Quaderni Di Archeologia Nebroidea I - Abstract

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Quaderni di Archeologia Nebroidea Volume I - Santo Stefano di Camastra

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  • I:

    A cura dell'Associazione Culturale Rest@rt a.p.s

  • Comune di Santo Stefano di Camastra (Messina)

    ,.l~'~

    Quaderni di Archeologia Nebroidea- VoI. ISanto Stefano di Camastra

    Pubblicazione a cura dellaAssociazione Culturale Rest@rt a.p.s.

    Coordinamento scientificoVittorio Alfieri

    AutoriVittorio AlfieriFrancesco ColluraBiagio CupaniEster OddoRossella Rizzari

    Collaborazioni scientificheRossella BattagliaEmanuela BittoMaddalena De RosaGiuseppe LolloCalogero PrestileoSilvana Tarallo

    COOldinamentoamministrativoGrazia LombardoRosaria Perez

    Progetto graficoAlessandro RutinoPippo PezzinoNancy Rizzo

    Referenze fotograficheTutte le illustrazioni contenute nel presente volume sono state tratte dal sito internet del Comune di Santo Stefano di Camastra(www.comune.santostefanodicamastra.me.it) o sono state appositamente scattate da Vittorio Alfieri, Francesco Collura e Andrea Carolloper conto dell 'Associazione Culturale Rest@rt a.p.s.

    Rilievi graficiAlessandro Rutino (p. 20); Francesco Collura (pp. 31,57); Pippo Pezzino (pp. 21,23,37); Angelo Pettineo - Nuccio Lo Castro (p. 48)Vittorio Alfieri (tutti gli altri)StalllpaTipografia CentroStampa S.r.l. - Contrada Masseria Soprana c/o Zona Industriale- 98071 Capo d'Orlando (Messina)

    Aprile 2012

    Tutti i diritti sono riservati. vietata qualsiasi riproduzione, anche parziale, di testi e di immagini anche attraverso ripresa e memorizzazioneelettronica senza il permesso scritto del Comune di Santo Stefano di Camastra (Editore) e dell' Associazione Culturale Rest@lt a.p.s.(Ideatore e Autore).

  • INDICE

    Presentazione dell 'Operadi Giuseppe Mastrandrea e Carmelo Colombo

    Introduzione all'Operadi Vittorio Alfieri

    I. Inquadramento storico-archeologico del territorio dei Nebrodi Occidentali:da Capo d'Orlando (Agathyrnon) a Tusa (Alesa Archonidea)di Vittorio Alfieri e Francesco Collura

    II. Cenni storici su Santo Stefano di Camastradi Vittorio Alfieri

    III. "Qui sifa la storia/": Intervista all'Indiana Jones dei Nebrodidi Ester Oddo

    IV L'area archeologica di Contrada Aradi Francesco Collura e Vittorio Alfieri

    V Gli usi funerari in Sicilia in epoca preistorica ed in epoca storicadi Ester Oddo

    VI. Il rito del simposio nell 'Antichitdi Ester Oddo

    VII. Riflessioni sul restauro dei reperti fittili di Contrada Aradi Rossella Rizzari

    VIII. L'area archeologica di Contrada Vocantedi Vittorio Alfieri e Francesco Collura

    IX. La villa per i Romanidi Ester Oddo

    X Riflessioni sulla tutela del mosaico di Contrada Vocantedi Rossella Rizzari e Biagio Cupani

    XI. Archeologia a Santo Stefano di Camastra dagli abissi alle vette:i rinvenimenti di Contrada Marina e di Monte Trefinaididi Francesco Collura

    XII. Le anfore da trasporto nel mondo anticodi Francesco Collura

    XIII. L'antica arte della guerradi Ester Oddo

    Catalogo dei principali reperti archeologici stefanesia cura di Vittorio Alfieri e Francesco Collura

    Bibliografia

    pp. 11- 20

    pp. 21- 27

    pp. 28 - 30

    pp. 31- 34

    pp. 35 - 36

    pp. 37 -40

    pp.41-43

    pp. 44 -49

    pp. 50 - 52

    pp. 53 - 54

    pp. 55 - 59

    pp. 60 - 62

    pp. 63 - 66

    pp. 67 -75

  • Vittorio Alfieri e Francesco Collura

    Il teITitorio dei Monti Nebrodi si presenta come uno dei luoghi pi particolari di tutta l'Isola non soltanto

    per le sue meravigliose componenti del paesaggio naturale - come la stretta vicinanza della montagna al

    mare, frequentemente lungo scoscesi dirupi, la dissimmetria dei vari versanti, la ricchissima vegetazionee gli ambienti umidi - ma anche e soprattutto per i suoi straordinari elementi antropici del Passato, che

    onnai ben si sono integrati con la Natura circostante,

    Infatti di questa "regione nella regione" colpisce il fatto che i ricchi boschi suggestivi, gliampi verdi pascoli d'alta quota, i placidi laghi e i fluenti torrenti sono spesso i discreti

    custodi di pagine sepolte di storia dimenticata o sconosciuta; incanta il fatto che elementi

    della tipica macchia mediten'anea sempreverde come la roverella, la quercia, il cerro, ilfaggio, il mirto, il lenti sco, la ginestra, ma anche - a quote pi basse -l'ulivo e altri alberi

    da frutta spesso, con la forza delle loro radici, restituiscono all'uomo "pezzi di Storia" diquesto teITitorio; sorprende che spesso antiche ed imponenti vestigia fungano da rifugio eda ricovero a testuggini o a istrici, gatti selvatici, martore, ghiri; ammalia che poiane,

    gheppi, nibbi reali, falchi pellegrini e aironi cinerini possano godere di scenari unici da

    una prospettiva migliore rispetto a quella che possono avere migliaia di persone che dasecoli calpestano distrattamente segni apparentemente incomprensibili che poi finiscono

    per rivelarsi venerabili om1e lasciate da chi in questo territorio ci ha preceduto,

    Certo, a hen vedere, non un caso che il ten'itorio dei Monti Nebrodi si riveli un ricco scrigno dimagnifiche evidenze culturali - prevalentemente archeologiche - testimoni di antiche e nobili civiltcome quella sicula, quella greca, quella romana, quella bizantina e via (di)scon'endo nel tempo,Infatti gi la loro denominazione ci riconduce direttamente all'ambito classico attraverso la religione e la

    mitologia antica, con i riti dionisiaci e soprattutto con la caccia al cerbiatto~ tem1ine da cui la nostra catena

    montuosa trae la propria radice etimologica,

    Restando sul dato linguistico, per quanto piuttosto rare nella letteratura greca, parole come nebrs(VE~pd spesso associata a tirso (8upero), nebrzein (VE~pc.;;ELV)3e Nebrdes (NE~pw8'1)~ sonoindispensabili per comprendere il rito misterico riconducibile a DionisolBacco,

    In particolare, il tennine NE~pw8'1 indica il nome che Dioniso prende quando egli stesso presente alrito misterico celebrato in suo onore in veste di "dio-pr~da", e precisamente stricto sensu come epitetodel dio definito "simile al cerbiatto", lato sensu come toponimo dei monti che si snodano lungo la costa

    tin'enica della Sicilia, probabilmente perch le loro cime boscose erano spesso teatro dei riti misterici

    officiati in onore del vivace nume,Questi riti, a cui prendevano pm1e prevalentemente le donne -le cosiddette Menadl- si svolgevano sullemontagne, nella notte, con la complicit del buio e con la suggestione della fioca luce delle fiaccole, Sottolo sguardo attento ed interessato delle locali Ninfe, le paI1ecipanti erano accompagnate da un cOI1eo di

    Satin6e di Silenl che si limitavano a fare da contomo e da supporto al compimento dei riti, suonando unamusica assordante ed eccitante~ che "invitava alla follia", ed intonando dei ritmati, ipnotici e vitali triplici"Evo!", In questa atmosfera surreale le iniziate, vestite con lunghi pepli su cui indossavano, a mo' dimantella, le nebridi9(pelli screziate di cerbiatti con le zampe anteriori dell'animale annodate sul petto econ quelle posteriori pendenti dietro la schiena), si davano a "danze inebrianti" fatte di movimenti a

  • Quaderlli di Archeologia Nebroidea:Santo Stefallo di Camastra

    IOvortice e a turbine, con le "nuche riverse" e con i capelli sciolti "sugli omeri", che le facevano regredire in

    una condizione primordiale ed istintiva; a quel punto la schiera di fedeli e di seguaci (8i()(CTO) simuoveva al seguito delle Baccanti che urlandoll si precipitavano per i pendii della montagna in corsefrenetiche e sfrenate all'inseguimento della preda che poi, una volta catturata, veniva brandita, dilaniata

    con il tirscfle sbranata ancora viva e cruda dai denti famelici delle "invasate" che si impossessavano cosdella vita dell'animalel~Era questo il momento culminante del rito, l'attimo dell'entusiasmo~'tiell'epifania,della discesa del dio, quando l'iniziato, sciolto ogni limite e superata ogni misura di autocontrollorazionale, ormai "fuori di s", realizzava il contatto con il divino sia a livello psichico sia a livello fisico,con la teofagia l.5

    Il sacrificio-comunione con la divinit della vita era un rito estatico, visionario e sapienziale in cui si

    commemorava il ritorno o la presenza di Dioniso, che in questi monti era molto venerato ed onorato~6come dimostrano anche diverse emissioni monetali emesse da zecche di citt un tempo esistenti in questaregione centro-tirrenica, che lo ritraggono.

    In particolare, l'area dei Monti Nebrodi rappresenta un contesto unico e originale nel quadro delle

    dinamiche di occupazione umana antica della Sicilia. Ci stato detenninato dalla posizione e dallastessa morfologia dei luoghi, caratterizzati da una serie continua di alture, talvolta quasi inaccessibili,intervallate da profonde vallate fluviali e caratterizzate da una straordinaria ricchezza di risorse naturali.

    Queste circostanze hanno favorito il sorgere di centri urbani con caratteri autentici, frequentemente diorigine protostorica e con continuit di vita millenaria, protrattasi in alcuni casi fino ai giorni nostri.In questo settore dell'Isola, talvolta impervio e di difficile controllo, la colonizzazione greca in Sicilia,

    attuata a partire dalla seconda met dell'VIII secolo a.C., non sembra essere giunta a risultati concreti. Il

    racconto delle fonti storiche, da Erodoto a Diodoro Siculo, chiaro in proposito: qui non venne fondataalcuna colonia e l'area, quasi mai menzionata fino alle fondazioni miste siculo-greche della seconda met

    del V secolo a.C. di Kal Akt e Halaisa, rimase a lungo sede di incontri sporadici tra le due culture,

    indigena e greca, piuttosto improntati a relazioni commerciali e ad altt i processi indiretti di"ellenizzazione". Una serie di insediamenti, generalmente di modeste dimensioni, ubicati su cime ben

    difendibili non molto distanti dalla costa, occup l'area a partire dalla fine dell'Et del Bronzo.Similitudini nelle tipologie vascolari e in genere nelle manifestazioni di cultura materiale, indicano che

  • nqlladranrellto storico-archeologico del territorio dei Nebrodi Occidelltda Capo d'Orlalldo (Agarhymoll) a Tusa (Alesa Archoni

    questi centri erano in relazione tra loro dal plU1tO di vista socio-culturale e da quello economico-

    .:ommerciale. Il contatto con le colonie greche siceliote, stando ai dati fin qui raccolti, si avvi nell'area

    .:emro-nebroidea a partire dalla fine del VII secolo a.C. Circa un secolo pi tardi l'influenza ellenica-estiva onnai quasi ogni aspetto della vita di queste citt: modelli urbanistici, tecniche edilizie, oggetti

    o domestico e corredi sepolcrali, appaiono propriamente greci e ben coesistono con produzionili: tale convivenza si avverte almeno sino alla fine del V secolo a.c. o, addirittura, fino all'inizio del

    sec. a.C., segno di un'identit sociale che le popolazioni autoctone volevano mantenere vivaODostante il "mondo" stesse inesorabilmente mutando sempre pi calamitato dalla cultura romana.

    CD centro in cui tutti questi aspetti appaiono particolarmente evidenti quello sul Monte Meliuso aGioiosa Guardia, che insiste nell'area pi orientale dei Nebrodi ed l'unico, al momento, indagato

    cialmente in maniera sistematica. Qui, in cima ad un'altura quasi inaccessibile, un villaggio era in vitagi dalla Tarda Et del Bronzo (XIII secolo a.C.). Il contatto con il mondo greco, molto probabilmenteon Zankle, si fece via via pi pelmeante a partire dalla seconda met del VII secolo a.c., esito di una

    -pinta verso Ovest di quella citt, dettata da esigenze di tipo commerciale pi che strategico. Si pu datarealla fine del VI secolo a.c. un impianto urbano "regolare", con case a pianta lineare separate da strade,

    che sostituisce quello precedente in fonna di capanne curvilinee. Nel V secolo a.c. ancora ben intuibilela coesistenza di importazioni coloniali e manifatture locali nelle forme vascolari di uso quotidiano,mentre nei corredi sepolcrali sono onnipresenti i vasi decorati greci (si veda la Necropoli di Sorrentini). Ilcentro sub una distruzione alla fine di quello stesso secolo e sopravvisse, in forma ridotta, almeno finoalla met del IV secolo a.c.

    Un processo analogo stato riscontrato a Monte Scurzi, sebbene qui le ricerche siano state finora menosistematiche: un abitato antichissimo, risalente anch'esso alla tarda Et del Bronzo, appare ellenizzato

    sullo scorcio del VI secolo a.C., per scomparire, a seguito di eventi traumatici non del tutto chiari, intorno

    alla met del secolo successivo, apparentemente in coincidenza con il fiorire della citt pi vicina,Halontiol1.Anche qui, nella fase finale, si osserva ancora una marcata coesistenza di culture indigene eallogene.

    L'abbandono, spesso improvviso per eventi traumatici, di molti abitati indigeni nebroidei nel corso o, alpi tardi alla fine, del V secolo a.C., stato osservato in numerosi casi: andrebbero pertanto approfonditigli studi sugli eventi che investirono la Sicilia in questa fase, per comprendere meglio quali esiti essi

    abbiano avuto su quest'area sostanzialmente "periferica".

    Al momento, si pu solo ipotizzare che la nascita di nuove pleis e la trasfonnazione di quelle giesistenti, con forme di controllo del territorio pi invasive e totalitarie, abbia determinato l'abbandono diquesti centri, talvolta anche in maniera violenta, ed il trasferimento della loro popolazione nelle nuove

    citt.Date certe per la nascita di queste si hanno solo in pochi casi: Kal Akt nel 447-446 a.C; AlaisaArchonidea nel 403 a.C. Di origine pi antica, stando ai dati della ricerca archeologica, apparirebbero lepleis di Agathyrnon, Halontion e Amestratos; per Apollonia si ipotizza un'origine indigena,quantomeno di V secolo a.C., sebbene i risultati delle recenti ricerche archeologiche non abbianoindividuato resti di strutture pi antiche della seconda met del IV secolo a.C. A parte quest'ultima,

    abbandonata all'inizio del I secolo d.C., ed esclusa anche Halaisa, che cessa di esistere sullo scorciodell'epoca araba, in tutti gli altri casi le citt presentano una continuit di vita ininterrotta fino ai giorni

    nostri, con fasi alterne di contrazione e ripopolamento o di rifondazione.Sorti analoghe sembrano avere seguito anche i centri antichi ubicati sul versante meridionale dei

    Nebrodi: Kapytion nota dalle fonti quantomeno per l'epoca tardoellenistica e romana; a Cerami e aTroina sono stati individuati abitati ellenizzati in vita almeno nel IV secolo a.C.

    m quest'area andrebbe forse cercata anche la potente citt sicula di Herbita, co-fondatrice di Kal Akt emadrepatria di Halaisa, che compare nel racconto delle fonti solo nel V secolo a.C. ma che deve avereavuto origini molto pi antiche: per una lunga fase, quantomeno sino all'inizio del IV secolo a.C., fuHerbita che condizion le sorti di quest'area, ponendosi come ostacolo invalicabile all'espansione greco-

    siceliota da Sud.Come una "regione nella regione", l'area centro-occidentale dei Nebrodi si impone allo studio per

    l'elevato numero di siti archeologici, di abitati esistenti gi a partire dall'et protostorica diffusi inmaniera "sistematica" su alture, piccoli e grandi centri per i quali difficile comprendere bene lemodalit di trasformazione culturale e di influenza esterna: l'area in questione si trova a met strada tra le

  • QlIademi di Archeologia Nebroidell:Santo Ste/allo di Camastra

    fondazioni zanklee di Mylae e di Himera, con possibilit di accesso anche da Sud (ad esempio da Naxos eda Katane) lungo i valichi fluviali, in un teITitorio che a volte difficile qualificare sempre e comunquecome siculo senza escludere del tutto che non sia a tratti anche un po' sicano, e che era soggetto ancheall'influenza delle antistanti Isole Eolie (Lipara), nonch dalla vicina area punica (Kephaloidion, in certifrangenti).Nel dettaglio, per quanto concerne il versante meridionale nebroideo, al di l delle cime che si

    susseguono ininterrotte da Est ad Ovest, sorsero diverse pleis attive principalmente nell'et ellenistica eromana e con una continuit di vita che arriva praticamente fino ai giorni nostri.In questo distretto nebroideo, il sito principale quello su cui sorge l'attuale Troina'; da identificarsi forsecon Engyon, sede di un santuario molto famoso nell'Antichit. Qui l'abitato occupava l'omonimo monte,di fonna oblunga, presumibilmente percorso per intero da una strada principale (plateia) che si adattavaalla morfologia del sito, al suo versante meridionale e all'adiacente Monte S. Pantheon: i resti si datanocomunque dalla fine del IV secolo a.C. ad epoca imperiale, circostanza che ancora mette in dubbio

    l'identificazione Troina-Engyon. Una cinta muraria, di cui sopravvivono alcuni tratti, cingeva la citt,sebbene edifici di un certo interesse siano stati scoperti anche extra moenia: tra questi, un edificio dallaparticolare articolazione, datato alla media et ellenistica, dubitativamente interpretato proprio comesede del famoso santuario delle Meteres. Una ricca necropoli con corredi prevalentemente ascrivibili allaseconda met del IV secolo a.C., indagata a met del secolo scorso, occupava l'area ad Est dell'abitato.Non molto distante da l, la cittadina di Cerami'8sorge sul sito di un anonimo abitato ellenistico, di cuisono noti solo materiali provenienti dalla necropoli, anch'essi di IV-III secolo a.C.; mentre per Kapytion'9

    i dati a disposizione sono ancora pi scarsi e si limitano a sporadici rinvenimenti di materiali ellenistici eromani. Il nome tuttavia ricone nelle fonti - Cicerone la cita come civitas decumana2'Lfino a tarda et.In sintesi, questo settore dei Nebrodi paga la poca sistematicit e la scarsa continuit delle ricerche,

    circoscritte a esigui interventi limitati nello spazio e nel tempo, mentre l'individuazione di centri in vita inet preistorica e la vicinanza ad un'area che ha restituito molte testimonianze per l'epoca arcaica e classicacome quella dell'Ennese settentrionale, dovrebbero indirizzare gli studi su ampie aree ancora oggi

    totalmente sconosciute sotto l'aspetto archeologico, entro cui dovrebbero ricadere numerose pleis notedalle fonti (Engyon, Imachara, Galaria, rissa, Noma, ecc.).Per quanto riguarda invece la fascia settentrionale nebroidea, quella pi prossima alla costa, partendo da

    Est, laddove sorge un promontorio a strapiombo sul mare, si trova oggi la cittadina di Capo d'Orlando:in base alle coordinate del geografo Tolomeo, qui era ubicata la polis di Agat"yrnon2~ Al momento, letestimonianze pi antiche si riferiscono ad un insediamento preistorico (Tarda Et del Bronzo) messo inluce in Via Libert, in prossimit del lungomare.Rinvenimenti fortuiti e ricognizioni eseguite sul Monte del Santuario della Madonna, documentano

    invece una frequentazione ininterrotta del sito in et greca arcaica e in et ellenistico-romana. Nell'area

    sud-orientale della citt moderna stata identificata una necropoli di epoca ellenistica, mentre nella zona

    della Stazione Ferroviaria stata localizzata un'altra necropoli di epoca romana imperiale. L'ubicazionedi queste aree cimiteriali a sviluppo progressivo da Est verso Ovest e la confom1azione dell'area collinare

    antistante, suggeriscono che l'abitato antico sorgesse alle spalle del Santuario della Madonna sulpromontorio, sito gi menzionato in passato dal Fazello.Materiali frammentari, databili alla fase ellenistico-romana, sono stati rinvenuti nelle campagne ubicate

    nelle alture retrostanti, mentre alcuni interessanti rinvenimenti moneta li di zecche diverse documentanoun'occupazione dell'area gi nel V secolo a.C. ed una intensa movimentazione umana2 2

    Attualmente, la principale emergenza archeologica costituita dalle terme romane scoperte, alla finedegli anni '80 del secolo scorso, in localit Bagnoli della contrada San Gregorio. Il complesso termale

    doveva appartenere ad una villa non isolata, ma riferita ad un pi ampio contesto abitativo di epoca

    romana imperiale, come suggerito dalle prospezioni eseguite nei dintorni delle strutture emerse. La villaoblitera testimonianze riferibili gi ad epoca ellenistica, ponendosi poi come complesso di primariaimportanza nell'ambito dei trasporti via mare e via terra, e quale modalit tipica di occupazione del

    teITitorio in un'epoca in cui le vere e proprie citt si svuotano a vantaggio di borghi rurali.

    Continuando verso Ovest, il territorio di Sant' Agata di Militello23appare intensamente frequentato gi inet pre e protostorica, con una serie di piccoli insediamenti sparsi nelle alture a non molta distanza dalla

    costa. Di essi, si segnala quello in contrda Priola, pi internato, che mostra livelli di occupazione di etgreca, mentre il centro indigeno sicuramente pi interessante e noto quello di Monte Scurzi, al confine

  • IIqlladramellto storico-arcJw%gico de/territorio dei Nebrodi Decidelltda Capo d'Orlalldo (Agatlz)'rnoll) a Tusa (Alesa Archonidea)

    on il comune di Militello Rosmarino. Posto su un'altura di forma conica quasi inaccessibile, esso mostra-egni di occupazione a partire dalla tarda Et del Bronzo - prima Et del FelTo, mentre raggiunge il suo

    massimo sviluppo in epoca greca tardoarcaica e classica, quando si organizza in fonna urbana con unaerie di unit abitative complesse, le cui strutture erano realizzate con pietra locale e con mattoni crudi.

    L'abitato venne abbandonato definitivamente intorno alla met del V secolo a.C. a seguito di unadistruzione violenta. L'anonimo centro di Monte Scurzi sorgeva in una posizione molto strategica, su una

    vetta scoscesa praticamente inaccessibile da ogni lato tralme che da Sud. Forme di contatto con il mondo

    coloniale greco si datano intorno alla met del VI secolo a.C., ma la cultura materiale del centro rimanefortemente radicata a modelli di derivazione protostorica. Dopo l'abbandono, il sito rimasto desertofino ad oggi e probabilmente ricadde all'interno della Xwpo< controllata dalla vicinaHalontion.Questo distretto dei Nebrodi ha offelio numerose attestazioni di frequentazione umana, soprattutto perl'epoca tardoellenistica e romana imperiale: diversi i siti di fattorie e centri produttivi sparsi su una vasta

    area, mentre nel centro urbano moderno si sono avuti significativi rinvenimenti di ambito cimiteriale,

    allineati prevalentemente lungo il corso della strada litoranea e da mettere in relazione a borghi rurali,uno dei quali localizzabile nei pressi del Castello Gallego e un altro nell'area della Stazione FelToviaria.

    A San Marco d' Alunzio, sede dell'importante polis siculo-greca di Halontion, i pi antichi rinvenimentisi datano ad et protostorica, mentre ceramiche di VI secolo a.C. documenterebbero l'esistenza di unabitato esistente gi in et tardoarcaica. Tuttavia, la maggior parte dei ritrovamenti, soprattutto di ambito

    sepolcrale, parte dal IV secolo a.C., sebbene monete di fine V - inizio IV secolo suggeriscano l'esistenza

    di un ricco centro di cui non si rinvenuta ancora alcuna struttura significativa. Halontion prospersoprattutto in et tardoellenistica e romana imperiale, quando fu municipium. Di difficile interpretazione l'impianto urbanistico antico che, sulla base della disposizione delle strutture murarie riportate in luce e

    in considerazione della particolare morfologia dell'altura, non doveva essere regolare ma, piuttosto,articolato su una serie di strade adattate alla curvatura naturale della collina, non rettilinee, intervallate danumerosi vicoli in forte pendenza e quindi con un'articolazione "a tenazze". Sulla base di alcuni

    rinvenimenti di tipo architettonico ed epigrafico, si ipotizzato che l'agor-forum fosse ubicata nell'areadell'odierno Municipio. La disposizione delle necropoli, a Sud e a Nord dell'abitato, consentono disegnare grossomodo i limiti della citt ellenistico-romana.

    Il principale monumento antico aluntino senza dubbio il cosiddetto Tempio di Ercole, costruito extramoenia e trasformato successivamente in chiesa2~ Tratti delle mura di fortificazione in grossi blocchi dicalcare locale sono visibili soprattutto nella pmie a Nord della cittadina moderna, oltre ad una probabile

    porta nella stessa sede di un accesso alla citt di epoca medievale (POlia Sant'Antonio). Nell'areadell'abitato sono state individuate numerose cisterne scav~te nella roccia, peliinenti a strutture abitative icui resti sono molto lacunosi, anche a causa del sovrapporsi dell'abitato medievale. Il ten'itorio (chora) diHalontion era molto esteso e comprendeva buona parte degli attuali comuni di Sant'Agata di Militello edi Torrenova.Su questo tratto di costa doveva esistere un approdo ed un cantiere navale; inoltre quest'area

    pedemontana era disseminata di fattorie e di insediamenti ruraliZ?Continuando ancora, prima del torrente Furiano, sul Monte Vecchio di San Fratello, da lungo tempo

    erano note le rovine di un abitato classico dal momento che affioravano frustuli murari, cisterne e svariatimateriali architettonici che suggerivano che qui sorgesse la citt di Apollonia'; che il geografo Tolomeoponeva proprio a met strada h'a i centri antichi di Calacte eHaluntiul11.Il nome di questa citt attestatoa paliire dal IV secolo a.C. (Diodoro Siculo), epoca in cui fu resa libera dalla tiralmia di Leptine ad operadi Timoleonte; in seguito venne saccheggiata da Agatocle, mentre Cicerone la nomina nel I secolo a.C.

    nella celebre requisitoria contro Verre. In seguito, il toponimo scompare dal racconto degli storici. I

    recenti saggi di scavo eseguiti a cura della Soprintendenza di Messina negli anni 2000 hmmo portato inluce lembi del tessuto urbano della citt nella parte pi alta del Monte Vecchio. Si tratta dell'acropoli di

    Apollonia - sulla cui identificazione orn1ai sembrerebbero non esserci pi dubbi anche sulla base deirinvenimenti monetali - cinta da mura di fortificazione ben evidenti sul versante sud-ovest ecaratterizzata da una strada (platia) che la percorre in direzione SO-NE fino alla palie pi alta, doveoggi sorge la chiesa normalma dei tre santi Alfio, Filadelfio e Cirino, costruita probabilmente sui resti di

    un antico tempio (di Apollo?). Le strutture pOliate in luce si datano a paliire dalla seconda met del IVsecolo a.c., sebbene alcuni ritrovamenti attestino l'esistenza del centro anche nel secolo precedente. Per

    ragioni ancora sconosciute, la citt venne abbandonata all'inizio del I secolo d.C. Molto tempo dopo, in

  • Quaderni di Archeologia Nebroidea:Salito Stefallo di Camastra

    nomlanna, il sito venne parzialmente rioccupato, per essere definitivamente abbandonato nel giro di unsecolo. Queste circostanze hanno consentito il mantenimento in buono stato delle strutture murarie e laconservazione in giacitura primaria delle suppellettili di epoca classica: nel corso degli scavi sono statiinfatti recuperati molti materiali, in parte integri, comprendenti anfore, pithoi, macine, vasellame damensa e da cucina, coroplastica, pesi da telaio e un gran numero di monete, alcune delle quali battute

    dalla zecca locale. All'intemo della fortezza, che doveva comprendere solo una parte della citt, si

    appurata l'esistenza di una struttura urbana regolare, con strade (stenopi) con andamento ortogonalerispetto all'arteria principale (platia). La rete viaria serviva, e allo stesso tempo delimitava, isolati dicase anche a due piani, realizzate con muri in pietra locale e con laterizi, provviste di cisteme e pozzi,

    vasche private, pavimenti in opus signinum e a mosaico. Una grande cistema di fonna rettangolare, nellaparte sonullitale del Monte Vecchio, connessa forse a strutture cultuali ricavate nella roccia, doveva

    essere pertinente ai monumenti di un'area pubblica (agor?), non ancora sottoposta a saggi di scavo. Laprincipale necropoli di Apollonia, con tombe che hanno restituito interessanti materiali di epocaellenistica, era posta a Sud dell'abitato, nell'area dell'attuale Cimitero comunale, lungo il percorso della

    strada di accesso alla citt, ripreso dall'attuale trazzera che porta al monte sacro.

    Nel territorio di Acquedolci si trova uno dei maggiori sito di tutto il Paleolitico siciliano: la "Grotta di SanTeodoro,,27. Si tratta di una cavit naturale, larga 20 m. e profonda oltre 6.0 m., che si apre nel calcare

    giurese a circa 135 m.s.l.m. (da cui tra l'altro oggi dista circa 2 km), ma che in epoca preistorica era moltopi vicino di quanto si possa pensare.

    AI suo intemo e nell'area antistante la sequenza strati grafica ha inizio con uno strato di argilla sabbiosa,

    privo di resti umani, che contiene numerose ossa di elefante nano (Elephas sp.), di iena (Hyaena eroeutaspelae), di orso (Ursus aretos), di lupo (Canis lupus), di volpe (Canis vulpes), di asino idruntino (Equusasinus hydruntinus), e di cervo rosso (Cervus elephus).Nel periodo di fonnazione di questo strato, una fase climatica calda datata tra 240.000 e 160.000 anni fa,alla base della scarpata su cui si apre la grotta si trovava un bacino lacustTe frequentato da ippopotami

    (Hippopotamus petlandi).La specie umana fece la sua prima comparsa nella grotta acquedolcese intomo a 14.000 anni fa (quandola maggior parte di questi animali era gi scomparsa) frequentandola fino al tennine del Paleolitico, ciointomo a 10.000 anni fa. Appartengono a questo periodo due diversi orizzonti cronologici. Il primo di

    essi conteneva resti di focolari e una notevole quantit di ossa di animali cacciati: cervo, bue muschiato(Bos primigenius), cinghiale (Sus scrofa ferus), volpe e asino idruntino; erano abbondanti anche glistrumenti in selce e quarzi te, che comprendevano specialmente punte a dorso e geometrici di piccolataglia, accanto a strumenti pi fomuni (bulini, grattatoi, stroncature, becchi, lame a dorso, lame ritoccate,raschiatoi e denticolari). L'orizzonte superiore aveva caratteristiche analoghe all'inferiore, con la solasostituzione del lupo alla volpe, ma restituiva strumenti litici assai pi grandi, realizzati in prevalenza con

    quarzite, piuttosto che con selce.; ha i tipi di strumenti erano scomparsi i geometrici ed erano pifrequenti le lame ritoccate.

    Non ben chiaro a quale dei due orizzonti appartenessero sei sepolture spettanti ad altrettanti individui:

    quattro maschi e due fenunine di cui una, soprannominata "Thea", rinvenuta in tutte le sue paltischeletriche, oggi esposta presso il Museo Paleoantropologico "G. G. Gemmellaro" di Palenno. Tuttigli inumati, di et compresa tra gli 11 e i 50 anni, giacevano in posizione supina, con braccia e gambedistese, ed erano ricoperti da un sottile strato di ocra rossa.

    Nel periodo di frequentazione umana, l'ambiente circostante alla grotta era fonnato da una foresta a

    latifoglie, con querce (Quereus), aceri (Aeerpseudoplatanus), peri selvatici (Pirus malus) e biancospini(Rhamnus saxatilis), tipica di un ambiente temperato umido, probabilmente con tendenza a divenirearido.

    Poco pi a Ovest, all'interno del vasto comune di Caronia, iniziava il territorio Ka/Akt- Ca/acte'~Lostorico Diodoro Siculo data al 447-446 a.C. la fondazione della citt ad opera di Ducezio. Tuttavia, i datirestituitici dai recenti scavi eseguiti nella frazione Marina (localit Pantano) e altri rinvenimentisporadici effettuati nelle aree limitrofe, testimoniano l'esistenza di un abitato greco gi alla fine del VIIsecolo a.C., forse una postazione di Zankle sulla rotta di piccolo cabotaggio verso la colonia di Himera.La citt antica era strutturata in due distinti agglomerati urbani: un abitato collinare e un quartieremarittimo ad esso collegato. Nel corso dell'et ellenistica, il primo assume una struttura urbana a maglia

    regolare simile a quella di Halaesa. L'abitato a monte viene in parte abbandonato tra iiI e illI secolo a.c.,

  • nqlladralllellto storico-arcl,eologico tlel territorio dei Nebrodi Occidelllada Capo d'OrlaI/do (Aga/lJy""ol/) a Tusa (Alesa Ardo .

    epoca in cui si assiste invece allo sviluppo dell'insediamento costiero, che cesser di esistere solo inavanzata et bizantina.

    Le ricerche nel sito collinare sono rese difficoltose dall'insistere della citt moderna al di sopra di quella

    antica, sebbene importanti vestigia di questa sopravvivono ampiamente nelle campagne sottostanti ilcentro storico di Caronia e la piana ad Ovest della frazione Marina di Caronia (muri affioranti,abbondanti materiali ceramici di superficie, ecc.). L'esistenza di un porto a forn1a di bacino interno rilevabile nell'area di localit Pantano, mentre alcune strutture sommerse e materiali sparsi sul fondale

    (soprattutto anfore) nel tratto di mare antistante la cittadina attuale confennano l'intensit e la cronologiadei traffici che vi si svolgevano, che si prolungano almeno fino ad et arabo-nonnanna, come testimonia

    Edrisi.Le recenti campagne archeologiche hanno interessato, con alcuni saggi, sia la citt collinare che il

    quartiere marittimo, portando in luce strutture murarie ben conservate e interessanti repelii che

    documentano una lunga fase di vita del centro calactino. A Caronia sono state messe in luce abitazionicostruite con pietra locale integrata con un massiccio impiego di laterizi di produzione locale, cisterne,

    tratti di strade con piano in ciottoli, conduttme; i materiali recuperati si datano prevalentemente tra il IVsecolo a.C. ed il II secolo d.C.Nella frazione Marina, sono stati pOliati in luce alcuni edifici in localit Pantano, presumibilmente

    utilizzati per fini commerciali (horrea, thermopolium, botteghe), con resti di condutture e pozzi; altrestrutture sono state scavate nell'area della villetta comunale e nel cortile della Scuola materna; altri saggi

    di scavo e prospezioni confennano qui l'esistenza di un vasto abitato per l'epoca romana, sviluppatosilungo il percorso dell'antica Via Valeria. In contrada Palme visibile, in buono stato di conservazione,una cisterna di et alto imperiale caratterizzata dalla presenza di due ambienti separati da un muro di

    spina ad arcate e resti di condutture fittili; un'altra cistema di et imperiale stata oggetto di scavi e distudi in contrada Pantano, al di sotto di un fabbricato moderno.L'esistenza di almeno tre necropoli nota quasi esclusivamente da testimonianze locali: a Sud del centrostorico di Caronia (area compresa tra il Municipio, la Via Idria e il rione Pozzarello, dei secco V-III a.c.),in contrada S. Todaro (dei secco III-l a.c.) e ad Est del qUaIiiere Nunziatella a Marina di Caronia (deisecco VI-III a.C.), mentre il cimitero di et romana imperiale doveva estendersi su parte della piana(propriet Di Noto), alle spalle dei capannoni dell'ex Cooperativa, nell'area della Stazione Ferroviariafino al bivio per Caronia.

    Fuori dai limiti della citt vera e propria, di cui peraltro non si sono mai identificate le fortificazioni, il

    territorio ha mostrato ampi segni di occupazione, oltre che per l'epoca preistorica, per tutta l'et greca epoi per quella romana, con un gran numero di fattorie e di iqsediamenti produttivi all'interno di lotti agraridi medie dimensioni, che sfruttavano le abbondanti risorse idriche e la fertilit dei tetTeni. Veri e propri

    borghi si impiantarono in epoca imperiale avanzata ad una certa distanza dalla citt, ormai in decadenza

    (contrada Samperi, contrada Chiappe, frazione Canneto di Caronia). nota l'esistenza di un acquedottoin laterizi realizzato nel corso del III secolo a.C. che attraversava l'entroterra caronese portando l'acqua

    fino in citt, caratterizzato da condutture contrassegnate da bolli con l'indicazione della proprietpubblica e sacra calactina (identici bolli sono stati rinvenuti anche nella frazione Marina).All'interno del territorio comunale caronese, infine, un'importante emergenza archeologica costituitadai resti di un insediamento indigeno ellenizzato sul Pizzo Cilona, alcuni chilometri a Sud di Caronia, confase di vita compresa tra VI e IV secolo a.C., caratterizzato dalla presenza di fOIiificazioni in opera

    pseudo-poligonale e di unit abitative addossate alla roccia, da G. Scibona interpretato come possibilephrourion (postazione fortificata) di KalAkt.A Mistretta sito della citt nota dalle fonti come A11lestratoS'~rinvenimenti sporadici dall'area oggioccupata dalla cittadina moderna indicano che la forte altura su cui sorge il centro storico fuprobabilmente sede di un abitato a partire dal VI secolo a.C. Tuttavia, la quasi totalit dei rinvenimenti si

    data principalmente ad et ellenistica avanzata e ad epoca romana. Mistretta paga una scarsa attenzionealle evidenze antiche e ancora oggi molto poco si conosce della sua maglia urbana arcaica e dei suoimonumenti pi antichi. Probabilmente uno di questi da localizzare in cima alla collina, dove sorge il

    castello: si tratterebbe di un tempio, di cui rimangono in situ rocchi di colonne e grandi blocchi squadrati.

    In quest'area presente una stratificazione di materiali frammentari che vanno dall'et ellenisticaall'epoca medievale. Purtroppo, il sovrapporsi continuo della citt sui propri resti antichi non ha

    consentito mai di identificare con certezza l'estensione e le caratteristiche urbane diAmestratos. Questa

  • Quaderni di Archeologia Nebroidea:Salito Stefano di Camastra

    compare in Cicerone in stretta cOlmessione con Calacte, a cui doveva essere collegata da una strada che siinoltrava per i boschi. La sua XWP()( doveva arrivare sulla costa in prossimit dell'odierno abitato diSanto Stefano.Incuneato tra le chorai di Kal Akt, Amestratos e Halaesa, il territorio di Santo Stefano di Camastra,probabilmente pel1inente a quest'ultima dal punto di vista politico e culturale, stato oggetto diimportanti ritrovamenti archeologici solo negli ultimi anni3~ I rinvenimenti pi antichi si sono avuti nel

    margine orientale dell'attuale comune, al confine con quello di Caronia, con materiali databili al VI-Vsecolo a.C. (hydriai, sf..yphoi, crateri, coppette, ecc.). I reperti sembrano collegarsi alla presenza di unanecropoli al servizio di un abitato, individuato sulla parte meridionale della medesima cresta collinare.Per la loro fattura, i materiali si riferiscono a popolazioni indigene fortemente ellenizzate. Sul versante

    opposto, al confine con il comune di Mish'etta, stata invece parzialmente individuata una villa romana,con interessanti mosaici bicromi databili al II-III secolo d.C., in un'area in cui in generale sono presenti

    materiali di epoca ellenistico-romana e dove insistono anche i ruderi di un'abbazia di epoca bizantina. La

    posizione, di transito h'a la costa e l'entroterra lungo la vallata fluviale stefanese, induce ad ipotizzare

    l'esistenza di una comlmit, la cui continuit di presenza, suggerita dalle emergenze citate, copre un lassodi tempo sostanzialmente compreso tra l'epoca romana imperiale e l'alto medioevo. Non da escludere,infine, l'esistenza di un approdo navale al servizio di Amesh'atos in localit Barche Grosse nell'area dellacittadina moderna e in quella che dovette essere con ogni probabilit anche la Qal' al al qawdrib di cuiparla Edrist1

    Proseguendo ancora verso nord-ovest, troviamo Halaesa3;ad oggi il sito archeologico meglio conosciuto

    di questo settore dell'Isola, grazie ad interventi di scavo e ad edizione dei dati che continuano inintelTottidalla met del secolo scorso. La citt venne fondata da Archonide, dinasta di Herbita, alla fine del V

    secolo a.C. probabile che il sito prescelto sia stato la cima dell'altura, con veduta diretta sulla costa pocodistante. Nei secoli successivi Halaisa si svilupp coprendo l'intero versante orientale della collina diSanta Maria delle PaIate e si dot di una cinta muraria di cui sopravvive quasi l'intero circuito. L'impiantourbano era incentrato su una lunga aIieria con andamento Nord-Sud (platia) incrociata da stenopi inpendenza con andamento Ovest-Est. Quasi al centro della citt era l'agor-forum, realizzata intorno al IIsecolo a.C. a ridosso del pendio dell'acrocoro e caratterizzata da un portico a forma di pi greco (n) cheprospettava sulla plateia (che in questo tratto diventa via tecta), attraverso una scalinata monumentale:sul muro di fondo dell'agor si aprivano una serie di sacelli. La piazza, contraddistinta da una

    pavimentazione in mattoni, venne monumentalizzata nella prima et imperiale e rimase in funzione finoad epoca tardoantica, quando venne invasa da un esteso sepolcreto, segno di una decadenza generalizzata

    che colp la citt in quella fase storica. Scavi in estensione hanno portato in luce buona parte dell'agor edella sh'ada principale, porzioni di insulae abitative, nonch una serie di testimonianze epigrafiche e di

    materiali scultorei di notevole interesse. Le necropoli sono state identificate a Sud e a Nord della citt.Recenti studi hanno delineato il quadro dell'occupazione del telTitorio per l'epoca ellenistico-romana, nel

    corso della quale si impiantano numerose fattorie all'interno di fondi coltivati e borghi abitati sulla collina

    oltre il fiume Halaisos, dando riscontro a quanto ricavabile dal lungo testo della celebre TabulaHalaesina. Un quartiere marittimo nell'area dell'attuale frazione di Castel di Tusa era al servizio del porto"caricatore" citato da Cicerone, dove confluiva il grano proveniente dall'enh'oten'a e diretto a Roma.

    Recenti scavi a sud della Stazione Ferroviaria hanno portato in luce strutture abitative di epoca romana, aimargini delle quali si impiant successivamente una necropoli bizantina.Halaesa costitu il principale centro dell'area nebroidea dopo il tramonto della citt sicula di Herbita, che

    era stata la sua madrepahia. Nella seconda met del l" ecolo a.C. fu a capo di una symrnachia in favoredi Timoleonte, che probabilmente comprende\'a an be le stesse citt menzionate in una impOliante

    iscrizione greca del tardo ellenismo recu rara negli a\-i dell'agor (Kal Akt, Herbita e Amestratos).In et romana fu una delle cinque .. une- ac liberae" della Sicilia, essendosi consegnataspontaneamente ai Romani nel ors

    continu a godere di buona -or. .decadenza che persi terre an o _ 2-

    Alesa fu sede vesco\-ile ne

    Prima Guerra Punica. Nella prima et imperiale Halaesa, iinire del medesimo periodo fu investita da un fase di

    omparye con l'arrivo degli Arabi, quando la popolazione sitrasfer nel luogo dell'a ., ~ _'-!... ~'2 _. frequentato in precedenza come attesta l'esistenza di una

    villa romana di II-m: o '" Lan in) con ricchi mosaici studiata da Antonino Salinas h"a

  • NOTE:1Nell' Antichit cerbiatto (vE~p6) non era esclusivamente definito il giovane cervo, ma anche il capriolo, ovvero il pi piccolo deicervidi: un erbivoro mite e tranquillo, che vive(va) nei boschi e che nel periodo classico era diffusissimo tanto nella Grecia vera epropria quanto nella Magna Graecia, finendo per essere spesso la preda preferita dei grandi mammiferi carnivori - compreso l'uomo- sia nella realt che nella mitologia (el . il mito di Artemide cacciatrice, oltre a quello di Dioniso).2 Utilizzata da EURIPIDEnelle Baccanti.3 Cfr. Fozio, Lexicon, s.v. "vE~pi;EIV" e Arpocrazione, Lexicon in decem oratores Atticos, S.v. "vE~pi;wv".4 Il tenlline NE~pwll si ritrova una volta in un /nno a Dioniso conservatoci nella Antologia Palatina e un 'altra volta nellaGeograja di Strabone.5 Il telmine Menade deriva dal verbo 1..Jaivo~OI, che vuoI dire "essere folle", perch nei riti dionisiaci dalla follia che si genera lasapienza, una sapienza orgiastica, diretta, pragmatica.6 I Satiri erano uomini-caproni "pieni" di eros che vivevano precipuamente a contatto con i pastori, ai margini dei boschi
  • convento

    Ruderi diedifici sacri

    Ruderi diedifici civili

    Pavimento musivodi et romana

    Ruderi dellatorre

    Resti delfondaco

    Museo dellaceramica

    Contrada Vocante (o "Bucanto")Localit Barche Grosse (o 'Varchi Ruossi")

    Piano del Castellaccio di Serrava

    Area dell'Annunziata

  • L'area archeologica di Contrada VocanteViflfnrlrnAljieri e Francesco Col/ura

    Il sitoIl fianco occidentale del tenitorio stefanese che guarda ai versanti reitanesi e mistrettesi dei MontiNebrodi - ovvero l'area nella quale si ritiene che un tempo potesse sorgere l'antica Noma - recentemente

    ,,

    si ulterionnente rivelato di grande interesse storico-archeologico per la comunit di Santo Stefano diCamastra.L'area in questione presenta caratteristiche uniche, sia dal punto di vista geomorfologico sia sottol'aspetto del paesaggio e delle risorse naturali (boschi, sorgenti d'acqua, terreni fertili, cave di pietra) chedovettero facilitare qui la presenza umana fin dall'Antichit.Vista da Nord, seguendo la prospettiva suggeritaci cinque secoli addietro da Camillo Camilliani, l'areaappare come un dolce pendio collinare proteso sulla fiumara di Serravalle ed in connessione visiva - e,dunque, anche socio-culturale - da un lato, con il monastero di S. Stefano (oggi il santuario delLettosanto), dall'altro lato, con Reitano e, al centro, in fondo, con Mistretta, soprattutto in direzione delsuo castello, che svetta sulla fiumara che si origina dalle montagne retrostanti e che in passato dovettecostituire una via di transito tra la costa e l'entroterra.La contrada Vocante ancora oggi presenta abbondanza di acqua che rende i floridi e fertili terrenicircostanti ottimi sia per la coltura di varie specie arboree tipiche della macchia mediterranea (quali lavite e l'ulivo) che per l'allevamento a pascolo libero del bestiame, tutti fattori che consentono di ipotizzarelo stanziamento di comunit umane in quest'area gi dai tempi antichi.Quanto antichi ce lo sta rivelando giorno dopo giorno la r~cerca archeologica, magari non quella ufficialema quella ufficiosa, che da queste parti spesso si mescolano fino quasi a confondersi, consentendocomunque di raccogliere dati preziosi e infOlmazioni inedite sulle modalit di occupazione umana diguest'area "di confine" ha le chorai di KalAkt, An1estratos e Halaesa Arconidea.E probabile che - come attestato nei territori degli attuali comuni di Caronia e di Tusa - una serie difattorie sorgessero a mezz'altezza all'interno di fondi agricoli di medie dimensioni. In ogni caso, ilrinvenimento sporadico ma diffuso di materiali che coprono un lungo arco di tempo, quantomeno dallafine del V secolo a.C. fino ad epoca tardo antica, una prova della costante presenza umana in quest'area,in maniera pi o meno stabile ed organizzata.Sono senz'altro da menzionare per dovere di cronaca alcuni reperti metallici erratici rinvenuti nei tenenicircostanti l'abbazia dal Sig. Sebastiano Boscia e consegnati alla Soprintendenza per i BB.CC.AA dellaProvincia di Messina agli inizi del mese di Aprile del20 12.Si tratta di manufatti - dai pesi alle statuette, passando per le monete - che, sia nella loro foggia sia nelloro stile, rivelano senza ombra di dubbio la grecit di questo luogo presso il quale, oltre

  • Quaderni di Archeologia Nebroidea:Salito Stefano di CUlllustm

    duemilaquattrocento anni fa, sembra dovette sorgere un luogo di culto pagano (tempio?) ed unabottega/officina per la realizzazione di oggetti in metallo, tra cui forse anche delle monete (zecca?).Questi ultimi ritrovamenti archeologici acquistano ancora maggiore importanza se confrontati con quelligi noti nel secolo scorso al Ruggeri, il quale dichiara di aver rinvenuto nella stessa area diversi pezzi diossidiana e notevoli cocci fittili con tracce di decorazione a vernice nera, che egli datava al VI-V sec. a.C'

    La villa romana

    Nella contrada Vocante erano gi noti da tempo i resti di un'antica chiesa da identificare certamente conl'abbazia basiliana di Santa Maria del Vocante (o de Eucanto), di cui si fa menzione nei documenti pi

    antichi solo a partire dal XII secolo.Recentemente per, proprio nei pressi dell'edificio sacro, ad una profondit di circa 3 m dal suo attualepiano di calpestio, stato casualmente pOliato alla luce un lacerto musivo pavimentale tessellatobicromo, che mostra figure geometriche incorniciate all'interno di una fascia fitomorfa, che sicuramentedecorava il pavimento di una delle stanze di una abitazione di epoca romana imperiale.Tutti questi ruderi ricadono oggi in un fondo privato i cui attuali proprietari si sono dimostrati moltodisponibili a collaborare con chi scrive' fornendogli informazioni e aneddoti in loro possess03 eaccompagnandolo personalmente presso il luogo di rinvenimento del mosaico, dandogli cos lapossibilit di effettuare una rapida visita autoptica dei luoghi corredata da una sonunaria ricognizione disuperficie e da una rapida documentazione fotografica degli stessi.Nel dettaglio il tappeto decorativo stefanese, che risulta essere orientato in senso Est-Ovest, nellamassima porzione da noi vista4 per una superficie di poco meno di 5 mq, presenta all'estremit unazoccolatura in pietra grigia che incornicia il mosaico tessellato vero e proprio costituito da una fasciafloreale formata da girali entro i quali si inscrivono alternatamente fiori di due diverse tipologie, cuiseguono poi Wla fascia composta da una banda interamente bianca, da una interamente nera e infine daun'altra a scacchiera; mentre nella parte cenh'ale domina una ripetiti va sequenza di squame bicrome,bianche e nere, di tradizione ellenistica, ma che hanno incontrato un'ampia e fOliUnata diffusione in tuttol'DI'be romano~ soprattutto a partire dall'et adrianea, tanto a Roma Capitale - si vedano le Terme diCaracalla - quanto nell'agro romano - si vedano la Villa di Livia a Prima POlia "ad gallinas albas" (atrio22 e ambiente 27), la Villa Idi Grottarossa e la Villa di Via Lucrezia Romana6- quanto nelle sue varieprovinciae, come ad esempio la Sicilia - si veda la Villa del Casale di Piazza Armerina - regione in cui ilfenomeno insediativo della villa risulta essere molto diffuso soprattutto nella fascia tin'enica dell'Isola.A tale proposito, rimanendo sulla fascia settentrionale sicula, basti ricordare che resti di ville romanesono state individuate (ma non sempre preservate!) nei telTitori di Milazzo, San Filippo del Mela, TermeVigliatore, Tindari, Patti Marina, Capo d'Orlando, Sant'Agata di Militello, Caronia, Tusa e Cefal.Ad una prima analisi il pavimento stefanese risulta composto ancora dal nucleus su cui si imposta lamalta di allettamento che trattiene delle tessere lapidee di media grandezza (ca. 1,3 x 1,3 x l cm), dicolore nero/antracite e di colore bianco/avorio che sembrano essere state ottenute da materiali naturalilocali: si tratta probabilmente di calcari (biocrosparite e biomicrite) per le tessere bianche e di vulcanite(forse derivata dalle fonnazioni sedimentarie dell'areale tusano) per le tessere nere'.A h'atti si intuisce ancora l'articolazione urbanistica dell'intero complesso - impostato su quote differenti- e si legge bene anche l'andamento architettonico di questa stanza per la quale ipotizziamo la presenza di

  • L'area archeologica di Contrada Vocante

    una zoccolatura in pietra grigia - simile a quella pocanzi descritta a mo' di soglia - da ritrovareprobabilmente anche lungo le pareti di questo ambiente, almeno per un'altezza di circa un metro, cuiseguivano poi delle decorazioni parietali "ad affresco" i cui resti si ritrovano ancora disseminati neltelTeno circostante e di cui alcuni brani sono oggi esposti presso l'Antiquarium di Santo Stefano diCamastra.Allo stato attuale, dai dati in nostro possesso, possiamo dunque ipotizzare che questo lembo di pavimentomusivo non sia isolato, bens accompagnato da lacerti simili, che costituiscono la pavimentazione dialmeno altri tre ambienti contigui a quello gi messo in luce - da interpretare forse come uno spazio dipassaggio e di comunicazione, come un atrio o un corridoio - qualcuno dei quali magari non tessellato main cocciopesto (opus signinum), perch magari destinato alla raccolta e all'approvvigionamento idrico.L'ipotesi pi convincente pertanto quella che si tratti di una vera e propria villa della media et imperiale(fine II- inizi IIIsec. d.C.)~ come sembrano attestare anche le testimonianze del Rugger~ secondo cuil'arco di volta dell'abside dell'abbazia stato tirato con mattonacci romani di risulta rinvenuti nellevicinanze, dello stesso tipo di quelli che si ritrovano ad Alesa e a Ca/acte; e del Filanged,O che haevidenziato come in questa struttura siano stati impiegati mattoni di argilla cotti di una dimensione assaisimile a quella dei sesquipedales romani, utilizzati a partire dal III sec. d.!.Il confronto pi diretto per il mosaico scoperto a Santo Stefano di Camastra sicuramente da ricercare,per certi aspetti, nella Villa di Piano Fontane in conh'ada Lancin nel comune di Tusa12 e, per celii alh'iaspetti, nella Villa di contrada Gravina a Castel di Tusa13 e nella Villa Bagnoli (e in paliicolare nel suoVano 6, il cosiddetto ca/dariul11)della frazione San Gregorio nel comune di Capo d'Orlandd~ dove ricorrequesta stessa composizione geometrica bicroma1s.La ricognizione sul posto e l'esame della fotografia aerea danno un'idea dell'articolazione a vari livelli edell'estensione del complesso edilizio, posto ad una quota di 475 m.s.l.m. e che sembrerebbe coprire unasuperficie di circa 2.500 mq che la qualifica come una villa, sebbene di dimensioni ridotte rispetto ad altriesempi pi noti in Sicilia.Sulla base dei materiali di superficie presenti in si/u - tra cui si menziona abbondante sigillata italica-una prima frequentazione dell'area si daterebbe tra la tarda et repubblicana e l'inizio dell'et imperiale,forse con l'esistenza di un edificio rurale sorto all'interno di un vasto fondo agricolo, successivamenteampliato ed abbellito secondo la moda dell'epoca, che prevedeva la realizzazione di pavimenti musivi, dicrustae mannoree e di affreschi parietali.L'evoluzione da fattoria a villa potrebbe essere stato deternlinato dall'arricchimento del proprietario o,piuttosto, dall'acquisizione del fondo da parte di un esponente della nobilt locale. L'abbandono dellavilla, o meglio, la sua ulteriore trasfOlTl1azione in un vero e proprio borgo, allo stesso modo delle vicendeche sembrano avere interessato altre ville siciliane pi note, come quelle di Patti e di Piazza Arnlerina, sidaterebbe ad epoca tardoantica, con persistenza per l'et bizantina, al tennine della quale sopravvive solol'abbazia, probabilmente frequentata per tutta l'et medievale.Non possiamo per ancora detenninare con certezza se la villa di Santo Stefano avesse, come la villa diTusa, una valenza privata e potesse servire da "mansio", cio da struttura con la doppia funzione diospitare l'abitazione di un personaggio della societ filo-romana di alto rango e contemporaneamente diconh'ollare e sfruttare il ten'itorio circostante; oppure, come la villa di Capo d'Orlando, una valenza(semi)pubblica e, oltre che come dimora del dominus, potesse essere utilizzata anche comerifugiolristoro per i viandanti che percorrevano arterie stradali principali, nel qual caso la villa acquisivala denominazione di "stalio", cio di luogo di sosta, in \cui spesso erano ospitate anche delle termepresentanti degli ambienti particolari, quali la natatio, ilFigidarium, il tepidarium e il ca/darium, alcunidei quali spesso risultano essere decorati proprio con il tipico motivo cosiddetto "a squame" o "a foglieembricate".A sostegno della prima ipotesi sta il fatto che proprio in prossimit di questa zona, nell'attuale contradaRomei, verso il confine con il feudo Zupardu, esiste una localit detta "via quaraisima de/li palazzi",dove, secondo una testimonianza fatta nel secolo scorso a S. Ruggerr, ancora agli inizi del 1900 erapossibile scorgere alcuni resti imponenti di antiche mura poligonali, oggi quasi interamente fagocitatidalla boscaglia.A favore della seconda ipotesi depone, invece, il fatto che la contrada Vocante, ancora oggi, presenta lecaratteristiche di un fondamentale nodo viario dal momento che da questa regione si dipartono unatrazzera e diverse vie interne che solcano le vicine contrade nebroidee (Rasc, Aral, Romei, Romito,Radicata, Zupardu, Portella Carcari).Per quanto concerne, poi, l'identificazione del centro urbano principale a cui mettere in relazione questocomplesso abitativo rurale, non sembrano esserci dubbi sulla sua attribuzione alla civitas diAmestratusJ7

  • Qutufuni di Archeologia ebroidea:SlutlO Stefano di CQmastra

    L'abbazia basiliana

    I ruderi dell'abbazia di Santa Maria del Vocante (o de Bucanto), oggi isolad~ si trovano quasi al centrodell'omonima contrada, in un'area pressoch pianeggiante detta "u chiami 'a chiesa" che rappresenta unimportante crocevia, visto che verso Sud (ovvero verso l'entroten'a) c' la trazzera che, a destra,attraverso il ponte di Romei, porta a Mistretta, mentre a sinistra, attraverso la contrada Romito - efacendo da confine ai feudi di Radicata a sinistra, e Zupardu a destra - va a raggiungere a Portella Carcrila trazzera regia che conduce fino a Capizzi; mentre verso Nord (cio verso il mare) si dipartono dallacontrada Vocante altre due arterie principali, alle quali si affiancano le altre pi piccole: la "strata ri'Vacanti" e la trazzera Rasc-Aral, entrambe colleganti la contrada Vocante con la tI'azzera regia della"strata 'a Serra",

    f).

    tliI~3

    15,17m

    L'abbazia, probabilmente costruita gi in et bizantina, si sovrappone esattamente al di sopra di quelloche appare essere come il livello superiore del precedente complesso abitativo di et romana,orientandosi, pressappoco come quest'ultimo, in senso SO-NE, come era consuetudine delle struttureabbaziali basiliane,La sua pianta ad aula rettangolare, misura 6,65 x 15,17 metl'i ed ad una sola navata tenninante conun'abside in cui - come abbiamo gi detto - sono stati riutilizzati materiali di epoca classica,Il muro di facciata (spesso l m), oggi quasi del tutto caduto, mentl'e i muri laterali (13,80 m di lunghezzax 0,70 m di spessore) sono ancora superstiti e sembrano essere stati realizzati in tempi diversi con pietraarenaria dolce presa in Iaea e sistemata in file regolari, i cui interstizi sono stati occlusi con cocci di chiarafattura medievale murati con abbondante malta, ma che non presentano alcuna traccia di intonaco,mentre sono ancora visibili segni della decorazione parietale all'intemo della calotta dell'abside(profonda 2m).Da quanto detto finora, evidente che il complesso - ma, pi in generale, l'intero comprensorio - dicontl'ada Vocante rivest un ruolo fondamentale per la storia della comunit stefanese e che il mosaicopOliato alla luce casualmente, quindi, non sarebbe che un'ulteriore testimonianza dell'esistenza di unimportante insediamento ellenistico-romano sorto tra i comuni di Mistretta e Santo Stefano di Camastl'a,di cui, purtroppo, si sa ancora troppo poco e che invece - da quanto ci testimoniano le evidenzearcheologiche - fu chiamato a ricoprire un ruolo cruciale per questa regione nebroidea a partire dall'etarcaico-classica e fino a quella alto-medievale,

  • L'area archeologica di Contrada Vocante

    NOTE:1 Vedi illfi'a p.23.2 Il Dott. Vittorio Alfieri rivolge personalmente un sincero ringraziamento all'On. Sebastiano Sanzarello e alla Dott.ssa AntonellaManiaci per la sensibilit e la disponibilit dimostrate nel collaborare con l'Associazione Culturale Rest@rt a.p.s. ai fini dellapromozione e della valorizzazione dei Beni Archeologici in oggetto - ma anche della Comunit Nebroidea tutta - avendo dimostratodi condividere gli stessi intenti di chi scrive volti alla conoscenza e alla divulgazione ad un pubblico esteso dell'importanza di questaarea che, se non adeguatamente attenzionata dagli Enti Regionali preposti alla tutela dei Beni Culturali Archeologici rischia di esseredimenticata e - fatto ancora pi grave - deteriorata dall'azione distruttiva della Natura e, ahim, anche da quella dell 'uomo.Per evitare che ci accada, gli stessi proprietari - che hanno gi ottenuto dagli organi competenti l'autorizzazione a condurre degliscavi archeologici - sono alla ricerca di Enti qualificati e determinati ad aiutare loro e tutti quanti amano la Cultura a dissotterrarequeste importanti testimonianze del Passato che meriterebbero soltanto rispetto, ammirazione e devozione da parte di tutti e cheinvece faticano a porsi ali 'attenzione di molti "addetti ai lavori" dal 2008 ad oggi in altre faccende affaccendati.3 A ulteriore dimostrazione del fatto che l'Archeologia viene fatta in primis da chi frequenta e vive i luoghi aperti e solo in secundisdagli addetti ai lavori che dirigono, controllano e criticano tutto dal chiuso della stanza dei bottoni, riportiamo due episodi nan-aticirispettivamente dalla Sig.ra Antonella, la quale al momento di acquistare questi teiTeni sent parlare di una misteriosa e leggendaria"truvatlra" (un ricco tesoro nascosto da trovare), e dal Sig. Sebastiano, che seguendo le tracce di una volpe not una strana buca nelterreno che, tra cumuli di pietre ammassate in superficie, aveva apelto un varco in quella che da l'idea di essere una camerasottenanea.

    4 Anche dalle fotografie qui di seguito pubblicate si possono intuire le reali dimensioni parziali del mosaico messo in luce, chemisura sul lato minore (quello dei girali) circa 1,40 m per una profondit in lunghezza (quella delle squame) stimata in pi del doppiodella misura precedente, ovvero in circa 3,40 m.5 I confronti stilistici e cronologici con i mosaici del Lazio sono stati effettuati da chi scrive in collaborazione con la Dott.ssaMaddalena De Rosa, validissima ricercatrice e ottima amica, che in queste righe si coglie l'occasione di ringraziare in modo sincero.6 Cfr. M. DE FRANCESCHINI,Ville dell'Agro Romano, Roma 2005.7 Cfr. G. SABATlNO- S. LANZA- M. TRISCARI,Appendice tecnica Il, in "Atti dell'Vlll Colloquio de II'Associazione Italiana per loStudio e la Conservazione del Mosaico", Firenze 21-23 Febbraio 2001, Ravenna 2001, pp. 707-7118 Si veda V. ALFIERI,Scoperto un mosaico a S. Stefano di Camastra, in II Centro Storico di Maggio 2008, pp. 12-13.9 S. RUGGERI1981, p. 22.lO C. FILANGERI1978, p. IO.

    11 La presenza di questo insediamento rurale romano un'ulteriore confelma a quanto gi ipotizzato da S. Ruggeri nel suo libro del1982 a pago 13, dove egli asseriva che: certamente Mistrel/a e i suoi casali formavano un unico territorio fin dai tempi p remoti ela loro configurazione territoriale rispecchia quella tipica dell'epoca romalla.12 Per maggiori approfondimenti sulla Villa Lancin di Tusa cfr. M. A. MASTELLONI,Tusa (ME): pavimenti da uno scavo di A. Salinas(J 9/2). Nota preliminare, in "Atti dell 'VIlI Colloquio dell'Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico",Firenze 21-23 Febbraio 2001, Ravenna 2001, pp. 707-711; e S. LEVANTO,/mosaici clelia villa romana cii Tusa, in PaleokastroAnno III - N.9 (dic 2002), pp. 33-38.13 Si veda A. PETTIEO 2008, p. 84.

    14 Cfr. U. SPIGO,Archeologia a Capo cI'Orlanclo,Milazzo 2004.15 Tra l'altro, da analisi minero-petrografiche condotte sui mosaici di questa villa orlandina emerso che le tessere qui impiegatesono state ottenute da rocce affioranti sia sul versante jonico sia sul versante tin-enico della provincia messinese, cos come anche letessere della "Villa di Piano Fontane" di contrada Lancin a Tusa (cfr. U. SPIGO,op. cit., p. 101); pertanto, non fuori luogoipotizzare che il pavimento musivo della struttura di contrada Vocante di Santo Stefano di Camastra sia da mettere in strettarelazione, da un punto di vista sia artigianale che artistio, proprio con quelli degli insediamenti di Capo d'Orlando e di Tusa,considerandolo frutto di un diffuso gusto dell'epoca e opera di maestranze comuni note e ricercate nell'hinterland tirrenico-nebroideo.16 Cfr. S. RUGGERI1981, p. 27.17 Civitas decumana di cui parla Cicerone nelle Verrinae e che stata onnai riconosciuta con certezza nella cittadina messinese diMistretta. Per la diatriba sull'identificazione di Mytistraton e di Amestratus cfr. P. FIORE,Amestratus Mytistrat/lln Mis/reI/a?, inSicilia Archeologica N. 36 (Anno XI), Roma 1978, pp. 53-59 e L. FIOCCHI- N. MARINONE(traduzione e note di), Marco TullioCicerone: il processo di Ven'e, Milano 1992, p. 651, nota n. 85.18 Oltre all'edificio di culto andrebbero ricercate nei dintorni tutta una serie di strutture che sicuramente consentivano alla comunitche l viveva di esercitare lo sfruttamento del ten-itorio circostante e afferente al cenobio basiliano. Questa considerazione suggeritadalla logica ma anche dalla descrizione grafica dei luoghi fatta da Camillo Camilliani nell'ultimo ventennio del XVI secolo.

  • Le anfore da trasporto nel mondo anticodi Francesco Collura

    Le anfore - dal greco cl: Il cP L (amfl, cio "da entrambe le parti") e cP 8 p w ifero, che vuoi dire "p0l1are")-erano contenitori molto diffusi nell'Antichit, caratterizzate generalmente da collo alto, terminazione 'a punta' epresenza di doppia ansa, realizzate in argilla molto resistente in vista del loro utilizzo come recipienti dahasp0l10. In esse venivano conservate il vino, l'olio, ma anche olive, miele, salsa di pesce (grum), soprattutto sequesti prodotti erano destinati ad essere trasp0l1ati. Esistevano contenitori anche per la conservazione

    domestica: si trattava di anfore di dimensioni pi ridotte, facili da maneggiare, e soprattutto di pithai o dalia,

    cOlTispondenti alle nostre giare, dove erano contenuti in grandi quantit sia prodotti liquidi (vino e olio) maanche granaglie, frutta, ecc. Le anfore da hasporto erano solitamente stipate nelle navi per essere destinate anche

    in luoghi molto distanti. lImumerevoli studi nell'ultimo secolo hanno interessato le rotte conunerciali che

    coinvolgevano questi contenitori, localizzando centri di produzione sparsi in area meditenanea, con scambi etraffici commerciali a largo raggio: cos, sono assai note le anfore Corinzie di tipo A e B, quelle dell'isola diChios, le cosiddette "pseudo-chiote" o MGS II di produzione calabrese, quelle greco-italiche di produzione

    magno-greca, e ancora, nell'Egeo, le anfore di Rodi, di Kos, di Thasos, ecc. Questi manufatti costituiscono unimp0l1ante indicatore in ogni ricerca archeologica, sia per definire la cronologia di un abitato che per intuirne lostatus socio-politico e le dinamiche economico-cOlmnerciali. Esse infatti COlTispondono a precise tipologie gi

    da tempo inquadrate sotto l'aspetto delle datazioni e, in molti casi, dei centri di produzione. La presenza in un sito

    di anfore provenienti da luoghi di produzione ben detenninabili, l'entit dei rinvenimenti di precise tipologie, illoro ipotizzato contenuto, possono servire a valutare concretamente il volume degli scambi e la vitalit

    cOlmnerciale di un centro antico. Rimanendo nell'ambito del nosho telTitorio nebroideo, disponiamo di datisignificativi solo per i siti di KalAkt ed Apollonia, grazie ad alcune esaudienti pubblicazioni', menhe si rimanein attesa di puntuali relazioni di scavo, con particolare riferimento ai materiali rinvenuti, per Halaesa. Per

    Caronia-Kal Akt, ad esempio, disponiamo di interessanti dati editi e degli esiti delle ricognizioni effettuate da

    chi scrive nell'area dell'abitato antico, oggi in buona pm1e occupata da campagne. In pm1icolare, nella collina,sede dell'abitato principale di et ellenistica e di inizio impero, sono davvero innumerevoli e di diverse tipologie

    le porzioni di anfore esaminate e catalogate. La loro cronologia molto ampia, a partire dalla seconda met del V

    secolo a.C fino ad epoca tardoantica. Si tratta di manufatti importati nella gran pm1e dei casi, tranne che per duetipologie di probabile produzione locale, enhambe inquadrabili in et imperiale'. La fase di maggioreconcentrazione conisponde all'epoca medio e tardo-ellenistic,a ed al primo impero, con una rilevante presenza di

    anfore greco-italiche, delle quali si riesce a seguire, athaverso gli esemplari, l'intera evoluzione; ben attestate

    sono anche le Lamboglia 2, le Dressell e 2-4, le Tripolitane e le Africane piccole. In linea generale, nell'area deiNebrodi occidentali, si assiste alla presenza di precise tipologie anforarie, strettamente legate, sotto l'aspetto

    cronologico, alle fasi di maggiore sviluppo delle pleis che vi gravitavano (Halaesa, Kal Akt, Apollonia,Halontion, Agathyrnon). Le principali tipologie riscontrate sono di seguito descritte e coprono un arco di tempocompreso ha la fine del IV secolo a.C ed il I-II secolo d.C Si ribadisce la netta prevalenza di manufattiimportati, soprattutto dalla penisola italiota, ma anche dall'area egea e dalla penisola greca. Le tipologie pi

    antiche ampiamente attestate nel nostro telTitorio sono costituite dalle cosiddette "pseudo-chiote", presenti insiti frequentati ha la fine del VI e la [me del V secolo a.C Nella gran parte dei casi si tratta di produzioni locresi e,pi in generale, di area calabrese. Esse ebbero una larghissima diffusione nella parte settentrionale e nord-orientale della Sicilia. Alla seconda met del V e buona parte del IV secolo a.C si riferiscono le anfore di tipo

    Corinzie B o Corciresi, prodotte in diversi centri del MeditelTaneo e non esattamente inquadrabili in unatipologia formale fissa. Rimanendo nella nostra area, ne sono stati individuati esemplari a Caronia, a Pizzo

    Cilona, a Monte Scurzi e anche a Monte Trefinaidi. Le anfore greco-italiche si diffusero a partire dall'ultimo

    qum10 del IV secolo a.C nell'area del Meditenaneo occidentale, rimanendo in circolazione, nelle fOlTl1epitarde, fino al II secolo a.C Tra i centri di produzione, un ruolo impol1ante rivestito dalla Campania, inparticolare delll'area del golfo di Napoli. Le dimensioni medie di questi contenitori alTivano a 90 cm circa dialtezza, sebbene esistano anche esemplari pi piccoli (55 cm). La loro fOlTl1asi evolve nel corso di due secoli: inparticolare, si osserva il ribassamento progressivo dell'orlo, che nelle fOlTl1epi tarde quasi coincide con quellodelle Dressell, che ne costituiscono la naturale evoluzione a partire dallo stesso II secolo, nel corso del qualeuna "variante" costituita dalle anfore Lamboglia 2. Questa tipologia di contenitori vinari da trasporto assai

  • Quaderni di Archeologia Nebroidea:Salito Ste/allo di Camastra

    diffusa nei centri dei Nebrodi occidentali ed stata rinvenuta in ogni contesto di et ellenistica, sia urbano, sia

    peri urbano che nlrale. Le caratteristiche sono quasi sempre le stesse: argilla di colore beige-rosato con inclusi,

    relativamente compatta, riferibile a produzioni campane, anche se non mancano esemplari morfologicamente

    diversi, prodotti forse in altre aree meridionali dell'Italia e in Sicilia. Relativamente ben attestate sono le anfore

    rodie (IIl-1 secolo a.C.), provenienti appunto dall'isola di Rodi, diffuse in tutto il Mediterraneo e nel Mar Nero, atestimonianza del grande successo del vino prodotto nell'isola egea, attestato dalle fonti. Caratteristica di questi

    contenitori la presenza di bolli sulle anse con indicazione dell'anno e del mese di produzione e di sigilli

    supplementari configurati in genere a fOlTl1adi rosa, simbolo dell'isola. Naturale evoluzione delle greco-italichesono le Dressel I, che nel I secolo a.C. le sostituiscono definitivamente, riprendendone nella sostanza lecaratteristiche (corpo slanciato, lunghe anse a sezione ellittica, bordo simile alle greco-italiche ma notevolmenteribassato e quasi aderente al collo, puntale pieno tronco-cilindrico). I centri di produzione sono stati localizzatinell'Italia centro-meridionale. Intorno alla met del I secolo a.c. compaiono i contenitori Dressel 2-4, che

    gradualmente vanno a sostituire del Dressell. Caratteristica di queste anfore l'ansa bifida con profilo a gomitoapplicata appena sotto l'orlo ed il fondo a puntale o anche, pi raramente, con piede ad anello. Questi manufatti siispirano alle anfore di Kos, anch'esse con ansa bifida, e sono largamente diffusi tra il I e Il secolo d.C., sebbene nesiano stati rinvenuti esemplari anche in strati di III secolo. Queste anfore erano prodotte, tra l'altro, a Pompei e ingenere nel Lazio e nella Campania (le loro caratteristiche peculiari sono: argilla beige, gomito delle ansearrotondato, stacco netto tra corpo e spalla), ma una grande quantit proviene dalla Tarraconense, dove sonocaratterizzate da argilla di colore rosso con inclusi biancastri (calcare), con orlo svasato, anse ad angolo e staccotra spalla e corpo poco accentuato. In et imperiale si assiste alla diffusione di un grandissimo numero di tipianforari, in pal1e catalogati nella tavola Dressel, ma con molte varianti locali e tipologie che si vanno scoprendo

    in seguito agli scavi condotti nei diversi centri dell'Impero. Le f0ll11eoriginarie si evolvono, talvolta in maniera

    peculiare, attestandosi fino ad et proto-bizantina. La fascia tirrenica si distingue per la presenza di diversi centridi produzione, operanti tra IV e VI secolo d.C., di un particolare tipo di contenitore, in cui veniva conservato ilvino prodotto localmente per essere esportato soprattutto verso la penisola: si tratta di una tipologia non ancora

    ben inquadrata, inizialmente classificata in Crypta Balbi 2 - come accennato - i cui centri di produzione sono statifinora individuati in diverse localit (Tenllini Imerese, Caronia, Capo d'Orlando, Falcone, ecc.). Il tipo sembraun'evoluzione del tipo Mid Roman per la presenza di un breve collo con orlo poco largo, doppia ansa a

    semicerchio, corpo panciuto, con una caratteristica base ad anello e fondo rientrante ombelicato. Il rinvenimentodi reperti anforari riveste sicuramente grande importanza non solo nel corso di scavi sistematici, ma anche nelle

    ricerche di superficie, tenuto conto della loro possibilit di persistenza in terreni a forte declivio, come sono

    generalmente quello del versante nebroideo, dove le ceramiche fini, invece, risultano spesso ridotte in frammentiminuscoli e quasi irriconoscibi~i o rimangono insistentemente celate sotto il terreno. Le loro dimensioni ecaratteristiche intrinseche, pur nella inevitabile frammentazione, ne consentono una possibile messa in luce ed

    una persistenza sul teneno, rendendoli utili strumenti guida per stabilire cronologie e frequentazioni non

    altrimenti desumibili. L'esame macroscopico delle argille pu consentire, spesso, di definirne la provenienza. E'il caso di paste contenenti inclusi nerastri di origine vulcanica, che ne suggeriscono la produzione in detelTl1inate

    aree, quali ad esempio l'area del golfo di Napoli ( il caso di molti esemplari di anfore greco-italiche), Lipari ol'area etnea. Oppure quello di certi impasti di colore beige chiaro-avorio, molto porosi e contenenti minuscoli

    inclusi, caratteristici in particolare delle produzioni locresi. O ancora, per rimanere nell'area in argomento, diargille di colore arancio vivo, compatte, con inclusi di pietra rossastra, rilevata ad esempio per le produzioni diarea calactina. A Monte Trefinaidi, nello specifico, un valido aiuto per l'inquadramento cronologico del sito, ma

    anche per una definizione delle modalit di vita dei suoi occupanti, stata costituita dal rinvenimento di diversiframmenti di anfore, alcuni dei quali diagnostici (orli, anse, puntali): si tratta, in particolare, di esemplari dianfore greco-italiche antiche, di Corinzie B e con orlo ad echino, utili per inquadrare l'occupazione del rilievomontuoso soprattutto tra la seconda met del IV e la prima met del III secolo a.c. La loro (relativamente) diffusapresenza suggerisce che gli occupanti del fortino facessero largo uso di vino, faticosamente trasportato fin qui in

    questi contenitori a dorso di mulo.

    NOTE:J Cfr. A. LINDHAGEN2006 e C. BONANNO2009 per Kal Ah.'te C. BONA O2009 per Apollonia.2 Ci riferiamo, per la precisione, ad un tipo di contenitore con anse a 'tortiglione" (et imperiale medio-alta) e di contenitori vinaridello stesso tipo prodotto localmente nella fornace di c.da Chiappe, simili alle "Crypta Balbi 2" (IWI secolo d.C.), caratterizzate daun 'argilla di colore arancio con molti inclusi di quarzi te e di pietrisco rossastro.

  • CATALOGO DEI PRINCIPALI REPERTIARCHEOLOGICI STEFANESI

    A. Contrada Ara (Fondo ''Tbini'' earee limitrofe)

    TOI (N.Inv.23024). Brocchetta (lekythos aryballica) diproduzione coloniale con ansa verticale, corpoglobulare e piede anulare. Acroma tranne nella partemediana e in quella superiore, verniciate color arancio-bruno. Integra con lacuna nell' orlo.Alt. 11,5 cm; diamo max. 8,7 cm.Fine VI - inizi V secolo a.c.

    T02 (N.Inv.23023). Olpe di produzione coloniale conansa verticale e piede piano. Acroma tranne nella partesuperiore verniciata di bruno.Alt. 12,5 cm; diamo orlo 5,0 cm; diam. max. 7,5 cm.Lacuna nell'orlo e nel collo.Fine VI - inizi V secolo a.c.

    T03 (N.Inv.23022). Olpe trilobata acroma diproduzione indigena. Fascia di colore bruno attorno alcorpo. Piede anulare, bocca trilobata.Alt. 19,5 cm; diamo max. 13,3 cm. Lacuna nel collo,foro sul fondo.Fine VI secolo a.c.

  • MT04vv (N.Inv.2328l e ssg.). Varie ghiande missili inpiombo anepigrafi di forma ellissoidale allungataterminate a punta da entrambe le estremit.Lungh. media 3 cm circa; diamo medio 1,4 cm circa;peso medio 30,0 gr. circaDatabili tra il IV e il III secolo a.c.

    MT05. Porzione di parete e di bordo di grandecontenitore in ceramica grezza. Argilla non raffinatacon numerosi inclusi di medie e piccole dimensioni. V-IV secolo a.c.

    MT06. Shyphos a vernice nera di forma concavo-convessa. Argilla porosa, vernice talvolta evanida.Piede poco pronunciato.Fine IV - inizio III secolo a.c.

    MT07a-b-c-d-e-f. Quattro anse e due puntali riferibilialmeno a quattro diverse anfore da trasporto.Databili tra il IV e il III secolo a.c.

    MT08. Grumo di piombo, probabile scarto dilavorazione.Datazione incerta

    C. Contrada Vocante (area della Villaromana e terreni circostanti)

    VOI. Fallo in bronzo della lunghezza di 5cm.Et ellenistico-romana.

    V02a-b-c-d-e-f. Anelli in bronzo e in argento (?) deldiametro medio di circa 2 cm a fattura semplice, trannel'anello V02d, che presenta un espansione circolare sucui inciso un monogramma cruciforme, e l'anelloV02f, a fascia estesa, su cui presente una decorazionea punti nature.Et tardo-imperiale o proto-bizantina.

    V03a-b-c-d. Fibbie in bronzo di varia foggia.Et tardo-imperiale o proto-bizantina.

    V04. Ago in bronzo.Si conserva per una lunghezza massima di 10,5 cm.Epoca romana (?).

  • V05a-b-c-d-e-f. Chiodi in bronzo a sezionequadrangolare e circolare.Epoca romano-bizantina.

    V06. Statuetta in bronzo dell'altezza di circa 5 cmdalla silhouette a uccello ma con busto e volto umanofemminile.Et ellenistico-romana.

    V07. Bottone in bronzo di forma circolare condecorazione a reticolo di puntini rialzati.Et medievale (?).

    V08a-b-c. Contrappesi in piombo.Epoca romana imperiale.

    V09a-b-c-d-e-f. Proiettili in piombo di forma sferica eeli issoidale (V09a).Epoca ellenistico-romana.

    VlO. Elemento in bronzo di forma piramidale condecorazione a raggiera e spuntone sul retro. Probabileapplique.Epoca bizantina.

    Vlla-b-c. Sigilli/bolli mercantili in piombo di formapressoch circolare.Su una faccia, in rilievo, rispettivamente: testa diAthena elmata (V 11a), pegaso (V 18b) e lettere AT(VIle).V secolo a.C.

    VI2a-b. Anelli in bronzo.Epoca ellenistico-romana.

  • V 13. Tegola fittile con listello a sezione rettangolare.Frammentaria. Alla base del listello si attacca unagrappa in piombo.Lungh. max 16 cm; largh. max 14 cm; spesso 3,5 cm.III secolo d.C.

    V14. Mosaico pavimentale composto da tessere lapideebianche e nere. Frammentato e staccato dal sitooriginario. Le tessere formano un motivo floreale.Lungh. max 25 x 18 cm.Fine II - inizio III secolo d.C.

    D. Materiali erratici dalla provenienzaincerta

    101. Cuspide di lancia piatta in ferro (?).Lungh. max. 11,5 cm; peso 32,5 gr.Datazione incerta (ma comunque inquadrabile in etpreistorica).

    102. Moneta in bronzo emessa dalla zecca di AlesaArchonidea.DI Testa laureata di Apollo a destra con i capelli lunghiriccioluti tenuti insieme dal calamistro;RJ Apollo nudo in piedi a sinistra, con faretra sullespalle, con la mano sinistra regge una cetra posata aterra, con la mano destra tiene un ramoscello; intornola legenda AAAILAL e un monogramma.Seconda met del III secolo a.c.

    103. Moneta in bronzo (dilifron) emessa dalla zecca diSiracusa.DI Testa barbata e laureata di Zeus Eleutherios asinistra, con i capelli fluenti sulla nuca;RJ Cavallo libero al galoppo verso sinistra; linea diesergo; intorno LYPAKOHQN (?)

  • AA.VV.

    AA.Vv.

    AA.VV.

    AA.VV.

    AA.VV.

    AA.VV.

    AA.VV.

    AA.VV.

    ADAMESTEANU D.

    ALBANESE PROCELLI R.M.

    AMARI M. - SCHIAPARELLI C.

    AMARIS.

    ATLANTE I

    ATLANTE II

    BACCI G. - TIGANO G.

    BARRA BAGNASCO M.

    BARTOLOTTA L.

    BARTOLOTTA L.

    BELLARDIG.

    BELVEDERE O.

    BERNAB BREA L.

    BERNAB BREA L. - CAVAUER M.

    BERNAB BREA L. - CAVAUER M.

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