Province: Ingiusto scampato rigore - micropolis.umbria.it fileosì è arrivata la manovra di Monti....

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osì è arrivata la manovra di Monti. Non ne affrontiamo nel dettaglio l’analisi, diciamo solo che, con tutta la buona volontà, dei principi di rigo- re, di equità e delle politiche di crescita si rinvengono ben poche tracce. Il rigore c’è, l’equità no. Le politiche di crescita e le riforme necessarie, dice il Presidente del consiglio, verranno. Attendiamo fiduciosi ma scettici. Insomma non siamo più all’an- nuncio furbetto di sacrifici di là da venire, ma a misure concrete che colpiscono - soprattutto - le classi popolari e i ceti medi. Tasse e riduzione delle coperture sociali sono l’asse portante del provvedimento. Niente di nuovo. Il ricordo va alla manovra di Padoa Schioppa, ministro del governo Prodi, che sotto la spinta dell’urgenza prese i soldi dove sapeva di trovarli, dal lavoro dipendente e dai poveracci. Quali saranno gli esiti di tutto ciò? Gli obiettivi di Monti sono chiari: mettere in linea la crisi italiana con quella europea, ridare credibilità al paese. Se ci riuscirà o meno lo vedremo. Non sarà così facile ed è più che probabile che la sua impresa sia destinata al fallimen- to. La questione infatti, lo abbiamo già scritto, è la condizione di disfacimento dello Stato e delle istituzioni, cui corrispondono i pro- cessi dissolutivi che attraversano la società italiana e che vengono incentivati dalla crisi. Non abbiamo lo spazio e la voglia di motivare questo assunto, che meriterebbe più che un editoriale un saggio. Fatto sta che se ciò è vero non bastano i tecnici; è necessaria una reale volontà di trasforma- zione che, tuttavia, non riusciamo ad indi- viduare né a destra, per i caratteri stessi del berlusconismo o per il populismo della Lega, e francamente neppure a sinistra, dove un Bersani impaurito dal fatto di dover governare il paese, con un partito che sempre più assomiglia ad un caravanserra- glio, appare in cerca di alleati improbabili come Casini e Fini e, nello stesso tempo, è terrorizzato di perdere voti nei confronti di Di Pietro e di Vendola. D’altro canto la Federazione della sinistra è un gruppetto extraparlamentare di poco conto, mentre Sel, al netto di Vendola, è una ben misera base per costruire una sinistra capace di indurre incisivi elementi di discontinuità. Ciò significa che, a manovra approvata, è prevedibile aumentino le tensioni tra partiti e governo e nei singoli partiti. Il centrode- stra può rischiare la frantumazione ed un esodo sia verso il Terzo polo, volto alla costruzione di un grande centro, sia verso la Lega. Parallelamente ci saranno tensioni analoghe nel Pd, dove gli umori centristi dei veltroniani appaiano sempre più diffusi e per alcuni aspetti incontenibili. Può il Governo Monti durare fino alla pri- mavera del 2012 in queste condizioni? E’ largamente improbabile. Il voto sulla manovra alla Camera, di quasi duecento voti inferiore a quello di fiducia di qualche settimana fa, appare indicativo. Se le cose stanno così è prevedibile che tra qualche mese finisca la luna di miele col Parlamento e con il paese e tutto ricominci come prima. Quale è il probabile esito? Che le forze politiche si scompongano e ricompongano e che in questa situazione emerga un cor- paccione centrista che inevitabilmente ricordi la Balena bianca, ossia la Dc, desti- nato ad amministrare la putrescenza del paese e dello Stato more solito, semmai con l’appoggio diretto o indiretto del Pd o di ciò che ne rimarrà. Insomma nulla di nuovo, l’imperativo sarà quello di galleggia- re con maggiore o minore abilità. Si dirà che è una ipotesi pessimista, che siamo delle inguaribili cassandre. Ma che dovremmo pensare di fronte a quello che sta avvenendo e che inevitabilmente si riproduce anche in Umbria? Prendiamo il caso di Foligno. E’ sempre più difficile riu- nire il consiglio comunale. A Perugia l’am- ministrazione sopravvive, neppure il piano sul traffico riesce a far partecipare i cittadi- ni ad un’assemblea. A Terni, poi, la crisi estiva sta riesplodendo per le contrapposi- zioni interne al Pd. Giovanetti è stato riconfermato segretario, in compenso viene rimesso in discussione il sindaco Di Girolamo e si propongono governi tecnici aperti all’Udc. Almeno nella seconda città dell’Umbria, sono in atto prove di conver- genza al centro. Infine in Regione scoppia- no di continuo incidenti che rendono pre- cario il percorso della amministrazione e della stessa legislatura. Al tempo stesso l’opposizione tace e la sinistra nei suoi diversi comparti appare ininfluente. Insomma grande è la confusione sotto il cielo, ma la situazione è tutt’altro che eccel- lente. Ma allora che bisogna fare? Qual è la pro- spettiva? L’unica cosa possibile è produrre iniziativa e dibattito in tutti i campi, evita- re la rassegnazione, incalzare il potere ed i poteri, pur sapendo che nell’immediato i risultati saranno scarsi, che le forze sono esigue e che esiste una incomunicabilità tra cultura, movimenti sociali e politica. Si dirà che è troppo poco, che occorrerebbero un partito, una politica, una sinistra. Bisogna avere pazienza: non ci sono e non ci saranno per alcuni anni. Ma non è que- sto un motivo valido per non pensare, non criticare, non agire. Anche nei momenti peggiori esiste una via d’uscita che nasce dalle capacità di resistenza, dal rigore mora- le e intellettuale, dalla ricerca di soluzioni. E’ questo oggi l’esercizio a cui dobbiamo sottoporci. commenti Spifferi fastidiosi Bistecche per tutti Privilegi Provincia: precari atto secondo Alfano e il dilemma della destra La voce del padrone 2 2 politica L’utopia di un realista 3 3 di Renato Covino E intanto... io pago 4 4 di Franco Calistri Alla ricerca di un nuovo welfare 5 5 di Alessandra Caraffa, Giacomo Ficarelli Acqua chiara 6 6 di Osvaldo Fressoia Una colossale operazione speculativa 7 7 di Anna Rita Guarducci d do os ss si i e er rC Ci i t t t t à àd di i C Ca as st t e el l l l o o Uno stanco copione 8 8 a cura di Paolo Lupattelli società La sfida del digitale comincia ora 1 10 0 di Alberto Barelli Mense piene tasche vuote 1 11 1 di Rosario Russo cultura Il federalismo non interessa ai politici 12 di Matteo Aiani Marx nel belpaese 1 1 3 3 di Roberto Monicchia La galera e l’oblio 1 14 4 di Manuela Bocchino, Silvia Colangeli Drammaturgia dell’esperienza 1 15 5 di Adelaide Coletti Libri e idee 1 16 6 dicembre 2011 - Anno XVI - numero 12 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10 mensile umbro di politica, economia e cultura copia omaggio mensile umbro di politica, economia e cultura in edicola con “il manifesto” Province: scampato pericolo areva che le province fossero salve, invece il governo Monti ha deciso se non di scioglierle di depotenziarle. Solo il presidente verrà eletto; il consiglio provinciale non lo eleggeranno più i cittadi- ni, ma lo nomineranno i consigli comunali, nel numero di dieci rappresentanti. Insomma non volendo passare per una revi- sione costituzionale si tende a negarne ruolo e compiti. Alti lai di Polli e Guasticchi, quest’ultimo preannuncia addirittura che non si ricandi- derà. Riunioni all’Upi, riconferma della necessità dell’ente intermedio, proposte di sciogliere tutti gli altri enti e di salvare le province. Soluzione finale: le nuove misure valgono non per consigli e giunte in carica, ma per quelle che verranno, ossia se nel par- lerà nel 2014, quando si voterà. Ora queste decisioni, giuste o sbagliate che siano, nel momento in cui vengono rinviate ad un futuro che, date le cadenze della poli- tica italiana, appare nebuloso ed indistinto, si risolvano in una solenne presa in giro. L’adagio è: si, no, forse. Fatto sta che nessu- no si preoccupa di discutere seriamente degli assetti delle autonomie locali, regioni, comuni e province, né in sede nazionale né locale. E’ anche passato nel dimenticatoio il leit motiv del federalismo, che ha tenuto banco per alcuni mesi. La questione è stata derubricata, non esiste; quasi come quella della riduzione degli emolumenti dei parla- mentari. D’altro canto un bel convegno organizzato dall’Isuc sui quarant’anni della Regione ha visto la massima presenza di 25 uditori, non c’erano - tranne che per i saluti - sindaci, presidenti di province, consiglieri ed assessori regionali. Diciamo la verità a questi non frega niente, concentrati come sono sulla manovra e sulla congiuntura amministrativa. Al passato, ma anche al futuro, sono scarsamente interessati. L’importante è vivere l’attimo presente, cer- cando per quanto possibile di ricavarne tutti i possibili vantaggi. Il resto o sono pericoli da esorcizzare o chiacchiere incon- cludenti. L’imperativo è semplice: primum vivere deinde philosophari. P C Ingiusto rigore

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osì è arrivata la manovra di Monti.Non ne affrontiamo nel dettagliol’analisi, diciamo solo che, con

tutta la buona volontà, dei principi di rigo-re, di equità e delle politiche di crescita sirinvengono ben poche tracce. Il rigore c’è,l’equità no. Le politiche di crescita e leriforme necessarie, dice il Presidente delconsiglio, verranno. Attendiamo fiduciosima scettici. Insomma non siamo più all’an-nuncio furbetto di sacrifici di là da venire,ma a misure concrete che colpiscono -soprattutto - le classi popolari e i ceti medi.Tasse e riduzione delle coperture socialisono l’asse portante del provvedimento.Niente di nuovo. Il ricordo va alla manovradi Padoa Schioppa, ministro del governoProdi, che sotto la spinta dell’urgenza presei soldi dove sapeva di trovarli, dal lavorodipendente e dai poveracci. Quali sarannogli esiti di tutto ciò? Gli obiettivi di Montisono chiari: mettere in linea la crisi italianacon quella europea, ridare credibilità alpaese. Se ci riuscirà o meno lo vedremo.Non sarà così facile ed è più che probabileche la sua impresa sia destinata al fallimen-to.La questione infatti, lo abbiamo già scritto,è la condizione di disfacimento dello Statoe delle istituzioni, cui corrispondono i pro-cessi dissolutivi che attraversano la societàitaliana e che vengono incentivati dallacrisi. Non abbiamo lo spazio e la voglia dimotivare questo assunto, che meriterebbepiù che un editoriale un saggio. Fatto stache se ciò è vero non bastano i tecnici; ènecessaria una reale volontà di trasforma-zione che, tuttavia, non riusciamo ad indi-viduare né a destra, per i caratteri stessi delberlusconismo o per il populismo dellaLega, e francamente neppure a sinistra,dove un Bersani impaurito dal fatto didover governare il paese, con un partito che

sempre più assomiglia ad un caravanserra-glio, appare in cerca di alleati improbabilicome Casini e Fini e, nello stesso tempo, èterrorizzato di perdere voti nei confronti diDi Pietro e di Vendola. D’altro canto laFederazione della sinistra è un gruppettoextraparlamentare di poco conto, mentreSel, al netto di Vendola, è una ben miserabase per costruire una sinistra capace diindurre incisivi elementi di discontinuità.Ciò significa che, a manovra approvata, èprevedibile aumentino le tensioni tra partitie governo e nei singoli partiti. Il centrode-stra può rischiare la frantumazione ed unesodo sia verso il Terzo polo, volto allacostruzione di un grande centro, sia versola Lega. Parallelamente ci saranno tensionianaloghe nel Pd, dove gli umori centristidei veltroniani appaiano sempre più diffusie per alcuni aspetti incontenibili. Può il Governo Monti durare fino alla pri-mavera del 2012 in queste condizioni? E’largamente improbabile. Il voto sullamanovra alla Camera, di quasi duecentovoti inferiore a quello di fiducia di qualchesettimana fa, appare indicativo. Se le cosestanno così è prevedibile che tra qualchemese finisca la luna di miele colParlamento e con il paese e tutto ricomincicome prima. Quale è il probabile esito? Che le forzepolitiche si scompongano e ricomponganoe che in questa situazione emerga un cor-paccione centrista che inevitabilmentericordi la Balena bianca, ossia la Dc, desti-nato ad amministrare la putrescenza delpaese e dello Stato more solito, semmai conl’appoggio diretto o indiretto del Pd o diciò che ne rimarrà. Insomma nulla dinuovo, l’imperativo sarà quello di galleggia-re con maggiore o minore abilità.Si dirà che è una ipotesi pessimista, chesiamo delle inguaribili cassandre. Ma che

dovremmo pensare di fronte a quello chesta avvenendo e che inevitabilmente siriproduce anche in Umbria? Prendiamo ilcaso di Foligno. E’ sempre più difficile riu-nire il consiglio comunale. A Perugia l’am-ministrazione sopravvive, neppure il pianosul traffico riesce a far partecipare i cittadi-ni ad un’assemblea. A Terni, poi, la crisiestiva sta riesplodendo per le contrapposi-zioni interne al Pd. Giovanetti è statoriconfermato segretario, in compensoviene rimesso in discussione il sindaco DiGirolamo e si propongono governi tecniciaperti all’Udc. Almeno nella seconda cittàdell’Umbria, sono in atto prove di conver-genza al centro. Infine in Regione scoppia-no di continuo incidenti che rendono pre-cario il percorso della amministrazione edella stessa legislatura. Al tempo stessol’opposizione tace e la sinistra nei suoidiversi comparti appare ininfluente.Insomma grande è la confusione sotto ilcielo, ma la situazione è tutt’altro che eccel-lente. Ma allora che bisogna fare? Qual è la pro-spettiva? L’unica cosa possibile è produrreiniziativa e dibattito in tutti i campi, evita-re la rassegnazione, incalzare il potere ed ipoteri, pur sapendo che nell’immediato irisultati saranno scarsi, che le forze sonoesigue e che esiste una incomunicabilità tracultura, movimenti sociali e politica. Sidirà che è troppo poco, che occorrerebberoun partito, una politica, una sinistra.Bisogna avere pazienza: non ci sono e nonci saranno per alcuni anni. Ma non è que-sto un motivo valido per non pensare, noncriticare, non agire. Anche nei momentipeggiori esiste una via d’uscita che nascedalle capacità di resistenza, dal rigore mora-le e intellettuale, dalla ricerca di soluzioni.E’ questo oggi l’esercizio a cui dobbiamosottoporci.

ccoommmmeennttiiSpifferi fastidiosi

Bistecche per tutti

Privilegi

Provincia:precari atto secondo

Alfano e il dilemmadella destra

La voce del padrone 22

ppoolliittiiccaaL’utopia di un realista 33di Renato Covino

E intanto... io pago 44di Franco Calistri

Alla ricercadi un nuovo welfare 55di Alessandra Caraffa,Giacomo Ficarelli

Acqua chiara 66di Osvaldo Fressoia

Una colossale operazione speculativa 77di Anna Rita Guarducci

ddoossssiieerrCCiittttààddiiCCaasstteelllloo

Uno stanco copione 88a cura di Paolo Lupattelli

ssoocciieettààLa sfida del digitalecomincia ora 1100di Alberto Barelli

Mense piene tasche vuote 1111di Rosario Russo

ccuullttuurraaIl federalismo noninteressa ai politici 1122di Matteo Aiani

Marx nel belpaese 1133di Roberto Monicchia

La galera e l’oblio 1144di Manuela Bocchino, Silvia Colangeli

Drammaturgia dell’esperienza 1155di Adelaide Coletti

Libri e idee 1166

dicembre 2011 - Anno XVI - numero 12 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10

mensile umbro di politica, economia e cultura

copia omaggio

mensile umbro di politica, economia e cultura in edicola con “il manifesto”

Province:scampatopericolo

areva che le province fossero salve,invece il governo Monti ha deciso senon di scioglierle di depotenziarle.

Solo il presidente verrà eletto; il consiglioprovinciale non lo eleggeranno più i cittadi-ni, ma lo nomineranno i consigli comunali,nel numero di dieci rappresentanti.Insomma non volendo passare per una revi-sione costituzionale si tende a negarne ruoloe compiti. Alti lai di Polli e Guasticchi, quest’ultimopreannuncia addirittura che non si ricandi-derà. Riunioni all’Upi, riconferma dellanecessità dell’ente intermedio, proposte disciogliere tutti gli altri enti e di salvare leprovince. Soluzione finale: le nuove misurevalgono non per consigli e giunte in carica,ma per quelle che verranno, ossia se nel par-lerà nel 2014, quando si voterà. Ora queste decisioni, giuste o sbagliate chesiano, nel momento in cui vengono rinviatead un futuro che, date le cadenze della poli-tica italiana, appare nebuloso ed indistinto,si risolvano in una solenne presa in giro.L’adagio è: si, no, forse. Fatto sta che nessu-no si preoccupa di discutere seriamentedegli assetti delle autonomie locali, regioni,comuni e province, né in sede nazionale nélocale. E’ anche passato nel dimenticatoio illeit motiv del federalismo, che ha tenutobanco per alcuni mesi. La questione è stataderubricata, non esiste; quasi come quelladella riduzione degli emolumenti dei parla-mentari. D’altro canto un bel convegnoorganizzato dall’Isuc sui quarant’anni dellaRegione ha visto la massima presenza di 25uditori, non c’erano - tranne che per i saluti- sindaci, presidenti di province, consiglieried assessori regionali. Diciamo la verità aquesti non frega niente, concentrati comesono sulla manovra e sulla congiunturaamministrativa. Al passato, ma anche alfuturo, sono scarsamente interessati.L’importante è vivere l’attimo presente, cer-cando per quanto possibile di ricavarnetutti i possibili vantaggi. Il resto o sonopericoli da esorcizzare o chiacchiere incon-cludenti. L’imperativo è semplice: primumvivere deinde philosophari.

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C

Ingiustorigore

i fronte al fallimentodelle politiche regionalisui rifiuti, il presidente

degli industriali umbri Bernardininon si è lasciato sfuggire l’occasio-ne di rilanciare una sua vecchiaproposta: bruciare i rifiuti nei trecementifici umbri. Immediatamente, guarda caso, laproposta è stata ripresa e rilanciatain un’articolessa, firmata daGiuseppe Silvestri, apparsa sulCorriere dell’Umbria il 17 dicem-bre. Sostiene Silvestri che bruciarerifiuti nei cementifici è una possi-bilità accettata anche da una partedel fronte ambientalista comeLegambiente e Wwf. Poi cita unostudio dell’Aitec, l’Associazioneitaliana tecnico economica delcemento, per ricordare i presuntivantaggi derivanti dall’uso deicamini dei cementifici. Insommaopinioni interessate e poco scienti-fiche apparse su un quotidianoalquanto legato al mondo delcemento.

Le tesi sostenute da Silvestri sonoridicolizzate dallo studio “I rischiambientali e sanitari dei cementifi-ci” realizzato dall’Isde, che riuniscei medici per l’ambiente. I cementi-fici hanno limiti di emissione diinquinanti da tre a sette voltesuperiori agli inceneritori; emetto-no particolati di inquinanti gassosie metalli pesanti come il mercurio;l’inglobamento delle scorie tossi-che da incenerimento nel cementolo altera e lo rende pericoloso perla salute dei lavoratori e dell’am-biente; non è vero che le diossinevengono distrutte dall’alta tempe-ratura dei forni perché durante lefasi di raffreddamento si riaggrega-no e si rinforzano; non è vero chesi eliminerebbero le ceneri dasmaltire ma si produrrebbecemento arricchito di cadmio ecromo, pericoloso per i lavoratoridei cementifici e per i muratoriche lo dovranno utilizzare. A sup-porto di tali conclusioni vi sonocentinaia di studi apparsi sulla let-

teratura scientifica mondiale. E allora? L’affare della gestione delciclo dei rifiuti fa gola e questo sicapisce. Meno chiara è la stranaalleanza sull’incenerimento che siè formata in Umbria: Giuntaregionale, Confindustria, Cgil-Cisl-Uil, Pdl, Pd, Psi, Ecodem,Legambiente e Wwf tutti insiemeappassionatamente a sostenere lachiusura del ciclo rifiuti attraversol’incenerimento. Gli oppositori atale sciagurato disegno ci sono:partiti e comitati locali tra cui,molto propositivo e attivo in rete,“Umbria verso rifiuti zero” chevede i rifiuti come risorsa. Forse èil momento che i primi alzino unpo’ la voce e i secondi siano piùconvincenti nei confronti dei cit-tadini, anche in previsione di unpossibile referendum regionale inmerito. In questo caso, anche se lavoce del padrone chiama, i servitoridevono riflettere bene prima diaccorrere. In ballo c’è la salute ditutti non solo i soldi per pochi.

Provincia: precariatto secondo

giugno ci eravamo occupati della vicendadei 56 precari della Provincia di Perugiaimpegnati nei servizi per l’impiego. Per loro,

alcuni dei quali con 13 anni e ben 26 contratti sullespalle (prima di consulenza, poi di co.co.co. ed infinea tempo determinato) grazie alla decisa e strenua bat-taglia delle organizzazioni sindacali, Cgil in testa, siera strappato un concorso pubblico, aperto, però, atutti, senza alcun riconoscimento di punteggio per glianni passati agli sportelli di collocamento: 6 posti(3+3 per due profili) a tempo indeterminato ma parttime al 50% dell’orario, in pratica 3 unità lavorative.Francamente pensare di portare avanti i servizi delcollocamento provinciale con tre unità lavorative, piùforse la promessa di qualche altra unità a contratto,non ci sembrava una buona idea. Insomma qualcosanon tornava, soprattutto nell’acquiescenza dei sinda-cati, che da sempre in tutta la vicenda avevano con-trattato al ribasso. Adesso a qualche mese di distanza le cose sono chiare.Innanzitutto gli attuali addetti ai servizi provincialiall’impiego, risultano, tra a contratto indeterminato edeterminato, 14, ma tutti al 50% dell’orario; quindiin pratica 7 unità lavorative. Intanto la Regione staaccelerando i tempi per l’approvazione di una leggedi riordino dei servizi dell’impiego, al cui internosono previste anche le norme per l’accreditamento disoggetti privati che operano solo a livello regionale.Alla fine si avrà un sistema così articolato: allaRegione compiti di programmazione e coordinamen-to di tutto il sistema; l’intermediazione di manodope-ra affidata alle agenzie private, con i sindacati (la Cgilha già chiesto l’accreditamento di una sua creatura, laNuova Società Servizi Lavoro) che molto probabil-mente si occuperanno di badanti e colf, che in questiperiodi di stagnazione rappresentano il segmento piùdinamico di tutto il mercato del lavoro (circa 10.000rapporti di lavoro l’anno) e, per chi fa intermediazio-ne, più lucroso, tra pratiche di avviamento e cessazio-ne, tenuta buste paga, permessi di soggiorno e cosìvia. Alla Provincia rimarrebbero solo compiti di natu-ra amministrativa, per i quali 7 unità lavorativa basta-no ed avanzano. E il collocamento pubblico? Robadel passato. Il sospetto è che tutti, a partire dai sinda-cati, fin dall’inizio avessero già in mente questo dise-

gno di smantellamento della capacità del pubblico dioffrire servizi di collocamento, orientamento e forma-zione. E tutto questo con il silenzio/assenso dellaProvincia, titolare di queste funzioni. Fa bene Montia chiuderle.

Alfano e il dilemmadella destra

’era una curiosa discrasia alla Sala dei Notariil 19 dicembre, per il passaggio a Perugia diun Angiolino Alfano sempre in moto per

rilanciare il Pdl. All’ingresso un manifestino con lascritta Con Angiolino Alfano per un nuovo inizio, sullosfondo un grande simbolo del partito con la scrittaBerlusconi. Insomma, al di là della ribadita fiducia delCavaliere nel suo pupillo agrigentino e delle dichiara-zioni di fede in Silvio ogni volta rinnovate dal segre-tario, si avverte nelle facce e nei discorsi che il dilem-ma continuità-rottura attraversa il polo della destrapopulista.Alfano, comunque, deve aver avuto una sorpresapositiva nel vedere la sala affollata e il suo popoloentusiasta: pur con il Natale vicinissimo e con unfreddo cane, il ceto politico della destra di Perugia eprovincia sembrava mobilitato, dai consiglieri regio-nali ai sindaci, benché le sottolineature con vibrantiapplausi e grida dei passaggi salienti del breve discor-so del segretario apparissero forzate, una sorta di anti-doto alla depressione.Alfano, peraltro, ha detto ciò che tutti prevedevano:attacchi alla sinistra e al suo settarismo, elogi aBerlusconi e al suo senso dello Stato, presa di distanzedal governo dei tecnici cui pure si promette condizio-nato appoggio. Alle elezioni - ha aggiunto - bisognaessere pronti in qualunque momento. Per quanti sfor-zi faccia il segretario del Pdl ha ben poco del giacobi-nismo berlusconiano: il suo stile appare prettamentedoroteo. Più interessante è l’atteggiamento del “popo-lo” della destra perugina: i più sono convinti che ilPdl reggerà e che potrà rilanciarsi anche un assettopiù stabile e meno movimentista. Resta la domandase sia possibile una coesistenza tra un partito “norma-le” e la leadership del Cavaliere o se sia possibile -addirittura - fare a meno di lui. La risposta i capan-nelli che sottovoce discutono dopo la manifestazionenon possono trovarla.

Spifferi fastidiosiLa Commissione provinciale di garanzia del Pd ha espulso dalpartito quattro esponenti di Castiglione del Lago per aver aderitoall’associazione culturale Progetto Democratico. Ritorno all’anti-co centralismo democratico? Intanto, nell’impossibilità di elimina-re le correnti hanno fatto fuori uno spiffero.

DerivatiAnche in Umbria alcuni Comuni allettati dalla possibilità di inve-stimenti fruttuosi ricorsero agli swap, i famigerati titoli derivati,poi rivelatisi un incubo. Il solo Comune di Orvieto tra il 2007 e il2011 ha bruciato tre milioni di euro, ma sono in molti a piange-re. L’argomento scotta e gli amministratori derivati preferiscononon parlarne. I più furbi seguono le mosse di Mario Monti e deisuoi colleghi della Goldman Sachs, la banca d’affari che perprima mise sul mercato i titoli spazzatura: tagliare servizi e spal-mare debiti. Ovviamente sui cittadini.

Bistecche per tuttiL’Assessorato all’agricoltura con determina dirigenziale concede24mila euro al Comune di Città di Castello a sostegno dellamanifestazione “Sagra della bistecca e nello specifico il conve-gno la chianina nell’Alto Tevere con l’obiettivo di valorizzare larisorsa costituita da una tradizione agricola imprenditoriale”. Nonesistendo nel territorio comunale allevamenti di chianina damacello ma solo pochi capi da riproduzione, sfugge il senso dellavalorizzazione. A meno che la determina non avesse lo scopo divalorizzare lo zoccolo duro del bacino elettorale dell’assessore.Insomma, più bistecche per tutti.

PrivilegiUn nostro lettore ci ha inviato il Bollettino della Regione Umbriacontenente la determinazione del Servizio aree protette, valorizza-zione dei sistemi naturalistici e paesaggistici, con l’approvazionedella graduatoria delle domande di aiuto ammissibili per la ristrut-turazione di edifici nei comuni tabacchicoli e non tabacchicoli.Maliziosamente il lettore evidenzia che tra i beneficiari del contribu-to c’è la sorella dell’assessore all’agricoltura Cecchini. Ma essen-do la sua pratica vagliata dai funzionari addetti non abbiamo moti-vo di gridare allo scandalo: avrà avuto tutti i diritti necessari. Altresono le cose che ci hanno sorpreso: l’aver appreso dell’esistenzadei comuni tabacchicoli ai quali sono stati destinati 4 milioni dieuro e non tabacchicoli, beneficiari solo di un milione; che in tempidi crisi vengano concessi contributi a pioggia e che non sianodestinati al miglioramento delle attività produttive e dell’occupazio-ne agricola ma di edifici per non residenti; infine che il tabacco,ormai solo in Umbria, sia considerata una produzione da sistemanaturalistico e paesaggistico e quindi privilegiata.

Porta a portaNel 2009 la Regione Umbria promulga la legge per sostenere l’e-stensione del porta a porta. Chiede ai 4 Ati umbri di presentare unprogramma. In ballo la suddivisione di 2.780.000 euro che almenoper il momento non potranno essere erogati in quanto nessunodegli ambiti territoriali ha raggiunto gli obiettivi che da solo si eraprefisso. Difficile invece capire se la Regione verrà penalizzata pernon aver centrato gli obiettivi del Piano regionale sui rifiuti o pre-miata per essere vicina al suo vero obiettivo: incenerire nei cemen-tifici.

il piccasorci

2commentidicembre 2011

Il piccasorci - pungitopo secondo lo Zingarelli - è un modesto arbusto che a causa delle sue foglie duree accuminate impedisce, appunto, ai sorci di risalire le corde per saltare sull’asse del formaggio. Larubrica “Il piccasorci”, con la sola forza della segnalazione, spera di impedire storiche stronzate e,ove necessario, di “rosicare il cacio”.

il fatto

La voce del padrone

D

A

C

ucio Magri ha scelto di morire.Vivere gli era diventato, per motivipersonali e non solo, insopportabi-

le. Lo avevano messo a dura prova la perditadi sua moglie, che lo aveva gettato in unaprofonda depressione, e il crollo delle spe-ranze politiche e di cambiamento dellasocietà che lo avevano guidato per tutto ilcorso della sua vita. Riteneva che il suotempo fosse finito, che quello che potevafare in una situazione come quella che oggiviviamo fosse irrilevante, pensava di nonavere più né le capacità, né l’autorità, né ilprestigio per poter giocare un ruolo di qual-che utilità. Si può discutere se ciò fosse vero o meno,ma resta pur sempre il fatto che una sceltacosì radicale merita il massimo rispetto.Ha fatto impressione il modo in cui Magriha deciso di porre fine alla sua vita, la pro-grammazione accurata, il ricorso ad una cli-nica svizzera, la discussione con amici ecompagni. La successione degli eventi haricordato a chi scrive un bel film franco-canadese, Le invasioni barbariche, dove lascelta del protagonista è analoga a quellache Lucio Magri ha fatto, ma al di là dellaforma resta la sostanza: non è stato unmedico a somministrargli i farmaci, si èlimitato solo a forniglierli, per il resto l’eser-cizio della scelta è stato fatto il piena auto-nomia. Resta il moralismo imperante, lereprimende di preti e cattolici di turno:“non aveva diritto”, “la vita è sacra”, ecc..Ma se gli uomini non sono neppure padro-ni di scegliere come e quando morire a chesi riducono il libero arbitrio e la libertàdelle persone?Ciò detto preferiamo ricordare Magri vivo,per quello che ha fatto e per il ruolo che hagiocato nella sinistra italiana. Lo facciamosenza indulgenze e senza nascondere chespesso molti di coloro che fanno parte dellaredazione di “micropolis”, almeno i più vec-chi, hanno avuto con lui più momenti emotivi di contrasto che di accordo. Lucio Magri era un impasto di estremo rea-lismo - l’attenzione per le forze in campo -e al tempo stesso di assoluto utopismo. Alprimo si deve uno degli elementi salientidel suo agire politico, la volontà di incidere,con “il manifesto” prima e con il Pdup poi,sul corpo vivo della sinistra italiana, sul Pciin primo luogo che per lui non era solo illuogo dove si concentrava il grosso delleforze operaie e popolari italiane, ma ancheun’esperienza diversa e originale nel conte-sto del comunismo internazionale. Alsecondo, l’utopismo, va ascritta quella suaconvinzione che individuava nel decenniosettanta del Novecento i germi di quelloche definirà “il bisogno di comunismo”ossia l’idea che lo sviluppo delle forze pro-duttive avesse raggiunto un tale livello cheera possibile, su base mondiale, organizzareun sistema in cui si potesse pretendere daognuno secondo le sue capacità dando adognuno secondo i suoi bisogni. Ciò ponevain sottordine il tema del dominio e ripren-deva un’idea - mai tramontata - che il capi-talismo avesse raggiunto la sua fase finale,prossimo al crollo. Da questa convinzionenasce nel 1974 l’idea che si fosse ormaigiunti ad una crisi di sistema, che gli spazidel riformismo fossero ormai esauriti e che

fosse possibile indurre significativi muta-menti nel sistema economico ed istituziona-le italiano e non solo. E’ questa una temati-ca che lo avvicinava più a Rosa Luxemburgche a Lenin. Come si ricorderà la granderivoluzionaria polacca, nel pieno della guer-ra, puntava alla rifondazione della vecchiainternazionale più che alla costituzione diuna nuova, mentre individuava nella finedei processi di accumulazione capitalistica ilmotivo portante di una ipotesi rivoluziona-ria. Su ciò, da parte nostra, si registrava un dis-senso che non era poi così banale. La nostraidea era che, per un verso, il Pci avesse esau-rito il suo ruolo, che la sua diversità non erasufficiente per provocarne una riforma euna svolta a sinistra, mentre eravamo con-vinti che il “bisogno di comunismo” nonbastasse ad indurre un processo rivoluziona-rio, ma occorressero un nuovo partito eduna cultura nuova rispetto a quella comuni-sta degli anni cinquanta e sessanta. Ancora,pensavamo che il tratto caratterizzante lasituazione italiana fosse la crisi politico isti-tuzionale, quella che chiamavamo e conti-nuiamo a chiamare “crisi di regime”, piut-tosto che la crisi di sistema e che da quioccorresse partire per individuare un per-corso di cambiamento radicale. Fatto sta che oggi tale dibattito appare data-to. Il “bisogno di comunismo” non è all’or-

dine del giorno, il Pci non c’è più, la crisi diregime non si è risolta né a destra né a sini-stra, ma si è dapprima cronicizzata e poi haprovocato un generale processo di putrefa-zione-decomposizione della società e delleistituzioni italiane.Queste consapevolezze hanno portato neglianni novanta ad una convergenza tra alcunidi noi e Magri, specie dopo lo scioglimentonel Pci dove lui era confluito con il suoPdup durante gli anni ottanta. L’ordine delgiorno era come evitare fughe avanguardi-stiche e lavorare per mantenere aperti spazidi agibilità politica per le masse lavoratrici.Insomma siamo anche noi confluitinell’“ipotesi realista” dell’impianto di ragio-namento magriano, nella convinzione che sidovesse agire sulla base di un “anticapitali-smo ragionevole”. A ciò s’informò la nostra

azione negli anni in cui militammo inRifordazione. Fu un’impresa impossibile. Siopponeva ad essa la fedeltà ad una tradizio-ne evidentemente stalinista e terzinternazio-nalista che si alleò con gli umori gruppettaridegli anni sessanta e settanta e che fu benrappresentata dalla segreteria Bertinotti chepure avevamo favorito. Né meglio andò l’e-sperienza dei Comunisti unitari (il grupponato dalla scissione del Prc) che alla finedecisero, senza Magri, Luciana Castellinaed Eliseo Milani (e senza noi), di confluirenei nascenti Ds.Magri si ritrovò isolato dagli stessi compa-gni che con lui avevano compiuto un lungotratto di strada, senza solidarietà politicheforti. Provò a rilanciare con la “Rivista delmanifesto”, un’esperienza editoriale corona-ta da successo, che aveva l’ambizione dirimettere in rete la sinistra comunista e chefu minata dai tentativi di egemonismo ber-tinottiano e dell’acquiscenza di Ingrao, nelfrattempo confluito nel Prc, nei confrontidi tale ambizione. Alla fine la rivista chiuse.Resterà nella memoria di chi scrive l’inter-vento di Rossana Rossanda che sostenneche l’adesione d’Ingrao a Rifondazione leaveva provocato più dolore del suo votofavorevole alla radiazione del gruppo de “ilmanifesto” dal Pci. Magri si trovò solo, senza più strumenti,costretto all’inattività. Cercò di reagireattraverso la scrittura del suo libro Il sarto diUlm, il cui intento era quello non solo difare la storia del comunismo internazionaleed italiano, ma di individuare le possibilitàdi cambiamento, i possibili punti di rinno-vamento, di innovazione teorica e di azionepolitica, secondo un metodo, sempre piùviene utilizzato nelle discipline storiche, cheè quello della controfattualità. Ne è uscitoun volume originale, non condivisibile intutto, ma che centra il suo scopo: quello diriportare la discussione su un tema ormaieluso, dimenticato anche da coloro checontinuano a considerarsi comunisti. In ciòaveva assolutamente ragione: senza riappro-priarsi del passato, sottoponendolo ad unvaglio critico, è difficile capire quanto stasuccedendo, ma soprattutto reagire, ripren-dere l’iniziativa. Insomma Magri appare dal libro sconfittoma non rassegnato; ciò nonostante l’unicomodo che ha trovato per reagire alla rasse-gnazione, al lasciarsi vivere, è stato morire.Il suo suicidio è stato anche l’estremo tenta-tivo di non darsi per vinto. Sapeva che lasconfitta per un rivoluzionario non è maiun dato definitivo, che si è veramente scon-fitti quando ci si adegua allo stato di cosepresenti. Ha risposto come ha ritenuto giu-sto. Con un urlo silenzioso.

3 p o l i t i c adicembre 2011

Totale al 23 novembre 2011: 15310 euro

Maurizio Mori 500 euro; Spi Cgil dell’Umbria 500 euro;

Totale al 23 dicembre 2011: 16310 euro

sottoscrivi per micropolis

L

L’addio di Lucio Magri

L’utopia di un realistaRenato Covino

quattro . Con la manovra delgoverno Monti approvata dalParla-mento siamo a quattro:

quattro manovre di aggiustamento deiconti pubblici, considerando anche lalegge di stabil ità, che nel complessodovrebbero ridurre l’indebitamento nettodi circa 3 punti percentuali nel 2012 e dioltre 4,5 punti nel biennio 2013-14. Insoldoni, anzi in euroni, si tratta di 48.462milioni di euro di maggiori entrate eminori spese per il 2012, che salgono a75.577 nel 2013 e raggiungono gli 81.219per il 2014. A regime siamo oltre gli 80miliardi di euro, cifre da capogiro. Nellospecifico la manovra Monti per il 2012prevede un intervento correttivo non,come generalmente riportato dalla stampa,di 20 miliardi di euro, ma di ben 32,3 tranuove tasse e tagli di spesa. Di questi 32,3miliardi, 20 vanno a riduzione del deficit,3,6 vengono utilizzati per sgravi fiscali alleimprese, 4,6 per maggiori spese, 4,0 ariduzione delle risorse da reperire per l’at-tuazione della sciagurata legge sulla delegafiscale/assistenziale (parto della fervidafantasia di Tremonti) che, se non attuataentro il 2013, come fortemente probabile,prevede un taglio lineare da applicarsi atutte le forme di agevolazioni fiscali edassistenziali. L’83% della manovra è affidato ad inter-venti sulle entrate, ovvero a nuove tasse.Tra le voci principali: l’introduzione findal prossimo anno della tassazione sugliimmobili, resa più pesante dalla conte-stuale rivalutazione del 60% delle renditecatastali (11 miliardi il gettito inizialmen-te stimato), l’immediato aumento delleaccise sui carburanti (poco meno di 5miliardi sempre nel 2012), l’aumento del-l’addizionale Irpef regionale (2 miliardi),la tassazione sui capitali rientrati dall’este-ro, i cosiddetti capitali scudati, (1,5 miliar-di, forse qualcosa di più visto l’aumentodell’aliquota introdotto in corso d’opera).Sul fronte delle minori spese il grossoviene dalla deindicizzazione delle pensioni,dalla quale si attendono, dopo l’innalza-mento a 1.400 euro del tetto di esenzione,1,6 miliardi netti e poi dagli immancabilitagli a Comuni, Province e Regioni a sta-tuto speciale. Restano fuori le Regioni astatuto ordinario, che però denuncianocriticità nel finanziamento al trasportopubblico locale e alla sanità. Questi i grandi numeri della manovra.Venendo alla situazione dell’Umbria almomento è difficile valutarne gli impattisulla società regionale e sulle singole fami-glie. Qualcuno ci ha provato: secondo leassociazioni dei consumatori il costo com-plessivo della manovra per gli umbri saràpari a 355 milioni di euro, in media 1.580euro a famiglia, considerando anche gliaumenti delle aliquote Iva che scatterannoa settembre del 2012 (le aliquote del 10%e del 21% saliranno rispettivamente al12% e al 23%). Sarà questo il peso dellamanovra? Presto per dirlo. Sicuramente cisarà da pagare. Pagheranno in primoluogo i pensionati che per il prossimoanno si vedranno bloccata la rivalutazionedella pensione legata all’aumento del costodella vita. L’innalzamento del tetto diesenzione da tale blocco dai 1.000 euro a1.400 salva circa l’85% dei trattamentipensionistici: una boccata di ossigeno ma,attenzione, solo per il 2012. Per il 2013 iltetto scenderà a 1.000 euro e allora a sal-varsi sarà solo il 20% dei circa 278.000pensionati umbri, per gli altri la perditaannua sarà in media tra i 290 ed i 320euro. Con l’introduzione dell’imposta sugliimmobili o Imu, imposta unica municipa-le, che va a sostituire la vecchia Ici, paghe-ranno i proprietari di abitazioni, anche nelcaso di prima casa. Le aliquote sono dello

0,4% per la prima casa e dello 0,76% perle seconde case e si applicano su una baseimponibile, la rendita catastale, rivalutatadel 60%. Ad esempio per un’abitazionemodesta di 90 metri quadri ed un valorecatastale di 70.000 euro si pagheranno448 euro se prima casa e 851 se secondacasa. Per le prime case è previsto un abbat-timento di 200 euro al quale, con unemendamento formulato dallo stessogoverno, vanno aggiunti 50 euro per ognifiglio convivente minore di 26 anni. AiComuni è lasciata la facoltà di applicareuna variazione del +/- 0,2% all’aliquotaper la prima abitazione e di un +/- 0,3% aquella della seconda abitazione, possonoinoltre elevare l’importo della detrazionefino a concorrenza dell’imposta dovuta,ma in tal caso non possono aumentare l’a-l iquota ordinaria sulle seconde case.Insomma se allarghi l’esenzione per lefasce a basso reddito, come a suo tempofece il Comune di Perugia e tanti altriComuni umbri, poi non puoi recuperare

gettito aumentando le aliquote sulleseconde case. Sempre i Comuni possonodecidere di applicare l’aliquota dello 0,4%in caso di abitazioni date in affitto. Nelcomplesso, secondo stime del laConfedilizia, per l’Imu i cittadini umbriverseranno circa 300 milioni di euro,senza considerare eventuali aumenti di ali-quote o ampliamento degli sgravi. Insomma sembrerebbe che con l’Imu deb-bano entrare bei soldoni nelle casse comu-nali. Niente affatto, in barba al nome, dal-l’introduzione dell’Imu i Comuni nonguadagneranno alcunché. Degli 11 miliar-di di gettito aggiuntivo previsto (si parladi gettito aggiuntivo perché attualmentesulle seconde case e quelle tenute a dispo-sizione, si continua a pagare l’Ici che ades-so verrà integralmente sostituita dall’Imu),9 se li incamererà lo Stato, i restanti 2andranno ai Comuni, ma compensati dauna riduzione di pari entità di trasferi-menti da parte dello Stato. Ai Comuni, sedall’operazione Imu vogliono guadagnare

risorse aggiuntive, non rimane che incre-mentare le aliquote base. Lo faranno?Scelta difficile. A ciò va aggiunto il fattoche la manovra cassa circa 1,5 miliardi dirisorse per i Comuni, che si aggiungono aitagli poderosi già operati a più riprese dalgoverno Berlusconi. Nel caso del comunedi Perugia sono tra i 2,5 ed i 3 milioni ditrasferimenti in meno, che si aggiungonoai 9 già cassati con le precedenti manovre.Se non si vuole infierire più di tanto conle aliquote Imu, l’unica strada è quella diinnalzare l’addizionale Irpef. Nel caso delcomune di Perugia si tratterebbe di portar-la dallo 0,7% al tetto massimo dell’0,8%.Margini di manovra più ampi si hanno nelresto dei Comuni del la provincia diPerugia, dove le aliquote oscillano tra lo0,5% e lo 0,6%. Situazione diversa in pro-vincia di Terni dove invece già diversiComuni, piccoli e medi, hanno raggiuntoil tetto dello 0,8%. Altra strada: vendere igioielli di famiglia. Ci sta provando, per ilmomento con scarso successo, il Comunedi Perugia, attraverso l’alienazione diimmobili e terreni.Non migliore si presenta la situazione sulfronte regionale. Per le Regioni a statutoordinario la manovra non prevede tagli,anzi lo sblocco di fondi Fas (Fondo areesottoutilizzate), finalmente ed intelligente-mente sganciati dai tetti del Patto di stabi-lità, anche in Umbria permetterà l’avvio diuna serie di opere già da tempo program-mate: una boccata di ossigeno per un set-tore, quello delle costruzioni, al limite delcollasso. Ma i punti dolenti restano tra-sporti e sanità.Quanto al primo le Regionistimano un fabbisogno di 2 miliardi, ilgoverno in manovra ha stanziato 800milioni, che si aggiungono ai 400 delgoverno Berlusconi. All’appello mancano800 milioni. Il Governo spinge perchésiano le Regioni a reperire queste risorseattraverso un incremento delle accise suicarburanti. Operazione assai complicataper l’Umbria, che proprio a inizio didicembre ha deciso l’aumento dell’accisasulla benzina per l’autotrazione (0,004euro per litro) il cui gettito, stimato in 8milioni di euro, andrà a finanziare la rico-struzione nel territorio dei comuni colpitidal terremoto del 2009. Un ulterioreaumento delle accise porterebbe i prezzidel carburante verde a sfiorare i 2 euro allitro, facendo delle pompe dell’Umbria lepiù care di tutto il centro Italia. C’è poi la questione sanità. Anche in que-sto caso il governo spinge le Regioni a farquadrare i conti e recuperare i 600 milioniche mancano, ricorrendo ad un ulterioreinasprimento delle già inasprite addiziona-li regionali. La manovra infatti prevedel’aumento dallo 0,9 all’1,23% dell’aliquo-ta base dell’addizionale regionale Irpef adecorrere dall’anno in corso. In Umbria sipasserebbe dall’0,9% all’1,23% per i red-diti f ino a 15.000 euro, e dal l’1,1%all’1,43% per tutti gli altri redditi. Il getti-to stimato in 2,2 miliardi per il 2012rimarrà alle Regioni, ma verrà compensatoda un taglio di pari entità delle risorse era-riali attribuite, guarda caso, per il finanzia-mento della sanità. L’aumento dell’addi-zionale Irpef dovrebbe pesare sulle taschedegli umbri per circa 25 milioni di euro.E per i 600 milioni che mancano? LeRegioni sono caldamente invitate a reperi-re risorse aumentando le aliquote delleaddizionali; possono infatti aumentare l’a-liquota base di uno 0,5%, ovvero portarlaall’1,28%. Al momento la Giunta regiona-le ha dichiarato di non voler ricorrere aquesto strumento, ma c’è chi, tra le filadella maggioranza, avanza l’ipotesi di unaumento dell’aliquota fino all’1,28% per iredditi superiori ai 75.000 euro. La partitaè ancora tutta da giocare. E intanto....iopago.

4p o l i t i c adicembre 2011

E I probabili effetti della manovraMonti in Umbria

E intanto...io pago

Franco Calistri

Aleksandr Rodcenko

tefano Lucarelli è economista, ricer-catore e docente all’Università diBergamo e autore di diversi articoli

scientifici e divulgativi sull’attuale crisi eco-nomico-finanziaria. Recentemente, duranteun incontro organizzato nel contesto dell’i-niziativa “Diritti in festa”, ha analizzato inparticolare la situazione umbra a partire dairecenti dati forniti dalla Banca d’Italia. Loabbiamo intervistato per comprenderemeglio le trasformazioni socio-economichedella regione e verificare alcune proposte diwelfare.Recentemente Banca d’Italia, al termine didue specifici studi, ha fornito i dati relativialle diverse economie regionali. Quali sonoi punti di forza e debolezza dell’economiaumbra, anche in relazione alle suddetteanalisi? E come pensi possa reggere l’im-patto della crisi?Dai risultati delle indagini condotte dallaBanca d’Italia tra marzo e aprile su un cam-pione di 283 imprese manifatturiere umbreemerge che nel 2010 il fatturato a prezzicostanti è aumentato del 12%, dopo il calodel 16% nel 2009. Il recupero è stato limi-tato alle imprese esportatrici (14%), mentreil fatturato delle imprese rivolte soprattuttoal mercato domestico è rimasto sostanzial-mente invariato rispetto al 2009. Nel 2010l’occupazione è aumentata per quattroaziende su dieci, soprattutto per quelle tec-nologicamente più avanzate e per le espor-tatrici: la quota è circa doppia rispetto allamedia nazionale. Tuttavia dal 2008 è cre-sciuta, in Umbria come nel resto del Paese,la quota dei giovani tra 15 e 34 anni chenon hanno un’occupazione, né svolgonoun’attività di studio o formazione (i cosid-detti Neet: Not in Education, Employment orTraining). Occorre prendere seriamente inconsiderazione la dinamica strutturale del-l’economia regionale: l’Umbria perde terre-no nei comparti tradizionali, e le impreseche hanno risposto meglio agli shock del2008 sono state quelle specializzate neicomparti tecnologicamente più avanzati.Tutto questo a fronte di una dinamicadisordinata del mercato del lavoro in cuisono state autorizzate circa 20 milioni diore di cassa integrazione ordinaria (datiInps 2010) e in cui la popolazione tra i 15 ei 34 anni offre un contributo costantemen-te negativo all’andamento generale, soprat-tutto a partire dal 2008. In ottobre la stessaBanca d’Italia ha ammesso che i segnali diripresa, emersi alla fine del 2010, si sonoprogressivamente affievoliti: in presenza diuna capacità produttiva ancora sotto-utiliz-zata, gli investimenti hanno ristagnato e ilcontenuto recupero dell’occupazione è statocircoscritto ai contratti di lavoro a tempodeterminato. La dinamica delle esportazioniregionali cresce ma riflette in misura signifi-cativa l’andamento del comparto dei metal-li, che rappresenta circa un terzo del totale.Tra gli altri comparti di specializzazioneregionale, sono cresciute le vendite dei pro-dotti alimentari (32,4 %) e hanno recupera-to le esportazioni di macchinari (17,6 %; -4,5 nel 2010). Credo sia importante segna-lare anche che il credito bancario alle

imprese è aumentato del 4,9% in giugno,in lieve accelerazione rispetto alla fine del2010, ma, nel primo semestre del 2011, si èridotto il ritmo di espansione dei prestitialle piccole imprese (dal 5,3% al 4,9), men-tre hanno accelerato i finanziamenti allemedio-grandi (dal 3,9% al 5). Sul mercatodel lavoro si registra un effetto sostituzione:i lavoratori a tempo indeterminato lascianoil posto a quelli a tempo determinato.Questo è a mio avviso il principale elemen-to di debolezza, perché lavoratori privi diprospettive e immersi nell’incertezza nonsono conciliabili con un modello di svilup-po tecnologicamente avanzato.Secondo te si può parlare di una trasfor-mazione del sistema produttivo? Pensi chesia possibile un cambio di modello di svi-luppo per l’Umbria?È molto difficile rispondere ad una doman-da del genere. Tuttavia mi pare si possa dire,con un certo grado di significatività e conuna certa dose di prudenza, che l’economiaumbra ha bisogno di essere guidata da unapolitica economica accorta. Innanzi tuttoda una politica del credito che torni ad esse-re attenta alle caratteristiche e ai bisogni delterritorio e che non sia guidata dai proto-colli e dalle procedure che arrivano dal ver-tice dei grandi gruppi bancari; occorre inparticolare verificare se le strette creditizie

alle piccole imprese stiano o meno frenandodelle dinamiche innovative. In secondoluogo da una politica industriale che non sifocalizzi solo sulle infrastrutture tradiziona-li, che rischiano di tradursi in sperperi didenaro pubblico senza significative ricaduteeconomiche (penso ad esempio al progetto“Quadrilatero”); le infrastrutture devono inun certo senso guardare al futuro, seguendola linea di sviluppo emergente, che dai datisembrerebbe interessare soprattutto i com-parti tecnologicamente più avanzati. Infineda una politica di welfare coerente con lastruttura assunta dal mondo del lavoro; lastruttura solidale che caratterizza tradizio-nalmente la società umbra non è sufficientee soprattutto non può considerarsi eterna difronte all’impatto degli shock che caratte-rizzano l’evoluzione del sistema economicocontemporaneo.Ad un nuovo sistema produttivo corri-sponderebbe un nuovo concetto di welfare.Nel concreto, quali politiche regionalipotrebbero disegnarlo? In particolare, chene pensi della proposta di Reddito di esi-stenza?Mi sto sempre più convincendo che unnuovo welfare non possa che sorgere da unaripresa delle rivendicazioni che si danno suiterritori, lavorando anzitutto sulla ricostru-zione di esperienze di mutuo soccorso,

all’interno delle quali tendo a comprenderele lotte per i così detti beni comuni. Credopoi che la rivendicazione di un reddito diesistenza vero e proprio che non rappresentiun ammortizzatore sociale - come è peresempio un reddito minimo di inserimento- ma un diritto individuale, incondizionato,universale e finanziato sulla base di unafiscalità sociale progressiva rappresenti unasfida importante. Calcoli approfonditimostrano che il costo di un reddito di basepuò essere sostenibile: esso non sarebbeun’aggiunta, ma sostituirebbe gli ammortiz-zatori sociali in vigore (la cassa integrazionee i piani di mobilità, il sussidio di disoccu-pazione e i pre-pensionamenti). Con ciònon si pensa di proporre l’introduzionesecca del reddito base ma occorrono studi,periodi di sperimentazione locali, verifichesui costi effettivi e sulle conseguenze cheesso avrebbe sul mercato del lavoro, appli-cazioni graduali. Per esempio in Italia sonogià state fatte due sperimentazioni sul red-dito minimo di inserimento (Rmi), unintervento di sostegno alla povertà dunquea carattere non universale né incondiziona-to. L’ultima sperimentazione territoriale hamostrato che il Rmi può essere un’utilerisposta a problemi di sostegno e cura fami-liare e di riabilitazione dal punto di vistasocio-sanitario, un reintegro nella vitasociale, ma che non dà grandi risultati intermini di inserimento/reinserimento occu-pazionale. In Italia è nata da circa tre annil’Associazione per il Basic Income(http://www.bin-italia.org/ ). Il reddito dibase pone la questione centrale su cosasiano oggi - a fronte delle trasformazionisociali e globali - i diritti sociali, cosa signi-fichi garanzia di un livello socialmentedecoroso di esistenza e della possibilità discelta e di autodeterminazione dei soggettisociali. Nel dibattito italiano è centrale pro-prio l’analisi delle trasformazioni produttivedegli ultimi decenni. Tuttavia i sindacatiitaliani diffidano del reddito di base soste-nendo che i padroni ne approfitterebberoper abbassare i salari (e spingerebbero perabolire il salario minimo legale laddoveintrodotto) e che il reddito di base non ver-rebbe creato come base di un sistema diffe-renziato di protezione sociale, ma comesostituto integrale dell’insieme dei dispositi-vi esistenti. In realtà l’introduzione di que-sta misura rafforzerebbe il potere collettivodei sindacati: basta pensare alla differenzarappresentata da un reddito minimo uni-versale significativo in termini di rapportidi forza in caso di uno sciopero di lungadurata. Dal punto di vista fiscale un redditouniversale e incondizionato su base indivi-duale gestito attraverso il bilancio delloStato comporterebbe un aumento delle ali-quote marginali a tutti i livelli di reddito.Nel contesto italiano la misura dovrebbeessere discussa riferendosi all’ipotesi di fede-ralismo fiscale, quindi introducendo nuoveimposte regionali e comunali costruite apartire da un’attenta analisi dei modi diproduzione del reddito che caratterizzano ilcapitalismo contemporaneo.

5p o l i t i c adicembre 2011

Intervista a Stefano Lucarelli

Alla ricercadi un nuovo welfare

Alessandra Caraffa, Giacomo Ficarelli

SAleksandr Rodcenko

6p o l i t i c adicembre 2011

nche questa volta - abbiamo scrittonel numero di novembre - “siamostati liberati dagli alleati” ma, a diffe-

renza del 1945, “senza il concorso dei parti-giani”. E’ chiaro a tutti, infatti, che è stata laUe a costringere Berlusconi, preoccupatosoprattutto del crollo in Borsa delle sueaziende, alle dimissioni, non certo il centro-sinistra che non ha saputo fare altro cheimplorare ossessivamente e pateticamente ilCavaliere di andarsene, rendendo evidente,ancora una volta, la propria assoluta incapa-cità di mobilitare, anche solo un pochino,un popolo di sinistra (e non solo) dispersoma voglioso di tornare protagonista. Ariprova della natura imbelle e insipiente delriformismo (sic!) di casa nostra, basta osser-varne il comportamento tenuto prima edopo il referendum del giugno scorso (acquapubblica e No al nucleare): all’inizio quasiboicottandolo, poi impegnandosi con ritro-sia e, successivamente, a vittoria schiaccianteottenuta, cercando di sbandierarne il merito;ma immediatamente dopo, cominciando asvuotarlo sia nel significato che negli effetticoncreti. Mirabile! (O miserabile?). Insomma, dopo che ben 28 milioni di italia-ni, pari al 57% degli elettori (in Umbria, inalcuni comuni anche il 70%) si sono recatialle urne per rigettare le privatizzazioni del-l’acqua e di tutti i servizi pubblici essenziali(rifiuti, trasporti, in primis), a distanza di seimesi, nulla è stato fatto per rispettare lavolontà popolare, in spregio ad ogni princi-pio democratico.Fra le grandi città solo Napoli si è mossanella direzione del risultato referendario,istituendo un’azienda speciale che prevedeanche organi di partecipazione diretta deicittadini. Per il resto, tutte le regioni (eccettola Puglia vendoliana) e la stragrande maggio-ranza dei comuni, anche quelle e quelligovernati dal centrosinistra, continuano afare finta di niente, preoccupati soprattuttodi garantire alle Spa che gestiscono il servizioidrico, tanto a maggioranza pubblica cheprivata, almeno il 7% di utili (da caricare inbolletta), così come recita l’articolo 154 deldecreto Ronchi-Fitto che la stragrande mag-gioranza degli elettori ha, appunto, intesoabrogare. Accade anche in Umbria. Sia in presenza diSpa a capitale misto (Ati 1 e 2 di Città diCastello e Perugia, con Umbria acque, parte-cipata per il 40 % da Acea, a sua volta parte-cipata da GdF Suez e Caltagirone; Ati 4Terni, con Sii Terni partecipata al 25% daUmbradue scarl a sua volta partecipata daAcea e per il 66% dall’inglese Severn Trent),sia quando il capitale è interamente pubbli-co (Ati 3 di Foligno con Valle UmbraServizi), la logica vigente rimane comunquequella privatistica tesa, prima di tutto, aremunerare il capitale, poi (chissà) a miglio-rare il servizio. Tartufesco, al riguardo, continua ad esserel’atteggiamento del centrosinistra che, tantonella componente Pd quanto in quella Idv (iterribili comunisti federatori si accontenta-no, invece, solo di alcune scarlatte dichiara-zioni di principio, pur di rimanere acquatta-ti nei residui strapuntini del potere locale),enfatizza l’intangibilità della proprietà pub-blica dell’acqua e degli acquedotti, salvo poiaffermare che la gestione può benissimoessere affidata ai privati. Tradotto, ciò signi-fica che al pubblico toccherà provvedere ai

costi di manutenzione delle reti, ai privatiandranno i profitti, grazie anche alla possibi-lità di poter aumentare, a loro discrezione, letariffe di quel 7% garantito per legge.Così i cittadini pagano due volte: con ilfinanziamento pubblico e con le bollette.Non è un caso, quindi, che anche inUmbria, dal 2003 le tariffe sono aumentatedal 20 al 50-60% (fonte Agenzia Umbria

Ricerche), mentre gli investimenti sonodiminuiti nonostante gli utili prodotti(Umbria Acque, per esempio, l’anno scorsone ha ricavati 1,8 milioni di euro). Ciò spie-ga perché le perdite di acqua nelle reti conti-nuano a livelli inaccettabili (intorno al45%), dimostrando che il privato è efficien-te solo nel garantirsi i profitti. In Umbria la battaglia sull’acqua è iniziata,

molti anni or sono, contro lo sfruttamento,per due lire, del Rio Fergia da parte diIdrea/Rocchetta che commercializza acquain bottiglia. Uno “sparuto gruppetto dimontanari”, li definirono alcuni esponentipolitici umbri, che però ottennero, nel lon-tano 1993, un protocollo d’intesa che limi-tava lo sfruttamento della sorgente e nel2006 sconfissero di nuovo la stessa aziendache intendeva triplicare il prelievo di acqua,scavando altri 3 pozzi. Poi i comitati e leassociazioni locali che sorsero nel frattempocostituirono nel 2007 il Comitato UmbroAcqua Pubblica che da subito si è posto inconsonanza con il nascente ForumNazionale e con le grandi campagne per lagestione pubblica e partecipata del servizioidrico. La mobilitazione per convincere sin-daci e amministratori locali ad uscire dallagestione privata e a modificare gli statuticomunali, introducendo il principio euro-peo che il servizio idrico è di interesse gene-rale e “privo di rilevanza economica”, c’èstata, e forte, anche in Umbria, con migliaiadi firme raccolte. Ma solo i Comuni diGubbio, Spoleto, Piegaro, hanno deliberatoin tale direzione, mentre in tutti gli altri onon si è mossa foglia, o, come a Perugia, èstato inserito solo un generico riconosci-mento dell’acqua come diritto umano, nonintaccando affatto la possibilità della suagestione privata. Nonostante la schiacciante vittoria referen-daria, la manovra di agosto dell’ex governoBerlusconi obbliga i comuni a privatizzare ipropri servizi pubblici di rilevanza economi-ca, fatti salvi ovviamente i servizi idrici (cimancherebbe altro!), quando è la stessaCorte Costituzionale ad attribuire al referen-dum contro il Decreto Ronchi-Fitto unsignificato che va oltre l’acqua, ma riguardal’intero rapporto fra pubblico e privato, inquest’ultimo ventennio, nettamente sbilan-ciatosi a favore del secondo. Dal canto suo laPresidente Marini, sebbene insieme a moltialtri del suo partito sia stata tra i primi afesteggiare la grande vittoria referendaria, hadeciso che non farà ricorso contro ilDecreto. Né il nuovo governo “tecnico” pareintenzionato a mettere le mani su tale fac-cenda, anzi ha ribadito la necessità che icomuni facciano cassa disfacendosi di tutti iservizi di rilevanza economica. Ora davanti a tale “inquinamento” ilComitato Umbro Acqua Pubblica ha decisodi fare chiarezza, avviando la “Campagna diobbedienza civile” con cui invita i cittadini arifiutarsi di pagare il “famigerato” 7% garan-tito, a tutt’oggi ancora scaricato nelle tariffe(si calcola che esso comporta un aggravio del14,35% negli Ati 1 e 2 e forse di più nell’Ati4). Di fronte ad una vera e propria frodecostituzionale al referendum, perpetrataattraverso l’abuso del potere legislativo ci sichiede che intendano fare le forze del cen-trosinistra. Se aspirano realmente a rappre-sentare la maggioranza del popolo italianosono ancora in tempo per impugnare unavittoria straordinaria che, invece, finorahanno fatto di tutto per dilapidare. Il 13giugno, anche grazie a loro, appare più lon-tano dell’effettiva distanza cronologica. Mala cosa riguarda anche chi si era illuso chefosse sufficiente la volontà popolare per"invertire la rotta". Ora diventa chiaro che lastrada è ancora lunga e accidentata.Coraggio!

A Il Comitato umbro acqua pubblicacontro l’inquinamento

della vittoria referendaria

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7 p o l i t i c adicembre 2011

a Repubblica promuove lo sviluppodella cultura e la ricerca scientifica etecnica. Tutela il paesaggio e il

patrimonio storico e artistico della Nazione(Costituzione Italiana art. 9).Basterebbe questo articolo, a spiegare l’im-portanza che il paesaggio riveste nel creareun ambiente di qualità in cui vivere.Basterebbe, invece c’è molto di più. C’è laConvenzione europea del paesaggio, ci sonole leggi regionali, provinciali e comunali.Strumenti nati per ricordarci che il paesag-gio, costituito da città, beni storici e artisti-ci, culture materiali e immateriali, fattorinaturali e/o umani e loro interrelazioni, èun bene comune limitato che abbiamo ildovere di tutelare perché ne vengano godu-te le qualità anche dalle future generazioni.Evidentemente tutto ciò non è abbastanzaperché oggi una delle principali emergenzeitaliane è il consumo di suolo. Attività chepermette di lucrare soprattutto sulla trasfor-mazione di aree agricole in edificabili.Siamo arrivati a questo punto anche a causadi tutta una serie di modifiche legislativecon velleità di liberalizzazione, ma ad aggra-vare il quadro è stata la legge n. 380 del2001 che ha svincolato gli introiti deglioneri di urbanizzazione fino a quel momen-to destinati ad opere e interventi sul patri-monio esistente. Dopo la 380 gli introitiprovenienti dalla svendita del territoriosono stati utilizzati per tamponare le emor-ragie dei bilanci comunali. Così si stimache in Italia diventino edificabili ogni anno500 kmq di terreni agricoli, un’area pocopiù estesa del comune di Perugia, tra i piùgrandi d’Italia; che dal 1995 al 2009 sianostati costruiti 4 milioni di abitazioni e tremiliardi di metri cubi di edifici molti deiquali inutilizzati. Numeri impressionanti

che giustificano la prima posizione europeatra i produttori di cemento, raggiunta supe-rando la Spagna, tra i 27 paesi della UE. E l’Umbria non sta a guardare visto cheparliamo di una delle sue più floride indu-strie potendo vantare in casa la filiera com-pleta: cave, cementieri e costruttori. Inumeri del dossier sul consumo di suolo diLegambiente parlano di 330 mq procapite,quinta tra le regioni italiane. Il dato potreb-be anche essere considerato indice di benes-sere, ma l’ipotesi viene smentita dalla dodi-cesima posizione nella classifica del Pil pro-capite. La trasformazione di aree agricole inedificabili è a tutti gli effetti un’attivitàindustriale, fatta per generare economia conl’aggravante di muoversi indipendentemen-te dalla legge di mercato della domanda edell’offerta. Lo conferma la quantità di edi-fici rimasti inutilizzati, anche da primadella crisi, e la domanda di abitazioni cherisulta ancora insoddisfatta. Si capirà dai numeri, dunque, la ragioneper cui quando c’è la possibilità di fare unaspeculazione sul valore di un terreno agrico-lo che diventerà edificabile si crea tutto unfermento di interessi tra i soggetti più diver-si. Il rapporto di un tale investimento è 1 a7 o 8, investi 1 e ricavi 7. Per essere un’atti-vità legale è un rapporto altissimo, la drogavanta un rapporto da 1 a 16, ma solo perchi ha saltato il fosso della legalità. Nell’affare Ikea di San Martino in Campo,paradigmatico di questo meccanismo, sem-bra che esistano profili di illegalità a caricodi chi si è adoperato per recuperare i terreniutili all’insediamento. Su questo speriamofaccia luce l’indagine in corso e in caso dicondanne sarà difficile credere alla moralitàdi chi si chiama fuori. Ciò che risulta evi-dente, tuttavia, è la colossale operazione

speculativa fatta sul valore dei terreni.Infatti l’insediamento è previsto su un’areadefinita dal vigente piano regolatore comeagricola di pregio per la maggior parte equindi la destinazione sarebbe incompatibi-le con l’attività commerciale futura. Da quila necessità di procedere all’ennesimavariante del piano regolatore; un impattonon da poco visto che i trenta ettari richie-sti per l’insediamento rappresentano quasiil 28% delle aree attualmente interessatedall’edificazione a San Martino in Campo.Come si può pensare di evitare la valutazio-ne d’impatto ambientale? Anche il buonsenso suggerirebbe di farla, ma l’ammini-strazione comunale ha già ottenuto dallaRegione la promessa di evitare tale valuta-zione, in cambio di una serie di prescrizio-ni, risparmiando così circa duecento giornidi tempi burocratici. Altrimenti il pianoindustriale, che prevede l’inaugurazione aprimavera 2013, non sarebbe rispettato.Un’amministrazione che si è fatta paladinalavorando a tempo pieno per rilasciare leautorizzazioni da cui incassare 6 milioni dioneri che potranno essere opportunamentee legalmente distratti. Questi passaggi sollevano molti inquietantiinterrogativi. Esempio: come si farà ad inse-rire nel bel paesaggio rurale umbro il bludegli edifici e il giallo del logo rispettandoun criterio di armonia? Ancora: un “poverocristo” che presenta al Comune il progettodi un piano di recupero in zona agricola pertrasformare una rimessa attrezzi in residen-za deve aspettare, per iniziare i lavori, dueanni mentre il colosso multinazionale nellametà del tempo posa la prima pietra di unimpattante insediamento. Si dirà che creaposti di lavoro, sviluppo e modernità, larisposta è fin troppo facile: l’attuale crisi è

stata causata da questo vecchio tipo di svi-luppo e modernità, da questa subalternitàdella politica al potere economico. Ma inumeri sono impietosi, se guardiamo ibilanci dei soggetti risulta chiaro l’ordine digrandezza: il gigante Ikea, 15 miliardi, e labambina Perugia, 248 milioni.Eppure qualcuno ha trovato la forza e leragioni per dire no a Ikea. Il presidentedella Provincia di Torino ha bocciato unarichiesta simile invitando il colosso ad inse-diarsi sul suo territorio in ambiti già desti-nati al commercio anziché chiedere la tra-sformazione di aree agricole. Implicito l’in-vito a rispettare le regole del mercato. MaTorino è lontana anni luce da Perugia.Infatti, a consultare la relazione del PianoPaesaggistico Regionale si trova la confermache in Umbria tutto è possibile: “In conclu-sione un piano non per ‘dire no’, piuttostoper favorire la consapevolezza del ‘come’”.Così anche la verde Umbria avrà la sua Ikeacome le confinanti Marche, Toscana eLazio. Ben 20.000 metri quadrati di super-ficie commerciale distribuita su un edificioa torre di due piani più altri tre edifici perusi complementari e di servizio tutti colle-gati fra loro e alti 13 metri. L’insediamentooccuperà complessivamente trenta ettaridestinati ad accogliere, oltre allo spaziocommerciale vero e proprio, i magazzini,un centro direzionale, viabilità interna, par-cheggi sia esterni che sotterranei, aree verdisecondo gli standard urbanistici, un risto-rante con 550 posti a sedere e due bar. Conquesto progetto Ikea si presenta in Umbria.Dopo quanto finora accaduto ci auguriamoche voglia farlo nel rispetto, innanzitutto,del proprio codice etico.

*Presidente Circolo Legambiente di Perugia

L

Affaire Ikea

Una colossale operazionespeculativa

Anna Rita Guarducci*

Manca respirostrategicoIl governo Monti è l’ultimo tentativo persalvare un Paese la cui classe dirigente negliultimi anni, in preda alla sbornia sondaggi-stica, ha cercato consenso immediato, senzalungimiranza. A livello locale non tuttisono consapevoli della gravità della crisi.Città di Castello ha un tessuto industrialeformato da piccole imprese e artigianatoche è nello stesso tempo fragile per capacitàfinanziaria e possibilità di competere suampi mercati; innovativo per tecnologia eadattabilità alle esigenze dei mercati. Moltodel futuro di questa industria dipende dapolitiche nazionali ed europee ma la politi-ca locale ha molti compiti da assolvere.Migliorare la zona industriale, rendere piùefficiente il sistema energetico, puntandosulle energie rinnovabili, coordinare la poli-tica creditizia riscoprendo anche il valorelocale della banche: ecco alcune linee dilavoro. Il sindaco Bacchetta aveva giusta-mente annunciato lo svolgimento degli statigenerali dell’economia, riprendendo unamia proposta e un appello dei sindacati, maniente è stato fatto. Manca un respiro stra-tegico. L’occasione potrebbe essere data dalnuovo piano regolatore. Nelle linee pro-grammatiche generali, approvate con largoconsenso nel 2010, era chiaramente scrittoche lo sviluppo della città doveva esserequalitativo, razionale, culturale e ambienta-le perché nuove cementificazioni non solosono in contraddizione con la crisi econo-

mica ma soprattutto vanno a consumare unterritorio che già soffre “variantine” eristrutturazioni di annessi agricoli moltodiscutibili. Propongo invece di puntare al restauro erecupero delle vecchie abitazioni, alla crea-zione di strutture di servizio per migliorarela qualità della vita (marciapiedi, aree verdi,piste ciclabili); al recupero e al godimentodi grandi edifici pubblici. La città sullaspinta di interessi solo economici presentadisarmonie: troppe zone industriali,impianti sparsi (e ci si stupisce del bucoeconomico della Polisport), strutture di ser-vizio troppo lontane tra loro. La mia propo-sta è di incominciare a raggruppare: il vil-laggio dello sport, che anche il Pd avevainserito nel suo programma elettorale, è larisposta giusta per concentrare, intorno adalcuni impianti sportivi già esistenti (tennise piscine) altre strutture evitando così spre-co di energie, usando quelle rinnovabili,salvaguardando un territorio sensibile (c’èl’ospedale), presentando al turista che scen-de da Belvedere una città accogliente, verdee tarpando le ali a possibili speculazioni.Alcuni segnali destano allarme perché sceltein itinere andrebbero a contraddire taledisegno riformatore: variante n. 25 allavariante del Prg, nuove e insistenti voci diampi insediamenti commerciali che, al di làdelle intenzioni dei richiedenti, porterannodi fatto nuovi insediamenti abitativi enuovo cemento. La città poi ha una grande risorsa da sfrut-tare: la sua storia, la cultura della sua gente.

In questo campo bene il recupero di alcunestrutture, Pinacoteca, Biblioteca, PalazziVitelli; male l’improvvisazione di certieventi, la morte neanche assistita del centrostorico, il silenzio sul futuro del vecchioospedale con la facciata del Vanvitelli, lamancanza di una politica organica. Accantoalle opportunità che il nuovo Prg potrebbeoffrire (non sono ottimista, troppi ritardi etroppe manovre, nonostante l’impegno delnuovo assessore), la città deve difendere sestessa. Chiusura dei corsi universitari diVilla Montesca, chiusura dello sportello diEquitalia, di sportelli bancari, nubi sulfuturo della Sogepu, ridimensionamento dialcuni servizi dello Stato (polizia stradale,vigili del fuoco), rimozione del problemadella Ferrovia Centrale Umbra, sciaguratoaccordo sui rifiuti che ci ha impoverito eriempito la discarica di Belladanza, infra-strutture piene di annunci ma mai partite:sono alcuni esempi della perdita di ruolodella città che non può essere dimenticatasolo perché abbiamo mandato qualcuno aPerugia! Di fronte a tutto ciò il PartitoDemocratico, vive una fase difficilmentegiudicabile. Infatti dopo il grande sforzo ditesseramento 2011 con quasi mille tessere,la partecipazione ai congressi dei 15 circoliè stata appena superiore alle 200 unità;risultato scontato essendoci un solo candi-dato. Ora siamo in attesa di scelte politichedalle quali si vedrà se l’accordo fatto a tavo-lino (a Perugia?) porterà iniziative riformi-ste e coraggiose tali da stimolare la giuntacomunale a “difendere e valorizzare la

8 d o s s i e rdicembre 2011

a crisi? Forse ci saranno pareri discordi sulle cause ma i tifer-nati, come tutti, la percepiscono sulla propria pelle e nehanno consapevolezza. Senza aspettare i dati statistici sui

consumi, che verranno sfornati a breve, si può affermare che gliunici prodotti a non risentire della crisi sono lotterie, slot-machinee gratta e vinci vari. Meno omogenee appaiono le opinioni sullaclasse dirigente locale, coinvolta, come altrove, nel crollo degli indi-ci di gradimento. Città di Castello, ormai da tempo, è un palcosce-nico dove, a sinistra e soprattutto nel Pd, viene recitato lo stessocopione da aspiranti leader politici senza storia e senza memoriache, l’un contro l’altro armati, di giorno fanno accordi e di notte lidisfanno senza un minimo collegamento con la base. Succedonocose strane: come le primarie del centrosinistra dove il Pd (che pesaper il 33% della coalizione) perde con il Psi (2%); dopo la batostalo stesso Pd, alle amministrative, riprende i suoi voti e va verso il

congresso di dicembre con una battaglia interna, destinata più aconquistare la maggioranza che a sciogliere i nodi locali. Milleiscritti circa ma la maggior parte diserta i congressi di circolo equello cittadino. Disertano anche personaggi di peso come Cilibertied Orsini. Seguono dimissioni a catena. Lo scontro è tra i seguacidell’assessora Cecchini e quelli del presidente della ProvinciaGuasticchi. La mediazione, guidata dalla segreteria regionale, eleggeil giovane Gionata Gatticchi, già segretario regionale dei giovani delPd. I prossimi mesi ci diranno se riuscirà a rompere le tradizionalilogiche conservatrici e spartitorie. Anche se i metodi che lo hannoportato alla segreteria sono quanto di più vecchio esista in politica,merita una fiducia a tempo. Fiducia nel Pd che sembra venir menoai tifernati. Sono sei mesi che deve indicare al sindaco Bacchetta ilnome di un assessore ma per le suddette diatribe non riesce a trova-re un accordo interno. E’ questo il nuovo che avanza?

Uno stanco copionePaolo Lupattelli

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9 d o s s i e rdicembre 2011

città”, oppure si continuerà a gestire nor-malmente il potere, magari cominciandocon la nomina del nuovo assessore sceglien-dolo tra quelli graditi ai soliti amici. Perfortuna nel Pd locale l’eco di quello cheaccade a Roma sta arrivando e se tutto nonsarà più come prima a livello nazionaleanche da noi molto è in movimento.

Franco CilibertiComitato provinciale Pd

Rilanciamo il centrostoricoIl rilancio del centro di Città di Castellopassa necessariamente attraverso una diver-sa concezione degli spazi comuni e del lorori-utilizzo. E’ importante riqualificare l’am-biente e in particolare il nostro centro stori-co con piccoli interventi urbani che indi-chino dei parametri di sviluppo semplici eben definiti: qualità e sostenibilità. Quindivia le macchine dalle strade e dalle piazze eparcheggi fuori le mura. Sì allo sviluppo dipiste ciclabili e aree verdi. Via l’inquina-mento visivo dei cartelli, segnali, pubbli-cità. Cultura e buon vivere sono le carte dagiocare.Città di Castello ha una grande opportu-nità in questo momento, diventare quelloche non è mai stata capace di essere: unameta turistica. Un turismo, soprattutto divicinato, che potrebbe garantire flussi inte-ressanti soprattutto nei fine settimana e neigiorni festivi. Potremmo quindi attirare itanti viaggiatori itineranti che attraversanola nostra regione con la realizzazione, peresempio, di una area camper attrezzatasecondo i moderni criteri del vivere eco. Losplendido Parco Langer sul Tevere a duepassi dal centro e servito di scala mobile,sarebbe il luogo ideale. Questo ne farebbeuna meta preferenziale di riferimento pertutto il centro Italia. Aggiungerei una ri-programmazione di tutta l’intensa attivitàculturale che il nostro territorio esprime neltempo. Abbiamo infatti un calendario ric-chissimo di manifestazioni interessanti chesono però scollegate tra loro e concepitesecondo canoni davvero antiquati. Sonoconvinto che molte attività commerciali eartigianali del centro storico saprebberocogliere la trasformazione e allo stessotempo valorizzarsi professionalmente pro-ponendo così un modello di accoglienza edi consumo completamente alternativo aquello compulsivo dei grandi centri com-merciali.

Andrea Lensi48 anni, commerciante centro storico, opera-tore culturale

Come merci da affittareSono un’atipica. Come i co.co.co.,co.co.pro., appartengo a quel 30% di lavo-ratori umbri senza diritti e sicurezze. Seperdo il lavoro e non mi rinnovano il con-tratto sono a terra, lavoratrice di serie bsenza alcuna tutela. Circa quindici giorni orsono ero anche io alla manifestazione orga-nizzata dal Nidil Cgil davanti ad una agen-zia interinale di Città di Castello. Eravamoin tanti, per lo più giovanissimi, ma anchelavoratori tra i 40 e i 50 anni licenziati acausa della crisi o a causa di chi ha approfit-tato della crisi per liberarsi di loro. Alcunisindacalisti della Cgil ci hanno spiegato lasituazione. In Alta Valle del Tevere ci sono9 agenzie interinali che affittano - a tempo- i lavoratori alle aziende come le agenzie diautonoleggio affittano le auto. Li chiamanolavoratori interinali: stipulano un contrattocon l’agenzia che li seleziona e li presta alleaziende che li richiedono per un certo

periodo. E qui mi sono sentita come unacosa. Ho appreso che l’Umbria è la regioneitaliana che negli ultimi mesi ha avuto l’in-cremento maggiore, il 35%, di questi inte-rinali; che in media gli interinali lavorano44 giorni all’anno in un rapporto diretto edesclusivo con l’agenzia. E qui mi sono senti-ta fortunata perché io ho lavorato circa 4mesi. Poi ho appreso che ci sono i lavorato-ri con contratto a progetto e che per loronon esistono ferie, malattia o maternità, diammortizzatori sociali neanche a parlarne.E qui mi sono sentita una diversa, figlia diun dio minore. A questa manifestazione ciconoscevamo quasi tutti, ci scambiavamo

opinioni ed esperienze e battute amare.Altro che bamboccioni, come fai ad essereautonomo se non sai neanche quanto e sepotrai lavorare. E qui ho pensato alla fortu-na di avere una famiglia che mi mantiene euna nonna pensionata che il sabato misgancia qualche euro. Aveva mille ragioniun ragazzo più incavolato di altri: qui non èche ci rubano solo il futuro, anche il pre-sente e il passato. Aveva un foglio doveaveva annotato stipendi, pensioni, liquida-zioni da favola e ripeteva in continuazioneche questi privilegiati in più rubano anche.Ripartendo quelle cifre ci camperebberotranquillamente centinaia di migliaia di ati-pici. Altro che retorica e demagogia, tantarabbia. E allora ho pensato che è ora di sve-gliarci tutti e alla manifestazione ho urlatopiù forte.

Samanta Ottaviani25 anni, operaia in azienda grafica, commes-sa, impiegata tuttofare in un’azienda artigia-nale.

Proteste e proposteIl decreto “Salva Italia” è caratterizzato dal-l’assenza di giustizia sociale; le misure adot-tate scaricano il peso della crisi liberista edel mal governo berlusconiano ancora unavolta sulle classi lavoratrici e sui pensionati,senza dare concreti segnali di una vera epropria riforma strutturale del sistemasocioeconomico, senza significativi tagli aiprivilegi e ai costi della politica, senza ridu-zione delle spese militari e senza adottaremisure volte a combattere seriamente ilfenomeno dell’evasione fiscale che ognianno in Italia sottrae all’erario statale, equindi alla collettività, un introito pari acirca cinque volte il valore della manovracorrettiva varata dal governo Monti. La grave situazione economica attanagliacon effetti devastanti e drammatici anche lanostra regione e in particolar modo l’AltaValle del Tevere che ha da sempre in Cittàdi Castello il suo principale motore, senzarisparmiare alcun settore produttivo: agri-coltura, grafica, tessile, legno, ceramica eedilizia. Settori volano della più complessa e artico-lata economia altotiberina, ricorrono sem-

pre con maggiore frequenza alla cassa inte-grazione ordinaria e straordinaria e ad oggisi contano qualche migliaio di lavoratoriche usufruiscono di questo o di altriammortizzatori sociali. In una fase cosìdrammatica per l’economia ma soprattuttoper la vita reale delle persone che ancorauna volta sono costrette a pagare sulla pro-pria pelle le conseguenze di un capitalismoallo sbando, riteniamo che la politica debbaintervenire concretamente anche a livellolocale, consapevoli che orientamenti e scel-te delle amministrazioni cittadine, se purcomplicate, assumono, in fasi storichecome questa, un’importanza più che maicentrale al fine di non aggravare conaumenti di tariffe o con soppressione deiservizi, la già drammatica situazione chemolte famiglie stanno vivendo.Alcune ideeda approfondire.Eliminare gli sprechi per garantire i servizisociali; non si può continuare a costruireall’infinito, bisogna invece recuperare queiquartieri semivuoti e in degrado; creare cor-sie privilegiate per inserire i giovani nelmondo del lavoro; orientare il mondo dellascuola ad un legame più stretto con le esi-genze locali; in particolare la ScuolaOperaia Bufalini da più di un secolo fucinadi valenti artigiani; l’ente locale deve dive-nire intermediario e garante per nascentirealtà lavorative giovanili anche nei con-fronti delle banche per l’accesso al credito;allo stesso tempo deve eliminare i proprieccessi burocratici e snellirli al massimo;puntare maggiormente sulla green eco-nomy; promuovere il commercio dei pro-dotti agricoli a km zero per favorire la qua-lità e calmierare i prezzi; arrivare alla crea-zione di gruppi di acquisto collettivo perridurre i costi delle materie prime in com-parti come il legno e il grafico. Sarà importante dunque che le amministra-zioni locali convochino le parti sociali eaprano dei tavoli di discussione concretaper analizzare il preoccupante evolversidella situazione economica, decidere gliorientamenti, capire verso quale orizzonteimpegnare le energie per sopportare la bottae capire quale tipo di sviluppo possa garan-tire una rapida fuoriuscita dalla crisi garan-

tendo occupazione e sostenibilità ambienta-le.

Enrico Bruschifunzionario CgilSimone Polveriniservizi fiscali Cgil

Dalle stelle alle stalleLeggo spesso sulla cronaca locale notizieriguardanti la gestione dei rifiuti a Città diCastello e non posso fare a meno di ricor-darmi di quello che leggevo qualche annofa: il Presidente di Sogepu, Vincenzo Bucci,si era dimesso per non firmare un contrattotra Sogepu e Gesenu che a suo dire avrebbeportato solo problemi alla nostra comunità.Oggi devo riconoscere che aveva pienamen-te ragione. La discarica di Belladanza è statariempita in pochissimo tempo, la tassa deirifiuti ha avuto aumenti impressionanti(due volte del 15% e infine un altro 18%) eper quello che leggo la percentuale di rac-colta differenziata è più bassa di allora. Ora,visto il sovrautilizzo, la discarica verràampliata con tutti i disagi di chi abita nelleimmediate vicinanze ma soprattutto a spesedella nostra comunità che in cambio nonha avuto nulla. Infatti sempre più spesso sisente dire che Gesenu (che fino ad ora hasolo guadagnato dall’accordo fatto nel pas-sato) farà di Sogepu un sol boccone. Inutilefarsi troppe illusioni visto che l’ex Sindacodi Perugia ha dichiarato che in Umbria sifarà un gestore unico. Anche questa volta inostri amministratori si arrenderanno agliamministratori perugini senza fare niente?Mi sembra arrivato il momento di attivareun ciclo virtuoso che porti Città di Castelload una raccolta differenziata di tutto rispet-to e Sogepu ad essere un’azienda leader delsettore in modo da scongiurare perdite dilavoro, inutili mega ampliamenti delladiscarica e continui aumenti della tassa deirifiuti, ma soprattutto sarebbe ora di avvia-re quel ciclo virtuoso per un fatto di civiltà.

Valeria Testi25 anni, organizzatrice eventi musicali

10s o c i e t àdicembre 2011

La sfidadel digitalecominciaoraAlberto Barelli

entre proseguono e crescono leiniziative a sostegno del softwarelibero, anche e soprattutto in

merito ad una sua applicazione nelle ammi-nistrazioni locali, l’Umbria sta ancora attra-versando un passaggio epocale; tale è, infat-ti, la transizione al digitale terrestre, che havisto riproposta, in tutta la sua importanza,la questione del diritto di accesso e dellapluralità delle informazioni. A fare da filo conduttore tra le varie temati-che è l’esistenza, sempre più evidente, diquello che potremmo definire uno spartiac-que: da una parte la volontà di imporre unalogica commerciale e di monopolio; dall’al-tra, invece, la difesa della pluralità dell’of-ferta e della libera circolazione del sapere.Siamo contenti di poter rilevare che la voceche si è alzata in Umbria, relativamenteappunto al passaggio al digitale, è stata asostegno della seconda visione delle cose, incontrapposizione alla prova meschina cheha inteso dare il centrodestra, gestendo finoalla fine in modo scandaloso l’intera vicen-da. Sta di fatto che l’impiego di volontari e stu-denti per aiutare in particolare gli anzianiad adeguare gli impianti tv rimane la paginapiù bella di una transizione che, all’oppo-sto, sarà ricordata anche per la mancataassegnazione in tempi utili delle frequenzealle emittenti locali. Così come significativoè stato lo stanziamento di un contributo peri meno abbienti per l’acquisto degli impian-ti e lo stesso sostegno anche economicogarantito alle tv locali per assicurare la loroesistenza. Merita di essere evidenziato, inol-tre, il ruolo che hanno saputo svolgere leassociazioni dei consumatori, offrendo sup-porto ai tanti cittadini che hanno segnalatoe continuano a segnalare problemi di rice-zione. Ancora oggi, per ritardi tecnici inqualche modo preventivabili in un muta-mento di tale portata, in molti Comuni cisi trova a dover far fronte a non pochi disa-gi, dovuti a sovrapposizione di segnali,mancata ricezione o oscuramento di emit-tenti, soprattutto locali. Certo è che se orasi sta procedendo con più celerità al poten-ziamento del segnale o all’adeguamentodegli impianti nelle zone critiche, lo si deveanche all’attenzione che si è riusciti a deter-minare attorno al problema. L’invito cherivolgiamo è comunque a segnalare i disagirelativi al funzionamento di un servizio dicui gli utenti hanno il diritto di poter usu-fruire in modo ottimale. L’augurio è che cisi attivi per scongiurare gli oscuramenti chein più aree stanno colpendo le emittentilocali, già penalizzate tra l’altro da un posi-zionamento sfavorevole. L’esperienza diquanto avvenuto nelle regioni che hannosperimentato da tempo la transizione aldigitale ha dimostrato come in alcuni casiper le tv regionali si sia assistito anche al

dimezzamento degli indici di ascolto, conconseguenze pesanti anche sul fronte delleentrate pubblicitarie, già colpite da anni dauna progressiva flessione. Se le stesse conse-guenze della crisi economica pongono intermini ancora più vitali l’esigenza di vedergarantito l’accesso alle nuove tecnologie ealle informazioni a costi contenuti e la pos-sibilità di poter scegliere soluzioni alternati-ve agli strumenti legati alla logica proprieta-ria e ai diktat dei pochi potentati, perl’informazione televisiva i termini della que-stione sono rappresentati dall’alternativa trauna offerta sempre più esclusivamente com-merciale e sottoposta al monopolio di Rai eMediaset e la difesa di un panorama arric-chito dalle voci locali e dalle realtà nonlegate a logiche di profitto. È su questo ver-sante che si tratterà di tracciare il verobilancio. La sfida già, dal prossimo anno,sarà anche per l’Umbria tra una propostatelevisiva che ci riserverà una marea di cana-li di intrattenimento ma priva di voci indi-pendenti e una tv che vedrà preservate leemittenti non legate ai grandi gruppi equelle dell’informazione locale che, in unaregione di piccole dimensioni, rappresenta-no ancora di più una presenza preziosa.

OpenmailA. B.

Se milletrecento caselle di posta elettronicavi sembran poche… provate voi a rispar-miare. Milletrecento moltiplicato per ilcosto di acquisto di ogni mail, a cui vaaggiunto quello delle licenze dei server e laspesa per l’installazione e la manutenzionedell’intero sistema, fa una bella cifra. Siparla di centomila euro. Ora riducetelo didieci volte. La differenza è la somma cherisparmierà la Regione Umbria grazie alladecisione di passare ad un servizio mailtotalmente open source. Non solo: con ildecimo della spesa (l’investimento previstoè infatti di circa diecimila euro), grazie alsuperamento dei vincoli di licenza, si potràattivare un servizio più esteso e in grado digarantire quelle esigenze per le quali il siste-ma proprietario non dava risposte ottimali.Ad annunciare la (bella) decisione è statonelle settimane scorse l’assessore alle risorseumane e finanziarie Gianluca Rossi. Oltreall’aspetto del risparmio sui costi, lo stessoamministratore ha evidenziato come con ilpassaggio al nuovo sistema si otterrannomaggiori risultati: sino a oggi, a fronte diuna utilizzazione di posta elettronica sem-pre più rilevante, a causa dei suoi costi ilservizio mail era assicurato soltanto a cin-quecentosettanta dipendenti dell’ente regio-ne, mentre le caselle complessive, tra singo-le e condivise, erano appunto milletrecento.Ora sarà possibile attivare il collegamento

all’intera struttura, garantendo uno scambiodi comunicazioni e di dati più veloce.La presentazione del progetto ha coincisocon l’iniziativa a sostegno dell’introduzionedei sistemi operativi a codice aperto nelComune di Perugia che, nonostante gliimpegni presi, procede a rilento, della qualeè stato promotore il consigliere comunaleTommaso Bori (Pd). Gli amministratorisaranno chiamati tra l’altro a riferire neldettaglio quali siano attualmente i costi perl’acquisto e l’aggiornamento delle licenzeper i software Microsoft. Siamo curiosi diconoscerne l’entità della cifra che, ne siamocerti, non sarà lieve. Intanto non si può direche il movimento umbro dei sostenitori delsoftware libero non abbia concluso l’annodimostrando vivacità. Le ultime settimanehanno visto Magione inserita tra le cento-cinquanta città italiane che hanno dato vitaalla fine del mese scorso al Linux Day 2011e un’edizione dell’Open Terni Festival che siè conclusa con un buon successo. Questomese si sono infine tenuti i corsi per impa-rare ad utilizzare i sistemi open source pro-mossi dall’Orvieto Linux User Group. Una conferma dell’importanza delle temati-che legate alle nuove tecnologie è venutaanche dalle polemiche che si sono recente-mente succedute. Questione della transizio-ne al digitale a parte, eclatante è stata laprotesta del presidente del Comitato regio-nale di controllo (Corecon) Mario Capannaper la carenza di personale della struttura,mentre proprio la stessa Regione è stataattraversata dalla tempesta che ha investitola Webred. La società informatica è salitaalla ribalta delle cronache anche per lo statodi agitazione deciso dai dipendenti lo scorsoottobre, che hanno voluto denunciare la“palese inesistenza di un progetto politicosull’informatica umbra, a supporto delleriforme della Pubblica amministrazionelocale nell’ottica della ottimizzazione dirisorse e servizi”. Non sono pochi però gliinterrogativi avanzati da più parti sul ruoloe i compiti di una società che doveva essereil fiore all’occhiello in grado di gestire ilprocesso di innovazione tecnologica ma chepare abbia perso strada facendo diversipetali. Ad intervenire sulla vicenda è statoOliviero Dottorini, capogruppo dell’Italiadei Valori in Consiglio regionale, per ilquale la società non può continuare a svol-gere un ruolo che la vede relegata a “sempli-ce ed esclusivo ufficio di rivendita software,tra l’altro con possibili aggravi di spesa delvalore di milioni di euro per la pubblicaamministrazione”, mentre è considerataindispensabile la definizione un piano perl’informatica regionale per eliminare sprechie ottimizzare le risorse esistenti. E di que-sto, soprattutto se (salvo un miracolo) glieffetti della crisi continueranno a farsi senti-re anche il prossimo anno, saremo chiamatia discutere nei prossimi mesi, quando pro-prio l’impiego del software libero potràcontribuire ad offrire soluzioni per rispar-miare e offrire allo stesso tempo servizi diqualità.

M

Chipsin Umbria

Terni Un incontrosulla crisi

Alessandra Caraffa

l 16 dicembre il circolo ternano de “ilmanifesto” si è presentato alla cittadi-nanza con l’iniziativa “Crisi finanzia-

ria o crisi del capitalismo? Banche, borse,economia reale”. Nella sala Laura dell’offici-na sociale “La Siviera”, Roberto Tesi ovveroGalapagos (il manifesto) e Renato Covino(micropolis) si sono confrontati sul tema.Tesi ha sostenuto che la crisi - nel 1929 cosìcome oggi - non dipende esclusivamente daimeccanismi della finanza, ma nasce su basireali, dalla sovrapproduzione. Il riferimentoprincipe è ovviamente Marx. Ci si chiededunque: perché la crisi, se non c’è stataalcuna caduta del saggio tendenziale di pro-fitto, come indicato ne Il Capitale? I profittianzi continuano a crescere, ha proseguitoTesi, in maniera matematicamente propor-zionale all’impoverimento dei salari.Viviamo la crisi poiché una siffatta redistri-buzione della ricchezza - che dai salari sisposta verso rendita e profitto - potrebbeessere sostenibile solo in un sistema di wel-fare state, in cui lo Stato intervenisse a salva-guardia delle esigenze primarie della popola-zione. L’ideologia neoliberista non vuoleperò arrestare la corsa alla crescita né porrealcun limite allo sfruttamento della forzalavoro, per cui l’impoverimento delle popo-lazioni diviene inevitabile.Alla critica all’ideologia liberista, Covino haaggiunto l’analisi storica del fenomeno: ilcapitalismo è sempre stato diviso per fasi,trainate da grandi innovazioni tecnologi-che. Perciò nei periodi di ristagno, comequello attuale, l’economia neoliberista nonpuò che spingere sullo smantellamento dellostato sociale, che resta l’unica possibilità diallargare l’ambito del profitto in assenza diinnovazione. “Non è un caso - ha concluso Tesi - che laparola chiave in questa fase sia “crescita”:parlare di sviluppo implicherebbe molto dipiù. Lo sviluppo è un concetto esistenzialeoltre che economico, che comprende anchela cura dell’ambiente, il rispetto del lavoro ela qualità della vita”. E’ per questo che, nellefasi recessive del capitalismo, assieme al wel-fare state vengono automaticamente neutra-lizzati i sindacati e le forze socialiste.Diversamente da quanto accade di solito neiconsessi autoreferenziali di certa politica, lenumerose persone presenti al dibattitohanno chiesto delucidazioni, approfondi-menti, condiviso paure per il futuro, dimo-strando un grande interesse per i temi trat-tati. Una vera e propria lezione sulla crisieconomica la cui riuscita indica la presenza,anche in una città stanca come Terni, di unarinnovata richiesta di politica. Di sinistra,indipendente e autonoma, com’è da semprenella tradizione de “il manifesto”.

I

11s o c i e t àdicembre 2011

overa Italia. Questo il titolo delprimo incontro, tra i 10 in pro-gramma da dicembre a maggio sul

tema “votarsi al bene comune”, promossodall’Istituto Conestabile Piastrelli e svoltosiil 30 novembre a Perugia nella ex chiesadell’Annunziata in Piazza Mariotti.Obiettivo del corso - sostengono i promo-tori - è quello di accompagnare in primoluogo i giovani in un itinerario formativo dicoscienza civile, che consenta di giungeread un impegno concreto e quotidiano versoil bene comune. Centrali durante l’incontrosono stati i contributi del sociologo WalterNanni - il quale ha presentato il libro Poveridi Diritti Rapporto Caritas 2011 su povertàed esclusione in Italia - e quello di StellaCerasa, vice direttore della Caritas diocesa-na di Perugia. Nel lontano 1854 così Charles Dickensrappresentava la povertà dei lavoratori diCoketown: “Parecchie strade tutte simili fraloro e molte altre, ancora più simili l’unaall’altra, abitate da gente ugualmente simile,che va e viene alla stessa ora, facendo lostesso rumore sul selciato, per fare il mede-simo lavoro, e per la quale i giorni scorronosimili, e domani è uguale a ieri, e ogni annoè l’esatta copia del precedente e del prossi-mo”. In un contesto di generalizzato muta-mento sociale derivato dalle trasformazionieconomiche e demografiche in atto, ancheil fenomeno della povertà è cambiato radi-calmente e resta così difficile estrapolaremodelli e percorsi generali dato che le car-riere di povertà sono sempre più veloci,complesse, multidimensionali. L’aspettonon di poco conto è che i nuovi poverisono poco inclini al senso d’identità comu-ne e di appartenenza ad una medesimacategoria e non si considerano un gruppo

di interesse. Questa mancanza diffusa portanel 52,8% dei casi a far sì che le nuovefamiglie povere non si rivolgano alla Caritasper orgoglio, vergogna o dignità e che nonaccettino o riconoscano la situazione (spes-so improvvisa) di povertà.Una vera e propria “povertà oscillante einvisibile” sta aumentando e riguarda queinuclei familiari che, anche nelle fasi di vitapiù favorevoli, possono contare su un reddi-to che non si posiziona molto al di sopradella soglia di povertà. Per molte famiglie lapovertà non è sempre cronica, ma rappre-senta una situazione episodica del propriopercorso biografico, inoltre, essa è spessolegata a modelli di consumo non corrispon-denti al livello di reddito come ad esempioil gioco d’azzardo, la rateizzazione, l’indebi-tamento, il risparmio negativo. Difatti inItalia è in aumento il numero delle famiglieche si trovano in condizioni di povertà rela-tiva: sono stimate a 2 milioni 734 mila erappresentano l’11% delle famiglie residentima nel complesso sono 8 milioni 272milagli individui poveri, cioè il 13,8% dell’inte-ra popolazione. Dato positivo (sembrerebbe) è che inUmbria l’incidenza di povertà è inferiorealla media nazionale (terza regione menopovera d’Italia, dopo Lombardia e Emilia-Romagna che si fermano al 4,9%), ma nonsi esulti troppo; come afferma lo stessoNanni, esistono dei limiti inerenti alla“costruzione sociale” del campione (assenzadi poveri estremi, senza dimora, ecc.) laquale influenza di gran lunga i risultati sta-tistici: non sono incluse, ad esempio, lefamiglie straniere, non si tiene conto diprassi e modelli culturali nei comportamen-ti di consumo e di autoconsumo, così comedei cosiddetti redditi “neri”, delle cause e

delle carriere di povertà. Altro dato allarmante è quello relativo aigiovani: come ricorda Stella Cerasa, secon-do i dati Caritas, il 20% delle persone chesi rivolgono ai centri di ascolto in Italia hameno di 35 anni. I problemi rilevati neicentri d’ascolto che si riferiscono a giovani estranieri vanno dalla precarietà al lavoronero, fino alle emergenze abitative; il tuttocome conseguenza di una difficile presa incarico delle istituzioni. Eppure, secondo ilrapporto Caritas le risorse per far fronte alfenomeno ci sono, ma sono male investite,se pensiamo alla dispersione degli investi-menti (esistono oltre 30 misure diverse diaiuto economico a persone e famiglie), oscarse, se pensiamo alle mancate risoluzionistrutturali del fenomeno (gli assegni fami-liari nel 2008 sono stati spesi per 6.607milioni di euro, ma il beneficio finale èstato irrisorio con poco più di 10 euro almese per ogni beneficiario). Gli interventi locali in questo frangentenon bastano, e risultano assenti tutt’ora inItalia attività sistematiche di valutazione diefficacia e monitoraggio degli interventisociali, cosi come manca - diversamente darealtà più lontane dalla nostra - un sistemanazionale di reddito minimo vitale/di inse-rimento. L’attenzione conclusiva dell’incon-tro è stata quella relativa al tema dei dirittinegati, perché parlando di povertà non sideve ragionare solo in termini di depriva-zione economica, ma si deve pensare anchead altre conseguenze concrete. Essere poverisignifica negazione del diritto al lavoro, allafamiglia, all’abitazione, ma anche alla giu-stizia, all’educazione, alla salute. La Caritasnon mancherà di dare il suo importantecontributo e accetterà la sfida ancora unavolta.

A Perugiala mostra mercato della solidarietà internazionale

Consumoresponsabile

Silvia Colangeli

dicembre: un giorno che anticipa l’at-mosfera natalizia. Forse proprio perfare appello ai buoni sentimenti,

nonostante la crisi in atto, a Perugia, in con-comitanza con l’apertura del Mercatino delleStrenne, si è deciso di allestire la Mostra dellaSolidarietà Internazionale. La gran parte delleassociazioni attive nella nostra regione, daEmergency a Oxam, dal Mercato equo e soli-dale all’Unicef sono state riunite nello spazioespositivo della Rocca Paolina, dove hannopotuto pubblicizzare il loro operato non solocon i classici banchetti, ma attraverso laproiezione di filmati tematici e altre formed’intrattenimento (musica, racconti di favole,cucina ecc..). Un’intera giornata dedicata allasolidarietà. Come riferisce Paola Tricoli,responsabile del Servizio CittadinanzaInternazionale per il Cesvol, che ha patroci-nato l’iniziativa, si tratta di un mostra merca-to unica a livello nazionale “Con più di trentasigle del mondo del volontariato, che si occu-pano di cooperazione, commercio equo, ado-zioni a distanza. Realizzare un evento che lemettesse insieme, pur nella loro diversità, nonè stato facile.” Abbiamo chiesto ad alcuni volontari se que-sto tipo di iniziative, in cui si tenta di coniu-gare lo shopping natalizio con la solidarietà,possano essere d’aiuto per raggiungere unapiù ampia fetta di persone. Qualcuno harisposto che “è sbagliato riunire in uno spaziotutte le associazioni” che invece dovrebberoessere mescolate con le bancarelle commercia-li per poter farsi notare da persone che cono-scono poco il mondo dell’associazionismo.Altri hanno sottolineato, invece, che uno spa-zio espositivo come la Rocca Paolina permet-te di aumentare l’attenzione nei confrontidell’associazionismo. In un recente incontro organizzato daAmnesty International Giobbe Covatta riflet-teva come, nonostante tutti gli sforzi in meri-to, le numerose iniziative nel mondo delvolontariato costituiscano motivo di interessesempre per la stessa tipologia di persone giàinformate, per cui sensibilizzare un numerodavvero ampio di persone rimane un obietti-vo difficile da raggiungere. Dando un’occhia-ta in giro e confrontando il numero di perso-ne circolanti in questo “spazio solidale” con lafolla riversatasi nello spazio commerciale peril primo giorno di acquisti prenatalizi viene inmente che l’autoreferenzialità sia in effetti ilproblema centrale di questo settore. Cometrasformare dunque il volontariato da nicchiaa realtà? Facendo notare il più possibile che sitratta di tematiche non affatto distanti dalquotidiano e da problemi cui tutti si dovreb-bero interessare, non solo a Natale.

P

8

Presentato il rapporto Caritas sulla povertà 2011

Mense piene tasche vuoteRosario Russo

12 c u l t u r adicembre 2011

li ingredienti c’erano tutti. Il 25 ed il26 novembre scorso, nel salone d’o-nore di Palazzo Donini, si è tenuto il

convegno Regionalismo e federalismo, tra pas-sato presente e futuro, organizzato dall’Istitutoper la Storia dell’Umbria Contemporanea, incollaborazione con la Regione Umbria. Purin presenza di relatori importanti, di contri-buti approfonditi ed attuali, resta un cruccio,la latitanza del diretto interessato - la politicas’intende - letteralmente non pervenuta.Specie dall’area Pd, infatti, si era preannun-ciata una diffusa partecipazione all’evento:solo quattro, invece, gli esponenti presenti esoltanto perché vincolati ai saluti di rito. Perdi più, Boccali e Guasticchi, dopo i rispettividieci minuti di parole vacue e retoriche,hanno preferito dileguarsi. Goracci, dal cantosuo, ha resistito - strenuamente - per tutto iltempo del primo intervento, salvo, poi, allon-tanarsi. La Marini, l’indomani, ha presenzia-to per le tre ore della mattinata, giacché lespettavano le conclusioni, ma la sua attenzio-ne è apparsa deficitaria a più riprese.Come dicevamo, è stata un’occasione manca-ta di confronto ed interazione, fra mondoaccademico, politica e società civile su unodei temi più rilevanti dell’Italia contempora-nea. A ben vedere, la questione attanaglial’intellighenzia e la politica sin dai prodromidell’Unità nazionale ed oggi diviene di scot-tante attualità, per via dei bagliori leghisti edegli affanni derivanti dalla coincidenza tranorme del federalismo fiscale e crisi economi-ca. La due giorni si è snodata sul duplice binariodi analisi delle istanze regionaliste e federaliste- il panorama nazionale ed il contesto umbro- attraverso la ricostruzione storica e giuridi-ca.Pare appropriato muovere dalla constatazionedi Antonio D’Atena, quando sottolinea chenell’ambito politico la parola federalismo èrestata un tabù sino agli anni novanta. A ben vedere, le ipotesi federaliste sorgonogià all’epoca della Rivoluzione francese, sinto-mo di una configurazione appropriata perl’Italia, connaturata alla propria storia, già adecorrere dai foederati romani, passando perl’esperienza dei comuni, sino alla parcellizza-zione di epoca moderna. In tema di autono-mia locale, nei 150 anni di storia del paese,ricorre la tendenza verso riforme stentate,strozzate, iter tortuosi, che si estrinsecano inmodificazioni perlopiù incompiute e con-traddittorie.La ricostruzione delle istanze federaliste diCorrado Malandrino, che individua - neglianni intorno alla Rivoluzione francese, nellafase 1830-1848, nel primo dopoguerra e nel-l’esperienza antifascista - i quattro focolaidella vulgata federalista, testimonia sia la pra-ticabilità dell’ipotesi, che la riluttanza dellevarie classi dirigenti a renderla un’opzionepercorribile. I timori, che hanno orientato soluzioni cen-tralizzatrici, o di moderato regionalismo, sirifanno alla medesima matrice della tenutadell’unità nazionale, sia nella fase post-unita-ria che nel secondo dopoguerra.

Nella Costituzione del 1948 si opta, tuttavia,per l’opzione dello Stato regionale, un siste-ma di poteri policentrico per contrapporsi apericolose concentrazioni di potere. La traduzione operativa, in senso autonomi-stico, delle norme che vanno dall’art. 114 al133 risulta, tuttavia, timida e debole. Comesottolinea Antonio D’Atena, “il regionalismoitaliano ha svuotato le garanzie costituzionaliconferite alle autonomie, concede alleRegioni una potestà legislativa limitata, cui vaaggiunta la prerogativa statale di fissarne iprincipi generali”. Ad aggravare la subordina-zione periferica nei riguardi dello Stato cen-trale concorrono il sistema dei controlli stata-li, anche preventivi, le norme statali di detta-glio, le Regioni a statuto speciale e l’assenzadi una Camera di rappresentanza delleRegioni. Con la crisi del sistema partitico, coincisa contangentopoli e con l’affacciarsi di forze politi-che legate all’autonomismo, fa capolino l’esi-genza di un regionalismo rafforzato, se nondi un vero e proprio federalismo. La riformadel titolo V giunge soltanto nel 2001 edopera un restyling della disciplina costituzio-nale delle autonomie che, oltre ad introdurrel’elezione diretta del Presidente della Giunta,

sancisce anche una maggiore autonomia sta-tutaria alle regioni ordinarie. Mauro Volpi,tuttavia, fa notare come “a dieci anni didistanza, soltanto tre regioni hanno i rispetti-vi statuti, tra le quali l’Umbria, e la riformasconta alcune criticità - per la frettolosità del-l’attuazione e per la risicata maggioranza chel’ha approvata - come i contenziosi Stato-Regioni, per la continua invadenza delloStato nelle competenze regionali, e la preva-lente funzione amministrativa delle regioni,giacché risultano deficitarie quelle di indiriz-zo, programmazione e legislazione”.Permane, nondimeno, l’autonomia specialeed ordinaria, per un regionalismo a due velo-cità, in mancanza sia di una Camera delleRegioni, sia di un riassetto territoriale.Insomma, un disegno tutt’altro che organicoe denso di contraddizioni, più di recentearricchito nella sua problematicità dalla rifor-ma sul federalismo fiscale, che delinea unassetto ancora lontano da quello federale.Afferma Luciano Vandelli che “oltre allamancanza di concertazione con gli interessati,si acuisce la distanza locale-centrale, vieneriaffermata la centralità dei prefetti e delMinistero degli Interni, sino alla riduzionedelle spese periferiche, che lascia inalterate

quelle dello Stato centrale. La logica supremaè quella delle tre T - tagli, tasse, tetti - in virtùdella quale appare arduo scorgere program-mazione e prospettive di lungo periodo”. Gli interventi dedicati all’Umbria hanno per-messo di mettere a fuoco le contraddizioninella nascita, e nello sviluppo, del regionali-smo umbro. Renato Covino traccia i contor-ni dell’Umbria come costruzione politica, apartire dal primo piano di sviluppo regionaledel 1963. Dinanzi alla crisi economica delterritorio ed alla destrutturazione del tessutosociale, nasce la questione umbra, la necessitàdi un modello di sviluppo della società regio-nale. Per l’assenza di una solida borghesia, sidelinea il progetto di un ente regionale alcentro della programmazione, che coordinagli strumenti d’intervento, favorisce la cresci-ta e crea i requisiti per lo sviluppo. L’istituzione della Regione, nel 1970, non siconfigura come un elemento di decentra-mento amministrativo, ma di sviluppo e pro-gettazione, teso al superamento dei munici-palismi, in coincidenza con la rottura dei vec-chi equilibri socio-economici. La Regione,per la verità, più che incidere sotto il profiloeconomico, garantisce la tenuta del tessutosociale attraverso servizi gratuiti ed incenti-vando la modernizzazione di taluni settori,come il turismo, l’agricoltura e le attività cul-turali.Tale modello, tuttavia, entra in crisi nellametà degli anni ottanta e segna la ripresa deimunicipalismi e della concorrenza fra le varierealtà urbane. Negli ultimi anni, affermaCovino, “stiamo assistendo alla crescita dellerealtà sub-regionali, in particolare quelleintorno alle città, in riferimento alle qualiurge il rilancio di un forte nesso regionale, traprocessi democratici, culturali ed economici,perché con l’attuale federalismo rischiano ditrionfare soltanto i più forti”. A corroborare l’analisi, giungono i dati fornitida Bruno Bracalente, il quale evidenzia comenegli ultimi 15 anni sia avvenuta una divari-cazione tra l’Umbria ed il panorama naziona-le, per via delle scarse performances regionaliper quanto concerne la produttività, l’innova-zione, il reddito pro-capite. La qualità dellavita umbra, relativamente elevata, non apparepiù sostenibile, per via della forzata riduzionedella spesa sociale, fatta eccezione per lasanità che fa registrare buoni parametri. L’insieme dei contributi avrebbe dovuto solle-citare una riflessione da parte del Presidentedella Regione tesa a delineare ipotesi, pro-spettive, programmi e criticità endoregionaliche esulino dalla solita, per quanto motivata,retorica anti-tagli. Si ripropone, infatti, un’al-tra cesura nella vicenda regionale, un’altrafase di rottura degli equilibri precostituiti, chenecessita di una ricomposizione e di un con-vogliamento verso specifiche direzioni, conl’aggravante della crisi e delle norme del fede-ralismo fiscale. Insomma, urge una nuova stagione di pro-grammazione regionale - quanto più decisa ecoordinata, in grado di sostenere le asperitàdella congiuntura storica - che nelle paroledella Marini non ci pare di aver scorto.

G

150° Unità & 40° Regione Umbria

Il federalismo non interessaai politici

Matteo Aiani

Aleksandr Rodcenko

l marxismo italiano costituisce unatradizione culturale cospicua, che purcon molti limiti, è decisiva per l’esi-

stenza di una sinistra forte e autonoma: èl’asse interpretativo che sorregge la ricercadi Cristina Corradi in Storia dei marxismiin Italia (manifestolibri, Roma 2011).L’opera pionieristica di Labriola è volta adimostrare l’autosufficienza scientifica delmarxismo, che proietta la dialettica hegelia-na sul piano storico e fa della lotta di classela base dell’autonomia politica del proleta-riato. Questa visione organica viene disgre-gata dal neoidealismo: Croce riduce l’origi-nalità marxiana alla separazione della politi-ca dalla morale; Gentile riporta la dialetticadella prassi al proprio “attivismo”, mentreSorel include il solo Marx “politico” tra lefonti della sua mistica dell’organizzazioneproletaria.Contro tale operazione, Gramsci cerca diricostruire l’autonomia filosofico-politicadel marxismo, a partire dalla riflessionesulla sconfitta della rivoluzione in occiden-te, la vittoria del fascismo, la costruzionedell’Urss. La “filosofia della prassi” mostraun’intima omogeneità tra filosofia, econo-mia e politica, che permette di superareeconomicismo e liberalismo. Fondendoapparati di dominio e organizzazione dellasocietà civile, lo stato moderno pone il pro-blema della rivoluzione non come “tecnica”,ma come attività critico-pratica che realizzala compenetrazione tra intellettuali e popo-lo. La sintesi gramsciana è alla base dello svi-luppo della cultura marxista nel secondodopoguerra: l’edizione togliattiana deiQuaderni mira a farne il punto terminaledella linea De Sanctis-Croce, uno “storici-smo nazionale” funzionale alla strategiadella democrazia progressiva. I temi privile-giati sono il risorgimento, la questionemeridionale, la cultura nazional-popolare,mentre si trascurano le note sul fordismo, lacritica a Croce e al moderatismo. E’ unalinea “ufficiale” che tiene il campo per unventennio, marginalizzando altre letture, acominciare da quella di Bordiga, il qualeipotizza inascoltato un trentennale ciclo disviluppo del capitalismo postbellico, conl’accentuazione del carattere “impersonale”del dominio sul lavoro sociale.Un’interpretazione antistoricista si fa stradacon Galvano della Volpe, che in Marx indi-vidua un “rovesciamento pratico” basatosulla “persona storica”, che non è pura auto-coscienza e tiene conto di natura e società.In questo modo il marxismo costruisceun’“etica sperimentale”, sostituendo alladialettica idealista quella galileiana del cir-colo concreto-astratto-concreto. Questaimpostazione è uno degli spunti della criti-ca marxista al Pci dopo il ’56. LucioColletti rilegge Marx in senso antievoluzio-nistico, polemizzando con il marxismo dellaII come della III internazionale. Altre lettu-re, che incideranno sulla incipiente stagionedei movimenti, affrontano i temi dellenuove forme di organizzazione del capitali-

smo. Per Panzieri il “ritorno” a Marx è laguida di uno sbocco non riformista alla crisidel ’56. Lo sviluppo di una “sociologia criti-ca” dell’organizzazione del lavoro nella fab-brica fordista rivela la natura autoritaria delcomando capitalistico, occultata dalla pre-sunta razionalità dello sviluppo tecnico, chenella fase monopolistica si estende all’interasocietà, ma che si combatte a partire dallelotte di fabbrica per il “controllo operaio”.Dalle medesime premesse si sviluppa l’atti-vità di Tronti e Negri, padri dell’operaismo.In Operai e Capitale Tronti rovescia la rela-zione tra sviluppo capitalistico e movimen-to operaio: è l’opposizione del lavoro all’as-soggettamento a generare ristrutturazioni esviluppo. In seguito Tronti evolve verso laconsiderazione dello stato come terrenodecisivo di lotta, teorizzando l’“autonomiadel politico”. Negri sviluppa diversamentela tesi del ruolo operaio nel ciclo capitalisti-co: le lotte degli anni ’60 hanno permessodi rompere il legame tra salari e produzione,proiettando sul territorio la figura dell’ope-raio-sociale, protagonista di uno scontroche verte sulla capacità di “autovalorizzazio-ne”, di bisogni soddisfatti autonomamentedall’accumulazione. Tra i protagonisti delneomarxismo degli anni ’60, meritano una

menzione anche Timpanaro, il cui “sociali-smo leopardiano” si pone all’incrocio di cri-tica della modernità e liberazione umana, eFortini, con la sua incessante critica dellaseparazione tra lavoro culturale e militanzapolitica. Sul piano dell’ analisi economica, l’opera diSraffa Produzione di merci a mezzo di merciriapre il dibattito sulla trasformazione deivalori in prezzi e dunque sulla validità dellateoria del valore. Da un lato Garegnanisostiene che Sraffa, fornendo un sistema diprezzi corrispondente ad un uniforme sag-gio di profitto, conferma le nozioni marxia-ne di sovrappiù e circolarità del processo diproduzione. Si inaugura così la lettura “neo-ricardiana”, che postula la centralità del

conflitto redistributivo. Al contrario,Napoleoni vede nella proposta di Sraffa unaconfutazione della teoria del valore, basenecessaria di spiegazione dello sfruttamen-to, e giudica altresì improponibile un con-fronto matematico tra valori e prezzi. Inogni caso, sia dal lato dell’autonomia delpolitico che da quello neoricardiano-keyne-siano, l’accento è posto sui “rapporti politicidi distribuzione” piuttosto che sui rapportisociali di produzione.I segni premonitori della crisi del marxismosi avvertono nel dibattito sulla teoria dellostato, avviato da Bobbio come critica aldeficit democratico marxista, proseguitocon gli sforzi di Vacca, Bongiovanni eTronti di porre Gramsci alla base del “com-promesso storico” e della democrazia com-piuta, e idealmente concluso con il congedodi Colletti dal marxismo, additato comesinonimo di totalitarismo.Dopo lo spartiacque dell’89 diversi sono itentativi per reagire alla crisi del marxismo.Il più noto è quello di Negri, che, accen-tuando una lettura adialettica della società,aggiorna all’epoca dell’impero la centralitàdell’operaio sociale, che diviene la “moltitu-dine”, capace di rovesciare la “messa al lavo-ro” dell’intera società attraverso le pratichedell’esodo. L’originale ricognizione di Prevecerca di tenere insieme l’analisi dei limitidei marxismi novecenteschi con la critica alcapitalismo contemporaneo. Il ribaltamentodelle logiche ideologiche post ’89, che squa-lificano l’“hegelo-marxismo” a perversionereligiosa all’origine di ogni male, è il compi-to che si assume Losurdo: la condanna diHegel, Marx e Lenin non è altro che ilrigetto delle tendenze di liberazione umanadispiegate dalla rivoluzione francese inavanti. La nuova edizione dell’opera di Marxfeconda le più recenti interpretazioni, tra lequali è da segnalare quella di Finelli, chevalorizza il Marx che recupera dalla dialetti-ca hegeliana la figura dell’astrazione, che sitrasforma da figura logica in principio diorganizzazione della realtà sociale. Per Corradi il limite maggiore del marxi-smo italiano è una propensione storico-filo-sofica che trascura la critica economica.Dalla sua precisa e appassionata rassegnaemerge il peso del legame tra marxismo esinistra in Italia, ancor più evidente semisurato sui meschini esiti della sinistra“postideologica”, risucchiata dalle sirene delneoliberismo e del populismo, e incapace dimantenere identità e peso politico.

13 c u l t u r adicembre 2011

Una storia del marxismo in Italia

Marx nel belpaeseRoberto Monicchia

I

n occasione della rappresentazione aPerugia di Pro Patria, suo ultimolavoro prodotto dal Teatro Stabile

dell’Umbria, abbiamo incontrato AscanioCelestini. Pro Patria si è rivelato uno spun-to per affrontare molteplici tematiche, dallafunzione civile dell’arte alla politica, dalletesi storiografiche sul Risorgimento, allasituazione carceraria.Come nasce l’idea di questo spettacolo?Nasce da Mario Martone, regista di NoiCredevamo. All’inizio ero un po’ scettico,mancava ancora qualche anno al 2011 magià c’era aria di retorica. Lui, invece, miparlò di un periodo storico appassionante.Mi disse che gli dispiaceva di non averpotuto inserire nel suo film l’episodio dellaRepubblica romana e mi suggerì di allestireuno spettacolo sul tema. Iniziando a stu-diare l’argomento l’ho trovato davvero inte-ressante. Per esempio non ho potuto fare ameno di inserire la figura di CarloPisacane: un autodidatta, viaggiatore, chearrivò a conclusioni anarchiche prima delpieno sviluppo di tali idee nel restod’Europa. Un uomo d’avventura, che finìin prigione e fuggì per amore. Conobbe lecondizioni del vero proletariato ed ebbedelle vere e proprie intuizioni sociologiche,tentando d’interpretare la realtà partendoda presupposti ben diversi da quelli diMazzini, che pensava di avere una chiaveuniversale adatta alla risoluzione di tutte leproblematiche. Invece Pisacane è unromantico, consapevole che la sua spedizio-ne a Napoli e tutto il resto siano un suici-dio. La sua spedizione è ambientata in unsud unico, indecifrabile anche linguistica-mente, che viene ritenuto più disposto ainsorgere poiché le condizioni di vita sonopeggiori. Pisacane e i suoi sono portatori diun ribellismo e un entusiasmo destinato adessere sconfitto, un po’ come il nostro nelquotidiano. A questo proposito nel miospettacolo la frase che faccio dire a Mazziniè emblematica “seppur sconfitti noi siamorivoluzionari”. Dunque è lo spettacolo dispaesati, quelli di ieri e quelli di oggi.Infatti è un detenuto che si trova dagli anniSettanta in carcere a raccontare la storia delRisorgimento, conosciuta sugli unici libriche possono essere letti in cella, cioè i libridi storia, ritenuti meno pericolosi di Marxe Gramsci, ma che riportano per esempio lastoria di Orsini, attentatore di NapoleoneIII.Tu hai un rapporto storico con lo Stabile esoprattutto per La Pecora Nera hai svoltoqui un lungo lavoro di preparazione. Mac’è qualcosa di umbro anche in quest’ulti-mo lavoro.C’è Colomba Antonietti fra i personaggistorici ricordati nel discorso che il detenu-to, vero centro dello spettacolo, continua aprovare: una strana drammaturgia per cui ipersonaggi sono buttati l i . ColombaAntonietti è lì che combatte con Manara egli altri, io ho evidenziato il fatto che fossecosì giovane. Avevo in mente di fare uncapitolo sulle donne, ma già era tutto cosìingarbugliato… poi c’è anche AnitaGaribaldi. Ma tutti i personaggi citati sonoalla fine secondari visto che per me il cen-tro rimane il detenuto. E’ vero per realizza-re La Pecora Nera, c’è stato un lungo lavorodi documentazione e molte interviste fattequi sono entrate nel racconto. Non si trattaperò di un racconto ambientato in un certoluogo. A me interessava mettere al centro il mani-comio come istituzione, non riferendomialla legge Basaglia in particolare che infattinon viene neanche citata. Volevo sottoli-neare lo spaesamento del personaggio, nonla vittoria. Un lavoro che invece può defi-nirsi veramente umbro è stato uno deiprimi, Sirena dei Mantici. Dissi che quellavoro era umbro, soprattutto ternano, cheaveva senso solo se radicato nel territorio.

Che ci puoi dire sul concetto delle trerivoluzioni tradite a cui accenni nellospettacolo?La prima è quella repubblicana, risorgi-mentale. La seconda è la Resistenza, cheper molti non fu lotta di liberazione nazio-nale, ma lotta di classe e ideologica. Laterza, che il personaggio identifica come“nostra” - e mi stupisce che nessuno o quasi

l’abbia capito - è la lotta armata degli anni‘70, periodo in cui il protagonista entra incarcere. Questa fase storica a mio avviso èstata completamente rimossa. Si dice “annidi piombo”, si ricorda solo il sequestro diAldo Moro, ma tutto il resto è stato dimen-ticato. Tant’è che io mi aspettavo accuse diterrorismo, di apologia delle Brigate Rosse,che invece nessuno mi ha rivolto. I carceri

allora non erano molto diversi da quelli dioggi: collaborando con i secondini la mala-vita gestiva una struttura gerarchica eomertosa, come accadeva per le batteriedella malavita romana, che addiritturaprendevano alcune armi dai vecchi depositidei partigiani, per prossimità culturale, noncerto per vicinanza ideologica. Chi se nefrega se il partigiano era comunista, era piùimportante che fosse il vicino di casa, ilcugino, il padre. Così quando tutto questoentra in carcere sconvolge il sistema. Iniziaper esempio il regime di massima sicurezza,contro ogni funzione rieducativa. Le duerivolte in carcere iniziarono al grido di“Vogliamo la fine dell’Asinara”. Sulla miascenografia ci sono facce simbolo di ieri,come Giorgiana Masi e Pinelli, ma anchequelle di oggi, come Stefano Cucchi. Glianni Settanta per me sono purtroppo chiu-si in una scatola e non si è potuto costituir-ne una vera e propria storiografia. Neglialtri due periodi storici di cui parlo è acca-duto che i grandi rivoluzionari prendesseroil potere nel periodo successivo e si istitu-zionalizzassero. Dopo gli anni Settantaquesto non è accaduto, si grida allo scanda-lo se Curcio parla in pubblico mentre peresempio Mazzini, considerato un pericolo-so terrorista, che visse una parte consistentedella sua vita in carcere, pochi anni dopo lasua morte ebbe già la prima strada intitola-ta. Quando tu dici “le carceri non devono esi-stere” che ti aspetti che la gente pensi?Non è per la battaglia civile, ma perché laritengo realmente una bella storia. Adessomi viene in mente una bella barzelletta manon posso raccontarla perché prenderei unabrutta piega…L’ex presidente del Consiglio saprebbecome fare…Ecco è qui il problema. Berlusconi era solopiù chiaro degli altri nell’interpretare la suaparte. Monti è un Berlusconi travestito daMonti, Bersani è Berlusconi. Berlusconi èstato solo più coerente nell’essere se stessoin maniera più semplificata. Era tutto piùchiaro con lui. Anche tu che dici “senzaprigioni, senza processi”: la gente s’indignaperché si esce prima dalla galera, perchénon ci stanno tutti quelli che ci dovrebberoessere. In pochi ormai fanno il discorso delsuperamento del carcere. La giustizia italia-na è fondata sul carcere, un’istituzione che,lo vediamo tutti, non funziona da nessunpunto di vista. Perché nessuno o quasi faun discorso di pene alternative, molto pra-ticate nel resto d’Europa? Monti dovrebbeconsiderare anche il differenziale fra lasituazione delle carceri in Italia e quella inGermania, Spagna e Gran Bretagna. Odioil discorso di Travaglio e dei giustizialistisull’indulto. Il fatto che molti ex detenutiabbiano continuato a delinquere dipendedal fatto che, da un giorno all’altro, sonostati lasciati a se stessi, non dalla legge in sé.E il carcere non può funzionare comedeterrente?Un deterrente? I clandestini, i tossici, quellinati nelle periferie gestite dalla camorra lomettono in conto, oggi come ieri, di finirein carcere. Il discorso funziona con me econ te, che non delinqueremo mai, proba-bilmente. La chiusura graduale di queste istituzioni èun discorso che diverrà normale solo in unperiodo di lungo termine, ma è l’unica stra-da. Anche parlando con i familiari delle vit-time i cui aggressori non sono finiti in car-cere più volte mi è stato risposto “A memio figlio non me lo ridà nessuno, vogliosolo sapere la verità”. La vendetta non è ilsentimento primario, è il desiderio di giu-stizia che rimane inascoltato. Lo Statodovrebbe interrogarsi su questo, sulle suemancanze, che non verranno compensatedalla galera. Che faccio? Quelli vanno ingalera e io stappo la bottiglia?!

14c u l t u r adicembre 2011

I Intervista ad Ascanio Celestini

La galerae l’oblio

Manuela Bocchini, Silvia Colangeli

15c u l t u r adicembre 2011

Riflettorisu Perugia

Maurizio Mori

l Laboratorio Permanente di Cinema“Gabriele Anastasio” ha avviato, nelloscorso ottobre, un’attività di studio e

ricerca finalizzato alla realizzazione di unlungometraggio con oggetto la città diPerugia, i suoi quartieri, la sua vita. Il pro-getto sarà coordinato da un gruppo cuihanno già aderito intellettuali perugini,docenti dell’Accademia di Belle Arti e delledue università, artisti e personalità della cul-tura. Il lungometraggio - che apre spazi alle varieforme cinematografiche, da corti a docu-mentari, da video musicali ad animazione -sarà autonomamente gestito, con l’aiutotecnico del Laboratorio, da gruppi, o singoliautori, a comporre una panoramica, unalettura della città. L’iniziativa appare assaiinteressante, non solo per l’obiettivo con-clusivo quanto anche - e a noi pare soprat-tutto - per la metodologia. Con un rischioperò, cui solo una guida e una supervisionecomplessiva può ovviare: quello di fornireuna immagine dispersiva, magari affettuosama edulcorata, di una città che è, in realtà,una città morta, forse ammazzata. Per intenderci, non vorremmo che l’indub-bio fascino del serpentone rosso delMinimetrò che si snoda in periferia nascon-desse la realtà di un mezzo di trasportocostoso per la comunità che ha affossatouna rete pubblica decente e che non vieneda nessuna parte e non va da nessuna parte,non intercetta alcuno dei punti di aggrega-zione: né ospedale, né scuole, né università,e neppure quei centri commerciali e super-mercati che pure piacciono tanto ai nostriamministratori. Né che la retorica dei borgo-belli, occultasse lo svuotamento di queglistessi quartieri. E neppure che la visione,moralistica e magari morbosa, dei luoghidello spaccio facesse dimenticare la condi-zione disperata di tanti giovani immigratiche al piccolo spaccio quotidiano affidanola possibilità di sopravvivenza. E poi la cul-tura, la “cultura”! Una città dove i VonKarajan e i Furtwängler erano di casa, ridot-ta a gestire una mediocre, anche se volente-rosa, Sagra Musicale. Una città che è passatada un lontano Festival del Cinema, di pre-senze autoriali mondiali, e da un meno lon-tano Festival del Cinema africano, mortonell’indifferenza delle istituzioni, al recentepaesano tappetino rosso del Pavone e dicorso Vannucci. Città una volta laica, inmano ora ad amministratori che non perdo-no occasione di infilarsi la fascia tricoloreper scodinzolare gratificati dietro preti evescovi in festa o in processione. Una cittàgià aperta alla bellezza dei suoi colli e dellesue valli e oggi soffocata dal cemento (e daicementieri); tale che se ti affacci in ore not-turne alla balaustra dei Giardini Carducci losfavillio di luci vicine e lontane ti dà la sen-sazione di affacciarti a Los Angeles: il che,da parte nostra, non vuole essere certo uncomplimento. Quale Perugia ci vorrannorestituire gli amici del Laboratorio diGabriele Anastasio?

nna Maria Civico è cantante,performer, attrice e ricercatrice.Da anni si dedica alla sperimen-

tazione vocale, al canto popolare tradizio-nale, al teatro-canto, ai gender studies. Hacondotto numerose ricerche su musica ecanto della cultura mediterranea, con par-ticolare attenzione alla sua terra d’origine,la Calabria. Attualmente vive a Terni econduce le sue attività presso il CAOS.Recentemente, per Rubbettino, è uscito ilsuo Contributo alle teorie della performan-ce. Esercizio in ottica di genere.Nell’introduzione al saggio, LorenzoMango, docente di storia del teatro pres-so l’Orientale di Napoli, sostiene chedalla tua opera si evince una drammatur-gia dell’esperienza, risultato di una dialet-tica di elementi diversi quali la condizio-ne di donna attrice, la Calabria e la ricer-ca sulla voce. In che modo questi ambitihanno contribuito a plasmare il tuo terri-torio teatrale?Lorenzo Mango parlando di drammaturgiadell’esperienza, ha colto benissimo il filoche caratterizza il mio percorso. Centrale èl’osservazione, prassi tutt’altro che statica.In particolare mi riferisco all’osservazionedei contesti performativi della tradizionepopolare all’interno dei quali vengono tra-smesse le origini del teatro; si tratta dicontesti altamente formativi per noi chefacciamo ricerca, per cui l’ambito dell’e-sperienza di osservatrice non è speculativama carica di coinvolgimento emotivo.Penso agli eventi che ricorrono in alcunefunzioni della settimana santa, alle proces-sioni in cui mi sono trovata come osserva-trice ma anche camminatrice insieme aigruppi di donne che cantavano: a Cassanoall’Ionio, Diamante, Nocera Terinese. Neho riportato un dato esperienziale profon-do che mi ha trasformata. La questionedella trasformazione rappresenta il miocontributo di genere alla ricerca artistica e,allo stesso tempo, un modo altro di fareteatro. Il teatro per me è possibilità tra-sformatrice dell’essere, rispetto al soggettoe alle relazioni, è un codice in continua

trasformazione. Questa è una grandelezione che ho appreso anche dai contesticontemporanei dell’arte teatrale, dagliinsegnamenti grotowskiani, dal Theatredu Radeau francese, ovvero dalla messa inopera di un linguaggio scenografico in cuii corpi sono alla base di una sceneggiaturache è molto simile al mondo dei sogni.Negli ultimi anni mi sono soffermata sulleartiste performer contemporanee: MarinaAbramoviç, Gina Pale con le sue azionisentimentali, nel contesto dell’esplosionedella body art degli anni ‘70 in cui ledonne hanno trovato nella ri-signifiazionee ri-rappresentazione del proprio corpo glistrumenti per decostruire gli stereotipi. Il teatro intrattiene un dialogo profondocon le trasformazioni della società e dellacultura. L’occupazione del Teatro Valle èil sintomo più clamoroso di una protestache è volontà di cambiamento. L’atten-zione è centrata sul concetto di “benecomune” e sulla precarietà. Nelle tueriflessioni una costante è rappresentataproprio dalla condizione precaria. Noi viviamo in un sistema di pensieroviziato perché ha saputo approfittare delladifficoltà di considerare l’arte come lavo-ro, in Italia più che altrove. Ambiguità chesi portano dietro gli artisti stessi. Nelnostro paese si fa molta cultura ma la stra-grande maggioranza degli eventi sono pra-ticamente a costo zero. Le pubblicheamministrazione mi chiedono sempre sevoglio essere pagata per fare lo spettacoloed è scoraggiante: perché mai non dovreiessere retribuita per il mio lavoro? Benvengano realtà come il Teatro Valle chehanno la capacità di incidere attraversopratiche partecipative, di autorganizzazio-ne, di progettualità condivisa, capaci diandare oltre quelle dinamiche istituzionaliche non hanno mai dato risposte. Un tema, che va oltre la questione della“dignità delle donne”, è al centro delleanalisi e delle pratiche del femminismocontemporaneo ed è quello del contestoprostituzionale allargato, inteso comemodello lavorativo/esistenziale che ogni

giorno è imposto a intere generazioni.Qual è il punto di vista di una performerche fa “del corpo il tramite insostituibi-le”?Mi sono impegnata tutta la vita sulle dina-miche legate al corpo, che attengono allequestioni somatiche su cui convergono leforze psichiche ed emotive. Mi domandoquanto sia onesto il mio rapportarmi aglialtri. Il corpo di una performer non deve esseresoltanto espressivo ma vibrante, perchél’atto performativo non si può ridurre aduna comunicazione di significante madeve essere qualcosa di più. Il gesto nelteatro, come nella danza, deve colpire imolteplici aspetti della percezione dell’al-tro,veicolare non solo la riconoscibilità deldiscorso ma anche un senso. Questo mi costringe ad essere una cono-scitrice di quello che è il linguaggio delcorpo, e a chiedermi quanto sono dispostaa lasciar cadere le mie resistenze razionali ecaratteriali nel rapporto con l’alterità. Ed èper questo che mi sono avvicinata al temadella Maddalena. Penso alla figura dellaprostituta di 2000 anni fa, al suo poten-ziale inedito e rivoluzionario di uscire dalcontesto sociale e culturale restrittivo dellesocietà arcaiche e tribali.Nella dinamicad’azione del mio spettacolo di teatro-canto, Maddalena è una donna laica,osservatrice; è un personaggio contempo-raneo che sa riconoscersi come soggetto,una donna che non vive in un mondo disanti, come ci vogliano far credere. Unafigura che, sganciandosi dai ruoli social-mente riconosciuti, rappresenta la condi-zione di precarietà dell’essere donna diogni tempo. Tali riflessioni mi sono statesuggerite dai collettivi contemporanei diprostituite che si sono organizzate a livellosindacale e associativo per uscire dall’invi-sibilità. Del resto noi non viviamo in unmondo ideale. Se accettiamo l’immoralitàdegli scambi commerciali che gravitano suogni aspetto delle nostre esistenze, perchéil sesso per denaro deve essere così inaccet-tabile?

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Intervista a Anna Maria Civico

Drammaturgiadell’esperienza

Adelaide Coletti

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Olga, a cura di Giorgio Filippi,Fausto Gentili, Claudio Stella, AlQuadrivio, Chiaroscuro, L’Officinadella memoria, Foligno 2011

Il volumetto raccoglie 23 testimo-nianze di conoscenti, amici, colleghie allievi di Olga Lucchi, scomparsanel febbraio di quest’anno horribilisormai agli sgoccioli. E’ il frutto dellosconcerto diffuso derivante dallamorte di una persona che nonostan-te la malattia, soffriva di cuore, con-tinuava ad essere vitale, offrendoun’immagine di indistruttibilità; maanche della rete di affetti e di stimache aveva costruito nel corso di unavita intensa, vissuta senza risparmiod’intelligenza ed energie. Personaruvida, capace di scontrarsi con ilpotere ed i poteri, Olga Lucchi harappresentato a Foligno una sorta dicoscienza critica della città e dellasinistra. Militante politica, dirigente

di Legambiente, ricercatrice attentaè stata soprattutto una donna libera,capace di dire a tutti quello che pen-sava, esigente con le persone che sti-mava e riteneva a sé più vicine.Negli ultimi anni aveva dedicato ilsuo impegno, a partire dal campo diconcentramento di Colfiorito, allamemoria dei prigionieri politici e alfenomeno della deportazione; unapagina in buona parte sconosciutadella vicenda antifascista e dellaResistenza in Umbria e in Italia,divenendo uno dei più attivi diri-genti dell’Aned. Nell’ultimo scorciodella sua vita aveva iniziato a farevolontariato in carcere, segno estre-mo di una scelta a favore di comu-nità senza storia, tenuta ai marginidella società, sconosciuta ai più. Letestimonianze raccontano questavicenda umana. Ma raccontano

anche di un’insegnante di liceo -aveva lavorato sia allo scientifico cheal classico di Foligno - capace nonsolo di comunicare nozioni, ma diincidere sulle consapevolezze deisuoi allievi, di instillare in loro lacuriosità e il dubbio - elementi chesono alla base di ogni processo dicrescita culturale e civile - propo-nendo non solo percorsi di appren-dimento, ma anche un itinerario divita.

Gabriella Mecucci Le ambiguità delpacifismo. Luci e ombre di un movi-mento nato dalla Perugia-Assisi,Minerva Edizioni, Bologna 2011

Il volume di Gabriella Mecucci,pubblicato di recente, non man-cherà di risvegliare la battaglia cultu-rale in Umbria, dove il pacifismo è

vissuto, dalla sinistra e dai cattolicidemocratici, come uno degli ele-menti costituenti di una presuntaidentità collettiva regionale, in realtàdifficilmente afferrabile. E’, infatti,uno dei punti cardine sui quali lasinistra umbra ha costruito, negliultimi trent’anni, la penetrazione trai giovani, i movimenti, le associazio-ni e ha strutturato la contaminazio-ne tra mondo cattolico e gruppi piùo meno di sinistra. Il movimentopacifista, oggettivamente in crisinell’ultimo decennio, colpito dallecontraddizioni politiche e culturalidella sinistra e dalla deriva violenta,egoista e razzista della società italia-na, è messo ancor più in difficoltàdall’assenza di discussione e dibatti-to al proprio interno sul futuro esulle prospettive. Il libro diGabriella Mecucci parla di tutto

questo e lo fa con spietata lucidità,senza risparmiare al lettore l’analisidei passaggi più drammatici del pas-sato recente. Seppur con un piglioche i benpensanti potrebbero defini-re “destrorso” e proponendo una let-tura critica sulla quale si può nonessere d’accordo, ma che è rispetta-bile e ben argomentata, l’autricemette in luce le “ambiguità” delpacifismo secondo il suo punto divista: Capitini e il Pci, l’antiamerica-nismo, il peso dell’Unione Sovietica,il contributo di alcuni movimenticattolici, il rapporto con il mondodei centri sociali e con i no-global, inessi con i movimenti seguiti al G8di Genova, i contorsionismi delPds-Ds-Pd e degli altri nipotini deicomunisti in rapporto alle missionidi guerra e pace. Il libro, insomma,è di certo interessante e speriamoche desti un dibattito serio, aperto,perché le domande che pone l’autri-ce sono tutte sul tavolo da almenoun decennio e non ci pare che ilmovimento pacifista abbia partico-lare vitalità a cinquant’anni dallaprima marcia del 1961.

16 libri- idee dicembre 2011

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o visitato la mostra fotografica La memoria nei cas-setti. Perugia 1944 – 1970, che rimarrà al Palazzodella Penna fino ai primi di marzo. Ne valeva la

pena: l’ho trovata ricca e interessante, benché sollecitatrice diamari pensamenti. L’esposizione (e il libro che ne è scaturito)si propone come completamento di un trittico sulla cittàcapoluogo dell’Umbria, di cui sono parte due precedentimostre: quella relativa all’inizio del secolo costruita sui mate-riali dell’archivio Tilli-Giugliarelli e l’altra sull’ultimo trenten-nio basata sugli scatti dei foto reporter. Stavolta le immaginiprovengono da archivi privati, da cassetti e album di cittadinee cittadini che, secondo quanto riferisce il curatore, AlbertoMori, hanno prestato materiali ritenuti interessanti, seguendociascuna e ciascuno una propria, personale gerarchia d’impor-tanza. Non sono del tutto convinto che la mostra che nerisulta sia davvero la semplice proiezione di questo “multiver-so” di interessi: la selezione e la collocazione comporta inevi-tabilmente un’interpretazione dei documenti. I documentiattengono prevalentemente alla vita privata: matrimonio efamiglia, lavoro e riposo, scuola e ufficio; e l’attenzione è piùalle persone che ai luoghi, anche se guardandole è possibileleggere i mutamenti della città e della vita collettiva seguendomolti possibili percorsi (i trasporti, l’abbigliamento, il cibo).Quello che un po’ sorprende è la marginalità della “politica”in un paese (l’Italia) e in un tempo (il secondo dopoguerra)che gli storici raccontano come di forte politicizzazione: ilpaese e il tempo dei partiti di massa, dei grandi comizi, degliscontri duri e perfino sanguinosi.

Il racconto fotografico inizia e si chiude con due eventiemblematici, l’arrivo in città degli Alleati (e dei partigiani) ela seduta inaugurale del Consiglio regionale nella Regioneappena istituita, ma dentro ci sono scarse tracce dei conflittipolitici e sociali (nessuna immagine che rievochi anche vaga-mente il Sessantotto, tra l’altro). Ricordo alcune scritture pro-pagandistiche di tempi diversi, un prete che officia non soquale funzione sotto un grande striscione inneggiante al votocomunista e soprattutto due testimonianze coeve sullo scon-tro politico, sociale e culturale nel 1950: da una parte Di

Vittorio che parla da Palazzo dei Priori a una folla che nonappare molto numerosa (c’è, più avanti, a correzione, unaffollato Primo Maggio del ‘61), dall’altra una numerosa efoltissima delegazione perugina a Roma per l’Anno Santo conin testa preti, monache e frati d’ogni ordine e grado. E tutta-via che quella degli anni Cinquanta fosse un’Italia polarizzatae divisa si percepisce con evidenza nella mostra. Le immaginidelle feste e dei balli dei ceti popolari e quelle delle feste aiFiledoni e le foto di gruppo nei luoghi di lavoro danno l’ideadi un mondo dove i ricchi e i poveri non si confondono edove non c’è l’imprenditore, ma il “padrone”, paternalistaquanto si vuole, ma padrone. E le immagini delle tabacchineo delle operaie Perugina, a guardarle bene, segnalano ancheuna società in cui il maschio esprime ancora una capacità disottomissione, un abuso di potere. Eppure, nonostante questi elementi di oppressione e di con-flitto, la mostra trasmette l’idea di una società dove nessuno èsolo neppure quando è solo, una realtà in cui la famiglia, lachiesa, il vicinato, il gruppo lavoro e - con molta più forza diadesso - la “classe” aggregano e danno valore politico anche alprivato. A guardare le immagini dell’oggi, soprattutto quellerelative al mondo popolare (il mondo dei “più”, secondo l’eti-mologia) non avverti più nei gesti e negli occhi la socialità, espesso non avverti la speranza. Hai l’impressione che unamacina abbia frammentato tutto e tutti, distruggendo ogniresiduo di socialità. Anche quando non c’è il telefonino asegnalarcelo le foto di massa impressionano tante piccole soli-tudini.

la battaglia delle idee

libri

Editore: Centro di Documentazione e RicercaVia Raffaello, 9/A - PerugiaTel. [email protected] web: www.micropolis-segnocritico.it/mensile/

Tipografia: Litosud SrlVia Carlo Pesenti 130 Roma

Autorizzazione del Tribunale di Perugiadel 13/11/96 N.38/96

Direttore responsabile: Stefano De CenzoImpaginazione: Giuseppe RossiRedazione: Alfreda Billi, Franco Calistri, AlessandraCaraffa, Adelaide Coletti, Renato Covino, Maurizio Fratta,Osvaldo Fressoia, Salvatore Lo Leggio, Paolo Lupattelli,

Francesco Mandarini, Enrico Mantovani, Fabio Mariottini,Roberto Moniccchia, Saverio Monno, Maurizio Mori,Francesco Morrone, Enrico Sciamanna, Marco Venanzi,Marco Vulcano.Chiuso in redazione il 21/12/2011

Come eravamoS.L.L.

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