Quaderni della Pergola n.7
-
Upload
teatro-della-pergola -
Category
Documents
-
view
218 -
download
0
description
Transcript of Quaderni della Pergola n.7
Quaderni della Pergola | 1
7
7
Quaderni della Pergola | 3
4. Sandro Lombardi
5. Claudio Bisio
8. Alessio Boni
11. Vinicio Marchioni
15. Rocco Papaleo
19. Passioni a Teatro/Amori di Teatro
28. La parola al pubblico
29. Marco Baliani
30. Tilda Swinton
37. Hanif Kureishi
39. Corrado Augias
42. Dal diario di una giovane spettatrice
43. Dal palcoscenico del Teatro Goldoni
47. La Storia racconta..
49. Stefano Massini
52. Giorgio Mancini
56. Katia Labèque
58. Museo Ferragamo
61. Dai Quaderni di Orazio Costa
Il numero 7 dei Quaderni della Pergola
è ispirato all’Amore, ai sentimenti,
al movimento delle emozioni.
Siamo tornati indietro di un anno,
quando nel febbraio 2014 uscì il numero
2 dei Quaderni della Pergola dedicato
all’Amore. La pagina accanto riporta la
copertina di quel numero, con la lavagna
ed il cuore, simbolo che lo lega
a questo numero 7.
Ancora l’Amore è protagonista,
perché il tema amoroso è senza confini,
senza limiti, senza fine.
È un tema che coinvolge tutti: attori,
scrittori, poeti, musicisti, danzatori...
Raccontare l’Amore è una sfida,
è un viaggio misterioso e delicato.
È mettersi a nudo, alla ricerca della verità,
del proprio essere,
in equilibrio con la propria anima.
È un filo colorato che lega ognuno
di noi; è un respiro collettivo e singolare.
Generoso e rumoroso come un applauso
a fine spettacolo.
E con amore vi dedichiamo queste pagine
vibranti di emozioni..
4 | Quaderni della Pergola
Al fondo del fare dell’attore c’è una sapienza ottenuta attraverso l’amo-
re. Solo grazie all’amore egli può cogliere la bellezza inizialmente inaf-
ferrabile dell’ignoto che gli bussa alla porta. L’attore non sa, alle sue
prime esperienze, non conosce, non ha le parole per definire quanto
sta imparando a fare.
Ma può lasciarsi investire da questo non sapere, lasciarsi guidare da questa forza
sconosciuta che lo incanta, lo attrae, lo innamora, lo fa suo a poco a poco. In questo
modo, facendosi portare, l’attore disseppellisce mano a mano l’ignoto, e lo trasforma
in un frammento di sapienza. Se si lascia coinvolgere dalla segreta bellezza del miste-
ro che gli si presenta, col tempo ne svelerà il senso a sé e poi agli altri.
Attraversandol’amore
diSandro Lombardi
IMMAGINE DALILA CHESSA
Quaderni della Pergola | 5
ClaudioBisio
L’ALCHIMIADI UNA RISATA
diAngela Consagra
“Ogni battuta ha in fondo un suo spessore drammaturgico:
il divertimento è accompagnato sempre da un momento
di riflessione, un breve istante di malinconia”
È assecondando la sua passione per il teatro che ha cominciato il mestiere di attore?Sì, io nasco con il teatro e, più preci-
samente, ho frequentato la Scuola del
Piccolo a Milano, negli anni Settanta.
Per un decennio ho lavorato soltanto
in teatro: Comedians, con la regia di
Gabriele Salvatores, forse è lo spettaco-
lo che mi ha fatto scoprire la comicità.
Eravamo al Teatro dell’Elfo, insieme ad
artisti come Paolo Rossi e Silvio Orlan-
do: un gruppo di persone con cui siamo
rimasti sempre molto amici, durante
tutti questi anni. È proprio grazie a
Salvatores che ho iniziato a fare anche
cinema, prima vedevo questo mestiere
soltanto pensando al teatro.
E con il film Mediterraneo di Salvatores è arrivata l’emozione dell’Oscar…In questo avvicinamento verso il
cinema abbiamo avuto fortuna perché
Mediterraneo ha vinto l’Oscar come
miglior film straniero. Del resto, anche
in televisione sono arrivato sempre
partendo dal teatro, nel senso che già
quando seguivo la scuola teatrale sen-
tivo di avere una doppia anima: la par-
te più seriosa – che la mattina a scuola
studiava Pirandello o Brecht – e quella
che di notte frequentava il cabaret al
Derby di Milano. È da lì che è arrivato,
in un secondo momento, il palcosceni-
co dello Zelig e della TV. Le nostre era-
no esibizioni dal vivo con davanti delle
telecamere; ecco perché dico che il mio
approccio televisivo proviene dal te-
atro: la performance live, davanti ad
un vero pubblico pagante, è sempre
stata una ricerca fondamentale. Già
dai tempi del cabaret del Derby mi
piaceva molto vedere la gente che si
divertiva e scoprire la bellezza, anche
dal punto di vista scientifico, di una
risata. Io non sono mai stato uno che
raccontava le barzellette al bar o agli
amici a scuola, ma ho imparato stu-
diando ed inventando un mio stile: la
prefazione, il racconto, la chiusa della
storia con la battuta finale… Quando
ero in tournée raccontavo barzellette
cambiandole ogni sera. Alla fine ri-
uscivo a sentire quando una battuta
funzionava: affrontavo giorno dopo
giorno la comicità, anche in base alla
risposta del pubblico.
Uno spettacolo è dunque sempre il risultato del pubblico che lo sta guardando?La presenza del pubblico, per tutti
noi che facciamo questo mestiere, è di
un’importanza pazzesca. Nonostante i
miei trent’anni di carriera, provo sem-
pre una grande emozione prima di in-
contrare il pubblico. E poi ogni sera è
irripetibile: magari ti aspetti che parta
una risata in un certo momento, inve-
ce non sempre arriva. Dipende dall’e-
6 | Quaderni della Pergola
nergia che si crea tra te, attore, e lo
spettatore che ti sta di fronte. Questo
rapporto, così unico, è un sentimento
difficile da spiegare. Una preziosa al-
chimia.
La comicità ha un linguaggio universale?Con il film Benvenuti al Sud ed il
suo seguito Benvenuti al Nord mi sono
relazionato, da milanese, con attori
meridionali: uno tra tutti Alessandro
Siani, l’altro grande protagonista di
questi film. Al di là di ogni raziocinio,
pur comunicando con dei linguaggi
così profondamente diversi, ci siamo
compresi. Apparteniamo a luoghi ge-
ografici lontani, ma è il sentimento
che lega le distanze. Il comico ha una
visione della realtà quasi spiazzante
perché anticipa alcune cose che ri-
siedono, in modo latente, in tutti noi
e che ci appartengono. Ha la capacità
di raccogliere l’essenza della realtà
per restituircela in termini assurdi, a
volte perfino surreali. Ogni battuta ha
in fondo un suo spessore drammatur-
gico: il divertimento è accompagnato
sempre da un momento di riflessione,
un breve istante di malinconia.
Il cinema e la TV le hanno regala-to un’enorme popolarità; che cosa la spinge a ritornare, sempre, al teatro?Sicuramente il desiderio di incon-
trare, dal vivo, il pubblico. Con Zelig,
come ho già detto prima, il rapporto di-
retto con gli spettatori non è mai man-
cato: ci trovavamo in un teatro vero,
non in uno studio televisivo con delle
telecamere e basta. Per quindici anni
mi sono reinventato un po’ il mestiere
di conduttore, e di fatto non esistono
scuole per condurre: ho affrontato
quel palco da attore, come se fossi un
capocomico di una numerosa e varie-
gata compagnia di comici. Adesso in
teatro torno a proporre uno spettacolo
vero e proprio, Father and Son, ispirato
al libro di Michele Serra Gli sdraiati. La
riflessione che si può fare in uno spet-
tacolo è differente da quella che impli-
ca la TV: una volta i pezzi televisivi di
Walter Chiari duravano, per esempio,
anche venti minuti e invece oggi dif-
ficilmente si riescono a superare i tre
minuti…
“Il comico ha la capacità di raccogliere l’essenza della realtà per
restituircela in termini assurdi”
FOTO BEPI CAROLI
Quaderni della Pergola | 7
Perché ha scelto proprio questo spettacolo?Il testo mi ha entusiasmato subito.
È almeno da un paio di anni che tento
di analizzare il tema del rapporto pa-
dre-figlio. Io stesso ho due figli – di 17
e 19 anni, un maschio e una femmina
– e volevo raccontare, attraverso il tea-
tro, proprio il confronto tra diverse ge-
nerazioni. Ne cercavo il lato comico, a
partire dalla singola situazione. È bello
quando la comicità riesce a raccontare
qualcosa condividendo con gli altri un
comune sentire, pezzi di vita vissuti da
tutti. Mentre con il regista Giorgio Gal-
lione lavoravamo su questo argomento,
è arrivato il libro Gli sdraiati di Michele
Serra che ci ha fatto leggere addirittura
in anteprima le bozze. Le sue parole cor-
rispondevano esattamente con quello
che stavamo pensando. Serra scrive
quasi sempre le stesse cose che avrei
voluto scrivere io: leggo i suoi pensieri
su Repubblica e mi ci riconosco. In par-
ticolare con questo spettacolo viviamo
la stessa quotidianità: anche lui ha due
figli adolescenti, così come il regista che
ne ha uno… Durante le prove, noi padri,
ci raccontavamo le reciproche espe-
rienze, un po’ come un gruppo di au-
tocoscienza femminista degli anni Set-
tanta, declinato però tutto al maschile.
Emergevano le nostre arrabbiature
verso i figli ma anche, naturalmente,
tanto amore. È stata una bella esperien-
za di condivisione e scambio reciproco.
FOTO FILIPPO MANZINI
“Già dai tempi del cabaret del Derby mi piaceva vedere la gente che si divertiva e scoprire la bellezza, anche dal punto di vista scientifico,di una risata”
8 | Quaderni della Pergola
Alessio Boni
CON CORAGGIO, ENERGIA E AMORE
In genere ad un attore in Italia vengono offerti spesso personaggi simili…Sì, perché credo che il fattore pro-
duttivo e registico tenda a volte a far
seguire, per non rischiare, un’unica di-
rezione, mentre all’estero le domande a
cui viene chiamato un attore sono mol-
teplici: lo fanno diventare indifferen-
temente un portiere, un cavallerizzo o
anche un assassino… Perché? Si fidano
della professionalità dell’attore che vie-
ne considerata una professione molto
importante che apporta cultura e che
può migliorare il Paese; mentre in Italia
il mestiere di attore viene considerato
differentemente: quando si ha suc-
cesso con un ruolo, per non rischiare,
tendono quasi tutti ad offrirti sempre
la stessa parte. Mentre l’attore, grazie
alla passione che lo anima e alla voglia
di mettersi in gioco, non vede l’ora di
distanziarsi da se stesso per entrare nei
panni di un personaggio completamen-
te diverso da lui ed essere ciò che nella
vita non avrebbe mai potuto essere.
In questo periodo a teatro impersona addirittura Dio.Credo che le carriere non si co-
struiscano soltanto sui ‘sì’: dopo l’espe-
rienza de La meglio gioventù per alcuni
anni tutti mi offrivano sempre lo stes-
so ruolo del poliziotto e ho detto tanti
‘no’. Alla fine le circostanze della vita di
ogni singolo professionista sono vera-
mente sorprendenti perché arrivano
anche proposte a cui non avresti mai
pensato: il Dio dello spettacolo Il visita-
tore non è Gesù Cristo, non è San Pie-
tro né Giovanni Battista… Come si fa a
dare un volto a Dio? Per interpretarlo
sono tornato alla mia fanciullezza, ad
un sentimento indefinibile, quel ‘blu’
che cercavo da piccolo… Piano piano
mi sono distanziato dalla ricerca di
questa interpretazione, che non si-
gnifica distaccarsene: anzi, vuol dire
prendere le distanze da qualcosa che ti
ha assorbito. Come ha detto un grande
greco: “l’attore comincia a diventare
straordinario quando si è stancato di
recitare”, nel senso che quando arri-
va a non crederci così tanto, alla fine
riesce a non avvitarsi sul suo perso-
naggio e su se stesso. Questo giusto
distacco ti fa agire sul palcoscenico
come se fossi nel quotidiano e ti regala
spontaneità. Nella vita di tutti i giorni
spesso ci distacchiamo e ci muoviamo
per automatismo; riproporre questa
veridicità sulle assi teatrali è molto più
difficile che al cinema, dove si fanno
pochi minuti di riprese che vengono
ripetuti fino al risultato finale. Il Visita-
tore è uno spettacolo in cui ho dovuto
cercare l’anima del personaggio che mi
stava accanto. È un po’ come quando
ascolti una canzone: a volte il cantante
non ti fa più sentire soltanto delle note,
ma è così dentro l’aria della musica che
riesce a toccarti fino in fondo e a farti
emozionare.
“L’attore, grazie alla passione che lo anima e alla voglia di mettersi in
gioco, non vede l’ora di distanziarsi da se stesso e diventare ciò che nella vita non avrebbe mai potuto essere”
Quaderni della Pergola | 9
Per assumere le sembianze di questo Dio narrato da Schmitt, oltre ad un’analisi profonda del testo, quanto è stato importante l’approccio fisico in scena?Per prepararmi al personaggio ho
letto tanti testi e fatto training auto-
geno, cercando di scavare dentro me
stesso… Devi ritrovare quel sentimen-
to di meraviglia che avevi da bambino
e che durante la vita hai un po’ perso.
I codici comportamentali dell’infanzia
– strabiliare gli occhi, per esempio – ti
rendono libero nei movimenti e richia-
mano l’immaginifico. E per riuscire ad
ottenere questo risultato devo ringra-
ziare, oltre al regista di questo spet-
tacolo Valerio Binasco, soprattutto il
mio grande Maestro Orazio Costa Gio-
vangigli e i suoi insegnamenti che, da
questo punto di vista, mi hanno dato
tantissimo.
Per diventare attori, oltre ad avere talento, sono importanti anche gli insegnamenti che provengono dalla scuola?Sì, ne sono convinto. Anche se, una
volta usciti dall’Accademia, ognuno
deve trovare il proprio percorso ed im-
pegnarsi. Per me era un’utopia riuscire
a diventare attore. Vengo da un paesi-
no e ho sempre vissuto con modestia le
grandi svolte della mia vita: il mio in-
gresso all’Accademia d’Arte Drammati-
ca con Orazio Costa, così come i provini
con Strehler o quello con Marco Tullio
Giordana per La meglio gioventù… Ein-
stein, in un suo bellissimo pensiero, af-
ferma che bisogna cercare di diventare
“Per interpretare il ruolo di Dio sono tornato alla mia fanciullezza, a quel ‘blu’ che cercavo da piccolo”
FOTO GIANMARCO CHIEREGATO
10 | Quaderni della Pergola
persone di valore e non per forza di
successo in qualsiasi campo si sia scelto.
Bisogna dedicarsi al lavoro con amo-
re, appassionandosi e credendo il più
possibile in quello che si fa. Noi adesso
viviamo come avvolti in una cappa di
incredulità, doveri e pragmatismo ma
non si tratta solo di una crisi economica,
piuttosto di una crisi etica e che parte
almeno da trent’anni a questa parte.
Ecco perché ci serve sempre di più una
passione, soprattutto adesso, che coin-
volga tutti quanti, in questo modo si
cambierebbero le sorti del nostro quo-
tidiano.
Il rapporto diretto spettatore/attore è una forza per il vostro mestiere? Il teatro non morirà mai?Il teatro è una forma di espressione
nata più di 3000 anni fa: se ci si pensa
bene, il teatro è ancora più antico del-
la Chiesa… Già nelle rappresentazioni
greche si rispondeva ad una necessità
insita nell’essere umano: l’uomo che si
mette a confronto con un altro uomo. Il
calore umano e l’energia che si sprigio-
na in questo scambio reciproco tra atto-
re e spettatore non si può quantificare:
è come l’amore, cambia ogni giorno e
non si può razionalizzare. Proviamo a
pensare ad un teatro con mille spetta-
tori all’interno e a quanta energia ogni
singola persona riesce a sprigionare,
un insieme di molecole e pensieri che
uniti creano coraggio, energia e amore.
“Il teatro è una forma di espressione nata più di 3000 anni fa: se ci si
pensa bene, il teatro è ancora più antico della Chiesa...”
FOTO FILIPPO MANZINI
Quaderni della Pergola | 11
Vinicio MarchioniCREATORE
DI EMOZIONI
“Il regista costruisce lo spettacolo insieme all’emotività, al mood espressivo che un attore porta
sempre con sé in scena. Interpretare significa, per me, un lavoro serio”
Lei è stato interprete di Un tram che si chiama desiderio per la regia di Antonio Latella e de La gatta sul tetto che scotta nella versione di Arturo Cirillo. Che cosa la emoziona dei personaggi di Tennessee Williams? Nei testi dei grandi autori i perso-
naggi sono sempre dei pezzi di vita che
gli appartengono. Per me è emozionan-
te entrare nella loro mente, andare a
ristudiare le biografie per tentare di
rintracciare, in qualche maniera, da
dove nasce un certo personaggio. Nel
caso di Williams si va a scavare vera-
mente in un bisogno di amore poetico
che si esprime nella scrittura: i mo-
nologhi, per esempio, delle sue figure
femminili aprono come dei cieli all’in-
terno di una realtà stereotipata come
quella dell’America del Sud. Per capire
un personaggio e coglierne le sfaccet-
tature, lo studio è importante: quando
affronto un ruolo mi piace avere uno
sguardo aperto su tutto quello che co-
stituisce l’immaginario di quell’autore.
È stato Luca Ronconi ad insegnarle come leggere una scrittura, identificando i fili che legano una scena all’altra? Sono un attore fortunato perché ho
avuto tanti Maestri e tutti i registi con
cui ho lavorato mi hanno insegnato
qualcosa. Personalmente Ronconi mi
ha indicato il modo di essere autore
del mio mestiere e come amare la reci-
tazione, al di sopra di ogni altra cosa al
mondo. Ci sono giorni in cui sei soltan-
to tu con le parole che dovrai recitare,
quindi sei veramente autore della tua
interpretazione: analizzi, rileggi e deci-
di le strade che vuoi far intraprendere
emotivamente a quel personaggio della
storia. Dopo, durante le prove, l’inter-
pretazione sarà filtrata e veicolata dal
regista, quindi bisognerà essere bravis-
simi ad unire queste due diverse letture.
Per entrare nell’emotività di un personaggio quanto è importante il regista? Direi che è fondamentale com-
prendere la direzione che il regista ti
dà che però non deve ‘mangiare’ mai
l’interpretazione di un attore. Il regista
costruisce lo spettacolo insieme all’emo-
tività, al mood espressivo che un attore
porta sempre con sé in scena. Il termine
interpretare significa, secondo me, un
lavoro serio ed importante: essere un
interprete ti colloca a metà tra un tipo
di linguaggio che esisteva già prima
di te – le parole scritte dall’autore – e il
linguaggio voluto dall’impostazione re-
gistica che mette insieme lo spettacolo.
Il risultato è ancora un altro linguaggio
- quello della scena - che viene affidato
all’interpretazione dell’attore, in modo
che possa poi veicolarlo al pubblico. Si
assiste ad una trasformazione del lin-
guaggio e questo fa sì che ogni spettaco-
lo sia unico, nel bene e nel male.
12 | Quaderni della Pergola
Da questo punto di vista, fondamentale è anche l’alchimia che si crea con gli altri attori in scena? Assolutamente sì. Al di là della sin-
gola interpretazione, l’energia che in
sala arriva dal palcoscenico si fa con
tutti ed è la differenza principale con
il cinema. In teatro l’energia si trasfor-
ma, a causa di tanti fattori: dipende da
quando arrivano gli attori, da come
hanno vissuto quel giorno e soprattut-
to dall’incontro con il pubblico. Di sera
in sera è un’altra vita, un’altra storia,
un’altra energia. Il pubblico è come se
fosse un attore in più in scena, in grado
di cambiarti lo spettacolo: tu cerchi di
tenere il ritmo, assecondare l’emotivi-
tà e rispettare gli snodi drammaturgici,
ma l’influenza del pubblico è talmente
forte… Il cinema è diverso, anche se si
tratta sempre di una congregazione
di esseri umani che si riuniscono, ma
è una specie di circo strano: arrivano
i camper in un posto, c’è confusione e
poi si va via… Il teatro è sicuramente
più intimo ma contemporaneamente
in grado di sviluppare una potenza
unica.
Migliaia di spettatori che guardano una fiction costituiscono una responsabilità per l’attore?Spesso faccio finta di dimenticare
che una serie come Romanzo Criminale,
per esempio, è stata venduta in tutto il
mondo oppure che la fiction dedicata
a Oriana Fallaci è vista dal pubblico
enorme della prima serata Tv. Anche
in teatro, sera dopo sera, ti guardano
centinaia e centinaia di persone. Nella
vita io sono uno che si vergogna quasi
di chiedere per strada che ore sono…
Però mi hanno insegnato che agli al-
bori del teatro improvvisamente un
essere umano è uscito fuori dal coro e
ha iniziato a parlare per tutti: è stato il
primo protagonista teatrale del mondo.
Questa è la più grossa responsabilità,
secondo me: sapere che stai parlando
anche per qualcuno che questa possi-
bilità non ce l’ha. Non è tanto questio-
ne di quanto ci si espone allo sguardo
altrui.
Qual è l’aspetto più emozionante del mestiere di attore?Tutto è emozionante! È già una for-
tuna riuscire a farlo questo mestiere…
Anche se credo che in fondo questo la-
voro non esista per davvero: sei attore
FOTO FILIPPO MANZINI
Quaderni della Pergola | 13
14 | Quaderni della Pergola
soltanto mentre lo fai e c’è un pubblico
che ti guarda… È il mestiere più precario
del mondo e negli anni tanti attori che
hanno studiato magari non lavorano:
non vieni chiamato da nessuno e in quel
momento dunque una parte di te è fru-
strata. Purtroppo ci si sente attori soltan-
to attraverso il riconoscimento da parte
di qualcun’altro. Questo mestiere è un
ibrido ed è sempre stato così, fin dai tem-
pi della Commedia dell’Arte, quando gli
attori venivano sepolti fuori dalle mura
della città.
Un attore come vive il momento dell’applauso finale?Io ho imparato a prendermelo, l’ap-
plauso del pubblico. Come tante altre
cose nella vita la consapevolezza è ar-
rivata con il tempo. Le prime volte alla
fine rimanevo ancora immerso dentro
alla sofferenza dell’attore e allo shock
del ritorno alla realtà dopo uno spet-
tacolo. Togliendosi di dosso la sacralità
di questo mestiere ti accorgi che essere
attore è un po’ come andare in trincea:
l’applauso è il momento bellissimo del-
la verità. Se pensi che mentre reciti
centinaia di spettatori concentrano la
propria energia su quello che stai fa-
cendo tu, l’adrenalina è altissima. Cre-
do che questo mestiere abbia a che fare
molto con il mondo dell’illusionismo e
della magia: noi attori siamo chiamati
a far credere agli spettatori che ci tro-
viamo in una foresta, piuttosto che in
una camera di appartamento e in una
villa del Sud… È un’illusione perché
creiamo quello che non c’è. Ma chi ti
guarda ci deve credere.
Durante gli applausi sembra trasparire l’emotività degli attori…Ci sono degli attori abilissimi a
prendere gli applausi, che magari han-
no avuto dei grandi Maestri già anzia-
ni che gli hanno insegnato proprio la
tecnica: i tempi giusti dell’ingresso sul
palco e dell’uscita, come salutare e pro-
lungare l’applauso… Però, da spettatore
io stesso che vado a guardare gli altri
spettacoli, sono d’accordo: l’applauso è
il momento in cui lo spettatore si ren-
de conto di avere davanti un attore che
fino ad un secondo prima stava reci-
tando una parte… Anche per questo
motivo è bello, secondo me, prendersi
gli applausi come essere umano e non
da personaggio.
“Togliendosi di dosso la sacralità di questo mestiere ti accorgi che
essere attore è un po’ come andare in trincea: l’applauso è il momento
bellissimo della verità”
FOTO FILIPPO MANZINI
Vinicio Marchioni e Vittoria Puccini
durante gli applausi finali de La gatta sul
tetto che scotta
Quaderni della Pergola | 15
Rocco Papaleo
UN TEATRO DOMESTICO
Una piccola impresa meridionale, lo spettacolo che sta portando in tournée, raccoglie una serie di appunti molto personali…La biografia è il punto di partenza
per provare a raccontare delle storie cre-
ando un clima intimo. Alla fine in scena
parliamo di cose forse un po’ romanzate
ma tutte con un fondo di verità; quando
si comincia a raccontare qualcosa di se
stessi, ci si mette a nudo di fronte al pub-
blico: si crea quella confidenza e quel ca-
lore che contribuiscono a caratterizzare
lo spettacolo, con una componente for-
temente intima. Non parto dalle quinte
ma entro direttamente in sala, mentre
la gente sta ancora arrivando perché
questo aspetto fa parte del tipo di teatro
che vogliamo impiantare: noi attori ci
mettiamo a disposizione degli spettatori,
come se li avessimo invitati a casa. È la
nostra idea di entertainment: riuscire a
dare al teatro una dimensione domesti-
ca. Il teatro in cui recita l’attore in quel
momento è anche la sua casa perché lo
abita proprio fisicamente: per esempio,
può ricevere all’indirizzo dell’edificio te-
atrale anche la propria posta personale…
L’attore dunque accoglie il pubblico che
arriva e che si mette a suo agio. Quello
che accade nella serata, l’essenza dello
spettacolo, vorrei che fosse una sorta di
rito laico e dunque cerchiamo in tutti i
modi, dal palcoscenico, di essere empati-
ci. C’è bisogno ad un certo punto di asciu-
gare la frivolezza per fare spazio a senti-
menti più profondi e cercare l’emozione.
Regalare un sorriso al pubblico è uno dei vostri obiettivi?Sì, l’intento è di essere terapeutici e
riuscire a dare sollievo nei confronti di
chi viene a guardarti quella sera. Nel-
la vita io amo guardare anche cose più
dure o dolorose, ma quando tocca a me
proporre qualcosa di mio ricerco sempre
l’effetto terapeutico, sia in teatro che nei
miei film. Noi attori dobbiamo trovare il
livello giusto per accendere quella comu-
nicazione di cui il pubblico ha bisogno.
“Amo il cinema ma ho bisogno del palcoscenico”: sono parole sue.Il teatro non ha rivali nella mia con-
cezione dell’esibizione. È una perfor-
mance in cui la curva dell’emozione si
FOTO BARBARA LEDDA
16 | Quaderni della Pergola
vive in fondo perché il teatro non è mai
uguale, anzi cambia nel momento stes-
so in cui lo si fa. I film una volta finiti è
come se non ti appartenessero più. Con-
tinuano, per esempio, a ridare in TV i
film che ho interpretato anni fa: vorrei
cambiare tutto ma non posso… Quando
ho girato i miei film, dopo averli scritti e
diretti, mi è capitato di non volere usci-
re più dalla sala di montaggio: starei lì
tutta la vita continuando a fare piccole
modifiche, ma ad un certo punto te lo
levano il film perché deve uscire nelle
sale cinematografiche. È difficile per un
autore licenziare un suo film ma biso-
gna farlo, anche perché non è detto che
stando un mese in più al montaggio il
risultato poi migliori… Nella realizza-
zione di un film non c’è un momento in
cui hai la certezza di aver raggiunto il
massimo: guardi i dialoghi e non sem-
pre hai la possibilità di cambiarli se non
ti piacciono… Alla fine però non sono
così scontento dei film che ho fatto!
Al cinema è uno dei protagonisti de Il nome del figlio, l’ultimo film di Francesca Archibugi.Il nome del figlio è un film teatrale, in-
fatti lo abbiamo girato facendo le prove
come in teatro e lavorando sulla parola,
soffermandoci su ogni singola battuta.
Provavamo nella stessa location del film,
un po’ come si fa in teatro dopo che han-
no montato le scenografie… Credo che
questa lunga preparazione poi si mani-
festi nella recitazione di noi attori.
Essere guardati nello stesso momento da milioni di persone
- come quando, per esempio, ha condotto Sanremo -che tipo di emozione crea?L’Ariston, il luogo dove viene fatto
Sanremo, è un teatro, alla fine. Senti la
pressione perché per settimane non si
parla d’altro ma non si tratta di cose dav-
vero importanti… Per affrontare quel
tipo di esperienza ho ragionato come se
mi fossi trovato in una serata teatrale,
non guardando le telecamere che avevo
davanti e facendo quello che normal-
mente propongo in teatro: personaggi
come quello della foca, per esempio, che
mi servono nel mio spettacolo per scio-
gliere definitivamente il pubblico ed en-
trare in comunione reciproca. L’applauso
del pubblico che ti colpisce in maniera
diretta in teatro può essere veramente
una droga, anche se mi imbarazza sem-
pre un po’ stare lì a riceverlo… Non c’è
niente da fare, non mi ci sono ancora
abituato fino in fondo.
La valigia dell’attore… Che cosa deve contenere, secondo Lei?Sono in una fase in cui più passa il
tempo, necessito sempre di meno cose…
Qualche medicina in più, l’iPad e il com-
puter per lavorare, pochi vestiti… Dicia-
mo che mi piace fare il ‘barbone di lusso’!
“Quando si comincia a raccontare se stessi, ci si mette a nudo di fronte al
pubblico: si crea quella confidenza e quel calore che contribuiscono a
caratterizzare lo spettacolo”
IMMAGINE CLARA BIANUCCI
Quaderni della Pergola | 17
Se dovessi fare un collage del tuo amore
Metterei una soglia di baci ardenti
una finestra rotta
e un passero che canta sul balcone
non c’era niente dentro il nostro amore
c’era soltanto un intero universo
25 gennaio 2003
Alda Merini
Quaderni della Pergola | 19
PASSIONI A TEATROAMORIDI TEATRODeclinazioni del cuore dietro le quinte
Essere saggio e amare eccede le capacità dell’uomo(William Shakespeare)
20 | Quaderni della Pergola
Il Vate D’Annunzio, che se non di politica o letteratura almeno di donne s’in-
tendeva, vergò in un suo onore la frase citata nel titolo a mo’ di dedica su una
copia del Piacere. E davvero Natalina Cavalieri detta Lina, nata a Viterbo
oppure a Roma, fu tra le donne più belle della sua epoca, la leggendaria Bel-
le Époque, e fece morir d’amore intere
schiere di uomini adoranti. Visse gran
parte della sua esistenza corteggiata e
nel lusso più sfrenato, lei che di umi-
li origini aveva lavorato da bambina
come fioraia, sarta e piegatrice di gior-
nali in una tipografia. Nella biografia
della Cavalieri realtà e leggenda s’in-
trecciano fino a confondersi. C’è chi
dice che fu la madre a notare la bella
voce della figlia, e la spinse a farle fre-
quentare le lezioni gratuite di canto del
maestro Arrigo Molfetta; altri sosten-
gono che l’abitudine della fanciulla a
gorgheggiare durante il lavoro la fece
notare al maestro medesimo.
Sia come sia, la Cavalieri iniziò a esibir-
si in un povero teatro di piazza Navona,
quindi al Teatro Orfeo e poi al Diocle-
ziano: subito giunsero i primi contratti,
e con loro il grande successo. La Cava-
lieri mostra subito presenza scenica,
grandi capacità canore e un innato ma-
gnetismo che fa strage tra gli uomini.
Dalla Roma umbertina degli esordi approda nel regno italiano dei cafè-chantant,
Napoli. Si esibisce al Salone Margherita, il tempio del genere, dove furoreggia con
Funiculì funiculà. Sull’onda del successo sbarca a Parigi, per trionfare alle Folies
Bérgères con un repertorio di canzoni napoletane accompagnate da un’orchestra
completamente femminile.
diRiccardo Ventrella
Lina Cavalieri
La massima testimonianza di Venere in TerraLa vita e gli amori (molti) di Lina Cavalieri
Quaderni della Pergola | 21
L’Ottocento declina, e per Lina Cavalieri si apre un’altra fruttuosa carriera, quel-
la di cantante lirica. Il 4 marzo del 1900 debutta con Bohème al San Carlo di Napoli.
Breve è da lì il salto verso quello che allora era il paradiso della vera fama canora,
ovvero gli Stati Uniti. Nel 1906 il pubblico americano riempie i teatri per vederla, più
che ascoltarla. La sua straordinaria bellezza, l’eleganza del portamento, la sensuali-
tà e le monumentali acconciature sontuose la eleggono Diva assoluta. Canta per la
Metropolitan Opera Company e la Manhattan Opera Company, e lavora con Enrico
Caruso e Francesco Tamagno. Proprio l’interpretazione a fianco di Caruso della Fe-
dora, a New York, la fissa per sempre nell’immaginario collettivo: i due danno vita a
un lungo, appassionato e un tantino scandaloso bacio, e per la stampa la Cavalieri è
The Kissing Primadonna.
Assai più leggendaria di quella artistica fu però la vita sentimentale di Lina Ca-
valieri: oltre ottocento, secondo la vulgata, le domande di matrimonio ricevute di
cui quattro accettate. La prima dal principe Alessandro Bariatinskij sposato a San
Pietroburgo, e munifico donatore di una collana che, nonostante i tre giri attorno
al collo, continuava a ricadere verso il
basso. Fu liquidato e lasciato nella più
nera disperazione dopo averle chiesto di
lasciare il palcoscenico. La seconda dal
miliardario americano Robert E.Chan-
dler, scaricato dopo soli otto giorni di
matrimonio e un ricco indennizzo. La terza dal tenore francese Luciano Pietro Mu-
ratore, col quale lavorò a lungo negli anni della Prima Guerra Mondiale. La quarta, e
ultima, dal corridore automobilistico Giuseppe Campari. Fu un connubio duraturo
per gli standard della Cavalieri, e fu interrotto solo quando Campari si uccise a Mon-
za nel 1933 slittando su una macchia d’olio e rovesciandosi in un fossato, nella stessa
tragica giornata in cui perì anche Bacunìn Borzacchini. La Cavalieri, che si era già
ritirata dalle scene, chiuse nel 1936 anche il fiorente istituto di bellezza che dirigeva
a Parigi e si trasferì prima a Roma, in una villa sulla Nomentana, e poi a Firenze sulle
pendici del Poggio Imperiale. Qui il 7 febbraio del 1944 una bomba la sorprese nel
sonno. Anche sulla sua morte fiorirono le storie più disparate, da quella del canno-
neggiamento tedesco sbagliato a quella dell’attentato partigiano per punire la diva di
presunte frequentazioni con gerarchi fascisti.
Furono però le follie degli uomini a rendere unica la vita di Lina Cavalieri. Ebbe
spasimanti illustri, da Trilussa che scrisse in suo onore i versi fior d’orchidea/il bacio
dato sulla bocca tua/lo paragono al bacio di una dea, il baritono Mattia Battistini, Tito
Schipa e persino Guglielmo Marconi. Per Davide Campari, rampollo della celebre
dinastia di fabbricanti di liquori, fu facile simulare la necessità di recarsi spesso all’e-
stero per lavoro, e seguire in realtà i numerosi spostamenti della bella Lina. La cosa
pare aver fruttato qualche buon contratto, ma nessun convegno amoroso. La stessa
sorte toccò a un focoso duca siciliano che per due mesi le fece da autista e servitore,
fino a desistere stremato col lamentoso grido: è follia sperare di essere amato da voi,
che non pensate e non vivete adesso che per la vostra arte. I muliebri capricci di Lina
Cavalieri, amatissima primadonna di un’era leggendaria.
“Leggendaria fu la vita sentimentale di Lina Cavalieri: oltre ottocento le domande di matrimonio ricevute”
22 | Quaderni della Pergola
diMatteo Brighenti U
na coppia è un modo che si fa mondo nello sguardo. Affinità più differen-
ze, uno di due, rette parallele unite da un percorso comune, come le spon-
de di un fiume da un ponte o il giorno e la notte dal respiro. Elvira Frosini
e Daniele Timpano si sono incontrati con il teatro. “È un’esperienza totale
– dice Daniele – non riusciremmo a stare in piedi come compagnia se non fossimo una
coppia di vita e arte, sia come economie e distribuzione del lavoro, che come sensibi-
lità dell’uno che integra l’altra.” Poco più
che quarantenni, entrambi romani, si
sono riconosciuti nel rifiuto delle scorcia-
toie della ‘ricerca’ fine a se stessa e delle
etichette della critica di lotta e di sistema.
La prima volta insieme risale al
2008-2009 con Sì l’ammore no, spettacolo
contro i cliché del rapporto uomo-donna,
più in generale della cultura romantica
e ‘maschiocentrica’. “Sulle immagini ste-
reotipate della donna – interviene Elvira
– si tende a non vedere l’individualità, ma
solo il ruolo sociale. Succede anche a noi
e infatti lottiamo sempre contro l’essere
considerati come ‘Timpano e sua moglie’.
Quel lavoro, però, era un po’ anche un
esorcismo nostro.” Si sposavano per finta, poi l’hanno fatto per davvero. Da allora il
palcoscenico si è intrecciato con la realtà, ne è diventato il rovescio, il doppio. “C’è que-
sto travaso – ammette Elvira – poi le cose che ci accadono le modifichiamo, ma non
sempre riusciamo a tenere tutto separato. Sei d’accordo?” Daniele: “È un problema
complessivo, la vita non riesci a tenerla separata dal lavoro. Insieme stiamo sempre
a fare quello e insieme si parla di quello.” Se Sì l’ammore no era nato come il tentativo
spensierato e gioioso di far convergere sulla scena due linguaggi, tendenzialmente
diversi, ma con una somiglianza di fondo nel modo di vedere e pensare, nell’ulti-
mo incontro del 2014-2015, Zombitudine, c’è la progettualità di una coppia cambiata
dentro e fuori, che ha coscienza della bellezza di sé e della decadenza del mondo. Un
uomo e una donna, un marito e una moglie, un attore e un’attrice, si rifugiano in te-
Io, te e la ZombitudineLa vita e l’artedi Frosini / Timpano
Quaderni della Pergola | 23
atro perché fuori è in atto l’invasione degli zombi, i non morti dell’immaginazione al
potere (teatrale), gli esodati del cambiamento che nulla cambia. “Quella di Sì l’ammore
no era una coppia divertita e sospesa nel tempo – confessa Elvira – in Zombitudine c’è
una maggiore unione, la coppia è più forte ed è immersa nel tempo, sa che il tempo
passa.” Daniele: “Oggi siamo molto più scocciati, incazzati di sei anni fa, con un senso
di margine e di sofferenza nei confronti del mondo del teatro. Se prima la sovrasta-
vamo, adesso siamo soccombenti alla realtà.”
Queste ‘due’ coppie hanno alle spalle i cadaveri eccellenti di Mussolini, Mazzi-
ni e Moro, attraverso cui Daniele Timpano ha raccontato la ‘storia cadaverica d’I-
talia’, una trilogia formata da Dux in scatola, Risorgimento pop e Aldo Morto, poi c’è
la Marilyn di Digerseltz con cui Elvira
Frosini ha tracciato i sacrifici degli attori
sull’altare del pubblico. E lui ha dato a lei
un’attenzione nuova alla scrittura. E lei
ha dato a lui un rinnovato interesse alla
spazialità del corpo. Parole in movimen-
to per andare incontro al proprio destino.
“Il confronto con il grande mostro te lo fai da solo – conclude Elvira – però il tentare di
stare insieme a qualcuno è un’immagine di speranza forte che dà Zombitudine.” L’a-
more, allora, per Daniele Timpano ed Elvira Frosini è la ricerca di questa possibilità.
Un matrimonio da fare, disfare, rifare ancora, rifare sempre. Finché la morte non
cali l’ultimo sipario.
“Una coppia è un modo che si fa mondo nello sguardo. Affinità più differenze, due rette parallele, unite da un percorso comune”
Elvira Frosini e Daniele Timpano nello spettacolo Zombitudine
FOTO GIANLUCA ZONZA
24 | Quaderni della Pergola
LaVia del teatroporta a GoldoniGabriele, Lorenzoe Il vero amico
Un padre e un figlio. Un maestro e un allievo. Un figlio deve la vita al padre,
un allievo deve la conoscenza al Maestro. Quando il padre e il Maestro
sono Gabriele Lavia, la vita si conosce in teatro e in teatro si vive la cono-
scenza. “Il teatro è il mondo in cui sono cresciuto – dice Lorenzo Lavia – il
‘fuoco sacro’, il ‘richiamo’ del palcoscenico è stato un percorso maturato nella realtà di
ogni giorno.” La passione non è sorta dal nulla, da chissà quale illuminazione, è stata
allevata, nutrita da una partecipazione quotidiana: “Ho sempre seguito mio padre
dietro le quinte – ricorda – ho chiara memoria di tutti i suoi spettacoli. Quello che so,
al di là delle esperienze con registi come Maccarinelli, Patroni Griffi o Missiroli, me
l’ha insegnato lui.”
Ed è proprio su sua richiesta che il teatro Lorenzo comincia a farlo e non più solo
a guardarlo. È il 1989, ha 17 anni e lo spettacolo è Riccardo III, diretto e interpretato da
Gabriele Lavia. Da allora hanno condiviso il palco altre quattro volte, ne Il Misantro-
po, Edipo re, L’avaro, Misura per misura, e come attore l’uno e regista l’altro ne L’uomo,
la bestia e la virtù e Molto rumore per nulla. Il principio guida è sempre stato quello di
Al centro Lorenzo Lavia con
il cast de Il vero amico, in scena al Teatro
Goldoni
FOTO FEDERICO RIVA
Quaderni della Pergola | 25
imparare, imparare, imparare. “Io so quello che non bisogna fare in palcoscenico –
precisa Lorenzo – è una cosa che ti possono solo insegnare. Poi, il lavoro è personale
e ognuno porta in scena se stesso: un attore non sarà mai simile a un altro.”
Precisione, attenzione e resistenza alla fatica (“io provo otto ore al giorno, per
me è normale”) Lorenzo Lavia le ha messe nella sua valigia d’attore per affrontare il
viaggio del debutto alla regia con Il vero amico di Goldoni, in stagione anche al Teatro
Goldoni di Firenze. “L’ho scelto perché fa ridere – spiega – il che non vuol dire strizza-
re l’occhio al pubblico, ma raccontare una storia con idee e onestà: il riso è l’effetto di
una profonda e intima ironia sui sentimenti e le inquietudini morali.” Un cammino
sulle orme della storia di famiglia, come un discorso lasciato e poi ripreso. Nel luglio
’78, due mesi dopo l’assassinio di Aldo
Moro, Gabriele Lavia debutta come regi-
sta e interprete dello stesso testo di Gol-
doni. In scena c’è anche la madre di Lo-
renzo, Annarita Bartolomei. “Ho riletto
il copione di papà – ricorda – e ho comin-
ciato a ridere da solo. È proprio l’intreccio
che è molto divertente, all’interno di una
storia fatta di equivoci.” Florindo si inna-
mora di Rosaura, promessa sposa di Lelio,
suo amico fraterno, e da lei è ricambiato.
Lelio, a sua volta, sembra amare più la
dote che Rosaura, peraltro fin troppo
spregiudicata per i gusti di Florindo. In
questa allegra confusione d’animi Gol-
doni inserisce Ottavio, il padre di Rosau-
ra, uno spilorcio con il grande problema
della cassetta, come Arpagone ne L’avaro.
“Diderot, incolpato di aver preso spunto
da Goldoni per II figlio naturale, accusò
a sua volta il veneziano di aver copiato
Molière – puntualizza Lorenzo – parten-
do da questo ho aggiunto alcune battute
prese da L’avaro, nella versione usata da
mio padre, che traducono e tradiscono il
testo originale, ma ne rivelano l’anima
più nascosta, cupa, dark.”
Florindo, alla fine, rinuncia al suo amore in nome dell’amicizia per Lelio. La
lealtà pare prevalere sulla passione amorosa. Di Gabriele Lavia si può dire che
sia un vero amico? “No, non lo direi di mio padre – risponde Lorenzo – perché
è mio padre, come mia madre è mia madre. Però, non gli racconto più che testi
voglio fare, sennò lui mi fa già la regia.” Un padre e un figlio. Il maestro e l’allie-
vo, ormai, non si distinguono quasi più. “Lui è più grande di me – conclude – ma
anch’io comincio a essere vecchio e stanco.” (M.B.)
“Un figlio deve la vita al padre, un allievo deve la conoscenza al Maestro. Quando il padre e il Maestro sono Gabriele Lavia, la vita si conosce in teatro e in teatro si vive la conoscenza ”
26 | Quaderni della Pergola
Il mastro di chiaviOtello Margheri,custode della Pergola
Anno 1965, alla Pergola è di scena il Maggio Musicale Fiorentino. La
prosa era in quegli anni una presenza ricorrente, e il 24 maggio de-
butta una sontuosa edizione della Lupa di Verga, diretta da Franco
Zeffirelli con un cast sontuoso: Anna Magnani, Anna Maria Guar-
nieri, Giancarlo Giannini, Ave Ninchi, Osvaldo Ruggeri e i costumi della mai di-
menticata Anna Anni. Un fotografo scatta un’istantanea subito dopo la fine dello
spettacolo. Si vedono Zeffirelli e la Magnani dietro le quinte, vicino all’ingresso
del palcoscenico, esattamente sotto alla cabina. Tra gli uomini che applaudono ce
n’è uno molto elegante sulla sinistra, i capelli candidi sapientemente ondulati. Il
suo nome non figura in nessun compendio di storia del teatro; non è un attore,
né un drammaturgo e neppure un regista. Eppure è stato ammirato e rispettato
da almeno due generazioni di teatranti perché era un uomo-chiave del palcosce-
nico: mai definizione fu più appropriata, in quanto il suo mestiere era quello di
custode del Teatro della Pergola.
Chi è il custode di un teatro? Forse tra tutti è quello che più è legato ad esso, che
più ama quell’insieme di legno, stucco, velluto e umanità varia. Perché lo apre e lo
chiude amorevolmente, ne conosce ogni
anfratto, ogni serratura, ogni porta se-
greta. Gira indisturbato tra i corridoi
vuoti, parla con i numerosi fantasmi;
diventa lentamente parte integrante
dell’edificio stesso. Sembra il personag-
gio di un racconto di Edgar Allan Poe,
imperturbabile e silente tenutario di
una tradizione: forse quel mastro di chia-
vi identificato da una certa letteratura fantasy come il custode del regno dei morti,
e in teatro, invece, destinato a vegliare su un mondo di finzione che è al limite tra
sogno e trapasso.
Torniamo al nostro uomo della foto, elegante e plaudente. La storia minima che
non si scriverà mai su un libro ci tramanda il suo nome, Otello Margheri. Come so-
vente accade, Otello Margheri era figlio del custode della Pergola. Aveva studiato,
e per lui si apriva un promettente futuro di impiegato in banca. Ma alla morte del
genitore fu troppo forte l’attrazione per quel luogo magico, e Otello si ritrovò ben
presto col grande mazzo delle chiavi della Pergola in mano. All’epoca il custode
“Il custode di un teatro sembra il personaggio di un racconto di Edgar Allan Poe,
imperturbabile e silente tenutario di una tradizione”
Quaderni della Pergola | 27
aveva una sua abitazione all’interno del teatro, e non lo abbandonava mai, se non
per cause eccezionali. Essendo sempre il primo ad arrivare, e l’ultimo ad andarsene,
è quasi sottinteso che il custode diventi un po’ il re del piccolo mondo del palcosce-
nico. Otello Margheri seppe interpretare al meglio il ruolo che la vita gli aveva of-
ferto. Divenne amico di tutti: ogni attore che arrivava lo omaggiava, perché con le
sue chiavi gli dischiudeva il camerino che avrebbe ospitato i suoi successi. Alfonso
Spadoni lo considerava uno dei suoi primi collaboratori, la persona su cui contare
sempre e comunque. Era lì, Otello Margheri, quando l’acqua dell’Arno arrivò a lam-
bire la Pergola, sommergendo per fortuna il solo atrio d’ingresso e i locali a livello
della strada.
E alla sua
morte, giunta
prematuramente
nel 1968, scrisse
un lungo e com-
mosso addio del
quale è obbligato-
rio riportare: “Ora
che Otello se ne è
andato (silenzio-
samente, di mat-
tino presto, per
non turbare con
un evento triste la
vita operosa del
suo vecchio teatro)
ora che va a ripo-
sare lontano da
questi suoi muri,
dei quali riusciva
a sentire l’antico e
misterioso respiro,
lontano da queste
cose che amava
perché gli erano
figlie e madri - ora
che Otello non ci è più vicino allegro buono orgoglioso e saggio sentiamo che la Per-
gola ha veramente perduto qualcosa della sua anima, e non sappiamo se domani la
riconosceremo ancora”. I quotidiani lo celebrarono come una stella del palcosceni-
co nel massimo del fulgore. Altri vennero dopo di lui: l’arcigno Dino col suo fede-
le cane e il borbottio perenne, l’affettuosa e onnipresente Silvana, Marcello con
l’hobby della musica, l’ordinato e silenzioso Carlo, oggi Daniele, Dario e Samuele.
Forse il tempo ha tolto un briciolo di sacralità a questa figura, ma resta sempre
l’emozione delle chiavi che tintinnano, delle porte che si schiudono sulla magia
del teatro. (R.V.)
Anna Magnani e Franco Zeffirelli dietro le quinte del Teatro della Pergola. Otello Margheri è il primo da sinistra.
Appesi
La parola al pubblico
C’è uno spazio tra me e te
un confine delineato dal tempo
silenzi profondi interrotti da parole sfuggenti.
Segreta è la promessa
Le nostre anime si sono riconosciute
l’Una nell’Altra
e nelle maree di luna piena
si rincorrono, s’intrecciano, si nascondono.
Quanto tempo ci è dato?
ancora e ancora
bocca contro bocca
sogno dentro sogno
A.
diAlice Nidito
Quaderni della Pergola | 29
È andata! Di colpo, seduto in uno dei palchetti del Teatro della Pergola, lon-
tano dal palco come mai ero stato in tutti questi giorni, sono diventato
spettatore, rendendomi conto con stupore che la creatura era lì e stava
vivendo senza di me, senza possibilità di alzarmi e interrompere l’azio-
ne con una indicazione registica, assistevo a qualcosa che avrei dovuto conoscere
nei minimi particolari e che era invece del tutto nuova e inaspettata. È che nel
teatro gremito fin su alla piccionaia, adesso nasceva una nuova drammaturgia
ancora non sperimentata, ora le reazioni degli spettatori, le risate, gli improvvi-
si battimani, i sussulti, i silenzi, l’attenzione e l’ascolto insomma stavano impri-
mendo un altro Tempo allo spettacolo e questo era meraviglioso. Lo avrei dovuto
sapere, certo, ma solo quando accade lo riscopri ogni volta come cosa nuova. E gli
attori non hanno fatto altro che surfare sull’onda emotiva da loro stessi generata
e adattarsi con stupore a questo novello sentire. Boccaccio era lì, seduto in quarta
fila, sgranocchiando lupini, e rideva sgangherato più di tutti gli altri, che pure per
lui le sue novelle rivelavano qualcosa di totalmente inaspettato.
Gli interpreti raccontano
L’EMOZIONE DEL DEBUTTO
diMarco Baliani
IMMAGINE CLARA BIANUCCI
30 | Quaderni della Pergola
TildaSwinton
IL SENSO DI TILDAPER LA VITA
Your performance The Cloakroom presented at the Saloncino of Pergola Theatre as part of the Expression of Pitti Immagine - involves the exchange, between you and the public, of their coats that belong and are important to very different people. According to what particular emotion are these clothes identified and worn?The performance is entirely inte-
ractive - meaning that the audience
that comes and the pieces of clothing
that they choose to offer are an integral
element of what happens. Each perfor-
mance is, therefore, unique, depending
on who is there and what they bring.
In many ways, the performance has
La sua performance The Cloakroom presentata al Saloncino del Teatro della Pergola nell’ambito della Manifestazione di Pitti Immagine prevede lo scambio, con il pubblico, dei loro soprabiti che appartengono e sono importanti per persone molto diverse tra loro. Secondo quale particolare emozione vengono individuati ed indossati questi indumenti?La performance è totalmente inte-
rattiva – significa che il pubblico che
arriva e gli abiti che scelgono di offrire
sono elementi fondamentali di ciò che
avviene. Ogni performance è, quindi,
unica perché dipende da chi è presen-
te e da ciò che porta con sé. Sotto molti
aspetti la performance ha più a che fare
con le relazioni piuttosto che con le ca-
ratteristiche degli oggetti stessi: tutti
noi sappiamo che certi abiti suscitano
dei collegamenti, molto spesso anche
un attaccamento
passionale, sem-
pre sommamente
personale. Direi
che l’aspetto più
interessante di un
indumento, anche
il più esotico, è che
le persone vivono
al suo interno…
Questa pièce si
basa essenzial-
mente sull’atten-
zione a questo fat-
to, sullo ‘spirito’ dei
vestiti con i quali
noi viviamo ogni
giorno – e il dialogo nel quale essi ci im-
pegnano. Ciascuno scambio è un incon-
tro tra cose viventi – me e l’oggetto, ed è
interamente composto di gesti istintivi
suggeriti da questa relazione.
FOTO GIOVANNI GIANNONI
Quaderni della Pergola | 31
more to do with relationship than the
particular characteristics of the objects
themselves: we all know that certain
pieces of clothing elicit connection,
very often passionate attachment,
always supremely personal. I would
suggest that the most interesting thing
about even the most exotic object of
clothing is that people live in them…
This pièce is about attention to this fact,
to the ‘spirit’ of the clothes with which
we live closely each day - and the dia-
logue they engage us in. Each encoun-
ter is a meeting between ‘living’ things
- me and the object. It is entirely made
up of intuitive gestures suggested by
this relationship.
Since the days of Orlando - where your character changed and transited from masculine to feminine – you said that the transformation, especially in stories that like actress you have to represent, is crucial. Wearing a different outfit after another - getting in touch with so many identities, the most heterogeneous - however, involves a transformation?Well, in Cloakroom I ‘get in touch
with’, as you say, but I do not ever wear
the clothes. It is important that there is
a disconnect in this space between the
object’s usual ‘life’ and this particular
‘relationship’ with me. I often think of
taking my animals to the vet, lifting
them onto the table for the examina-
tion of the veterinarian, when perfor-
ming this piece. So, in that light, I sup-
pose that transformation (once again)
is a key: the transformation of a piece
of clothing made for and usually enga-
ged in one purpose, here transformed
into a different matter, illiciting fresh
responses. The cloakroom attendant
Fin dai tempi di Orlando - dove il suo personaggio transitava dal genere maschile al femminile - Lei ha detto che la trasformazione, nelle storie che si trova a rappresentare, è fondamentale. Indossare un abito diverso dietro l’altro - entrando in contatto con tante identità - comporta comunque una trasformazione?
In Cloakroom io ‘entro in contatto’ ,
come hai detto prima, ma non indosso
mai gli abiti. È importante che ci sia
una disconnessione in questo spazio
tra ‘la vita quotidiana’ dell’oggetto e la
FOTO GIOVANNI GIANNONI
32 | Quaderni della Pergola
is somehow divested of the program
that dictates how a coat or a scarf may
be customarily used: like a pair of new
eyes - as if from another planet - she as-
sesses each garment not for its usually
evaluated properties, but according to a
different scale - maybe something like
a barometer that measures the stories
it carries and maybe the essence of its
bond with its ‘owner/partner’.
You are used to alternate your films with artistic performances that make you travel around the world (one of all The Maybe, where you are exposed, as a dormant figure, for hours in a glass case). Which particular kind of expectation does a performance create? And how it is lived from the point of view of dramaturgy?I am more and more interested in
the concept of presence and absen-
ce and of the real, lived experience
as opposed to - and also in harmony
with - the mediated trace. The per-
formances Olivier and I have created
over the past three years (The Impos-
sible Wardrobe, Eternity Dress and,
now, Cloakroom) have had at their he-
art the subject of the ephemeral, the
examination of matter. They have all
been presented without much expli-
cit explanation or front-loading of
expectation. The Maybe, at MoMA in
2013, was presented in the museum
without any prior announcement and,
only after it’s appearance, was accom-
panied by the briefest of descriptive
statements and no photographs. The
piece appears, unannounced, on ran-
dom, unscheduled days in unexpected
parts of the museum. Now you see it,
now you don’t. It has never been attri-
buted a specific schedule, nor will it.
What runs through all these works,
particolare ‘relazione’ con me. Quando
recito in questa performance, penso
spesso a quando porto i miei animali
dal veterinario e li metto sul tavolo per
un controllo. Quindi, sotto questa luce,
credo che la trasformazione (ancora
una volta) sia una chiave: la trasfor-
mazione di un abito fatto e solitamente
utilizzato per uno scopo, viene trasfor-
mato in una materia diversa e autoriz-
za nuove risposte. L’addetta al guarda-
roba è in qualche modo spogliata della
sua funzione che detta il modo in cui
un cappotto o una sciarpa possano es-
sere solitamente utilizzati: con un paio
di occhi nuovi – come se provenissero
da un altro pianeta – lei valuta ogni
capo non per il loro scopo usuale, ma in
accordo con un diverso metro di giudi-
zio – come un barometro che misura le
storie che porta e forse l’essenza del le-
game con il suo ‘proprietario/partner’.
Lei è abituata ad alternare I suoi film con performance artistiche che porta in giro per tutto il mondo (una fra tutte The Maybe, dove si espone come dormiente, per ore in una teca di cristallo). Una performance che tipo di aspettativa crea? E come viene vissuta drammaturgicamente?Sono sempre più interessata al
concetto di presenza-assenza e all’e-
sperienza reale e vissuta, in opposi-
zione – e anche in armonia – con la
traccia mediata. Le performances che
io e Oliver abbiamo creato negli ulti-
mi tre anni (The Impossible Wardrobe,
Eternity Dress e, ora, Cloakroom) hanno
avuto, nel cuore, il tema dell’effimero
e l’ispezione della materia. Sono state
tutte presentate senza una spiegazione
esplicita o una grande preparazione.
The Maybe, al MoMa nel 2013, è stata
presentata in quel museo senza nes-
Quaderni della Pergola | 33
for my part, is a crucial weighing of
actual, unrepeatable, authentic, lived
experience and the essence of kinetic
energy and shared time.
You have started the job of actress in the London theater avanguard to land, finally, to the cinema. What have these two forms of expression given you? Did your arrival in Hollywood mark a transformation of your job compared to an original European training?
I have a longstanding curiosity
about live performance - music, dance,
performance art - that runs alongside
my engagement with film. See above...
although my relationship with the ‘le-
gitimate’ theatre is more complicated..
I have, candidly, no real attachment
to the theatre, in fact, I never had. My
work in the theatre in the early years
of my working life was actually purely
suno annuncio precedente; solo dopo
il debutto questa performance è stata
accompagnata da una spiegazione bre-
vissima e senza nessuna fotografia. La
pièce avviene, non annunciata, in gior-
ni casuali e non programmati, in luoghi
inaspettati del museo. Ora la vedi, ora
non la vedi. Non è mai stato dato un
orario definito, e non lo sarà. Ciò che
attraversa tutte queste opere, secondo
me, è il fondamentale peso del reale:
quell’irripetibile, autentica esperienza
vissuta, così come l’essenza dell’energia
cinetica e del tempo condiviso.
“Sono sempre più interessata al concetto di presenza e di assenza e all’esperienza reale e vissuta, in opposizione
- e anche in armonia - con la traccia mediata”
FOTO GIOVANNI GIANNONI
34 | Quaderni della Pergola
a stop on the road. I have never had a
desire to be an actor - I still don’t. I was
always a writer. My passion for cine-
ma was always - and still is - the pas-
sion of a cinema fan. When I started
working in film, with Derek Jarman
in 1985, I was preparing to stop per-
forming altogether, having worked in
the theatre for two years and realizing
that I was not inspired by what I found.
With Derek I was able to develop, over
nine years and seven films, a way of
being a performer that meant I could
bring myself with me, a way that felt
authentic and engaged my sense of
authorship in a way that being an in-
terpretative actor in the theatre had
never been able to fulfil. As for my ‘ar-
rival in Hollywood’, and my ‘European
training’, I would have to declare that
I have achieved neither…I am entirely
untrained as a performer and I visit
Ha iniziato il mestiere di attrice nell’avanguardia teatrale londinese per approdare poi definitivamente al cinema. Questi due linguaggi espressivi che cosa le hanno dato? L’arrivo ad Hollywood ha segnato una trasformazione, rispetto ad un’iniziale impostazione europea, del suo mestiere di attrice?
Ho una curiosità, di lunga data, per
le performance dal vivo – musica, danza,
arte performativa – che va di pari passo
con il mio impegno nel cinema. Sebbene
la mia relazione con il teatro ‘legittimo’
sia più complicata… Non ho, onesta-
mente, una vera passione per il teatro,
in effetti non l’ho mai avuta. Il lavoro
in teatro nei primi anni della mia vita
lavorativa è stato uno stop per me. Non
ho mai avuto il desiderio di essere un at-
trice – e tuttora non ce l’ho. Sono sempre
FOTO GIOVANNI GIANNONI
Tilda Swinton con Olivier Saillard,
Direttore del Palais Galliera di Parigi
Quaderni della Pergola | 35
Hollywood only rarely, briefly and
always with a tourist’s sense of wonder
and holiday spirit, never anything like
arrival.
Winning many awards, especially the Oscar, which is perhaps the award prizes for an actress... Have you ever felt to a point of arrival?The helpful fact is that pretty
much none of the destinations I have
passed through during my life did I
actively aim for… I am permanently in
a state of having been blown off-cour-
se… It’s a great feeling... no arrivals,
always passing through…
In addition to the role of the actress, with the film by Luca Guadagnino’s I am Love, you have also experienced the job of producer. The film was preceded by the project Tilda Swinton: The Love Factory where you and the director talked about different themes of love. What did convince you of this project? And, more generally, after these long thoughts what have you understood about the Feeling of Love?I am love was inspired very preci-
sely by our experience of making The
love factory - a film portrait based on
a conversation in which we discuss,
amongst other things, the nature of
true love… we hit upon a sense of
love as an instigation to revolution:
to absolute (witnessed and supported)
self-determination. It is a sense that
I have only become more convinced
of in the time that has passed since…
that the best company, the most pro-
perly loving, is respectful of our in-
nate (shared) solitariness. Those that
stata una scrittrice. La mia passione per
il cinema è sempre stata – e lo è anco-
ra – la passione di una fan del cinema.
Quando ho cominciato a lavorare nel ci-
nema, con Derek Jarman nel 1985, sta-
vo per fermarmi del tutto, dopo aver
lavorato in teatro per due anni e avere
realizzato che non ero stata ispirata
da ciò che avevo trovato. Con Derek
sono stata capace di sviluppare, duran-
te nove anni e sette film, un modo di
essere performer che ha significato di
potere far emergere la vera me stessa,
un modo che ho percepito autentico e
che mi ha permesso di intraprendere
la mia professione di scrittrice in un
modo che come attrice interpretativa
in teatro non ero mai stata capace di
soddisfare. Per quanto riguarda il mio
‘arrivo a Hollywood’, e il mio ‘training
europeo’, devo confessare di non aver
raggiunto nulla... Sono completamente
‘priva di addestramento’ come perfor-
mer e vado a Hollywood raramente,
brevemente e sempre con un senso di
meraviglia e spirito di vacanza propri
del turista. Non c’è mai stato un arrivo
definitivo, in questo senso.
Vincere tanti premi, soprattutto l’Oscar, che forse per un’attrice rappresenta il premio dei premi... Ci si sente mai ad un punto di arrivo?
“Quasi nessuna delle destinazioni cui sono arrivata e da cui sono passata nella mia vita erano qualcosa a cui puntavo... Sono costantemente come ‘soffiata via’ dal percorso intrapreso... È una sensazione bellissima... nessun approdo, sempre passaggi da attraversare...”
36 | Quaderni della Pergola
Il fatto positivo è che quasi nessuna
delle destinazioni a cui sono arrivata
e da cui sono passata nella mia vita
erano qualcosa a cui puntavo… Sono
costantemente come ‘soffiata via’ dal
percorso intrapreso… È una sensazione
bellissima… Nessun approdo, sempre
passaggi da attraversare…
Oltre al ruolo di attrice, con il film di Luca Guadagnino I am love ha sperimentato anche il mestiere di produttrice. Il film era preceduto dal progetto Tilda Swinton: The Love Fac-tory dove Lei e il regista conversavate sui vari temi dell’amore. Che cosa l’ha convinta di questo progetto? E, più in generale, dopo queste lunghe rifles-sioni che cosa ha capito del sentimen-to amoroso?
I am love è stato ispirato dalla no-
stra esperienza mentre giravamo The
love factory – un film-ritratto basato
su una conversazione, nella quale io e
il regista discutiamo, tra le altre cose,
sulla natura del vero amore… Abbia-
mo voluto insistere sul senso dell’a-
more come istigazione alla rivoluzio-
ne: all’assoluta (assistita e supportata)
autodeterminazione. E’ un qualcosa di
cui sono divenuta sempre più convinta
nel tempo… La migliore compagnia,
l’amante più appropriato, è rispetto-
so della nostra innata (e condivisa)
solitudine. Coloro che capiscono cosa
intendo possono essere d’accordo che
ciò costituisce la partenza dal concet-
to generalmente ‘commercializzato’ di
‘unità’ nel quale l’ideale romantico de-
scrive una perdita di sé, in effetti. Es-
sere capaci di mostrarsi, veramente, ad
un’altra anima e saperci accettati – ac-
cettabili! – è un miracolo che avviene
tutti i giorni. È qualcosa di cui noi esse-
ri umani siamo capaci e per cui vale la
pena adattare la propria strada.
know what I mean by this may agree
that this constitutes a departure from
the generally marketed concept of
‘oneness’ in which the romantic ideal
describes a loss of self, in fact. To be
able to show oneself, truly, to another
soul, and to know oneself to be accep-
ted - acceptable! - is a practical miracle
every day. It’s something we humans
are actually capable of. And it’s worth
setting one’s course for...IMMAGINE CLARA BIANUCCI
Quaderni della Pergola | 37
HanifKureishi
OLTREI LIMITI
Tutti i suoi libri mantengono, oltre ad una riflessione sulla società, una capacità di raccontare le emozioni e i desideri che risiedono nella parte più intima di ognuno di noi. Scrivere può essere un modo per riuscire a raccontare ed indagare le relazioni tra le perso-ne, anche le più complesse?Il linguaggio ha una forza molto po-
tente, in grado di costruire o decostrui-
re un rapporto: attraverso un uso della
lingua piuttosto che un altro si posso-
no valorizzare oppure far affondare i
personaggi. E questa caratteristica non
appartiene soltanto agli scrittori, anzi
ognuno di noi può utilizzare il linguag-
gio in maniera creativa: per costruire
noi stessi o per stabilire le relazioni con
le altre persone. Non c‘è cosa peggiore
del silenzio, che fa spesso rima con rab-
bia, insoddisfazione, regimi dittatoria-
li… Invece il linguaggio, e più in parti-
colare la scrittura, può esprimere molta
forza ed ha la possibilità di descrivere
qualsiasi cosa.
Quando scrive, soprattutto soffer-mandosi sui sentimenti, si pone mai dei limiti morali?Ognuno di noi conosce i limiti che è
bene non oltrepassare, ce lo hanno in-
segnato fin da bambini: ci sono cose che
non si possono dire o fare… Piano piano
crescendo ogni tanto adoriamo varca-
re quei limiti, per mettere alla prova
chi ci circonda. Credo che se non ci si
mette mai alla prova, anche arrivando
a violare i propri limiti e spingendosi
fino all’estremo, non si potrà mai capire
il senso di sé. Esiste un equilibrio per-
petuo tra quello che può essere detto
e quello che invece è vietato. In parti-
colare un artista è fortunato quando
riesce ad andare al di là di certi limiti.
Scrivendo io non amo pormi limiti,
soltanto così trovo che possa emerge-
re l’essenza. Come già detto prima, il
silenzio è sempre negativo, per cui cer-
co ad ogni costo di arrivare alla verità,
perfino arrivando a far male agli altri
o offendendone la sensibilità. Io sono
anche un insegnante di letteratura cre-
ativa e spesso i miei studenti mi dicono
di avere avuto un’idea per scrivere una
storia ma di non poterla raccontare per
paura di ferire i propri genitori, esat-
tamente come accade ai bambini. C’è
una lotta interna in ognuno di noi, per
riuscire a scoprire fino a che punto ci si
possa spingere e capire cosa realmente
gli altri possano arrivare a tollerare…
A chi vuole diventare scrittore io dico
sempre di spingersi fino ai margini
quasi della follia, di superare tutti i li-
miti, perché soltanto così il gioco si fa
interessante. Dostoevskij, Shakespeare,
Kafka sono autori che hanno scritto
cose molto audaci. La letteratura non
è una cosa tiepida, deve anzi contene-
re molto coraggio, ed è un’audacia che
può diventare quasi pericolosa perché
riesce a portarti oltre l’inimmaginabile.
“Vedo la sessualità come qualcosa di altamente destabilizzante:
non si può fare a meno di seguire il desiderio, anche al di là della propria
volontà o della razionalità”
38 | Quaderni della Pergola
La passione e il sesso sono tema-tiche assolutamente decisive nei suoi libri.Sono cresciuto negli anni Cinquan-
ta, in un’epoca in cui tutto taceva sul
fronte della sessualità. Il sesso era un
tabù assoluto: non se ne parlava, non se
ne scriveva e le persone rimanevano
sposate per tutta la vita. Le cose hanno
cominciato a surriscaldarsi negli anni
Sessanta, per poi scatenarsi negli anni
Settanta. La collocazione della sessuali-
tà nella nostra vita, le pulsioni più in-
time: sono temi che mi hanno sempre
intrigato. Basta aprire la cronaca di
qualsiasi giornale per rendersi conto
quanto la sessualità entri in campo con
la politica, per esempio, o più in genera-
le con il potere. Il sesso spesso trascina
le persone e crea problemi. Vedo la ses-
sualità come qualcosa di altamente de-
stabilizzante, nel senso che non si può
fare a meno di seguire il desiderio, an-
che al di là della propria volontà o della
razionalità. Come
scrittore mi sono
sempre trovato
bene a giocare
sulla sessualità,
la metto al centro
dei miei romanzi
perché trovo che
sia un enigma, è
una parte impor-
tante ed impre-
scindibile della
nostra esistenza.
Il principio del piacere provoca nei suoi perso-naggi anche un senso di colpa o di espiazione?Sarei veramente
scioccato se sco-
prissi che i per-
sonaggi dei miei
romanzi non si
sentissero almeno
un po’ in colpa. Il
piacere correlato
al sesso costitui-
sce sicuramente
un momento di grande godimento e gio-
ia, ma è seguito sempre da una certa sof-
ferenza. Il piacere si basa sulla trasgres-
sione ed è questo a renderlo intrigante.
Andare oltre la proibizione comporta
poi un’autopunizione. È la punizione
stessa che diventa piacere e lo spingersi
oltre i limiti enfatizza il piacere.
IMMAGINE CLARA BIANUCCI
Quaderni della Pergola | 39
“l’IO non è padrone” ed è una frase che
ci dice bene come stanno realmente le
cose nella nostra parte più recondita.
Per spiegare l’essenza della psica-nalisi, Lei ha preso in prestito la frase latina odi et amo.È un’espressione che emerge dal li-
bro. Wanda, l’altra protagonista, è pie-
na di risentimento e odio nei confronti
di questi due uomini che, ognuno per
suo conto, le hanno rovinato la vita.
Però nello stesso tempo lei ne è soggio-
gata perché l’odio e l’amore sono due
facce complementari della stessa cosa.
E questo spiega anche la facilità con
cui l’amore può diventare odio: quante
coppie che si sono amate in tutti i sen-
si, sia dal punto di vista affettivo che
della sensualità, poi rompono e tra-
sformano l’amore in un rapporto con-
flittuale e terribile, che a volte sfocia
addirittura nel delitto. L’amore e l’odio
sono due facce opposte di uno stesso
Il suo ultimo libro si intitola Il lato oscuro del cuore ed è innegabile che la parola cuore sia un termine carico di tanti significati…L’idea iniziale era di indagare il lato
oscuro della mente, però in un secondo
momento è stata scelta la parola cuore
proprio per il fascino che contiene in
sé. Il cuore è la sede degli affetti, laddo-
ve la mente è la sede del giudizio. Ab-
biamo scelto il cuore per raccontare la
storia della protagonista Clara: quello
che lei fa nel libro ci porta a riflettere
su quel momento bellissimo della sto-
ria della medicina in cui ci si chinò, per
la prima volta in maniera sistematica,
ad indagare sui misteri della mente
umana. Siamo tra la fine dell’Ottocen-
to e l’inizio del Novecento, anche se i
misteri della mente erano già noti ai
greci. Non dimentichiamoci che i greci
indagavano su tutto.
Il cuore è parente anche dell’in-conscio, il lato oscuro che viene ricercato nel libro?Certo, questo può essere un aspet-
to della spiegazione della parola cuore.
L’inconscio conserva tutto il nostro ri-
mosso, quei ricordi e quelle esperienze
traumatiche che vengono rimosse e da
cui scaturisce la nevrosi. Non sappia-
mo di avere questi sentimenti dentro
di noi perché sono nascosti all’interno
del nostro animo. Freud diceva che
CorradoAugias
IL CUORE DI UNA STORIA
40 | Quaderni della Pergola
trasporto forte e perfino violento. Del
resto l’amore è un sentimento violen-
to. Pensiamo a quando capita che un
bambino inconsapevole veda i propri
genitori che fanno l’amore: la scena
viene scambiata per un momento di
aggressione…
Per raccontare i meandri più profondi del cuore e della mente ha sentito la necessità di abban-donare la forma saggistica e di ritornare al romanzo?In realtà io volevo scrivere un sag-
gio, però mi sono reso conto che su
questo argomento esistono già dei sag-
gi magnifici che ho letto con grande
profitto. Ho pensato che fosse inutile
che un profano come me si mettesse a
competere, in forma teorica, su questo
terreno psicanalitico. Ho preferito in-
ventarmi una storia e per scriverla ho
pescato in alcuni miei ricordi più lon-
tani, nel tempo in cui facevo il cronista.
Allora intervistai una prostituta che
mi raccontò la sua storia, che in parte
assomiglia a quella che nel mio libro
vive Wanda. La storia mi colpì perché
era fortissima e triste: quella donna
si era trovata a fare questo mestiere
difficilissimo quasi senza rendersene
conto, ed è quello che succede anche
a Wanda. Uno degli scopi che ho sem-
pre perseguito nella mia vita è stato
quello di raccontare storie. Di recente
ho letto un testo di Massimo Recalcati,
L’ora di lezione, che è un libretto piccolo
e prezioso. Mi sono ritrovato nelle sue
parole: per essere credibili e suscitare
attenzione bisogna credere nella sto-
ria che si racconta, proprio come deve
fare il bravo insegnante che deve cre-
dere e avere fiducia in quello che sta
comunicando ai suoi allievi. Ecco che
io, quando racconto una storia, mi im-
IMMAGINE CLARA BIANUCCI
Quaderni della Pergola | 41
medesimo fortemente nella vicenda
ed è bello perché vedo che le persone
stanno attente e mi ascoltano.
Quando racconta una storia, il suo obiettivo è quello di arrivare a suscitare un’emozione?L’essere umano ha sempre vissuto
raccontando ed ascoltando storie. Già
Omero, quando scriveva l’Odissea, vo-
leva raccontare il viaggio di un uomo:
le avventure dell’eroe che ritorna dopo
una lunga guerra verso casa. L’Odissea
è un romanzo di avventure belliche: ci
sono litigi, assassini e vendette al suo in-
terno che inchiodano il lettore e lo spro-
nano a scoprire la fine di questa intermi-
nabile storia. Forster, il grande scrittore
inglese, descrive l’arte della narrazione:
quando la tribù si riuniva la sera intor-
no al fuoco, lo stregone cominciava a
raccontare una storia. Si parlava delle
vicende della tribù stessa o di quella vi-
cina, e tutti stavano a sentire. Se si anno-
iavano, magari prendevano un bastone
e cominciavano ad ammazzare proprio
la persona che stava raccontando. Il
narratore doveva quindi avvincerli con
la sua storia, per rimanere vivo. Adesso,
ai giorni nostri, la vicenda è sempre la
stessa: c’è chi ti racconta una storia e tu
stai lì a bocca aperta ad ascoltare come
va a finire… Proprio come quando da
bambini sentivamo le favole: è in questo
particolare sentimento che sta tutta la
forza della narrazione.
La narrazione è dunque anche l’essenza del teatro, il tentativo di riuscire a trasmettere una storia agli spettatori?Ho scritto tanto teatro da giovane,
ma ha una struttura diversa rispetto
alla pura narrazione. Il teatro funziona
sulla molla della dialettica: una storia
teatrale deve vivere su una contrappo-
sizione. Nel caso del dramma la contrap-
posizione è netta e visibile, dichiarata
apertamente tra le due parti. Quando
questa diviene fatale, dunque inconcilia-
bile, si arriva a quella particolare specie
di dramma che è la tragedia. Sono due
posizioni inconciliabili che si scontrano:
Antigone, per esempio, deve sottostare
alla legge di Creonte che le impedisce di
seppellire il fratello o piuttosto seguire i
dettami dell’umanità che impongono di
dare ai morti la giusta sepoltura?
Una sua definizione di scrittura.La scrittura è la voglia di dire o di
ascoltare una storia. Poi l’uso che si fa di
questa storia può essere molteplice. Ov-
viamente ciascuno sceglie il suo e que-
sto può significare tante cose: per esem-
pio, si apprende una storia e si decide di
buttarla subito via…
“Il cuore è la sede degli affetti, laddove la mente è la sede del giudizio ”
IMMAGINE CLARA BIANUCCI
42 | Quaderni della Pergola
Il teatro è fatto di tante realtà in cui ognuno trova la propria. È un segreto legame
che si crea fra l’attore e ognuno dei suoi spettatori, come fa un padre con i suoi
figli; ci prende per mano e ci conduce al termine. Dunque penso che il teatro sia
come la vita dell’uomo. Con un inizio, uno svolgimento più o meno lungo ma ine-
sorabilmente una fine. Tragedia e commedia legate, unite insieme. E penso sia pro-
prio questo ciò che ci fa scegliere uno spettacolo invece che un altro. Inconsciamente
il nostro vacillante pendolo cadrà proprio su quel titolo che è la rappresentazione del-
le nostre più segrete passioni, dei nostri inarrivabili desideri e delle nostre irrazionali
paure. Tutto ciò è il teatro, il mettersi comodi e aspettare. Aspettare di guardare con
lapsus e improv-
visazioni, unici
momenti e istanti
che non capite-
ranno mai più, se
non come copia di
un tempo che fu.
Se il Teatro riesce,
ancora, ad emozio-
nare è buon segno.
Significa che avete
scelto lo spettacolo
giusto per sfiora-
re le sottilissime
corde dell’animo
umano, del vostro
animo così oscuro
e personale. Oscu-
re come le quinte,
nere, profonde,
capaci di proteg-
gere con la loro
impenetrabilità l’attore e la scena. E la scena non è che la faccia, la faccia sotto la
maschera che ogni giorno ci allacciamo. Il teatro però non dorme mai, ma continua
a riecheggiare eternamente antiche canzoni, lontane parole urlate, ridacchiate, sus-
surrate alle orecchie degli spettatori. Il teatro è una grande magia in cui non c’è mago
ma la sola razionale possibilità di credere nell’impossibile.
Il teatro è, dunque, tutto ciò che vuoi, spettatore, attendi solo che si abbassino le luci
e si alzi il sipario della tua esistenza.
diCaterina Baronti
Dal diario di una giovane spettatrice...
Una grande magia
IMMAGINE DALILA CHESSA
Quaderni della Pergola | 43
Dal palcoscenico del Teatro Goldoni
Amore.
Come posso io parlare di amore senza parlare di amore per il teatro? E
cosa mi può fare amare, vedere e fare il teatro se non l’amore per la vita?
Nel mio spettacolo tutti i personaggi che ruotano intorno ai due Inna-
morati riflettono sulla vita, in un gioco di rimbalzi dove insieme agli attori nel gioco
d’amore passa anche il mio (e il nostro) amore per il teatro. Amare il teatro è amare
la vita. Il teatro, come la vita, accade. E sorprende. Ed è accaduto a me e ai miei attori
e con Firenze, con Goldoni e con la Pergola. A Firenze mentre alla sera recitavano
il Don Giovanni di Filippo Timi, gli attori della compagnia si sono ritrovati intorno a
questo nuovo testo, ed è accaduto che proprio lì a Firenze abbiamo trovato dentro
alla grazia della pergolina la grazia delle prime prove in piedi, la carne un corpo e
un frammento di anima. Le chimiche che nutrono il teatro e che lo fanno accadere
sono imprevedibili e inspiegabili come nella vita. Ora si chiude un ciclo proprio al
Goldoni di Firenze ma dal Goldoni di Firenze ci siamo promessi una nuova tournée e
un nuovo appuntamento. Grazie agli organizzatori del teatro che con il loro caloroso
abbraccio, ci fanno sentire ogni volta accolti in una bellissima casa.
Gli innamorati
diAndrée Ruth
Shammah
44 | Quaderni della Pergola
Quaderni della Pergola | 45
46 | Quaderni della Pergola
Quaderni della Pergola | 47
diAdela Gjata
Mazzi di violette, fazzoletti ricamatie guanti bianchi...
La Storia racconta...
Fin dal Settecento il teatro è luogo privilegiato di incontri amorosi, non
solo concertati ma anche fortuiti. La noncuranza per lo spettacolo e il
conseguente disordine della sala sono un topos della descrizione del
pubblico teatrale che perdura anche nell’Ottocento. Il marchese De Sade
scriveva nel 1775, riferendosi ai teatri lirici fiorentini, che “i palchi sono grandi:
vi si gioca, vi si cena e, grazie a una tela che si abbassa sottraendo agli sguardi
degli spettatori, vi si può far di peggio, se si vuole”. Sedi privilegiate di corteg-
giamenti e appuntamenti galanti sono soprattutto i palchi, quasi dei prolunga-
menti naturali dei salotti nobiliari, dove si fanno nuove conoscenze, si riceve e si
conversa, si gioca a scacchi, si sgranocchiano dolciumi e si sorseggiano sorbetti.
L’intimità di questi luoghi è stimolata dalla struttura stessa del teatro all’italiana
con i palchi completamento divisi l’uno dall’altro, differenti,
ad esempio, dai palchi dei teatri francesi che sono separati
da tramezzi parziali. Per cui mentre in Francia “vi si recita
la commedia dell’amore, in Italia vi si fa all’amore” per dirla
con le parole di Georges Banu.
Visto dalla parte del pubblico, il teatro può essere os-
servato come attraverso un congegno ottico che ribalta le
prospettive, rigettando la rappresentazione sullo sfondo e
privilegiando gli aspetti legati alla vita degli spettatori. Luo-
ghi come lo scalone d’ingresso, il foyer e la sala diventano
una scena parallela a quella ufficiale, ribalte della rappre-
sentazione di sé, dove sfoggiare abiti alla moda e vistose
toilette, catturare sguardi o spiare ammiccanti da dietro un
binocolo. Il teatro è non solo luogo del riconoscimento socia-
le, ma anche regno delle emozioni e del desiderio. Il potere
di coinvolgimento emotivo o di richiamo erotico del palco-
scenico determina talvolta l’esistenza stessa degli spettatori.
Per i giovani amanti dei romanzi ottocenteschi il teatro è il luogo più idoneo alla
visione della donna amata come su un palcoscenico. È a teatro che Pietro Brusio,
protagonista di Una peccatrice di Verga, segue ogni movimento di Narcisa, che
fino ad allora aveva adorato da lontano. La seduzione della toletta delle signore,
il fascino e la complicità dell’ambiente teatrale fungono da catalizzatore dell’im-
maginario passionale. In un altro romanzo sentimentale di Verga, Eva, prima di
William Hogarth, The laughing audience,
incisione del 1733
48 | Quaderni della Pergola
L’effet du mélodramme, dipinto di Léopold-Louis
Boilly, 1820, Versailles, Musée lambinet
restare ammaliato dalla ballerina omonima, Enrico osserva la sala della Pergo-
la dal suo posto in platea: “I palchetti si andavano popolando di belle signore;
avevano indosso tanti fiori, e gemme, e nastri, e bianco, e rosso, che nella mezza
luce sembravano tutte belle.” Il protagonista del racconto Novembre di Flaubert
è invece inebriato dall’aria che si respira in teatro “profumata di un caldo odore
di donna ben vestita, qualcosa che sapeva di mazzi di violette, di guanti bianchi,
di fazzoletti ricamati”.
Il tema del teatro come luogo di iniziazione amorosa e libertà dei costumi è,
del resto, una costante che attraversa le epoche. È nel parigino Opéra Comique
che Armand conosce la splendida Marguerite Gautier, la Signora delle camelie,
il cui irresistibile fascino accresce in presenza del binocolo, del cartoccio di dolci
e delle sue camelie. Il corteggiamento
delle quattro sorelle della pirandel-
liana Leonora,addio! (1910) avviene
durante le feste, i balli e soprattutto
in teatro. Quest’ultimo non è tuttavia
solo luogo di incontri, ma anche sede
di svolte sentimentali, intrighi e rive-
lazioni. In Tigre reale di Verga, proprio
durante un’opera lirica alla Pergola,
Nata concede a Giorgio La Ferlita un
bacio inaspettato.
Il mondo di cartapesta della scena
diventa il fondale in cui le protagoni-
ste dei romanzi ottocenteschi, soprat-
tutto le fanciulle che si affacciano alla
vita, proiettano amplificati i loro desideri vaghi e segreti. Se passioni latenti e
desideri di trasgressione sconvolgono l’apparente sicurezza delle spettatrici ari-
stocratiche, le borghesi e le ragazze del popolo vedono nel palcoscenico lo spec-
chio su cui proiettare le aspirazioni a una vita ideale che le elevi al di sopra della
mediocrità quotidiana. La protagonista de L’attrice di Antonio Piazza ricorda così
la sua prima serata teatrale: “Sono uscita dal teatro colla testa piena di idee, colla
memoria piena di versi e col core mosso da vari affetti.” La prima serata a tea-
tro, che per le fanciulle del XIX secolo corrisponde all’entrata in società, è un
momento magico di turbamento. In termini di sinestetico inebriamento racconta
la prima volta all’Opéra la ragazza incontrata dal protagonista di Notti bianche
(1848) di Dostoevskij. Le impressioni sullo spettacolo si sovrappongono alla pre-
senza del giovane di cui si innamora.
La suggestione del teatro rapiva sovente le fanciulle e i galantuomini del se-
colo del Romanticismo e lo fa tuttora con i romantici del XXI secolo, sollevandoli
a fantasticare sopra le nuvole e a ballare tra gli angeli e i fiori dei soffitti affre-
scati. Il fascino del teatro risiede, ora come allora, nell’intrigante atmosfera, che
evoca le antiche associazioni fra la scena e i piaceri di Venere.
Quaderni della Pergola | 49
Stefano MassiniPAROLE
IN MOVIMENTO
I mestieri del teatro il Dramaturg
Nei suoi testi teatrali si parte da un’attenzione verso la realtà ma si finisce sempre per focalizzarsi sulla parte più umana delle vicende che entrano in gioco nel racconto.Nel momento in cui comincio a scri-
vere ho la necessità di capire quale po-
trebbe essere la posizione di lettura di
chi accoglierà l’opera e ciò significa che
spesso opto per delle tematiche di ca-
rattere civile perché su certi argomenti
scatta immediatamente una posizione
molto diretta e non mediata da prete-
se intellettualistiche, addirittura spes-
so viscerale. In genere, viziati da tutta
una serie di pessima fiction televisiva,
noi oggi tendiamo sempre a schierarci
in un racconto dalla parte del più debo-
le. Generalmente la trama è sempre la
stessa: c’è un omicidio e qualcuno che
viene accusato; di solito inizialmen-
te si tratta di un tossicodipendente o
un immigrato, una persona ‘diversa’,
e durante la puntata si scoprirà che in
realtà lui è innocente e il vero respon-
sabile invece è un individuo di buona
famiglia, una persona insospettabile.
Nel caso di 7 minuti, il mio spettacolo
su un gruppo di operaie che rischiano
di perdere il proprio posto di lavoro con
protagonista Ottavia Piccolo, il mecca-
nismo drammaturgico è totalmente op-
posto: arrivano in scena le dieci operaie
che sono terrorizzate di perdere lo sti-
pendio e poi entra Ottavia dicendo che
questo non accadrà se accetteranno di
rinunciare a sette minuti dei quindici
della loro pausa pranzo… Le operaie, e
con loro tutto il pubblico, propendono
per accettare questo patto, mentre Ot-
tavia è l’unica a dire: “In questa condi-
zione qualcosa non mi convince” e la
sua posizione, pur essendo la protago-
nista, è di minoranza. Questo è un in-
put drammaturgico, secondo me, vera-
mente pieno di opportunità narrative.
Con Ottavia Piccolo, così come con Amanda Sandrelli o Isabella Ragonese, avete collaborato più volte… Quando scrive un nuovo testo ha già in mente l’artista che lo interpreterà?Di solito sì, per lo meno mi serve
pensarlo, indipendentemente dal fatto
che poi lo sia realmente… In generale
la scrittura teatrale non è mai stret-
tamente legata alla realtà di quello
che accadrà fisicamente di quel testo
perché tende, a mio avviso, a peccare
troppo di letterarietà. La mia idea di
teatro è invece molto concreta e non ti
nascondo che a volte, mentre scrivevo
uno spettacolo, sono arrivato a costru-
irmi mentalmente una possibile sceno-
grafia.
“Scrivo di donne soprattutto perché credo che la scrittura teatrale
non debba mai immedesimarsi troppo con il suo autore”
50 | Quaderni della Pergola
Oltre ad essere un drammaturgo, è stato anche regista di tanti spettacoli. Questo aspetto registico è stato importante anche nella fase di scrittura di un testo?Certamente sì; dico spesso che scri-
vo andando in scena… E ne ho una ri-
prova concreta: se mi metto davanti
ad un computer a scrivere in genere il
risultato è brutto e se invece vado, per
esempio, in bicicletta – faccio tutti i
giorni svariati chilometri – dico le bat-
tute a voce alta pedalando, le correggo e
mi fermo a registrarle. Quando torno a
casa sbobino e scrivo partendo da que-
ste registrazioni estemporanee: le pa-
role sono state create mentre faccio del
movimento e lo stesso tipo di andamen-
to, secondo me, si riflette nella scrittu-
ra... Soprattutto le battute nascono già
a voce alta ed è una condizione diversa
dalle parole destinate alla pagina scrit-
ta: in teatro le parole devono andare a
finire sulla voce.
Ha affermato che sono le storie che vengono a cercarla…È vero, mi è accaduto spesso di ave-
re avuto la sensazione di una storia,
uno stimolo creativo forte, ma di non
averlo assecondato subito. A distanza,
anche di anni, quella storia continua
a tormentarmi e torna ciclicamente a
bussarmi alla porta. Ad un certo punto
non puoi fare a meno di scriverla.
In Italia non esiste la figura del drammaturgo: pochi scrivono di teatro e, in particolare, mettendo spesso le donne al centro del racconto.Io scrivo di donne soprattutto per
una ragione tecnica: fondamental-
mente credo che la scrittura teatrale
non debba mai immedesimarsi troppo
con il suo autore. Non riuscirei mai a
scrivere un testo in prima persona, ho
anzi la necessità di perseguire un tipo
di scrittura che sia profondamente ‘dia-
frammata’ da quello che sono. Scrivo
di qualcosa che è ‘altro da me’, per non
entrare in una forma totale di autobio-
grafia. Questo è il motivo per cui scrivo
spesso dei testi che hanno come prota-
gonisti personaggi che appartengono
all’altro sesso: donne che sono diverse
da me, su cui devo fare uno sforzo per
assumere il loro punto di vista che di-
chiaratamente non può essere il mio. È
un tipo di ricerca molto forte e davvero
interessante per me. Per quanto riguar-
da invece la figura del Dramaturg in
Italia, prima di tutto bisogna ragionare
IMMAGINE CLARA BIANUCCI
Quaderni della Pergola | 51
all’interno di quale tipo di sistema tea-
trale ci troviamo. Io ho avuto la fortuna
di partire dalla dimensione di piccoli te-
atri, limitrofi alla ricerca: per anni i miei
spettacoli, per esempio, sono stati in
scena a Santarcangelo… In un secondo
momento ho vissuto la stagione del te-
atro più commerciale, legato alle grandi
compagnie di tradizione, e adesso sono
in una dimensione completamente di-
versa che è quella del teatro pubblico
per antonomasia, il Piccolo di Milano.
Con lo spettacolo Lehman Trilogy per la
regia di Luca Ronconi ho potuto lavo-
rare allo stesso modo del Dramaturg in
Germania: una figura intermedia tra
autore e regista, che è la direzione con
cui ho collaborato insieme a Ronconi,
stando dieci mesi fianco a fianco con lui
senza riscrivere il mio testo ma trasfor-
mandolo in vista di una messa in scena.
Con il Maestro Luca Ronconi avete un rapporto di collaborazione davvero bello…Gli voglio molto bene; abbiamo 41
anni di differenza, che non sono po-
chi… Ho una profonda stima nei suoi
confronti perché trovo che sia una delle
menti più fresche e giovani che ci siano
in Italia. È una persona curiosa che non
ha mai fatto del proprio stile una gabbia,
anzi l’ha resa una potenzialità che, nel
corso del tempo, lo ha fatto diventare
uno straordinario analista di testi. Lui sa
come lavorare su una drammaturgia.
Secondo un attore e regista come Elio De Capitani, la ricerca di uno stile unico è la morte per un teatrante.Negli anni Settanta un altro fanta-
stico teatrante come Leo De Berardinis
scriveva: “Io ho bisogno, ogni volta che
finisce uno spettacolo, di azzerare com-
pletamente la tavola per ricominciare da
zero”. Credo che queste parole siano an-
cora più straordinariamente necessarie
oggi, in una società in cui, diversamente
dagli anni Settanta, qualsiasi fenomeno
è già comunicativamente concluso, nel
momento stesso in cui avviene. La ve-
locità di propagazione di una notizia è
decuplicata rispetto ad anni fa, grazie ad
internet e ai social. E lo stesso vale per i
fenomeni artistici: prima per riconosce-
re uno spettacolo occorrevano almeno
quattro stagioni perché doveva girare
in tutta Italia… Invece se consideriamo
che Lehman Trilogy, uno spettacolo che
ha debuttato da poco tempo, ha già to-
talizzato alcune centinaia di migliaia di
connessioni internet ed è conosciuto in
tempo record dal Nord al Sud Italia, così
come in Europa… Penso che oggi più che
mai abbiamo il dovere di modificare con-
tinuamente quello che facciamo e di az-
zerare la tela già tracciata in precedenza.
Altrimenti si diventa vecchi, ancora pri-
ma di rendersene conto.
Se dovesse dare una sua definizione di scrittura…Io mi occupo di scrittura teatrale e il
teatro è il rito laico più antico che ci sia,
antico quanto il genere umano. Peter
Brook, con cui ho avuto la fortuna di
collaborare, ripeteva sempre che fon-
damentalmente esistono al mondo i riti
religiosi e il rito laico del teatro. I primi
servono per capire qualcosa che sta oltre
la realtà, mentre il teatro riesce a farti
comprendere la realtà che ti circonda.
La scrittura, secondo me, segue questa
direzione.
“Le battute nascono già a voce alta ed è una condizione diversa dalla pagina scritta: in teatro le parole vanno a finire sulla voce ”
52 | Quaderni della Pergola
Giorgio ManciniDANZANDO
L’ANIMA
I mestieri del teatro il Coreografo
Una delle sue ultime coreografie racconta una storia d’amore: è il passo a due di Tristano e Isotta con la musica di Wagner, presen-tato in prima assoluta sul palco-scenico dell’Opera di Firenze.In effetti sono stato educato alla
musica operistica da mio padre: ricor-
do che la domenica mattina ascoltava
spesso autori come Wagner o Beetho-
ven. E poi il mio Maestro Maurice
Béjart era un grande appassionato di
Wagner: in diversi balletti ha utiliz-
zato parti del Parsifal o delle Valchirie.
Insieme abbiamo creato un balletto
per Der Ring des Nibelungen, uno dei
quattro drammi musicali di Wagner:
cinque minuti di danza con tre mesi di
prove e questa musica che mi è entrata
dentro… Abbiamo debuttato a Berlino,
proprio nel periodo della caduta del
Muro: si respirava un vento nuovo e la
danza celebrava questa gioia. Wagner
ha continuato a non abbandonarmi:
un giorno a Ginevra ho ascoltato Tri-
stano e Isotta ed è cominciata l’idea di
rendere questo soggetto per la danza.
Dopo uno studio coreografico fatto
nel 2011 nel cortile di Palazzo Strozzi
a Firenze che si basava essenzialmen-
te sulla morte d’amore di Isotta, ho
avuto l’idea di compiere una sintesi di
quest’opera concentrandomi solo sui
due amanti, Tristano e Isotta.
I ballerini che interpretano questo balletto sono due étoile dell’O-pera di Parigi: Dorothée Gilbert e Mathieu Ganio…Avevo bisogno di due ballerini
dalla grande capacità tecnica e dotati
di una grande maturità artistica. Mi
hanno colpito subito, già da quando mi
erano stati presentati anni fa tra più di
cento ballerini in un concorso all’Ope-
ra, proprio per la loro capacità di tra-
smettere emozione. All’epoca si esibi-
rono in una variazione molto corta, ma
si avverte subito quando esiste la vera
presenza scenica. Sono stati felici che
io abbia pensato a loro perché, nono-
stante siano degli étoile, alberga sem-
pre in loro l’insicurezza di non piacere
tipica del danzatore. Purtroppo il bal-
lerino è strettamente collegato al gusto
del creatore: tanti ballerini bravissimi
magari non vengono scelti perché non
ispirano il coreografo.
La danza riesce a descrivere l’amore?Certo, secondo me è l’arte che meglio
può esprimere le emozioni. Il movimen-
to e la fisicità, insieme allo sguardo: la
“Immaginare un balletto e poi vederlo sulla scena, vedere fino a
che punto un danzatore può ispirare un coreografo: è l’intero processo
creativo che costituisce il fulcro della mia ricerca”
Quaderni della Pergola | 53
danza racchiude in sé il corpo con l’a-
nima. Ed esprime il ‘non detto’: quello
che viene sottinteso, e che vive nel più
profondo dell’anima. In particolare in
Tristano e Isotta i movimenti coreografici
sono accompagnati dalla proiezione di
un film di James Bort che si sofferma sui
dettagli della coppia di ballerini: ho vo-
luto che il pubblico avesse la possibilità
di scrutare, come in un microscopio, la
pelle, il tatto, lo sguardo di questi amanti.
In questo modo la sensualità e il roman-
ticismo, così come la vicenda che avvie-
ne sulla scena: tutto viene amplificato.
Non è la prima volta che mette in scena l’amore: nel 2005 aveva creato per la Compagnia di Mag-gioDanza Giulietta e Romeo, il suo primo balletto narrativo.La mia visione di coreografo è es-
senzialmente quella di riuscire a tra-
sportare l’emozione sulla scena. Più
che al raggiungimento di prodezze fisi-
che o al virtuosismo tecnico, l’obiettivo
che perseguo sono i sentimenti. Deve
arrivare l’emozione al pubblico, questo
è un aspetto da cui non si può prescin-
dere. A volte, anche coreograficamen-
te, divento volutamente molto sempli-
ce e minimalista: voglio che l’emozione
esca anche attraverso un semplice mo-
vimento. Quello su cui mi interessa fo-
calizzarmi è una narrazione emotiva:
sul palcoscenico emergono l’emozione
tra i personaggi della storia, vissuta in
quel preciso momento dagli interpreti.
I suoi balletti hanno volutamente un carattere teatrale?Sì, anche perché in effetti mi rendo
sempre più conto dell’influenza che ha
avuto Béjart su di me. Oltre al linguag-
gio coreografico, il suo ascendente è sta-
to dal punto di vista della messinscena:
lui stesso diceva di non essere un core-
ografo, ma un artigiano che faceva del-
le regie. Negli anni di lavoro con lui mi
sono rimasti molti ricordi: una tournée
bellissima dove abbiamo ballato in mez-
zo alle Piramidi nel deserto, per esem-
pio… La danza, insieme all’arte della mu-
sica, ha un linguaggio universale. È vero
che ogni Paese recepisce in un suo modo
originale lo stesso balletto, ma il nocciolo,
l’essenza della danza è sempre intesa da
tutti. Ed il lavoro del creatore, ovvero il
mestiere di coreografo, deve mirare pro-
prio alla comprensione.
FOTO FILIPPO MANZINI
Letizia Giuliani eAntonio Guadagno in Giulietta e Romeo
54 | Quaderni della Pergola
Nel cortile del Palazzo Strozzi a Firenze ha presentato i suoi studi coreografici in mezzo ad un pubblico eterogeneo: oltre agli appassionati del balletto, anche molti turisti e visitatori di quello spazio espositivo. In questo modo
molte persone si sono avvicinate per la prima volta alla danza?L’idea era di proporre uno studio di
danza all’aperto. In pochi conoscono il
duro lavoro che sta dietro ad ogni cre-
azione, sia da parte del coreografo che
del ballerino. Tutti vedono soltanto il
risultato che deve essere sempre piace-
vole e grazioso, senza mostrare nessuno
sforzo. Invece con questa operazione ho
voluto dare l’occasione a tutto il pubblico,
anche a quello che non conosce la danza,
di entrare nel processo creativo che ri-
chiede un grande lavoro. Per me la parte
più interessante di questo mestiere - e
questo anche quando ballavo, prima di
diventare un coreografo - è sempre sta-
ta la creazione. Immaginare un balletto
e poi vederlo sulla scena, vedere fino a
che punto un danzatore può ispirare un
coreografo: è l’intero processo creativo
che costituisce il fulcro della mia ricerca.
Un ballerino avverte la presenza del pubblico?Sì, anche se non lo vede perché ci
sono le luci che impediscono di vede-
re chi ti sta davanti. Un ballerino ne
sente però la presenza e ne viene sti-
molato: lo sguardo del pubblico gli dà
adrenalina e lo fa sentire al centro del-
la visione. È quello di cui ha bisogno
per dare il massimo.
Essere un ballerino e poi diventa-re un coreografo: in questo pas-saggio come cambia il rapporto con la danza?
FOTO JAMES BORT
Sopra e nella pagina accanto:
Dorothée Gilbert e Mathieu Ganio in Tristano e Isotta
Quaderni della Pergola | 55
Il coreografo deve avere la grande
capacità di mettersi a nudo, nel senso
che un ballerino può sempre proteg-
gersi, in qualche modo, perché può
interpretare un ruolo senza viverlo
realmente e come un attore può celarsi
dietro il suo personaggio. Il coreografo
invece non può mentire, deve calarsi
profondamente, con tutto se stesso,
per arrivare ad organizzare la storia
da rappresentare. Durante la fase della
creazione diventi anche molto suscet-
tibile: emotivamente sei fragile perché
senza protezioni.
FOTO JAMES BORT
56 | Quaderni della Pergola
Speciale Musica
Katia LabèqueIMPREVEDIBILI
EMOZIONI
Come nasce l’idea del concerto pre-sentato nell’ambito della stagione concertistica degli Amici della Musica di Firenze dove si assiste all’unione tra il suo pianoforte e il violino di Viktoria Mullova?Io e Viktoria ci conosciamo da tan-
to tempo, ma non c’è stata una pianifi-
cazione vera e propria da parte nostra.
Un giorno Viktoria mi ha chiesto di
fare un concerto insieme: è sempre lei
ad organizzare il programma e io sono
felicissima di seguirla. È nato tutto per
amore della musica e per un sentimen-
to di amicizia; sono felice, anche se non
avevo mai suonato con una violinista, di
condividere il palcoscenico con Viktoria:
il suo modo di suonare è molto moderno
ed aperto alle contaminazioni. I nostri
concerti infatti ambiscono a spingere il
pubblico a fare accostamenti imprevedi-
bili dal punto di vista musicale.
Nel programma dei vostri concerti in genere una parte è dominata dai classici con autori come Mozart o Schuman, mentre una parte è riservata al versante novecentesco e alla sperimentazione.L’unione, con qualcuno che ammi-
ri e ami, ti dà forza sulla scena. Non
potrei mai suonare con qualcuno che
non mi piace. La
nostra passione
musicale ci porta
a sviluppare nuo-
ve idee; è lo stesso
tipo di percorso
che ricerco, da
sempre, insieme
a mia sorella Ma-
rielle: cerchiamo
di commissionare
nuovi autori che
scrivano per noi,
in modo da in-
grandire il nostro
repertorio. Ciò
vale sia per un’esecuzione pianistica a
quattro mani oppure per inedite spe-
rimentazioni legate all’elettronica, alla
batteria, alla voce dei cantanti… Io stes-
sa, per esempio, ho collaborato all’album
Shape of my Heart di Sting. Tutte queste
possibilità espressive rappresentano un
modo per raggiungere, con la musica
classica, un pubblico sempre diverso.
“Ogni concerto è fatto, prima di tutto, di emozione e di concentrazione”
IMMAGINE DALILA CHESSA
Quaderni della Pergola | 57
Durante un concerto una musicista che rapporto ha con il pubblico che ascolta in sala?Ogni pubblico ha la propria sensibi-
lità, ma personalmente mi piace riflet-
tere su un punto: gli spettatori arrivano
ad un concerto mossi dalle più svariate
motivazioni – c’è chi adora Schubert, chi
ha letto il programma su un giornale o
chi raggiunge il teatro perché gli è stato
regalato un biglietto – ma non importa
davvero il perché si scelga di assistere ad
un concerto. La cosa più importante è la
musica, che è in grado di riunire tanta
gente differente. Questo è l’aspetto più
affascinante, secondo me, e anche con
Domitilla Baldeschi, direttrice artistica
degli Amici della Musica, ne parliamo
spesso: pensiamo a nuovi programmi
futuri, in modo da aprire più la musica
classica ai bambini e agli adolescenti.
Magari una Sonata di Mozart non è la
cosa più facile per iniziare i bambini
alla musica, ecco perché bisogna pre-
occuparsi della formazione di nuovo
pubblico: è una ricerca da cui non si può
prescindere.
Dal punto di vista dell’emozione, suonare da solista oppure insieme ad altri musicisti cambia l’interpre-tazione?Sì, sono modi di suonare proprio di-
versi, anche se l’interpretazione è sem-
pre coinvolgente. Con mia sorella Ma-
rielle affronteremo a Torino nella Scuola
di Alessandro Baricco per la prima volta
la Sagra della Primavera di Stravinskij
nella trascrizione per due pianoforti ed
è un lavoro difficilissimo, una musica
forte ed intensa. Stiamo studiando come
pazze. E poi Philip Glass ha scritto il suo
primo concerto per due pianoforti appo-
sta per noi: un concerto per piano e or-
chestra che vede sul podio a Los Angeles
il venezuelano Gustav Dudamel. C’è da
divertirsi. E del resto io e mia sorella ci
vogliamo molto bene: per noi la musica
non può essere altro che divertimento.
Una musicista, mentre suona, si dimentica del pubblico?Non è così, anzi è il contrario. È
come entrare in un cerchio: dal palco
noi sprigioniamo energia che arriva
al pubblico; a sua volta, dalla platea gli
spettatori rimandano indietro la loro
energia. Ogni concerto è fatto, prima di
tutto, di emozione e concentrazione. Ed
è questo tipo di sentimento che crea la
magia.
Che cos’è la musica per Lei?La mia vita. E soprattutto la mia pas-
sione.
FOTO FILIPPO MANZINI
58 | Quaderni della Pergola
Stefania RicciCOME UN
FUNAMBOLO
Firenze contemporanea Museo Ferragamo
Equilibrium è l’ultimo progetto espositivo del Museo Salvatore Fer-ragamo di Firenze; da dove parte l’idea di questa esposizione?Tutte le nostre mostre nascono
sempre da un argomento che riguar-
da la storia di Salvatore Ferragamo e
delle calzature che ha ideato: si parte
da un suo pensiero, da un episodio del-
la vita o concentrandosi su una delle
sue clienti del mondo del cinema come,
per esempio, Marylin Monroe o Au-
drey Hepburn. In questo caso, per la
mostra Equilibrium, ci siamo riallaccia-
ti al cuore degli studi di Ferragamo ba-
sati sull’analisi dell’anatomia del piede
e sulla ricerca dell’equilibrio del corpo
umano. Quello che diceva Ferragamo
sull’importanza del camminare è mol-
to simile, per esempio, al pensiero di
Balzac: l’uomo si preoccupa di andare
sulla luna e non di curare forse l’aspet-
to più importante per il sostegno del-
la vita – il camminare, appunto – che
sta alla base dell’evoluzione umana.
Ferragamo era affascinato da come si
sviluppasse l’arco del piede che lui ar-
rivava a paragonare all’arco di un por-
tale di una chiesa medievale. Insieme
a Sergio Risaliti, l’altro curatore della
mostra, abbiamo cercato di sviluppare
questo tema coinvolgendo una serie di
studiosi nei vari campi: dalla filosofia
alla danza, dall’arte antica a quella
contemporanea. Tutta la scultura anti-
ca elabora questo discorso del passo e
dell’equilibrio, così come con la nascita
della fotografia gli artisti avvertono
l’esigenza di fermare in un’istanta-
nea ‘il passo’: il momento esatto in cui
l’uomo camminando sta per perdere
l’equilibrio e poi subito lo riacquista.
Fino ad arrivare all’uso estremo del
movimento e della ricerca dell’equili-
brio con il lavoro del funambolo.
Espressioni artistiche come la dan-za e il circo hanno un ampio spazio nella mostra…La danza, per sua stessa natura, è
indissolubilmente legata alla dinamica
dell’equilibrio e della postura: il danza-
tore cerca l’elevazione ma sempre man-
tenendo un rapporto con la terra. E in
particolare la danza moderna, partendo
da Pina Bausch, amplifica il discorso: i
Viatica, 2012-2013
Décolleté in vernice rossa, 22x11 cm. Rielaborazione contemporanea del
modello originale realizzato da Salvatore Ferragamo per Marilyn
Monroe. Firenze, Museo Salvatore Ferragamo.
Quaderni della Pergola | 59
ballerini danzano a piedi nudi, cercando
il contatto con la terra. Anche il mondo
del circo, con il mestiere dell’acrobata, si
inserisce in questo tipo di ricerca.
Quindi in Equilibrium viene esplo-rato il senso dell’equilibrio non soltanto dal punto di vista fisico, ma anche in chiave meta-forica?Sì, ecco perché
è molto importan-
te anche l’inter-
vento in mostra
dei cosiddetti
opinion leader: ab-
biamo scelto dei
personaggi noti
che potessero par-
lare, attraverso
dei video, dell’argomento-equilibrio per
riportare questa riflessione dalla storia
dell’arte ai giorni nostri. C’è un’intervi-
sta video, per esempio, a Messner che
racconta la fase in cui faceva tutte quel-
le famose scalate: oltre all’esperienza di
un raggiungimento, anche in condizioni
estreme, di un equilibrio fisico, il suo è
stato un desiderio continuo di superare
sempre se stesso. Così come le traversate
che ha compiuto nei deserti o nei ghiac-
ciai, completamente da solo: la ricerca
dell’equilibrio diventa allora un rappor-
to con se stesso, con la propria solitudine
di essere umano.
I video sono fondamentali in tutte le Mostre del Museo Ferragamo?Oggi siamo abituati ai video e alle
immagini dei computer, quindi i filma-
ti colpiscono fortemente lo spettatore:
in Equilibrium sono presenti alcune in-
terviste video – dalla stella della danza
Eleonora Abbagnato al funambolo Phi-
lippe Petit – che raccontano l’equilibrio
dal punto di vista artistico. In tutti i
nostri video, in genere, il tipo di ricerca
è profondamente emotiva. In un filma-
to della performer Marina Abramović,
per esempio, il camminare metaforico si
sposa con il senso del ricongiungimento
e della distanza amorosa: quest’artista e
suo marito hanno deciso di lasciarsi e il
video riprende il lungo viaggio intrapre-
so da soli, il loro ritrovarsi per poi per-
dersi di nuovo…
“Quello che ricerchiamo sempre, in ognuna delle nostre esposizioni, è l’emozione. Una persona deve entrare in una mostra ed emozionarsi”
Foto storica scattata all’Open Gate Club, in occasione della serata in onore di Sophia Loren offerta da Salvatore Ferragamo, Roma, 25 febbraio 1955. Salvatore Ferragamo prova una scarpa in merletto a Sophia Loren.
60 | Quaderni della Pergola
Le vostre mostre sono dunque sem-pre aperte all’arte contemporanea?In genere spaziamo nel tempo e cer-
chiamo di mettere insieme l’opera classi-
ca con l’arte contemporanea, anche per-
ché la scelta artistica segue un po’ quello
che è il riflesso dell’azienda: il marchio
Ferragamo appartiene alla modernità
e fa moda oggi, ma basandosi sulla tra-
dizione e su una struttura storica molto
forte. Quello che ricerchiamo sempre,
in ognuna delle nostre esposizioni, è l’e-
mozione. Una persona deve entrare in
una mostra ed emozionarsi. Deve sen-
tire la passione di chi ci ha lavorato, la
passione del messaggio che si vuole co-
municare… Bisogna ricordarsi di quella
mostra e non dimenticarsela più.
Nel Museo Ferragamo si parte dalla calzatura che diventa il simbolo di tante cose: passione, cultura, sogno, sguardo rivolto sempre in avanti e verso il futuro…Le scarpe prodotte da Ferragamo
erano tutte artigianali: spesso un mo-
dello è pensato solo per quella persona
in particolare, come nel caso delle scar-
pe per Marylin Monroe o Judy Garland…
Queste calzature costituiscono, già di
per sé, delle opere d’arte: c’è l’invenzio-
ne, sia nella costruzione che nell’uso
del materiale. Le possibilità artistiche, a
partire da una calzatura, sono infinite. E
del resto il linguaggio dell’arte è univer-
sale, proprio come la moda. Certe storie,
come quella di Ferragamo, vanno rac-
contate, soprattutto ai giovani, perché si
parla di successo ma anche di tanta fati-
ca superata grazie al sogno e alla propria
passione. Lui è andato avanti nel corso
della storia – attraversando perfino il
fallimento e la guerra – e non si è abbat-
tuto, anche perché aveva quello che gli
americani chiamano self confidence: lui
era consapevole di avere qualcosa da
dire. In Italia ci sono tante storie come
quella di Ferragamo da raccontare e cre-
do che possano regalare una speranza.
Che cos’è per Lei l’arte?L’arte abbraccia un campo molto
vasto dell’esperienza umana e aiuta a
vivere. Senza arte non siamo uomini: è
la parte migliore di noi, quella che ci so-
pravvive. Parlo di arte intesa come cul-
tura, in senso lato. L’arte regala bellezza,
ed è una bellezza morale, non soltanto
estetica. Io non potrei vivere senza arte
e come dice l’antiquario Bellini “l’arte è
quasi una malattia”. Perché è una passio-
ne che ti consuma.
“Senza arte non siamo uomini, è la parte migliore che ci sopravvive”
Roberto Barni, Impresa, 2010
Bronzo patinato rosso, 56 x 22 x 12,5 cm
Firenze, collezione dell’artista
Quaderni della Pergola | 61
..riduci, riduci, il vasto, il grande, l’immenso…
rimane immensurabile se lo rechi alla tua misura
e poi ancora lo riduci a quella d’una vertebra,
d’una rotula, d’un aliosso, e ne fai un minuscolo
aggeggio che non perderà valore e prezzo
se si fa un anello una borchia un chiodo un “cip”
un gioiello da porgere su una palma
o fra due dita… (ricordi l’insetto
rosso sul picco dell’indice?
giunto all’orlo dell’unghia
volò via, aquila angelo amore).
Le proporzioni sono la libertà.
Dai Quaderni di Orazio Costa
Dalla poesia Trappola di Orazio Costa,
1989
IMMAGINE DALILA CHESSA
62 | Quaderni della Pergola
Quaderni della Pergola
La parte redazionale è a cura di Angela Consagra, Alice Nidito, Chiara Zilioli, Filippo Manzini
La parte monografica Passioni a Teatro / Amori a Teatro è a cura di Matteo Brighenti e Riccardo Ventrella
Le interviste sono di Angela Consagra
Progetto Grafico Walter Sardonini/Social Design
Impaginazione ed elaborazione grafica Chiara Zilioli
La fotografia della copertina; la fotografia dell’editoriale; l’album fotografico della rubrica Dal palcoscenico del Teatro Goldoni – Gli Innamorati; la fotografia a pag. 17 e la fotografia della lavagna di Eduardo De Filippo sono di Filippo Manzini
L’immagine a pag. 22 è di Dalila Chessa
L’immagine a pag. 25 è di Clara Bianucci
Per la copertina si ringraziano Orsola e Carlo per l’amichevole collaborazione
Hanno collaborato a questo numero: Clara Bianucci, Elena Capaccioli, Dalila Chessa, Raffaello Gaggio, Adela Gjata, Gabriele Guagni, Orsola Lejeune, Simona Mammoli
L’introduzione ai Quaderni a pag. 4 di Sandro Lombardi è tratta da Vero Teatro! in corso di pubblicazione presso Cue Press, Imola
La traduzione dell’intervista a Tilda Swinton è a cura di Raffaello Gaggio
Si ringrazia Elisabetta Basilici Menini di Pitti Immagine per la gentile collaborazione
L’intervista a Hanif Kureishi è stata ispirata dall’incontro con lo scrittore nell’ambito del Festival Pordenonelegge a cura del giornalista Giorgio Zanchini
Dedichiamo questo numero dei Quaderni della Pergola con tutto il cuore alla nostra amica Elisabetta De Fazio
Info e contatti [email protected]
Fondazione Teatro della Toscana
Via della Pergola 12/32 - 50121 FirenzeCentralino 055.22641www.teatrodellapergola.com
Presidente Dario NardellaConsiglio di Amministrazione Raffaello Napoleone, Duccio Traina, Stefania Ippoliti, Maurizio Frittelli
Collegio Revisore dei Conti Giuseppe Urso Presidente, Adriano Moracci, Roberto LariDirettore Generale Marco Giorgetti
7
La lavagna con la scritta EDUARDO viene conservata nei locali del teatro e fa riferimento al corso di drammaturgia che Eduardo De Filippo realizzò nei primi anni Ottanta al Teatro della Pergola. Questa citazione ispira le copertine dei Quaderni della Pergola.
William Shakespeare
Il mio cuore, come il
mare, non ha limiti...