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donne e uomini in ricerca e confronto comunitario empi di fraternità Spedizione in abbonamento postale art. 1, comma 2, D.L. 24/12/2003 n.353 conv. in L. 27/2/2004 n. 46 L'Editore si impegna a corrispondere il diritto di resa ISSN 1126-2710 8 numero anno quarantacinquesimo ottobre 2016 Epigrafe presente nel parco Sigurtà di Valeggio sul Mincio (VR)

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Spedizione in abbonamento postaleart. 1, comma 2, D.L. 24/12/2003 n.353conv. in L. 27/2/2004 n. 46L'Editore si impegna a corrispondere il diritto di resaISSN 1126-2710

8numeroanno

quarantacinquesimoottobre

2016

Epigrafe presente nel parco Sigurtàdi Valeggio sul Mincio (VR)

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empi di fraternità

2 Ottobre 2016

IN QUESTO NUMERO

EDITORIALEM. Meschi - La bestemmia della punizione divina ................ pag. 3CULTURE E RELIGIONIE. Vavassori - Vangelo secondo Matteo (46) ....................... pag. 10COSE DALL’ALTRO MONDO .......................................... pag. 18

IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI ........... pag. 24

PAGINE APERTEM. Meschi - Sentinella, quanto resta della notte?................ pag. 5D. P. - Catechismo della spiritualità del creato ...................... pag. 8G. Monaca - Biografia di Onesta Carpené ............................ pag. 9R. Orizzonti - In carcere il telefono ti può salvare la vita ....... pag. 14A. Colasacco - Sette anni fa, il dolore di Anna de L’Aquila .... pag. 16M.T. Messidoro - Dal basso, per la sinistra e con la Terra ... pag. 20L. Borghi - Linguaggio, Diritto e discriminazione sessuale .. pag. 27I. Cucchi - Lettera ad Ayas-cultura ........................................ pag. 29... E LA SPERANZA CONTINUA ... ................................. pag. 30

ELOGIO DELLA FOLLIA ................................................... pag. 32

tempi di fraternitàdonne e uomini inricerca e confrontocomunitario

Fondato nel 1971da fra Elio Taretto

tempi di fraternitàdonne e uomini inricerca e confrontocomunitario

Fondato nel 1971da fra Elio TarettoCollettivo redazionale: Mario Arnoldi, GiorgioBianchi, Andreina Cafasso, Riccardo Cedolin,Daniele Dal Bon, Danilo Minisini, GianfrancoMonaca, Davide Pelanda, Giovanni Sarubbi.Hanno collaborato al numero: Lidia Borghi, TeaBrahja, Anna Pacifica Colasacco, Ilaria Cucchi,Michele Meschi, Maria Teresa Messidoro, GiorgiaOsella, Ristretti Orizzonti, Famiglia Ugolini,Ernesto Vavassori, Elisa Viale.Direttrice responsabile: Angela Lano.Proprietà: Editrice Tempi di Fraternità soc. coop.Amministratore unico: Danilo Minisini.Segreteria e contabilità: Giorgio Saglietti.Diffusione: Giorgio Bianchi, Andreina Cafasso,Daniele Dal Bon, Pier Camillo Pizzamiglio.Composizione: Danilo Minisini.Correzione bozze: Carlo Berruti.Impaginazione e grafica: Riccardo Cedolin.Fotografie: Daniele Dal Bon.Web master: Rosario Citriniti.Stampa e spedizione: Comunecazione S.n.c.strada San Michele, 83 - 12042 Bra (CN)Sede:via Garibaldi,13 - 10122 Torinopresso Centro Studi Sereno Regis.Telefoni: 3474341767 - 0119573272Fax: 02700519 846Sito: http://www.tempidifraternita.it/e-mail: [email protected]

Una copia € 3,00 - Abbonamenti:normale € 30,00 - estero € 50,00sostenitore € 50,00 (con abbonamento regalo)via e-mail € 20,00 (formato PDF)Gli abbonamenti scadono a dicembre di ognianno: chi sottoscrive un nuovo abbonamentodurante l’anno versi la quota in proporzionealla rimanente durata dell’annoAbbonamenti cumulativi solo per l’Italia con:Adista € 89,00 - Confronti € 69,00Esodo € 51,00 - Mosaico di pace € 54,00Pagamento: conto corrente postale n° 29 466 109Coordinate bonifico bancario:IT60D0760101000000029466109 intestato a:Editrice Tempi di Fraternitàpresso Centro Studi Sereno Regisvia Garibaldi, 13-10122 TorinoDall’estero: BIC BPPIITRRXXXCarte di credito accettate tramite il nostro sitoAutorizzazione del Tribunale di Torino n. 2448dell’11/11/1974 - Autorizzazione a giornale muraleordinanza del Tribunale di Torino 19/7/1978Iscrizione ROC numero 4369Spedizione in abbonamento postaleart. 1, comma 2, D.L. 24/12/2003 n.353conv. in L. 27/2/2004 n. 46 - TorinoCodice fiscale e Partita IVA 01810900017La raccolta dei dati personali è operata esclusivamenteper scopi connessi o strumentali all’attività editoriale,nel rispetto della legge 675/1996.L’Editrice, titolare del trattamento, garantisce agli interessati che potranno avvalersi in ogni momento deidiritti di cui all’art. 13 della suddetta legge.

QUANDO SI FA IL GIORNALEchiusura novembre 2016 5-10 ore 21:00chiusura dicembre 2016 2-11 ore 21:00Il numero, stampato in 526 copie, è stato chiuso in

tipografia il 19.09.2016 e consegnato allePoste di Torino il 26.09.2016.Questa rivista è associata allaUNIONE STUNIONE STUNIONE STUNIONE STUNIONE STAMPAMPAMPAMPAMPA PERIODICA ITA PERIODICA ITA PERIODICA ITA PERIODICA ITA PERIODICA ITALIANALIANALIANALIANALIANAAAAA

Il periodico Tempi di Fraternità è in regime di Creative Commons: ciò significache gli scritti (solo testo) possono essere liberamente riprodotti a condizionedi non apportare tagli o modifiche, di citare l’autore, di non farne uso

commerciale, di indicare il nome della testata e di inviarne copia alla redazione.Questo periodico è aperto a quanti desiderino collaborarvi ai sensi dell’art. 21 della Costituzionedella Repubblica italiana. La pubblicazione degli scritti è subordinata all’insindacabile giudiziodella Redazione; in ogni caso, non costituisce alcun rapporto di collaborazione con la testata e,quindi, deve intendersi prestata a titolo gratuito.Il materiale inviato alla redazione, anche se non pubblicato, non verrà restituito.

Siamo anche su Facebook, all’indirizzo:http://www.facebook.com/tempidifraternita.tempidifraternita

L’immagine di copertina è tratta da: http://www.lavocedelmarinaio.com/2015/03/il-messaggio-della-fratellanza/

ABBONAMENTI IN SCADENZACare Abbonate, gentili Abbonati,

si avvicina nuovamente il fine anno e anche la scadenza degliabbonamenti.

Non è troppo presto per pensare di rinnovare perché a fine anno,nella frenesia portata dalle feste, ci si dimentica sempre di qualcosa.E allora è meglio prevenire. Consiglio spassionato, il nostro.

Ricordiamo poi che è una buona idea utilizzare un abbonamentoper fare un regalo ad una persona amica: sarà un regalo che si rinno-verà ogni mese, durante tutto l’arco dell’anno.

Da ultimo vogliamo esprimere la nostra preoccupazione, come re-dazione, per il costante calo, seppur lieve, degli abbonati; pur rice-vendo da più parti sinceri giudizi favorevoli sui contenuti del mensi-le, sta di fatto che, per ragioni varie, di anno in anno il numero degliabbonamenti sta calando. Perciò, se pensate che il nostro mensile siautile, parlatene in parrocchia, nei gruppi, nelle comunità e segnalate-ci indirizzi e e-mail a cui invieremo copie saggio.

Grazie.

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empi di fraternità

Ottobre 2016 3

EDITORIALE

La bestemmia della punizione divina

“Nessuno stupore da parte nostra, prima o poile profezie si avvereranno”.

Eccolo, il modo migliore di negare Dio. Dicrocifiggerlo una seconda volta. Di chiamarecol suo nome il delirio millenaristico, le pre-sunte apparizioni di una pseudo-divinità mi-nore che viene identificata mostruosamentecon Maryâm di Nazareth, madre del Salvato-re. Di trasformare Nôtre Dame du oui, la crea-tura discepola che visse, amò e soffrì come tuttele genitrici sfortunate, nell’apocalittica e mi-nacciosa foriera di messaggi paranormali ve-stita d’azzurro, nella dispensatrice di guarigionia questo sì e a quell’altro no, nella predittrice

del futuro della Russia di Stalin e - chissà per-ché - non della Germania di Hitler; nella sven-tatrice di catastrofi previa recita di centomilarosari (la preghiera degli umili, ma anche de-gli analfabeti).

Con buona pace di chi nega ogni frattura, laChiesa - una, santa, cattolica, apostolica - hainequivocabilmente due anime. Le ha sempreavute, in epoca moderna, anche se l’inatteso,insperato arrivo di papa Francesco ha reso piùacuto ed aspro il confronto: da un lato chi re-clama il tempo di far piazza pulita di tutto ciòche è sterile ancoraggio ad una tradizione fa-risaica, di spezzare l’abbraccio malefico dellareligione per ritornare alla viva, vitale caricapositiva del Vangelo. Chi, parte di un ospeda-le da campo, cura le ferite dell’anima che ilterremoto ha inferto con quelle del corpo. Dal-l’altro, chi scrive: “Nessuno stupore da partenostra, prima o poi le profezie si avvereran-no”. Chi è idolatra di un Deus vendicativo epagano, sublimazione delle proprie frustrazionie meschinità; chi vede ovunque apparizioni disanti punitivi, ortodossi, dogmatici. Chi, giu-dicando castigo di Dio i bambini morti sotto lemacerie, non è più nemmeno uomo. Chi incar-na, in agghiacciante perfezione e completez-za, il male assoluto che ha crocifisso Gesù eche il Cristo ha definitivamente sconfitto.

Anche il solo accostare le conseguenze delsisma a temi come l’utero in affitto, il ricono-scimento delle unioni civili, il presunto diffu-so ateismo appare di una gravità inqualifica-bile: non solo per l’odiosa pretesa di un’inter-ferenza confessionale nelle decisioni di un par-lamento laico e sovrano, quanto piuttosto perla ferocia con cui cenacoli di ignoranza ottu-sa, di superstizione e di probabile disagio psi-chico, si permettono di commentare lo straziodi donne e uomini in balia del mistero dellamorte e della vita.

di MicheleMeschi

Immagine comparsa sulla paginaFacebook “Medjugorje: Casa della

Tenerezza di Dio” subito dopoil terremoto in Centro Italia

del 24 agosto 2016

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empi di fraternità

4 Ottobre 2016

EDITORIALE

Puntuali, a ogni calamità, emergono itenebrosi necrofori. Sembra che nonaspettino altro che le disgrazie, sono

il loro abietto alimento. I necrofori sannoche le loro argomentazioni, tremende quan-to ridicole, spietate quanto disumane, nonhanno alcun fondamento, ma approfittano delmomento in cui le persone sono stordite daldolore e affogate nella disperazione per sca-gliare le loro inappellabili sentenze, e il ver-detto è sempre quello: è il castigo di Dio! Edi motivi a Dio per castigare l’umanità nonne mancano, ha solo da scegliere. C’è del sa-dico piacere in queste persone nell’affonda-re il coltello sulla piaga del dolore per riven-dicare che avevano ragione: l’immoralitàdella società, la depravazione dei costumi,l’abbandono della pratica religiosa, che cosaaltro potevano portare se non terribili casti-ghi divini?

Pur rifacendosi a Dio questi beccamortimostrano di non conoscerlo minima-

mente. Dio è Amore (1 Gv 4,8), e nell’amo-re non c’è alcuna parvenza di castigo. Nelritratto di Dio che l’apostolo Paolo fa nellaLettera ai Corinzi si legge che “l’amore nonsi adira, non tiene conto del male ricevuto”,che “tutto scusa” (1 Cor 13,5.7), e la buonanotizia di Gesù non contiene alcuna minac-cia di castighi divini. Il Padre non castiga,perdona, lui è un Dio che nel suo amorearriva a essere “benevolo verso gli ingratie i malvagi” (Lc 6,35). In nessun brano delvangelo si annunziano castighi per i pecca-tori, ma si afferma che “Dio non ha mandatoil Figlio nel mondo per giudicare il mondo,ma perché il mondo sia salvato per mezzo dilui” (Gv 3,17). È una bestemmia pensareche Dio, che ha inviato il suo unico Figlioper salvare il mondo, poi lo voglia distrug-gere a forza di cataclismi.

Alberto Maggi27 agosto 2016

“Dov’è Dio?” si chiede papa Francesco altermine della Via Crucis a Cracovia. “Dov’èDio, se nel mondo c’è il male, se ci sono uo-mini affamati, assetati, senzatetto, profughi, ri-fugiati? Dov’è Dio, quando persone innocentimuoiono a causa della violenza, del terrorismo,delle guerre? Dov’è Dio, quando malattie spie-tate rompono legami di vita e di affetto? Oquando i bambini vengono sfruttati, umiliati,e anch’essi soffrono a causa di gravi patolo-gie? Dov’è Dio, di fronte all’inquietudine deidubbiosi e degli afflitti dell’anima?”.

Dov’è, questo Dio lontanissimo e incom-prensibile, quando un terremoto trascina consé, dal nulla e verso il nulla, 296 vittime; dan-neggia il principale ospedale di Amatrice, dadove sono stati evacuati tutti i pazienti ricove-rati; distrugge la facciata e il rosone della chiesadi Sant’Agostino; a Roma, a distanza di 100km dall’epicentro, causa la comparsa di crepenelle Terme di Caracalla?

Qual è, che cos’è il Dio a cui rivolgere la no-stra miseria? L’ebraico auto-rivelatore, l’inin-terrotto interlocutore che dispiega nei secoli larivelazione di sé come Ha Shem, “Io sono coluiche è”? Al contrario, il logos preesistente delmondo greco-romano, il volo pindarico della

filosofia e della teologia, l’eterno fuggitivo, ladefinitiva conquista? Credo? Se sì, in chi, in checosa credo?

Credo in Dio, Padre. “Dio nessuno l’ha maivisto” (Gv 1:18): guardiamo al profondo del Fi-glio, cioè a noi stessi in fin dei conti, e lo cono-sceremo. La gloria del Cristo Finale, del mashiahe gli occhi mediterranei dello storico Yesu pale-stinese coincideranno. Abbà, il papà, la mam-ma, il genitore, è solo per accudirci, protegger-ci. È perché noi siamo. Senza figli, non si è ge-nitori. Dio rinnegherebbe se stesso, se non fos-se con noi, per noi, in noi. Se non fosse noi.

Padre onnipotente. Omnipotens, pantokra-tor. Occorre un radicale rifiuto delle sovrap-posizioni, delle sedimentazioni storiche, lin-guistiche, lessicali per ritornare all’integrità,alla purezza del significato originale dei padriconciliari: Dio può nella misura in cui dischiu-de la propria unica essenza, ovvero la caritas,ovvero l’amore. Dio può tutto solo come puòtutto l’amore. “Io sono la vite, voi i tralci” (Gv15,1). L’amore non fa sparire le malattie, nonimpedisce le morti premature. Ma è lì, scorrein chi resta. Dona la vita di una qualità chesupera il valico della morte, che si fa davveroeterna, e non per modo di dire.

Il biblista: “Nessun castigo divino. Dio crea, non distrugge”tratto da: www.illibraio.it/fede-terremoto-dio-382164/

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Ottobre 2016 5

L'EREDITÀ DEL CONCILIO VATICANO II

di MicheleMeschi

Cercate quindi di conoscerla, [la Costituzione], dicomprendere in profondità i suoi principi fondanti, e

quindi di farvela amica e compagna di strada.

Giuseppe Dossetti

Sentinella, quanto resta della notte?Giuseppe Dossetti (1913 - 1996)

Sappia che c’ero anch’io nel 1995 aParma, la mia città, quando lei tornòa parlare di Costituzione, allorchéruppe l’interminabile ritiro nella co-munità monastica della Piccola fa-

miglia dell’Annunziata, iniziato con l’allonta-namento del cardinale Lercaro dal soglio epi-scopale di Bologna. La vidi magrissimo e dibassa statura, più piccolo persino di me, av-volto dall’abito religioso colore della terra;poteva essere chiunque, fuorché il giurista e ilprofessore universitario, l’uomo politico e ildirigente di partito, lo studioso di scienze reli-giose, il sacerdote diocesano, il monaco, il su-periore di una fraternità religiosa.

Eppure lei, don Giuseppe, è stato tutto questo.Tra i padri, il padre della Costituzione dellaRepubblica Italiana, l’anima buona e ribelle delpopolarismo nazionale. Impossibile ripercor-rere tutte le tappe - incredibilmente frenetiche- della sua esistenza: laurea in giurisprudenzae militanza nell’Azione Cattolica; scuola diperfezionamento in diritto romano; libera do-cenza in diritto canonico; insegnante di dirittoecclesiastico; partigiano e presidente del Co-mitato di Liberazione Nazionale di ReggioEmilia negli anni terribili della guerra civile;membro della Consulta Nazionale del 1945 edell’Assemblea Costituente del 1946; portavo-ce dell’ala popolare favorevole alla Repubbli-ca in occasione del relativo, storico referen-dum; fondatore, con Giuseppe Lazzati e Gior-gio La Pira, del movimento Civitas humanaper l’orientamento del mondo cattolico versoriforme ispirate ad uguaglianza ed equità; di-rettore della rivista Cronache sociali; eletto allaCamera dei Deputati il 18 aprile 1948; più voltevicesegretario della Democrazia Cristiana.

Dopo una parentesi sui banchi di minoranzadell’amministrazione comunale di Bologna,nel 1956 ha pronunciato i primi voti. Nel 1958la vestizione clericale, quindi il trasferimentoal santuario della Madonna di San Luca. Il gior-no dell’Epifania dell’anno successivo è statoordinato sacerdote.

Poi una prima svolta. A Roma, nella sala capi-tolare del Monastero di San Paolo, domenica25 gennaio 1959 il suo adorato pontefice Gio-vanni XXIII dichiara a sorpresa: «Venerabilifratelli e diletti figli nostri… pronunciamo in-nanzi a voi, certo tremando un poco di com-mozione, ma insieme con umile risolutezza diproposito, il nome e la proposta della duplicecelebrazione: di un sinodo diocesano per l’Ur-be, e di un concilio ecumenico per la Chiesauniversale». La sua attiva partecipazione, pro-fessor Dossetti, non fu preziosa solo per le im-plicazioni teologiche e pastorali dell’assise:regalò piuttosto la lunga palestra dell’agonepolitico, l’enciclopedica cultura canonistica egiurisprudenziale, l’acuta consapevolezza deimeccanismi di voto a quello spirito di rinno-vamento dell’assemblea conciliare che ci con-segnò un nuovo cattolicesimo. Per sempre, no-nostante i «profeti di sventura» che ancor oggiserpeggiano nei sacri palazzi.

La sua Piccola famiglia è giunta nel mondo:Terra Santa (1964), Thailandia (1968); India,Iraq e Libano (1969); Giordania (1983) e infi-ne Cisgiordania (1988). Per una Piccola fami-glia, una Piccola regola soltanto:

«Il mistero è l’eucaristia del Cristo, nella qua-le è tutto: tutta la creazione, tutto l’uomo, tuttala storia, tutta la grazia e la redenzione: tuttoDio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: perGesù, Dio e Uomo, nell’atto operante in noi,

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empi di fraternità

6 Ottobre 2016

L'EREDITÀ DEL CONCILIO VATICANO II

della sua morte di croce, della sua risurrezio-ne ed ascensione alla destra del Padre, e delsuo glorioso ritorno».

«La vita che non abbiamo scelto noi, ma perla quale dalla misericordia siamo stati scelti,non può essere che questo: ogni giorno, pertutto il giorno, lasciarci prevenire dallo Spiri-to Santo a contemplare e ad accogliere in noiil mistero della messa, che opera in ciascunola morte della creatura e la resurrezione e glo-rificazione del Verbo incarnato, mistero per ilquale il Padre, per Gesù, nello Spirito Santo,sempre crea, santifica, vivifica, benedice e con-cede a noi questo bene della comunione conlui e della comunità fra noi suoi figli».

«L’apertura al dono è abbandono umile e to-tale: per la fede nel sangue di Cristo, per lasperanza nel Padre ricco di misericordia, perla carità che è lo stesso Spirito Santo, l’amoreeterno, nel quale il Padre ci ha amati per pri-mo e nel quale, soltanto, noi possiamo riamar-lo con tutto il cuore e con tutta la vita, e pos-siamo amarci l’un l’altro e amare tutti gli uo-mini nell’unica Chiesa».

«Il silenzio è l’unica lode vera e degna, essostesso puro dono di Dio. Il silenzio interiore,che è progressivo venir meno di ogni fantasia,di ogni programma, di ogni apprensione per ilfuturo, di ogni pensiero non richiesto dal do-vere immediato. Dono che va invocato, predi-sposto e custodito con la fedeltà al silenzioesteriore: sempre e rigorosamente da compu-tare all’eucaristia; ancora sempre nelle ore dipreghiera comune e di lavoro (salvo il minimodi comunicazioni richiesto dal lavoro stesso,purché siano le più essenziali e delicate possi-bili, rispettose del proprio e dell’altrui racco-glimento); e in ogni ora, ambiente e circostan-za, con la mansuetudine, la mortificazione dellacuriosità, la riduzione abituale delle cose cheverrebbe spontaneo dire, la rinuncia a parlaredi sé, la preferenza progressiva per le parolepiù semplici, più serene e più pacificanti».

«La preghiera: in ogni forma e per ogni mo-mento della giornata, può essere solo prepara-zione o prolungamento dell’eucaristia, quindinon nostra, ma di Gesù e della Chiesa in noi;nella celebrazione della liturgia delle Ore,come una cosa sola con la messa; in due ore diorazione, di cui una almeno come lectio divi-na, prevalentemente intorno al capitolo quoti-diano della scrittura, che è il vincolo costantedi unità e di pace dell’intera comunità; nel ro-sario, recitato col desiderio di essere uniti dal-

l’abbraccio della mamma celeste a tutti i fra-telli, specialmente ai più umili, ai più indotti,ai più bambini, e ai nostri morti che già ci han-no preceduto in paradiso; nella confessione fre-quente ad un confessore abituale; nella gior-nata di silenzio e di preghiera due volte al mese;in almeno due periodi si sette giorni di ritiro edi preghiera ogni anno».

«Il lavoro: è obbedienza, prolungamento del-l’eucaristia e della liturgia delle Ore, e ogget-to normale della nostra offerta. Quindi preor-dinato, custodito e compiuto con zelo religio-so; strumento regolare della nostra mortifica-zione, del nostro amore per le anime e del no-stro annuncio abituale, da preferirsi normal-mente ad ogni altra penitenza od opera di bene.Salvo ragioni di salute, deve essere almeno ditrentacinque ore alla settimana».

La seconda svolta l’ebbe proprio poco primache io la incontrassi, nel 1994. Durante unacommemorazione di Lazzati, a Milano, citòprofeticamente Isaia con l’inquieto «Sentinel-la, quanto resta della notte? La sentinella ri-sponde: viene il mattino e poi ancora la notte;se volete domandare, domandate; convertite-vi, venite! (Is 21,11-12)».

Le elezioni del 27 marzo di quell’anno, se-guite allo scandalo suscitato dall’inchiesta ManiPulite, decretarono il definitivo cambiamentodello scenario italiano. L’azione di gran partedelle procure mise sotto accusa l’intero ceto po-litico che aveva gestito per decenni il paese:industriali, uomini d’affari, servizi segreti, for-ze di sicurezza, quadri e dirigenti statali. Loschieramento di centrodestra, guidato da Sil-vio Berlusconi, sconfisse il centrosinistra deiProgressisti e la coalizione di centro del Pattoper l’Italia. Il nuovo sistema elettorale, di tipomaggioritario, favorì lo sdoganamento di mo-vimenti xenofobi e di estrazione postfascista.L’ex presidente del consiglio Bettino Craxi ab-bandonò l’Italia e prese a risiedere ad Hamma-met, in Tunisia. Fine di un’epoca.

Lei riapparve, onorevole Dossetti, cereo nel-le aule magne di università, a denunciare l’as-senza di ciò che definì «patriottismo della Co-stituzione», ben diverso - anzi, esatto contra-rio - di quello volgarmente nazionalistico. LaCostituzione della Repubblica Italiana comelegge superiore, pietra angolare di tutta la le-galità in grado di reggere l’unità nazionale. Sa-cellum eppure non mito, non epica: non ideo-logia di una parte politica soltanto. Figlia ed

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Ottobre 2016 7

L'EREDITÀ DEL CONCILIO VATICANO II

erede, ma non appannaggio della Resistenza edella lotta partigiana, bensì patrimonio di tut-ti, anche di chi l’avversa e la ferisce.

La Costituzione come un vaccino contro lederive maggioritarie che umiliano il dissensoe, in nome di efficienza e stabilità, consacranola dittatura della maggioranza. Una guida equi-librata verso un federalismo vero, che non com-prometta l’uguaglianza dei cittadini e l’unitàdel paese, e che non crei una costellazione dicentralismi ed egoismi locali. Un baluardo con-tro il presidenzialismo populista, che mortifi-ca Parlamento e organi di garanzia; che infran-ge la neutralità del Capo dello Stato in nomedi una presunta sovranità popolare, sempre ma-nipolabile mediaticamente.

Professore, non è retorica. Solo il sangueversato all’indomani dell’ultima guerra, soloil patto di uomini liberi e responsabili che leivide e coordinò possono porre fine all’odiosaitalietta di guelfi e ghibellini, conservatori einnovatori, reazionari e rivoluzionari, borbo-nici e sabaudi, laicisti e clericali, governativie sovversivi, fascisti e antifascisti, comunistie anticomunisti. E possono farlo oggi. La Co-stituzione non è storia, è cronaca.

È viva. È salda e insieme mutevole, lo ha inse-gnato lei, tutt’altro che difensore dello statusquo. Le riforme costituzionali non richiedononuove assemblee costituenti, colpi di maggio-ranza, ripicche e veti incrociati. La carta hagià in sé un attivo potere di auto-revisione, celo disse chiaramente. Fu lei, Giuseppe Dos-setti, ad auspicare il superamento del bicame-ralismo perfetto, a ricordare la possibilità dispecifiche funzioni del Senato quale rappre-sentante delle regioni, a reclamare lo snelli-mento dell’apparato burocratico dello Stato.Con chiari limiti, paletti in difesa delle regolecomuni: primo ministro eletto dalle Camere econfermato dal Presidente della Repubblica;sfiducia costruttiva dell’Assemblea che lo hainvestito; incompatibilità tra incarico di gover-no e mandato parlamentare, analogamente aquanto avviene in altri paesi europei, in mododa separare nettamente il potere esecutivo daquello legislativo; indipendenza delle pubbli-che amministrazioni dal potere politico.

«Vorrei dire soprattutto ai giovani:» - la suavoce tremava, padre - «non abbiate prevenzionirispetto alla Costituzione del ’48, solo perchéopera di una generazione ormai trascorsa.Quella americana è in vigore da duecento anni,

e in questi due secoli nessuna generazione l’harifiutata o ha proposto di riscriverla integral-mente: ha soltanto operato singoli emendamen-ti puntuali al testo originario dei padri di Phi-ladelphia, nonostante, nel frattempo, la socie-tà statunitense sia passata da una comunità dipionieri ad una potenza oggi leader nel mon-do. Non lasciatevi influenzare da seduttori fintroppo palesemente interessati non tanto a cam-biare la Costituzione, quanto piuttosto a rifiu-tare ogni regola […]. Tutte le leggi sono comele scarpe: troppo nuove, in principio, possonofare male al piede, ma con l’uso piano piano siassestano e divengono comode. Non lasciate-vi neppure turbare da un certo rumore confusodi fondo, che accompagna sempre il dialogonazionale. Perché, se mai, è proprio nei mo-menti di confusione o di transizione indistintache le Costituzioni adempiono la loro funzio-ne più vera: quella di essere per tutti punto diriferimento e di chiarimento. Cercate quindidi conoscerla, di comprendere in profondità isuoi principi fondanti, e quindi di farvela ami-ca e compagna di strada. Essa, con le revisionipossibili ed opportune, può garantirvi effetti-vamente tutti i diritti e tutte le libertà a cui po-tete ragionevolmente aspirare; vi sarà presidiosicuro, nel vostro futuro, contro ogni ingannoe contro ogni asservimento, per qualunquecammino vogliate procedere, e qualunque metavi prefissiate. E questo vale per voi non solopersonalmente; può valere, allo stesso modo econ la stessa intensità, per tutto il nostro po-polo […] Soltanto quel sano, forte, diffuso “pa-triottismo della Costituzione”, cui accennavosopra, può essere una luce orientatrice e unaforza aggregante, capace, concorrendo altrifattori, di vivificare una nuova intesa fra tuttele componenti tradizionali del nostro popolo,e di stimolare una ripresa collettiva che non cifaccia perdere, forse per sempre, l’ora dellastoria».

Durante gli anni di studio, ogni 25 aprile, in-sieme agli affetti di una vita (Simona, Emanue-le, Ilaria, Matteo, Elena, Giovanna, Chiara) mirecavo a Marzabotto per le celebrazioni dellaLiberazione. Lì, nell’atmosfera quasi oniricadel piccolo cimitero di Casaglia di Monte Sole,luogo della memoria dell’eccidio nazifascista,una lapide in terra ricordava il suo passaggiotra noi: «Battezzato nella solennità dell’Annun-ciazione del Signore dell’anno 1913, chiamatoal giudizio di Dio il 15 dicembre 1996».

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empi di fraternità

8 Ottobre 2016

RECENSIONE

Catechismo della spiritualità del creato

Questo libro nasce dopo che l’autore ha in-trapreso un viaggio in America Latina, av-venuto tra il 1989 (anno in cui il Vaticanogli impose, come domenicano, il silenzio)e il 1991, ed aver incontrato i padri dellaTeologia della Liberazione. Tra di loro Fox

si intrattenne a lungo con Ernesto Cardenal, poeta edallora anche ministro della cultura nel governo rivolu-zionario sandinista, che gli fece vedere un telescopiomontato nella stanza dove viveva per ammirare con stu-pore le meraviglie dell’Universo stellato.

Al suo rientro Fox decise di scrivere il volumetto dicui oggi, a distanza di circa 35 anni, abbiamo la tradu-zione curata dal suo amico e traduttore di fiduciaGianluigi Gugliermetto.

Il titolo originale era Creation Spirituality, e si divi-deva sostanzialmente in due parti, meraviglia e libera-zione. La prima parte trattava delle quattro vie per po-ter vivere la meraviglia della Creazione «come iniziodi ogni esperienza spirituale - scrive Gugliermetto nel-la prefazione - il ritorno della compassione e della cre-atività come elementi culturali fondamentali, la finedella vergogna e il ritorno a una ritualità sana ed estati-ca».

Per Fox, nella seconda parte del suo libro, era neces-sario che «la spiritualità del creato non si limitasse aproclami ma si calasse nella realtà più immediata a ognilivello dell’esistenza. Ma, proprio per questo motivo, iltesto della seconda parte del volume era molto legato almomento storico e al contesto culturale americano», ciricorda ancora Gugliermetto.

La scelta dell’editore, in accordo con lo stesso Fox, èstata quella di far tradurre e pubblicare la seconda parteed il prologo dell’originale.

Ci si domanda poi - e la domanda la facciamo noi diTdf - se «l’apprendimento della spiritualità del creatopuò avvenire soltanto nella massima indipendenza e cre-atività di ogni persona», come scrive sempre il suo tra-duttore nella prefazione.

Ed ancora Fox scrive, a pagina 107, parlando di fem-minismo visto come sprone a superare i dualismi a cuisiamo fin troppo abituati a vivere, che: «Lo Spirito del-la Nuova Creazione, lo spirito che è aperto a tutti, spe-cialmente ai poveri, a quelli che stanno più in basso e aimargini, nel punto dove il nulla incontra la disperazio-ne e l’oscurità è sovrastante [...] questo Spirito è fem-minista. La passione per continuare a nutrire ad ognicosto, a dare alla luce nonostante le circostanze avver-se, ad abbracciare il tutto non accontentandosi mai di

una parte, a danzare nel cosmo e non soltanto nelle stan-ze della nostra psiche e delle nostre istituzioni che sonofatte da mani di uomini, è al cuore del femminismo au-tentico».

Inoltre a chi gli chiede come fa una persona che dasempre vive in una metropoli come New York a vederela spiritualità del Creato, Fox risponde del tutto candi-damente: «La spiritualità del creato può essere un’espe-rienza urbana tanto quanto un’esperienza rurale, sem-pre che abbiamo voglia di accorgerci della provenienzadelle cose e della relazione tra di loro» (pagina 22 delvolume). Mentre se si vuole capire come Fox sente ilCreato bisogna andare a pagina 23. «Il creato è tutto lospazio e tutto il tempo. Tutte le cose presenti, passate efuture. Ma tra queste tre modalità di concepire il tem-po, è la modalità del presente quella verso cui si con-centra di più il creato, perché il tempo più significativotra tutti è adesso, è quello che è stato definito “eternopresente”».

Segnaliamo, in ultimo, l’interessante paragrafo del li-bro in cui si parla della riscoperta dell’artista come unasorta di educatore e formatore e non più come un alie-nato, mezzo matto, ubriacone come veniva descrittoall’epoca della “beat generation”. Fox dice (pagina 63-64): «Non ci immaginiamo nemmeno la forza che ver-rebbe sprigionata se gli artisti fossero di nuovo benve-nuti nell’ambito educativo e formativo, nell’ambito re-ligioso, nell’ambito della gua-rigione e al servizio delle per-sone in un contesto cosmologi-co. Nessuno può predire qualidoni l’immaginazione umanaha in serbo per noi, perché l’im-maginazione è di casa col mi-stero, è una stanza di tesori maivenuti alla luce finché giungeun invito sincero a sollecitarli.Gli artisti danno un nome allasantità dell’essere in tutte le sueforme, quelle gioiose e belle, equelle tristi e tragiche. Abbia-mo bisogno degli artisti perdare un nome alle più comunitra le nostre esperienze dell’es-sere, per dirci quando la santitàdell’essere ci è appena passataaccanto e per aiutarci ad espri-mere la nostra gratitudine».

(d.p.)

Matthew FoxLA SPIRITUALITÀ

DEL CREATOmanuale di

mistica ribelleTraduzione e cura

di GianluigiGugliermetto

Gabrielli Editori 2016pagg. 126 - € 13,00

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Ottobre 2016 9

Quando il Vaticano stava preparando la cano-nizzazione dei martiri vietnamiti (che Gio-vanni Paolo II proclamerà solennemente il 19giugno 1988), Onesta Carpené si trovava inViet Nam come operatrice volontaria delleAFI (Ausiliarie internazionali cattoliche) e si

dedicava con tutte le sue energie a collaborare con le rina-scenti istituzioni dopo la caduta del feroce regime di PolPot per riportare a una certa normalità la Cambogia. Il VietNam del Nord guidato da Ho Chi Minh aveva cacciato l’in-vasione dell’esercito statunitense e liberato il popolo cam-bogiano dal terrore dei Khmer Rossi: la diplomazia vatica-na subentrava a quella occidentale, sconfitta, con questainiziativa dall’aspetto strumentale in funzione anticomu-nista, secondo l’ottica wojtyliana. “A chi porta beneficioquesta canonizzazione? Perché la Chiesa è più rivolta aimorti e non cerca invece di sostenere positivamente gli sfor-zi di coloro che, tra grandi difficoltà, cercano di dare almessaggio evangelico un volto trasparente, perché possaessere visto anche da coloro che lo negano?” Così scrive-va al vescovo di Ivrea Luigi Bettazzi il 14 marzo 1988.

Quella canonizzazione comunque non poté essere evitata,e Onesta continua a opporsi a un metodo “missionario” am-piamente superato nei documenti del Concilio Vaticano IIma non nella prassi dell’apparato burocratico impermeabi-le alle riforme.

Onesta ha qualche osservazione da muovere alla Chiesa‘ufficiale’: il CCFD (Comité Catholique contre la Faim etpour le Dèveloppement) ha fatto venireil vescovo incaricato dal papa di occu-parsi dei cattolici cambogiani, un nume-ro percentualmente piccolissimo: “Arri-vato qui non ha fatto di meglio che direai quattro gatti che ci sono alcuni che nonhanno fatto il loro dovere perché colla-borano con il governo... Ho cercato di sol-lecitare i vescovi australiani che sono statiqui l’anno scorso a intervenire in Vatica-no perché non si cerchi di reimpiantareuna Chiesa con lo spirito del Vecchio Te-stamento. Speriamo”.

Pubblicato da Cittadella editrice, è uscitoun volume di 342 pagine, 22,50 €, (coninserto di documentazione fotografica) cu-rato dall’amica Margaret Collier-Bende-low (autrice di numerosi scritti teologici)

e da Lamberto Pillonetto (giornalista e storico) con la colla-borazione dei suoi due fratelli sacerdoti (Giovanni, preteoperaio in Belgio poi in Alessandria e operatore sociale eGiuseppe, psicologo).

Ma come era arrivata in Cambogia, questa donna straor-dinaria, nata nel 1935, penultima di cinque figli, dalle tran-quille colline trevisane del prosecco? Diplomata maestra einsegnante di ruolo nelle province di Treviso e Belluno, nel1961 inizia a Bruxelles il percorso formativo che la porteràad aderire ufficialmente alle AFI nel 1966 e viene assegnataal foyer per studentesse universitarie di Saigon. La sua fe-deltà alla realtà la porta a occuparsi degli enormi problemiinternazionali che si ripercuotono nella dimensione localeche la interpella sempre più dappresso. Nel 1974 si dimettedalle AFI e costituisce il movimento MISH (Movimento in-ternazionale di solidarietà umana): i “gruppi cristiani” concui lavora non piacciono a una mentalità “missionaria” divecchio stampo, che resta ancorata all’immagine del picco-lo gregge “legato a doppio filo alla tradizione, con cleroautoritario e un laicato remissivo, timoroso di avere contattie dialogo con il resto della società vietnamita”. Scrive: “stodiventando un piccione viaggiatore”: deve procurare un tre-no per ricostruire un minimo di sistema di trasporti, qualcu-no dall’Italia le darà una mano. Si sposta a Hong Kong,perché di lì è più facile spedire materiali in Viet Nam. Perautofinanziarsi accetta un lavoro in Australia, che le per-mette di fare la spola. Uomini politici e diplomatici sonosbalorditi della sua efficienza ed efficacia. Riscuote anche

l’ammirazione di qualche vescovo.La salute scricchiola, poi cede: tra il

2002 e il 2007 subisce interventi in Ca-nada e in Italia, a Padova. La sua corsa siferma il 1 settembre 2007. Nasce “AP-SARA”, fondazione senza fini di lucrocon finalità di solidarietà umana e socia-le, per promuovere la qualità della vitadei più emarginati, con sede a Treviso,Viale Gorizia 40/A.

Si raccolgono i documenti, mons.Bettazzi scrive l’introduzione. Un librocome questo è una finestra sulla storiareale del Sud Est asiatico degli anniSettanta e Ottanta, ed una testimonianzasulla Chiesa allo stato nascente, unaedizione contemporanea degli Atti degliapostoli. Ma bisogna saper leggere.

Non si chiamava Caterina e non era di Siena, ma...

PERSONAGGI

di Gianfranco Monaca

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empi di fraternità

10 Ottobre 2016

SERVIZIO BIBLICO

di ErnestoVavassori

Kata Matthaion Euangelion (46)

Vangelo secondo Matteo

Mt 9, 14-17

a cura diGermana Pene

Un’alta pagina che sembra innocua, inrealtà è una pagina molto forte, a tut-t’oggi disattesa, da noi cristiani, sia nei

contenuti che nelle immagini. Il collegamentoè al versetto precedente dove Gesù aveva invi-tato i farisei a imparare il senso della citazionedi Osea, altrimenti non sarebbero stati in gradodi entrare nella sala dove si festeggia la vita.Perché qui siamo in una sala da pranzo, siamoa tavola.

Quando Gesù vede Matteo gli dice: Seguimi...Poi, mentre sedeva a mensa in casa molti fari-sei sopraggiunsero… Quindi siamo nel conte-sto di un banchetto, e sappiamo che il banchet-to è sempre l’immagine della vita, del Regnodefinitivo, ricordato da Isaia (Is 2, 2-3), e quin-di il banchetto come segno di vita e della vitadefinitiva. Il Regno di Dio è la storia abitata daDio e, anche se noi inconsciamente pensiamoal cosiddetto “aldilà”, il Regno di Dio è “l’aldi-quà”, la vita in Dio è la vita che diventa eterna.Questa distinzione è molto importante.

Basta pensare alla prima parola di Gesù al-l’inizio del suo ministero: Il Regno di Dio èqui, convertitevi e credete al vangelo. Poi noil’abbiamo rimandato nell’aldilà, nel dopo mor-te, ma il Regno è qui, è nella nostra storia cheDio vuole regnare, di là è già regnante. Se nonimparano, i farisei, il significato della parolamisericordia voglio, e con loro anche quellaparte di fariseo che è in noi, cioè quella parteche pensa che sia indispensabile rispettare le

Allora si avvicinarono a lui i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i fariseidigiuniamo, e i tuoi discepoli non digiunano?».Gesù disse loro: «Possono gli amici dello sposo fare cordoglio finché lo sposo è conloro? Ma verranno i giorni che lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno. Nessunomette un pezzo di stoffa nuova sopra un vestito vecchio; perché quella toppa porta viaqualcosa dal vestito vecchio e lo strappo si fa peggiore. Neppure si mette vino nuovo inotri vecchi; altrimenti gli otri scoppiano, il vino si spande e gli otri si perdono; ma simette il vino nuovo in otri nuovi e l’uno e gli altri si conservano».

regole della religione per essere graditi a Dio,per evitare i suoi strali, se non si capisce tuttoquesto non si può entrare al banchetto dovesiede Gesù con i suoi discepoli - potremo an-che dire dove Dio da sempre sta banchettandocon l’umanità.

Si dice che la sala si riempì di pubblicani epeccatori, quindi una fetta di umanità ben pre-cisa che nella mente di Dio, nella sua volontàè già seduta al banchetto della vita. Chi inveceè ancora in piedi, indeciso se sedersi con i pec-catori, e gli indecisi siamo noi, è quella partedi osservante che ci abita e che pensa di nonavere nulla da spartire con loro.

Illuminante è la parabola di Matteo dei la-voratori assunti a diverse ore del giorno chericevono tutti la stessa paga. I lavoratori dellaprima ora si ribellano, ma il padrone paga ri-spettando ciò che era stato pattuito; Matteo sirivolge ai suoi contemporanei che non accet-tavano di essere messi sullo stesso piano deipagani, ma questa contestazione è sempre at-tuale in ogni epoca e anche a noi danno fasti-dio i credenti dell’ultima ora.

Dice Gesù: andate a imparare cosa signifi-ca... e i farisei andranno ma per decidere comecatturare Gesù, perché uno così rompeva glischemi prestabiliti e la chiusura sulle propriedottrine, sulle proprie osservanze rende impos-sibile capire ciò che dice Gesù. E la cosa piùdrammatica è che quando uno vive nella logi-ca del sacrificio, cioè del dover fare le cose

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empi di fraternità

Ottobre 2016 11

SERVIZIO BIBLICO

per Dio (il sacrificio costituiva il cuore dell’osservanzafarisaica, ancora oggi gli ebrei sono in lutto perché nonc’è più il tempio, il luogo dove compiere sacrifici), pri-ma o poi finisce per sacrificare l’altro.

Siamo in casa di Matteo, esattore delle tasse, una delleprofessioni peggiori per gli ebrei, e insieme a Gesù e aisuoi discepoli ci sono anche i discepoli del Battista.Questo è un quadro molto bello che Matteo descrive,rendendoli tutti presenti, cioè al banchetto, alle nozzedell’agnello tutti sono presenti, e le nozze sono sempli-cemente il simbolo del Regno, Dio presente nella sto-ria. Alla festa nessuno è escluso (come i lavoratori dellaparabola), Gesù mangia con tutti ma tocca a noi decide-re se sederci con tutti gli altri, Gesù non fa distinzionidi chi è seduto a mensa: ci sono i peccatori come Mat-teo, ci sono i farisei che si credono giusti (se decidonodi sedersi), ci sono i discepoli del Battista che si credo-no ascetici e santi come il loro maestro, ecc. Il banchet-to è per tutti, Dio non fa distinzioni moralistiche.

Matteo riprende ancora questo tema più avanti nelleparabole: oltre a quella già citata, anche nella paraboladel padre che offre il banchetto per le nozze del figlio,dove gli invitati previsti rifiutano con delle scuse e al-lora i servi vengono mandati dappertutto a raccoglierechiunque, buoni e cattivi senza distinzioni; non è unaquestione morale sedersi a questo banchetto.

Noi invece l’abbiamo fatta diventare una questionemorale, per cui al banchetto (leggi eucarestia) possonosedersi solo i buoni, quelli che hanno le carte in regola:abbiamo rovesciato le carte in tavola. Per Gesù non serveessere a posto per sedersi al banchetto, ma è sedendosi emangiando il pane del banchetto che si diventa a posto.

In casa di Matteo peccatore ci sono tutti, tutti i pre-senti alle nozze, e c’è Gesù, quindi Dio; Gesù è l’im-magine più completa del volto di Dio ed è sdraiato lì amensa con tutti, è un’immagine molto bella che usaMatteo per dire che è il Dio creatore che siede a mensacon la sua creazione. E l’immagine del banchetto è lacreazione che gode dei frutti che sono per tutti.

Ma a questo banchetto sorge un problema: la voltascorsa erano i farisei e i discepoli di Giovanni che do-mandano conto del perché i discepoli di Gesù non di-giunano, e digiunare significa che ci manca qualcosaper la vita, il digiuno religioso significava mancanza divita che è Dio, quindi l’attesa di Dio. Più di tutti il Bat-tista (segnato da un rigorismo estremo), è il profeta chesprona all’attesa del Messia che sta per arrivare, e an-che la domanda che lancia a Gesù dal carcere: sei tu odobbiamo aspettarne un altro? è segno di un’attesa diun Messia con caratteristiche diverse. E Gesù spiegacon immagini molto belle perché i suoi non digiunanoe in questo c’è l’essenza della vita cristiana.

Noi oggi abbiamo dimenticato il problema del man-giare e di conseguenza abbiamo perso il problema del

vivere, non sappiamo più perché ci siamo in questo mon-do. Oggi l’abbondanza di cibo ci ha fatto perdere il sen-so profondo del mangiare, sacramento della vita e dob-biamo ricorrere alle diete per riequilibrare la situazione.

La fede ha sempre a che fare con l’economia e Gesùlo sapeva molto bene. Il nostro mangiare è un mangiarequalunque mentre il mangiare evangelico non è un man-giare qualunque perché è un invito a nozze (il pranzo dinozze non è un mangiare di tutti i giorni), e con la ve-nuta di Gesù l’invito è alle nozze con Dio e questa è larealtà che sta dietro a questa immagine: le nozze fracielo e terra. Noi viviamo in questa pienezza di vita cheè pienezza d’amore. Quindi con l’arrivo di Gesù è fini-ta quella religione del vittimismo, del sacrificio, di tri-stezza, di attesa, tipica del Battista. Con la venuta diGesù noi celebriamo la pienezza della presenza di Dionella nostra vita.

È il gesto dell’Eucarestia: mangiare lui è la nostra vita.Allora questa unione di noi con Dio e di Dio con noiesige un vestito nuovo, ecco perché si parla di una pez-za grezza su un vestito vecchio; il vangelo ha introdot-to una novità, non più sacrificio e tristezza ma festa egioia, e alle nozze si va con un vestito nuovo, e il temadelle nozze si collega al tema del vino. Nel vangelo diGiovanni si racconta quel “miracolo” esagerato (600litri di vino), ma è per dire che la vita deve essere un’eb-brezza e il vino è il segno dell’amore, sacramento delloSpirito. Quindi ci dev’essere uno spirito nuovo che or-mai rompe tutti gli otri vecchi, cioè tutte le vecchie strut-ture, le vecchie immagini di Dio, le vecchie forme direligiosità, non tengono più con Gesù, sono costrette asaltare. Ci vuole quindi un contenitore nuovo, l’uomonuovo, un’umanità nuova e soltanto un’umanità nuovapuò capire e cogliere questo dono.

Arrivano i discepoli del Battista a chiedere conto delcomportamento dei discepoli di Gesù: in un contesto divita vengono a parlare di morte, perché non mangiaresignifica morire. E noi sappiamo che i farisei erano par-ticolarmente attaccati a questa forma di religiosità, an-che se Mosè aveva prescritto un giorno di digiuno al-l’anno, essi, per sentirsi migliori di tutti, avevano in-ventato addirittura due giorni di digiuno alla settimana,ed è quello di cui si vanta il fariseo mentre prega altempio nei confronti del pubblicano che invece si pro-clama peccatore. I farisei digiunano in omaggio alla lorotradizione, per loro la vita sta nell’osservare il passatomentre per i discepoli del Battista la vita è nel futuro, ilpresente è sempre digiuno, stanno aspettando il Messiae finché non arriva bisogna digiunare.

Se la vita è nel passato o nel futuro, nel presente di-giuniamo, cioè moriamo.

È un rischio che possiamo correre anche noi, cioè vi-vere tra il desiderio di ciò che sarà e il rimpianto di ciòche è stato. E nel frattempo? Il presente ci sfugge.

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empi di fraternità

12 Ottobre 2016

SERVIZIO BIBLICO

Il Dio di Gesù non è né uno che era né uno che sarà,è uno che è. Per questo i discepoli di Gesù non digiuna-no, vivono la gioia dell’incontro con Lui, sono le nozzedell’Agnello, dice Gesù.

Matteo lo dice già all’inizio del suo vangelo, quandol’angelo dice a Giuseppe: lo chiamerai Emmanuele (Diocon noi), e lo ripete qui: possono digiunare gli invitatiquando lo sposo è con loro? Non si può digiunare per-ché non ha proprio senso.

In questo suo modo di raccontare la scena, Matteoaccomuna i discepoli del Battista ai farisei perché nonsono stati capaci di riconoscere in Gesù il Messia atte-so. Quando Matteo scrive sono passati circa 60 annidalla morte di Gesù, e quindi è un giudizio storico chela sua comunità fa nei confronti dei discepoli di Gio-vanni. Qui Gesù non dà un giudizio sul digiuno, dicesemplicemente che i suoi non possono digiunare per-ché figli del baldacchino nuziale. Storicamente questipersonaggi erano gli amici intimi dello sposo che ave-vano il compito di occuparsi del corretto svolgimentodella festa nuziale; questi preparativi erano così impor-tanti che la legislazione ebraica esentava dalle pratichereligiose per tutto il tempo necessario.

Quello che a noi interessa è ciò che questa immagineci comunica, e cioè che la vita non è semplice mangiarema l’allestimento di un banchetto di nozze, vivere nellapienezza di quell’amore che è Dio stesso. In tutto l’AT,dai profeti al cantico del cantici, c’è l’immagine di Diocome lo sposo del suo popolo. Il discepolo è l’amicointimo dello sposo e il suo compito è quello di prepara-re e celebrare le nozze di Dio con l’umanità, quindi inquanto amici intimi dello sposo, i discepoli non sonotenuti ad osservare nessuna legge.

Ma Gesù aggiunge: digiuneranno quando lo spososarà loro tolto. E quando sarà loro tolto, quando saràsulla croce, quel giorno digiuneranno, ma non sarà piùun digiuno religioso per ingraziarsi Dio, per chissà qualimeriti, per far vedere quanto valiamo, ma quel digiunosarà espressione di un lutto, non sarà mai una praticaascetica per il cristiano, quello che noi collochiamo ilvenerdì santo; soprattutto non sarà mai un sistema daimporre a nessuno, perché non si può imporre un luttoa chi non è amico intimo dello sposo che è stato tolto,se non sei in amicizia con una persona come fai ad es-sere triste quando questa persona viene a mancare? Faiil teatrino, come spesso sono le nostre celebrazioni.

Il digiuno che Gesù desidera non è quello religioso,ma è quello che già i profeti hanno richiamato, è chia-rissimo, Isaia 58: dividere il pane con l’affamato, intro-durre in casa i senza tetto, vestire il nudo, sciogliere lecatene, spezzare ogni giogo, questo è il digiuno che iovoglio, diceva Jahve; poi arriva Gesù, Mt 25, altra pa-rabola straordinaria, il cosiddetto giudizio finale, chein realtà sarà un autogiudizio, perché Dio non giudica

nessuno, ma il giudice si limiterà a riconoscere l’opera-to di ciascuno. Via da me, dice il re, che significa sem-plicemente: non ci siamo mai conosciuti, il tempo è fi-nito, non si può più cambiare nulla. Lo sposo si incon-tra così: lo sposo che si è fatto l’ultimo di tutti lo siincontra negli ultimi, lì lui è presente al nostro amore,questa è l’unica forma di digiuno che noi dovremmopraticare, l’altra è una questione dietetica che non c’en-tra col vangelo.

Poi Gesù propone altre due immagini nuove per espri-mere la novità cristiana della vita, perché già ai tempidi Matteo la comunità faceva fatica a capire a fondo ilmessaggio di Gesù, erano problemi loro, ma sono an-che problemi nostri, non sono bastati 2000 anni perentrare in questa dimensione così nuova che Gesù haintrodotto dentro la storia; se noi dovessimo rapportarei tempi sull’evoluzione del mondo, dalla creazione allacomparsa della specie umana, Gesù è apparso un minu-to fa. Allora Gesù è ancora tutto da capire, poi noi neinostri anni della nostra vita non possiamo capire i ritmidella storia dell’umanità, che non ci appartengono, noisiamo delle cose ridicole su questa scala, crediamo diessere al centro del mondo, di capire… Mettiamoci alnostro posto, che è quello di essere un soffio all’internodi questo mistero evolutivo enorme, che è in atto, perquello che s riusciamo a capire, da 15 miliardi di anni,mah chissà…

Se Gesù è ancora tutto da scoprire possiamocomprendere vino nuovo in otri nuovi, l’esigenza delvestito nuovo, cioè le immagini di Gesù che fanno partedella nostra educazione passata le possiamoallegramente buttare via, perché non tengono, nontengono.

Matteo scriveva per la sua comunità fatta in preva-lenza da giudeo cristiani, ossia ebrei cresciuti con lalegge di Mosè, è comprensibile la fatica di queste per-sone di fronte a questa novità così affascinante ma al-trettanto problematica per loro: rifiutare completamen-te la legge o tenerla insieme alla novità di Gesù? E poic’erano i pagani, e allora questi dovevano passare dallalegge di Mosè (circoncisione) o no, per diventare cri-stiani? E Gesù ci dice che è assolutamente impossibiletenere insieme realtà di vita che si oppongono radical-mente (vestito vecchio con toppa nuova, vino nuovo inotri vecchi), perché non solo le cose si rompono maperdi tutto, perdi il vecchio e perdi il nuovo.

La novità dell’amore, dice Matteo, non è il semplicerestauro dell’uomo vecchio, non è qualcosa in più dafare dal punto di vista religioso, perché di cose religio-se l’uomo ne ha in abbondanza, Gesù è venuto a porta-re un nuovo modo di agire, la novità del suo amore nonpuò essere inserita in un vecchio stile di vita.

Le religioni sono opera dell’uomo, la proposta di Gesùè qualcosa di radicalmente diverso, ed essendo questa

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Ottobre 2016 13

SERVIZIO BIBLICO

novità molto più forte del vecchio, la toppa nuova pro-duce uno squarcio ancora più grande: il nuovo non ècompatibile col vecchio. Noi stiamo ancora pensandoche la novità del vangelo possa miscelarsi con la con-cezione del mondo, con un criterio di buon senso chegoverna la nostra vita, e insomma il vangelo lo dobbia-mo aggiustare un pochino, inquadrarlo dentro, così da2000 anni stiamo buttando via una cosa e l’altra.

Al banchetto nuziale potremo entrare solo con l’abi-to nuovo, ci dice Matteo, e la grazia di Dio è concessa atutti, l’invito alle nozze è per tutti, non è qualcosa che tidevi meritare, soltanto devi avere la consapevolezza diquesto: c’è una novità che è entrata nella tua vita e pro-gressivamente ti riveste di giorno in giorno, e questovestito nuovo è la relazione filiale e fraterna che Gesù èvenuto a rivelarci.

La sostanza della nostra vita sta nell’essere consape-voli di essere figli e fratelli, uguali di fronte al Padre.Fin dall’inizio le relazioni sono fondamentali, senzal’abito nuovo le relazioni diventano conflitti: Adamoed Eva, Caino e Abele ecc., e ancora oggi l’umanitàripete all’infinito questa situazione conflittuale cosìcome ci è stata presentata all’origine dell’umano. Ripe-tiamo il confltto di coppia, ripetiamo il conflitto di fra-ternità, ripetiamo il conflitto fra nazioni, la torre di Ba-bele, dove Dio crea le diversità, non un’unica lingua, nonun unico governo mondiale, non un’unica economia:imparate a convivere nella diversità.

I nostri conflitti sono ancora quelli, ecco perché laBibbia è un codice universale di antropologia, perchénon è altro che la struttura dell’umanità che ripete sem-pre gli stessi errori, che non si riveste dell’abito nuo-vo, questo modo nuovo di essere uomini e donne cheabbiamo visto nell’umanità di Gesù. E poi l’altra im-magine, anche molto chiara - non si mette il vino nuo-vo in otri vecchi perché si rompono, ma vino nuovo inotri nuovi. Gesù aggiunge qualcosa rispetto alla pri-ma immagine. Qualcuno cercherà di far convivere latradizione con la novità di vita portata da lui e cosìperderà entrambe le cose: le sicurezze passate e lenovità di Gesù.

Spesso anche noi facciamo così, ammiriamo il nuovoche ci insegna Gesù ma cerchiamo di incastrarci dentroil nostro schema, il nostro castello in cui siamo semprevissuti, in cui siamo stati educati, lo schema che appar-tiene al nostro passato, e poi entriamo in crisi perchécapiamo che le due cose sono incompatibili, sono in-conciliabili, e oggi la storia ci sta facendo esplodere inmano questa realtà.

Per citare la cosa più semplice: la crisi del linguaggioreligioso è sotto gli occhi di tutti, non siamo capaci diesprimere una liturgia che dica la nostra fede in un lin-guaggio che non sia quello medioevale che abbiamoereditato, che non dice più nulla a nessuno, e gli stessi

preti non capiscono più quello che dicono, e così anchegli altri non capiscono ed è una confusione generale.Sono immagini che appartengono a un mondo antropo-logico che non c’è più, cioè a un’immagine di uomo,donna, chiesa, che non esiste più; come se noi parlassi-mo un linguaggio di una cultura che è sparita.

Occorrono modi nuovi per trasmettere la novità diGesù, tutta quella vita, quella gioia, quella energia, quel-l’ebbrezza (immagine del vino), che il messaggio diGesù contiene.

Quando queste prime comunità si raccontavano fradi loro, la Parola parlava, sentivano dentro scaldarsi ilcuore. Oggi a noi questa parola fa dormire. Il vino gio-vane, poi, ricorda anche la benedizione della terra pro-messa, quando Israele entra in questa terra e Giosuèmanda gli esploratori ad osservare la terra di Canan.Tornarono, dice il testo, con grappoli così grossi chedovevano portarli in due su un bastone.

Il vino rappresenta il di più, e, mentre il mangiare èl’indispensabile, è proprio il di più che ci è necessarioper essere felici (ecco quindi l’immagine del vino nellenozze di Cana).

Noi siamo chiamati ad essere felici e non solo essen-ziali; Dio è proprio il di più per la felicità. Come si di-ceva all’inizio: noi non siamo fatti per mangiare comegli animali, noi siamo fatti per amare e anche il ciborientra in questa dinamica per noi.

Ecco perché le cose più importanti dell’esperienza diGesù avvengono a tavola, perché la tavola dovrebbeessere il luogo dell’amore, perché mangiando entri incomunione con chi mangia con te, per questo è tristemangiare da soli, perché una relazione d’amore non sipuò vivere da soli; una relazione d’amore ha bisogno diun tu o di un noi, da soli si mangia in fretta, giusto lasoddisfazione di un bisogno biologico, ma sedersi a ta-vola è un fatto d’amore e non solo biologico, e l’amoresi deve vivere con calma.

Questo è il lusso che dà gioia, questo è il vino nuovoche ha portato Gesù, e poi il vino diventa simbolo delsangue, della vita, dello Spirito. E noi sappiamo cheGesù sulla croce ha compiuto anche questo, ha dato ilsenso della nostra felicità, della nostra ebbrezza e si èbevuto lui tutto il vino acido della nostra cattiveria, dellanostra malvagità. E ha fatto uscire fuori il suo sangue,il suo vino, quello buono, la sua grazia per tutti: tutto ècompiuto! gli fa dire Giovanni nel suo vangelo.

Questo è simboleggiato dalla spugna imbevuta di ace-to che gli porgono e Giovanni è l’unico evangelista chedice: assaggiatolo lo bevve tutto, perché assorbe tuttoil nostro male e lo distrugge, e rimane il suo vino, quel-lo che subito dopo un soldato con un colpo di lancia fauscire dal suo costato.

Il vino buono arrivato alla fine del banchetto di Canaè simbolo del vino nuovo del banchetto definitivo.

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empi di fraternità

14 Ottobre 2016

NELLE RISTRETTEZZE DELLE GALERE

a cura dellaredazionedi RistrettiOrizzonti

Rubrica a cura diRistretti OrizzontiDirettore:Ornella FaveroRedazione:Centro Studi diRistretti OrizzontiVia Citolo daPerugia n. 35 -35138 - Padovae-mail: [email protected]

In carcere il telefonoti può salvare davvero la vita

C’è qualcosa per cui i detenutidi Padova sono “invidiati” daidetenuti di tutte le carceri ita-liane: le telefonate. Già il pre-cedente direttore della Casa di

reclusione aveva accettato di usare il suo “po-tere” di autorizzare telefonate straordinarie perconcedere a tutti due telefonate in più dei mi-seri dieci minuti settimanali previsti dalla leg-ge, e aveva concesso l’uso di Skype per farecolloquio a chi ha la famiglia lontana. Il nuo-vo direttore ha scelto di non fare “il passo delgambero” e rimangiarsi queste concessioni,ma, al contrario, ha concesso a tutti altre duetelefonate. Sembra una cosa da niente, è in-vece uno straordinario “regalo” per tutte lefamiglie. Nella “contabilità” carceraria, duetelefonate in più al mese sono ossigeno perl’anima, e ti permettono di “dividerti” un po’più equamente tra figli, nipotini e altri fami-gliari, che di te possono avere solo quei po-chi minuti di telefonata al mese, come rac-conta Antonio Papalia: “Oggi grazie alle duetelefonate in più posso permettermi di sentirei miei sette nipotini, che abitano in Calabria,una volta la settimana, mentre prima potevosentirli una volta ogni quindici giorni, poi-ché le sei telefonate erano suddivise tra miamoglie e mia figlia, che vivono a Milano, miasuocera, mia sorella e i miei due figli, che

vivono in Calabria”. È ora che questa piccolaconquista sia estesa a tutte le carceri, e che silavori per liberalizzare davvero le telefonate,come già succede in tanti Paesi dell’Europa,perché telefonare di più è forse l’unico mez-zo che ti aiuta a non perdere la famiglia e ticonsola nei momenti più duri, quando la vitati diventa insopportabile.

Ma come si fa a curarsi dei propriaffetti con il tempo contato?

Aspetto che passi il tempo, aspetto la dome-nica come un bambino aspetta la cioccolata,aspetto il mio turno per telefonare, e intantosale l’ansia con il pensiero di non trovare imiei cari o che magari sia successo qualcosaed io non potrei fare nulla per aiutarli e sareicostretto a riprovare la prossima settimana. Epasseggio, avanti e indietro davanti alla por-ta della cabina del telefono aspettando che sifaccia l’orario. Com’è difficile in dieci minu-ti di telefonata a settimana potersi esprimereal meglio, qualche volta non si riesce ad espri-mersi affatto, non sai neppure con chi parlareprima quando devi rincorrere il tempo. Macome si fa a curarsi degli affetti con un cro-nografo in mano?

Spesso era talmente complicato telefonareche in quel giorno l’ansia saliva al punto chenella cabina entravi come una persona

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empi di fraternità

Ottobre 2016 15

NELLE RISTRETTEZZE DELLE GALERE

“normale” e uscivi ancora più arrabbiato pernon aver espresso niente di ciò che avrestivoluto dire.

Ho potuto riallacciare i rapporti con la miafamiglia quando sono arrivato a Padova.

Non solo perché ho trovato la possibilità ditelefonare ai miei famigliari in qualsiasi gior-no e orario della settimana, ma ho avuto l’op-portunità di trovare un direttore illuminato checi ha concesso due telefonate supplementariin più; in questo modo, quando necessita l’ur-genza di parlare con i miei ragazzi (i miei duefigli gemelli) l’ho potuto fare senza doveraspettare che passasse una settimana, e affron-tare così il problema nell’immediatezza.

Da circa un mese il nuovo direttore OttavioCasarano, sensibile sui problemi dei figli mi-nori ha fatto di più, ha concesso due ulterioritelefonate, una decisione presa all’inizio perchi ha figli minori, ma visto che non ci sonofigli di serie A e figli considerati di serie B soloperché hanno raggiunto la maggiore età, hadeciso di estendere le ulteriori telefonate a tuttii detenuti, in modo che tutti ne possono bene-ficiare senza discriminazioni.

Come detenuto, come padre e come figlionon posso fare altro che ringraziarlo pubblica-mente, e ritenere che sia un esempio che moltidirettori dovrebbero prendere in considerazio-ne, per la caparbietà e la determinazione di aiu-tare i detenuti a curare gli affetti. Mentre inParlamento si cerca di fare cambiare la nor-mativa sugli affetti in carcere, basta un diret-tore coraggioso che interpreta nel modo piùumano l’ordinamento penitenziario là dovecita: Il Direttore può concedere telefonate…,e in attesa della liberalizzazione delle telefo-nate, a Padova ci viene concesso di fare ottotelefonate al mese, e di curare gli affetti con ifamiliari in modo quasi dignitoso.

Grazie Direttore.Agostino Lentini

Le nostre famiglie ci possonoascoltare qualche minuto

in più alla settimanaA Padova, i detenuti che prima potevanousufruire di sei colloqui telefonici al mese, oggiringraziano il nuovo direttore, OttavioCasarano, per questa forte sensibilità versocoloro che sono privati degli affetti familiariche l’ha portato ad autorizzare altre duetelefonate al mese. Il carcere deve tendere al

reinserimento, e questo è un atto dicivilizzazione nonché di umanità, in quantoallevia la sofferenza delle nostre famiglie, checi possono ascoltare qualche minuto in più allasettimana.

Ci piacerebbe però che questa forma di buonsenso fosse estesa a tutti gli altri istituti dipena. Avvicinare il detenuto alla famiglia ècompito delle istituzioni, lo stato deve esserepresente nelle circostanze, in cui una personaviene allontanata dalla sua famiglia, anche seper sua responsabilità, e deve fare in modoche il detenuto possa vivere una detenzioneun po’ più serena, e certamente rasserena unpo’ sapere di accedere a qualche colloquiotelefonico in più. Basta pensare, per esempio,ad un compleanno dei nostri anziani genitori,ad una ricorrenza dei nostri figli o nipoti, allapossibilità di interloquire con la famiglia persapere come vanno i bambini a scuola: tuttoquesto significa anche aiutare il detenuto adavere delle responsabilità maggiori, a sentirsiun po’ meno assente nei confronti dei propricari. Ecco, oggi a Padova, da questo punto divista, si fanno dei piccoli passi avantisignificativi, che lasciano il segno dentro ildetenuto stesso, che così riconosce anche imeriti delle istituzioni. Quando in un luogodi esclusione come il carcere si hanno deiconfronti costruttivi, le persone cresconoculturalmente e la vita di tutti i condannatimigliora.

Quello che è importante poi è che vengaascoltata anche la voce dei nostri famigliari equesto è stato fatto da questa direzione conesito positivo. Ora è importante che le leggiche riguardano le famiglie delle personedetenute nel nostro Paese vadano cambiate,liberalizzando le telefonate che vengonocomunque pagate dai detenuti stessi,aumentando le ore di colloquio e autorizzandoi colloqui riservati per le famiglie. La direzionedi Padova merita comunque un elogioparticolare, anche perché ha fatto un atto di“uguaglianza” concedendo le telefonate in piùa tutti, mettendo tutti sullo stesso pianoeducativo senza nessuna distinzione in basealla tipologia di reato.

Tutto questo ci fa riflettere e anche elaborareun rapporto nuovo, più responsabile con chisvolge il proprio lavoro in questo istituto, apartire dagli agenti di Polizia penitenziaria finoal Direttore e agli altri operatori.

Giovanni Zito

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16 Ottobre 2016

ESPERIENZE

Il dolore di sette anni fa. Il mio. Il doloreche oggi prova chi ha perso tutto in unanotte. Io sono l’esempio di quantoL’Aquila sia ricostruita. Dopo sette anni,sono ancora sfollata.

Oggi io vivo da inerme spettatrice quello cheho vissuto da altrettanto inerme protagonista,sette anni fa. Non devo immedesimarmi. Co-nosco la tragedia.

Quella notte del 24 agosto scorso, la scossasi è avvertita distinta e forte e lunga, nella casanella quale abito. Non ho avuto un attimo dipaura, per me. Questo mio sopravvivere a pro-ve durissime, il mio guardare la morte in fac-cia più volte, e ritrovarmi ancora viva, mi dàuna sorta di distacco dalla vita. Ma provo ungrande dolore per chi soffre. Non posso nonpensare che quelle persone stanno, ora, comestavo io sette anni fa. Annichilite. Posso soloaugurare loro di avere la mia stessa forza. Ditrovare una ragione, per andare avanti. Finchéc’è vita, c’è speranza. E la vita va avanti, no-nostante tutto.

Il “miracolo” berlusconianoIl modello L’Aquila, attinente la gestione del-l’emergenza, ora, viene demonizzato a livel-lo mediatico. Eppure era il miracolo berlu-sconiano. Voi sapete quanto io lo abbia con-testato, in tutte le sue sfaccettature, e quantoritengo che sia stato irreversibilmente perni-cioso, ma questa demonizzazione, secondome, strumentale e non nel merito della sostan-

Sette anni fa, il dolore di Anna de L’Aquila

«EBBENE SÌ, MI SCAPPA SPESSO. A VOLTE TRATTENGO, MA POI DEVOFARLO. SCRIVERÒ, DIRÒ TUTTO. BENVENUTI NEL BLOG DI ANNAPACIFICA COLASACCO».Così era ed è la home page di MISS Kappa aperto nel 2009.Anna fu una testimone vera di ciò che accadeva durante il terremoto a L’Aquila.A lei abbiamo chiesto di scrivere alcune righe sul sisma che, a fine agosto, ha colpito ilcentro Italia: la sua esperienza oggi può essere un aiuto prezioso.

za dei fatti, offende l’aquilano medio, che sisente messo alla berlina, come se si conte-stasse la sua persona, vittima del metodo, enon il metodo stesso.

Credo che, quando si parla di e con i terre-motati, ché noi siamo ancora terremotati e losaremo per molti anni ancora, occorra mag-giore sensibilità.

Tutti sapete la farsa che Berlusconi mise inpiedi sulla nostra terra martoriata. Venne a ri-pulirsi la faccia, dopo i fatti di quella bimbetta,Noemi. Stava sempre qui, super blindato, con iset costruiti ad arte, i figuranti, gli applausi fin-ti, le finte consegne delle case, le dentiere mairecapitate, le veline promesse agli operai, lebarzellette e compagnia bella. Tentammo piùvolte, in pochi coraggiosi, di contestarlo e difargli delle domande, impresa titanica, non la-sciavano passare nessuno e mai la contestazio-ne passò, a livello di notizia, sui media.

Però a nessuno di noi venne in mente di con-testarlo, il giorno dei funerali. Nessuno di noipensò che le sue lacrime non fossero sincere,per il semplice motivo che ogni essere umanonon può non disperarsi, davanti ad una cata-strofe del genere.

Chi oggi ha contestato Renzi ai funerali diAscoli Piceno e le lacrime della moglie ha com-messo un atto riprovevole, gravissimo, da es-sere spregevole. Di persona che non ha rispet-to neanche di sé stesso.

Chi ci salverà da chi ci bacchetta, perché noiaquilani parliamo troppo della nostra esperien-

di Anna PacificaColasacco

«Mi commuove pensare che il nostro sacrificio di terremotati,devastati più dalla gestione dell’emergenza che dalla furia della

natura, sia servito come esempio da non seguire»

Nelle immagini,L’Aquila dopo ilterremoto del 2009

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empi di fraternità

Ottobre 2016 17

za, ancora così tanto viva? Come se volessimo essere pro-tagonisti a tutti i costi. Noi, che vorremmo solo essere utiliai fratelli sfollati come noi, e vorremmo stringerli in unabbraccio consapevole, di chi può capirli davvero e senteil loro dolore sommato al nostro. Si parla troppo, sì, ancheper bacchettare. Se si sceglie il silenzio e lo si intima adaltri, che silenzio sia. Ma si sa: tutti abbiamo, comunque,qualcosa da dire. Anche se nulla da dire abbiamo.

Capisco cosa si prova a stare lontani dal disastro e adavere solo notizie ufficiali. Impotenza! Qualcosa trapela,ma, tra le mille bufale, non si capisce niente. Ora capiscoquanto importanti siamo stati noi blogger aquilani per chivoleva notizie non filtrate, da chi viveva la tragedia sullasua pelle. Ora capisco perché mi volete bene.

Per fortuna, ai tempi del terremoto dell’Aquila, non po-tevo seguire le trasmissioni televisive. E questo per mesi. Iservizi giornalistici oggi sono vergognosi. Di una banalitàe uno squallore disarmanti.

La cultura della prevenzionedei danni da terremoto

è importantissimaL’Aquila piange 309 morti che si sarebbero potuti evitare,ma, in proporzione all’entità della magnitudo della scossae al numero dei 70mila abitanti, sono relativamente pochi.L’ho detto dall’inizio: le nostre case ci hanno salvato. So-prattutto quelle del centro storico, che avevano, comun-que, catene e rinforzi, anche se non di ultima generazione.Spendiamo di tasca nostra, per mettere in sicurezza le no-stre case, l’Italia tutta è a rischio sismico. Lo Stato, si sa,non ci tutela in questo, interviene dopo, a tragedia avvenu-ta. Non mette in sicurezza il territorio e le abitazioni, mapensa alle grandi opere. Eppure, quale grande opera sareb-be mettere in sicurezza il nostro enorme patrimonio stori-co e i nostri territori.

Ho visto un’intervista ad una signora della mia età, ter-remotata. L’intervistatrice le chiedeva se voleva andarevia e lei rispondeva: no, non voglio andare via, ha vistocome è bello qui? Come è tranquillo, la natura è meravi-gliosa.

Ho pianto, perché ho riconosciuto me stessa che guarda-vo il Gran Sasso e mi dicevo che quello, almeno quello,non poteva togliermelo niente e nessuno.

Ti attacchi a quello che conosci, che è tuo e che resta. Tici attacchi con le unghie ed i denti, per sopravvivere.

Quindi gli alberghi sono una violenza, enorme. Sono vio-lenza per chiunque abbandona la propria terra.

Nessuno sarà sradicatoMi commuove pensare che il nostro sacrificio di terremo-tati, devastati più dalla gestione dell’emergenza, che dallafuria della natura, sia servito come esempio da non segui-re. Sia servito a rispettare le vite di altri sopravvissuti. Hosperanza, anche perché gestire 3.000 sfollati è decisamen-te più semplice del gestirne 100.000 e ricostruire piccoliborghi è più semplice che ricostruire un capoluogo di re-gione, città d’arte, e il suo vastissimo territorio.

A L’Aquila ci impedirono i campi autogestiti: chi l’ha fat-to ha passato dei guai. Io rimasi libera, mai entrata in uncampo, se non per la connessione internet e per i primi due otre pasti. Per il resto, feci tutto da sola e lo dico con orgoglio.

Vi dico cosa mi servivaBiancheria intima usa e getta, scarpe da ginnastica, un paiodi calosce, per la pioggia, quanto pioveva! E mai le ho avute.Un paio di tute da ginnastica, anche tre. Una spazzola per icapelli e un libro. Un accappatoio. Una coperta. Un com-puter e una connessione, ma quelli mi arrivarono dopo solitre giorni.

Si aspetta, non si dimentica. Si agisce a riflettori spenti eattraverso persone fidate che agiscono in loco. Si impe-gnano tempo e danaro. Devolvere 2 euro cheta la coscien-za e ingrassa le compagnie telefoniche.

Non donate, per il terremoto, se non sapete bene a chi vail denaro. No sms, no conti correnti di associazioni chenon conoscete più che bene e personalmente. Il post terre-moto è lungo e penoso, non finisce mai. Il dono più grandeche potete fare è quello di non dimenticare e di aiutare,dopo, ed accertarvi che il danaro vada a chi ne ha vera-mente bisogno.

ESPERIENZE

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18 Ottobre 2016

COSE DALL’ALTRO MONDO

di Roberto e Gabriella Ugolini

Sono le ore del golpe:L’altra sera, quando è successo tutto quello che è succes-so, ci siamo sentiti un po’… lontani. Niente aerei, auto-bus, confini chiusi, coprifuoco. Anche pensare dove po-ter andare, se le cose si fossero messe al peggio, per unanon improbabile guerra civile, tutto possibile. Per averenotizie saltiamo dai canali tv turchi a Rai news 24. Lenotizie sono confuse, talvolta contradditorie, le immagi-ni che ci arrivano fanno impressione. Vedere luoghi checonosciamo bene come Istanbul, Ankara, con i carri ar-mati per strade che anche noi abbiamo percorso, i pontisul Bosforo bloccati e con lunghissime code di auto fer-me, il rumore degli spari, soldati con le mani alzate insegno di resa, il fragore degli aerei che sorvolano le cittàa bassa quota, tutto questo fa male! È difficile scrivervitante impressioni. Altalena di sentimenti per cui in alcu-ni momenti avremmo voluto essere lontani da qui, datutto quello che stava accadendo, ma al tempo stessonon potevamo pensarci in un altro posto che non fossequesto. L’incertezza ci combina strani scherzi portando ilnostro pensiero indietro nel tempo, ai ricordi, oppure cifa precorrere sprazzi di futuro, che ancora non esiste: sele cose cambieranno radicalmente chi saranno i nostriprossimi interlocutori? Potremo restare, dovremo anda-re via? Sì, siamo stranieri… ma sicuramente non estra-nei. Estranei affatto. Gli amici che abbiamo sparsi un po’ovunque in questa nazione come staranno? Che ne saràdei profughi che conosciamo? Certamente lo scenario chele televisioni ci presentano ci introduce bene al significa-to della parola fragilità. Avranno più peso le frasi del li-bro del Qoelet o quelle del libro della Sapienza? Ad untratto ‘sentiamo’ che è tardi, gli avvenimenti scavano.Sono ore che guardiamo la televisione e allora, quasi ri-tornando ad essere padroni di noi stessi, prendiamo ladecisione che si è rivelata la più importante: Gabri ed ioci siamo seduti nella stanza dove in genere preghiamo,abbiamo fatto silenzio… dopo tanto rumore, e Gli abbia-mo affidato tutto e tutti. L’assalitore e l’assalito, il giustoe l’ingiusto, i morti e i vivi, i prigionieri e i liberi…

È stato facile fare questo perché anche noi in quelleore siamo stati l’uno e l’altro. Niente altro che… l’uno el’altro.

LA NOTTE DEL 15 LUGLIO

Già dalla mattina seguente, tutto è incredibilmente di-verso. I casi sono due: o la città non ha memoria o cisiamo immaginati tutto come in un incubo. Siamo anda-ti in centro e tutti i negozi sono aperti, sembra un giornoqualunque, la gente cammina per le strade, vediamoanche diversi matrimoni, con le auto degli sposi che gi-rano addobbate a festa come scatole da regalo con na-stri dai colori sgargianti tra un frastuono di clacson. L’unicanota ‘politica’: un nutrito gruppo di donne di tutte le etàche in una delle piazze principali sventolano le bandiereturche e cantano inneggiando alla vittoria.

Saranno i tg della sera a farci capire che non abbiamosognato, mentre fanno il resoconto della notte preceden-te, commentando e mostrando i filmati. Conosciamo cosìil numero dei morti, degli arrestati, dei giudici dei tribu-nali sollevati dal loro incarico, degli istituti di istruzionechiusi, delle reazioni locali e estere.

Oggi, a distanza di poco più di quindici giorni, ogni serain tutte le città della Turchia, secondo il desiderio del Pre-sidente, folle di cittadini si radunano nelle piazze più im-portanti e cantano, dormono, vi restano fino al mattino.Comuni cittadini che vegliano sulla ‘sicurezza’ della na-zione.

Vedremo i prossimi sviluppi.

“PERCHÉ LORO SÌ?”Uno spazio veramente grande, digradante, posto su un latodi una montagna a pochi chilometri da Van, accoglie ladiscarica dei rifiuti della città. L’abbiamo scoperta casual-mente più o meno dodici anni fa, i primi giorni del nostroarrivo qui. Ve ne abbiamo già scritto allora per raccontarvile storie di vita dei ragazzi che vi avevamo conosciuto eche vi lavoravano. Qualche giorno fa abbiamo incontratouno di loro. È stato lui a riconoscerci e fermarci. Adesso halasciato la discarica, lavora altrove. Desideriamo condivi-dere con voi queste righe per una riflessione che lui ci hafatto e ci ha colpito molto. Parlavamo della situazione ingenerale alla luce degli attentati di Istanbul, Ankara, Ger-mania, Francia. Ad un certo punto ci ha detto: “Vi ricorda-te quando venivate alla discarica? Ricordate quello che vidicevamo a proposito degli animali che vivono sulla colli-na intorno alla spazzatura? Noi ragazzi e altre persone la-

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Ottobre 2016 19

COSE DALL’ALTRO MONDO

voravamo fino verso le 5 del pomeriggio. Appena noi cene andavamo e la zona era libera… ecco arrivare le perso-ne più povere della città per cercare qualcosa da poterriutilizzare e talvolta… mangiare. Insieme a loro arrivava-no anche i gabbiani, centinaia e centinaia, in cerca di cibo,e ce n’era tanto tra quei rifiuti. Poi, dopo aver mangiato,gli uccelli se ne andavano e subito arrivavano i cani selva-tici, anche loro per lo stesso motivo. Vi restavano un po’ arazzolare tra i rifiuti. Dopo ancora, quando la notte si face-va più fonda, era il turno dei lupi che scendevano dalleparti più alte della montagna. Per alcune ore, tranquilla-mente, si cibavano di tutto quello che era rimasto… ed erasempre sufficiente. Ancora oggi è così”.

Poi l’ex ragazzo della discarica continua con questo pen-siero:

“In questi giorni di attentati, di incapacità di conviven-za politica, religiosa, proprio su una delle nostre monta-gne è ancora possibile vedere come persone, gabbiani,cani selvatici, lupi, abbiano trovato un modo di convive-re che permette a ogni gruppo di stare insieme senzal’uso della violenza e nel rispetto gli uni degli altri”.

Caro ragazzo cresciuto alla scuola della discarica, quan-do venivamo a trovare te e tutti i tuoi compagni, copri-vate con una vostra maglietta o con una giacca le latte diolio o benzina vuote per far sedere Gabri, Costanza e meper non farci sporcare. Mentre ti ascoltavo mi hai fattopensare a quella frase di una canzone di De André chedice: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nasco-no i fiori” e siamo felici di vederti crescere come un belfiore. Grazie!

OLTRE IL CONFINEDesideriamo condividere con voi quanto riceviamo daun amico che non abita qui in Turchia ma che è assai vici-no alla situazione di cui vi scriviamo. È il resoconto diun’analisi di Human Rights Watch ed è una risposta par-ziale alla domanda: “Perché voi afghani continuate a scap-pare per venire in Turchia e iniziare un’attesa che è quasiinfinita e senza soluzione, dato che l’Alto Commissariatoper i Rifugiati vi ha praticamente esclusi da ogni possibi-lità di richiesta di asilo?”.

È con questa semplice domanda che viene fuori unarealtà che non conoscevamo.

“Ormai da molti anni, ma ultimamente sempre di più,gli Afghani si sono rifugiati in Iran per sfuggire alla guer-ra e alle invasioni militari. La maggioranza di questi rifu-giati sono di etnia Hazara, una minoranza sciita nel loropaese, di lingua persiana, che è stata e continua ad esse-re perseguitata e discriminata dai talebani, di etniaPashtun. Anche nel paese in cui cercano riparo, però, laloro vita è segnata dall’incertezza, in quanto l’Iran nonrilascia loro documenti legali. Non hanno accesso all’im-

piego e per l’educazione scolare ci sono tasse altissime.Questa situazione li rende doppiamente ricattabili: infattitutti quelli fra loro, compresi i minori di età che accetta-no di unirsi ai Guardiani della Rivoluzione iraniana perandare in Siria a combattere per il sostegno ad Assad, alloro ritorno in Iran avranno un permesso di soggiorno eper il tempo del ‘servizio militare’ un salario fino a sei-cento dollari. Per chi non accetta c’è lo spettro della de-portazione in Afghanistan e minacce alle loro famiglie.Sempre secondo lo studio di HRW e di Al Jazeera, sonostati cooptati anche dei rifugiati detenuti per reati co-muni, con la promessa di un annullamento di pena. Que-sta proposta di ‘arruolamento’ nasce dal fatto che le per-dite dei soldati iraniani in Siria sono ingenti. Facile intui-re come una sola sia la possibilità di scelta: la fuga. Unaltro difficile esodo che li porta in Turchia. Questa realtàè solo una cima di una ‘catena di montagne’ di problemiche affliggono questa parte di vicino-medio oriente”.

GESTI e PENSIERIDomenica scorsa, al termine dei canti che danno inizioalla celebrazione festiva alla quale partecipiamo, il Pa-store della chiesa domestica si è avvicinato a sua mogliee le ha imposto le mani sul capo soffermandosi in unmomento di preghiera. Dopo questo gesto, sua moglie èandata al piccolo ambone e ha letto alcuni brani dellaBibbia, introducendo degli argomenti che poi sono statiripresi e spiegati dal Pastore stesso.

Questo gesto, effettuato in estrema semplicità tra mo-glie e marito, davanti all’Assemblea e ai loro due figli miha colpito molto e ha suscitato una serie di pensieri.Imporre: quanto vasto e diverso il significato di questo

verbo ‘imporre’ se letto con una mentalità di possesso,di violenza o di amore.

Per fede non ti impongo la mia forza, la mia scienza,ricchezza o potere, ma solo il mio bene per te, il mio met-termi al tuo servizio per invocare qualcosa o Qualcunoper te e per noi. Non impongo perché sono più di te, maperché chiedo per te ciò che io non ho e che desidero tupossa avere. Desidero che tu possa darci la tua profondi-tà, che invoco. Per me desidero unicamente l’umiltà perservirti, perché insieme si possa condividere il Bene peroffrirlo a tutti.

Sono anche questi i momenti in cui per Gabri e per mecorde profonde si sentono toccate, al di là dell’esserecattolici, protestanti, ortodossi.

Vi abbiamo scritto quello che è possibile, che pensiamoe che sentiamo.Con grande affetto.RobGab

Edremit-Van, Agosto 2016

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empi di fraternità

20 Ottobre 2016

AMERICA LATINA

“Esco a camminareper la cintura cosmica del sud.

Cammino nella regionepiù vegetale del tempo e della luce.

Camminando sentotutta la pelle dell’America nel mio piede.

E col mio sangue scorre un torrenteche libera nella mia voce la sua forza”

(da “Canción con todos”, di Violeta Parra,resa celebre dalla splendida voce diMercedes Sosa, cantante argentina)

La fine del secolo scorso e i primi anni delduemila hanno segnato cambiamenti profondinel continente latinoamericano, sia a livellosociale che politico.

Innanzitutto, per molti latinoamericani e perchi segue con attenzione i processi in corso, ilventunesimo secolo iniziò in realtà sei anniprima, il primo gennaio 1994, quando il fiumezapatista irruppe nello scenario mondiale,modificando prospettive e modalità di lotta.

In secondo luogo, occorre sottolineare chenon ci si trova più di fronte ad un continenteomogeneo nella sua storia e nella sua cultura,la cosiddetta “America Latina”, bensì di fron-te ad un pluriverso, un mondo fatto di moltimondi, portando alla definizione di Abya Yala/Afro/Latino-America, in cui si riconoscono in-digeni e afrodiscendenti, contadini, abitanti deiterritori urbani popolari, giovani e donne.

Mentre alcuni governi “progressisti” sonoentrati in crisi e il neoliberismo mondiale sfer-ra il proprio attacco ai cambiamenti effettuati

nel continente utilizzando “golpes suaves”,quei colpi di stato indiretti che destabilizzanopresidenti eletti democraticamente, l’interocontinente è percorso da dibattiti di movimen-ti trasversali, da assemblee di comunità di re-sistenza sorte ovunque, da mobilitazioni didonne, contadini e studenti, per riaffermare lapropria identità e dignità.

Il simbolo di tutto ciò che sta avvenendo è la“minga”, letteralmente in lingua quechua “la-voro collettivo volontario fatto a vantaggiodella comunità”; questo strumento di incon-tro, appartenente alla tradizione precolombia-na, soprattutto in Colombia, Perù, Ecuador,Bolivia, Cile e Paraguay, oggi è utilizzato comemetafora del lavoro intellettuale svolto collet-tivamente.

In Brasile esiste una parola equivalente, “mu-tirão”, applicata anche ad iniziative con fina-lità politiche e sociali, come marce, manife-stazioni, etc ..

Nelle mingas si cerca di coniugare la formu-la zapatista “dal basso, a sinistra” con la terra,perché “la terra comanda, il popolo ordina e ilgoverno ubbidisce, costruendo autonomia”.

Quante cose è stata la sinistra in Abya Yala/Afro/Latino-America: teorie, strategie, lotte,emozioni, canti, arte, tristezze, vittorie e scon-fitte, rivoluzioni, momenti di bellezza ed or-rori, icone come Che Guevara o Camillo Tor-res, il rosso intenso delle mille bandiere ros-se sventolate con orgoglio in tante manife-stazioni.

Ma questa sinistra deve ripensarsi, riparti-re dal basso, rinascere nelle numerose mobi-litazioni degli ultimi decenni, nelle mingas di

Dal basso, per la sinistra e con la TerraUna sfida da Abya Yala/Afro/Latino-America (*)

(*) Questo articolo è stato scritto attingendo a piene mani dal bollettino n.3/2016, di “AmericaLatina dal Basso”, a cura di Aldo Zanchetta, che ringrazio per il suo prezioso lavoro di ricerca,traduzione e proposte, instancabile con la freschezza dei suoi ottant’anni. Nel bollettino citato èriportato un interessante testo di Arturo Escobar, colombiano, attualmente Professore Emeritodi Antropologia all’Università del North Carolina a Chapel Hill.

di Maria TeresaMessidoro

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empi di fraternità

Ottobre 2016 21

AMERICA LATINA

pensiero, in vertici dei popoli e in convergen-ze di ogni tipo, dove i protagonisti centralisiano i saperi delle comunità e dei popoli cheresistono.

È necessario ripartire prima di tutto dallelotte autonome di tutti coloro che si difendonodallo sviluppo estrattivista, coscienti che “af-finché lo sviluppo possa entrare, deve uscirela gente”, come affermano gli afrocolombianiche vivono in prima persona l’esperienza del-l’espulsione dai propri territori sotto la pres-sione del cosiddetto progresso.

In questo contesto diventano centrali con-cetti come autonomia, territorialità e “comu-nidalidad”; questa parola, forse estranea a noioccidentali, viene impiegata con vari signifi-cati: il “comunal”, il “popular-comunal”, lelotte per i “comunes”, “comunitismo”, attivi-smo comunitario. Fondamentalmente la comu-nidalidad è la condizione di essere comunal,un nuovo paradigma degli afro latinoamerica-ni, a partire da culture profonde, per essere ele-mento portante anche delle lotte attuali in con-testi urbani.

La comunidalidad ha rappresentato una ca-tegoria centrale nella vita di molte popola-zioni del continente e continua ad esserlo, lon-tano da qualsiasi forma assistenzialista, deri-vata dall’ancestralità però aperta verso il fu-turo, con la ricchezza di tutta la sua autono-mia da schematismi e rigidità predefinite te-oricamente.

Di fronte ad una vorace globalizzazione ne-oliberista, portata avanti da un mondo capita-lista, “moderno”, patriarcale, che si arroga ildiritto di essere il Mondo, rifiutandosi di rela-zionarsi con altri mondi, l’autonomia ha la suaragione d’essere come elemento caratteristicodi quei popoli-territorio che si mobilitano edifendono i propri modelli di vita diversi daquello imposto.

Come affermò Zibechi, riferendosi alle in-surrezioni indigen-popolari che portarono alpotere Evo Morales, più che di movimenti so-ciali, l’autonomia ci parla di società in movi-mento, addirittura di mondi in movimento,dove il comunale prevale sull’individuale, illegame con la terra sulla separazione tra uma-ni e non umani, il buen vivir sull’economia.

Il buen vivir è il sumak kawsoy, il viverebene.

I comuneros indigeni misak del nord delCauca in Colombia ci ricordano che si deve“recuperare la terra per recuperare tutto … per

questo dobbiamo pensare con la nostra testa,parlando il nostro idioma, studiando la nostrastoria, analizzando e trasmettendo le nostreesperienze come anche quelle di altri popoli”(Cabildo indigeno di Guambia, 1980). E ilpopolo Nasa, in Colombia, nella loro mobili-tazione, la minga sociale e comunitaria, affer-mano che “la parola senza l’azione è vuoto.L’azione senza la parola è cieca. L’azione e laparola senza lo spirito della comunità sono lamorte”.

Autonomia, comunidalidad, relazioni e ter-ritorio sono intimamente legati nel nuovo pen-siero di AbyaYala/Afro/Latino-America.

In questo contesto, la grande sfida per la si-nistra e l’autonomia è imparare “a sentipensa-re con la Terra, ad ascoltare profondamente siail grido dei poveri che il grido della terra.”(Leonardo Boff)

La Terra è l’elemento più antico, più profon-do, dei popoli originari, quando gli uomini siresero conto di essere relazione ma anche lorostessi Terra, sapendo contemporaneamente chetutto nell’universo è vivo, che la coscienza nonè prerogativa degli esseri umani ma una pro-prietà distribuita in ogni ambito della vita.Questa concezione della Terra è ben viva epresente nel pensiero attuale di coloro che di-fendono la montagna contro la miniera perchéanch’essa è viva, o le sorgenti d’acqua perchésono origini di vita, spesso considerati luoghisacri dove l’umano, il naturale e lo spiritualesi fondono e si confondono. La stessa conce-zione della Terra che anima il desiderio di ri-comunalizzazione della vita, la rilocalizzazio-ne delle economie, concretamente con la pro-duzione e la difesa delle sementi autoctone, ilrifiuto dei prodotti transgenici ed i Trattati diLibero Commercio, la difesa dell’agroecolo-gia e la sovranità alimentare.

“Il territorio è la vita e la vita non si vende,si ama e si difende”, recitava lo slogan dellamarcia della Comunità Binnizzá, in Messiconel 2013.

Molti popoli descrivono la propria lotta po-litica come “la liberazione della Madre Ter-ra”, cercando di salvaguardare le proprie con-dizioni di esistenza e resistenza di fronte al-l’aggressione sviluppista, estrattivista e moder-nizzatrice; questo concetto diventa fondamen-tale per tutte le pratiche politiche nel presentedella sinistra, nei processi di autonomia fati-cosamente in costruzione, nelle lotte ambien-tali e per altri modelli di vita, legando fra loro

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empi di fraternità

22 Ottobre 2016

giustizia ambientale, giustizia cognitiva, autonomia edifesa dei mondi altri.

Il territorio diventa il luogo di quelle e quelli che di-fendono la Terra, come affermano lucidamente le don-ne della piccola comunità di La Toma del Norte, nelCauca, mobilitate contro la ricerca illegale dell’oro:“Alle donne che curano i loro territori. Alle curatrici eai curatori della Vita Degna, Semplice e Solidaria. Tut-to questo che abbiamo vissuto è stato per l’amore cheabbiamo conosciuto nei nostri territori. La nostra terraè il nostro luogo per sognare con dignità il nostro futu-ro. Forse è per questa ragione che ci perseguitano, per-ché chiediamo una vita di autonomia e non di dipen-denza, una vita nella quale non si debba mendicare néessere vittime” (Lettera aperta di Francia Márquez, lea-der di La Toma, 24 aprile 2015).

Le esperienze comunitarie ed autonome del continenteAbya Yala/Afro/Latino-America in difesa della Terrapossono essere inevitabilmente debilitate; non semprel’impegno per le trasformazioni raggiunge gli obiettiviprefissati; alcune possono ricadere in antiche forme dioppressione o di liderismo, altre falliscono, spesso perl’incredibile peso delle pressioni del momento o per larepressione messa in atto contro di loro.

Ma non importa, perché “la speranza non è la certez-za che una cosa accadrà, ma che ha senso perseguirla,accada quel che accada” (Esteva).

I veri anacronistici sono coloro che insistono sullavia dello sviluppo e della modernità, sono loro i suici-di, o meglio ecocidi. Non sono invece né romantici néinfantili tutti coloro che difendono il proprio luogo, il

San Romero d’America in Paradiso? No, nell’Universo!!

territorio e la Terra, consapevoli della necessità dellatransizione verso altri modelli di vita, verso un pluri-verso di mondi.

“Il possibile è stato già fatto, ora puntiamo all’impos-sibile” (Attivisti indigeni, contadini e afrodiscendenti,Tramas y Mingas para el Buen Vivir, Papayan, 2014).

Grazie dunque a tutti quei popoli, collettivi, movi-menti, artisti ed intellettuali che fanno camminare laparola lungo “la cintura cosmica del sud”, lontani dalletelecamere e dalle mode del momento, continuando acostruire un sogno dal basso e da sinistra, dando spazioa molti mondi, per colorare questo grigio orizzonte ne-oliberale. Per far riflettere anche noi che, in altri conte-sti, vogliamo resistere e lottare.

E, con le parole di Violeta Parra, “Gracias a la vidaque nos ha dado tanto ...”

“Soy America Latina,un pueblo sin piena pero que camina.Tu no puedes comprar al vientoTu no puedes comprar al solTu no puedes comprar la lluviaTu no puedes comprar el calor.Tu no puedes comprar las nubes.Tu no puedes comprar los colores.Tu no puedes comprar mi alegria.Tu no puedes comprar mi alegria”

(Da “Latinoamerica”di Calle 13)

Durante la solenne omelia celebrata a San Sal-vador, un anno fa, per la beatificazione diMons. Romero, il Cardinale Angel Amato lo

aveva definito “una stella luminosissima che si ac-cende nel firmamento spirituale latinoamericano”.Curiosamente, questa metafora è molto vicina allarealtà, perché da agosto 2015 l’anonimo asteroide“13703 (1998 OR13)” è stato denominato Romero,proprio in omaggio al martire salvadoregno.

Il corpo celeste era stato scoperto in Cile il 26 lu-glio 1998, come indica il suo codice scientifico, dal-l’astronomo belga Eric Walter Elst; dista dalla terracirca trecentocinquantamilioni di kilometri, pari apoco più di due volte la distanza media tra la terra eil sole. Nessun rischio di impatto per il nostro pia-neta dunque, ma chissà se l’influenza di Mons. Ro-mero sarà ora più forte? L’asteroide 13703 Romero

AMERICA LATINA

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empi di fraternità

Ottobre 2016 23

INFORMAZIONE EDITORIALE

La particolarità di questo libro è che la Storia con la S maiuscola si intreccia coni ricordi di un adolescente che, raggiunti gli ottantacinque anni, ha deciso discriverli. È un testo appassionato perché l’autore non si limita a raccontare, maprende parte e si schiera apertamente contro i soprusi e i delitti di quell’infameventennio fascista. Lo scopo è mettere in luce le persone generose e coraggioseche hanno contribuito – a volte con la vita - a ridare all’Italia l’antica dignità.Questi nomi, come quelli di tanti altri italiani, che non è stato possibile nominare,sono gli esempi che si voleva far conoscere oggi.Si può dire che si tratta di un libro “aperto”, perché l’autore, mentre scavavaper cercare notizie, ha scoperto informazioni che avrebbe voluto approfondireancora e ora passa “il testimone” a chi vorrà accogliere il suo invito a continuarela ricerca.

Gian Enrico Ferraris, detto Gianni, classe 1930, nasce e cresce nel quartiereVanchiglietta di Torino. Dopo la pensione, suona la chitarra e scrive delle suepassioni: le canzoni, la vita del suo borgo, e ora si cimenta con la Storia. Hapubblicato con la Graphot editrice Canzoni recuperate (2002), Il Moschino - originie leggende di Borgo Vanchiglia (2003), Il Borgo si racconta (2008), oltre a quattroedizioni del Borgh dël fum, (1998-2001), di cui la prima insieme ad altre persone.Con Mario Caminetti e Mario Actis ha curato la pubblicazione del libro di GiovanniLesene, 440 Giorni da ribelle (2006).

FASCISMORESISTENZA

LIBERAZIONELa grande Storia e i ricordi di un tredicenne 70 anni dopo

GRAPHOT EDITRICELungo Dora Colletta 113/10 bis - 10153 Torino

Tel. 011.238.62.81 - Fax 011.235.88.82www.graphot.com

e-mail: [email protected]

Gian Enrico Ferraris

Elsa Bianco, forte del “sacramento dell’amicizia”, ha moderato in dueoccasioni gli incontri di presentazione del libro, illustrando l’impegnoculturale, sociale, politico dell’autore. Sul contenuto del libro haevidenziato che “Gianni Ferraris, che non è uno storico ma che ama tantola storia, questa volta si è cimentato in una impresa il cui titolo già dice ilcontenuto e il doppio registro del racconto: quello della Storia e quellopersonale di chi ha vissuto quegli eventi e ne ha fatto materia di riflessione.Questo lavoro, che rappresenta un compimento di tante sue ricerche, vuoletrasmettere qualcosa ai più giovani”.

Vi sono fotografie originali, tra cui: Piero Gobetti ritratto da FeliceCasorati; i Cappellani della Milizia (le camicie nere) sfilano a Roma facendoil saluto romano, con le medaglie sul petto; le Baite della libertà a Paraloup.

Le poesie di Nino Costa: sappiamo che la poesia riesce a toccare ilprofondo dell’anima anche con poche parole e a sintetizzare uno statod’animo.

17 canzoni: anche solo a spiegare il contesto in cui sono nate, a riferiredella censura che alcune hanno subito, si entra a pieno titolo nella Storiausando la via della musica che è inarrestabile. Canzoni che esprimono untutto, una visione, una critica alle prepotenze, il dolore e la durezza diuna lotta e le speranze future. E, per finire, le parole di un ragazzomodenese di 19 anni Giacomo Ulivi, studente universitario, fucilato daifascisti sulla Piazza Grande di Modena il 10 novembre 1944:

No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere.Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere!

Felice Casorati, Ritratto di Piero Gobetti - 1961

Liberazione di Torino: Ada Gobetti con il comandantedella Divisione “Stellina” Giulio Bolaffi “Laghi”

(foto di Ettore Marchesini / Archivio fotografico Centro Studi Piero Gobetti)

Gian Enrico Ferraris

“Fascismo, Resistenza, Liberazione”La grande Storia e i ricordi di un tredicenne 70 anni dopo

Graphot editrice, Torino 2016, pp. 208, euro 15,00

L’Autore è bilingue, quando parla - e anche canta - e quandoscrive i suoi ricordi in italiano e in piemontese. Il libro usa duelinguaggi: la scrittura e la musica, perché riferisce molte canzonipopolari dell’epoca, nel testo e nello spartito, e ricostruisce, tramitememorie di anziani, a frammenti ricomposti, canti che sarebberoandati perduti.

Il racconto è ricco di testimonianze, documenti, foto significative,venti pagine di cronologia. La “vittoria” del 1918, che l’Italia staper celebrare nel 2018, speriamo con saggezza critica, fu «la madredel fascismo». È raccontata in dettaglio la strage di Torino del 1922,esordio del ventennio, come la prodigiosa attività di Piero Gobetti,“l’oppositore n. 1", che in nove anni compie una intera vita di lavorointellettuale fortemente educativo. Ferraris, cattolico, denunciacome si deve la sudditanza della chiesa gerarchica al fascismo,finanche su guerre ingiustificabili. Da Domenico Sereno Regis, un“sacramento dell’amicizia”, Ferraris conobbe le realtà storiche dilotta nonviolenta, di cui cita la più recente storiografia, opera diAnna Bravo e di Ercole Ongaro. Notevole l’episodio del giovanemedico Felice Cascione, uomo di valore, capo partigiano che sioppone alla fucilazione di due spie fasciste.

Da quasi coetaneo dell’Autore, questo libro mi sollecita moltisimili ricordi. Il bisogno dei vecchi di raccontare può infastidire gliinnovatori frenetici, ma il vecchio intelligente sogna anche quelche verrà, quel che manca al mondo, e coltiva l’utopia che nonvedrà: senza la sua eredità i giovani saranno più poveri e sprovvedutinel loro compito creativo.

Enrico Peyretti

€ 15,00

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empi di fraternità

24 Ottobre 2016

IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI

di Giorgia Osella,Elisa Viale,Tea Brahja

Con gli occhi dei giovani

In quale modo i giovani guardano il mondo caotico dei nostri tempi? Le nuove gene-razioni sono le principali vittime del sistema. Sparito (o quasi) il lavoro, si sarebbeportati a pensare che lo vedano come un luogo ostile che induce al pessimismo. Invece,

se permettiamo che si esprimano, abbiamo la sorpresa di trovarli propositivi, fiduciosi,disposti al cambiamento. Un vero antidoto alla malinconia di tanti adulti.

Prosegue questa nuova rubrica scritta proprio da giovani che si alterneranno con quelladi una “voce” più matura, quella di Elisa Lupano, counselor, che guarderà il loro mondocon occhi diversi, in una sorta di dialogo “a distanza” tra due generazioni su tematichesociali e di vita vissuta... - lei sta a Torino, mentre i giovani che abbiamo interpellatostanno a Cuneo, all’Istituto Magistrale Statale “Edmondo De Amicis”, ma anche in altriluoghi d’Italia - e chissà che, tra qualche tempo, non ne nasca una sintonia ed una amicizia!

Brandelli di anima alla ricercadel corpo perfetto

“Non è necessario avere un corpo magro peressere considerate belle donne”: questa è unafrase che ultimamente si può trovare ovunque,su ogni tipo di social, e che spesso si sente nelparlar comune, soprattutto da parte degli adul-ti, che vogliono consolarci. Ma è veramenteun pensiero comune? I mass media, con i loromessaggi spesso impliciti, ma talvolta anchemolto diretti, sembrano non supportare questateoria. La casa di moda di Victoria’s Secret hainfatti da poco creato un nuovo reggiseno chia-mato Body, e la trovata pubblicitaria usata perpromuoverlo ha fatto molto discutere: appari-va infatti la scritta “The perfect Body” accom-pagnata da un’immagine di alcune modelle daifisici quasi irreali. Lo scopo era probabilmen-te giocare sul doppio senso della parola Body,anche se secondo il parere dei più nessuno hamai veramente avuto intenzione di pensare al“reggiseno perfetto”. Le ragazze “imperfette”però, come immediata risposta provocatoria,hanno replicato con lo stesso slogan seguitoda una foto ben diversa, con ragazze di tutte le

taglie e misure, da quelle più magre a quellepiù in carne.

Sempre più riviste, case di moda e program-mi televisivi sembrano incitare all’anoressia ealla bulimia, che oramai stanno dilagando avista d’occhio. Sempre più teenager colgonoin quelle modelle dal fisico perfetto un esem-pio, una figura da idolatrare, e così iniziano anon mangiare più o a mangiare e vomitare,nella speranza di raggiungere anche loro quel-la forma invidiabile. Il problema è che questesono malattie vere e proprie, per cui la ragaz-za in questione non si sente mai davvero sod-disfatta di sé, ma vorrebbe continuare a dima-grire, ad assottigliarsi, si pone mete sempre piùambiziose, ma la perfezione rimane semprelontanissima ai suoi occhi.

Riflettiamo un attimo: veramente è il casodi rovinarsi la vita per questo? Rovinarsi la vitaperché su una rivista c’è scritto che non si ènel perfetto peso forma, rovinarsi la vita per-ché qualcuno ti ha detto che se solo fossi piùmagra saresti molto più bella, rovinarsi la vita

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Ottobre 2016 25

IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI

per cercare di piacere alle altre persone, rovi-narsi la vita perché pensi che se solo fossimagra sarebbe tutto diverso?! Per non parlarepoi del senso di frustrazione che molte avver-tono quando vanno a comprare qualche abitoin un negozio, dove immancabilmente si sen-tono etichettate come taglie: ma noi non sia-mo il numero indicato dall’etichetta sul vesti-to, né quello che compare sulla bilancia! Sia-mo molto più di questo!

In Israele riguardo alle modelle è stata ap-provata una legge che dice che il rapporto trapeso e altezza al quadrato non deve essere in-feriore a 18.5 e precisa che, se viene usato Pho-toshop per rendere più magri i soggetti, ciòdeve essere dichiarato. Queste due leggi sonoil risultato della battaglia di un noto agente ditop model che ha dichiarato di averne vistetroppe ammalarsi e morire. Israele non è l’uni-co stato che ha adottato queste misure “pre-cauzionali”; infatti anche il Brasile ha una leg-ge simile, mentre in America gli stilisti hannoraccomandato alcune linee guida per l’alimen-tazione, ma senza imporre nessuna legge. E seanche l’Italia seguisse questa strada? Forse iltasso di anoressia e bulimia diminuirebbe.

Il vero problema però, anche se i media han-no le loro colpe, è dentro di noi: molti non siaccettano come sono e cercano maschere pernascondersi e non far conoscere la loro veranatura. Eppure, cari ragazzi - e qui vogliamodavvero rivolgerci a voi - le maschere non ser-vono a nulla. Non indossatele per sentirvi erendervi più “fighi”. Non fingetevi altre per-sone solo per entrare in quel gruppo di amiciche fa tendenza. Non fate finta di essere scon-trosi, o solari, o qualsiasi cosa vi faccia como-do in quel momento, nascondendo la vostra

autentica personalità. Non abbiate una doppiao tripla faccia, una che mostrate quando c’ègente popolare, l’altra quando siete con altrepersone, l’altra ancora quando siete da soli.Non mettete quelle maschere per atteggiarvi auomini e donne “di mondo”, che escono i sa-bati sera con la gente “giusta”, ossia quella chetutti conoscono, di cui si parla in giro per lacittà... Siate voi stessi! Il vostro volto è il piùbello che possiate mostrare. Siete bellissimi,simpatici e fantastici se indossate la VOSTRAmaschera, cioè se non avete alcuna maschera.

Certo, noi non siamo nessuno per dirvi cosadovete fare, vi diamo solo un consiglio. Vi stia-mo dicendo di non essere falsi, anche se ma-gari attraverso la finzione avrete un momenta-neo successo: ma fingere non serve, e se guar-daste bene vi accorgereste di non sentirvi avostro agio, di non essere davvero felici. Persentirvi bene basta che siate così come siete;non fingete di essere qualcun altro solo peressere accettati. Levatevi quelle maschere: cosìvi rendete solo patetici; scegliete di essere voistessi, anche perché non potrete nasconderviper sempre. Siete PERFETTI, anche se pensa-te di essere i più sfigati del mondo.

Ma se indossate le maschere per nascondereil vostro dolore, allora è un’altra storia. Vi ca-piamo benissimo. Chi non ha nascosto le pro-prie lacrime fingendo di star bene? Magari lofate per non essere giudicati, per non esserecompatiti o presi in giro; è comprensibile quan-do si è in mezzo alla folla, tra chi non ci cono-sce, ma deve esistere qualcuno con cui dob-biamo sentirci liberi di esprimere ciò che pro-viamo senza paura di critiche. Se avete dei veriamici, di fronte a loro toglietevi quella masche-ra e piangete, sfogatevi: non vi potete tenere

Il corpo perfetto

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empi di fraternità

26 Ottobre 2016

IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI

tutto dentro perché altrimenti, prima o poi, scoppierete comeuna bomba, come fuochi d’artificio, entrando in quel luo-go oscuro che è la depressione cosmica. Stare in depres-sione non è bello, siete d’accordo? Quindi, via quella ma-schera e sfogatevi. Non basta ricorrere ad emoticon e mes-saggi per sentirsi meglio, bisogna parlarne con qualcuno, aquattr’occhi. Se siete persone introverse, è ancora più ur-gente che vi rivolgiate a chi possa aiutarvi a tirar fuori tut-to quel dolore: davvero, è la sola strada per venirne fuori.Anche se avete perso qualcuno di importante, qualcuno lacui esistenza era essenziale per voi, non continuate a fin-gere che sia tutto a posto. Apritevi e sfogatevi.

Benché siamo giovani, è inevitabile che sul nostro per-corso incontriamo la sofferenza, c’è da aspettarsi che ognu-no di noi, prima o poi, debba fare i conti con i fantasmi delpassato. E non ci riferiamo ad Halloween o alle altre festepagane, ma ai fantasmi che si trovano dentro ciascuno dinoi, che fanno parte del nostro carattere e hanno contribu-ito a formarlo. Questi fantasmi sono capaci di cambiare ilnostro umore anche in pochi minuti e rappresentano scenedel nostro passato che tanto abbiamo cercato di dimentica-re e che vorremmo cacciar via.

E così, mentre parliamo con qualcuno, mentre ascoltia-mo una canzone o lasciamo correre i pensieri, qualcosascatta nella nostra mente e una morsa si stringe intornoallo stomaco. Ritorniamo improvvisamente bambini, cir-condati da bulletti che ci spintonano in cortile e ci strap-pano la merenda di mano. Ritorniamo sotto le coperte inquella notte sconsolata a soffocare lacrime sul cuscino.Arrossiamo incontrollatamente per i bisbigli e le risatinealle nostre spalle, mentre non abbiamo idea di cosa scri-vere sulla lavagna. Poi ci scontriamo con nostra madre

all’ora dei pasti sulla questione se mangiare di meno omangiare di più. Soffriamo per essere considerati dal grup-po “in” soltanto quando fa comodo e per essere lasciati inun angolo il resto del tempo. Ci rivediamo, come in unfilm, lasciar cadere tremanti il cellulare, dopo aver subitouna codarda telefonata di addio da parte del nostro ragaz-zo o della nostra ragazza. Proviamo ancora l’amarezza ditutte le porte sbattute in faccia e la malinconia per quantoi pettegolezzi abbiano fatto scendere il metro della nostraautostima. Incontriamo il nostro “io” il giorno in cui hascoperto di essere stato tradito da un amico e si è sentitoperso, sfogando la propria rabbia su ciò che aveva intornoe cercando consolazione e appoggio nelle persone che glierano accanto.

Sostanzialmente i fantasmi non sono altro che la nostraanima a brandelli e, proprio per questo, rappresentano undolore radicato in noi, troppo complicato da portarsi die-tro. Infatti, quando riportiamo l’attenzione al presente, ciresta nel petto una soffocante sensazione di disagio, comeaccade nel momento in cui ci svegliamo bruscamente dopoun incubo. Eppure cerchiamo di sopportare ogni volta l’ir-ruzione dei fantasmi nella nostra mente, perché non pos-siamo farci nulla; sono improvvisi come lampi e ci colpi-scono molto intensamente se non possediamo i mezzi peraffrontarli. La domanda spontanea è: riusciremo in futuroa ricucire i brandelli della nostra anima e a non trascorrereperiodi di incontrollabile sofferenza? Forse sì, forse no.Spetta solo a noi decidere se lasciarci sopraffare dal doloree dalla paura di non valere abbastanza o alzare la testa,toglierci tutte le maschere, infischiarcene degli inevitabilidifetti che tutti abbiamo e vivere con entusiasmo la nostravita, ricordando che solo da noi dipende la nostra felicità.

La Guerra. Questi ragazzi avevano 10 anni nel 1973 e frequentavano la quinta elementareLa Guerra. Questi ragazzi avevano 10 anni nel 1973 e frequentavano la quinta elementareLa Guerra. Questi ragazzi avevano 10 anni nel 1973 e frequentavano la quinta elementareLa Guerra. Questi ragazzi avevano 10 anni nel 1973 e frequentavano la quinta elementareLa Guerra. Questi ragazzi avevano 10 anni nel 1973 e frequentavano la quinta elementarein una frazione di Asti. Le testimonianze sono state raccolte dalla loro maestra Isa Monacain una frazione di Asti. Le testimonianze sono state raccolte dalla loro maestra Isa Monacain una frazione di Asti. Le testimonianze sono state raccolte dalla loro maestra Isa Monacain una frazione di Asti. Le testimonianze sono state raccolte dalla loro maestra Isa Monacain una frazione di Asti. Le testimonianze sono state raccolte dalla loro maestra Isa Monaca

Roberto R. intervista un ex soldato della secondaguerra mondiale.

Mio papà mi ha raccontato che quando c’erano i parti-giani è scappato con dei miei vicini giù dal bosco. Unmio vicino aveva un mestolo pieno di brodo; arrivati inmezzo al bosco questo mio vicino si è inciampato e cosìha rovesciato tutto il brodo.

Un’altra volta quando arrivarono i tedeschi mio papàe questi miei vicini sono andati a nascondersi dentro unprofondo buco coperto da assi su cui la mamma di unaltro mio vicino dava da mangiare alle galline e così itedeschi non si accorgevano di niente.

G.B. Parla con il nonno e la mamma della guerra.

Nella guerra del 15-18 è morto mio zio, era il fratello dimio nonno. Un giorno mio nonno mi ha raccontato che

quando mio zio era in guerra. era venuto a casa in li-cenza, a salutare tutti. Prima di partire riabbracciandola sua mamma le disse che non sarebbe più ritornato acasa e la sua mamma gli rispose:”Come fai a sapaer-lo?” e lui le rispose: “Perché quando sarò là mi mande-ranno in trincea in prima fila e là non ci sarà più scam-po”, e così avvenne.

Mio nonno invece, piuttosto di andare in guerra si èbruciato una vena della gamba col fuoco e ogni voltache andava alla visita prendeva un sasso grosso e pic-chiava forte la gamba. Erano tre fratelli e uno era giàmorto in guerra. Mio nonno per non andarci si è brucia-to la gamba col fuoco, l’altro con l’acido si è accecatoun occhio.

Quando in casa mia raccontano queste cose tutti simettono a piangere.

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empi di fraternità

Ottobre 2016 27

NO-MINARE

Linguaggio, Diritto e discriminazioneper orientamento sessuale

Incontro con Francesco Bilotta, avvocato, editore e docentedi Lidia Borghi

Il linguaggio è fondamentale per comunicare e per apri-re le nostre menti; lo stesso Diritto ha un suo lessico,malgrado contenga alcuni termini alquanto oscuri; per-ché è importante per Lei la giusta terminologia?

Le posso rispondere in base alle tre attività principali nellamia vita, docente universitario, editore e avvocato: in que-ste tre espressioni della mia quotidianità il mio obiettivo èsempre quello di rendere consapevole qualcuno delle po-tenzialità a sua disposizione per essere tutelato come citta-dino, come professore nei riguardi delle/gli studenti, affin-ché capiscano che attraverso il diritto privato hanno deglistrumenti a disposizione, non solo per fare mestieri, maproprio per essere cittadine e cittadini, rispettati nel lorocontesto sociale; come autore e curatore di volumi, quellodi rendere consapevoli i lettori e le lettrici del fatto che cisono alcune tematiche, anche giuridicamente rilevanti, chepossono approfondire per poi viverle, nella loro quotidia-nità, in maniera consapevole. In terzo luogo come legale:quando una persona viene da te e ti pone una questione, laprima cosa da fare è aiutarla a capire che ci sono deglistrumenti di tutela che essa può utilizzare; quindi, se tuttoquello che faccio avviene nell’ottica di rendere consape-vole qualcuno delle sue potenzialità, per poter essere dife-so e vivere la propria cittadinanza in maniera piena, possodire di aver svolto il mio lavoro.

A seconda delle tematiche e delle esigenze civili e so-ciali delle persone il linguaggio può essere contestua-lizzato e adattato a qualsiasi tipo di disciplina; vedoin tutto ciò una sorta di armonizzazione che ritengosempre più necessaria, per far sì che le relazioni in-terpersonali possano avere la giusta attenzione daparte del Legislatore. Lei che ne pensa?

Il linguaggio, per sua funzione e natura, è strettamente lega-to alla relazionalità, allora mi viene da pensare che esso nonpossa non adattarsi alle relazioni che cambiano, altrimentiqueste non possono esistere in modo pieno, poiché manca-no le parole per indicarle; si tratta di un fenomeno che ri-guarda tanti settori ma, proprio per questo motivo, è anchestrutturale ed attiene al nostro modo di stare nella società: lescienze umane non fanno altro che analizzare la realtà che ci

circonda da un determinato punto di vista, si pongono delledomande, analizzano certe questioni e si sforzano di daredelle risposte; ora, è evidente che ci sono delle questioni chepossono riguardare esclusivamente certe branche della co-noscenza ed altre che attengono al sostrato del reale su cuitutte, in un modo o in un altro, insistono. Quello di cui cioccupiamo - ovvero l’essere delle persone in quanto corpisessuati, portatori di un significato nel contesto sociale incui vivono - è qualcosa di strutturale: qualsiasi disciplinache si occupi della persona (la filosofia, l’antropologia, lasociologia, il diritto, la letteratura, persino il giornalismo,che disciplina non è) non può trascurare le sue caratteristi-che strutturali; per quanto mi riguarda, è fondamentale quel-l’essere “corpi sessuati portatori di un significato nel conte-sto sociale in cui vivono”; tutta questa polemica contro ilgender non è altro che una diatriba costruita in modo intelli-gente per far sì che il linguaggio non si evolva, anzi, ciò chesarebbe preferibile - per coloro che hanno fatto scoppiare la

Francesco Bilotta

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28 Ottobre 2016

NO-MINARE

bomba mediatica - è il totale silenzio su certi fenomeni: dalloro punto di vista quel che è importante è che la società nonne abbia consapevolezza, in modo da non adeguare il pro-prio linguaggio e quindi, avendo riconosciuto quella realtàche cambia, nominarla; sotto questo profilo c’è una strate-gia pensata a tavolino. Modificare il diritto significa mutareil linguaggio, e la trasformazione di quest’ultimo ha a chefare con la possibilità di nominare certe realtà; perciò, laprima cosa che fanno coloro che si oppongono al cambia-mento è mobilitarsi affinché il diritto non cambi.

L’esito ultimo di questo atteggiamento è che occorre ri-conoscere, da un punto di vista antropologico, un cambia-mento irreversibile ma, se si costruisce un intero sistemadi pensiero su una certa antropologia, il venir meno deisuoi fondamenti fa crollare tutto quel complesso di idee econcetti; chi si oppone al cambiamento combatte per lasopravvivenza di una ben precisa ideologia.

Quanto il giornalismo italiano è complice di tutto ciò,con il suo linguaggio strambo, perso?

Conosco personalmente alcune/i giornaliste/i di grande cul-tura. A loro per prime/i - vuoi perché sono amiche/i vuoiperché si tratta di persone preparate - chiedo: “Perché sudeterminati temi non fate un approfondimento? Perché nondite le cose come stanno, perché la tal notizia non vieneriportata?” Le risposte sono più o meno di questo tenore:“Questa non è considerabile come notizia”. oppure: “Laredazione ritiene di non voler prendere posizione su que-sto tema” o, ancora: “I nostri lettori non sarebbero in gra-do di capire”.

Fra queste risposte la peggiore è l’ultima perché, se con-sidero come mia funzione sociale quella di fare acquisireconsapevolezza alle persone con cui entro in diverso modoin contatto, trovo che un/una giornalista dovrebbe avereil mio stesso obiettivo primario; il fatto che lui/lei lo di-sconosca, mi fa trasecolare e non riesco a comprendere.Ammesso e non concesso che le lettrici e i lettori nonsiano culturalmente attrezzati per comprendere, questonon è un buon motivo per rinunciare a rendere anche que-ste persone consapevoli di un certo problema. Le strate-gie per giungere a tale risultato sono molte: dall’imposta-zione della notizia al linguaggio utilizzato, fino alla rei-terazione della pubblicazione. Una cosa che mi ha fattosorridere amaramente, nei mesi scorsi, è stato leggereun’intera pagina del Corriere della sera sulla storia delmovimento omosessuale: quel che mi ha stupito è il fattoche il quotidiano si sia ricordato di punto in bianco dellastoria dell’associazionismo LGBTQ+. Qualcuno potreb-be ribattere: “Certo, è meglio che niente”, ma siamo do-vuti/e giungere al 2016 per leggere una notizia del gene-re, quando i nostri Gay Pride vengono immancabilmenteliquidati con la fotografia di una persona vestita in modosuccinto. Ecco, tutto ciò per me è inconcepibile. Mi chie-do, quindi: in che democrazia viviamo? La democraziaha il potere di rendere le persone consapevoli di poterpartecipare al processo deliberativo pubblico ma, se co-loro che dovrebbero favorire la creazione di tale consa-pevolezza - ossia i giornalisti in primo luogo - non fannoil loro dovere, direi che è difficile affermare che viviamoin uno Stato pienamente democratico.

Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci detto Iaio avevanopoco più di 18 anni. Il 18 marzo 1978, due giorni dopoil rapimento di Aldo Moro, vennero uccisi da tre sicaricon otto colpi di pistola, a Milano, in via Mancinelli.

Il film racconta, attraverso varie tecniche narrative(teatro, cinema, illustrazioni in Ldp, immagini e suonidi archivio), la enorme emozione per quella morte gio-vane, prematura, innaturale. Dalle prime manifesta-zioni ai funerali, fino ad una fitta corrispondenza com-posta da bigliettini lasciata a futura memoria da mi-gliaia di persone in via Mancinelli. Ricostruisce anchele indagini ufficiali e quelle parallele del giornalistadell’Unità Mauro Brutto, morto nel 1978 in uno stranoincidente.

È un lavoro collettivo, frutto di un grande impegnoartistico e civile che si basa su uno dei libri più impor-tanti della controinformazione nel nostro paese (“Fau-sto e Iaio, la speranza muore a 18 anni” di DanieleBiacchessi, pubblicato da Baldini Castoldi).

È un film che guarda alle nuove generazioni e cheparla e comunica con nuovi linguaggi.

Film - Il sogno di Fausto e IaioIl film “Il sogno di Fausto e Iaio”, con la produzionee la regia di Daniele Biacchessi, è in produzione dopola straordinaria campagna di crowdfunding sulla piat-taforma Becrowdy (12.700 euro raccolti, 212% del-l’obiettivo, oltre 350 coproduttori) .

Sarà distribuito entro il 30 novembre in digitaldownload ai coproduttori che ne hanno fatto richiesta.

Poi toccherà alla distribuzione del dvd e delle ricom-pense (maglietta e libro “Fausto e Iaio, la speranzamuore a 18 anni”).

Infine Baldini&Castoldi ristamperà per la terza voltail libro con il dvd, si realizzeranno un notevole numerodi proiezioni pubbliche e il film uscirà in alcune saled’essai.

È un risultato clamoroso per una produzione no profite indipendente.

Si può prenotare il dvd, il digital download e unaproiezione pubblica.

Info: [email protected]#ilsognodifaustoeiaioprosegue

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empi di fraternità

Ottobre 2016 29

ATTUALITÀ

“Parto da un racconto, che forse vi farà sorri-dere.

Sette anni fa, poco dopo la morte di Stefano,il mio migliore amico, un missionario, lo in-contrò in sogno.

Stefano gli disse: ‘Paolo dì a mia sorella chesto bene ora. Dille di andare avanti. Dille chenon saprà mai cosa mi hanno fatto e forse nes-suno pagherà mai per la mia morte. Ma tu dil-le di andare avanti, perché quello che farà perme servirà per molti altri’.

Né io né Paolo potevamo comprendere, al-lora, il significato di quelle parole.

Sono passati sette anni e oggi quelle parolemi fanno tornare alla mente l’immagine di unagente davanti al cancello del reparto detenti-vo affiancato all’ospedale Sandro Pertini diRoma. Sollevando le braccia disse, dopo l’in-sistenza delle mie domande sul perché mio fra-tello fosse morto e come, ‘comunque control-late, le carte sono in regola’.

Mi fanno tornare alla mente la prima batta-glia, quella per salvare la memoria di mio fra-tello, mentre vedevo aprirsi il ‘processo almorto’. Si, processo al morto, quello che sicelebra nell’immaginario collettivo un istantedopo il verificarsi di simili tragedie. Quello cheserve alle cosiddette ‘persone normali’ per con-vincersi che se gli è capitato è perché in fondose l’ è cercata e che a loro non capiterà mai.Quello che io definisco un meccanismo di au-todifesa dalla paura.

Mi fanno tornare alla mente giudici e medi-ci legali che ostinatamente negano una realtàche è ormai evidente agli occhi di tutti. Di quel-le ‘persone normali’, di tanti colleghi di queimagistrati e medici legali. Di tutti. Proprio tutti.

Qualcuno un giorno mi rimproverò con af-fetto di essere claustrofobica e monotematica.A voi oggi ripeto quello che risposi a lui: ‘erouna persona molto diversa sette anni fa. Oggiho capito quanto è vero che di indifferenza si

può morire. Oggi non potrei più vivere la miavita voltandomi dall’altra parte’.

Perché quell’indifferenza di cui Stefano è allafine morto va contrastata. Va contrastata rac-contando i fatti senza ricami, senza sbavature.I fatti di quei sette giorni non hanno bisognodi altre parole.

Stefano alle 19.00 andava in palestra, dopocena è stato arrestato, poi è stato ‘violentementepestato’, poi è stato ricoverato nel reparto de-tentivo dove di fatto è stato posto in stato diisolamento, poi, dopo sette giorni da quandofaceva tapirulan è morto, letteralmente di do-lore e da solo come un cane. E nel frattemponessuno, e dico nessuno dei circa 140 pubbliciufficiali che lo hanno visto e ne hanno visto ildegenerare delle condizioni fisiche che poi loha portato alla morte in un corpo che non ri-cordava nemmeno lontanamente quello di miofratello, ha fatto nulla, ma proprio nulla, perfermare quella catastrofica catena di eventi.

Questa è la tanto semplice quanto inquietantericostruzione dei fatti.

Penso a Rachid Assarag, penso a quella chepotrebbe essere una morte annunciata in unadelle nostre carceri. Ripenso alle parole di Ste-fano. E prego affinché lo Stato acquisisca lacapacità di inquisire e giudicare anche se stes-so, quando serve.

E penso anche, forse in maniera troppo in-genua, a quando un giorno andrò sulla tombadi mio fratello e sorridendo gli dirò ‘stavolta tisei sbagliato Sté. Quello che abbiamo fatto èservito anche per te’.

Il mio cammino non si fermerà. Lo devo aStefano e tutti noi lo dobbiamo ai tanti, troppialtri ‘Stefano’ di cui nessuno saprà mai nulla”.

In un Paese serio questa lettera si studierebbe a scuola !Impossibilitata a partecipare alla serata di Ayas-cultura (Valle d’Aosta) nel luglio

scorso, Ilaria Cucchi ha inviato una lettera, che Silvia D’Onghia (Il FattoQuotidiano) ha letto al pubblico (*)

(*) Si ringrazia il giornalista valdostanoRoberto Mancini per averci gentilmente fornitoquesto scritto.

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30 Ottobre 2016

... E LA SPERANZA CONTINUA ...

L’8 aprile sono stato ad una presentazione del libro diWilliam Bonapace, docente di storia e filosofia. Sono statoinsieme a lui in Nicaragua nel 1982 nell’esperienza diSolidarietà ‘82 organizzata da Padre Testa e don FredoOlivero. William e don Fredo, alcuni fa, si sono recati inArgentina ad un convegno con l’allora vescovo Bergoglio.

Ho letto il libro: una bella testimonianza. Nei primi anni’90, migliaia di albanesi sbarcarono sulle coste pugliesi incerca di un futuro migliore. Tra loro c’erano anche nume-rosi italiani abbandonati al di là dell’Adriatico alla fine dellaSeconda guerra mondiale. Il volume ricostruisce le lorovicende umane e la storia del tormentato rapporto tra l’Ita-lia e l’Albania del XX secolo, col problema mai risoltodegli italiani abbandonati là. Risucchiati nell’oblio dellastoria e lasciati al loro destino che presto si sarebbe chiusoal mondo, essi erano ciò che restava della sconsiderata po-litica imperiale mussoliniana e il tragico prodotto dellaGuerra Fredda. Con la presa del potere da parte di EnverHoxha, nel novembre del 1944, gli italiani furono definitie considerati come collaborazionisti e genericamente fa-scisti e di conseguenza sottoposti in uno stato di terrore.

La loro vicenda è rimasta sconosciuta per tutto il perio-do del regime e solo negli ultimi anni è venuta, con diffi-coltà, alla luce, grazie agli stessi rimpatriati.

Dovremmo leggere tutti questo libro, leggere del doloredi tanti nostri connazionali, e forse vedremo lo stranieronon come “un concorrente” ma come una risorsa, comeera la nostra prima immigrazione degli anni sessanta.

Insieme all’autore sono intervenuti Donatella Sasso del-l’Istituto Salvemini e Cesare Panizza, Isral, Istituto per laStoria della Resistenza di Alessandria.

“Italiani d’Albania” - di William BonapaceEdizioni Isral - Città del Sole - 2015

«Prima di tutto vennero a prendere gli zingarie fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebreie stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,e io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,e non c’era rimasto nessuno a protestare».

(Bertolt Brecht - Berlino 1932)

a cura di Daniele Dal [email protected]

[email protected]://danieledalbon.wordpress.com/

ITALIANI D’ALBANIAdi William Bonapace

ALBANIA TERRADELL’UOMO NUOVO

di Gilbert Mury

Sono passati quarant’anni (1976) da quando gli amici delgruppo Operazione Mato Grosso Crocetta mi hanno rega-lato il libro “Albania: Terra dell’Uomo Nuovo”. Interes-sante perché conferma che la lettura della storia può esserefatta con le immagini. Immagini come richiami, immaginiche possono dare una visione importante della realtà. Anchele immagini aiutano a capire il come e il perché le cose sonocambiate, o, almeno cercare di capire come cambiano.

È uno dei tanti libri che raccontano la storia e come la sivorrebbe che fosse. Dice l’autore: “... l’Albania è il paesedella speranza dove sta nascendo ‘l’uomo nuovo’...”. Tan-ti paesi credevano nell’uomo nuovo. Ricordo che, da ado-lescente, partecipavo a dei dibattiti fino a notte inoltratacon i “compagni” sull’uomo nuovo: pensavo che credes-sero in un mondo diverso. Ma ci sono stati Stalin ed altri equando Brech scrisse questo pensiero la migrazione nonera un problema. Altrimenti i migranti sarebbero finiti neldoloroso elenco. Fa bene rileggere questi libri, a tanti anni

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Ottobre 2016 31

AGENDA

Inoltre sul nostro sito sono consultabili altri appuntamenti all'indirizzo:http://www.tempidifraternita.it/applicazioni/agenda/agenda.php

Torino9 ottobre14 ottobre13 novembre11 dicembre

Comunità di base di TorinoDomenica 9 ottobre, 13 novembre, 11 dicembre, alle ore 10.30, presso la sede dell’AssociazioneOpportunanda, via S. Anselmo n. 28, la comunità di base celebrerà l’eucarestia. Tutti i lettori sonoinvitati. La lettura del Vangelo di Matteo, guidata da padre Ernesto Vavassori, riprenderà il 14ottobre, dalle 18 alle 20, presso la sede dell’Associazione Opportunanda, via S. Anselmo n. 28.Informazioni: Carlo e Gabriella 011 8981510.Corso BIBLICO 2016/17Il GRUPPO BIBLICO di Torino, che da più di un trentennio è impegnato in una lettura esegeticaapprofondita delle Scritture ebraiche e cristiane, libera da condizionamenti dottrinali e dogmatici, haripreso la sua attività venerdì 23 settembre con l’inizio del 38°Corso biblico guidato da Franco Barbero.Oggetto dello studio, che proseguirà fino a maggio, saranno ancora i Libri SAPIENZIALI, in particolarecon il libro del Qoèlet. La sede è presso l'ASAI di via Principe Tommaso, 4. Gli incontri hanno inizio alleore 17:45 per terminare alle 19:15. Info: Maria, cell. 349 720 6529 - Anna, cell: 348 713 6965.Chiesa, di che genere sei? - Carismi, ministeri, servizi per un popolo di donne e di uominiIl Convegno vuole offrire al dibattito un contributo toccando alcuni fondamenti della questione: ilsacerdozio comune di tutti i battezzati; lo sguardo biblico per riconoscere una differenza nella reciprocità;un modello di chiesa che consenta il dinamico riconoscimento, nella corresponsabilità, in una diffusaministerialità funzionale alla testimonianza del Regno. Il Convegno si terrà a Bologna il 22 ottobrenella sala Silentium, vicolo Bolognetti 2. Info: http://www.viandanti.org/?page_id=12675Elogio dell’utopia. Omaggio a Onesta Carpené.Mostra di Gianfranco Monaca presso la libreria Mondadori, via Trotti, Alessandria, 1-13 ottobre

Torino7 e 21 ottobre4 e 18 novembre2 e 16 dicembre

di distanza, soprattutto per i giovani che spesso (ma anchenoi) sembrano superficiali. Ho messo la frase di Brechtche alcuni anni fa andava per la maggiore. Oggi siamo tut-ti coinvolti, e forse non ce ne rendiamo conto. Nel mondomanca l’amore, la gratuità, il dialogo, la tolleranza, anchese i segnali positivi in senso inverso sono molti. E poi for-se, come tutti, l’egoismo è in ognuno di noi, siamo tutti unpoco cicale e diamo la colpa all’altro, deleghiamo, vivia-mo alla giornata, scoraggiati, non rendendoci conto cheperdiamo delle “opportunità”. “…E un giorno vennero aprendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”. Eleggendo gli ultimi avvenimenti che accadono mi fannopensare a questo. Sono un operaio, non un docente e nonun filosofo. I libri sono sempre di parte ma dobbiamo in-formarci, essere critici, costruttivi per essere il più obietti-vi possibile con le tante persone che “ignorano”, nel sensoche non sanno. Fare memoria serve a ricordarci avveni-menti e personaggi che hanno lavorato per un mondo mi-

gliore. Incontrare, viaggiare, lavorare con loro, per costru-ire insieme un altro mondo più giusto e possibile.

Albania Terra dell’Uomo NuovoGilbert MuryGabriele Mazzotta Editore - 1970

INIZIATIVA CULTURALE

Bologna22 ottobre

Alessandria1-13 ottobre

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32 Ottobre 2016

ELOGIO DELLA FOLLIAa cura di Gianfranco Monaca

Pregare Dio per i vivi e per i morti

LA V

IGNE

TTA

DI T

DF

quella dei cuoco che prepara il pranzo dei monaci...e delcontadino, e dell’autotrasporatore...e dell’operatore eco-logico che protegge l’ambiente...e del politico che prov-vede al bene comune...tutto il lavoro umano è preghieraperché l’intero universo è il tempio di Dio. Carlo Maria sichiede se siamo solo “credenti” o anche “pensanti”, eguarda lontano.

Dunque pregare è vivere il nostro compito terrestre comeomaggio a Chi ci ha voluti così, a chi ci ha preceduti e achi ci seguirà. Un vescovo, nelle esequie dei morti delterremoto del 24 agosto in Italia Centrale, ha detto che“non è il terremoto che uccide, ma le opere dell’uomo”.Quali? Perché a scuola si legge il Principe di Machiavelli (isudditi sono al servizio dello Stato) e si ignora quello diErasmo (lo Stato è al servizio dei cittadini)? Identifichiamol’amor di patria con il “servizio militare” per sentirci auto-rizzati a scatenare “giusti” bombardamenti sugli ospedalipediatrici e non riconosciamo altrettanto coraggio ai reni-tenti e ai disertori: forse per le stesse ragioni per cui sicanonizzano i “devoti” e si criminalizzano gli “apostati”.Perchè si diffida tanto spesso della libertà di coscienza?Perché in nome di Dio abbiamo praticato il “malicidio” cheora condanniamo negli altri, senza riconoscere che noiabbiamo dato l’esempio e pentirci? Forse è per questoche le nostre preghiere non possono essere ascoltate?

“Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e,chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padretuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”

(Vangelo di Matteo, cap. 5)

gian

franc

o.m

onac

a@te

mpi

difra

tern

ita.it

Pregare per chi... pregare perché? E che significaregare per chi... pregare perché? E che significaregare per chi... pregare perché? E che significaregare per chi... pregare perché? E che significaregare per chi... pregare perché? E che significapregare?pregare?pregare?pregare?pregare? Non sono domande superflue, visto chei discepoli hanno chiesto al Maestro di insegnare

loro a pregare.Pregare per essere risparmiati dal terremoto? Per otte-

nere una guarigione? Per ottenere la promozione? Si,ma...e se mi crolla la casa addosso? E se mia figlia muo-re? E se perdo il concorso? Duemila anni di catechismohanno la risposta pronta: o abbiamo pregato male, o era-vamo cattivi, o chiedevamo qualcosa di male. Sembranole risposte di un assicuratore, per mettere al sicuro gliinteressi della compagnia per cui lavora. Il Maestro tagliacorto: Dio sa qual è il vostro bene perché è il vostro papà,non vende polizze d’assicurazione e non ama il fumo deisacrifici né quello delle candele, ma poiché una comuni-tà vive anche di riti, ecco il modello a cui ispirare la vostrapreghiera collettiva: “... che tu, Papà, sia riconosciuto perChi veramente sei, venga il tuo Regno di fraternità in noi etra noi, sia da noi realizzata la tua Volontà; fa’ che ci con-tentiamo del necessario, fa’ che ci riconosciamo pecca-tori prima di accusare gli altri, e aiutaci a evitare le occa-sioni di fare il male”.

Queste le regole della preghiera pubblica, ma c’è spa-zio per la preghiera privata? L’origine monastica (Bene-detto , come Charles, scelse la libertà nel deserto) dellapreghiera liturgica ci ha abituati a riconoscere come pre-ghiera il canto e la musica, ma anche la pittura che deco-ra le chiese, come l’opera del miniatore che predispone imessali, quella del muratore che fabbrica il monastero, e