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Le immunoglobuline N. 5 QUADERNI SULLE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE ASSOCIAZIONE I MMUNODEFICIENZE PRIMITIVE ONLUS

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Le immunoglobuline

N. 5QUADERNI SULLE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE

ASSOCIAZIONE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVEONLUS

Revisione maggio 2011 È vietata la riproduzione totale o parziale dell’opera senza l’autorizzazione di AIP Onlus.Finito di stampare nel mese di maggio 2011 presso Color Art, Rodengo Saiano (Bs).

Quaderni pubblicati da AIP ONLUSN.1 La sindrome di Wiskott Aldrich (WAS)

N.2 Il sistema immunitario

N.3 Le immunodeficienze primitive

N.4 L’ Agammaglobulinemia X-recessiva (XLA) o malattia di Bruton

N.5 Le immunoglobuline

N.6 La malattia Granulomatosa Cronica (CGD)

N.7 La sindrome con iper-IgE e infezioni ricorrenti (sindrome di Giobbe)

N.8 La fisioterapia respiratoria nelle immunodeficienze primitive

N.9 Sindrome da delezione 22q11.2 (Sindrome di DiGeorge - Sindrome velo-cardio-facciale)

N.10 Atassia Telangiectasia (AT) e sindromi correlate

N.11 Immunodeficienza Comune Variabile (ICV)

Marzia DuseUniversità “La Sapienza”, Roma

Le immunoglobuline

La storiaLe caratteristiche

Indicazioni e aspetti pratici

Coordinamento scientifico della serie

Alessandro PlebaniUniversità di Brescia

Contributi

Gabriella Giancane Università “La Sapienza”, Roma

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La storiaL’inizio della storia delle immunoglobuline data al 1890, quando due scien-ziati, Emil Von Berhing e Shibasaburo Kitasato, che lavoravano a Berlino, dimostrarono per la prima volta che il sangue (in particolare il siero) degli animali vaccinati contro il tetano, trasferito in animali non immuni, era in grado di conferire loro resistenza e, anche se contagiati, non si amma-lavano di tetano. II sangue doveva quindi contenere sostanze capaci di combattere le tossine batteriche (e l’infezione) e per questo le chiamarono “antitossine”. Anche se non sapevano ancora che queste “antitossine” erano in realtà anticorpi e non ne conoscevano la struttura, diedero la pri-ma dimostrazione che il sangue poteva contenere sostanze protettive nei confronti delle infezioni. In seguito, nella notte di Natale del 1896, Berhing

somministrò il siero con “antitossine” per la prima volta ad un essere umano, per la precisione ad un bambino ammalato di difterite: il piccolo guarì dalla malattia altrimenti mortale e fu il primo grande successo tera-peutico che valse a Behring l’assegnazione del primo premio Nobel per la Medicina. Sull’onda di questa esperienza, nei decenni seguenti la pratica si consolidò e il plasma umano ed animale venne somministrato sia per prevenire sia per curare molte altre malattie infettive come il morbillo, la poliomielite, l’epatite.Nel frattempo Arne Tiselius nel 1935 aveva messo a punto una tecnica di laboratorio (la elettroforesi) che permetteva di separare dal plasma uma-no diverse frazioni di proteine, le albumine e le globuline, che vennero chiamate con le lettere del vocabolario greco: alfa, beta e gamma. Poteva sembrare una conoscenza solo scientifica, ma l’importanza è invece sta-ta davvero grande se si pensa che, una volta separate, queste proteine poterono essere ben studiate, tanto che lo stesso Tiselius nel laboratorio a Uppsala riuscì a dimostrare (insieme al suo collaboratore Elvin Cabat), che quelle proteine prima denominate “antitossine” (ovvero gli anticor-pi) erano contenuti proprio nella frazione globulinica gamma e presero quindi il nome di gammaglobuline (o immunoglobuline, cioè globuline del sistema immune).

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Tuttavia fu solo nel 1944 che un altro scienziato tedesco, Frederic Cohn mise a punto un metodo (chiamato “frazionamento alcolico” del plasma) che consentiva di estrarre dal sangue tutte le proteine contenute, tra cui le gammaglobuline, in grandi quantità, creando le basi per la produzione industriale delle gammaglobuline e aprendo la strada a molte altre pos-sibilità terapeutiche. In questo periodo invero si pensava di utilizzare Ie gammaglobuline solo per la cura o la profilassi delle malattie infettive, in quanto ancora non si conoscevano malattie del sistema immunitario: la svolta importante si ebbe qualche anno più tardi, quando Ogden Bruton, tenente colonnello dell’esercito statunitense, ebbe modo di seguire e stu-diare il caso di un bimbo che in 4 anni aveva sofferto di 11 episodi di setti-cemia e di innumerevoli broncopolmoniti e otiti. Scoprì che il piccolo non produceva anticorpi a seguito delle vaccinazioni e dimostrò che nel suo sangue mancavano le gammaglobuline; provò quindi a somministrare la frazione gammaglobulinica di Cohn e il bambino non ebbe più infezioni, con ciò gettando le basi per quella che ancor oggi è la terapia di elezione per queste immunodeficienze. Dagli anni 50 agli anni 80 si è assistito al progressivo perfezionamento di questi preparati, con immissione in mercato di prodotti sempre più stabili, duraturi, sicuri ed efficaci e più facilmente somministrabili.

Le caratteristiche La frazione di gammaglobuline che si ottiene dal plasma è costituita da 5 classi di immunoglobuline: IgD, IgE, IgM, IgA, IgG.Le IgD sono presenti in piccolissime quantità, praticamente non dosabili, e non hanno un ruolo importante nella difesa dalle infezioni. Anche le IgE hanno un ruolo marginale e in parte ancora da chiarire: anche se sono in qualche modo legate alla difesa dai parassiti, di fatto la loro mancanza non causa infezioni. Paradossalmente causano più pro-blemi quando abbondano: alti livelli di IgE nel sangue si accompagnano infatti alle malattie allergiche come l’asma, l’eczema o il raffreddore da fieno.

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Le IgM vengono prodotte in occasione del primo incontro (prima infe-zione) con qualunque germe: sono anticorpi poco efficienti, ma costi-tuiscono il passaggio obbligato per arrivare a produrre le altre classi di immunoglobuline. Le IgA sono presenti nel sangue dove hanno peraltro una funzione mar-ginale; svolgono invece un’efficace azione di difesa soprattutto nelle se-crezioni: lacrime, saliva, muco dei bronchi e dell’intestino sono particolar-mente ricchi di questi anticorpi che si dispongono sulle superfici (lungo tutto il canale intestinale, sui bronchi, gli occhi, la vescica e le vie urina-rie), formando una specie di “vernice” antisettica che rende più difficile l’attecchimento dei germi. La loro mancanza favorisce quindi le infezioni soprattutto intestinali e polmonari. Le IgG, infine, sono gli anticorpi più importanti e più abbondanti nel san-gue; sono diretti contro tutti gli agenti infettivi più diffusi e rappresentano il nucleo portante delle difese contro i batteri. I preparati di immunoglo-buline umane normali attualmente disponibili in commercio contengono soprattutto (per il 90%) anticorpi di classe IgG (come abbiamo visto i più importanti nella difesa antinfettiva) ed è per questo che la terapia sostitu-tiva causa un innalzamento solo dei valori delle IgG; non variano invece i livelli di IgM e IgA che sono contenuti nelle immunoglobuline solo in trac-ce; ai fini della sostituzione degli anticorpi mancanti questo è irrilevante, anche perchè, quand’anche fossero presenti nei preparati e fossero infusi nel sangue, non riuscirebbero a raggiungere le secrezioni dove svolgono la funzione principale. Le IgA presenti nelle immunoglobuline, al contrario, possono essere addirittura pericolose per alcuni pazienti, in quanto a volte causano reazioni avverse anche importanti nel corso dell’infusione e possono quindi rendere poco tollerabile il preparato.Le immunoglobuline sono derivate dal plasma di donatori sani e, indipen-dentemente dal metodo di frazionamento utilizzato, per tutte le prepara-zioni viene garantito un contenuto di anticorpi sostanzialmente sovrappo-nibile. Peraltro, tutte le case produttrici di immunoglobuline, prima della immissione in commercio dei preparati di immunoglobuline, devono veri-

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ficare che i prodotti rispondano ad alcuni requisiti di qualità fondamentali che riguardano: l’efficacia, la sicurezza e la tollerabilità.1) Quanto all’efficacia, questa è garantita dalla presenza nei preparati di

anticorpi diretti contro tutti gli agenti infettivi più frequenti e potenzial-mente pericolosi. Dal momento che non tutti i donatori sani possiedono anticorpi diretti contro tutti i germi (ne è un esempio chi non ha mai contratto il morbillo e non ha quindi anticorpi antimorbillo), ogni serie di flaconi (chiamata “lotto”) deve essere ottenuta mescolando il plasma prelevato da almeno 5000 donatori: quanto maggiore è il numero dei donatori, tanto maggiore è la probabilità che tutti i tipi di anticorpi siano presenti in quantità ottimale (con massima efficacia protettiva del pre-parato). Questo viene comunque verificato in ogni lotto al termine della produzione, controllando che la quantità dei più importanti anticorpi non sia inferiore a concentrazioni prestabilite.

2) Se il primo requisito è soddisfatto, il lotto viene controllato anche per quanto riguarda la sicurezza. In altre parole, viene verificato che non siano presenti agenti infettivi che potrebbero contagiare il paziente con malattie trasmissibili con il sangue o i suoi derivati, come l’epatite B o l’epatite C o l’AIDS. Per evitare questi rischi, i centri di raccolta del san-gue provvedono a selezionare all’origine i donatori, che vengono perio-dicamente controllati dai centri dell’Associazione Volontari Italiani del Sangue (AVIS) per quanto riguarda l’epatite e il virus HIV responsabile dell’AIDS: per maggior sicurezza, poi, vengono eliminati tutti i donatori che hanno alterata la funzionalità del fegato, anche se non soffrono di epatite. Queste misure sono importantissime, ma non sufficienti ad annullare completamente il rischio di donatori infetti: se l’infezione è re-cente, sappiamo che ci può essere il cosiddetto “periodo-finestra”, un periodo buio in cui è già presente nel sangue l’infezione, ma non si sono ancora sviluppati gli anticorpi. Mancando le sentinelle dell’infezione, gli esami di screening risultano allora falsamente negativi. Anche se in pas-sato il rischio era piuttosto consistente per tutti gli emoderivati, va tutta-via sottolineato che il procedimento di estrazione delle gammaglobuline

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(a differenza di tutti gli altri emoderivati) ha sempre implicato passaggi particolari che tendono a distruggere i virus eventualmente presenti, ri-ducendo quindi moltissimo il rischio di infezioni secondarie (non si sono infatti mai verificate trasmissioni di AIDS, per esempio). Tuttavia, per aumentarne la sicurezza, le case produttrici sono attualmente obbligate a applicare ulteriori procedimenti (chiamati di “lavaggio”), che annullano in misura pressochè totale la presenza di eventuali contaminazioni virali. Attualmente si può ragionevolmente asserire che le immunoglobuline del commercio sono “sicure”; ovviamente questo vale solo per gli agenti infettivi che noi conosciamo e che siamo quindi in grado di controllare e misurare.

3) Per quanto concerne la tollerabilità, è noto che le immunoglobuline pos-sono causare effetti collaterali, come aumento della frequenza cardiaca, febbre, eritemi cutanei, dolori muscolari e addominali, mal di schiena, aumento della pressione arteriosa: queste reazioni compaiono raramen-te, in non più del 10% delle infusioni; ancor più rare le reazioni più gravi, come la mancanza di respiro, il collasso o lo shock anafilattico (tabella 1). Molti sforzi sono stati fatti per capire quali fossero le cause e tutte le case produttrici hanno elaborato strategie diverse e complesse per

Gravità Tipo Intervento

Reazioni lievi febbre, cefalea, mialgie o artralgie

tali reazioni possono richiedere la diminuzione della velocità di infusione o la temporanea sospensione e si risolvono senza sequele.

Reazioni moderate

orticaria, broncospasmo, dispnea, dolore toracico

tali reazioni necessitano la sospensione dell’infusione, richiedono/prolungano l’ospedalizzazione.

Reazioni gravi ipotensione, shock

tali reazioni necessitano dell’utilizzo di adrenalina, mettono in pericolo la vita o possono provocare la morte; può residuare disabilità o incapacità persistente.

Tabella 1 - Reazioni avverse IGV per via endovenosa

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identificare ed eliminare i fattori contaminanti potenzialmente respon-sabili. Si è cosi sensibilmente aumentata la tollerabilità delle immu-noglobuline ma, nonostante ciò, è esperienza comune che lo stesso preparato, assolutamente ben tollerato da un paziente, può essere in-vece mal tollerato da un altro e non ne sono completamente chiare le ragioni. Questo è il motivo per cui, una volta iniziata la terapia con un preparato che si è dimostrato ben tollerato, si raccomanda di non cam-biare il prodotto e di continuare a eseguire la terapia con le immunoglo-buline della medesima casa produttrice, per lo meno fino a che è ben tollerato. Non si può infatti escludere che i segni di scarsa tollerabilità compaiano in qualunque momento, anche dopo anni di terapia: se i sintomi risultano occasionali o saltuari possono essere evitati o ridotti con l’impiego di farmaci anche banali (premedicazione); se al contrario persistono ad ogni infusione o peggiorano, è allora indicato cambiare il prodotto di IVIG (l’elenco dei preparati disponibili in Italia è riportato in tabella 2). Peraltro, l’insorgenza dei sintomi non sempre è immediata e rilevabile in ospedale; puo essere invece tardiva (allora però non è pericolosa!), anche ore dopo il termine dell’infusione ed è importante quindi che i pazienti segnalino ai medici curanti qualunque sintomo o disturbo comparso nelle 24 ore seguenti la somministrazione.

Brand Strength Vial sizes Manufacturer

Flebogamma 5%solution 0.5g, 2.5g, 5g,10g Grifols UK

Gammagard 10% solution 2.5g, 5g, 10g Baxter Healthcare Ltd

Intratect 5% solution 1g, 2.5g, 5g, 10g Biotest

Kiovig 5% solution 1g, 2.5g, 5g, 10g Baxter Healthcare Ltd

Octagam 10% solution 1g, 2.5g, 5g, 10g Octapharma Ltd

Privigen 6% solution 5g, 10g, 20g, CSL Behring UK Ltd

Sandoglobulin 6 & 12% solution 6g, 12g CSL Behring UK Ltd

Vigam 5% solution 2.5g, 5g, 10g Bio Product Lab

Tabella 2 - I preparati disponibili in Italia

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Indicazioni e aspetti praticiLe immunoglobuline sono indicate in tutte le immunodeficienze caratteriz-zate da difetti di produzione di anticorpi.Da quando sono disponibili le immunoglobuline, la prognosi di queste malattie (come la agammaglobulinemia X-recessiva o la immunodeficien-za comune variabile) è drasticamente cambiata: è aumentata la soprav-vivenza e sono diminuite le complicanze più gravi (setticemie, polmoniti). Tuttavia, il vero “salto” di qualità si è avuto con l’immissione sul mercato dei preparati somministrabili per via endovenosa (IVIG). Inizialmente erano disponibili solamente Immunoglobuline per via intramuscolare (IMIG) e la terapia con questi preparati aveva posto immediatamente notevoli proble-mi pratici: in primo luogo la quantità iniettabile era davvero modesta: il vo-lume di liquido tollerabile per via intramuscolare, infatti, non poteva essere eccessivo e limitava pesantemente la quantità di immunoglobuline som-ministrabili; per raggiungere comunque livelli “protettivi”, si era costretti ad aumentare la frequenza delle iniezioni che spesso dovevano essere ripetute anche per 2-3 giorni di seguito per ogni settimana dell’anno (e per tutta la vita!). I tessuti muscolari ne soffrivano e inoltre le gammaglobuline iniettate raggiungevano il sangue lentamente e in parte venivano distrutte ancor prima di raggiungere il circolo. II risultato era che i bambini trattati raggiungevano nel sangue livelli di gammaglobuline assai modesti, non superiori a 1/3 di quelli che sono attualmente considerati accettabili. A fronte della scarsa “resa” di questa terapia, gli effetti collaterali era-no assai spiacevoli: le continue iniezioni nei glutei causavano granulomi, ascessi, irritazione e dolore così forti da far sì che dopo qualche anno di terapia i bambini si rifiutassero di proseguire e preferissero ammalarsi piuttosto che continuare questa terapia. Per non dire di quando le dosi di gammaglobuline dovevano essere aumentate per qualche infezione in-tercorrente: in questi casi si doveva ricorrere alla trasfusione di sangue intero o di plasma per apportare in poco tempo grandi quantità di anti-corpi prontamente disponibili e con ciò si correva il rischio di trasmettere l’epatite, sia la B che la C di cui allora non si conoscevano i virus e non si

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potevano quindi evitare.Infine, non era irrilevante nemmeno il problema del mercurio che, usato come stabilizzante delle preparazioni del commercio, tendeva ad accu-mularsi nei tessuti con il pericolo di tossicità a lungo termine.D’altro canto, i tentativi di somministrare i preparati di IMIG per altra via avevano causato importanti reazioni collaterali ed era emerso che per arrivare alla somministrazione per via endovenosa doveva essere almeno in parte modificata la molecola o perfezionate le tecniche di estrazione e conservazione. In un primo tempo si tentò di modificare la molecola di gammaglobuline con diverse metodiche (IVIG di prima e seconda genera-zione): il trattamento (enzimatico o chimico) cambiando la molecola delle immunoglobuline, le rendeva tollerabili, ma ne causava anche un’impor-tante perdita di attività.Poi (e siamo alla fine degli anni 70), si riuscirono a produrre IVIG a mo-lecola integra (le cosiddette immunoglobuline di terza generazione) che mantenevano tutta l’efficacia degli anticorpi con un’eccellente tollerabilità. La possibilità di somministrare le gammaglobuline per via endovenosa ha davvero impresso una svolta importante nella terapia sostitutiva delle im-munodeficienze da difetto anticorpale: non causano dolore e si possono somministrare in quantità virtualmente illimitate; la terapia può essere ese-guita senza alcun problema e può essere calibrata nelle dosi a seconda della necessità del paziente.Le dosi, infatti, possono essere agevolmente personalizzate e aumentate o diminuite a seconda della costituzione del paziente, della durata in cir-colo degli anticorpi o del loro consumo occasionale (infezioni intercorren-ti); l’obiettivo è di consentire al paziente il raggiungimento dei livelli minimi normali di IgG: questo traguardo ha ridotto drasticamente le complicanze infettive “minori”, ha virtualmente annullato le complicanze più severe (en-cefaliti) e ha comportato, anche nei pazienti che avevano già sviluppato complicanze polmonari permanenti, un netto miglioramento degli indici di funzionalità respiratoria.Tuttavia vi sono altri “limiti” della terapia con IVIG non ancora superati: il

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costo delle preparazioni, il costo del ricovero ospedaliero, il costo indivi-duale dei pazienti (o dei loro familiari) che devono perdere un giorno di lavoro una o due volte al mese per eseguire l’infusione.All’estero, nei paesi anglosassoni e negli Stati Uniti, si è tentato in passato di ridurre i costi addestrando i pazienti e i familiari all’esecuzione delle infusioni a domicilio: paziente e famiglia imparavano a introdurre l’ago en-dovena, a preparare le confezioni di IVIG, a seguire i tempi di infusione, a riconoscere tempestivamente i segni o i sintomi di eventuali effetti col-laterali e ad usare i farmaci adatti al loro controllo. La terapia così veniva eseguita in qualunque momento della giornata con il risparmio dei costi di assistenza ospedaliera e di costi in termini di giorni di lavoro persi per pazienti e famiglie. In Italia questa procedura è stata da subito improponibile, in quanto vi sono esplicite e severe leggi che vincolano l’esecuzione e la sorveglianza delle infusioni alla presenza e responsabilità del medico. Per tale ragione, sono state intraprese altre strade, tra cui la piu promettente è senza dub-bio la somministrazione delle immunoglobuline per via sottocutanea. Questa via di somministrazione è stata già tentata in passato, quando ancora non erano disponibili Ie IVIG; vent’anni fa proprio in Italia, il gruppo del prof. Burgio e del prof. Ugazio aveva elaborato una strategia per infon-dere sottocute le gammaglobuline per uso intramuscolare: si utilizzava un ago “butterfly” (a “farfalla”) molto sottile, lo si inseriva sotto la pelle dell’ad-dome, inclinandolo di circa 45° (quindi senza il problema di reperire una vena!) e si fermava con un cerotto. L’ago veniva connesso con una siringa inserita in una pompa-infusore a batteria: veniva dato un tempo (circa 6-8 ore) e accesa la pompa: lo stantuffo spingeva le immunoglobuline alla velocità necessaria al completamento della infusione nei tempi previsti. Si eseguivano le prime infusioni (che dovevano essere settimanali) in ospe-dale, dapprima ad opera del personale medico e paramedico, poi, sotto il loro controllo, erano il paziente o i familiari ad eseguire le procedure e infine, se tutto era stato imparato correttamente, veniva consegnata la pompa alla famiglia, che ne faceva uso direttamente a domicilio. L’infusio-

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ne copriva l’arco della notte e poteva quindi essere eseguita senza alcuna interferenza con l’attivita normale di tutti i giorni. I risultati della terapia erano eccellenti: tutti i pazienti avevano tollerato bene la terapia, avevano raggiunto il traguardo terapeutico con livelli normali di IgG e non dovevano più andare in ospedale. Tuttavia non mancavano i disagi, innanzitutto la paura; tutti i pazienti te-mevano di muoversi nella notte e di procurare dei danni inavvertitamente per spostamenti dell’ago inserito in addome. Di fatto quindi l’infusione veniva fatta di giomo ed era allora fastidiosa perchè il paziente doveva trascinarsi la pompa ovunque andasse: per quanto piccola era di notevole ingombro e intralcio. Inoltre l’inserzione dell’ago era dolorosa e l’infusione lasciava per qualche ora un indurimento locale, a volte un arrossamento con senso di bruciore. Proprio agli inizi degli anni 80 inoltre sono entrate in commercio Ie IVIG e tutti i nostri pazienti le hanno sperimentate: di fronte alla scelta se proseguire con le iniezioni sottocute o cambiare la via di somministrazione passando alle IVIG, tutti hanno allora scelte la via endovenosa. L’iniezione sottocute è stata così abbandonata momentaneamente; tutta-via sulla spinta dei limiti delle IVIG di cui abbiamo parlato, la tecnica del-la somministrazione sottocute è stata ripresa ormai da diversi anni con un successo decisamente migliore. L’esperienza aveva insegnato che le iniezioni erano: dolorose, troppo lunghe e non prive di rischio di tossici-tà per accumulo di mercurio. II dolore non costituisce più un problema: abbiamo adesso a disposizione creme antidolorifiche molto efficaci, che annullano qualunque sensazione di bruciore, dolore o fastidio e consen-tono quindi di evitare il disagio della iniezione. L’infusione viene eseguita in tempi molto più brevi: è stato visto che accorciare il tempo di infusione (aumentandone la velocità) non causa nè dolore, nè accumulo di immu-noglobuline nei tessuti; la somministrazione quindi può essere terminata in poche ore e trova spazio in qualunque momento della giornata, senza interferire minimamente con il lavoro, il gioco, la scuola.

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L’AIP Onlus riunisce in Italia le famiglie e i pazienti affetti da malattie di origine genetica legate al sistema immunitario, malattie gravi, rare e poco conosciute. È stata fondata nel 1991 da un gruppo di pazienti, di familiari e di medici interessati alla diffusione dell’informazione ed alla promozio‑ne della ricerca in questo campo. È una Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale (ONLUS), iscritta nel Registro Generale della Regione Lombardia. L’AIP è retta e gestita da un Consiglio Direttivo e da alcune famiglie di riferimento a livello locale ed è seguita, sul piano scientifico, da un Comitato Scientifico del quale fanno parte alcuni tra i più accreditati Clinici e Ricercatori italiani.L’AIP supporta la rete IPINET (Italian Primary Immunodeficiencies Network) che ha lo scopo di formulare raccomandazioni diagnostiche e terapeutiche per le immunodeficienze primitive da applicare sul territorio nazionale.L’AIP aderisce all’IPOPI (International Patient Organization for Primary Immu‑nodeficiencies), organismo internazionale che raggruppa le varie associa‑zioni nazionali per le immunodeficienze primitive.

Obiettivi• Creare una “rete” di comunicazione tra le famiglie per scambiarsi espe‑

rienze e condividere problemi, nonché intervenire economicamente in caso di necessità;

• Informare i pazienti e le loro famiglie sulla ricerca, sulla diagnosi e sulle terapie relative alle IDP;

• Diffondere le informazioni sulle IDP nell’opinione pubblica, tra i medici e il personale paramedico;

• Sostenere la ricerca scientifica e tecnologica nell’ambito della diagnosi e della terapia delle immunodeficienze primitive;

• Favorire una “rete” nazionale, geografica e per patologie, dei centri clinici ed universitari sulle IDP;

• Assicurare ai pazienti il riconoscimento dei loro diritti sul piano sanitario, scolastico e lavorativo, anche con interventi legislativi;

• Garantire ai pazienti ricoverati e/o in Day Hospital un’assistenza ottima‑le per livello tecnico‑scientifico, in un ambiente rispettoso del malato.

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