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SPARARE A PALLA Quando lontano è TROPPO lontano? Weidmannsheil 41 P rendo spunto dalla lettura dell’ar- ticolo 21 del Regolamento regio- nale lombardo relativo alla caccia in zona Alpi n. 16 del 4 agosto 2003, per affrontare con voi Lettori un argomento piuttosto delicato, ma estremamente im- portante. Tale articolo così recita, anzi, così vieta: “l’uso dei fucili a canna rigata con diametro, al vivo di volata, pari o superiore a 18 millimetri e con bossolo a vuoto superiore a 68 millimetri. È parimenti vietato l’utiliz- zo di ottiche di puntamento con fattore d’in- grandimento superiore a 12x”. Tradotto in soldoni, tale articolo mette fuori squadra una serie di calibri apposi- tamente progettati, studiati e messi in commercio – e pertanto impiegati con grande soddisfazione e risultati in tutto il mondo - per la caccia a lunga distanza, quale ad esempio da noi è la caccia di se- lezione agli ungulati. Tali calibri, sono i vari .300 Weatherby e Remington Ultra Magnum, il 7 mm STW sino ad arrivare addirittura al 9,3x74R. Tale articolo poi squalifica anche ingrandimenti assai utili, specie in montagna, quali il 14x ed il 16x. Quindi, da una parte la tecnologia cerca di venire incontro ai cacciatori e ai sele- controllori affidando loro mezzi sempre più efficaci, precisi, sicuri e affidabili per lo svolgimento della loro opera, mentre dall’altra la legge cerca di limitare il range operativo della stessa con mezzi adeguati soltanto sino ad un certo limite. Sorgono quindi spontanee almeno tre domande: “perché un tale anacronismo Quando lontano è TRO PPO lontano? 40 Weidmannsheil Testo e foto di Alessandro Magno Giangio Parlare e discutere in termini di etica, di pratica, di esperienze, di tecniche e, tantomeno, di leggi utili e necessarie al fine poi di garantire un abbattimento certo, indolore e politicamente corretto di un selvatico è impresa vana. La realtà è tutta un’altra, specie quando essa vien misurata sul campo. Servono piuttosto coscienza e buon senso da parte dei cacciatori e regole discriminanti da parte degli organi di controllo; e men che meno le solite ipocrisie all’italiana. Dario Airoldi

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SPARARE A PALLA Quando lontano è TROPPO lontano?

Weidmannsheil 41

P rendo spunto dalla lettura dell’ar-ticolo 21 del Regolamento regio-nale lombardo relativo alla caccia

in zona Alpi n. 16 del 4 agosto 2003, per affrontare con voi Lettori un argomento piuttosto delicato, ma estremamente im-portante. Tale articolo così recita, anzi, così vieta: “l’uso dei fucili a canna rigata con diametro, al vivo di volata, pari o superiore a 18 millimetri e con bossolo a vuoto superiore a 68 millimetri. È parimenti vietato l’utiliz-zo di ottiche di puntamento con fattore d’in-grandimento superiore a 12x”.

Tradotto in soldoni, tale articolo mette fuori squadra una serie di calibri apposi-tamente progettati, studiati e messi in commercio – e pertanto impiegati con grande soddisfazione e risultati in tutto il mondo - per la caccia a lunga distanza, quale ad esempio da noi è la caccia di se-lezione agli ungulati. Tali calibri, sono i vari .300 Weatherby e Remington Ultra Magnum, il 7 mm STW sino ad arrivare addirittura al 9,3x74R. Tale articolo poi squalifica anche ingrandimenti assai utili, specie in montagna, quali il 14x ed il 16x.

Quindi, da una parte la tecnologia cerca di venire incontro ai cacciatori e ai sele-controllori affidando loro mezzi sempre più efficaci, precisi, sicuri e affidabili per lo svolgimento della loro opera, mentre dall’altra la legge cerca di limitare il range operativo della stessa con mezzi adeguati soltanto sino ad un certo limite.

Sorgono quindi spontanee almeno tre domande: “perché un tale anacronismo

Quando lontano è TRO PPO lontano?40 Weidmannsheil

Testo e foto di Alessandro Magno Giangio

Parlare e discutere in termini di etica, di pratica, di esperienze, di tecniche e, tantomeno, di leggi utili e necessarie al fine poi di garantire un abbattimento certo, indolore e politicamente corretto di un selvatico è impresa vana. La realtà è tutta un’altra, specie quando essa vien misurata sul campo. Servono piuttosto coscienza e buon senso da parte dei cacciatori e regole discriminanti da parte degli organi di controllo; e men che meno le solite ipocrisie all’italiana.

Dario

Airo

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Quando lontano è TROPPO lontano?

Weidmannsheil42 Weidmannsheil 43febbraio 2012 febbraio 2012

SPARARE A PALLA

distanza di altri. Dico hanno acquisito tale capacità. Onde per cui, non si dovrebbe mai giudicare il talento e l’abilità degli altri secondo il proprio metro d’abilità. Io sono un buon tiratore a caccia, ma ho visto di meglio, di molto meglio. Ma piut-tosto che provare risentimento o invidia per qualcuno che la mette dentro ad una distanza per me impossibile, preferisco congratularmi con coloro che hanno spe-so tanto del loro tempo allenandosi per arrivare dove io ancora non posso.

Un esempio ad hoc, ce lo fornisce il P. H. Richard Sals, il quale ha tirato giù un daino palancone da record di oltre un quintale e mezzo, a una distanza di ben 466 metri con la sua Remington 7400 customizzata, canna da 56 cm in cali-bro .30/06, ottica Springfield Armory 4-14 AO 3rd generation Illuminated e palla Winchester Silvertip da 150 grani. “L’ho fatto perché sono in grado di farlo e di prendermene le responsabilità” sic et simpliciter mi confessa Richard, “ma non è che l’ho sempre saputo fare. Tuttavia, quando ero meno esperto, di fronte a ti-ri troppo difficili, sceglievo sempre la tattica dell’attesa dell’animale a più corta distanza, magari cercando di forzarlo verso la mia posizione con dei richiami - cosa che qui in Italia quasi nessuno adotta - op-pure quella dell’avvicinamento, se possibile. Altrimenti rinunciavo al tiro, amen. Meglio rinunciare al colpo che effettuare un tiro sbaglia-

to. Come sai, sono stato uno sniper dei marines in Vietnam e dall’esito di un mio tiro dipendevano sempre non solo la mia missione, ma soprattutto la mia stessa vita. Ancor prima di imparare a centrare una sagoma umana a 800 yarde di distan-za, all’Accademia sono stato abituato a sviluppare quelle doti essenziali per un tiratore, sniper o cacciatore poco impor-ta, quali la calma, la pazienza e la capacità della rinuncia. Ecco, forse è quest’ultima dote che può evitare i ferimenti: non tutti, purtroppo, vogliono rinunciare al tiro quando vedono un animale. Ora, con questo non pretendo certo di sostenere che tutti quelli che non son stati degli sni-per non potranno mai essere buoni cac-ciatori a lunga distanza; non ce n’è assolu-tamente bisogno perché per raggiungere tale obiettivo basta semplicemente usare la testa e la buona volontà. Attrezzatu-ra adeguata all’impegno, allenamento e pratica al poligono e sul campo. Poi, qui in Italia c’è la questione dell’obbligo dei primi due anni di caccia all’aspetto prima di accedere alla caccia alla cerca, e questa è la fonte di molti ferimenti: il cacciatore alle sue prime armi non può avvicinarsi, non sa usare i richiami, non ha pazienza e azzarda il tiro… ecco il ferimento. Co-munque, ci sono i cani da sangue e nella maggior parte dei casi l’animale viene a casa. Gli unici due consigli che mi sento veramente di dare sono di evitare l’uso di calibri troppo al limite della portata e della potenza, specie in mani ancora inesperte e quello di scegliere la munizio-ne più adatta nel contesto in cui si deve cacciare. Guarda me ad

gono alla nostra comunità certi articoli, ci prospettano un mondo assai diverso, una piramide piuttosto confusa in cui all’api-ce ci sono delle leggi (le loro) e i quattri-ni; poi ci sono gli animali che fruttano i quattrini; poi l’uomo; poi i cacciatori che pagano i quattrini e, in fondo a tutto, for-se, Iddio. Onestamente, da uomo cristia-no e democratico, rifiuto un simile modo di vedere e soprattutto di fare le cose, specie sulla mia pelle. Purtroppo, appel-larsi all’intelligenza altrui è un’impresa che assai difficilmente può portare a dei risultati sicuri, specie nel nostro Paese e, più in generale, nei paesi latini. Quindi, non resta da far altro che lavorare sodo con coscienza e far da esempio.

Passo pertanto ad introdurre i vari tas-selli di questo puzzle, in modo tale da chiarirne, per quanto mi sarà possibile fare, i punti principali e quelli secondari.

La coscienza: prima risposta aL probLemaL’abilità personale e le capacità naturali

si trovano al vertice della lista delle quali-tà di un cacciatore che tira a lunga distan-za. Sappiamo benissimo che esistono corridori capaci di arrivare prima degli altri alla linea d’arrivo, così come golfisti in grado di spedire la pallina più lontana e con una maggior precisione dei loro col-leghi appassionati. Questo succede anche tra i tiratori con carabina. Alcuni di loro, infatti, hanno acquisito l’abilità di spa-rare con maggior precisione e a maggior

tecnico e tecnologico, oggi, nel Terzo Millennio?”; “qual è tale limite opera-tivo?”; “chi e perché può valutare e giu-dicare tale limite e secondo quali para-metri decide certe limitazioni tecniche e tecnologiche?”.

L’articolo in questione “salta fuori” dal magico cilindro del legislatore per un motivo chiaro: evidentemente, in quelle zone, gli organi di controllo hanno ravvi-sato troppi ferimenti di animali; non oso pensare ad altri plausibili motivi.

Non mi è dato sapere né stabilire se questo numero eccessivo di ferimenti sia dovuto all’opera di selecontrollori poco abili, di bracconieri, o da tutte e due le categorie messe assieme. Probabilmen-te non sono stati in grado di stabilirlo con certezza neanche i locali organi di controllo, perché altrimenti ben altri sarebbero risultati i provvedimenti: un selecontrollore che richiede l’interven-to del cane per cinque volte di seguito è facilmente individuabile, rintracciabile e punibile secondo un regolamento scritto. In tutti gli altri casi si possono soltanto azzardare ipotesi più o meno attendibili.

Tuttavia, ed in ogni caso, questo non è assolutamente un motivo valido per in-trodurre limitazioni così pesanti e discri-

minanti, oltreché perfettamente inutili, a carico dell’intera comunità di selecontrollori.

Se l’intera questione verte sui troppi ferimenti, allora si proceda alla persecu-zione ed alla punizione dei feritori: gli strumenti, come sappiamo, non man-cano. Ma non si può per questo punire un’intera comunità di cacciatori onesti, prudenti e coscienti i quali, con dedizio-ne e sacrificio studiano, si aggiornano, imparano e praticano il tiro a lunga di-stanza con mezzi e tecniche idonee.

Come al solito, il legislatore italiano non si smentisce mai: preferisce punire tutti per non aver da far lavorare troppo la testa al fine di trovare invece una vera soluzione al problema, cioè perseguire i veri colpevoli senza vanificare il buon la-voro fatto dagli onesti sin al momento.

Con il risultato finale che quegli imbe-cilli che hanno creato quella situazione, adesso continueranno a farlo con mezzi ancora più inadeguati alle loro capacità, mentre agli abili – che sono la maggio-ranza dei cacciatori, si badi bene, perché i risultati sul completamento dei piani di abbattimento regionali parlano chiaro in merito – non rimarrà che svendere i mezzi acquistati a caro prezzo per passa-re ad armi e ottiche meno performanti.

So già che qualcuno obietterà a ciò af-fermando che “così il cacciatore impare-rà, in quanto costretto a farlo, ad avvici-narsi di più al selvatico limitando così le possibilità di ferimento”. Certo, ma mi permetto di far ben presente che il cac-ciatore abile – e lo sono la maggior parte

dei cacciatori di selezio-ne – questo già lo

fa, quando ciò è ovviamente possibile, e che comunque il problema dei troppi fe-rimenti è un problema di cui si devono far carico soprattutto le forze di control-lo preposte - e pagate - da noi, facendo il proprio lavoro sui colpevoli, cacciatori di selezione poco qualificati e/o bracconieri che siano, non su chi non ha colpe, sen-nò ci si prende in giro all’italiana, come al solito. Altrimenti, tutta quella immensa mole di lavoro di qualificazione dei sele-controllori attraverso corsi, esami e sacri-fici vari e costanti va a farsi benedire per colpa di tre, ripeto, tre soli imbecilli.

Io non sono né contrario né favorevole all’uso di certi calibri o di certe ottiche, me ne posso altamente fregare di ta-li questioni, visto che dopo trentasette anni di caccia sulle spalle ho capito da tempo tutta la questua sulla balistica: credo piuttosto che il cacciatore debba esser messo nelle migliori condizioni e nella piena libertà, di stabilire e decide-re in base alle proprie capacità tecniche cosa mettersi tra le mani, capacità che la persona può via via migliorare e portare ad un grado sempre superiore. Così fun-zionano le cose, e così ho sempre agito, visto che nessuno nasce imparato, e che nessuno si può arrogare il diritto di far da spartiacque. In tal modo si arriva ad un’autocoscienza capace di non recar danno alla comunità; le costrizioni inutili e antidemocratiche servono soltanto a creare mostri e mostruosità di cui poi ci si libera con molta difficoltà. Una caccia priva di dolore, di ferimenti, di sangue sparso, di morte, di sacrifici utili e inutili non esiste, è bene esser chiari: chi la pro-spetta differentemente è un impostore ed un ipocrita. Oppure è un commercian-te, proprio come i gestori di quelle farm sudafricane dove il cliente è obbligato a pagare la padella e il capo ferito e non re-cuperato… ma andiamo! Quelle son rego-le da pollaio, non da caccia vera.

Il punto quindi è questo: i cacciatori ve-ri hanno sempre ben presente una scala gerarchica che è sempre stata, è e vedrà sempre Dio in testa, poi l’uomo che fa le leggi e poi dopo gli animali, le piante e i minerali; il legislatore e chi gli da mano e i commercianti invece, quando propon-

Il tipico ambiente di caccia nella zona

del senese.

Quando lontano è TROPPO lontano?

Weidmannsheil44 Weidmannsheil 45febbraio 2012 febbraio 2012

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impunito; ma se la combina tale e quale con un leone o un bufalo cafro non se la cava senza passare attraverso guai seri. In ogni caso, il tiro promiscuo deve esse-re sempre evitato. Se proprio ti garba i’ promiscuo, vai a donne vai, che ci godi di più. Che a’ capito nini?”

Benedett’uomo, e benedette lezioni.

precisione deLL’arma e prestazioni deLLe munizioniAltro punto nodale è la carabina. Al pari

dei tiratori, alcune carabine risultano più precise di altre, anche in seno allo stesso modello. Non si può prescindere dal fatto di avere per le mani un’arma precisa; in termini pratici, che sia in grado di met-tere cinque colpi in non più di 6-7 centi-metri a 200 metri o a non più di 10 cm a 300 metri. Più strette le rosate, meglio è; rosate più larghe di quelle indicate (che già farebbero sorridere un tiratore spor-tivo), sono poco accettabili e pericolose a caccia. Ma senza perderci il cervello: tali valori sopra indicati, ripeto, sono più che accettabili a caccia sotto ogni circostan-za, anche perché gli unici luoghi ove le carabine fanno rosate sotto il minuto d’angolo, sono le pagine delle riviste. Ma vi è anche un altro importante aspetto correlato alla precisione dell’arma: la po-tenza della palla relativa a quelle distan-ze. Infatti, sarebbe perfettamente inutile avere tra le mani una carabina in .243 che ci garantisse una rosata di 3 cm a 300 metri, quando poi però a quella distanza la forza espressa dalla sua palla non fosse sufficiente ad abbattere l’animale in que-stione. A quel punto è molto meglio im-piegare una carabina un po’ meno preci-sa ma dal calibro più potente e adeguato all’impegno. A tal proposito esistono del-le utili tabelle che indicano per ogni tipo di munizione, la relativa energia cinetica espressa in kgm, Joule o foot-pounds (la potenza, insomma) disponibile alle varie di-stanze: tali valori devono essere messi in relazione al peso e alla costituzione fisica del selvatico insidiato, per poi trarne le debite con-

clusioni e scelte. È chiaro che questo è un discorso di massima in quanto, di preci-so, quanti kgm servano per arrestare un dato selvatico sul posto non può esser stabilito freddamente con mero senso numerico: tuttavia, entro un certo range tipico per ogni specie ci si può aspettare un ragionevole grado di successo. Al ca-priolo, ad esempio, è stato dato un valore minimo di 100 kgm; al daino di 180 kgm; al cinghiale e al cervo di 220 kgm. Dun-que, precisione e capacità d’arresto della munizione devono essere bilanciate e procedere di pari passo.

accuratezza deLLo scattoAl fine di garantire la maggior precisio-

ne possibile alla carabina alle lunghe di-stanze, al di là dell’accennata precisione della canna e della meccanica ad essa cor-relata, bisogna tenere in debito conto l’ac-curatezza del suo scatto, accuratezza che spesso può sopperire in maniera determi-nante sia alla precisione magari appena discreta di un’arma che al suo peso. Mi spiego meglio con un esempio che ricavo da una prova comparativa di precisione, effettuata su sette carabine bolt action da Layne Simpson in una rivista americana di cui non ricordo bene il nome.

Durante tale test, il famoso autore pro-vò la precisione delle sette carabine alle distanze di 100, 200, 300 e 400 yarde posizionandosi per lo sparo in quattro diverse posture: benchrest, da altana, da

seduto e da disteso. Tutte e sette le armi erano dotate di bipode Harrys. Finita la lunghissima sparatoria, l’autore passò al commento e al giudizio delle tre rosate da cinque colpi l’una delle varie armi. In par-ticolare, uno dei bolt action che aveva la miglior media (0.92 pollici) a 100 yard da benchrest (quindi, la sua canna risultava intrinsecamente precisa) risultò poi esse-re l’ultimo in classifica in tutte le altre po-sizioni e distanze: la colpa era dello scatto, il quale al dinamometro indicava ben 124 once di forza (circa 3 chili e mezzo), più del triplo degli scatti delle altre carabine.

Alcuni bolt action del test i quali ap-parivano chiaramente meno precisi dal benchrest della carabina in questione, di-mostravano però di esser più precisi dalle altre posizioni (che sono quelle tipiche della caccia) per causa del miglior scatto che metteva il tiratore in condizione di sparare molto meglio, ergo esser più pre-ciso. In più, il test dimostrò che, al con-trario di ciò che pensano i più in materia, le armi più leggere risultarono essere an-che le più precise: dunque, arma pesante non vuol dir sempre arma più precisa.

condizioni ambientaLiUn vento laterale di 18 kmh di veloci-

tà, può spostare una palla di 120 grani spedita da un calibro molto teso quale un Weatherby, di ben 30 centimetri a 350 metri di distanza: qui sta la differenza tra colpire l’area vitale dell’animale e fallirlo

esempio: mi potrei permettere tranquil-lamente i calibrini ma impiego sempre e per qualsiasi animale (cinghiale, capriolo e daino, nda) il .30/06, semplicemente cambiando tipo di munizione e tarando il tutto al poligono. Nella caccia di selezione quello che devi fare è abbattere l’animale, hai responsabilità diverse che ad andare a caccia come cacciatore pagante nella sa-vana africana o nelle Rocky Mountains, ed il .30/06 è quello che qui in Italia, con questi animali, permette a tutti margini d’errore nel piazzamento del colpo enor-mi, almeno a mio modo di vedere. Con il .30/06 hai a disposizione un’area vitale grandissima su un animale tranquillo al pascolo. Certo, in montagna impiegherei il 7 mm Remington Magnum. E poi, a seconda che debba cacciare un cinghiale, un capriolo o un daino, impiego una mu-nizione diversa, anche in relazione alla distanza e al tipo di vegetazione alla quale presumo di tirare al selvatico in questio-ne. La Silvertip da 150 grani che ha abbat-tuto quel daino di oltre un quintale e mez-zo, a 466 metri di distanza, è entrata dal davanti sulla spalla destra e ha attraversa-to tutto il corpo dell’animale fermandosi sotto pelle nella coscia sinistra devastan-do tutto ciò che si trovava nel mezzo: que-sto per darti un’idea della letalità effettiva – e della pericolosità – di un proiettile da carabina a certe distanze di tiro.”

Armi e munizioni, quanto a sviluppo tecnico e tecnologico, hanno fatto pas-si da gigante negli ultimi sessant’anni, ma l’umano cacciatore rimane sempre quella stessa creatura che è sempre sta-ta – costruita con vene pulsanti sangue,

polmoni inspiranti ed espiranti, e un cuore pompante, pertanto soggetto a nervosismi, respiro corto, fobie e fru-strazioni, tipiche anticamere per ditate, strappate e panico da bersaglio. Imparare a riconoscere i propri limiti è importante per poi portarli oltre con passo sicuro e onesto. La propria coscienza quindi, gio-

ca un ruolo basilare e primario in tutta la faccenda. Io me ne resi conto in Africa, quando il mio primo istruttore di caccia, il P. H. Lorenzo Giometti, mi ammonì prima di portarmi per la prima volta in vita mia a caccia di gazzelle: “Prima di imparare come e quando puoi sparare, devi imparare quando non devi sparare. Perciò oggi imparerai la non-caccia”. La sua non-caccia, consisteva in una vera e propria tortura: all’approccio della preda, lui mi

guardava in faccia e io dovevo fargli cenno sì o no. Mi ci vollero quattro mesi, tredici sortite nel bush ed una ventina di zuppe fra capo e collo, pri-ma di essere autorizzato al primo tiro, un dik-dik che mi sembrò un bufalo.

“Il cacciatore che spara d’azzardo a di-stanze alle quali le proprie capacità non gli garantiscono un ragionevole successo, e così facendo ferisce una creatura inof-fensiva come una gazzella, passa sempre

Lo sca

ndalo d

el mort

o››› Lo scAnDALo DeL mortoVorrei esprimere un parere del tutto personale sulla faccenda degli animali feriti e perduti. Bisogna considerare, in primis, che nella caccia di selezione ogni cacciatore possiede una zona di pertinenza nominativa, nella quale caccia soltanto lui con, eventualmente, qualcun altro cacciatore in cogestione. ora, se gli organi di controllo dovessero mai rinvenire un numero anomalo di selvatici morti per ferite di arma da fuoco in una data area, i motivi possono esser soltanto due: o i selecontrollori assegnati nell’area in questione sono poco abili, oppure ci sta la presenza di bracconieri altrettanto poco abili. In ogni caso, bastano poche indagini per venire a capo della verità e, quindi, provvedere alle giuste punizioni ai veri colpevoli. Parlare quindi in termini generici di “troppi animali feriti” per me non vuol dire nulla: a questi selvatici va dato un numero preciso, una collocazione precisa e dei nomi e cognomi precisi; non delle leggi a bischero.In secundis, vorrei far notare un importante aspetto che riguarda l’entità relativa di questo benedetto numero di animali feriti. sino a quindici anni fa, in toscana, operavano appena qualche decina di selecontrollori al capriolo, ai quali venivano assegnati una media di 6-7 capi a testa. con questi numeri risultanti nelle due parti in causa era probabile che qualche animale fosse ferito. Adesso in toscana i selecontrollori passano i diversi numeri delle migliaia, la media dei capi a testa è un po’ scesa in rapporto e in armonia con la intanto accresciuta popolazione del capriolo. Logico che però, con questi nuovi numeri delle parti in causa assai più consistenti dei primi, sia ovvio aspettarsi qualche animale in più ferito e perduto. Anche se biasimevole, il ferimento, è inevitabile e quanti più cacciatori e quanti più abbattimenti si prevedono di fare, maggiore sarà il numero dei capi trovati morti per ferita da arma da fuoco. Inutile gridare allo scandalo e fare leggi inutilmente punitive.Alcuni cercatori di funghi dei più incalliti in toscana – ne conosco tra i migliori – mi riferiscono che l’incontro con i cinghiali è ormai su base giornaliera e l’incontro con animali morti per causa di ferite può considerarsi settimanale. mi riferiscono però anche che sino a 15-20 anni or sono, non soltanto non si vedeva cinghiale morto nel bosco, ma ci voleva un miracolo per vederne uno vivo.Più animali=più cacciatori=più feriti. tutto qua. nessuno scandalo.In ultima analisi, vorrei anche ricordare che i piani di abbattimento redatti a regola d’arte prevedono sempre un 10% di animali che possono andare perduti per vari motivi, le varie ed eventuali dei businness plan insomma: tra i vari motivi ci sono anche i ferimenti d’arma da fuoco.

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ad alti ingrandimenti e selvatici situati a lunga distanza, il reticolo “balla” tremen-damente davanti all’occhio, soprattutto se gli appoggi del cacciatore e della sua ar-ma non sono perfettamente stabili, ren-dendo così le compensazioni farraginose ed imprecise, anticamera per una padella o, peggio, un ferimento.

La preparazione tecnicaQuanto tempo serva o quanto tempo

debba trascorrere un cacciatore ad alle-narsi per avere piena padronanza della sua attrezzatura, arma, ottica e muni-zione, è impossibile stabilirlo a priori, vi-sto che ogni persona possiede progressi mentali e fisici differenti dalle altre. Ma una cosa è certa: con l’allenamento il ri-sultato è certo, qualunque sia il tempo da dover spendere. Spremendo al massimo la propria attrezzatura poi, darà al caccia-tore una sorpresa gradita: l’abbattimento di moltissimi luoghi ed errori comuni.

Il più tipico è quello di azzerare l’arma da caccia di selezione ad una data di-stanza, poniamo 200 metri, senza però provarla anche a 25, 50, 100 e 300 metri per verificare cioè “che succede” anche a quelle distanze, visto che nel 90% dei casi, è il selvatico che decide dove uscir fuori. Generalmente si presume, dalle ta-belle offerte sulla scatola del costruttore di munizioni, quali siano i valori di abbas-samento e d’innalzamento della palla alle altre distanze insomma, senza tenere pe-rò in considerazione che tali tabelle sono puramente indicative, poiché desunte da prove con chissà quale tipologia di canna da 66 cm (e quale carabina moderna ha la canna da 66 cm!) e in chissà quali condi-zioni termiche e ambientali, quando non addirittura presunte tramite calcolo da programma di computer. In più, spesso le cifre numeriche vi sono indicate in yarde (90 cm) e non in metri (100 cm), come poi dovremo tener di conto e di riferimento al poligono: quel 10% di differenza che a 25 e 50 yarde poco ci fa, a distanze pros-sime alle 200 yarde (180 metri), invece, costituisce tutto un altro paio di maniche, dato che la maggior parte delle palle di calibro da selezione cominciano a subire i valori di maggior caduta proprio dai 170

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Weidmannsheil 47febbraio 2012Weidmannsheil46 febbraio 2012

o, peggio, ferirlo. Il vento, per le sue capa-cità di spostare il moto di un proiettile in maniera sensibile, è un fattore che va te-nuto nelle debite proporzioni. Così come l’angolo di sito. Per entrambi i fattori, esi-stono delle tabelle abbastanza accurate, ma al di sopra di esse esiste il buon senso.

Oltre i contingenti fattori ambientali, esistono le condizioni ambientali da te-ner presente: un conto è sparare a 250 metri di distanza, ad un capriolo posizio-nato in un’estesa radura d’erba medica, situazione in cui un secondo - quando non un terzo -, colpo è sempre possibile se il primo non ha fatto il suo lavoro, e tutto un altro paio di maniche è tirare a 150 metri da un daino che pascola in una piccola radura a macchia mediterranea circondata da bosco d’alto fusto.

Per quanto detto qui sopra, e per quan-to enunciato prima riguardo il test di Layne Simpson, risulta chiaro ed eviden-te che un altro argomento assai impor-tante è il supporto/appoggio per l’arma. La carabina deve esser sempre posiziona-ta sull’appoggio più idoneo alla distanza di tiro e alla tipologia d’ambiente in cui si opera, e la posizione del cacciatore non deve essere sacrificata o dolorosa.

Anche il fattore rinculo dell’arma im-

Quindi, anche la spremitura delle capa-cità tecniche individuali, dell’arma, della munizione, dell’ottica, si fermano a Filip-pi ed ivi vengono sonoramente sconfitte.

Se dunque si desidera spingersi oltre è inutile insistere su ciò che si possiede: bi-sogna passare a qualcosa di più potente, di più teso e di più preciso. Ed è proprio qui che nasce il conflitto con certi articoli di legge discriminanti, o meglio, dove es-si stridono fortemente con la realtà delle faccende pratiche della caccia.

Sempre riguardo la distanza utile di tiro mi preme sottolineare qualcosa circa l’im-piego delle ottiche. Per tiri entro i 200-220 metri, un’ottica con ingrandimento da 6x con reticolo German 4A o Heavy Duplex va benissimo, magari con lente frontale dai 42 mm in su; ma per tiri oltre la soglia dei 200 metri, specialmente su animali di dimensioni ridotte quali il capriolo, non soltanto si abbisogna di ingrandimenti più forti, dall’8x in avanti, ma soprattut-to è quasi basilare avere un reticolo bali-stico, quali un Mil-Dot, un Ballistic Plex, uno Springfield Rangefinder, o uno Swa-rovski TDS-Plex, uno Zeiss Z7 et similia. Infatti, senza quei riferimenti basilari, la compensazione nel tiro alle varie distan-ze diventa aleatoria, perché con ottiche

piegata non può essere ignorato ai fini della precisione. Il grado di tolleranza del rinculo varia da persona a persona, e più si aumenta la botta sulla spalla e meno precisi ci si trova ad essere, per via del-la tendenza a strappare il tiro per paura della botta. Ognuno deve quindi trovare il calibro e l’arma che offrono il miglior rendimento sulle proprie spalle.

La distanza utiLe di tiroNe esistono di due tipologie: quella con-

cessa dal trinomio calibro/munizione-arma-ottica, e quella acquisita ed offerta dall’abilità del cacciatore. La prima dipen-de dalle scelte operate dalla seconda. La seconda invece è assai variabile.

In ogni caso, tutte le distanze vengono inevitabilmente limate e portate entro i limiti della ragione umana, dal calibro e dalla sua energia disponibile. Per ogni ca-libro, esiste, comunque, un limite d’uti-lizzo legato alla sua energia, oltre il quale anche il cacciatore più bravo nel tiro, an-che l’arma più precisa sul mercato, anche l’ottica più ampia e luminosa, devono in-contestabilmente arrendersi all’avvenuta incapacità di effettuare un abbattimento certo, proprio per la mancanza di una sufficiente forza invalidante.

metri in avanti. Insomma, come dire: la-sciamo perdere quello che c’è scritto qui, inclusi i valori relativi alla energia del pro-iettile alle date distanze, anche questi da prendere con ragionevole cautela.

Al poligono, una volta azzerata l’arma alla distanza desiderata è bene fare un giro di prove alle altre, in modo tale da sapere, con certezza, quali sono le vere correzioni da apportare in mira alle altre distanze. Facendo ciò, oltre ad esser sem-pre precisi nel tiro a qualsiasi distanza, ci si può anche accorgere di un qualche difetto congenito della canna della ca-rabina; nella fattispecie, una tendenza a tirare o a sinistra o a destra (anche di diversi cm) a determinate distanze piut-tosto che ad altre. La traiettoria disegna-ta da una data canna nello spazio, non è sempre dritta perfetta: a saperlo, il cac-ciatore si regola di conseguenza; se tale spostamento è irrisorio, al fine dell’im-piego venatorio, egli correggerà il tiro di conseguenza, altrimenti cambi arma così evita padelle, ferimenti e rotture di palle.

In ogni caso, per sapere esattamente a che distanza azzerare un’arma è neces-sario che il cacciatore compia dei sopral-luoghi accurati sui luoghi e dalle posizio-ni ove conta di piazzare poi i suoi punti sparo, portandosi dietro il telemetro; du-rante tali sopralluoghi, da effettuarsi non troppo lontano nel tempo rispetto all’inizio della caccia, si dovrà tener conto proprio dello stato della vegetazione pre-sente poi al momento dell’apertura, per non ritrovarsi chiusi con tiri imbottigliati in mezzo alla vegetazione. Tale consiglio vale anche e soprattutto per chi caccia al-la cerca, al fine di non perder tempo utile durante le giornate di caccia per trovare i punti più interessanti, pesticciando e spargendo odore umano dappertutto, proprio quando ci si deve cacciare dentro.

concLusioniTrascorro molto tempo a prepararmi

per il tiro a lunga distanza, non perché sia qualcosa che io voglia necessariamente fare, ma perché desidero farlo per trovar-mi pronto quando se capiterà l’occasione a caccia. Nelle mie condizioni, per i miei personali gusti, per dove e per ciò che cac-

cio normalmente, limito i miei tiri ai 300 metri di distanza: per tutto ciò mi affido ad una Remington 700 VTR in calibro .308 Winchester con canna da 56 cm ed ottica Burris XTR 3-12x50 mm con reti-colo Ballistic Mil-Dot, tarata a 100 metri con munizione commerciale Federal Pre-mium con palla Sierra GameKing BT da 165 grani. Conosco la traiettoria della Ga-meKing da 165 grani da 50 a 550 metri, limiti del mio reticolo; oltre non mi inte-ressa, tanto non ci tiro. Se devo tirare ad un animale pericoloso, so che non devo andare oltre gli 80 metri con la mia Win-chester 70 in .375 H&H con qualunque munizione decida di infilare in camera di scoppio. Ed in ogni caso, tutte le condi-zioni devono essere ideali: la mia arma e la mia munizione devono poter compiere il loro lavoro senza intoppi; il vento deve esser favorevole; devo avere un appoggio stabile e confortevole; l’animale deve es-sere nella corretta posizione perché possa attingere facilmente l’area vitale; le condi-zioni di luce non devono essere estreme, ma, soprattutto, devo possedere, in quel momento, la massima fiducia nella mia abilità nell’eseguire quel colpo.

Toglietemi anche soltanto una di queste condizioni e io non sparo. Penso sia per questo che ad oggi, dopo trentasette anni di caccia, non ho mai combinato disastri.

cQuando

sì e quand

o no››› LungA DIstAnzA: quAnDo sì e quAnDo nose, per assurdo, si togliesse il tiro oltre i 250 metri, moltissime forme di caccia importanti non esisterebbero più: farebbero una triste fine la caccia in alta collina, la caccia in ambiente pedemontano, la caccia nelle savane africane, la caccia nelle montagne dell’europa, dell’Asia e del nord America, la caccia nelle praterie americane, la caccia nei deserti asiatici, africani e australiani, la caccia nelle tortuose montagne neozelandesi e nelle brughiere scozzesi e irlandesi, la caccia nelle distese innevate della tundra e della taiga russa e dei paesi del nord europa. Insomma, nel 95% del totale territorio di caccia del mondo. generalmente, i tiri a lunga distanza sono giustificati quando il cacciatore possiede l’attrezzatura adatta e la necessaria abilità per essere ragionevolmente certo di fermare il selvatico, prima che questo possa entrare nel fitto e sottrarsi alla vista (anche e soprattutto quella dell’esito del colpo), e quando risulti davvero impossibile avvicinarsi di più. supponiamo di un cacciatore al cervo che scorga il capo da abbattere posto a 310 metri di distanza, in mezzo a un’ampia radura circondata da un boschetto di larici. Il cervo è un animale molto sospettoso e dotato di ottima vista; non c’è verso per il cacciatore di avvicinarsi senza essere scorto. Il cacciatore ha un .338 Winchester magnum con ottica swarovski 2,5-10x56 tra le mani, azzerato a 200 metri, ma conosce perfettamente la caduta della sua palla della munizione Federal Premium High energy nosler Partition da 250 grani alla distanza di 300

metri, così come ha potuto verificare al poligono. Vista la buona ampiezza della radura, ci sono buone possibilità di poter doppiare il colpo nel caso ciò fosse necessario. questo cacciatore è pienamente giustificato al tiro.supponiamo invece, che lo stesso cacciatore scorga il suo cervo in una stretta tagliata dal ripido pendio, attraverso un fitto bosco di pini. Visto il luogo di ferma del selvatico, è molto probabile che abbia a disposizione un solo colpo, con in più la complicazione di non aver il tempo non soltanto per poter effettuare un secondo colpo, ma nemmeno di poter osservare l’esito dell’unico colpo a disposizione. tracciare quel cervo nel fitto bosco di pini, sarebbe poi un altro grosso problema per cane e conduttore. stavolta, il suo tiro non sarebbe del tutto giustificato.