro della Voce, a favoredell’Hospice MT. C. Séragnoli. Evento a cui ha datoprofondo significato la presenza in sala del Presidentedella Repubblica Giorgio Napolitano. Evento distraordinario risalto per la partecipazione sul palcodi artisti del calibro di Anna Caterina Antonacci,Lucio Dalla, Leone Magiera, Ruggero Raimondi. A Lucio Dalla l’onore di introdurre la serata che hacontato sulla presenza di due cantanti lirici di eccezionalestatura che in questa occasione sono stati accompagnatida un pianista dalla carriera altrettanto eccezionale.E per tutti il concerto al Teatro Comunale è statoil ritorno in un luogo che aveva segnato profondamentele rispettive carriere, a testimoniare le prime stupefacentiaffermazioni di tutti loro. È stato un ritorno per RuggeroRaimondi che, nello splendido gioiello architettonicorappresentato dalla sala del Bibiena, affrontò queipersonaggi che lo avrebbero accompagnato sui

I NOSTRI EVENTI I NOSTRI EVENTI

Cultura e fund raising: un grande evento al Teatro Comunale

QUANDO IL SUONO ABBRACCIA L’IDEA di Alessandro Taverna

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subentra immediatamente il concetto di proprietà. Inquest’ottica, quando per una malattia inguaribile non sipuò vedere un figlio crescere, laurearsi e sposarsi non ci sirende conto che questa persona ha il suo iter, la sua storiache può essere anche di due anni ed è il risultato dellasua “opera artistica” e il genitore non ne è il pittore.Bisogna avere il coraggio di parlare, di sapere cosa diree pensare nelle situazioni in cui generalmente bisognatacere.

Nel suo ultimo spettacolo Urge, parla di vastità,di “altro”, della necessità di andare oltre per poteraffrontare temi grandi come la vita, la morte, il dolorementre invece lei denuncia nel suo spettacolo chesiamo “piccoli” e impreparati. Come si esce a suoparere da questa condizione? Che cosa “urge” fare?Ci sono concetti che io chiamo “jumbici” come quelliche affronta una realtà come l’hospice, sono temi enormiche come i jumbo hanno bisogno di piste di atterraggiolunghissime, altrimenti si schiantano. Ed è quello chesuccede a noi quando arrivano questi concetti. Le nostrepiste sono corte e sul momento tentiamo di allargarle manon serve, non basta. È un lavoro culturale che riguardala politica, l’istruzione e la trascendenza e va fatto nellefamiglie e nelle scuole anche attraverso l’arte per raccontarela morte futura e la devastazione, la trasformazione. Comequando sei davanti ad un Bacon, ad un Kandinskyo ad un Picasso e ti rendi conto che sei di fronte alladescrizione del degno e dell’indegno attraverso i volti

violati. Tutto questo mette in moto la cultura e allargale piste di atterraggio per i concetti grandi.Se vai ad ascoltare due ore di Dante, quello è tuttocatrame pronto per la tua pista. Ma spesso la gentenon entra dentro, l’arte rimane nei musei e Dante rimanein teatro.

Diverse volte ha partecipato anche come spettatoreagli Incontri a Tema organizzati dall’Accademia delleScienze di Cure Palliative, cosa ne pensa di questo tipodi iniziative e, come spettatore e come filosofo, qualitemi vorrebbe venissero affrontati in questo contesto?Penso che siano incontri doverosi e che fino ad ora siastato svolto un ottimo lavoro dall’Accademia di Medicinadelle Scienze Palliative. Mi piacerebbe ora che questiincontri si svolgessero nei posti sbagliati, dove non si èrichiesti e si chiamassero le persone che non c’entranoniente. Ad esempio andare nelle scuole o nelle carceri,perché altrimenti l’altra gente non partecipa a questiincontri. Io ho parlato di malattia quando mi hannochiamato gli studenti nei licei mentre loro affrontavanoil tema della Riforma Gelmini, perché ci deve essere“coagulazione” tra diversi temi. Bisogna avere l’energiadi fare un lavoro che sembra andare in una direzione“inutile”, come parlare di fine vita duranteun’occupazione studentesca perché sono questioni cheriguardano l’essere. In questi contesti ci possono esseredei traghettatori, gli artisti, che sono in grado diraccontare a chi non è coinvolto: usateci!

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IN PRIMO PIANO

Che conoscenza ha dell’Hospice Seràgnoli e del ruoloche svolge sul territorio bolognese?Ho una conoscenza diretta e indiretta. Sono stato ainumerosi incontri organizzati dalla Fondazione Hospicedove ho conosciuto i medici responsabili della strutturama più che altro i temi della metamorfosi, delcambiamento, della malattia e della fine fanno parte delmio pensare. L’impegno sulle questioni che riguardano lasalute sono frutto della mia ricerca artistica prima chedella solidarietà nata anche con la Casa dei Risvegli.

Tra gli obiettivi della Fondazione Hospice c’è quellodi migliorare la qualità di vita del paziente e didiffondere la cultura delle cure palliative, dal suopunto di vista di artista e per questo di comunicatore“privilegiato”, quali possono essere i migliori strumentiper comunicare la cultura delle cure palliative? Non mi piace la parola “comunicare” preferisco iltermine “conoscere”. Nell’affrontare temi complessi comequello ad esempio delle cure palliative, bisogna fare un

salto di qualità, è necessario tornare indietro e prendere larincorsa. Si tratta di condurre una ricerca interiore cheporti a capire qual è la propria idea di vita, di bellezza,di morte, di possesso. È un lavoro interiore e quindi untema culturale che va affrontato con codici e regolediversi. Non mi stancherò mai di dire che bisognacominciare ad affrontare questi temi negli asili performare i medici, i familiari e i pazienti di domani inmodo che quando si troveranno ad affrontare il temadella vita lo facciano con “enormità” e con una grandezzache oggi hanno solo quelli coinvolti. Sono soprattutto ifamiliari che raccontano con lettere e comunicano questitemi. Altri argomenti come la sicurezza stradale,l’educazione sessuale, la natura vengono affrontati prima,mentre su temi come la fine e la malattia c’è un silenzioassordante, se ne parla solo quando si è coinvolti.Bisognerebbe fare un hospice dove vengono ricoveratiper venti giorni i cosiddetti sani e discutere su cosa siail corpo, la salute, la vita. Una madre quando nasce unfiglio non dice “è nato” ma “ho avuto un figlio” quindi

IN PRIMO PIANO

Alessandro Bergonzonidi Simona Poli

Quattro domande a...

L’energia dell’enorme

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APPROFONDIMENTI

Comunicare non significa semplicemente informare,ma stabilire contatti empatici e relazioni interpersonaliefficaci: un paradigma importante in ogni processocomunicativo, ancora più rilevante quando si parladi salute, malattia, cura, fine vita. Questo il focusdegli incontri organizzati dall’Accademia delle Scienze diMedicina Palliativa il 14 ottobre e l’11 novembre scorsial Castello di Bentivoglio.Come, dove, quando comunicare? Come insegnare acomunicare? Come mantenere una comunicazione chiarae consapevole, soprattutto in campo oncologicoe in medicina palliativa? Se lo è chiesto in apertura ilprofessor Guido Biasco, che ha coordinato con sapienzale due giornate, affiancato dalla dottoressa Danila Valentinelle tavole rotonde.Per Luigi Grassi, professore di psichiatria all’Università diFerrara, le abilità comunicative sono fondamentali nelrapporto medico-paziente. Perché è necessario unorientamento psico-sociale, non soltanto bio-tecnologico:un approccio capace di andare oltre la dimensione fisica

per far emergere i problemi e le preoccupazioni che sonofonte di sofferenza psicologica, psichiatrica, sociale,spirituale per il paziente e i suoi familiari. Una sofferenzache colpisce circa il 40% delle persone in qualunque fasedella malattia.Allora, che fare? Bisogna insegnare ai medici e a tutte lefigure dell’area sanitaria tecniche comunicative adeguate.Il professor Walter Baile, psichiatra all’MD AndersonCancer Center di Huston e studioso di rilievointernazionale, ha messo a punto una metodologia chepuò aiutare i medici a riferire correttamente la diagnosi,la prognosi e lo sviluppo della malattia. Un modello cheviene trasmesso in workshop residenziali di formazioneattiva, dove la simulazione di situazioni reali permettedi apprendere e sperimentare strategie di approccio,relazione, comunicazione.Perché i malati e i loro parenti considerano il rapportocon il medico importante quanto la sua competenzaclinica. Perché anche le cattive notizie possono essere datein un contesto più empatico.

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APPROFONDIMENTI

Ma quando si deve comunicare? Durante tutto ilpercorso della malattia, in modo appropriato, cercando diinfondere sempre speranza, ha precisato Matteo Moroni,dirigente dell’Hospice Coruzzi di Langhirano. E qualifigure sanitarie è bene coinvolgere in questo delicatointreccio di logos e malattia? Il punto di vista dellamedicina generale lo hanno proposto il dottor MarcelloSalera dell’Azienda Usl di Bologna e il dottorGiandomenico Savorani della FIMMG, quellodell’oncologia pediatrica il dottor Andrea Pession delS.Orsola-Malpighi. Non sono mancate le testimonianzedi studiosi, specialisti, psicologi, infermieri e di quanti

partecipano ai percorsi di cura e comunicazione nei teammultidisciplinari come Deborah Bolognesi, CatiaFranceschini, Giuliana Gemelli, Maria Paola Zamagni.Singolare l’intervento dello psicologo-tanatologoFrancesco Campione sull’importanza della creativitàindividuale, che prescinde da tecniche, abilità e strategiecomunicative. Di grande impatto emotivo il raccontodella professoressa Lea Baider, psico-oncologa delloSharett Institute of Oncology Hadassah UniversityHospital di Gerusalemme, incentrato sulla sua esperienzamedica nel rapporto con i pazienti e i familiari.

I seminari dell’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa

LA COMUNICAZIONE IN CAMPO MEDICO: COME, DOVE E QUANDO di Franca Silvestri

Due giornate di studio con tavole rotonde tematiche per mettere a fuocomodalità, tecniche, competenze linguistichee socio-culturali

La comunicazione in medicina è complessa, piena di implicazioni culturali, sociali, linguistiche, spirituali, deontologiche,

che si amplificano di fronte alla malattia inguaribile e nel fine vita. Dei risvolti etici e giuridici hanno parlato due esperti

di legge e bio-etica dell’Alma Mater: Carla Faralli, docente di Filosofia del Diritto, e Stefano Canestrari, professore di

Diritto Penale. Il rapporto medico-paziente è cambiato: da un modello paternalistico, dove responsabilità e decisioni

erano esclusivamente del medico, si è passati a un modello basato sulla libera scelta del paziente. È questa l’origine del

consenso informato ma pure di numerose problematiche di tipo giuridico e morale.

Non a caso, negli ultimi decenni codici e carte deontologiche di medici e infermieri hanno ribadito principi già presenti

nella Costituzione italiana: il rispetto della dignità della persona, il diritto alla salute e a una corretta informazione,

ma anche il diritto morale all’ignoranza. Quindi, etica della cura, condivisione delle scelte terapeutiche, buona

comunicazione, ma anche attenzione alla medicina difensiva, all’abbandono o all’accanimento terapeutico e al diritto

del cittadino di non sapere. Senza mai dimenticare che le norme etiche e giuridiche si radicano nella cultura e nella

psicologia sociale di un paese.

C’è un diritto morale all’ignoranza

Di competenze culturali e aspetti linguistici si sono occupate Antonella Surbone e Patrizia Violi.

La comunicazione è un processo bidirezionale dinamico che vede l’incontro di due culture differenti: i medici e gli operatori

sanitari impiegano conoscenze e linguaggi specialistici, il paziente è in un’altra condizione, anche se appartiene alla stessa

realtà socio-culturale. Lo ha sottolineato la professoressa Surbone del Departement of Medicine NYU Langone Medical

Center di New York precisando che le differenze di lingua e cultura amplificano l’asimmetria fra medico e paziente e sono

le principali barriere nella comunicazione. Patrizia Violi, docente di Semiotica all’Università di Bologna, ha analizzato termini

e approcci comunicativi della Medicina Palliativa. Con il linguaggio categorizziamo e costruiamo la realtà. La parola è

un’azione, ancora più importante e potente quando l’intervento terapeutico diventa limitato nelle ultime fasi della vita.

Però l’espressione cure palliative spesso ha una connotazione negativa nel senso comune e la stessa comunità medica

ne fa usi diversi e sovrapposti. Questo perché la parola cura ha dietro due differenti aree semantiche: curare per guarire

e curare nel senso di prendersi cura. La medicina palliativa si occupa di tutta l’area del non guaribile che però è ancora

curabile. Allora, siamo sicuri che palliativo sia il termine più giusto? La semiologa-linguista ha suggerito “cure di supporto”

sottolineando che è necessario recuperare il senso positivo di palliare: coprire col mantello, prendersi cura.

Quando le parole rischiano di essere come coltelli

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Trieste verso la fine dello scorso anno ha fatto da cornice al XVIII Congresso Nazionale della Società Italiana di CurePalliative. I congressisti sono stati 1349 tra medici, infermieri, psicologi, volontari e altri profili professionali.Una presenza tra le più significative degli ultimi anni, che sottolinea quanto il Congresso Nazionale rappresenti un momentodi insostituibile formazione, aggiornamento e riflessione per accrescere competenza, professionalità ed umanità che guidanola SICP nella sfida per la realizzazione della Legge 38 in tutto il nostro Paese. Il successo del Congresso è frutto di una attenta programmazione scientifica che ha valorizzato tutti gli ambiti professionalicoinvolti nell’erogazione delle cure palliative, di un approfondimento di temi non solo di carattere clinico, ma anche etico,culturale, formativo e organizzativo-gestionale, e di una più intensa collaborazione con il mondo del volontariatoe dell’associazionismo. Ampio spazio è stato dedicato all’illustrazione dei contributi scientifici da parte dei congressistie sono stati organizzati tre corsi pre-congressuali (1. In collaborazione con la Società Italiana di Medicina Generale,Cure Palliative: aggiornamento farmacologico e clinico degli oppiacei – Gli oppioidi per il trattamento del dolore da cancro.2. In collaborazione con Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio, Cure Palliative Pediatriche per curare la vita dei bambiniinguaribili. 3. In collaborazione con la Federazione Cure Palliative, Etica ed economia del non profit: dal bilancio socialeal fundraising) che hanno registrato 181 iscrizioni. Il Congresso è stata anche l’occasione per presentare due nuove iniziative:la Rivista Italiana di Cure Palliative (RICP), edita da Zadig, alla quale è connesso un pacchetto di formazione a distanza,e il Core Curriculum del Medico Palliativista, che definisce le competenze e i percorsi formativi e professionali necessarial consolidamento e allo sviluppo delle cure palliative in Italia.

APPROFONDIMENTI

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APPROFONDIMENTI

LA NOSTRA ESPERIENZA COME CONTRIBUTO DI RIFLESSIONEdi Deborah Bolognesi e Monica Bravi

(*) Presidente del Comitato Scientifico del Congresso(**) Vice-Presidente Società Italiana di Cure Palliative

La Fondazione Isabella Seràgnoli ha partecipato al XVIII Congresso Nazionale della Società Italianadi Cure Palliative (SICP) presentando, nel corso della cerimonia inaugurale, le attività che da annipromuove nell’ambito delle cure palliative.La comunicazione inaugurale è così divenuta l’occasione per ribadire alcuni dei concetti portanti condivisidal Gruppo, tra cui l’appropriatezza dei luoghi di assistenza, e la necessaria complementarietà tra assistenza,formazione e ricerca.I risultati delle ricerche effettuate nel corso del 2011, presentate dai nostri operatori, hanno contribuitoad alimentare il dibattito su alcuni punti cardine inerenti allo sviluppo delle cure palliative in Italia quali:

• il miglioramento dell’assistenza sanitaria,• il perfezionamento gestionale delle strutture hospice,• le nuove aree di sviluppo nell’ambito delle cure palliative, anche in ottemperanza alla legge 38

del 15 marzo 2010.

Riguardo al miglioramento dell’assistenza sanitaria, nel 2011 la Fondazione ha approfondito lo studio deiprogrammi formativi destinati agli operatori palliativisti. In particolare, durante il Congresso, sono statidiscussi i risultati degli studi realizzati sui percorsi di formazione a beneficio di figure professionali qualifisioterapisti e operatori socio sanitari, che hanno un ruolo rilevante nelle varie fasi di assistenza del pazientee supporto alla famiglia, nonché nel processo di costante monitoraggio dell’efficienza delle attività asostegno dell’assistenza. Sono stati inoltre presentati i programmi formativi messi a punto dall’Accademiadelle Scienze di Medicina Palliativa per quanto riguarda la formazione continua e quella universitaria.

Lo sguardo al rinnovamento e al miglioramento è stato presentato al Congresso anche da un punto di vistagestionale e organizzativo. La Fondazione ha diffuso i dati emersi dal lavoro di ricognizione e analisidei modelli gestionali di hospice in Italia, al fine di condividere con i partecipanti i caratteri di eccellenzadal punto di vista organizzativo e gestionale.Oltre al costante sviluppo delle attività esistenti, la Fondazione ha partecipato al Congresso SICPcon l’intento di contribuire fattivamente al dibattito sui recenti ambiti di sviluppo delle cure palliative, inparticolare per ciò che concerne il settore pediatrico. Pur trattandosi di un ambito relativamente recente,il Gruppo della Fondazione ha presentato le attività avviate, quali il Corso Universitario di Alta Formazionein Cure Palliative Pediatriche e l’analisi di benchmarking internazionale sugli Hospice Pediatrici dieccellenza, attività che si sono distinte nella loro unicità al Congresso.

UN CONFRONTOPOSITIVO E STIMOLANTEdi Gianlorenzo Scaccabarozzi (*)e Danila Valenti (**)

XVIII Congresso della SocietàItaliana di Cure Palliative

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come ha sostenuto don Virginio Colmegna duranteil secondo incontro, perché non bisogna dimenticare chechi vi opera deve ragionare anche in termini economicie di bilanci e deve essere in grado di dialogare con tuttii soggetti.C’è anche un’altra importante consapevolezza che guidail lavoro. “Sono fortemente debitore degli incontri conle persone, soprattutto con quelle che apparentementechiedono aiuto poi restituiscono bisogno di relazioni,intelligenza sociale, umanità, passioni e felicità”, haraccontato don Colmegna. “Il gusto del vivere si strappacontinuamente, si vede lacerato. I ‘poveri’ portano unagrande domanda di cambiamento sociale ed esistenziale.Noi operiamo per superare la cultura dell’assistenzialismodi coloro che ovattano con la bontà qualsiasi tipodi atteggiamento e non si interrogano piùsull’inquietudine”.Complessità e cultura sono due parole chiave. “Abbiamocostruito un luogo di cultura”, ha continuato donColmegna, “un luogo dove si condensano l’utopia, lasofferenza, lo sguardo dell’umanità. La domanda difraternità, di uguaglianza, di dignità è globale. Dobbiamointerrogarci quotidianamente e rendere la cultura

operativa, anche attraverso le contaminazionidi esperienze profit e non profit. Alla Casa della Caritàci sono persone di ottantasette nazionalità: ascoltiamo leloro storie e dobbiamo trasformarle in narrazioni sociali.C’è una nuova visione che entra dentro”.“Vedo quotidianamente una cultura meticcia che staarrivando e che continuamente ci cambia e ponedomande alla nostra identità che dobbiamo scoprirequotidianamente. C’è un’umanità rimpicciolita che hapaura di fronte ai cambiamenti. Bisogna ritrovare lospazio dell’agorà, della piazza come luogo di relazione, disguardo che non fa paura. Con Alessandro Profumo sonotemi che abbiamo discusso spesso, parlando di economiadelle fraternità, della gratuità, dell'amicizia. Bisognaricostruire le relazioni”.Relazioni che contribuiscono a creare una nuovacomunità e si trasformano in azione politica. “C’è unavisione di cittadinanza inclusiva, nelle persone c’è dignitàe responsabilità”, ha continuato la sua riflessione donColmegna. “La domanda politica che nasce da qui parladi bene comune, di costruzione, di economia dellagratuità: un servizio agli altri è anche una restituzionedi senso e rappresenta la capacità di costruire legami”. In questa fase di crisi, in cui il confine tra povertà ebenessere si sta assottigliando e la paura del futuroattraversa i pensieri della maggioranza delle persone,occorre lanciare segnali importanti di speranza concreta,radicata nell’agire quotidiano. Perché la situazione è giàdrammatica, come dimostrano i problemi del lavoroe della casa. Come è possibile intervenire? “Alle impresenoi non chiediamo soldi, ci interessa aprire possibilitàdi occupazione e di commesse di lavoro. La fantasiaimprenditoriale per inventare nuovi percorsi di lavoronon deve mancare mai. Altrimenti vincel’assistenzialismo”.

Gli incontri sono proseguiti il 16 febbraio 2012 conRiccardo Bonacina che ha parlato di “Generare il valore.La gratuità come motore dell’economia” e giovedì1 marzo con Aldo Bonomi.

Impresa, responsabilità sociale, attenzione agli altrie lavoro per la comunità: questi sono stati i temi al centrodegli incontri “Profit non profit. Il fragile intreccio traprofitto e valore”, organizzati dalla Fondazione HospiceMT. C. Seràgnoli e dall’Accademia delle Scienze diMedicina Palliativa. Protagonisti, Alessandro Profumo,già amministratore delegato di Unicredit e attualmentemembro del Supervisory Board di Sberbank e delConsiglio di Amministrazione di Eni, e don VirginioColmegna, ordinato sacerdote nel 1969 e presidentedella Casa della Carità “Angelo Abriani” di Milano.I relatori, portando la propria esperienza di lavoroe di vita, si sono interrogati e hanno interrogato i presentisu temi di grande attualità: come agire in questo contestodi crisi come persone e come impresa? Come conciliarel’attività economica con i valori e l’attenzione allacomunità? “La responsabilità sociale di impresa”, ha sostenutoProfumo durante il primo incontro, “non è un’attivitàdi marketing né qualcosa da fare perché l’azienda debbaripulirsi la coscienza con alcune attività caritatevoli,anche se spesso viene percepita così. Se per responsabilitàsociale di impresa intendiamo il fare bene il propriomestiere, dobbiamo iniziare a parlare di sostenibilità”.Perché se l’obiettivo primario è la generazione di utili pergli azionisti, diventa fondamentale la capacità di generarerisultati che siano sostenibili nel tempo e qui entra ingioco il sistema di valori dell’attività economica.“L’impresa deve avere una legittimazione sociale: neiconfronti delle persone che vi lavorano, dei portatori diinteresse, dei clienti, dei fornitori e della comunità in cuiè inserita”, ha continuato Profumo. “Se il tuo operatoviene percepito come valore aggiunto per la comunità cisono ricadute positive anche per l’impresa. Le azioni chevengono intraprese per migliorare la situazione dellecomunità in cui si opera consentono anche di creare

ottime relazioni. Non puoi essere una buona impresase non hai la capacità di importare nel tuo modellooperativo queste modalità di comportamento”.Profumo ha sottolineato il ruolo centrale dellagovernance, perché la qualità dei processi decisionaliè fondamentale. “La modalità di funzionamento della‘parte alta’ dell’impresa è strettamente legata agli assettiproprietari”, ha continuato Profumo. “Bisogna capirequali sono gli elementi chiave su cui il consiglio diamministrazione deve focalizzare l’attenzione, perché se silascia esclusivamente nelle mani dei manager la decisionesu come compensare il breve con il medio e il lungotermine, presumibilmente si avranno scelte che non sonocoerenti con la vita aziendale. Fare impresa sostenibilevuol dire generare risorse che possono essere utilizzateper fare comunità”. Non mancano, però, i problemi strutturali. “Il modellodi sviluppo più diffuso in questi anni ha focalizzato lacompetizione solo sulla riduzione dei costi, ma così siriducono i posti di lavoro e quindi il reddito disponibile”,ha spiegato ancora. “Non si è lavorato abbastanzasull’innovazione e sulla qualità dei prodotti”. Il tema dell’impresa si collega anche a quello del sociale,

I NOSTRI EVENTI I NOSTRI EVENTI

PROFIT NON PROFIT:IL FRAGILE INTRECCIOTRA PROFITTO E VALORE di Laura Pappacena

VIRGINIO COLMEGNA

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ALESSANDRO PROFUMO

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avversità, vere o presunte tali, attraverso una viratadi 360° verso uno stato di armonia.Desiderare in positivo è ancora più efficace che pensarepositivo e può spalancare le porte alla longevità in pienasalute psico-fisica. E questo grazie a semplici strategie,tra cui esercizi di “sorriso” e respiri profondi quotidiani,come consiglia Assomensana (www.assomensana.it),un’associazione di neuropsicologi impegnata nello studiodelle caratteristiche degli ultracentenari, che ha promossoun agile vademecum (Vivere 100 anni!) dove vengonospiegate in modo preciso le più recenti acquisizioniscientifiche per allungare l’esistenza. Uno dei fattori fondamentali per godere di una buonaforma psicofisica anche in età avanzata è infatti ilconsolidamento di un modo di pensare positivo in mododa far volgere al bello, anche solo in parte, i momentiquotidiani di sconforto e depressione, facilitando unavisione meno nera della vita anche negli individui piùpessimisti. Proprio per questo un atteggiamento positivo propizia lalongevità e fa accettare con fiducia anche le cure medicheprescritte per ottenere il miglior risultato possibile(compliance) al fine di debellare o sopportare megliouna malattia.

IL TERMINE “RESILIENZA”IN CURE PALLIATIVE

La parola “resilienza” deriva dalla metallurgia e significacapacità di resistere alle forze che vengono applicate.In senso lato significa capacità di apprendere, adattarsie superare le avversità. C’è anche chi suggerisce laderivazione dal latino ‘resalio’ che indica il gesto dirisalire su una imbarcazione rovesciata. Un’imbarcazioneche potrebbe essere quella della nostra vita e della qualepertanto dobbiamo riprendere il timone.Perchè parlare di resilienza in cure palliative? Supportarela capacità di adattamento a situazioni complesse sia daun punto di vista pratico sia emotivo e trovare la capacitàdi superare sofferenze profonde è il percorso che caratterizzale cure palliative.La resilienza, intesa come capacità di adattamento,non ci è data in dotazione standard alla nascita: si può

variamente sviluppare quando si affronta un traumae possiamo sostenerla nella sua crescita. Rappresentaun cammino da percorrere. La lentezza della progressionedella malattia, se da un lato rende molto più lungoe faticoso il percorso, dall’altro può permettere unadattamento alla profonda trasformazione che questacomporta. Per accettare e adattarsi all’idea delpeggioramento di una patologia è indispensabile essereaiutati a comprendere sia emotivamente sia razionalmenteche il cambiamento radicale avrà luogo.Affrontare con onestà, con l'aiuto di persone competenti,il percorso della possibile evoluzione della malattia, aiutaa prepararsi a ciò che avverrà.Sperare al meglio ma preparasi al peggio, quandola malattia è in progressione, aiuta ad affrontarela situazione. Anche nei bambini.Pensiamo ad un bambino di 11 anni che sta perdendoil padre di 41 anni, per un tumore. Di due tipi possonoessere i consigli dei medici: il primo, suggerisce di nonparlare al figlio della malattia del padre, di non affrontareil problema se il bambino non fa domande, di farlodistrarre, “perché per meno tempo sta male, meno stamale”. Il secondo invece persegue la strada del dialogo,chiedendo a lui cosa pensa del babbo che non sta bene,invitandolo a parlare delle sue paure, preparandoloall’idea della malattia e gradualmente facendo balenare ilfatto che il babbo potrebbe non esserci più, stimolandolocosì a mettere in atto meccanismi di resilienza e di difesache gli permetteranno di affrontare la realtà che loattende. Significa dargli la possibilità di trovare in sé,con l’aiuto di adulti competenti, modalità di adattamentoad una situazione difficilissima attraverso laconsapevolezza.I bambini hanno bisogno di persone capaci di dare lorofiducia e in grado di sviluppare la loro resilienza cononestà affettuosa e partecipe, senza far mai mancarela percezione di poter chiedere e provare a capire, senzache mai venga meno l’amore incondizionato del genitore.

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Ci sono parole che solo a sentirle pronunciare siammantano di un alone di mistero, di un fascinointrigante anche se non si riesce a percepirneimmediatamente il significato. Parole magiche cheinducono chi le ode per la prima volta a scoprire qualesegreto tengono in serbo. Una di queste, da pocoaffacciatasi alla ribalta, ma ancora dominio esclusivo dipochi iniziati, è certamente la resilienza dietro cui si celaun mix di sensazioni armoniose: vitalità, elasticitàmentale, energia e buon umore. È un modo di vita checi fa calare in un atteggiamento positivo, spontaneo,ottenuto con semplici accorgimenti, con respiri profondie tanti tanti sorrisi.

La nostra password quotidiana è una soltanto:trasformare i problemi che ci assalgono in opportunitàe comunicare a tutti un senso di entusiasmo e positività.Anche perchè mostrarsi ottimisti è il primo passo versoil successo personale e professionale.Anzitutto è necessario individuare con precisione i propriobiettivi. Chi non sa dove vuole andare (in tutti i campi:dal lavoro alla vita affettiva, ai rapporti di amicizia)è come una barca che va alla deriva senza bussola.Il nocciolo del problema non sta nel prendere di pettole contrarietà e le tegole spesso imprevedibili che siabbattono sul cammino, ma nella determinazione dicambiare il nostro atteggiamento nei confronti delle

GLOSSARIO

di Giancarlo Roversi e Danila Valenti (*)

GLOSSARIO

(*) Vice-Presidente Società Italiana di Cure Palliative

Le parole svelateLA “RESILIENZA”:UNA LUCE NEL BUIO

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RINGRAZIAMENTI RINGRAZIAMNETI

gennaio 2012

AGGIORNAMENTO CONTINUOUn ringraziamento particolare alla Fondazione Perpetua Rusconi perché anche quest’anno il suo contributoè stato fondamentale per rinnovare gli abbonamenti alle riviste scientifiche e permettere ai professionisti dei nostri Hospicedi rimanere costantemente aggiornati sulle novità del settore.

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- destinando il 5xmille della dichiarazione deiredditi, firmando nel primo riquadro in alto asinistra, codice fiscale 02261871202;

- attraverso lasciti testamentari, polizzeassicurative, trattamenti di fine rapporto;

- attraverso importi finalizzati, vincolatiall’istituzione di borse di studio per gli studentidell’Accademia delle Scienze di MedicinaPalliativa, o in memoria di chi non si vuoledimenticare;

- scegliendo le bomboniere della FondazioneHospice per festeggiare le occasioni speciali.

FONDAZIONE HOSPICE MARIATERESA CHIANTORE SERÀGNOLI - ONLUSVia Marconi, 43/45 - 40010 Bentivoglio (Bologna)

Tel. 051 271060 - Fax 051 266499

www.FondazioneHospiceSeragnoli.org - [email protected]

P.IVA e Cod. Fisc. 02261871202

IBAN: IT 28 O 02008 02515 000003481967

ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI MEDICINA PALLIATIVA Via Aldo Moro, 16/3 - 40010 Bentivoglio (Bologna)

Tel. 051 19933737 - Fax 051 19933738

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Le donazioni a favore della Fondazione Hospice MT.C.Seràgnoli Onlus sono fiscalmente deducibili o detraibili.

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