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Pubblicità 2 TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI PPC DELLA PROVINCIA DI TRENTO Spedizione in abbonamento postale 70% Poste Italiane S.p.A. - Periodico trimestrale autorizzazione: Tribunale di Trento N 380 R.St. 14/6/82 ISSN 2281-6410 Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Trento Buona, giovane architettura 2016 ANNO XXXIII OTTOBRE-DICEMBRE

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TrimesTrale di informazione dell’ordine degli archiTeTTi PPc della Provincia di TrenTospedizione in abbonamento postale 70% Poste italiane s.p.a. - Periodico trimestraleautorizzazione:Tribunale di Trento n 380 r.st. 14/6/82

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ordine degli architettiPianificatori, Paesaggisti e conservatoridella Provincia di Trento

Buona, giovanearchitettura

2016anno XXXiii oTTobre-dicembre

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Pubblicazione trimestralein abbonamento postaleRegistrazione presso il tribunale di Trento - n. 380 del 14.06.1982Direttore responsabileFrancesca OdorizziRedazioneSilvia AlbaAlessandro CarliniRaffaele CettoRoberta Di FilippoIvo FadanelliMicol Fronza Mauro MazzucchiJessica Nicolussi MotzeMassimo PlazzerRoberto SalvischianiChiara TonelliPaola ZampedriEditoreOrdine degli Architetti PPCdella Provincia di TrentoVicolo Galasso 19 - 38122 TrentoTel. 0461 261163- Fax. 0461 264685e-mail: [email protected] PubblicitariaStudio Bi Quattro s.r.l. - PublimediaVia Serafini 10 - 38122 TrentoTel. 0461 238913 - Fax 0461 237772e-mail: [email protected] graficoA4, Giancarlo StefanatiImpaginazione e stampaStudio Bi Quattro s.r.l. - TrentoVia Serafini 10 - 38122 TrentoTel. 0461 238913 - Fax 0461 237772e-mail: [email protected]

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4 Editoriale

Architettura under 40: tracce di qualità Laura Montedoro

6 L’ultima resistenza Marco Biraghi

10 Buona giovane architettura è possibile a cura di AGATN

OPINIONI

12 Intervista multipla ai giovani progettisti in mostra a cura della redazione

PROGeTTI

16 demogo Studio di architettura

22 Didonè Comacchio Architetti + Mide Architetti

28 Mirko Franzoso architetto

34 MAB arquitectura + LAPS architecture

40 Openfabric + Dmau

46 Pascal Flammer Architect

50 RS + Robert Skitek

56 Stradivarie architetti associatiSISMA CeNTRO ITALIA

62 La scuola di Amatrice a cura del Consiglio dell’Ordine

2016

Scritti, fotografi e e disegni impegnano soltanto la responsabilità dell’autoreAutorizzazione del Tribunale di Trento N. 380 R.st. 14/6/82Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% Ne/TNISSN 2281-6410

Referenza fotografica di copertina e foto a fianco: Rocco Zanoni

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Editoriale

Architettura under 40:tracce di qualità

L’iniziativa “Buona giovane architettura: è possibile”, curata dalla Associazione Giovani Architetti del Trentino e presen-tata in questo numero, è interessante e meritoria per più di una ragione.Innanzitutto, per la finalità che aper-tamente si pone, ovvero un’azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica all’architettura contemporanea, intento quanto mai importante in una stagio-ne – lunghissima – di svilimento della professione e, più in generale del ruolo dell’architetto, nel nostro Paese. Non così in Francia, non così in Germania o in Portogallo, dove a chi esercita il nostro mestiere vengono riconosciute autorevolezza e competenze e dove la società riconosce alla trasformazione del mondo fisico un’attenzione più diffu-sa e consapevole. Non è questa la sede per andare a cercare la radice di questa crisi e le diverse responsabilità che han-no prodotto la progressiva svalutazione della figura dell’architetto ma, per cer-to, possiamo dire che c’è bisogno di un grande lavoro culturale per recuperare terreno sul piano della credibilità e di un nuovo patto di fiducia tra professionisti e società.In secondo luogo, l’architettura che a Trento va in strada e si fa conosce-re attraverso i cartelloni pubblicitari è

stata progettata da professionisti sotto i quarant’anni. In un Paese che non è stato generoso con i suoi giovani e in un ambito professionale saturo oltre ogni ragionevole ipotesi come il nostro, tro-vare uno spazio per mettersi alla prova non è facile. Ma quando questo spazio è dato (o preso, attraverso il primato in una competizione, quasi sempre in un ambito concorsuale di iniziativa pubblica

- ma su questo si tornerà più avanti) sco-priamo che c’è molto da dire, da quelle parti. Costruire una ‘vetrina’ attorno alla selezione di alcuni progetti è pertanto quanto mai opportuno. È una generazio-ne che sta dicendo: “hei, ci siamo, siamo bravi e abbiamo delle cose da dire! Fa-teci spazio, dateci occasioni per espri-merci e per metterci alla prova”. In altri termini, è la presa d’atto di una risorsa importante per il Paese, sottoutilizzata e spesso mortificata da un mercato del lavoro asfissiante.Anche il modo di comunicazione scelto per questa azione è fresco e intelligen-te: non un’iniziativa auto riferita, chiusa nei recinti dell’accademia o dell’ordine professionale, ma una disseminazione che va per le strade, laddove i cittadini vivono la città e sono abituati a trova-re “consigli per gli acquisti” per beni di consumo; si produce anche un curioso

effetto di ‘straniamento’ dove, al posto di un prodotto usa e getta, si incontra invece l’immagine di un bene durevole, come ancora appare quella di un edifi-cio o di uno spazio urbano.

Le opere in mostraGli otto progetti selezionati dall’asso-ciazione non rappresentano un numero abbastanza consistente per cimentarsi con una riflessione su base statistica, ma forse sono abbastanza per sviluppa-re qualche ragionamento e riconoscere alcuni trend attorno alla nascita delle occasioni progettuali, ai committenti, alla tipologia, alla formazione e alla qua-lità.Soprattutto, sono progetti di opere co-struite. Oltre al pur ammirevole esercizio compositivo e dimostrativo a cui molti giovani si dedicano in attesa di occasio-ni professionali, qui ci si trova di fronte a quel corpo a corpo tra l’idea e la sua realizzazione dove si disvela a pieno la capacità dell’architetto, portando a sin-tesi quell’impossibile quadro di vincoli e di imprevisti in fase esecutiva che sfida-no le competenze professionali. Infatti, come ci ricorda anche uno dei proget-tisti nelle interviste multiple che seguo-no, sempre “il profilo culturale dell’opera subisc[e] un declassamento all’interno

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dei processi di trasformazione” (demo-go); il controllo di questo ‘declassamen-to’ è parte integrante, e spesso più per-niciosa, del buon mestiere.Cinque opere sono state realizzate all’e-stero (Svizzera, Belgio, Francia, Polonia, Olanda) e tre in Italia (Cavallino Tre Por-ti, San Felice sul Panaro, Cles), circo-stanza che fa riflettere circa il carattere più aperto e meritorcratico dell’accesso agli incarichi, o comunque meno sensi-bile alle relazioni di prossimità, rispetto al contesto nostrano.Sei progetti su otto, tra quelli presentati, sono esiti di concorso. Tutti, con l’ecce-zione della casa unifamiliare a Balsthal (Svizzera) e della trasformazione dell’a-rea di parcheggio a Cavallino Tre Porti (Ve), attribuiti per incarico diretto. Lo strumento della competizione sembra dunque quello maggiormente aperto e interessante a cui ricorrere in modo più costante e pervasivo. Buoni segnali, in questo senso, arrivano da alcune espe-rienze distribuite sulla penisola. Penso in particolare a quella che conosco più da vicino, perché maturata in ambito mi-lanese, della piattaforma ‘Concorrimi’ - il primo sistema aperto e digitale a livel-lo nazionale in grado di gestire bandi di concorso - le cui parole chiave sono ‘partecipazione, trasparenza e merito-crazia’.In coerenza con gli strumenti utilizzati – con l’eccezione della casa unifamiliare

– i committenti sono soggetti pubblici e, nei due casi stranieri, partenariati pub-blico-privato.Quanto ai tipi, sono prevalenti gli edifici e gli interventi pubblici: la scuola, il cen-tro civico, il centro sociale, gli spazi pub-blici e parchi; una sola casa, unifamiliare.Spiace, in questo senso, che manchi nel-la rassegna qualche recente esperienza di social housing che ha invece dato negli ultimi anni occasione di cimento a diversi giovani architetti. Penso in par-ticolare a due famiglie di concorsi mol-to significative: la serie degli “Abitare a Milano” e “AAA. Architetti cercasi” (gli stessi MAB, peraltro, erano stati vincito-ri del primo di questi concorsi con il pro-getto di via Gallarate). Una riflessione a sé richiederebbe la mancanza di edifici residenziali per il libero mercato, ambito

– questo – in cui le attese di operatori immobiliari e committenti quasi sempre comprimono qualunque ambizione spe-

rimentale dei progettisti sulle (presun-te) ragioni commerciali, implicando una produzione media molto modesta.

I temi: un nuovo ‘regionalismo critico’?entrando nel merito dei progetti, se in-tendiamo assumerli come un piccolo ma significativo campione, e tenendo a mente anche altre esperienze recenti di sondaggio dello stato di salute del-la giovane architettura italiana, sembra possibile riconoscere una nuova forma di ‘regionalismo critico’. Com’è noto, con questa espressione Kenneth Frampton intendeva tracciare la strada di una nuo-va tendenza che chiudesse i conti con l’algido e spesso dozzinale ‘International style’ per concentrarsi su un radicamen-to del gesto progettuale nei contesti:

“una cultura del costruire che, mentre accetta un ruolo potenzialmente libera-tivo della modernizzazione, nondimeno resiste all’essere totalmente assorbita dagli imperativi globali della produzione e del consumo”. I progetti selezionati da AgaTn sembrano in effetti più preoccu-pati di ricercare una relazione con il luo-go che non di affermare un approccio autoriale. È vero che in una certa forma si assiste a un nuovo paradosso: questo nuovo moderno, rassicurante, addome-sticato, corretto, ammiccante, moderata-mente citazionista e spesso imprezio-sito da scelte materiche coerenti con i contesti (fa eccezione il progetto della Scuola in emilia, dove una forma di ne-obrutalismo risponde sicuramente alle necessità di urgenza e di basso costo del dopo terremoto e che affida all’u-so del colore variazioni e carattere), si riproduce in tutta europa con rare ec-cezioni. È il moderno della cosiddetta

“generazione erasmus” che ha nutrito il proprio immaginario progettuale viag-giando, visitando e confrontandosi con i coetanei degli altri paesi, abbeveran-dosi a fonti diverse. Qualcuno comincia a trovarlo noioso, altri si compiacciono per la diffusione di uno standard medio di qualità alta, che si è liberato delle os-sessioni della tendenza, del fuori scala e del bisogno di scandalo degli anni settanta, ma anche del ripiegamento, talora ironico e talora drammatico, sulla storia nella stagione post-moderna de-gli anni Ottanta. Per chi, come chi scrive, è impegnato nelle Scuole di Architettu-ra e riflette sui modi della formazione

nell’accademia, anche sollecitata dalla necessità di adeguamento alle diverse riforme che hanno interessato gli studi universitari e dalla già citata crisi della professione, il bilancio dell’esperienza erasmus e similari è estremamente po-sitivo. Altrettanto importante è stata la rete, che ha consentito una circolarità dei modelli e delle idee altrimenti im-possibile.

Tracce di qualitàL’anomala mostra organizzata da AgaTn conferma la straordinaria ricchezza del panorama della giovane architettura ita-liana, capace di dialogare in un contesto globale, ma anche di interpretare con-testi e caratteri locali. Analogamente a quanto hanno dimostrato negli ultimi anni altre esperienze (penso ad alcu-ni concorsi di ampio riscontro, come Housing Context, o a mostre e attività ‘generazionali’), ci troviamo di fronte a un nutrito gruppo di professionisti colti, tecnicamente preparati, cosmopoliti, cu-riosi e capaci di rivedere e rinnovare tra-dizioni consolidate. Non resta che con-tinuare a metterli alla prova della realtà, incrementando le buone pratiche per gli affidamenti, e incoraggiare tutte quelle azioni che possano aiutare un processo di riavvicinamento virtuoso tra società e professione. Perché un ambiente co-struito ‘più bello’ rende migliore la vita di tutti. Come si legge sull’iscrizione di un portale di un palazzo nobiliare quattro-centesco a Milano: “elegantiae publicae, commoditati privatae”. Coniugare l’am-bizione al comfort privato con l’eleganza civile: un programma di lavoro per tutti, giovani e meno giovani.

LAuRA MOnTEDORO*

*Laura Montedoro insegna disegno urbano e architettura deL Paesaggio neLLa scuo-La auic deL PoLitecnico di MiLano; daL 2012 è MeMbro deLLa coMMissione Paesaggio deL coMune di MiLano

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Marco BiraghiIl 6 marzo 1975, sul settimanale “Il

Mondo”, appare la prima puntata di Gennariello, “trattatello pedagogico” di Pier Paolo Pasolini. La pubblicazione proseguirà nelle settimane successive, raggiungendo il numero complessivo di quattordici uscite (numero nettamente inferiore a quello previsto dal “Progetto dell’opera”, esposto dall’autore nel pezzo edito il 3 aprile), per interrompersi infine il 5 giugno dello stesso anno. I medesimi testi saranno poi raccolti nel volume pub-blicato nel 1976 da einaudi nella collana dei Supercoralli con il titolo Lettere lute-rane, all’indomani della morte di Pasolini, avvenuta il 2 novembre 1975.

L’intero “discorso pedagogico” paso-liniano si rivolge a un ragazzo napoletano quindicenne: «uno studente che fa la pri-ma o la seconda liceo», e dunque inevita-bilmente «borghese».

In quelle pagine Pasolini sottolinea la drammatica, e per certi versi inedita – nonché inusitata – estraneità che separa

L’ultima resistenzaOvvero la lotta deglianziani contro i giovani

la propria generazione di cinquantenne dalla generazione cui appartiene Genna-riello; «una estraneità […] che non è solo quella che per secoli e millenni ha diviso i padri dai figli», e che piuttosto è il riflesso di «uno dei più terribili salti di generazio-ne che la storia ricordi».

Ma che cos’è successo a partire dalla fine degli anni cinquanta, proseguendo poi nel decennio successivo, e addirit-tura intensificandosi nella prima metà degli anni settanta, quando egli scrive? Che cosa ha diviso in modo tanto netto e definitivo le generazioni che si collocano prima e dopo di essi?

In numerose circostanze, negli artico-li e nei testi scritti negli ultimi due o tre anni della sua vita, raccolti negli Scritti corsari e nelle Lettere luterane, Pasolini parla di una “mutazione” o di una “rivolu-zione antropologica”: si tratta degli effetti prodotti dal processo di modernizzazione conosciuto dall’Italia nel corso di quel quindicennio (ma perché questo avesse luogo probabilmente è occorso molto meno tempo); un processo di repentina trasformazione della società contadina e paleoindustriale in essa dominante per secoli in una società dei consumi. Sot-toposti al fuoco incrociato dell’economia capitalista, delle istituzioni sociali, della scuola, della stampa e soprattutto della televisione, e con la connivenza del pote-re politico e della Chiesa, gli italiani han-no così appreso a tappe forzate i rudi-menti della “cultura di massa”, basata su un’accettazione totale della “civiltà” dei consumi, a sua volta fondata sull’idea di una borghesizzazione del mondo, e con-seguentemente su un conformismo dei comportamenti.

Se gli effetti di tale “mutazione antro-pologica” sono avvertibili nell’intera so-cietà italiana (benché non solo in questa, ovviamente), e dunque indifferentemen-te in coloro che appoggiano o abbraccia-no con entusiasmo il nuovo “potere dei consumi” e in coloro che invece cercano o s’illudono di contrastarlo, è tuttavia nei più giovani – nelle persone nate in coin-cidenza con l’inizio di tale “rivoluzione” e,

MARCO BIRAghIPROFeSSORe ORDINARIO, INSeGNA “STORIA DeLL’ARCHITeTTuRA CONTeMPORANeA” ALLA SCuOLA DI ARCHITeTTuRA uRBANISTICAINGeGNeRIA DeLLe COSTRuZIONI DeL POLITeCNICO DI MILANO.NeL 2004 FONDA, CON GABRIeLLA LO RICCO, SILVIA MICHeLI e MARIO VIGANò, GIZMO COLLeTTIVO DI RICeRCA CHe SI OCCuPA DI STORIA e CRITICA DeLL’ARCHITeTTuRA, CON PARTICOLARe INTeReSSe AI FeNOMeNI ALL’ORIGINe DeLLA CuLTuRA ARCHITeTTONICA CONTeMPORANeA e AI SuOI SVILuPPI e TRASFORMAZIONI.

L’uLTIMA ReSISTeNZA, OVVeRO LA LOTTA DeGLI ANZIANI CONTRO I GIOVANI È STATO PuBBLICATO Su MMX. ARCHITeTTuRA ZONA CRITICA (ZANDONAI, ROVeReTO 2010)

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con tutta evidenza, in quelle nate dopo di essa – che i segni della mutazione si lasciano rintracciare con maggiore evi-denza. Scrive Pasolini ne I giovani infe-lici, risalente ai «primi giorni del ’75»: «I figli che ci circondano, specialmente i più giovani, gli adolescenti, sono quasi tutti dei mostri. Il loro aspetto fisico è quasi terrorizzante, e quando non terrorizzante, è fastidiosamente infelice. Orribili pelami, capigliature caricaturali, carnagioni palli-de, occhi spenti. Sono maschere di qual-che iniziazione barbarica, squallidamente barbarica. Oppure, sono maschere di una integrazione diligente e incosciente, che non fa pietà». Due sintomi tra di loro op-posti (contestazione e integrazione) che hanno però alle spalle un’unica patolo-gia: la totale assoggettazione alla massi-ficazione sociale dettata – in un modo o nell’altro – dalla cultura borghese.

«Specialmente i più giovani, gli ado-lescenti». Quanto più integralmente i corpi e gli spiriti si sono formati a con-tatto, sotto la diretta influenza, di quella

“civiltà mutante” –par di capire –, e tanto maggiori e più devastanti sono risultati gli effetti della mutazione genetica che ne è derivata. Per questa ragione, le ge-nerazioni precedenti a quella della fine degli anni cinquanta e dell’inizio degli anni sessanta, come in conseguenza dell’esposizione a una radiazione i cui effetti sono tanto più gravi quanto mi-nore è la distanza dalla fonte irradiante, hanno subìto danni di più lieve entità: effetti minori, le generazioni più anziane; effetti più consistenti, la generazione dei cinquantenni, nati negli anni venti (cui appartiene Pasolini); e poi effetti via via sempre crescenti quanto più ci si avvi-cina all’epicentro dell’“esplosione” della civiltà dei consumi.

Ma è soltanto nei «più giovani», negli «adolescenti», appunto, che gli effetti del-le mutazioni arrivano a essere sconvol-genti. Nei quindicenni o poco più (oltre che nei ragazzi ancora più giovani) assu-mono contorni addirittura raccapriccian-ti, agli occhi di Pasolini: e ciò sia nella forma della quieta acquiescenza alle convenzioni sociali, sia nella forma della stereotipata ribellione.

Lo sguardo di Pasolini è lucido ma non per questo impietoso nei loro con-fronti. È vero che sulla generazione dei “figli” egli emette un giudizio di condan-na duro, severo, sulla scorta dell’arcano e in apparenza «ciecamente irrazionale e crudele» “meccanismo” che nell’antica Grecia vedeva i figli destinati a pagare le colpe dei padri; meccanismo in cui egli identifica non un’evocazione puramen-te “mitica”, bensì un principio realmente agente e determinante. La generazione

dei figli è quindi destinata a pagare in concreto le colpe della generazione dei padri, se non è in grado di liberarsi di queste: e infatti, per dirlo con le parole di Pasolini, «i figli che non si liberano delle colpe dei padri sono infelici». Giacché, se «l’eredità paterna negativa li può giusti-ficare per una metà […] dell’altra metà sono responsabili loro stessi».

Se è vero pertanto che per Pasolini i “figli” sono colpevoli e che la loro pu-nizione è non soltanto “dimostrata” ma direttamente incarnata dalla loro stessa infelicità, «dal loro modo di essere», è vero però al tempo stesso che egli non nutre alcuna ostilità preconcetta verso di loro: non è «odio» il suo, bensì «cessazio-ne di amore».

A questo amore cessato, e dunque mancato, non corrisponde tuttavia una completa “disperazione” nei confronti della generazione dei giovani, quale inve-ce ci si potrebbe aspettare. Innanzitutto, per Pasolini esistono eccezioni tra i gio-vani: «sono quasi tutti dei mostri», scrive. Tra le eccezioni vi è Gennariello: «Se non sei un miracolo, sei un’eccezione, questo sì». Inoltre, il fatto stesso di risolversi a scrivere un trattatello pedagogico, in un’epoca in cui ciò non può che risulta-re del tutto inattuale, se non addirittura caricaturale («non mi sembra che ci sia nessuno – almeno nel mio mondo, cioè nel mondo della cosiddetta cultura – che sappia minimamente apprezzare l’idea di compilare un trattato pedagogico per un ragazzo»), attesta la sussistenza di una qualche fiducia da parte di Pasolini nella possibilità di dare un’educazione diversa a una generazione, o quantomeno ai rap-presentanti migliori di essa.

Pasolini, insomma, non è “contro i giovani”. Analizza non già una vaga di-namica generazionale, quanto piuttosto un ben preciso episodio, posizionato e circoscritto nello spazio e nel tempo; qualcosa di storicamente determinato e spiegabile, a patto naturalmente di avere la capacità, la lucidità e il coraggio per farlo. Qualcosa che concerne i rapporti tra generazioni diverse – uno scontro ge-nerazionale obiettivamente senza prece-denti, che Pasolini penetra nelle sue ra-gioni profonde, senza paura di affermare cose scomode o provocatorie.

e tuttavia, messo in rilievo tutto ciò, ri-sulta forse lecito chiedersi, oggi, in modo auspicabilmente altrettanto profondo e motivato di quanto fatto trentacinque anni fa da Pasolini (ma al tempo stesso in modo altrettanto “disinteressato”, ov-vero alieno da interessi o da animosità personali), se egli abbia avuto o meno ra-gione. Non è soltanto la distanza storica a consentirlo: è la stessa analisi condotta

da Pasolini a richiederlo in maniera qua-si impellente. Gennariello, al pari degli Scritti corsari e delle Lettere luterane, non contiene esclusivamente una dia-gnosi, ma anche – e in misura consi-stente – una prognosi. Le constatazioni storiche, qui, hanno al contempo il valore di profezia. e infatti, della profezia a trat-ti assumono il tono: in più circostanze in quelle pagine ricorre l’evocazione di una punizione oscura e tremenda pendente sul capo di un’intera generazione di gio-vani: generazione per Pasolini già colpita al presente dalla propria infelicità, «e in futuro, certo, da qualcosa di più oggetti-vo e di più terribile», «in futuro, chissà da che cosa, da quali ecatombi».

Difficile dire quali terrificanti minacce egli vedesse addensarsi nel futuro degli adolescenti della metà degli anni settan-ta (i quindicenni di allora e i cinquantenni di oggi) e dei loro fratelli più giovani. Os-servati in prospettiva storica, i rappresen-tanti della generazione dei “figli” (come del resto quelli delle generazioni venute dopo la loro) non hanno dovuto subire – da un punto di vista collettivo – un de-stino particolarmente avverso: nessuna guerra, nessuna pandemia (non ancora, almeno), nessuna piaga sociale di pro-porzioni gigantesche, nessuna calamità naturale dal potenziale distruttivo globa-le, capaci di spazzar via una o addirittura più generazioni – almeno in Italia, dagli anni settanta a oggi. Certo, le occasioni distruttive non sono mancate: Pasolini per esempio parla della droga come di una «vera tragedia italiana», drammatica spia della «perdita dei valori di una intera cultura». Altro tema ricorrente nei suoi scritti è quello della liberalizzazione dei comportamenti sessuali degli italiani, che egli mette in rapporto con la «“falsa tol-leranza” del nuovo potere totalitario dei consumi».

Non sarebbe difficile, oggi, rintraccia-re nella proliferazione dell’uso di droghe, nella diffusione dell’Aids, nell’aumento dell’incidenza di malattie come il cancro, segnali quantomeno preoccupanti, se non già l’avverarsi della profezia paso-liniana. eppure, nell’evocazione di tutto ciò sembra ancora sussistere un certo grado di “genericità”. Più che questa o quella malattia o piaga sociale, infatti, e con maggior precisione, ciò che al giorno d’oggi sembra costituire davvero “occa-sione distruttiva” per tutte le generazioni in modo ormai pressoché indifferente – ma in particolare per quelle più giovani – è proprio la logica consumistica additata da Pasolini.

Ma sotto quale forma dovrebbe mani-festarsi questa distruzione?

Per quanto critici – o addirittura, per

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quanto oppositori – si possa o si voglia essere del sistema capitalistico e del-la “civiltà dei consumi”, sarebbe diffici-le negare che, nell’ambito della società italiana dal dopoguerra a oggi, accanto a molti e frequenti “mali”, capitalismo e civiltà dei consumi siano stati portatori di un altrettanto diffuso benessere. In che maniera dunque la logica consumistica eserciterebbe un’azione esclusivamente distruttiva?

Si provino a riconsiderare le condi-zioni in cui, nel corso di tale periodo, si sono sviluppate le generazioni dei “figli” e dei “figli dei figli”. Come si è detto poco più sopra, nessun evento particolarmen-te negativo è stato riservato a esse: né guerre né catastrofi né altre sciagu-re epocali. Difficilmente si potrebbero immaginare circostanze storicamente peggiori. Per quanto possa apparire pa-radossale, e addirittura crudamente bef-fardo, l’assenza di eventi negativi, con la conseguente fiducia in un (illusorio) inin-terrotto progresso, dapprima, e il lento deteriorarsi del panorama complessivo, con l’assuefazione a un inesorabile re-gresso, ai giorni nostri – tutto ciò costi-tuisce la condizione di gran lunga meno auspicabile per far sì che una generazio-ne possa liberarsi di quella precedente, anziché ereditarne passivamente il “cari-co”: quella colpa dei padri che in tal modo continua a gravare sulle spalle dei figli.

D’altronde, è proprio la mancanza di qualsivoglia deviazione dal solco storico segnato, ovvero l’insussistenza di qualsi-asi “distacco” da esso, la dimostrazione più lampante dell’accettazione dell’eredi-tà della generazione precedente da parte di quelle successive.

Settant’anni fa la guerra, pur con il suo immane carico di tragicità e il pe-sante tributo di sangue pagato da inte-re generazioni d’italiani, aveva segnato un’incontrovertibile cesura tra l’Italia fa-scista e l’Italia della ricostruzione. e se ciò nonostante l’eredità del fascismo ha finito con il conservarsi sotto molteplici forme nel regime clerico-fascista demo-cristiano (come lo stesso Pasolini in più circostanze non manca di rilevare), è tut-tavia innegabile che il pur forzato ricam-bio generazionale abbia giocato un ruolo essenziale nel rinnovamento dell’Italia degli anni cinquanta.

Quarant’anni fa il cosiddetto Sessan-totto, pur con tutte le contraddizioni che lo hanno caratterizzato, ha rappresentato il tentativo (non sempre riuscito, o riusci-to in modo soltanto parziale ed epider-mico) di liberarsi della generazione dei padri: in senso letterale (genitori), e in senso metaforico (insegnanti). Soprat-tutto in quest’ultimo caso ha avuto luogo

– nelle circostanze migliori – una radica-le messa in discussione dei fondamenti della cultura offerta da un’intera genera-zione spesso ancora legata alla società prebellica e fascista.

Al giorno d’oggi, al contrario, le giova-ni generazioni sembrano non avere alcu-na assuefazione alla lotta: né per reagire contro qualcuno o qualcosa che dall’e-sterno le combatte come un nemico, né per attaccare qualcuno o qualcosa che esse stesse considerano un nemico.

Si potrebbe dedurne che le giovani generazioni sono più mature di quelle che le hanno precedute, che sono ispi-rate da princìpi di fraternità, di amicizia o di “pacifismo” più di quanto non sia mai accaduto prima di loro. Tale ipotesi si scontra tuttavia con quanto quotidia-namente testimoniato dalla cronaca, da cui le giovani generazioni (non tutti i gio-vani, in modo indifferenziato e generico, naturalmente) risultano spesso, se non addirittura «aggressive fino alla delin-quenza», come evidenziato da Pasolini, quantomeno sordamente insensibili fino alla crudeltà.

La non assuefazione alla lotta delle giovani generazioni esige perciò una di-versa spiegazione. Se infatti aggressività e insensibilità mal si conciliano con la presunta “pacificità” di generazioni che proseguono il loro cammino lungo la strada indicata dai “padri”, queste stes-se tendenze non sono invece antitetiche, bensì piuttosto complementari, a un al-tro carattere distintivo dei rappresentanti di tali generazioni: il loro essere «passi-vi fino all’infelicità». In questo senso, la continuità con le generazioni precedenti e con il corso storico segnato, rilevata poc’anzi, potrebbe essere interpretata come un ineluttabile segno di passività. e la passività, fra le forme di colpevolezza che contraddistinguono coloro che sono incapaci di liberarsi dell’eredità dei “pa-dri”, secondo la concezione pasoliniana, «non è una colpa minore».

D’altra parte, questa incapacità non è forse esclusivo appannaggio delle “gio-vani generazioni”, perlomeno in Italia. Si legga quanto scrive umberto Saba (in Scorciatoie e raccontini, Mondadori, Mi-lano 1946): «Vi siete mai chiesti perché l’Italia non ha mai avuta, in tutta la sua storia – da Roma a oggi – una sola vera rivoluzione? La risposta – chiave che apre molte porte – è forse la storia d’I-talia in poche righe. Gli italiani non sono parricidi; sono fratricidi. […] ed è solo con il parricidio (uccisione del vecchio) che si inizia una rivoluzione. Gli italiani vogliono darsi al padre, e avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli».

Il problema dunque non riguarda sol-tanto i giovani: a meno che per “giovani” non s’intendano (come ormai in effetti s’intendono, benché solo ed esclusiva-mente in Italia) tutte le persone com-prese in quella larga fascia d’età che va dall’adolescenza fino ai cinquant’anni. Tale allargamento dello “spettro” della gioventù si registra con grande eviden-za nelle abitudini linguistiche – oltreché nella prassi concreta – italiane: laddove, per esempio, si parla di “giovani” politici, di “giovani” industriali, di “giovani” pro-fessori o di “giovani” architetti riferendo-si a individui non certo di venticinque o trent’anni bensì, appunto, di quaranta o cinquant’anni, e anche oltre. Ciò rimar-ca due caratteristiche specifiche della società italiana degli ultimi trent’anni: il fatto che i giovani davvero giovani co-stituiscono un’eccezione all’interno dei quadri direttivi del Paese; e il fatto che, essendo il quadro direttivo, in presso-ché tutti i settori, nelle mani di individui di sessanta, settanta o anche ottant’anni, coloro che hanno cinquant’anni risultano effettivamente – benché pur sempre re-lativamente – “giovani”.

Anche tali presunti “giovani” di qua-ranta o cinquant’anni, comunque, rappre-sentano un’eccezione a loro volta; e se non sono rarissimi sotto un profilo nume-rico, rarissimamente occupano posizioni che contino davvero qualcosa. Davanti si ritrovano – nella maggior parte dei casi

– persone più anziane di loro, a cui la preminenza del ruolo spetta spesso non per questioni di merito bensì per anzia-nità di carriera. e proprio qui sta il nodo della questione: rovesciando l’inveterata consuetudine in base alla quale hanno sempre favorito il ricambio generazionale facendosi da parte o morendo, al giorno d’oggi gli anziani si battono strenuamen-te, con le unghie e con i denti, per la dife-sa della propria salute, del proprio posto di lavoro, della propria posizione sociale, in poche parole del proprio “diritto” a esi-stere attivamente. Nulla d’incomprensibi-le, o di soggettivamente sbagliato, se non finisse col generare un’accerrima conflit-tualità con le generazioni più giovani.

Ciò – sia ben chiaro – non ha posto termine all’altrettanto inveterata consue-tudine di avvantaggiare nel loro inseri-mento sociale e lavorativo i propri figli. Ma anche il fenomeno del nepotismo, nella sua versione attuale, è riformulato a partire dal principio della maggiore im-portanza – ovvero della superiorità – dei padri rispetto ai figli. L’idea apparente-mente innata che le generazioni succes-sive fossero naturalmente più progredite in rapporto a quelle precedenti è venuta così a cadere. Non si tratta più, ancora

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una volta, della normale dialettica tra le generazioni, per cui gli anziani sempli-cemente “non capiscono” i giovani – e viceversa. Si tratta piuttosto di una lot-ta aspra, quasi rabbiosa, che gli anziani ingaggiano per la propria sopravvivenza: una lotta per la perpetuazione del pas-sato e per il mantenimento del presente. una lotta, di conseguenza, contro il futu-ro e contro i giovani.

Questi ultimi non soltanto vengono privati di fatto di molte opportunità di la-voro, dell’autonomia economica e dello status a essa connesso, ma ancor di più vengono privati della loro dignità, della fi-ducia in se stessi e della speranza nella possibilità di un futuro.

In tutto ciò gli anziani non si limita-no ad avere un ruolo meramente passi-vo, mantenendo le posizioni che hanno sempre occupato sinora. Da parte delle generazioni più anziane vi è invece una vera e propria rivendicazione del diritto a occupare il posto che occupano, e a esercitare la preminenza che esercitano. I motivi di ciò, che rimarrebbero sempli-cemente inspiegabili alla luce delle con-suete dinamiche generazionali, si lascia-no invece comprendere se inquadrate storicamente. ed è proprio nella prospet-tiva offerta da Pasolini che esse diventa-no drammaticamente chiare.

Le ragioni dello scontro tra le genera-zioni che hanno fatto la guerra (e ancora di più, che hanno fatto la Resistenza) e il Sessantotto (pur non trattandosi eviden-temente della stessa generazione) e le generazioni successive non sono riduci-bili a una differenza di età (benché c’entri anche questa, ovviamente) ma piuttosto sono riconducibili a quella “mutazione

antropologica” di cui parla Pasolini. Pur nella continuità (apparente) tra le gene-razioni, di cui si è detto più sopra, infatti, massima è la distanza effettiva fra loro, come mai forse in uguale misura nel corso della storia. Distanza di compor-tamenti, anzitutto: ultrapassività dei gio-vani e iperattivismo degli anziani, come già rilevato. Inoltre, distanza di mentalità: priva di un centro, di un valore assoluto, e aperta a un divenire continuo, quella dei giovani; cristallizzata sul proprio “cielo delle stelle fisse”, ovvero su un “universo tolemaico” ancorato all’inamovibile pietra basamentale dell’esperienza, quella degli anziani.

Come sono rapportabili tali distanze a una logica consumistica? Per quanto possa apparirvi estranea, essa ne è in-vece la causa più diretta e profonda. È proprio la dimensione consumistica la matrice della mentalità altamente re-lativistica delle generazioni più giovani (da Gennariello in avanti), tanto quanto lo è del radicale sovvertimento di com-portamento delle generazioni più anzia-ne nei confronti di quelle più giovani. In entrambi i casi si tratta degli effetti della scomparsa della civiltà tradizionale di cui parla Pasolini (scomparsa che i sogget-ti più giovani – come visto – subiscono con maggior rilevanza in ragione della più prolungata e integrale “esposizione” alla società dei consumi rispetto a quelli più anziani).

Paradossalmente, tuttavia, sono pro-prio gli anziani a costituire il problema maggiore, oggi. È loro la contraddizione più lacerante (il che di nuovo si lascia spiegare con la diversità delle condizio-ni esistenziali nelle quali hanno vissuto).

Sono gli anziani, infatti, nella situazione italiana attuale, a nutrire una diffidenza – e addirittura, di sovente, un’aperta ostilità

– nei confronti dei giovani, piuttosto che il contrario. e sono gli anziani, ancora, che avanzano la pretesa di condurre il gioco sulla base esclusiva della propria espe-rienza.

Naturalmente sarebbe difficile ne-gare la sostanzialità e l’utilità dell’espe-rienza degli anziani in termini di vastità del sapere accumulato e di capacità di metterlo in relazione. Tuttavia, a produrre un conflitto generazionale senza prece-denti è il loro tenace rifiuto a spostare il confronto dal terreno sedimentato dell’e-sperienza a quello probabilmente più sconnesso, sicuramente composito, ma almeno potenzialmente prolifico coltivato dai giovani.

Con tutta evidenza, la negazione in blocco di tutto ciò da parte degli anzia-ni, su base assai più pregiudiziale che non di merito, è l’arma strategica da essi impugnata per gettare discredito sugli

“avversari” più giovani e mantenerli sog-giogati in una posizione subalterna. Ma è anche – al contempo – lo scudo protet-tivo furiosamente brandito per opporre un’ultima, disperata resistenza.

Ma non si comprenderebbe per in-tero la tragicità della situazione attuale se non s’intendesse che così facendo la generazione dei padri non si limita a salvaguardare se stessa bensì escogita il modo per far pagare in concreto le pro-prie colpe ai figli. E che dunque la lotta degli anziani contro i giovani non è che altro che la terribile punizione che i figli subiscono per non aver saputo liberarsi dei padri.

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Progetto Manifesti 2016 Esposizione di buona giovane architettura nella città di Trento

a cura di AgatnAssociazione giovani Architettidel Trentino - (www.agatn.net)

L’Associazione AGATN (Giovani Ar-chitetti del Trentino) ha organizzato nel-la città di Trento, tra il 19 settembre e il 16 ottobre 2016, la mostra “Buo-na giovane architettura è possibile”. Gli obiettivi che l’Associazione vuole por-tare all’attenzione sono volti, appunto, a favorire e sostenere l’immagine e la pro-fessionalità dei giovani architetti, promuo-vendo all’interno della società civile, una coscienza culturale del “fare architettura”. Mossa da questi principi, l’Associazione ha così dato avvio ai lavori.

Da dove partire? Il primo passo è sta-to scegliere la strategia espositiva. Dopo tante idee la soluzione che il gruppo di giovani architetti ha ritenuto più interes-sante ed originale è stata quella di imma-ginare la stessa città di Trento, con i suoi vicoli e le sue piazze, spazio espositivo. Il nuovo e alternativo metodo di comunica-zione, reso possibile grazie all’utilizzo degli spazi pubblicitari delle affissioni pubbli-che, si è preposto di coinvolgere un mag-gior numero di cittadini e promuovere una sensibilizzazione diffusa all’architettura contemporanea.

I passi successivi hanno riguardato la scelta della collocazione dei proget-ti all’interno della città. A tale proposito si è deciso di organizzare un percorso espositivo che andasse a lambire i prin-cipali nodi della città: a partire da Tren-to sud, al lungo Adige fino a giungere al centro e all’antica ansa dell’Adige. Ma che cosa esporre e come sceglierlo?

ed ecco la selezione di 8 architetture con-temporanee realizzate da progettisti italia-ni e non, valutate inizialmente, in base a due requisiti tecnici, ritenuti fondamentali: progetti di professionisti che non abbiano compiuto il quarantesimo anno di età e scaturiti da un concorso di progettazione.

La selezione degli 8 progetti, curata dai membri dell’Associazione, si è poi con-centrata sulla qualità del progetto e sul processo che ne ha portato alla realizza-zione. Ognuno, infatti, ha portato ed ana-lizzato nel dettaglio un progetto ritenuto significativo, trasformando così gli incontri dell’Associazione in momenti di dibattito e confronto. Sono state visionate moltepli-ci architetture prima di arrivare alla scelta delle più rappresentative non solo sotto il profilo architettonico ma anche in re-lazione all’impatto generato sul contesto in cui si inseriscono e al processo che le ha generate. Tale raccolta è in grado di rappresentare una visione sintetica del-le diverse componenti dell’Associazione. Gli otto progetti, pur stilisticamente e for-malmente diversi, dimostrano come un’ar-chitettura di qualità sia in grado di creare un’interazione significativa con le persone e con il luogo nella quale è stata realizzata, facendo trasparire, così, la vera natura del-la nostra epoca. Alla base di tutto, infatti, è sempre identificabile un tipo di approccio chiaro che si qualifica attraverso un pro-gramma che tocca molteplici ambiti di tipo: sociale, estetico, funzionale ed economico. In ultimo, percorrendo e visionando i di-

Buona giovanearchitettura è possibile

PROgETTI / LOCATIOn

PASCAL FLAMMeRCasa a Balsthal - SvizzeraVia Orsi

MIRKO FRANZOSOCasa sociale Caltron - Cles, ItaliaPiazza di Centa, Via Vannetti

DIDONÈ COMACCHIO ARCHITeTTI + MIDe ARCHITeTTI Pencil Box - San Felice sul Panaro, ItaliaVia Torre Verde

STRADIVARIe ARCHITeTTI ASSOCIATIPark(e)ing 2 - Cavallino Treporti, ItaliaVia Torre Vanga

RS + Waterfront Paprocany lake - Tychy, PoloniaPiazzale San Severino

OPeNFABRICInto the wild - L’Aja, Paesi BassiVia Bezzi

MAB arquitectura + LAPS architectureCentro civico polivalenete - Paris, FranciaVia San Pio X

DeMOGO studio di architettura Nuovo polo municipale - Gembloux, BelgioParco Venezia, Via Grazioli

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versi pannelli espositivi si potrà notare come ci sia una relazione, un’analogia, tra il contesto fisico nel quale il progetto è inserito e il tema del progetto stesso. Ad esempio, il progetto di RS+, relativo la ri-qualificazione di un lungo lago in Polonia, è stato posizionato a Sanseverino nelle vicinanze dell’argine dell’Adige, oppure, il playground progettato da Openfabric, in un quartiere di residenze popolari all’A-ia (Olanda) è stato esposto in via Bez-zi, adiacente al complesso di case Itea. Momento conclusivo della mostra “Buo-na giovane architettura è possibile”, è stato l’incontro, presso lo spazio ar-cheologico sotterraneo del Sass, insie-me ad alcuni dei progettisti selezionati.

In particolare, sono stati nostri ospiti gli studi: Didonè e Comacchio architetti, De-mogo studio di architettura e Openfabric.

L’evento è stato un incontro-confe-renza informale che ha fin da subito an-nullato la distanza tra relatori e pubblico, conducendo ad una serata coinvolgente e partecipata. L’evento ha visto succe-dersi le differenti esperienze progettuali e i diversi programmi che hanno condot-to all’ideazione e alla realizzazione delle opere selezionate in Italia e in europa. Sono stati toccati molteplici temi, dai rapporti con l’amministrazione pubblica alla qualità architettonica fino al rappor-to e alle reazioni dei fruitori degli spazi. L’importante messaggio che gli ospi-

ti, con il loro entusiasmo, sono riusciti a trasmettere, è che anche per i giova-ni professionisti è possibile condurre esperienze progettuali di qualità, non solo all’estero, come accade per lo stu-dio Openfabric, ma anche in Italia, come raccontato dalle altre due giovani realtà. Dalle esposizioni è emerso l’importante ruolo dei concorsi di progettazione nelle esperienze dei relatori; il concorso, visto come strumento efficace per poter acce-dere ad incarichi pubblici e di maggiore “sostanza”, ha permesso agli studi di ot-tenere lavori altrimenti difficilmente ac-cessibili ai più giovani ricorrendo ai più tradizionali sistemi di selezione basati sui requisiti economici.

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Opinioni

Intervista multipla ai giovaniprogettisti in mostra

a cura della redazione

Quanto è stato importante lo strumento del concorso per l’inizio della vostra professione?

OPeNFABRIC Il concorso è stato il nostro primo approccio alla professio-ne. Infatti nel 2011/2012, anno in cui abbiamo fondato Openfabric, i nostri sforzi si sono dedicati quasi esclusiva-mente alla partecipazione a concorsi (aperti) di progettazione. Quando uno studio si deve formare, creare un’i-dentità e, soprattutto, un portfolio, lo strumento del concorso diventa fon-damentale, poiché spinge all’elabora-zione di ragionamenti generali, di idee ambiziose, e a sviluppare una comuni-cazione chiara ed efficace del progetto senza il ‘giogo’ di una relazione diret-ta committente-progettista. I concor-si, soprattutto quelli aperti, sono una condizione di ‘ingenuità professionale’ dove si può sperimentare e si può tro-vare la propria posizione all’interno di un affollatissimo mondo professionale.

DeMOGO è un progetto nato pro-prio a partire dalle esperienze dei con-corsi. Cercavamo, in qualche modo, un territorio adatto a verificare il nostro pensiero e le nostre discussioni collet-tive all’interno dello studio: il concorso ci è sembrato uno spazio possibile di sintesi tra ricerca e realismo. La nostra opera prima - il Nuovo Polo Municipale di Gembloux - è stata per noi una sorta di iniziazione all’architettura, estrema-mente decisiva per formare il nucleo iniziale della nostra ricerca.

FRANZOSO Sicuramente i concor-si mi hanno dato la possibilità di fare esperienza ed esprimere idee riguardo ad alcuni temi per i quali difficilmente avrei ottenuto un incarico diretto da un ente pubblico, così come da un priva-to. Tutto ciò è stato fondamentale non solo per l’opportunità che un concorso può offrire ai progettisti, di qualsiasi età e di qualsiasi luogo, di ottenere un incarico, ma anche per la possibili-tà di accrescere la propria esperienza nel campo della composizione e della progettazione architettonica, oltre che favorire l’interazione tra diverse figure e professioni e lo scambio di idee tra colleghi. Ritengo che il concorso sia lo

strumento migliore per l’affidamento dei lavori (non solo per i giovani archi-tetti), ma solo se gestito in modo se-rio e professionale in tutte le sue parti, in modo da innescare un processo di selezione dei professionisti basato su criteri di qualità e merito.

Come la vostra “opera prima” ha influenzato lo sviluppo della vostra attività professionale?

DIDONe’ - COMACCHIO La nostra opera prima è stata importante soprat-tutto dal punto di vista della comuni-cazione. Abbiamo iniziato a mostrare al mondo che eravamo in grado di co-struire e bene.

MAB ARQuITeCTuRA La nostra opera prima, l’intervento di Social Hou-sing e parco pubblico in Via Gallarate a Milano, è stata il frutto di un concor-so di progettazione che abbiamo vinto a ventotto anni, e che ci ha dato la possibilità di strutturare maggiormente lo studio ed ingrandirci.

Questo concorso racchiudeva i temi che più ci stimolavano - l’espansione della città, lo spazio pubblico, la dimen-sione sociale dell’architettura – e che ancora oggi fanno parte della nostra ricerca e dell’identità dello studio.

OPeNFABRIC La nostra ‘opera pri-ma’, la playground ‘Into the Wild’, è sta-ta proprio frutto di un concorso aperto vinto alla fine del 2012 che, attraver-so un processo virtuoso, ha coinvolto direttamente noi progettisti, cliente pubblico e organizzazione privata ma, soprattutto, la comunità locale, sin dall’inizio; tale opera è stata realizzata nel giro di un anno.

Il progetto ha creato un preceden-te di grande interesse ed ha genera-to nuove opportunità nel campo della progettazione di spazi pubblici con vo-cazione ludica e sportiva.

Che differenza c’è tra un proget-to presentato ad un concorso ed un incarico diretto, in termini di crea-tività, impegno, sforzo intellettuale, ricerca?

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STRADIVARIe Nessuno! Ogni in-carico, ogni commissione, è per noi un’occasione, in fase preliminare o di fattibilità, di tenere insieme le esi-genze della committenza e la nostra ricerca personale e professionale. Da questi progetti sono nate, negli anni, varie occasioni di approfondimento o di sviluppo scientifico: prototipazione e brevetti, pubblicazioni di tesi, parteci-pazioni a convegni o ancora a mostre.

Fare ciò, non neghiamo, è un impe-gno in termini di tempo e energie…ma alla fine dà soddisfazione!

DeMOGO In realtà noi non faccia-mo distinzioni rispetto alla strategia intellettuale e al metodo di sviluppo del progetto, le discriminanti più gran-di sono per noi il tempo e le economie di mercato. Crediamo che, in generale, in Italia oggi il profilo culturale dell’o-pera subisca un declassamento all’in-terno dei processi di trasformazione, è probabilmente una delle questioni più difficili da sovvertire.

FRANZOSO La differenza di fondo tra un incarico diretto ed un concorso, sta principalmente nel fatto che con il primo metodo il committente deci-de a chi affidare la progettazione, nel secondo caso, invece, il committente sceglie il progetto: la preferenza rica-de quindi sulla qualità del progetto e non sul curriculum del progettista.

In termini di creatività, impegno, sforzo intellettuale e ricerca, se l’archi-tetto ha a cuore ogni suo progetto e sviluppa ognuno di essi con l’obiettivo della qualità architettonica, gli sforzi e le energie impiegate sono molto simili, ma si svolgono in momenti e con inter-locutori diversi.

DIDONe’ - COMACCHIO un pro-getto presentato ad un concorso ri-spetto ad un progetto ad incarico di-retto solitamente si caratterizza per il grado di maggiore libertà creativa, in quanto l’unico interlocutore è il ban-do di gara. In un incarico diretto so-litamente ci si deve confrontare con qualcuno che può avere idee, gusti o preferenze diverse, fatti che possono costituire dei limiti.

Quali sono state le fasi di realiz-zazione dell’opera?

C’è stata la creazione di un team interdisciplinare con la consulenza di professionisti più esperti?

OPeNFABRIC Il processo proget-

tuale che ha portato alla realizzazione della playground ‘Into the Wild’ è stato un processo virtuoso frutto del coinvol-gimento e dell’impegno dei diversi at-tori interessati. Il team era formato da due studi di progettisti, Openfabric e Dmau, che hanno affrontato la proget-tazione da differenti angolazioni: uno più incentrato sullo spazio pubblico e sul paesaggio, l’altro prettamente ar-chitettonico. Due i committenti: il co-mune de L’Aja e l’organizzazione be-nefica Richard Krajicek Foundation. La fase esecutiva è stata supervisionata dagli ingegneri dello studio Arcadis. Le molteplici figure professionali, quindi, hanno coperto tutti gli aspetti rilevan-ti relativi sia alla fase decisionale che alla fase esecutiva.

I maggiori punti di forza sono sta-ti due, da una parte il rapporto con la committenza ‘alla pari’ rendendola par-te integrante e attiva del team, dall’al-tra, il coinvolgimento della comunità fin dalle fasi preliminari della progettazio-ne, comunità che, oltre a contribuire con idee e consigli, assume oggi un ruolo attivo e operativo organizzando eventi e occupandosi parzialmente della manutenzione dello spazio pub-blico.

DIDONe’ - COMACCHIO Il proget-to “Pencil box” è nato in una situazione di emergenza a seguito del sisma che ha colpito l’emilia Romagna nel 2012. La necessità di costruire velocemen-te ha comportato la strutturazione di bandi di gara che prevedevano proce-dure rigide ma senza intoppi. Già nella fase di concorso costituimmo un team composto da studi di progettisti, noi assieme a Mide architetti, strutturisti, impiantisti, ed impresa costruttrice e presentammo la nostra offerta. una volta vinto il concorso ci furono dati 10 giorni per la stesura del progetto ese-cutivo e 60 giorni per la realizzazione dell’opera.

FRANZOSO Dopo l’esito del con-corso l’amministrazione pubblica ha provveduto ad affidarmi l’incarico per la redazione dei progetti definitivo ed esecutivo, così come specificato nel bando.

La fase di stesura dei progetti è du-rata all’incirca un anno, nel corso del quale ho collaborato con altri profes-sionisti di mia fiducia nella definizione di tutti gli aspetti che riguardano la realizzazione di un’architettura quali: strutture, impianti, sicurezza in cantie-re……

Oltre a questi professionisti esperti,

si è creato un rapporto professionale intenso e corretto con il RuP e l’inte-ro ufficio tecnico del comune, che ha accolto fin da subito in modo positivo il progetto. Tutto ciò ha portato allo sviluppo di un progetto ben definito in ogni suo aspetto ed ha quindi favorito il buon andamento delle gare d’appalto prima e del cantiere poi.

Conclusa la fase progettuale e di affidamento delle opere è iniziata la fase in cantiere che si è conclusa nei tempi prestabiliti e senza impedimenti.

Ad opera ultimata, espletata la par-te burocratica, l’edificio è stato affida-to all’amministrazione pubblica che ha completato l’opera con l’arredo degli interni.

STRADIVARIe Nel progetto Park(e)ing la complessità dell’area, dovuta da una forte commistione di usi, nonchè la sua dimensione, 3,5 ettari, hanno portato necessariamente all’individua-zione di più fasi temporali di attuazione. Lo studio di riqualificazione generale ha definito, infatti, l’assetto comples-sivo finale (funzionale e paesaggisti-co) e i diversi step per raggiungerlo. Il progetto, viste le dimensioni, affronta anche il tema della sua “percezione dall’alto”.

Sono state ipotizzate più fasi di rea-lizzazione dell’intervento. La prima, de-nominata MAKe uP, è un’operazione di re-styling che avviene attraverso la colorazione dei pannelli esistenti del-la recinzione e la realizzazione di una nuova “recinzione in spessore”, che ospita i parcheggi per le biciclette.

La seconda, chiamata PLuG-IN, è finalizzata alla realizzazione di una piazza - arena centrale.

La terza fase è quella GReeN, ov-vero il momento in cui si guarda alle ai-uole esistenti per trasformarle in nuovi playground.

Dal 2009 a oggi sono state rea-lizzate le prime due fasi. Ciò è stato possibile grazie a un team multidisci-plinare, costruito nel corso degli anni, e che oggi conta dieci persone (dall’a-gronomo, all’ingegnere idraulico e illu-minotecnico, al topografo).

Da giovani professionisti, qual’è stato il rapporto con la committenza?

DeMOGO un rapporto complesso, ogni progetto è sostenuto da attori dif-ferenti e questo modifica le dinamiche e i percorsi dell’architettura. General-mente cerchiamo di costruire un rap-porto di condivisione e di crescita con

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la committenza, desideriamo trasmette-re l’importanza dell’influenza dell’archi-tettura nella vita degli individui.

MAB ARQuITeCTuRA È innegabile che più grande è l’esperienza di un pro-gettista, maggiore è la fiducia da par-te della committenza. Ma l’esperienza non è sempre sinonimo di qualità pro-gettuale e creatività, e di questo mol-ti committenti sono consapevoli. Da giovani progettisti bisogna farsi valere sul campo, soprattutto tecnicamente, e i frutti si raccolgono soltanto alla fine del processo.

DIDONe’-COMACCHIO Se parlia-mo del progetto “Pencil Box”, il rappor-to con la committenza è stato minimo. La necessità di costruire velocemente in una situazione di emergenza, a se-guito del sisma che ha colpito l’emi-lia Romagna nel 2012, ha dettato una strutturazione dei bandi di gara che permettessero di procedere in tempi ristretti. Nella prima tornata di concorsi era prevista la costruzione di circa 28 scuole, se per ogni scuola fosse stato previsto dialogo tra le parti, sarebbe venuto a mancare il requisito fonda-mentale della velocità.

STRADIVARIe Positivo! Avvincente e di crescita! Sicuramente preferiamo la committenza pubblica, perché c’è sempre una dimensione collettiva.

Come professionista italiano che ha lavorato all’estero, avete no-tato dei pregiudizi verso i giovani o un modus operandi migliore e che auspicate anche per l’Italia?

MAB ARQuITeCTuRA Nei paesi esteri con i quali ci siamo confrontati, e in particolare la Francia, la Spagna e la Svizzera, le procedure concorsuali sono ben strutturate. Il sistema è pres-soché sempre identico per quanto ri-guarda la documentazione da produrre e il metodo di selezione dei progettisti. Questo garantisce minore aleatorietà e maggiori garanzie per i professioni-sti nell’attribuzione degli incarichi. La procedura più diffusa per l’affidamento degli incarichi è quella del concorso in due fasi con preselezione per curricu-la, e successivamente contest con un numero limitato di concorrenti, da tre a dieci al massimo.

È un sistema che in prima battuta mette in valore la traiettoria progettua-le dei concorrenti e l’esperienza pro-gettuale insieme ai requisiti tecnico-

economici e, in una seconda battuta, si basa sulla qualità della proposta progettuale. Questo consente agli ar-chitetti di limitare le spese in fase di preparazione delle candidature, e di potere contare, a fronte di una selezio-ne, su un rimborso spese appropriato alla mole di lavoro.

Bisognerebbe importare queste buone pratiche anche in Italia, attuan-do una sistematizzazione delle proce-dure concorsuali a scala nazionale, au-mentando il più possibile i concorsi a procedura ristretta, anche garantendo l’accesso ad un giovane progettista fra i concorrenti selezionati, il tutto a van-taggio della qualità del risultato finale e a maggior tutela dei professionisti.

OPeNFABRIC Lavoriamo in conte-sti diversi fra loro, dalla Cina, al Perù, dall’Albania, all’Olanda. Al di là delle differenze culturali che prediligono o meno professionisti d’esperienza a danno dei più giovani, è interessante notare la generale differenza tra paesi ‘sviluppati’ e paesi ‘in via di sviluppo’. In questi ultimi, infatti, la spinta verso la transizione a paesi dall’economia sta-bile, è guidata da una nuova generazio-ne politica e professionale. Basti pen-sare all’Albania presieduta dal primo ministro edi Rama. L’energia di questi paesi e il ruolo che i giovani hanno nel costruire una giovane classe dirigente e professionale, può essere un esem-pio per quei paesi che vivono la diffe-renza generazionale come uno scontro piuttosto che un proficuo dialogo in-clusivo.

DeMOGO C’è una diffidenza di base molto importante al di fuori dell’I-talia: le opere significative per la co-munità sono affidate sempre attraver-so il concorso d’architettura. Questo fatto non è una garanzia risolutrice ri-spetto alla qualità finale dell’opera, ma indubbiamente offre un sistema dove il requisito meritocratico è maggiore. La questione in ogni caso appare molto più complicata: l’architettura è espres-sione sempre di un sistema culturale, delle istanze di una società, dovremmo interrogarci su come sviluppare oggi l’interesse e il desiderio nelle persone, intorno ad una architettura che fa la differenza per il nostro paese. Senza questo desiderio condiviso, opere an-che importanti resteranno costante-mente casi isolati, incapaci di incidere sulla realtà diffusa.

nel libro “MMX, architettura zona

critica” Marco Biraghi scrive “L’ulti-ma resistenza, ovvero la lotta de-gli anziani contro i giovani”, in cui indaga il rapporto tra generazioni dando una lettura molto dura: da una parte i “padri” che non mollano le loro posizioni, non favoriscono il ricambio generazionale, sono ostili e diffidenti nei confronti dei giovani, dall’altra i “giovani” che non riesco-no a liberarsi dei padri e anzi cerca-no la loro approvazione tentando di assomigliargli.

In questo senso ti senti “parrici-da” o “fratricida” pensando alla no-stra professione?

DeMOGO All’inizio del nostro per-corso sentivamo di più la questione ge-nerazionale, probabilmente è qualcosa di fisiologico, che si è sempre ripetuto nelle fasi di transizione generazionale. In questo momento siamo più interes-sati alla costruzione di un dialogo con alcuni referenti esterni allo studio, fi-gure di diversa età e formazione che possano dare un contributo critico-teorico alla nostra ricerca. Dopo un lungo periodo di dibattiti interni allo studio, necessario alla formazione di un’identità di base, ci stiamo aprendo maggiormente all’esterno attraverso esposizioni, conferenze, testi, cioè una forma di partecipazione attiva rispetto alla costruzione della cultura del pro-getto.

DIDONe’ - COMACCHIO Non ve-diamo la questione generazionale, a li-vello professionale, come un problema. A nostro avviso il gap tra la vecchia generazione e la nostra è talmente ampio, che determina un’offerta e una proposta di servizi totalmente diverse. Il problema maggiore è far arrivare, al potenziale committente, la diversa qualità del servizio offerto. La crisi della professione in Italia, a nostro av-viso, è legata ad altre cause.

OPeNFABRIC Nella mia espe-rienza non ho mai subito lo scontro generazionale, anzi, spesso lavoria-mo in team che includono progettisti d’esperienza. Non è solo il livello di competenza raggiunto negli anni dalle generazioni precedenti a interessarci, ma anche le tecniche e la modalità di gestione di un processo progettuale diverso dal nostro in quanto sviluppato e consolidato in periodi a noi estranei.

La vera concorrenza arriva dai no-stri coetanei: i tantissimi progettisti con background simile al nostro, river-sati in un mercato del lavoro già saturo.

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Se si considera che in Italia c’è un ar-chitetto ogni 414 abitanti e, per esem-pio, in Francia uno ogni 2187, capia-mo di essere di fronte ad un’emergen-za nostrana. I sistemi universitari, le politiche dell’istruzione e formazione, devono ritrovare il senso del limite per evitare di contribuire alla produzione di disoccupati. Secondo AlmaLaurea*, infatti, ad un anno dal conseguimento della laurea trova lavoro meno della metà dei giovani professionisti.

* AlmaLaurea: Consorzio interuni-versitario, nato nel 1994 all’università di Bologna al quale aderiscono 73 Ate-nei Italiani e il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della Ricerca (MIuR), affronta le tematiche degli studi uni-versitari, della condizione occupazio-nale dei laureati, della realtà giovanile, opera per agevolare e democratizzare l’accesso dei giovani al mercato del la-voro italiano ed internazionale.

FRANZOSO Calando la domanda nel territorio trentino e nel quotidiano, le resistenze con cui ci si scontra or-dinariamente non sono assolutamente legate all’età, ma piuttosto alla capaci-tà di discutere le questioni progettuali nel merito, con qualsiasi interlocutore, giovane o anziano che sia.

Accettare le idee degli altri e met-tere in discussione le proprie è la maggiore difficoltà che si incontra nel confronto con altri professionisti. Spesso all’interno degli organismi che dovrebbero salvaguardare il territorio e la qualità architettonica manca la capacità o la volontà di ascoltare ed accettare il percorso che ha portato ad effettuare determinate scelte pro-gettuali. In questo modo, con decisioni semplici ed affrettate, si vanifica a vol-te il lungo lavoro di studio, progetta-zione e sintesi che ha portato a quel determinato risultato.

Il problema è rappresentato dal non voler mollare le proprie convinzioni ed idee e ciò non permette un ricambio culturale. In chiave architettonica ciò si traduce in una forte diffidenza verso la contemporaneità a favore di una più

“sicura ed accomodante“ tradizione ed al successivo appiattimento e livella-mento delle idee che ne consegue.

Quali sono i “luoghi comuni” sui giovani professionisti che vi sentite di aver sfatato?

FRANZOSO In Italia i luoghi co-muni sui giovani, e sui giovani profes-sionisti in particolare, sono molti e si

incontrano nella pratica quotidiana. I luoghi comuni in quanto elementi di semplificazione e generalizzazione portano inevitabilmente in sè un valo-re fortemente negativo, ma nascondo-no talvolta una parte di verità. La ri-flessione e l’autocritica sono elementi importanti nella professione, pregiudi-zi e resistenze possono rivelarsi effet-tivamente uno stimolo per migliorare. un giovane architetto non deve quindi essere autoreferenziale e chiuso in sé stesso, ma deve calarsi il più possibile nella realtà ed essere in grado di met-tersi in discussione.

MAB ARQuITeCTuRA Che i gio-vani possono essere molto competitivi, riuscendo a sopperire all’esperienza con il dinamismo e l’apertura all’in-ternazionalizzazione. Ma anche per l’approccio flessibile e attento alle ri-chieste della committenza e per uno sguardo sempre aperto alle nuove tecnologie e alla ricerca svolta in altri paesi.

OPeNFABRIC una sfida implicita del nostro lavoro di Italiani all’estero (Openfabric ha infatti sede il Olanda, a Rotterdam) è quella di non essere locali, di non disporre di quella rete di contatti di vicinato che si ha quando si lavora nel proprio ambiente ‘familiare’. Questo ha dato un taglio internaziona-le a Openfabric, aiutandoci a sviluppa-re progetti su scala globale sin dall’i-nizio. Ci piace pensare che i contatti di vicinato non siano fondamentali per la riuscita o meno di un’avventura im-prenditoriale.

DeMOGO Il nostro è un percorso molto lineare in realtà, costruito con grande fatica, giorno per giorno, con lentezza e rispetto per la nostra disci-plina, forse è proprio questo l’aspetto in controtendenza: abbiamo un’idea di architettura molto arcaica, fondata su questioni primarie legate sostanzial-mente al bisogno di ricondurre l’ar-chitettura alla dimensione spaziale ed atmosferica.

Nuovo polo municipale

Centro civico polivalentee 30 alloggi sociali

Casa socialea Caldron

Casa a Balsthal

Riqualifi cazionesponda estdel Lago di Paprocany

Into the wild

Park(e)ing 2

Pencil box

TITOLO PROgETTO

demogo studio di architettura

Mab Arquitectura+

Laps architecture

Mirko Franzosoarchitetto

Pascal Flammer

RS+

Openfabric + Dmau

Stradivariearchitetti associati

Didonè Comacchioarchitetti

+ Mide architetti

PROgETTISTI

GemblouxBelgio

ParigiFrancia

Cles (TN)Italia

BalsthalSvizzera

TychyPolonia

L’ajaPaesi Bassi

CavallinoTre Porti (Ve)

Italia

San Felice sul Panaro (MO)

Italia

LuOgO

2010/2015

2010/2014

2014/2015

2007/2014

2014

2013

2010/2011

2012

AnnO

8.760.000

5.700.000

750.000

930.000

850.000

1.200.000

200.000

1.472.892

COSTO

nO

nO

COnCORSO

29/35

34/38

34

34

39

30/35

30/40

28/29

ETÀ

16

Gembloux è una città medievale della Vallonia, che si caratterizza per il valore storico di alcune preesistenze: il Beffroi (una torre campanile patrimo-nio dell’unesco), l’Église Décanale e la Maison du Bailly (castelletto del XII secolo).

La città ha deciso, attraverso l’ade-sione al concorso europan, di avviare un processo di rinnovamento urbano a partire proprio dal progetto per la sede del nuovo municipio.

La nostra risposta è stata quella di immaginare un luogo emblematico in cui enfatizzare ancor più questi simboli, in-tendendoli come prolungamenti del pro-getto stesso, punti focali della città, ele-menti sui quali innestare la nuova opera.

uno dei temi fondamentali è stato la ricomposizione delle interazioni tra parco e città: il parco è diventato uno spazio di condivisione, mentre il nuovo municipio una quinta su cui guardare attraverso.

Il nuovo edificio s’innesta nel nucleo urbano irregolare presente sulla place de l’Hotel de Ville, creando una ricuci-tura con il tessuto esistente, offrendo così la possibilità di dedicare tutto il lato sud al parc d’epinal, un giardino

Progetto:Nuovo polo municipaleLuogo:Gembloux, BelgioCliente:Città di GemblouxIncarico:Incarico pubblico a seguito di concorso europan10Progettisti:demogo studio di architettura [www.demogo.it];architetto locale Syntaxe architectes sprl[www.syntaxe.be]Età progettista durante la realizzazione:29-35 anniAnno di costruzione:2010-2015Costo dell’opera:8.760.000 euroFotografie:Pietro Savorelli

DATI

demogoStudio di architettura

01

Progetti

pensato come un parco urbano aperto alla città.

Le viste generatrici sui simboli di Gembloux frammentano il nuovo polo amministrativo in parti più piccole in conformità con la scala urbana e cre-ano un programma funzionale diviso in più ambiti.

I nuovi frammenti, interamente rive-stiti in rame, si sedimentano ed emer-gono dalla superficie irregolare del par-co sfruttando le variazioni altimetriche e costituiscono una sequenza articolata di spazi pubblici complementari l’uno all’altro. I corpi attraverso la loro giu-stapposizione generano dei diaframmi vitrei, vuoti sospesi all’interno della re-lazione tra le parti, luoghi di transizione, di movimento e di percezione del pae-saggio urbano.

Si tratta di un arricchimento urbano che utilizza l’idea di una nuova centra-lità: quella che dialoga, che completa, che rivela al di là di se stessa il caratte-re di ciò che la circonda. un’opera che entra in risonanza, anche matericamen-te, con la voce antica della città, sta-bilendo un’interazione mutevole nelle differenti condizioni atmosferiche e di luce dello spazio circostante.giovane Talento dell’architettura italiana 2015

17

18

20

Sezione longitudinale

Pianta piano terra

21

Sezione trasversale

Pianta piano interrato

Pianta piano primo

Pianta piano secondo

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edifico scolastico ReALIZZATO IN 50 GIORNI per l’emergenza del terre-moto in emilia Romagna. Dal piazzale l’edificio si presenta con un muro in ce-mento che fa da recinto. un muro forte, imponente, grezzo, che vuole trasmet-tere un’idea di forza e protezione per i genitori che portano i proprio figli a scuola.

All’interno del recinto invece appare un “mondo” colorato. una serie di pila-stri scandisce cromaticamente la fac-ciata principale. un edificio scolastico è un luogo per la crescita e la formazione dei bambini.

Abbiamo deciso di caratterizzare questo lungo attraverso l’uso di colori vivaci. Il tema del colore applicato negli ambienti della preinfanzia e scolastici diversificati nelle varie fasce di età è stato oggetto di numerosi studi già agli inizi del secolo scorso.

L’applicazione corretta del colore in tutti gli ambienti scolastici favorisce il benessere psicofisico, e le motivazioni dei fruitori, siano essi bambini, studenti, insegnanti, genitori, aumenta la qualità

Progetto:Pencil box, Asilo + nido MontessoriLuogo:San Felice sul Panaro MO, ItaliaCliente:regione emilia RomagnaIncarico:Incarico pubblico, assegnato a seguito della vincita del concorso per la ricostruzione post SISMAProgettisti:Didonè Comacchio Architetti + Mide Architetti [www.didonecomacchio.com]Età progettista durante la realizzazione:28-29 anniAnno di costruzione:2012Costo dell’opera:1.472.892 euroFotografie:Paolo Didonè, Devvy Comacchio

Didonè Comacchio Architetti + Mide Architetti

02ambientale e favorisce la capacità di concentrazione.

un ambiente educativo - formativo come quello della scuola ha bisogno di un grado di comfort che passa attraver-so la percezione psicologico sensoriale che solo un luogo gradevole e persona-lizzato con i colori più adatti può dare.

un ambiente emotivamente e psi-cologicamente stimolante contribuisce a rafforzare il senso di apparteneza da parte degli studenti verso i luoghi della scuola, che diventano parte integrante della loro identità riducendo anche la frequenza di atti vandalici.

una struttura concepita come di “emergenza” deve essere razionalizzata al massimo per ottimizzare i costi, la costruzione la gestione e il suo utilizzo quotidiano.

Lo stato di necessità dato dalla si-tuazione attuale nei paesi colpiti dal si-sma, è stata la base da cui sono nate tutte le riflessioni progettuali, che han-no portato al disegno di un impianto che fa della semplicità costruttiva, composi-tiva e distributiva il suoi punti di forza.

DATI

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24

25

26

Pianta

Prospetti e sezioni

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Schemi concettuali

Vista assonometrica

28

Mirko Franzoso architetto

03Il progetto che ha vinto il concorso

ad inviti rivolto a progettisti under 35 ha dato vita alla nuova casa sociale per l’a-bitato di Caltron nel paese di Cles (Tn).

Questo luogo è un punto d’incontro per gli abitanti, dove bambini, giovani, adulti ed anziani possono incontrarsi, confrontarsi e fare crescere insieme l’i-dentità della comunità.

La nuova costruzione funge da trait d’union tra l’edifi cato storico ed il verde agricolo, ma allo stesso tempo si pone come limite all’espansione dell’abitato e quindi al consumo indiscriminato di suolo.

Il contesto delicato all’interno del quale si inserisce e l’importante ruolo sociale che ricopre un edifi cio di questo genere hanno determinato tutte le scelte architettoniche del progetto.

Il nuovo volume è un sistema formato da un’architettura semplice, adagiata in modo naturale sul terreno e da un basa-mento poderoso che la sostiene. L’edifi -cio è compatto e proporzionato per ga-rantire la continuità con il tessuto urbano della borgata.

un’architettura contemporanea che diventa parte del paesaggio e si fonde con lo sfondo dei meleti, fi no a diventare una pre-esistenza familiare per le perso-ne del paese. La facciata, con il suo ritmo di pieni e vuoti scandito dai pilastri con-tinua la successione dei meli senza alte-rarne tonalità e materia. L’edifi cio è re-alizzato completamente in legno; le fac-ciate nord e sud sono rivestite con doghe verticali di legno di larice, mentre i fronti lunghi est ed ovest sono disegnati dalla scansione verticale dei pilastri anch’essi di larice. I serramenti sono arretrati e pro-tetti dal piano di facciata per generare una continuità di rapporto tra interno ed esterno, oltre a mitigare l’effetto del sole nelle sale interne.

Progetto:Casa sociale CaltronLuogo:Cles TN, ItaliaCliente:Comune di ClesIncarico:Incarico a seguito di concorsoProgettisti:Arch. Mirko Franzoso [www.mirkofranzoso.it]Età progettista durante la realizzazione:34 anniAnno di costruzione:2014-2015Costo dell’opera:750.000 euroFotografi e:Mariano Dallago

Il volume interrato sostiene ed av-volge tutto l’intervento con il suo lungo nastro monolitico in calcestruzzo lavato e colorato che abbraccia il parcheggio, il parco giochi e la casa sociale. Il porfi do locale che emerge dalla lavatura del cal-cestruzzo armonizza la tonalità del muro con l’ambiente naturale del contesto. un’ampia nicchia in legno che accoglie e protegge chi entra nell’edifi cio mitiga e alleggerisce l’autorevole presenza del lungo muro / diga in calcestruzzo.

La distribuzione degli spazi interni ri-sponde al programma funzionale defi nito dall’amministrazione pubblica in modo semplice e lineare. L’ingresso avviene di-rettamente nella sala riunioni, uno spazio completamente libero da ingombri, fl es-sibile e modifi cabile in funzione delle esi-genze; da qui, tramite tre porte scorrevoli poste sul lato nord si possono raggiun-gere tutti gli altri locali riscaldati: bagno, deposito e cucina. I due spazi principali, cucina e sala riunioni godono della pre-senza di ampie vetrate che garantiscono la continuità con gli esterni.

Salendo al piano superiore si arriva in un ampio spazio coperto completamente libero.

Questa parte di edifi co permette di godere del panorama della valle da un punto più alto rispetto al piano strada.

I pilastri in legno perimetrali che so-stengono la copertura fungono anche da frangi-sole e aumentano la privacy all’in-terno dello spazio. È possibile accedere alla terrazza direttamente dalla strada a monte oppure dal vano scala comune in-terno all’edifi cio.

Questa costruzione, realizzata per l’in-tera comunità, offre un nuovo punto di vi-sta sul paesaggio, ma allo stesso tempo gode di ampia visibilità dal centro abitato e funge da richiamo per la popolazione.

DATI

giovane Talento dell’architettura italiana 2016

6

Premio Architetto Italiano

2016

29

30

31

32

MIRKO FRANZOSOARCHITETTONUOVA CASA SOCIALE A CALTRON

planimetria1:200

MIRKO FRANZOSOARCHITETTONUOVA CASA SOCIALE A CALTRON

MIRKO FRANZOSOARCHITETTONUOVA CASA SOCIALE A CALTRON

MIRKO FRANZOSOARCHITETTONUOVA CASA SOCIALE A CALTRON

Planimetria

Pianta piano seminterrato

Pianta piano primo

Pianta piano secondo

33

GSPublisherVersion 0.0.100.100

MIRKO FRANZOSOARCHITETTONUOVA CASA SOCIALE A CALTRON

profilo est

1:100

Prospetto est

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MAB arquitectura +LAPS architecture

04Situato all’angolo tra l’avenue F.

Faure e la rue Tisserand, nella etero-genea zona di sviluppo della Zac Bou-cicaut, l’edificio ad uso misto accoglie trenta appartamenti per giovani lavora-tori e il Patronage Laïque – centro civi-co polivalente del 15º arrondissement di Parigi. L’edificio si inserisce nel tes-suto consolidato del 15éme, con la sua trama ortogonale e le vestigia Haus-smanniane e industriali, riprendendo il codice tutto parigino del volume d’an-golo e segnando la sua presenza nel quartiere con una facciata vetrata e opalescente, riflettente di giorno, lumi-nosa di notte.

L’edificio sviluppa due differenti programmi all’interno di un solo involu-cro, integrando in un carattere unitario le due identità, quella pubblica del Pa-tronage Laïque e quella privata della Residenza Sociale. Il Patronage si apre generosamente verso l’ Av. F. Faure e occupa il piano terra e il primo piano. La trasparenza della sua hall vetrata prolunga lo spazio pubblico verso l’in-terno dell’edificio, permettendo ai pas-santi di scoprire dalla strada le attività del centro o invitandoli semplicemente allo spazio wi-fi e alla caffetteria.

La residenza si apre più discreta-mente sulla facciata laterale della rue Tisserand, dove ha il suo accesso in-

Progetto:Centro civico polivalente e 30 alloggi sociali per giovani lavoratoriLuogo:Paris, FranciaCliente:RIVP Régie Immobilière de la Ville de ParisIncarico:Incarico a seguito di concorsoProgettisti:MAB arquitectura + LAPS architecture[www.mabarquitectura.com | www.laps-a.com]Età progettista durante la realizzazione:34-38 anniAnno di costruzione:2010-2014Costo dell’opera:5.700.000 euroFotografie:Luc Boegly

dipendente, e occupa i livelli superiori, dal secondo al quinto piano.

L’entrata d’angolo del Patronage sull’Av. F. Faure ancora fortemente l’edificio al suolo e al quartiere, confe-rendogli la stessa presenza informale e domestica di un caffè d’angolo. Al di sopra dell’ingresso la facciata in vetro bianco traslucido si apre in una pro-fonda frattura centrale segnata dalla presenza del lucernario vetrato della hall, che lascia intravedere la facciata interna degli appartamenti.

La facciata laterale sulla rue Tis-serand, di quattro piani, è realizzata in pannelli prefabbricati di cemento ar-mato di grandi dimensioni, di un colore chiaro dai riflessi metallici, sulla quale risaltano le ampie vetrate delle aper-ture. Le stesse finestre sono ritmate dalla trama dei giunti verticali che di-segnano moduli variabili.

La luce è uno dei principali prota-gonisti del progetto. La luce zenitale del lucernario amplifica lo spazio a doppia altezza della hall, enfatizzando l’apertura del foyer verso l’esterno (la strada, il cielo).

una scelta che si manifesta tanto di giorno quanto di notte, quando le fac-ciate retro-illuminate della prua dell’e-dificio e dell’attico convertono l’edificio in un répaire luminoso sulla strada.

DATI

35

36

37

38

Planimetria

Sezione - prospetto facciata interna

39

Pianta piano terra

Pianta piano primo

Pianta piano secondo

Pianta piano quarto

40

Openfabric + Dmau

05Il progetto crea un impianto pla-

nimetrico che intende giustapporre due mondi diversi: ciò che è costruito dall’uomo e ciò che è naturale. Il pro-getto pone in dialogo il mondo urbano esterno al mondo “selvaggio” interno e ognuno di questi spazi contiene un differente tipo di gioco.

Lo spazio formale esterno è uno spazio strutturato per lo sport ed il gioco organizzato, mentre lo spazio in-terno incoraggia e lascia liberi i bambi-ni di costruire e decostruire il proprio spazio usando i materiali naturali.

Il “nastro” perimetrale tra i due ambiti avvolge e protegge l’interno e contestualmente si adatta al perime-tro esterno per consentire il gioco e la presenza dei tradizionali elementi di gioco. Il nastro è la “soglia” e un luogo

Progetto:Into the WildLuogo:Grevelingenveld, L’Aja, Paesi BassiCliente:Comune de L’Aja e Privato(Richard Krajicek Foundation)Incarico:Incarico a seguito di concorsoProgettisti:Openfabric [www.openfabric.eu]+ Dmau [www.dmau.com]Team:Francesco Garofalo, Daryl Muluvihill,Barbara CostantinoEtà progettista durante la realizzazione:30-35 anniAnno di costruzione:2013Costo dell’opera:1.200.000 euroFotografie:Jacopo Gennari Feslikenian, Daryl Mulvihill,Francesco Garofalo

dove i bambini imparano a muoversi tra il modo costruito- artificiale e il mondo naturale.

Tale legame costruito-natura è l’essenza della sostenibilità e formare alla comprensione di questo rapporto attraverso il gioco e l’interazione crea-tiva è un’esperienza essenziale dell’in-fanzia che attualmente manca in molte aree urbane.

Il nastro separa la zona esterna pavimentata ed artificiale dalla zona interna naturale. La forma crea un susseguirsi di spazi che interagiscono con lo spazio urbano; la tridimensiona-lità del nastro conferisce un ulteriore spunto di gioco poichè si può “scalare”, attraversare in un tunnel o utilizzare come scivolo e ha la funzione di sedu-ta o altro ancora.

DATI

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43

44

Planimetria

Sezioni

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Schemi concettuali

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Pascal Flammer Architect

06La casa è posta in un prato aperto

situato in una valle ad u con orienta-mento est-Ovest nel Jura. Nell’area li-mitrofa non sono presenti altri edifici eccetto una fattoria a circa 600 m.

L’edificio è costruito con struttura in legno ed ha un rivestimento in legno di pino.

Il piano terra è posto ad una quota di 75 cm inferiore al livello del terreno è ed un open- space. Perimetralmente, fino a quota terreno, sono presenti de-gli armadi profondi; sopra l’arredo vi è una facciata vetrata che separa l’inter-no dall’esterno. L’intero locale funge

Progetto:Casa a BalsthalLuogo:Balsthal, SvizzeraCliente:PrivatoIncarico:Incarico direttoProgettisti:Arch. Pascal Flammer [www.pascalflammer.com]Età progettista durante la realizzazione:34 anniAnno di costruzione:2007-2014Costo dell’opera:1.000.000 CHFFotografie:Ioana Marinescu

da soggiorno, sala da pranzo, cucina, area per il gioco e ufficio: una stanza comunitaria nel verso senso della pa-rola in mezzo ad un prato.

Due pareti perpendicolari dividono lo spazio del primo piano in quattro ca-mere. Tre stanze sono tra loro accessi-bili attraverso porte scorrevoli in modo che chiunque possa spostarsi da una all’altra senza passare in un corridoio.

Ogni camera ha una finestra rettan-golare a tutt’altezza alla quale si ag-giungono due grandi finestre circolari condivise con la stanza vicina.

DATI

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Planimetria

Pianta piano interrato

Pianta piano terra

Pianta piano primo

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Sezioni

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RS+ Robert Skitek

07Il lago di Paprocany è il luogo dove

spesso gli abitanti di Tychy trascorrono il proprio tempo libero.

Nelle vicinanze della passeggiata è presente un centro ricreativo ricco di at-tività e attrazioni sportive.

Il progetto di sistemazione dell’area di svago del lago di Paprocany ha posto al centro la valorizzazione del paesaggio e l’ampliamento dell’offerta ricreativa per la popolazione della zona.

L’elemento generatore del progetto è il percorso in legno situato sulla riva del lago che alterna spazi sul terreno a punti di contatto con il lago e permet-te di ottenere multiple percezioni dello spazio da differenti punti della prome-nade.

L’intervento è collegato al percorso pedonale e ciclabile che si sviluppa sul lato interno e lambisce il lago; lungo la promenade sono presenti un taglio realizzato con una rete sopra l’acqua e alcune sedute che fungono da tribu-na per gli eventi sportivi organizzati sul

Progetto:Redevelopment of the east side Paprocanylake shore in TychylLuogo:Tychy, PoloniaCliente:ente pubblico e PrivatoIncarico:Incarico a seguito di concorsoProgettisti:RS+ Robert Skitek [www.rsplus.pl]Età progettista durante la realizzazione:39 anniAnno di costruzione:2014Costo dell’opera:850.000 euroFotografie:Tomasz Zakrzewski

lago. A completare i servizi è presente una spiaggia di sabbia e una palestra all’aperto.

La scelta dei materiali è stata finaliz-zata ad enfatizzare il territorio naturale grazie all’utilizzo di materiali naturali; al-cune parti degli elementi costruiti sono stati coperti con terreno ed erba e per le sedute e i parapetti è stato utilizzato legno dolce.

Le altre aree di supporto alle attività principali quali parcheggi per le bici e le zone attrezzate per l’allenamento sono state realizzate con materiali permeabili.

Il progetto occupa una superficie di circa 2 ettari e si sviluppa lunga la riva del lago per circa 400 m; tale area pre-cedentemente era un prato utilizzato e frequentato solo dai pescatori, anzichè un luogo di valore paesaggistico.

Dopo i lavori, nonostante la situa-zione meteorologica non favorevole, la promenade è diventata un nuovo spazio pubblico vivace e utilizzato come luogo d’incontro.

DATI

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MASTERPLAn1 - Wooden terrace2 - Wooden platform3 - Bicycle parking place4 - Beach5 - Wooden bench6 - Open air fitness7 - Net for lying8 - Foot and bike path

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Prospetti

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Stradivariearchitetti associati

08L’area in oggetto è situata lungo

Via Fausta (sp42), una delle maggiori arterie di scorrimento presenti nel Co-mune di Cavallino-Treporti che collega Jesolo con Punta Sabbioni. Su questa arteria insistono i principali servizi che sono presenti sul territorio lagunare e la maggior parte delle strutture ricettive (in prevalenza campeggi).

L’area parcheggio, interessata dal progetto è uno di quei luoghi interessati da una forte affluenza di persone, resi-denti e non, proprio perché all’interno di esso, sono presenti una moltitudine di usi, diversificati nei giorni, nei mesi e nelle stagioni.

L’area di progetto, per la sua dimen-sione e collocazione, si presta ad esse-re interpretata come una vera e propria

Progetto:Park(e)ing 2Luogo:Cavallino Treporti Ve, ItaliaCliente:Comune di Cavallino Treporti, ItaliaIncarico:Incarico direttoProgettisti:Stradivarie architetti associati [www.stradivarie.it]Età progettista durante la realizzazione:30-40 anniAnno di costruzione:2010-2011Costo dell’opera:200.000 euroFotografie:Gianna Omenetto

piattaforma apparentemente isolata e sconnessa con il paesaggio circostan-te. Valutando la caratteristica ricettiva dell’area, soprattutto nel periodo esti-vo, e la sua capacità attrattiva, (area mercato, luna park e servizio ZTL), si è deciso di intervenire attraverso una riqualificazione che garantisca e possa migliorare la presenza di servizi e at-trezzature presenti nell’area.

L’intervento ha come oggetto la ri-qualificazione della recinzione e dei bordi di quest’area. In particolare inve-ste il lato ovest, lungo la via Fausta, e il lato nord, a ridosso dell’edificio com-merciale denominato “Top Town”, per cui interessa tutto “l’angolo” nord-ovest dell’area mercato.

DATI

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Diagrammi

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Planimetria e sezione

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Immediatamente dopo la prima scos-sa sismica, il 24 agosto, la macchina della protezione civile trentina si mette in moto.

Nel giro di pochi giorni, assieme al sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi, si de-cide che, il messaggio forte di speranza da dare alla popolazione martoriata, parte dalla scuola.

L’idea di utilizzare i prefabbricati per realizzare un complesso scolastico che comprenda la scuola materna e primaria, appare l’unico modo per coronare un pro-gramma ambizioso, quello cioè di rispetta-re la scadenza dell’inizio dell’anno scola-stico, ovvero il 13 settembre.

Si iniziano, nel volgere di pochi giorni, gli scavi e il getto della platea in calce-struzzo e, contemporaneamente, prende corpo la sensazione che per trasmettere la fiducia nella rinascita della comunità, non siano sufficienti i prefabbricati collocati in batteria. I tempi strettissimi non consento-no di elaborare una proposta progettuale

Sisma centro Italia

completa, l’unico grado di libertà, compa-tibile con l’emergenza, è apparso l’utilizzo dei colori primari: la scelta dei colori, la loro combinazione e sequenza.

I volontari e i tecnici della protezione civile, i tecnici professionisti volontari tren-tini, lavorano senza sosta e con un impe-gno tale che il giorno 13 settembre, alla presenza del Ministro dell’Istruzione Ste-fania Giannini e il Presidente della Provin-cia di Trento, ugo Rossi, i piccoli alunni possono entrare in classe.

Nelle settimane successive il plesso scolastico viene completato con i modu-li che ospitano il liceo e le sistemazioni esterne. Nonostante la modestia dei ma-teriali, la disposizione dei due fabbricati, ottenuti dall’assemblaggio dei moduli pre-fabbricati, dalla costruzione del tetto e del rivestimento in listelli di legno, conferisco-no al complesso un carattere ben defini-to, curato, con impianti moderni e spazi di studio e di relazione confortevoli.

La scuola di Amatrice

a cura del Consiglio dell’Ordine

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