Quaderni di Egittologia 4 - Aracne editrice · se la cultura e l’arte egizia fossero immutabili...

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Quaderni di Egittologia

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Un ringraziamento a Michele Domenico Vittozziper l’elaborazione grafica di alcune figure.

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Giuseppina Capriotti Vittozzi

L’ARTE EGIZIAIl potere dell’immagine

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I edizione: dicembre 2005

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Al professor Sergio Donadoni

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Questo piccolo lavoro è sicuramente inadeguato alla dedica, ma ildesiderio di offrirlo al professor Sergio Donadoni nasce dal fatto cheho scritto queste brevi note pensando agli studenti che seguono il miocorso presso l’Università degli Studi “Roma Tre” e, così facendo, horipercorso quei primi passi che ho avuto l’onore di muovere sotto laguida del professor Donadoni.

Questo quaderno non intende presentare una storia dell’arte, mainvece offrire, a quanti si avvicinano all’arte egizia, una chiave di lettu-ra. Per un approccio sicuro con questa materia resta insuperato il volu-me del professor S. Donadoni, L’Egitto, ed. UTET, aggiornato e ristam-pato anche, in un formato economico, con il titolo L’arte dell’anticoEgitto, ed. TEA.

Giuseppina Capriotti VittozziRoma, settembre 2005

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Sommario

1. Introduzione 11

2. Storia e mito 122.1 Le origini del mondo: il cosmo 132.2 Il caos fuori della valle 132.3 Il sovrano, tra storia e mito 142.4 L’immagine del faraone trionfante 15

3. Realtà e immagine 183.1 Creazione: parola e immagine 183.2 La capacità creatrice dello scriba e dell’artista 193.3 La magia 203.4 Il potere magico dell’immagine–segno 213.5 Un’arte funzionale 23

4. L’immagine e la persona 264.1 L’immagine del sovrano 26

4.1.1 L’Antico Regno 264.1.2 Il Medio Regno 284.1.3 Il Nuovo Regno 30

4.1.3.1 Un nuovo rapportotra immagine e fruitore 32

4.1.3.2 L’episodio di Amarna 324.1.4 Il periodo tardo 354.1.5 L’epoca tolemaica e romana 36

4.2 La scultura privata 394.2.1 L’Antico Regno 394.2.2 Il Medio Regno 424.2.3 Il Nuovo Regno 424.2.4 Il periodo tardo 444.2.5 L’epoca tolemaica e romana 45

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5. Identità funzionale di immaginee scrittura geroglifica 475.1 Il dono della rigenerazione 475.2 La barca di Mutemuia 495.3 Ptah signore di Maat 495.4 Un rebus per Ramesse 49

6. L’arcaismo 51

7. I modi della rappresentazione artistica 537.1 Immagine frontale e di profilo 547.2 L’introduzione della dimensione

spazio–temporale nell’arte 56

8. Lavorare la pietra in Egitto 578.1 Le pietre 578.2 Tra interrogativi e incertezze 588.3 I vasi in pietra 608.4 La scultura in pietra tenera 608.5 La scultura in pietra dura 618.6 L’ottimizzazione delle risorse nelle officine 62

9. L’architettura come immagine 63

10. Il retaggio dell’arte egizia 65

11. Breve bibliografia ragionata 67

12. Cronologia 69

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. Introduzione

Volgendoci a considerare l’arte dell’antico Egitto, dobbiamo tenerpresente che abbiamo davanti uno sviluppo lungo più di tre millenni,a partire dal periodo predinastico, fino all’Impero Romano. Soprav-vivenze dell’iconografia egizia si rintracciano inoltre nell’arte copta,avendo la chiesa dei cristiani d’Egitto conservato anche l’antica linguain quella liturgica. Questo sviluppo, che si protrae lungamente neltempo, dà l’impressione di una incredibile capacità di auto–conserva-zione, e dunque ha spesso stimolato l’idea di un non–sviluppo, comese la cultura e l’arte egizia fossero immutabili nel tempo, chiuse in unasorta di torre d’avorio che è la Valle del Nilo, impermeabili a contattie stimoli e dunque sempre uguali a se stesse.

Tale errore di lettura è reperibile ancora oggi in pubblicazioni diargomento storico. La fedeltà dell’arte egizia alla propria tradizione èindubbiamente un dato chiaro, che verrà commentato in questo qua-derno, ma dobbiamo anche tener conto del fatto che essa ci è tanto piùevidente perché la nostra considerazione dell’arte è focalizzata in parti-colare sull’arte della corte regale e dell’ambiente che da essa promana.

La tentazione di chi si avvicina a studiare, e presentare ad un pubbli-co, un periodo o un ambito della storia dell’arte, è invariabilmente quel-la di scegliere gli oggetti più significativi, spesso i più sorprendenti perbellezza, raffinatezza tecnica, fascino. Se tale scelta comporta dei rischi,essi sono tanto più gravi quando ci accingiamo a considerare l’arte di unaciviltà lontana nel tempo, laddove intorno all’eccellenza di tali picchi

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emergenti, spesso il fondovalle è avvolto nella nebbia e solo qualchesprazzo è visibile o riconoscibile. D’altra parte, operare delle scelte è ine-vitabile e, a causa della stessa nebbia, esse cadono spesso, necessaria-mente, sulle opere prodotte dall’ambiente regale, insomma sull’arte uffi-ciale. Assolutamente indispensabile, dunque, per chi si avvicina allo stu-dio dell’arte egizia, è la coscienza di tale parzialità, che investe la stessaproduzione di ambiente regale; un caso esemplare è quello dell’architet-tura templare: le grandi costruzioni del Nuovo Regno hanno quasi com-pletamente obliterato l’architettura templare dei periodi precedenti, adesempio quella del Medio Regno, e solo alcune strutture, a suo temposmontate e sepolte, o utilizzate come riempitivo, all’interno delle areetemplari, sono state “ripescate” e ricostruite dagli archeologi, come adesempio la cappella della barca di Sesostri I a Karnak. È questa una veraperla, ma ormai completamente fuori contesto.

La coscienza della parzialità delle nostre conoscenze, deve tenerconto anche di un fondamentale processo formativo della civiltà egizia:ciò che gli Egiziani ricordarono sempre come l’unificazione delle DueTerre, la Valle e il Delta. La realtà arcaica, semplificata dall’ideologiafaraonica come una duplicità, dovette essere ben più variegata e mul-tiforme. Ciascun centro, ogni città, aveva culti propri, miti e tradizionidiverse, diverse culture formali. Una traccia evidente di questa diversitàoriginaria si trova nei periodi successivi, soprattutto a un livello mitolo-gico e religioso, laddove sotto lo smalto dell’unificazione riemergonodivinità e miti locali, che a tratti si confondono sotto una sovrapposizio-ne di figure divine — più che un sincretismo — ma sempre riappaiono,dandoci quell’impressione di un politeismo confuso e infinitamente pro-lisso. La molteplicità delle origini, che riusciamo ancora a distinguerenei fenomeni religiosi, resta invece molto più nascosta per quantoriguarda l’arte figurativa, durante lo sviluppo dell’epoca dinastica.

2. Storia e mito

Ogni civiltà ha di se stessa una certa immagine e una concezione delleproprie origini. Gli Egizi del periodo dinastico concepivano se stessi par-ticolarmente in rapporto all’ambiente, il cui elemento unificante era ilgrande fiume, e in rapporto all’organizzazione politica, facente capo alsovrano. La concezione del mondo fu dunque profondamente influenza-ta dal peculiare ambiente fisico dell’Egitto: un grande fiume che percor-re il deserto in direzione sud–nord dando vita ad un’oasi stretta e lunga

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centinaia di chilometri, l’infuocato astro solare che, su un percorsoest–ovest torna giornalmente alla vita; un ambiente deserto, mortale eaffascinante insieme, nel quale si celavano ricchezze ma che velava al con-tempo un mondo sconosciuto e caotico. In rapporto a questo ambientenacquero dunque i miti cosmogonici e si sviluppò la concezione del reale.

2.1 Le origini del mondo: il cosmo

Come narra lo storico greco Erodoto, quando il Nilo straripava,l’Egitto assumeva l’aspetto di un immenso lago dal quale emergevano,qua e là, delle collinette. Da questa immagine scaturì la riflessione mi-tologica e religiosa e si ritrova nei vari racconti cosmogonici legati aidiversi centri religiosi dell’Egitto antico. Nella molteplicità dei miti, ri-conosciamo comunque l’elemento acquatico, un oceano primordiale(Nun), dal quale emerge un’isola, un tumulo primordiale, o sul quale sicoagula un agglomerato di canne, un’isola natante. Sulle acque puònascere anche il sole, all’aprirsi mattutino della ninfea azzurra.

2.2 Il caos fuori della valle

La visione egizia dell’ambiente lungo il fiume, cosmo perfetto cheemerge dalle acque primordiali, comporta tuttavia il riconoscimento diampie zone marginali e incontrollabili, che premono ai confini del mondoordinato che è l’Egitto. Lo stesso oceano primordiale, cui si deve l’emer-gere del cosmo, è un elemento incontrollabile e imprevedibile, che in-goierà la creazione alla fine del tempo. Ciò che sta ai margini, dunque,presenta per gli Egizi un doppio valore: un aspetto fecondo e creativo, unopericoloso e distruttivo. Particolarmente significativi di questo ambientedi confine sono gli acquitrini, i folti papireti, densi di vita e di pericoli, lacui flora e fauna sono generalmente connessi con la rigenerazione dellavita. Dall’altro lato il deserto, arido e ostile, racchiude tesori preziosi d’oroe pietre e cela le vie per paesi lontani e ricchi di beni esotici.

Gli acquitrini sono rappresentati molto spesso, sia in ambiente fune-rario che templare. Una pittura proveniente dalla tomba tebana di Ne-bamon, conservata al British Museum (fotografia in copertina), mostra ildefunto armato di bastone da lancio mentre si avvicina al papireto su unabarchetta; dietro di lui sta la sposa adorna di fiori di loto e munita dimenat, accessorio caro ad Hathor. Un gatto fulvo, che attacca un uccellodavanti al defunto, ricorda l’animale che nel cap. 17 del Libro dei Mortiaggredisce il serpente Apopi, nemico della rinascita del sole. Sulla prua

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della barca si vede un’oca, così come in un’altra immagine ambientatanei papireti che si trova nel mammisi di Kom Ombo: essa potrebbe rap-presentare la teologia ermopolitana, alludendo all’uovo cosmico e pri-mordiale, dal quale viene il soffio della vita.

2.3 Il sovrano, tra storia e mito

Nella concezione egizia del mondo e della storia, figura irrinunciabi-le è il faraone, garante dell’ordine e del buon funzionamento del cosmodavanti agli dei, al punto che, quando in epoca romana il sovrano —l’imperatore romano — sarà figura lontana e a tratti di incerta identità,i sacerdoti nelle iscrizioni templari non rinunceranno alla figura regalema lasceranno vuoto il cartiglio, che abitualmente ne avvolge il nome elo rende immediatamente individuabile, o scriveranno all’interno sem-plicemente il titolo faraonico pr aA, (per aa, Grande Casa, dal quale deri-va il nostro termine “faraone”). Senza il sovrano, nella concezione egi-zia, l’Egitto non potrebbe sopravvivere. La visione del passato, per gliEgizi, era dunque confrontabile ad una fila di sovrani nelle cui mani siera tramandato il governo, e quindi la vita del paese. Elenchi di nomiregali furono scolpiti sulle pareti di templi e di tombe, e qui citiamo solola lista del tempio di Abido, realizzata durante la XIX dinastia.

Questi elenchi monumentali attingevano a delle opere esistenti indub-biamente nelle biblioteche, in particolar modo templari, nelle quali siconservava la memoria del passato. Conosciamo il nome di uno di que-sti sacerdoti compilatori, ai quali dobbiamo notizie di una storia che siammanta di mito: Manetone, vissuto quando l’Egitto aveva ormai farao-ni di origine macedone, i Tolemei, successori di Alessandro Magno.

La visione del passato, così come quella della realtà geografica, siconfonde con il mito, ma questo è un modo di intendere solo nostro,e non rispondente a quello egizio, per il quale non sarebbe stato com-prensibile un tale sdoppiamento: la realtà vibrava di forze e potenzia-lità in essa connaturate, poiché in essa abitavano le divinità; la storiaportava i semi di una rigenerazione che per noi non è facile cogliere.

La letteratura ci conserva, ad esempio nelle Lamentazioni del princi-pe Ipu, scritto nel periodo seguente la caduta dell’Antico Regno, lavisione terrifica del mondo allorquando si sfalda il potere regale e ilcaos prende il sopravvento sul cosmo ordinato:

Si va ad arare con lo scudo (…).Il Nilo scorre ma non si ara per lui

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poiché ciascuno dice “Non sappiamo ciò che avverrà nel Paese” (…).Le donne sono sterili e non si diviene più incinte.Khnum non crea più (…)Il fiume è pieno di sangue (…).Il deserto si è esteso sulla terra coltivata.

Traduzione di S. Donadoni

Questi stessi periodi in cui il mondo sembra rovesciarsi non ci hannotramandato, generalmente, immagini regali. L’arte di corte, con il suolinguaggio artistico capace di far vivere fino a noi le immagini dei farao-ni, sembra allora spegnersi così come, per gli Egizi, sembrava spegnersila vita stessa del paese. In alcuni casi, tuttavia, sono questi i momenti pro-pizi per intravedere altri aspetti dell’arte egizia, quelli che lasciano rie-mergere tradizioni locali, espressioni non ufficiali e “accademiche” .

2.4 L’immagine del faraone trionfante

Come esempio per la comprensione del rapporto tra storia e mito— utilizzando i nostri parametri — e dell’importanza dell’immaginedel sovrano in questo ambito, possiamo analizzare un modulo icono-grafico antichissimo e molto diffuso, quello del sovrano che, levato ilbraccio, abbatte i nemici dell’Egitto. Una faccia della famosa tavolozzadi Narmer, datata agli albori dell’unità delle Due Terre (fine del IV mil-lennio a.C.), ci mostra il sovrano che, indossando la Corona Biancadell’Alto Egitto abbatte i nemici.

Nel corso di tutta la storia dinastica troviamo lo stesso modulo ampia-mente rappresentato soprattutto nei rilievi templari (fig. 1): nella struttu-ra architettonica del tempio, che il Nuovo Regno ha canonizzato e tra-mandato, tale immagine, di grandi proporzioni, era rappresentata di soli-to sui piloni e comunque sui muri esterni, dove doveva rendere presenteil re e il suo potere di dominare le forze del caos. L’insieme dei nemici,tenuti dal faraone per i capelli, rappresenta l’altra faccia del mondo oltrei confini, quella pericolosa, e tuttavia vitale, e ben se ne comprende allo-ra la rappresentazione sui piloni del tempio, ai confini del cosmo perfet-to da esso rappresentato (si veda anche § 9). Si è spesso scritto che la tavo-lozza di Narmer ricorda l’unificazione delle Due Terre da parte di questore e sappiamo dalle iscrizioni che le grandi immagini di abbattimento deinemici di ambiente templare fanno talora riferimento a precise popola-zioni, tuttavia non dobbiamo considerare queste rappresentazioni come

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il ricordo di un particolare momento storico, quale può essere per noi unmonumento, che sia una statua o una lapide: esse si collocano nel mito,rendono presente la particolare funzione faraonica della tutela dell’Egit-to. Al tempo di Ramesse II, quando l’arte aveva subito profondi muta-menti con l’avvento in essa delle dimensioni del tempo e dello spazio (cfr.§ 7.2), questo modulo iconografico potrà anche essere sostituito con la

Figura .Karnak, VII pilone, Thutmosi III abbatte i nemici.

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grandiosa narrazione della battaglia di Qadesh contro gli Hittiti, un par-ticolare evento storico nel quale, tuttavia, il mito prorompe attraversol’intervento salvifico del dio Amon. Con le rappresentazioni del faraonetrionfante, possono essere messe in relazione quelle del sovrano che, aiu-tato da alcune divinità, tira la rete per l’uccellagione negli acquitrini: an-che in questo caso la funzione regale è quella di contenere le forze caoti-che qui rappresentate dagli uccelli palustri. Mentre veniva assorbito dalleculture dell’alta valle del Nilo, per essere ritrovato nei templi meroitici (inepoca romana, nell’attuale Sudan), il modulo iconografico rappresentan-te il faraone trionfante entrò nella koinè artistica del Mediterraneo inun’epoca molto antica: esso fu attribuito a divinità vicino–orientali com-battenti, fino a Melqart cipriota, ad Eracle greco e all’Ercole italico eromano. L’immagine di colui che, levato il braccio armato, abbatte leforze caotiche è divenuto familiare nella nostra cultura figurativa, finoalla rappresentazione di San Michele Arcangelo o a quella, curiosamentefemminile, di Maria Vergine come Madonna del soccorso la quale, arma-ta di un nodoso randello, scaccia il demonio che attacca un fanciullo.

Figura .Rilievo del mammisi di File: il dio Khnum modella sul tornio Horo il bambino.