Proudhon Critica Della Proprieta e Dello Stato

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    Pierre-Joseph Proudhon

    CRITICA DELLA

    PROPRIETE DELLO STATOa cura di Giampietro N. Berti

    eluthera

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    INDICE

    Introduzione 7Nota bio-bibliografica 34

    I. Critica della propriet 39II. Critica dello Stato 61

    III. Critica del comunismo 81IV. La giustizia come equilibrio 97V. Autorit e libert 125

    VI. Lassociazione degli uguali 135VII. Il nuovo contratto sociale 155

    VIII. Il federalismo 177

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    NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

    Pierre-Joseph Proudhon nasce a Besanon il 15 gennaio 1809, quin-to figlio di una famiglia poverissima. Il padre, un artigiano-bottaio pocoversato per gli affari, precipita ben presto moglie e figli in un tracollo

    economico pur di non vendere la birra a un prezzo per lui ingiusto. Lamadre, Catherine Simonin, di tuttaltra indole. Donna energica, influi-sce decisamente sulla formazione morale del figlio. Fino a dieci anniProudhon non legge che il Vangelo. Entrato grazie a una borsa di stu-dio al collegio di Besanon come allievo esterno, nel 27, ormai prossi-mo al baccalaureato interrompe gli studi per aiutare la famiglia. Impie-gatosi come tipografo nel 29, entra in contatto con Fallot, che divienesuo amico e direttore spirituale. Costretto a comporre libri e a correg-

    gere bozze, legge molto, specialmente opere di carattere teologico.Nel 38 si reca a Parigi dove resta fino al 41, allorch perde laborsa di Suard, vinta tre anni prima, a causa del successo ottenuto dalsuo Quest-ce que la proprit?In seguito a questa pubblicazione vienetradotto davanti alla Corte di Doubs (sempre nel 42) dove vienedenunciato con diversi capi daccusa. Assolto grazie a una difesabasata su argomentazioni filosofiche e scientifiche, sindebita per di la poco fino a essere costretto a lavorare presso i fratelli Gauthier, a

    Lione. Nel febbraio del 44 entra nella cerchia degli economisti chefanno capo alleditore Guillaumin. Nellautunno allaccia rapporti conMarx e Bakunin (Proudhon e Marx per non simpatizzano, e ci li por-ter alla rottura). Nel 47 abbandona il suo lavoro a Lione per un

    posto come giornalista a Parigi. In quellanno fonda il quotidiano Le

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    Represntant du Peuple.Nel 48 difende i ribelli perseguitati, nonostante non approvi la

    Rivoluzione di Giugno. Eletto deputato allAssemblea Nazionale tentainvano di propugnare riforme economiche. Dominato dallidea delcredito gratuito, fonda una Banca del Popolo, che per dovr liqui-dare una volta condannato per delitto di stampa. A causa di questacondanna ripara provvisoriamente in Belgio, ma al suo rientro clande-stino viene arrestato. In carcere (dal 49 al 52) scrive molto e si sposacon loperaia Eufrasia Pgard, da cui avr quattro figlie. Del periodosubito successivo alla sua detenzione la critica ha sottolineato il carat-

    tere pi pessimista e disilluso. Ma nel 58 la vena rivoluzionaria rie-splode con la sua opera De la justice dans la Rvolution et dans lgli-se, che gli procura una nuova condanna. Ripara nuovamente in Belgiodove resta fin oltre il condono della pena (60): torner in Franciasolo nel 62. Gli ultimi anni sono segnati da unintensa attivit intellet-tuale. Muore a Passy il 19 gennaio del 1865.

    PRINCIPALI OPERE DI PROUDHON

    Quest-ce que la proprit? ou recherches sur le principe du droit etdu gouvernement (Premire mmoire), Paris 1840 (trad. it.: Che cosla propriet,Milano 2000).

    De la cration de lordre dans lhumanit, ou principes dorganisa-tion politique, Paris 1843.

    Systme des contradictions conomiques, ou philosophie de la

    misre, Paris 1846 (trad. it.: Sistema delle contraddizioni economiche.Filosofia della miseria, Catania 1975).Ide gnrale de la Rvolution au XIXe sicle, Paris 1851 (trad. it.:

    estratti in P. Ansart, P.-J. Proudhon,Milano 1978).La Rvolution sociale dmontre par le coup dtat du 2 dcembre,

    Paris 1852.De la justice dans la Rvolution et dans lglise, Paris 1858 (trad.

    it.: La giustizia nella Rivoluzione e nella Chiesa, Torino 1968).

    Philosophie du progrs,Bruxelles 1858.Du principe fderatif et de la ncessit de reconstituer le parti de larvolution, Paris 1863 (trad. it.: Del principio federativo,Roma 1979).

    De la capacit politique des classes ouvrires, Paris 1865 (trad. it.:estratti in P. Ansart, P.-J. Proudhon, cit.).

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    Thorie de la proprit, Paris 1865 (trad. it.: Teoria della propriet,Roma 1998).

    Correspondance (4 voll.), Paris 1971.

    OPERE DI CARATTERE GENERALE SULLA VITA DI PROUDHON

    P. Haubtmann, Marx et Proudhon: leurs rapports personnels (1844-1847), Paris-Lige 1947.

    C.A. Saint-Beuve, P.J. Proudhon. Sa vie et sa correspondance (1838-

    1848), Paris 1947.E. Dolleans-J.L. Puech, Proudhon et la Rvolution de 1848, Paris1948.

    G. Woodcock, Pierre-Joseph Proudhon. His Life and Work, NewYork 1972.

    E. Hyams, Pierre-Joseph Proudhon. His Revolutionary Life, Mindand Works, New York 1979.

    P. Haubtmann, Pierre-Joseph Proudhon. Sa vie et sa pense 1849-

    1865,I, Les grandes annes: 1849-1855, Paris 1988.

    OPERE DI CARATTERE GENERALE SUL PENSIERO DI PROUDHON

    G. Santonastaso, Proudhon,Bari 1935.G. Guy-Grand, Pour connatre la pense de Proudhon, Paris 1947.

    M. Albertini, Introduzione a P.J Proudhon, in P.J. Proudhon, La

    giustizia nella Rivoluzione e nella Chiesa, Torino 1968.S. Rota Ghibaudi, Proudhon e Rousseau,Milano 1965.A. Noland, Proudhon and Rousseau, Journal of History of Ideas,

    XXVIII(1967).P. Ansart, Marx e lanarchismo,Bologna 1969.W. Harbold, Progressive Humanity in the Philosophy of P.J.

    Proudhon, The Review of Politics,XXXI(1969).A. Zanfarino, Ordine sociale e libert in Proudhon,Napoli 1969.

    S. Edwards, Introduction a P.J. Proudhon, Selected Writings,Lon-don 1970.R.L. Hoffman, Revolutionary Justice. The Social and Political

    Theory of P-J. Proudhon, Urbana-Chicago-London 1972.G. Gurvitch, Proudhon, Napoli 1974.

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    J.A. Langlois, Attualit di Proudhon,Milano 1980.S. Condit, Proudhonist Materialism and Revolution Doctrine, San-

    day (Orkney) 1982.G. Manganaro Favaretto, Possibilit e limiti nel socialismo scien-tifico di P.J. Proudhon, Roma 1983.

    R. Graham, Introduction a P.J. Proudhon, General Idea of theRevolution in the Nineteenth Century,London 1989.

    SULLA SOCIOLOGIA

    C. Bougl, La sociologie de Proudhon, Paris 1911.L. Duprat, Proudhon sociologue et moraliste, Paris 1929.G. Gurvitch, Dialectique et sociologie, Paris 1962.P. Ansart, La sociologia di Proudhon, Milano 1972.

    SULLE CONCEZIONI ECONOMICHE

    W. Oualid, Proudhon banquier, in Proudhon et notre temps, Paris 1920.G. Woodcock, Introduction a P.J. Proudhon, What is Property? An

    Inquiry into the Principle of Right and of Government, New York 1970.R. Allio, Le contraddizioni economiche di Proudhon nella critica di

    Marx, Bologna 1978.

    SULLA FILOSOFIA POLITICA

    W.O. Reichert, Natural Right in the Political Philosophy of P.J.Proudhon, in Law in Anarchism, a cura di Thom Holterman e HencVan Marseveen, Rotterdam 1980.

    D. Andreatta, Lordine nel primo Proudhon. Alle fonti dellanarchiapositiva, Padova 1995.

    SULLA PROBLEMATICA AUTOGESTIONARIA

    J. Bancal, Proudhon. Pluralisme et autogestion, I, Les fondements,Paris 1970.

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    R. Massari, Le teorie dellautogestione,Milano 1974.

    SULLA PROBLEMATICA RELIGIOSA

    H. De Lubac, Proudhon et le christianisme, Paris 1945.P. Haubtmann, P.J. Proudhon. Gense dun antithiste, Paris 1969.

    SUL FEDERALISMO

    J.L. Puech, La tradition socialiste en France et la Socit desNations, Paris 1921.

    M. Amoudruz, Proudhon et lEurope. Les ides de Proudhon enpolitique trangre, prefazione di M. George Lefebvre, Paris 1945.

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    I

    Secondo Proudhon, lo sfruttamento economico si attua attra-verso lappropriazione indebita della forza collettiva generatadalla simultaneit e dalle convergenze degli sforzi individuali

    uniti in una impresa comune. Da ci lappropriazione di un sur-plus collettivo, vale a dire della differenza tra la produttivit dellavoro collettivo e la semplice somma delle forze individuali con-siderate singolarmente. Tale plusvalore aumenta e si specificaallinterno del mercato capitalista del lavoro. Questa analisidimostra chiaramente la paternit proudhoniana, nel camposocialista, della teoria del valore-lavoro: Proudhon, non Marx,a denunciare per primo in questi termini il sistema capitalista.

    Ma la critica della propriet non si esplica solo nellanalisidellappropriazione e dello sfruttamento capitalista. Il pensatorefrancese prende infatti in esame ogni forma di propriet, e quindiogni teoria che la sottende e la giustifica. Questa analisi lo portaa concludere che nessuna delle teorie miranti a giustificare tale

    processo di appropriazione riesce a essere credibile. Non la teo-ria delloccupazione, secondo la quale legittima la propriet di

    fatto su ci di cui la collettivit non ha ancora preso possesso;

    infatti questa teoria non pu spiegare il passaggio dal fatto aldiritto che ricorrendo a una tautologia: la propriet il diritto dipropriet. Dal canto suo la teoria della propriet fondata sullavoro, ossia sul principio che propriet del singolo ci che

    frutto della sua sola iniziativa, non solo non spiega perch il sin-

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    golo abbia il diritto di appropriarsi, a un certo punto, del lavoroaltrui, ma neppure d ragione della realt paradossale che pro-

    prio chi produce rimane privo della propriet. Senza contare chequesta teoria internamente contraddittoria. Il lavoro, infatti,non ha di per s alcun potere di appropriazione sulle cose dellanatura; e se, malgrado tutto, si riconoscesse al lavoro un tale

    potere, si sarebbe logicamente indotti ad affermare luguaglian-za della propriet, quali che siano il tipo di lavoro, la rarit delprodotto e la disuguaglianza delle forze collettive.

    Non esiste perci teoria che riesca a dar ragione logica di que-

    sto furto della forza collettiva, che riesca a legittimare ragionevol-mente lesistenza della propriet. E tuttavia, in merito a tale que-stione, pi importante ancora della critica alla concezione delregime proprietario la revisione e ridefinizione proudhonianadel concetto stesso di propriet, con la distinzione fra questa e il

    possesso. Questo, infatti, luso socialmente responsabile di unbene, al fine di trarne un frutto corrispondente al lavoro indivi-dualmente fornito; si tratta di un uso che non implica il diritto

    assoluto di propriet, n la possibilit di trasformare il bene di cuisi usufruisce in un capitale, a sua volta produttivo di altri ulterioribeni.

    La propriet vera e propria dunque il diritto di ricavare frut-to da un bene realizzato dal lavoro altrui; il diritto di usare e diabusare, in una parola il dispotismo; il diritto di detenere unbene senza farne uso, insomma un dominio senza alcuna giustifi-cazione economico-sociale. Terra, strumenti, macchine hanno

    valore solo insieme al lavoro. Ma il puro e semplice proprietario proprio colui che dissocia questo qualcosa dal lavoro: e per que-sta cosa inerte, che da s non produce nulla, ottiene un compenso. su questa divisione, infine, tra dominio e uso, che si fonda laseparazione tra le classi sociali del proprietario e del lavoratore.

    Per converso, secondo Proudhon, luniversalizzazione dellapropriet non un ostacolo alluguaglianza sociale e alla libert,ma la via pi immediata e praticabile dellemancipazione popola-

    re, la via che pu realizzare subito, per successive approssimazio-ni, una sempre maggiore uguaglianza delle fortune. Per realizzarequesta universalizzazione occorre pensare una propriet che si

    ponga nel sistema sociale come liberale, federativa, decentratrice,repubblicana, egualitaria, progressista, amante della giustizia.

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    CRITICA DELLA PROPRIET

    Se dovessi rispondere alla seguente domanda: che cos laschiavit? e rispondessi con una sola parola: un assassinio, il

    mio pensiero sarebbe subito compreso. Non avrei bisogno di unlungo discorso per dimostrare che il potere di privare luomo delpensiero, della volont, della personalit, un potere di vita e dimorte, e che rendere schiavo un uomo significa assassinarlo.Perch dunque a questaltra domanda: che cos la propriet?non posso rispondere allo stesso modo: un furto, senza averela certezza di non essere compreso, bench questa seconda pro-posizione non sia che una trasformazione della prima?

    [...] Nel secolo dominato dalla moralit borghese in cui hoavuto la ventura di nascere, il senso morale talmente indeboli-to che non mi meraviglierei affatto di sentirmi chiedere da pidi un onesto proprietario che cosa trovi di ingiusto e di illegale

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    in tutto ci. Anima di fango! cadavere galvanizzato! come sipu sperare di convincerti se il furto in atto non ti sembra evi-

    dente? Un uomo, con dolci e insinuanti parole, trova il modo difar contribuire gli altri alla propria sistemazione; poi, una voltaarricchito grazie allo sforzo comune, rifiuta di procurare, allecondizioni da lui stesso stabilite, il benessere di coloro ai qualideve la sua fortuna; e tu chiedi che cosa ci sia di fraudolento inuna simile condotta! Col pretesto di aver pagato i suoi operai, dinon dover loro pi nulla, di non poter trascurare le proprie occu-pazioni per mettersi al servizio altrui, egli rifiuta di aiutare gli

    altri nella loro sistemazione, come essi lhanno aiutato nella sua;e quando, nellimpotenza del loro isolamento, questi lavoratoriderelitti vengono a trovarsi nella necessit di vendere la loroparte, lui, questo proprietario ingrato, questo furfante arricchito, pronto a consumare la loro spoliazione e la loro rovina. E tupuoi trovare giusto tutto ci! Perch bada chio leggo nel tuosguardo sorpreso ben pi il rimprovero di una coscienza colpe-vole che non lingenuo stupore di una involontaria ignoranza.

    Il capitalista, si dice, ha pagato le giornate degli operai; perlesattezza, bisognerebbe dire che il capitalista ha pagato tantevolte una giornata quanti sono gli operai impiegati ogni giorno,il che non affatto la stessa cosa. Infatti, quella forza immensache risulta dallunione e dallarmonia dei lavoratori, dalla con-vergenza e dalla simultaneit dei loro sforzi, egli non lha paga-ta. Duecento granatieri in poche ore hanno eretto lobelisco diLuxor sulla sua base; si pu supporre che un solo uomo, in due-

    cento giorni, ci sarebbe riuscito? E tuttavia, nel conto del capita-lista, la somma dei salari sarebbe stata la stessa. Ebbene, undeserto da mettere a coltura, una casa da costruire, una manifat-tura da mantenere in esercizio, come lobelisco da sollevare,come una montagna da spostare. Il pi piccolo patrimonio, il pimodesto stabilimento, lattivazione della pi mediocre industria,esige un concorso di lavoro e di capacit tanto diverse che unuomo da solo non ci riuscirebbe mai. stupefacente che gli eco-

    nomisti non labbiano notato. Facciamo dunque il bilancio diquel che il capitalista ha ricevuto e di quel che ha pagato.Al lavoratore occorre un salario che lo faccia vivere mentre

    lavora, perch egli non produce che consumando. Chiunque dialavoro a un uomo, gli deve nutrimento e mantenimento, oppure

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    un salario equivalente. , questa la prima parte da fare nellaripartizione di ogni prodotto. Concedo, per il momento, che a

    questo riguardo il capitalista abbia fatto il suo dovere.Bisogna che il lavoratore, oltre alla sua sussistenza attuale,trovi nella produzione una garanzia della sua sussistenza futura,altrimenti vedr inaridirsi la fonte del prodotto e annullarsi lasua capacit produttiva; in altri termini bisogna che il lavoro dafare rinasca continuamente dal lavoro compiuto: tale la leggeuniversale della riproduzione. cos che il coltivatore proprieta-rio trova: 1. nei suoi raccolti, i mezzi non solo per vivere, lui e

    la sua famiglia, ma anche per conservare e accrescere il capitale,per allevare del bestiame, insomma per lavorare ancora e conti-nuare a produrre; 2. nella propriet di uno strumento di produ-zione, la garanzia permanente di un capitale da sfruttare e cherende possibile il lavoro.

    Quale capitale pu sfruttare colui che offre in cambio di unaretribuzione i suoi servizi? Il bisogno presunto che il proprieta-rio ha di lui e la sua eventuale volont di dargli lavoro. Come in

    altri tempi il plebeo aveva la terra dalla munificenza e dal bene-placito del signore, cos oggi loperaio ha il suo lavoro dal bene-placito e dalle necessit del padrone e del proprietario: quelloche si chiama possesso a titolo precario. Ma questa condizioneprecaria uningiustizia perch implica disuguaglianza nellatransazione. Il salario del lavoratore non supera di molto il suoconsumo corrente e non gli assicura il salario dellindomani,mentre il capitalista trova nello strumento prodotto dal lavorato-

    re una garanzia di indipendenza e di sicurezza per lavvenire.Ora, questo fermento riproduttore, questo germe eterno di vita,questa preparazione di un fondo e di strumenti di produzione, proprio quanto il capitalista deve al produttore e non gli rendemai: ed questo diniego fraudolento che provoca lindigenza dellavoratore, il lusso dellozioso e la disuguaglianza delle condizio-ni. soprattutto in questo che consiste quel che stato cos bendefinito sfruttamento delluomo da parte delluomo.

    I casi sono tre: o il lavoratore parteciper alla spartizionedella cosa prodotta insieme allimprenditore, detratta la sommadei salari, o limprenditore render al lavoratore servizi produt-tivi equivalenti, oppure simpegner a farlo lavorare sempre.Spartizione del prodotto, reciprocit dei servizi, o garanzia di un

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    lavoro perpetuo: il capitalista non pu sfuggire a questa scelta.Ma evidente chegli non pu soddisfare alla seconda e alla

    terza di queste condizioni: non pu n mettersi al servizio diquelle migliaia di operai che direttamente o indirettamente glihanno procurato la sua sistemazione, n occuparli tutti e persempre. Resta dunque la spartizione della propriet. Ma, sefosse attuata, tutte le condizioni risulterebbero uguali; non cisarebbero pi n grandi capitalisti n grandi proprietari. Quandodunque Comte, continuando a svolgere la sua ipotesi, ci mostracome il capitalista acquisti successivamente la propriet di tutte

    le cose che paga, non fa che sprofondare sempre pi nel suodeplorevole paralogismo; e siccome la sua argomentazione noncambia, anche la nostra risposta resta sempre la stessa.

    Altri operai sono impiegati a costruire degli edifici; gli uniestraggono la pietra dalla cava, gli altri la trasportano, altriancora la tagliano, altri la mettono in opera. Ciascuno di loroaggiunge un certo valore alla materia che gli passa per le mani,e questo valore, prodotto dal suo lavoro, di sua propriet. Egli

    lo vende, man mano che lo crea, al capitalista, che gliene paga ilprezzo in alimenti e salari.Divide et impera: dividi e regnerai; dividi e diventerai ricco;

    dividi e ingannerai gli uomini, abbaglierai la loro ragione, tifarai beffe della giustizia. Separate i lavoratori gli uni dagli altrie pu anche darsi che il salario corrisposto a ciascuno superi ilvalore del prodotto individuale: ma non di questo che si tratta.Lopera compiuta in venti giorni da una forza di mille uomini

    stata pagata quanto lo sarebbe quella compiuta dalla forza di unsingolo in cinquantacinque anni; ma questa forza di mille uomi-ni ha fatto in venti giorni quel che la forza di uno solo non riu-scirebbe a portate a termine in un milione di secoli: giustoquesto mercato? Ancora una volta, no: quando voi avete pagatotutte le forze individuali, non avete pagato la forza collettiva; diconseguenza resta sempre un diritto di propriet collettiva chenon avete acquistato e di cui godete ingiustamente.

    Ammetto che un salario di venti giorni basti a quella moltitu-dine per nutrirsi, alloggiare, vestirsi per venti giorni: ma datoche il lavoro cessa allo scadere di questo termine, che ne sar diquesta se, man mano che produce, lascia il frutto del suo lavoroa dei proprietari che ben presto labbandoneranno? Mentre il

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    proprietario, che gode di una solida posizione grazie al concorsodi tutti i lavoratori, vive in sicurezza e non teme pi che gli

    manchino n lavoro n pane, loperaio pu sperare solo nellabenevolenza di quello stesso proprietario al quale ha venduto einfeudato la propria libert. Se dunque il proprietario, trinceran-dosi nella sua autosufficienza e nel suo diritto, si rifiuta di darlavoro alloperaio, come potr questi sopravvivere? Egli avrpreparato un terreno eccellente e non vi seminer; avr costruitouna casa comoda e splendida e non vi abiter; avr prodotto ditutto e non godr di nulla.

    Il lavoro ci conduce alluguaglianza; ogni passo che faccia-mo ce ne avvicina sempre pi, e se la forza, la diligenza, lalaboriosit dei lavoratori fossero uguali, evidente che lo sareb-bero anche i beni. In effetti, se, come si pretende e come noistessi abbiamo ammesso, il lavoratore proprietario del valoreda lui creato, ne consegue che:

    l. il lavoratore acquista a spese del proprietario ozioso;

    2. essendo ogni produzione necessariamente collettiva, loperaio hadiritto, in proporzione al suo lavoro, alla partecipazione ai prodotti eagli utili;

    3. essendo ogni capitale accumulato una propriet sociale, nessunopu averne la propriet esclusiva.

    Queste conseguenze sono irrefragabili; da sole basterebberoa sconvolgere tutta la nostra economia e a mutare le nostre leggi

    e istituzioni. Perch quelli stessi che hanno posto il principiorifiutano ora di seguirlo nelle sue conseguenze? Perch i Say, iComte, gli Hennequin e gli altri, dopo aver detto che la pro-priet deriva dal lavoro, cercano di immobilizzarla con loccu-pazione e la prescrizione?

    Ma lasciamo questi sofisti alle loro contraddizioni e alla lorocecit; il buon senso popolare far giustizia dei loro equivoci.Affrettiamoci a illuminarlo e a mostrargli il cammino. Lugua-

    glianza savvicina; ormai ce ne separa solo un breve intervallo,e domani questo intervallo sar superato.

    [Da P.-J. Proudhon, Quest-ce que la proprit?, trad. it. Che cosla propriet, Zero in Condotta, Milano 2000, pp. 25, 106-109].

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    [...] Che cosa la propriet? da dove viene la propriet? chevuole la propriet? Ecco il problema che interessa al pi alto

    grado la filosofia; il problema logico per eccellenza, il problemadalla cui soluzione dipendono luomo, la societ, il mondo. Ilproblema della propriet , sotto altra forma, il problema dellacertezza; la propriet luomo; la propriet Dio; la propriet tutto.

    Ora, a questa questione formidabile, i giuristi rispondono bal-bettando i loro a priori: la propriet il diritto di usare e di abu-sare, diritto che risulta da un atto della volont manifestata con

    loccupazione e lappropriazione; ed evidente che essi non ciinsegnano assolutamente nulla. Ammettendo che lappropria-zione sia necessaria al compimento del destino delluomo eallesercizio della sua industria, tutto ci che se ne pu conclu-dere che, essendo lappropriazione necessaria a tutti gli uomi-ni, la possessione deve essere uguale ma sempre mutabile emobile, suscettibile di aumento e di diminuzione, nonostante ilconsenso dei possessori; il che la negazione stessa della pro-

    priet. Nel sistema dei giuristi, dei ragionanti a priori, la pro-priet, per esser daccordo con se stessa, dovrebbe essere comela libert, reciproca e inalienabile; in modo che ogni acquisto,cio ogni esercizio ulteriore del diritto di appropriazione, si tro-verebbe a essere, al tempo stesso, per lacquirente, il godimentodi un diritto naturale e, di fronte ai suoi simili, unusurpazione;cosa che contraddittoria, impossibile.

    Che gli economisti appoggiati sulle loro induzioni utilitarie

    vengano a loro volta a dirci: lorigine della propriet il lavoro.La propriet il diritto di vivere lavorando, di disporre libera-mente e sovranamente dei propri risparmi, del proprio capitale,del frutto della propria intelligenza e della propria industria. Illoro sistema non pi solido. Se il lavoro, loccupazione effetti-va e feconda, il principio della propriet, come spiegare lapropriet presso colui che non lavora? come giustificare laffit-to? come dedurre dalla formazione della propriet mediante il

    lavoro il diritto di possedere senza lavoro? come concepire cheda un lavoro sostenuto durante trentanni risulta una proprieteterna? Se il lavoro la sorgente della propriet, questo vuoldire che la propriet la ricompensa del lavoro; ora, qual ilvalore del lavoro? qual la misura comune dei prodotti, il cui

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    scambio conduce a cos mostruose disuguaglianze nella pro-priet?

    Si dir che la propriet deve essere limitata alla durata dellaoccupazione reale, alla durata del lavoro. Allora la proprietcessa di essere personale, inviolabile e trasmissibile: non pila propriet. Non patente che se la teoria dei giuristi tuttaarbitraria, quella degli economisti dettata solo dallabitudine?Del resto, essa apparsa cos dannosa per le sue conseguenzeche stata quasi subito abbandonata appena data alla luce. I giu-risti doltre Reno, fra gli altri, sono ritornati quasi tutti al siste-

    ma della prima occupazione; cosa appena credibile nel Paesedella dialettica.Che dire poi delle divagazioni dei mistici, di quella gente a

    cui fa orrore la ragione e per cui il fatto sempre abbastanzaspiegato, giustificato, in quanto esiste? La propriet, dicono, una creazione della spontaneit sociale, leffetto di una leggedella Provvidenza, davanti alla quale dobbiamo umiliarci comedavanti a tutto ci che viene da Dio. E che cosa potremmo tro-

    vare di pi rispettabile, di pi autentico, di pi necessario e dipi sacro, di quel che il genere umano ha voluto spontaneamen-te e ha compiuto per un permesso dallalto?

    Cos, la religione viene a sua volta a consacrare la propriet;e da questo segno si pu giudicare la poca solidit di questoprincipio. Ma la societ, in altro modo detta la Provvidenza, nonha consentito alla propriet che in vista del bene generale; per-messo, senza mancare al rispetto dovuto alla Provvidenza, di

    domandare da dove vengano allora le esclusioni? Perch se ilbene generale non esige assolutamente luguaglianza delle pro-priet, per lo meno implica una certa responsabilit da parte delproprietario; e quando il povero domanda lelemosina, ilsovrano che reclama il suo diritto. Donde viene dunque che ilproprietario padrone di non rendere mai conto, di non metterea parte?

    Sotto tutti questi punti di vista la propriet resta inintelligibi-

    le: quelli che lhanno attaccata potevano essere certi gi primache non si sarebbe risposto loro, come potevano ugualmenteessere sicuri che le loro critiche non avrebbero sortito il minimoeffetto. La propriet esiste di fatto ma la ragione la condanna;come conciliare qui la realt e lidea, come far passare la ragio-

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    ne nel fatto? Ecco ci che ci resta da fare e che nessuno ancorasembra avere chiaramente compreso. Fintanto che la propriet

    sar difesa con cos poveri mezzi, sar in pericolo; e fintantoche un fatto nuovo e pi potente non sar opposto alla propriet,gli attacchi non saranno che insignificanti proteste, buone peraizzare i pezzenti e irritare i proprietari.

    Infine, arrivato un critico che, procedendo con laiuto diuna argomentazione nuova, ha detto:

    La propriet, di fatto e di diritto, essenzialmente contraddit-toria ed per questa stessa ragione chessa qualche cosa.

    Difatti:La propriet il diritto di occupazione; e nel tempo stesso ildiritto di esclusione.

    La propriet il premio del lavoro; e la negazione del lavoro.La propriet il prodotto spontaneo della societ; e la disso-

    luzione della societ.La propriet unistituzione di giustizia; e la propriet un

    furto.

    [...] Da tutto questo risulta che un giorno la propriet trasfor-mata sar unidea positiva, completa, sociale e vera; una pro-priet che abolir lantica propriet e diventer per tutti ugual-mente effettiva e benefica. E ci che lo prova ancora una voltache la propriet una contraddizione.

    Da questo momento la propriet ha cominciato a essereconosciuta; stata svelata la sua natura intima, il suo avvenire

    stato previsto. Ma la critica non ha compiuto che met del suocompito, poich, per costruire definitivamente la propriet, pertoglierle il suo carattere di esclusione e darle la sua forma sinte-tica, non basta averla analizzata in se stessa, conviene ancoraritrovare lordine di idee di cui essa non che un momento par-ticolare, la serie che lavviluppa e fuori della quale non possi-bile n comprendere, n intaccare la propriet. [...]

    La propriet comincia, o per meglio dire si manifesta, conunoccupazione sovrana, effettiva, che esclude ogni idea di par-tecipazione e di comunit; questa occupazione, nella sua formalegittima e autentica, non altro che il lavoro: senza questo,come mai la societ avrebbe acconsentito a concedere e a far

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    rispettare la propriet? La societ ha voluto la propriet e tutte lelegislazioni del mondo non sono state fatte che per essa.

    La propriet si stabilita con loccupazione, cio col lavoro:conviene ricordarlo spesso non per la conservazione della pro-priet, ma per listruzione dei lavoratori. Il lavoro conteneva inpotenza, doveva produrre per levoluzione delle sue leggi, lapropriet; nel modo stesso che aveva generato la separazionedelle industrie, poi la gerarchia dei lavoratori, poi la concorren-za, il monopolio, la politica ecc. Tutte queste antinomie sonoallo stesso titolo posizioni successive del lavoro, bastoni da

    livello piantati sulla sua strada eterna e destinati a formulare,nella loro riunione sintetica, il vero diritto delle genti. Ma ilfatto non il diritto; la propriet, prodotto naturale delloccupa-zione e del lavoro, era un principio di anticipazione e di usurpa-zione; essa aveva dunque bisogno di essere riconosciuta e legit-timata dalla societ: questi due elementi, loccupazione dellavoro e la sanzione legislativa, che i giuristi hanno male a pro-posito separati nei loro commentari, si sono riuniti per costituire

    la propriet. Ora, si tratta di conoscere i motivi provvidenziali diquesta concessione, quale parte essa sostenga nel sistema eco-nomico: tale sar loggetto di questo paragrafo.

    Proviamo dapprima che per stabilire la propriet statonecessario il consenso sociale.

    Fin tanto che la propriet non riconosciuta e legittimatadallo Stato, resta un fatto extra sociale; nella stessa posizionedel bambino, il quale non reputato membro della famiglia,

    della citt e della Chiesa che tramite il riconoscimento delpadre, liscrizione al registro dello stato civile e la cerimonia delbattesimo. Nellessenza di queste formalit il bambino comela prole degli animali: un membro inutile, unanima vile eserva, indegna di considerazione; un bastardo. Parimenti, ilriconoscimento sociale stato necessario alla propriet, e ognipropriet ha implicato una comunit primitiva. Senza questoriconoscimento, la propriet resta semplice occupazione e pu

    essere contestata dal primo venuto.Il diritto a una cosa, dice Kant, il diritto delluso privatodi una cosa riguardo alla quale io sono in comunanza di posses-so (primitiva o susseguente) con tutti gli altri uomini: questopossesso lunica condizione sotto la quale posso interdire a

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    ogni altro possessore luso privato della cosa, perch senza lasupposizione di questo possesso non sarebbe possibile concepi-

    re come io, che non sono attualmente possessore della cosa,possa essere leso da coloro che la possiedono e che se ne servo-no. Il mio arbitrio individuale o unilaterale non pu obbligarealtri a interdirsi luso di una cosa, se non vera altrimenti obbli-gato. Egli non pu essere dunque obbligato se non dagli arbitriiriuniti in un possesso comune. Se non fosse cos, si sarebbenella necessit di concepire un diritto in una cosa, come se essaavesse un obbligo verso di me, e donde deriverebbe in ultima

    analisi il diritto contro ogni possessore di questa cosa; concettoveramente assurdo.Cos, secondo Kant, il diritto di propriet, cio la legittimit

    della occupazione, procede dal consenso dello Stato, il qualeimplica originariamente possesso comune. E non pu, diceKant, essere altrimenti. Tutte le volte dunque che il proprietarioosa opporre il suo diritto allo Stato, questi, riconducendo il pro-prietario alla convenzione, pu sempre terminare la lite con que-

    sto ultimatum: o riconoscete la mia sovranit, e vi sottomettete aquello che linteresse pubblico reclama, o io dichiaro che lavostra propriet ha cessato di essere collocata sotto la salvaguar-dia delle leggi e le tolgo la mia protezione.

    Da ci segue che nello spirito del legislatore listituzionedella propriet, come quella del credito, del commercio e delmonopolio, stata fatta con un intento di equilibrio; il che collo-ca senzaltro la propriet fra gli elementi dellorganizzazione, e

    la distingue come uno dei mezzi generali di costituzione deivalori. Il diritto a una cosa, dice Kant, il diritto dellusoprivato di una cosa riguardo alla quale io sono in comunanza dipossesso con tutti gli altri uomini. In virt di questo principio,ogni uomo privo di propriet pu dunque e deve richiamarsi allacomunanza, custode dei diritti di tutti; da che ne risulta, come si detto, che nelle vedute della Provvidenza le condizioni devonoessere uguali.

    Per essenza e destinazione, la rendita dunque uno strumen-to di giustizia distributiva, uno dei mille mezzi che il genio eco-nomico mette in opera per giungere alluguaglianza. unimmenso catasto eseguito contraddittoriamente da proprietari efittavoli, senza collisione possibile, in un interesse superiore, e il

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    cui risultato definitivo deve essere di uguagliare il possessodella terra fra i coltivatori del suolo e gli industriali. La rendita,

    in una parola, quella legge agraria tanto desiderata che deverendere tutti i lavoratori, tutti gli uomini, possessori uguali dellaterra e dei suoi frutti. Ci bisognava questa magia della proprietper prendere al colono leccedenza del prodotto chegli non pufare a meno di considerare come suo e di cui si crede esclusiva-mente lautore.

    La rendita, o per meglio dire la propriet, ha schiacciatolegoismo agricolo e creato una solidariet che nessuna potenza,

    nessuna divisione della terra mai avrebbe fatto nascere. Con lapropriet, luguaglianza fra tutti gli uomini diventa definitiva-mente possibile; operando la rendita fra gli individui come ladogana fra le nazioni, tutte le cause, tutti i pretesti di disugua-glianza, scompaiono, e la societ non aspetta altro che la levadestinata a dare limpulso a questo movimento. Al proprietariomitologico succeder il proprietario autentico? distruggendo lapropriet, gli uomini diventeranno tutti proprietari? Tale dora

    in poi la questione da risolvere, una questione insolubile senzala rendita.Il genio sociale non procede come gli ideologi e con sterili

    astrazioni; non si d pensiero n di interessi dinastici, n diragion di Stato, n di diritti elettorali, n di teorie rappresentati-ve, n di sentimenti umanitari o patriottici. Personifica o realiz-za sempre le sue idee: il suo sistema si sviluppa in una sequeladi incarnazioni e di fatti, e per costituire la societ sindirizza

    sempre allindividuo.Dopo la grande epoca del credito, conveniva riattaccareluomo alla terra; il genio sociale ha istituito la propriet. Poi sitrattava di eseguire il catasto del globo; invece di pubblicare asuon di tromba unoperazione collettiva, ci si rivolge agli inte-ressi individuali, e dalla guerra del colono e delluomo di rendi-ta risulta per la societ il pi imparziale arbitrato. Oggi, ottenutoleffetto morale della propriet, resta da fare la distribuzione

    della rendita. Guardatevi dal convocare assemblee primarie, dalchiamare i vostri oratori e i vostri tribuni, dal rinforzare lavostra politica e, con questo apparato dittatoriale, spaventare ilmondo. Una semplice mutualit di cambio, aiutata da qualchecombinazione di banca, baster... Per i grandi effetti i pi sem-

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    plici mezzi: questa la legge suprema della societ e della natu-ra.

    La propriet il monopolio elevato alla seconda potenza; ,come il monopolio, un fatto spontaneo, necessario, universale.Ma la propriet ha il favore dellopinione pubblica, mentre ilmonopolio guardato con disprezzo; noi possiamo inferire, daquesto nuovo esempio, che come la societ si stabilisce con lalotta, nello stesso modo la scienza non cammina che spinta dallacontroversia. cos che la concorrenza stata di volta in voltaesaltata e maltrattata; che limposta, riconosciuta necessaria

    dagli economisti, sgradita agli economisti; che la bilancia delcommercio, le macchine, la divisione del lavoro, hanno eccitatodi volta in volta lapprovazione e la maledizione pubblica. Lapropriet sacra, il monopolio riprovevole: quando vedremola fine dei nostri pregiudizi e delle nostre incongruenze?

    Con la propriet, la societ ha realizzato un pensiero utile,leale, per altro fatale: ora voglio provare che, obbedendo a unanecessit invincibile, essa si gettata in unipotesi impossibile.

    Credo di non avere dimenticato nessuno dei motivi che hannopresieduto allo stabilirsi della propriet; oso anzi dire che hodato a questi motivi un insieme e unevidenza sino a questomomento sconosciuti. Che il lettore supplisca, del resto, a ciche involontariamente avr potuto omettere: accetto anticipata-mente tutte le sue ragioni e non mi propongo in alcun modo dicontraddirvi.

    Ma che in seguito mi dica, con la mano sulla coscienza, ci

    che pu replicare alla controprova che intendo portare.Senza dubbio la ragione collettiva, obbedendo allordine deldestino che gli prescriveva, con una serie di istituzioni provvi-denziali, di consolidare il monopolio, ha fatto il suo dovere: lasua condotta irreprensibile, e io non laccuso. il trionfodellumanit saper riconoscere ci che c in essa di fatale,come il pi grande sforzo della sua virt di sapervisi sottomet-tere. Se dunque la ragione collettiva, istituendo la propriet, ha

    eseguito la sua consegna, essa non merita biasimo; la suaresponsabilit al coperto. Ma questa propriet, che la societ,forzata e costretta, se cos posso dire, ha dato alla luce, chi cigarantisce che durer? Certo la societ non lha concepitadallalto, e non ha potuto aggiungervi, levare o modificare nulla.

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    Conferendola alluomo, ha lasciato alla propriet le sue qualit ei suoi errori, non ha preso alcuna precauzione n contro i suoi

    vizi costitutivi, n contro le forze superiori che possono distrug-gerla. Se la propriet in se stessa corruttibile, la societ non nesa niente, e non vi pu niente. Se questa propriet esposta adattacchi di un principio pi potente, la societ non pu nulla.Come rimedier, in effetti, la societ al vizio della propriet,dato che la propriet figlia del destino? e come la proteggercontro unidea pi alta, quando essa stessa non sussiste che perla propriet, n conosce niente al disopra della propriet? Ecco

    dunque qual la teoria proprietaria.La propriet , di necessit, provvidenziale; la ragione collet-tiva lha ricevuta da Dio e lha data alluomo. E se oltretutto lapropriet corruttibile per sua natura, o attaccabile da una forzamaggiore, la societ irresponsabile; e chiunque, armato di que-sta forza, si presenter per combattere la propriet, la societ glideve sottomissione e obbedienza.

    Si tratta dunque di sapere, primo, se la propriet sia in s

    cosa corruttibile e che dia presa alla distruzione; secondo, semai esiste da qualche parte, nellarsenale economico, uno stru-mento che la possa vincere.

    Tratter la prima questione in questo paragrafo; cercheremoulteriormente il nemico che minaccia di inghiottire la propriet.La propriet il diritto di usare e di abusare; in una parola, ildispotismo. Non che il despota abbia intenzione di distruggerela cosa, non ci che si deve intendere per diritto di usare e di

    abusare. La distruzione per la distruzione non si presuppone daparte del proprietario, si ammette sempre, qualunque uso facciadel suo bene, che vi sia un motivo di convenienza e di utilit.

    Parlando di abuso, il legislatore ha voluto dire che il proprie-tario ha il diritto di sbagliarsi nelluso dei suoi beni, senza chepossa mai essere molestato per questo cattivo uso, senza che siaresponsabile del suo errore. Il proprietario sempre tenuto adagire nel suo maggiore interesse; e appunto allo scopo di lasciar-

    gli maggiore libert nel perseguimento di questo interesse, lasociet gli ha conferito il diritto di usare e di abusare del suomonopolio. Sin l dunque il diritto di propriet irreprensibile.

    Ma ricordiamoci che questo diritto non stato concesso soloriguardo allindividuo; nellesposizione dei motivi della conces-

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    sione esistono delle considerazioni tutte sociali; il contratto sinallagmatico fra la societ e luomo. Questo talmente vero,

    talmente dichiarato anche dai proprietari, che ogniqualvolta siviene ad attaccare il loro privilegio in nome, e solamente innome, della societ che essi lo difendono. Ora, il dispotismoproprietario d soddisfazione alla societ? In caso contrario,essendo illusoria la reciprocit, il patto sarebbe nullo e prima opoi la propriet o la societ perirebbero. Reitero dunque la miadomanda. Il dispotismo proprietario adempie al suo obbligoverso la societ? Il dispotismo proprietario usa da buon padre di

    famiglia? Ed per sua essenza giusto, sociale, umano? Ecco laquestione. Ed ecco che rispondo senza temere smentita.Se indubitabile, dal punto di vista della libert individuale,

    che la concessione della propriet sia necessaria, dal punto divista giuridico la concessione della propriet radicalmentenulla, perch implica dalla parte del concessionario certi obbli-ghi che in sua facolt compiere o non compiere.

    Ora, in virt del principio che ogni convenzione fondata

    sulladempimento di una condizione non obbligatoria non obbli-ga, il contratto tacito di propriet, passato fra il privilegiato e loStato, ai fini che abbiamo precedentemente stabiliti, manife-stamente illusorio; esso si annulla per la non reciprocit, per lalesione di una delle parti. E siccome, in fatto di propriet,ladempimento dellobbligazione non pu essere esigibile senzache la concessione stessa sia per ci solo revocata, ne segue chec contraddizione nella definizione e incoerenza nel patto. Se i

    contraenti sostinassero a mantenere il trattato, la forza dellecose sincaricherebbe di provare loro che fanno opera inutile:malgrado tutto, la fatalit del loro antagonismo riconduce fraessi la discordia.

    Tutti gli economisti segnalano gli inconvenienti che ha per laproduzione agricola lo sminuzzamento del territorio. Daccordoin questo con i socialisti, essi vedrebbero con gioia una coltiva-zione in grande che, operando su larga scala, applicando i pro-

    cessi potenti dellarte e facendo importanti economie sul mate-riale, raddoppiasse, quadruplicasse forse il prodotto. Ma il pro-prietario esclama: Veto, io non voglio. E siccome nel suodiritto, siccome nessuno al mondo conosce il mezzo di cambiarequesto diritto altrimenti che con lespropriazione, e lespropria-

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    zione il niente, il legislatore, leconomista, il proletario, retro-cedono con orrore davanti allignoto e si contentano di salutare

    da lontano le messi auspicate. Il proprietario , per carattere,invidioso del bene pubblico; non potrebbe purgarsi da questovizio che perdendo la propriet.

    La propriet dunque un ostacolo al lavoro e alla ricchezza,un ostacolo alleconomia sociale; solo gli economisti e i giuristisi meravigliano di ci.

    Ma il proprietario: sarei ben stupido, dice, se abbandonassiun beneficio cos netto. Invece di cento giornate di lavoro non

    ne pagher che cinquanta: non il proletario che approfitter,ma io. Allora, osservate voi, il proletario sar ancora pi disgra-ziato di prima, poich gli mancher il lavoro una volta di pi.Questo non mi riguarda, soggiunge il proprietario, uso del miodiritto. Che gli altri accantonino dei beni, se possono, che vada-no in unaltra parte del mondo a cercare fortuna, fossero anchemigliaia o milioni! Ogni proprietario nutre, in fondo al cuore,questo pensiero omicida. E siccome per la concorrenza, il

    monopolio e il credito linvasione si estende sempre pi , i lavo-ratori si trovano continuamente eliminati dal suolo: la propriet lo spopolamento della terra. Cos la rendita del proprietario,combinata col progresso dellindustria, cambia in abisso la fossascavata sotto i piedi del lavoratore dal monopolio; il male siaggrava coi privilegi. La rendita del proprietario non pi ilpatrimonio dei poveri, voglio dire quella porzione del prodottoagricolo che resta dopo che le spese della coltura sono state

    compensate, e che doveva sempre servire come nuova materiadi usufrutto al lavoro, secondo la bella teoria che ci mostra ilcapitale accumulato come una terra senza posa offerta alla pro-duzione, e che pi la si lavora, pi sembra estendersi. La rendita diventata per il proprietario il pegno della sua lubricit, lostrumento delle sue solitarie gioie. E notate che il proprietarioche abusa, colpevole davanti alla carit e alla morale, sta senzarimprovero davanti alla legge, inattaccabile in economia poli-

    tica. Consumare la propria rendita: che c di pi bello, di pinobile, di pi legittimo? Nellopinione del popolo come in quel-la dei potenti il consumo improduttivo la virt per eccellenzadel proprietario. Tutti gli imbarazzi della societ provengono daquesto egoismo indelebile. [...]

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    Cos la propriet separa luomo dalluomo cento volte di pidel monopolio. Il legislatore, con un intento eminentemente

    sociale, aveva creduto di dare al possesso pi forti garanzie; edecco si trova ad avere levata al lavoratore persino la speranza,garantendo al monopolista, in perpetuo, il frutto quotidianodelle sue rapine. Quale grande proprietario non abusa della suaforza per violentare il piccolo? quale sapiente, costituito indignit, non ricava un lucro dalla sua influenza e dal suo patro-nato? quale filosofo, accreditato nei consigli, non trova modo,sotto pretesto di traduzione, revisione o commentario, di trarre

    partito dalla filosofia? quale ispettore di scuola non mercantedi sillabari? Leconomia politica forse scevra da ogni com-mercio di azioni, e la religione da ogni simonia? Ho avutolonore di essere capo di stamperia, vendendo una dozzina dicatechismi, cinque fogli in 120, trenta soldi. Dopo, il vescovodel luogo si assunto il monopolio dei libri di religione, e ilprezzo del catechismo salito da 15 centesimi a 40: monsignorerealizza ogni anno su questo solo articolo un utile netto di

    50.000 franchi. La tale questione stata messa a concorsodallAccademia solo per dare loccasione di un trionfo al signortale; la tale composizione ha ottenuto il premio perch venivadal signor tale, che professa le buone dottrine, vale a dire eserci-ta larte della bassa adulazione presso i signori tali, tali, tali. Lascienza titolata sbarra il cammino alla scienza ignobile; la quer-cia obbliga la canna a farle riverenza; la religione e la morale siutilizzano per privilegio, come il gesso e il carbon fossile; il pri-

    vilegio giunge sino al premio della virt, e le corone decretatenel teatro Mazzarino, per lincoraggiamento della giovent e ilprogresso della scienza, non sono pi che linsegna della feuda-lit accademica.

    E tutti questi abusi di autorit, queste concussioni, questebrutture, provengono non dallabuso illegale, ma dalluso lega-le, legalissimo, della propriet. Senza dubbio il funzionario ilcui controllo necessario per il libero passaggio di una mercan-

    zia, o laccettazione di una fornitura, non ha il diritto di traffica-re questo controllo. Non cos chessi si comportino. Un simileatto ripugnerebbe alla virt degli agenti dellautorit, cadrebbesotto la vendetta del codice penale, e non me ne occuperei. Macolui il quale approva, non pu niente approvare pi volentieri

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    che ci che sa fare, poich la sua approvazione necessaria-mente in ragione dei suoi mezzi. Ora, siccome non interdetto

    agli ispettori e controllori dellautorit di fare da se stessi ciche sono incaricati di approvare presso gli altri, e a pi forteragione di prendere parte e di interessarsi a ci che deve esseresottomesso alla loro approvazione, e siccome in ogni specie diservizio, il salario e il beneficio sono legittimi, ne segue che lamissione attribuita, per esempio, alluniversit e ai vescovi, diapprovare o di disapprovare certe opere, costituisce a profittodei vescovi e degli universitari un monopolio. E se la legge,

    contraddicendosi, pretende di impedirlo, la forza delle cose, pipotente della legge, lo ripropone senza posa, e invece di ungoverno non abbiamo pi che venalit e finzione. [...]

    Leconomia politica, dice il Rossi, in s buona e utile, manon la morale; essa procede facendo astrazione da qualsiasimoralit; sta a noi non abusare delle sue teorie, approfittare deisuoi insegnamenti, secondo le leggi superiori della morale.

    come se dicesse: leconomia politica, leconomia della societ,non la societ; leconomia della societ procede facendo astra-zione da ogni societ; sta a noi non abusare delle sue teorie,approfittare dei suoi insegnamenti, secondo le leggi superioridella societ. Che caos!

    Io sostengo non solo con gli economisti che la propriet non n la morale, n la societ, ma anche che essa per suo princi-pio direttamente contraria alla morale e alla societ, come leco-

    nomia politica antisociale perch le sue teorie sono diametral-mente opposte allinteresse sociale.Stando alla definizione, la propriet il diritto di usare e di

    abusare, cio il dominio assoluto, irresponsabile, delluomosulla sua persona e sui suoi beni. Se la propriet cessasse diessere il diritto di abusare, essa cesserebbe di essere la propriet.Io ho preso i miei esempi nella categoria degli atti abusivi per-messi al proprietario. Che mai vi si opera che non sia di una

    legalit, di una propriet irreprensibile? il proprietario non haforse il diritto di dare il suo bene a chi gli pare e piace, di lascia-re bruciare il suo vicino senza gridare al fuoco, di fare opposi-zione al bene pubblico, di scialacquare il suo patrimonio, di usu-fruire delloperaio e di vessarlo, di mal produrre e di mal vende-

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    re? il proprietario pu essere giuridicamente costretto a benusare della sua propriet? pu essere disturbato nellabuso? Che

    dico: la propriet, precisamente perch abusiva, non forseper il legislatore tutto ci che c di pi sacro? si conosce unapropriet di cui la polizia determinerebbe luso, reprimerebbelabuso? e non evidente, infine, che se si volesse introdurre lagiustizia nella propriet si distruggerebbe la propriet stessa,come la legge, introducendo lonest nel concubinaggio, hadistrutto il concubinaggio?

    La propriet, per principio e per essenza, dunque immorale:

    questa proposizione dora innanzi indubitabile per la critica.Di conseguenza, il codice che, determinando i diritti del pro-prietario, non ha riservato quelli della morale, un codice diimmoralit; la giurisprudenza, questa pretesa scienza del diritto,la quale non altro che la collezione di rubriche proprietarie, immorale. E la giustizia, istituita per proteggere il libero e paci-fico abuso della propriet, la giustizia, che ordina di prestaremanforte contro coloro che vorrebbero opporsi a questo abuso,

    che affligge e marchia di infamia chiunque abbia osato preten-dere di riparare gli oltraggi della propriet, la giustizia infame.Se un figlio, soppiantato nellaffezione paterna da unindegnaconcubina, distrugge latto che lo diseredita e lo disonora, nerisponder davanti la giustizia. Accusato, arrestato, condannato,andr al Bagno a fare ammenda onorevole verso la propriet,mentre la prostituta sar entrata in possesso. Dov dunque quilimmoralit? dov linfamia? non dalla parte della giustizia?

    Continuiamo a svolgere questa matassa e sapremo ben prestotutta la verit che cerchiamo. Non solo la giustizia, istituita perproteggere la propriet, anche abusiva, anche immorale, infa-me, ma la sanzione penale infame, la polizia infame, il boiae il patibolo sono infami. E la propriet che abbraccia tutta que-sta serie, la propriet da cui uscita questa odiosa razza, la pro-priet infame.

    Giudici armati per difenderla, magistrati il cui zelo una

    minaccia permanente a quelli che laccusano, vi interrogo. Checosa avete visto nella propriet che abbia potuto in tal modosoggiogare la vostra coscienza e corrompere il vostro giudizio?quale principio, superiore senza dubbio alla propriet, pi degnodel vostro rispetto, ve la rende s preziosa? allorch le sue opere

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    la dichiarano infame, come mai la proclamate santa e sacra?quale considerazione, quale pregiudizio vi spinge? forse

    lordine maestoso delle societ umane, che non conoscete ma dicui supponete la propriet esserne il saldissimo fondamento?No, perch la propriet, cos com, per voi lordine stesso,

    mentre daltra parte provato che la propriet di sua naturaabusiva, cio disordinata, antisociale.

    [Da P.-J. Proudhon, Systme des contradictions conomiques, trad.it. Sistema delle contraddizioni economiche, Anarchismo, Catania

    1975, pp. 40-41, 414-438, 441-442, 452-453].

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    II

    La concezione proudhoniana del politico definisce lo Statocome forma dellalienazione della forza collettiva esplicitata atutti i livelli, da quello sociale a quello economico, da quello

    culturale a quello psicologico. Per mantenere la propria esi-stenza, che fittizia, esso non pu che perpetuare lespropria-zione della societ e quindi conservare la disuguaglianza: soloa condizione che la societ sia e rimanga gerarchica, lorganiz-

    zazione statale pu sostituirsi a quella sociale, il politicorispondere alle esigenze delleconomico e assolvere con auto-rit ci che la societ dovrebbe svolgere con autonomia. PerProudhon il principio dellantagonismo e del fatalismo politico

    porta alla metafisica governativa di una gerarchia eterna. Que-sto dogma fondato sulla teologia della forza stato ripreso inpieno dalla democrazia giacobina e dal socialismo autoritario,che lo hanno mutuato dallaristocrazia e dalla regalit. Si con-stata cos, attraverso questa analogia simbolica, una sorta direligione della forza, di mistica della ragione di Stato, di fasci-no che ammanta il potere sociale, spingendolo come un archeti-

    po sacrale fino nel profondo dellinconscio sociale. In conclu-

    sione, lidea dello Stato, secondo il pensatore francese, non puprescindere da una dimensione teistica, neppure nelle sue arti-colazioni formali (tanto da assumere perfino una qualche formatrinitaria di potenza, assistenza e sicurezza). Ne fa esempio latrasposizione dal piano teistico a quello fideistico operata dal

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    pensiero giacobino: in esso limmagine indeterminata e colletti-va del popolo viene vissuta in chiave trascendente e sacrale, a

    estrema riconferma del fatto che ogni Stato tende per sua natu-ra a fondare la propria legittimazione su di una dimensionemitica e mistica.

    proprio dunque della natura dello Stato, di ogni Stato, ten-dere a un proprio rafforzamento attraverso un movimento diassorbimento delle forze collettive e delle forze sociali. E nonsolo lo Stato spinto dalla sua logica intrinseca ad appropriar-si dellazione sociale, ma anche a centralizzare e unificare in

    una sola direzione la pluralit della vita collettiva. Questomovimento, che comporta laumento continuo delle funzionistatali a spese delliniziativa individuale, corporativa, comunalee sociale, una volta iniziato tende incessantemente a crescere, ainvadere tutta la societ, perch la centralizzazione per suanatura espansiva, invadente.

    La societ disegualitaria dunque la condizione obiettivadellesistenza dello Stato, allo stesso modo in cui lesistenza di

    questo la condizione del mantenimento della disuguaglianzasociale. La tendenza irreversibile dello Stato alla concentrazio-ne e allappropriazione della forza sociale dipende quindi dalconflitto delle classi, e pi precisamente da ogni forma digerarchia sociale che, a sua volta, la premessa fondamentale

    per lestorsione della forza collettiva.

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    CRITICA DELLO STATO

    [...] La stessa cosa non si pu dire anzi, proprio il contra-rio del problema politico, cio del significato preciso da asse-

    gnare, per lavvenire, al governo e allo Stato. Su tale punto ladomanda non viene neppure posta: nella coscienza pubblica,nellintelligenza delle masse non esiste. Una volta portata acompimento, nelle forme che abbiamo appena detto, la rivolu-zione economica, pu, deve, sussistere ancora il governo, loStato? Ecco ci che nessuno, n dentro la democrazia, n fuoridella democrazia, osa mettere in dubbio, e tuttavia si tratta diprendere in esame proprio questo problema, se si vogliono evi-

    tare nuove catastrofi.Noi dunque affermiamo, e finora siamo i soli a farlo, che conla rivoluzione economica, da nessuno ormai messa in discussio-ne, lo Stato deve sparire completamente; che tale scomparsadello Stato la conseguenza necessaria dellorganizzazione del

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    credito e della riforma dellimposta; che, in seguito a questadoppia innovazione, il governo diventa del tutto inutile e impos-

    sibile; che, a tal proposito, il governo destinato a fare la stessafine della propriet feudale, del prestito a interesse, della monar-chia assoluta o costituzionale, delle istituzioni giudiziarie ecc.,tutte cose che sono s servite alleducazione della libert, mache cadono e svaniscono allorquando la libert ha raggiunto lasua pienezza.

    Altri, invece, e tra questi Louis Blanc e Pierre Leroux inprima fila, sostengono che dopo la rivoluzione economica, biso-

    gna mantenere lo Stato, di cui per fino a questo momento nonhanno fornito n il principio n il piano. Per essi la questionepolitica, invece di annullarsi o identificarsi con la questione eco-nomica, continua a sussistere: essi mantengono e allargano ulte-riormente lo Stato, il potere, lautorit, il governo. In effetti, sidivertono a cambiare i nomi; al posto di Stato-padrone, peresempio, dicono Stato-servitore, come se bastasse cambiare leparole per trasformare le cose! Al di sopra di questo sistema di

    governo, del tutto misterioso, aleggia un sistema religioso, delquale ogni cosa, il dogma, il rito, lo scopo, sulla terra e in cielo,rimangono altrettanto misteriosi.

    In un momento come questo, dunque, un momento daccor-do, o quasi, sul resto delle questioni, la domanda su cui si trovadivisa la democrazia socialista la seguente: dovr lo Stato con-tinuare a esistere una volta risolto il problema del lavoro e delcapitale? In altri termini, continueremo ad avere, cos come

    labbiamo avuta fino a ora, una Costituzione politica al di fuoridella Costituzione sociale?Noi rispondiamo di no. Sosteniamo che, una volta identificati

    il capitale e il lavoro, la societ sussiste da sola e non ha pibisogno del governo. Noi siamo, di conseguenza, e labbiamoproclamato pi di una volta, anarchici. Lanarchia la condi-zione desistenza delle societ adulte, cos come la gerarchia la condizione desistenza delle societ primitive: nelle societ

    umane esiste un incessante progresso dalla gerarchia allanar-chia.Louis Blanc e Pierre Leroux affermano il contrario: oltre alla

    loro qualit di socialisti, essi conservano quella dipolitici; sonouomini di governo e di autorit, uomini di Stato.

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    Per risolvere una volta per tutte questo contrasto di opinioni, cisembra allora necessario considerare lo Stato non pi dal punto di

    vista della vecchia societ, che lo ha naturalmente e necessaria-mente prodotto e che sta per finire, bens dal punto di vista dellasociet nuova, cos come la fanno o devono farla le due riformefondamentali e complementari del credito e dellimposta.

    Ora, se proviamo che da questultimo punto di vista, lo Stato,considerato nella sua natura, riposa su unipotesi completamentefalsa; che, in secondo luogo, considerato nel suo oggetto, loStato giustifica la propria esistenza con una seconda ipotesi,

    ugualmente falsa; che, infine, considerato nellottica di una suaulteriore prosecuzione, lo Stato pu contare ancora e soltanto suuna terza ipotesi, falsa come le prime due: una volta chiaritiquesti tre punti, il nodo della questione sar sciolto, lo Statoverr riconosciuto cosa superflua, quindi nociva e impossibile, ilgoverno diverr una contraddizione.

    Passiamo subito allanalisi.

    Che cos lo Stato? si domanda Louis Blanc. E risponde:Lo Stato, in un regime monarchico, il potere di un uomo, la tiran-

    nia di uno solo.Lo Stato, in un regime oligarchico, il potere di un numero ristretto

    di uomini, la tirannia di pochi.Lo Stato, in un regime aristocratico, il potere di una classe, la

    tirannia di molti.

    Lo Stato, in un regime anarchico, il potere del primo venuto che per caso il pi intelligente e il pi forte; la tirannia del caos.Lo Stato, in un regime democratico, il potere di tutto il popolo,

    servito dai suoi eletti; il regno della libert.

    Tra i venticinque o trentamila lettori di Louis Blanc, forsenon ce ne sono neppure una decina cui questa definizione delloStato non sia sembrata dimostrativa, e che non ripetano, seguen-

    do il maestro: lo Stato il potere di uno, di pochi, di molti, ditutti o del primo venuto, a seconda che si aggiunga alla parolaStato uno degli aggettivi seguenti: monarchico, oligarchico, ari-stocratico, democratico o anarchico. I delegati del Luxembourg che, a quanto pare, si sentono defraudati se qualcuno si per-

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    mette di avere unopinione diversa dalla loro sul significato e letendenze della Rivoluzione di Febbraio in una lettera resa

    pubblica mi hanno fatto lonore di informarmi del fatto che essigiudicavano la risposta di Louis Blanc decisamente vittoriosa eche io non avevo altro da ribattere. A quanto pare, tra i cittadinidelegati nessuno ha studiato il greco. Perch altrimenti si sareb-bero accorti che il loro maestro e amico Louis Blanc, al posto didire che cosa lo Stato, non ha fatto altro che tradurre in france-se le parole greche monos, uno; oligoi, alcuni; aristoi, i grandi;demos, il popolo, e a privativo, che indica la negazione. Serven-

    dosi esattamente di questi termini qualificativi, Aristotele hapotuto distinguere le differenti forme dello Stato, che si esprimea sua volta con arch, autorit, governo, Stato. Chiediamo scusaai nostri lettori, ma non affatto colpa nostra se la scienza poli-tica del presidente del Luxembourg non va pi in l delletimo-logia.

    E si noti lartificio! Nella sua traduzione bastato a LouisBlanc introdurre prima quattro volte la parola tirannia tirannia

    di uno solo, tirannia di molti ecc. e poi sopprimerla una volta potere del popolo, servito dai suoi eletti per riscuotere aprimo colpo gli applausi. tirannia qualunque tipo di Stato chenon sia quello democratico, nel senso in cui lintende LouisBlanc. Soprattutto lanarchia trattata in un modo particolare: il potere del primo venuto che per caso il pi intelligente e il

    pi forte; la tirannia del caos. Che mostro questo primo venu-to che, bench sia il primo venuto, per caso anche il pi intel-

    ligente e il pi forte ed esercita la sua tirannia del caos. Se cosstanno le cose, chi potrebbe preferire lanarchia a questo affabi-le governo di tutto il popolo, servito cos bene, come si sa, daisuoi eletti? Che grande vittoria! E noi per terra, fin dal primocolpo. Ah! retore, ringraziate il cielo di avere creato apposta pervoi, nel XIX secolo, unidiozia come quella dei vostri cosiddettidelegati delle classi operaie, senza di che sareste morto sotto ifischi la prima volta che avete preso in mano una penna.

    Che cos lo Stato? A questa domanda bisogna dare unarisposta: lenumerazione delle varie specie di Stati che, sulleorme di Aristotele, ha fatto il cittadino Louis Blanc, non ci hainsegnato nulla. Quanto a Pierre Leroux, non vale la pena inter-rogarlo: ci risponderebbe che la domanda indiscreta, che lo

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    Stato sempre esistito, che esister sempre: la ragione ultimadei conservatori e delle bonnes femmes.

    Lo Stato la costituzione esterna della potenza sociale.A causa di questa costituzione esterna della sua potenza esovranit, il popolo non si governa da s: c sempre qualcuno,a volte un solo individuo, a volte molti, a titolo elettivo o eredi-tario, incaricato di governarlo, amministrare i suoi affari, trattaree fare compromessi in suo nome, fungere insomma da capofa-miglia, tutore gerente o mandatario, munito di procura generale,assoluta e irrevocabile.

    Questa costituzione esterna della potenza collettiva, che iGreci chiamarono arch, principato, autorit, governo, riposadunque sullipotesi secondo cui un popolo, quellessere colletti-vo che chiamiamo societ, non pu governarsi, pensare, agire,esprimersi in modo autonomo, proprio come fanno gli esseridotati di personalit individuale; e perci ha bisogno di farsirappresentare da uno o pi individui, i quali, con qualsiasi titolo,sono ritenuti depositari della volont del popolo e suoi agenti.

    Secondo tale ipotesi, impossibile che la potenza collettiva, cheappartiene essenzialmente alla massa, sesprima e agisca diretta-mente, senza la mediazione di organi fatti apposta e per cosdire disposti ad hoc. A quanto pare il che spiega la formazionedi tutte le variet e specie dello Stato lessere collettivo, lasociet, proprio perch un essere razionale, non pu rendersisensibile, esteriorizzarsi, se non tramite lincarnazione monar-chica, lusurpazione aristocratica o il mandato democratico; di

    conseguenza, gli impedita ogni manifestazione propria e per-sonale.Ora, precisamente questa nozione astratta dellessere collet-

    tivo, della sua vita, della sua azione, della sua unit, della suaindividualit, della sua personalit perch, capite, la societ una persona come una persona lumanit tuttintera questanozione dellessere umano collettivo, come ente di ragione, chenoi neghiamo oggi; e perci neghiamo anche lo Stato, neghiamo

    il governo, respingiamo dalla societ trasformata dalla rivolu-zione economica qualsiasi costituzione della potenza popolareche si ponga al di fuori e al di sopra della massa, assuma essasembianze di monarchia ereditaria, istituzione feudale o delega-zione democratica.

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    Affermiamo, invece, che il popolo, la societ, la massa, pu edeve governarsi autonomamente, pensare, agire, muoversi e

    arrestarsi come un uomo, manifestarsi insomma nella sua indi-vidualit fisica, intellettuale e morale, senza laiuto di quellaspecie di sostituti che in passato furono i despoti, adesso sonogli aristocratici, qualche altra volta sono stati i pretesi delegati,devoti o servitori della folla, che noi chiamiamo puramente esemplicemente agitatori del popolo, demagoghi.

    In due parole, neghiamo il governo e lo Stato perch affer-miamo e questo i fondatori di Stati non lhanno mai creduto

    la personalit e lautonomia delle masse.Inoltre affermiamo che ogni costituzione di Stato ha il soloscopo di condurre la societ a questo stato di autonomia; che levarie forme di Stato, dalla monarchia assoluta fino alla demo-crazia rappresentativa, sono tutte mezzi termini, posizioni illogi-che e instabili, che hanno di volta in volta una funzione transito-ria o di tappe verso la libert, nel senso che formano i gradidella scala politica attraverso cui le societ si elevano alla

    coscienza e al possesso di se stesse.Affermiamo, infine, che questa anarchia, che lespressione,come si vede, del pi alto grado di libert e ordine cui possagiungere lumanit, la vera formula della repubblica, lo scopoverso il quale ci spinge la Rivoluzione di Febbraio; sicch ccontraddizione tra repubblica e governo, tra suffragio universalee Stato.

    Noi fondiamo queste affermazioni sistematiche su due proce-

    dimenti: dimostrando in primo luogo, con il metodo storico enegativo, che qualsiasi costituzione di potere, qualsiasi organiz-zazione della forza collettiva che si basi su un processo di este-riorizzazione, per noi diventata impossibile. quanto abbiamoincominciato a fare nelle Confessioni di un rivoluzionario, colraccontare la caduta di tutti i governi che si sono succeduti inFrancia da sessantanni a questa parte, mettendo in evidenza lacausa della loro abolizione, e insistendo infine sullesaurimento

    e la morte del potere sotto il regno corrotto di Luigi Filippo,durante la dittatura inerte del governo provvisorio e la presiden-za insignificante del generale Cavaignac e di Luigi Bonaparte.

    In secondo luogo, proviamo la nostra tesi spiegando in qualemodo, con la riforma economica, la solidariet industriale e

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    lorganizzazione del suffragio universale, il popolo passi dallaspontaneit alla riflessione e alla coscienza; agisca, non pi per

    impulso e fanatismo, ma con intenzione; si muova senza padro-ni e servi, senza delegati e aristocratici, proprio come farebbe unindividuo. In questo modo, la nozione di persona, lidea dellio,si estende e generalizza: c la persona o lio individuale, e cpure la persona o lio collettivo; in tutti e due i casi, la volont,lazione, lanima, lo spirito, la vita cose del tutto misteriose einafferrabili per chi ne rincorra il principio o ne ricerchi lessen-za sono inseparabili dalla loro esistenza animale e vitale,

    dallorganizzazione. La psicologia delle nazioni e dellumanitdiventa, come la psicologia delluomo, una scienza possibile.Noi abbiamo annunciato questo tipo di dimostrazione positivasia nelle nostre pubblicazioni sulla circolazione e il credito, sianel capitolo XIV del manifesto de La Voix du Peuple riguar-dante la costituzione.

    Sicch, quando Louis Blanc e Pierre Leroux serigono adifensori dello Stato, cio di una costituzione esterna della

    potenza pubblica, non fanno che riprodurre, a modo loro e informe che non ci hanno ancora fatto conoscere, la vecchia fin-zione del governo rappresentativo, la cui formula integrale,lespressione pi completa, ancora quella della monarchiacostituzionale. Perch abbiamo fatto la Rivoluzione di Febbraio,forse per arrivare a questa contraddizione retrograda?

    A noi sembra voi che ne dite, lettori? che la questione sistia un po chiarendo; dopo quello che abbiamo appena detto, i

    poveri di spirito saranno in grado di farsi unidea dello Stato, dicapire perch mai dei repubblicani si chiedono se sia davveroindispensabile, dopo una rivoluzione economica che modificatutti i rapporti sociali, mantenere quellorgano parassitario chia-mato governo solo per soddisfare la vanit di pretesi uomini diStato e al prezzo di 2 miliardi allanno. E gli onorevoli delegatidel Luxembourg che, solo perch occupano qualche poltrona, sicredono uomini politici e si aggiudicano risolutamente la com-

    prensione esclusiva della Rivoluzione, senza dubbio cesserannodi temere che noi, a titolo di pi intelligenti e di pi forti, dopoaver soppresso, perch inutile e troppo costoso, il governo,instaureremo la tirannia del caos. Noi neghiamo lo Stato e ilgoverno; noi affermiamo lautonomia del popolo e sosteniamo

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    al tempo stesso la sua maggioranza. Potremmo mai essere fau-tori della tirannia, aspiranti al ministero, competitori di Louis

    Blanc e Pierre Leroux?In verit, non riusciamo a capire la logica dei nostri avversa-ri. Essi accettano un principio senza preoccuparsi delle conse-guenze; si dichiarano daccordo, per esempio, sulluguaglianzadellimposta che limposta sul capitale realizza; adottano il prin-cipio del credito popolare, reciproco e gratuito, perch tutti que-sti termini sono sinonimi; approvano la decadenza del capitale elemancipazione del lavoro. Quando poi arriva il momento di

    dedurre da tali premesse le conseguenze antigovernative, prote-stano, continuano a parlare di politica e di governo, senzadomandarsi se il governo compatibile con la libert e lugua-glianza industriale; se possibile una scienza politica, quando necessaria una scienza economica! Senza scrupoli attaccano lapropriet, nonostante la sua antichit venerabile; ma sinchinanodavanti al potere come i sagrestani davanti al Santo Sacramento.Per loro il governo la priori necessario e immutabile, il prin-

    cipio dei principi, larcheterna.Certo, non scambiamo per prove le nostre affermazioni, sap-piamo, come chiunque altro, a quali condizioni si dimostra unaproposizione. Diremo soltanto che, prima di passare a unanuova costituzione dello Stato, bisognerebbe chiedersi se, pro-prio per le riforme economiche che la rivoluzione ci impone,non debba essere abolito lo Stato in quanto tale; se cio la finedelle istituzioni politiche non sia implicita gi nel senso e nella

    portata della riforma economica. Chiediamo se, in realt, dopolesplosione di febbraio, linstaurazione del suffragio universale,la dichiarazione del potere alla volont popolare, sia ancora pos-sibile un qualunque tipo di governo; se questo governo non siritroverebbe poi di fronte alleterna alternativa o di obbediredocilmente alle ingiunzioni cieche e contraddittorie della folla,o di ingannarla deliberatamente, come ha fatto il governo prov-visorio, come hanno fatto sempre i demagoghi. Perlomeno, vor-

    remmo sapere quali delle diverse attribuzioni dello Stato debba-no essere conservate e allargate, e quali soppresse. Perch, seper caso, cosa del tutto prevedibile, neppure una delle attualiattribuzioni dello Stato sopravvivesse alla riforma economica, sidovrebbe allora ammettere, in base a tale dimostrazione negati-

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    va, che nella nuova condizione sociale lo Stato non nulla, nonpu essere nulla; in due parole, che il solo modo per organizzare

    il governo democratico la soppressione del governo.Invece di tentare unanalisi positiva, pratica, realistica, delmovimento rivoluzionario, che fanno i nostri pretesi promotori?Vanno a consultare Licurgo, Platone, Orfeo e tutta la saggezzamitologica; interrogano le vecchie leggende; si aspettano daiclassici antichi la soluzione di problemi assolutamente moderni,e poi per risposta ci propinano le illuminazioni vertiginose delloro cervello.

    E, di nuovo, sarebbe questa la scienza della societ e dellarivoluzione che doveva, a prima vista, risolvere tutti i problemi,la scienza essenzialmente pratica e immediata, senza dubbio unascienza eminentemente tradizionale, ma sopra ogni cosa pro-gressiva, e nella quale il progresso si realizza attraverso la nega-zione sistematica della tradizione stessa? [...]

    Abbiamo appena constatato che la nozione di Stato, visto nella

    sua natura, si basa per intero su unipotesi almeno equivoca, quel-la dellimpersonalit e dellinerzia fisica, intellettuale e moraledelle masse. Ora proveremo che questa stessa nozione di Stato,dal punto di vista del suo oggetto, riposa su unaltra ipotesi, anco-ra pi dubbia della prima, quella della permanenza dellantagoni-smo in seno allumanit, ipotesi che a sua volta una prosecuzio-ne del dogma primitivo della caduta e del peccato originale.

    Citiamo ancora Le Nouveau Monde:

    Che cosa succede si domanda Louis Blanc se si consente al piintelligente o al pi forte di ostacolare lo sviluppo delle facolt di chi meno forte o meno intelligente? Succeder che la libert andr distrutta.

    Come impedire questo delitto? Intromettendo tra loppressore eloppresso tutto il potere del popolo.

    Se Jacques opprime Pierre, i trentaquattro milioni di uomini checompongono la societ francese accorreranno tutti in una volta per pro-

    teggere Pierre, per salvaguardare la libert? Sarebbe ridicolo pretendereuna cosa del genere.Come dovrebbe intervenire allora la societ?Per mezzo di chi essa avr scelto a questo fine come Suoi rappre-

    sentanti.

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    Ma chi sono questi rappresentanti della societ, questi servi-tori del popolo? Lo Stato.

    Dunque lo Stato non altro che la societ stessa, che agiscecome societ, per impedire... cosa? loppressione; per mantene-re... cosa? la libert.

    Adesso chiaro. Lo Stato una rappresentazione dellasociet, organizzata esteriormente per proteggere il debole con-tro il forte; in altri termini, per mettere pace tra i contendenti efare ordine! Come si vede, Louis Blanc non andato lontano acercare lo scopo dello Stato. Esso perdura in tutti gli autori che

    si sono occupati di diritto pubblico, fin da Grotius, Giustiniano,Cicerone ecc. la tradizione orfica riportata da Orazio:

    Il divino Orfeo, interprete degli dei, richiam gli uomini dal fondodelle foreste e inculc loro lorrore degli assassini e della carne umana.Di lui si dice anche che rese pi docili i leoni e le tigri, come dopo siracconta di Anfione, il fondatore di Tebe, che riusciva a smuovere lepietre col suono della sua lira e con lincantesimo della sua preghiera le

    portava dove voleva.

    Il socialismo, lo sapevamo, per certuni non richiede grandisforzi dimmaginazione. Basta imitare piattamente i vecchimitologi; copiare il cattolicesimo pur inveendo contro di esso;scimmiottare il potere che si brama; gridare poi con tutte le pro-prie forze: Libert, Uguaglianza, Fratellanza! e il gioco fatto.Si diventa rivelatori, riformatori, riportatori democratici e socia-

    li; si diventa candidati designati al ministero del progresso, eperfino alla dittatura della repubblica!Cos, secondo il parere di Louis Blanc, il potere nato dalla

    barbarie; la sua organizzazione attesta lesistenza di uno statoprimitivo di ferocia e violenza, effetto della totale assenza dicommerci e industria. Lo Stato ha dovuto mettere fine a questabarbarie, contrapponendo alla forza di ogni individuo una forzasuperiore, capace, in mancanza di altri argomenti, di costringere

    la sua volont. La costituzione dello Stato presuppone quindi, lodicevamo prima, un antagonismo sociale profondo, homo homi-ni lupus: quanto afferma lo stesso Louis Blanc quando, dopoaver distinto gli uomini in forti e deboli, impegnati come bestieferoci a contendersi il cibo, fa intervenire tra di essi, in qualit

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    di mediatore, lo Stato.Dunque lo Stato sarebbe inutile, lo Stato non avrebbe n

    scopo n motivo desistere, lo Stato dovrebbe abrogarsi da solose arrivasse un momento in cui, per una causa qualunque, non cifossero pi nella societ n forti n deboli, in cui cio la disu-guaglianza delle forze fisiche e intellettuali non potesse esserecausa di spoliazioni e oppressione, indipendentemente dalla pro-tezione, pi fittizia che reale del resto, dello Stato.

    Ora, esattamente questa la tesi che sosteniamo noi oggi.Ci che ingentilisce i costumi e che a poco a poco fa regnare

    il diritto al posto della forza, ci che fonda la sicurezza, che creaprogressivamente la libert e luguaglianza, , pi che la religio-ne e lo Stato, il lavoro; , in primo luogo, lindustria e il com-mercio; poi la scienza, che lo spiritualizza; e infine larte, suofiore immortale. La religione, con le sue promesse e i suoi terro-ri, lo Stato, con i suoi tribunali e i suoi eserciti, hanno dato alsentimento del diritto, troppo debole nei primi uomini, lunicasanzione possibile e comprensibile per degli spiriti selvaggi. Per

    noi, corrotti, come diceva Jean-Jacques, dallindustria, le scien-ze, le lettere, le arti, questa sanzione risiede altrove: essa nelladivisione delle propriet, nellingranaggio delle industrie, nellosviluppo del lusso, nel bisogno imperioso di benessere, bisognoche rende per tutti necessario il lavoro. Dopo la rudezza delleprime ere, dopo la superbia delle caste e la costituzione delleprime societ feudali, rimaneva ancora in piedi un ultimo ele-mento di servit: ed era il capitale. Se il capitale perde il suo

    predominio, il lavoratore, cio il commerciante, lindustriale,lagricoltore, lo scienziato, lartista, non ha pi bisogno di prote-zione; bastano a proteggerlo il suo talento, la sua scienza, la suaindustria. Dopo la decadenza del capitale, la conservazionedello Stato, invece di proteggere la libert, non pu che compro-metterla.

    Lidea della specie umana, della sua essenza, della sua per-fettibilit, della sua sorte, sarebbe veramente triste se venisse

    concepita come unagglomerazione di individui esposti necessa-riamente, a causa della disuguaglianza delle forze fisiche e intel-lettuali, al pericolo costante di una spoliazione reciproca o dellatirannia di alcuni. Unidea del genere rispecchia la filosofia piretriva; appartiene a quei tempi di barbarie nei quali lassenza

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    dei veri elementi dellordine sociale non consentiva al genio dellegislatore luso di strumenti diversi dal puro e semplice ricorso

    alla forza; nei quali la supremazia di un potere pacificatore evendicatore appariva a tutti come la giusta conseguenza di unadegradazione anteriore e di una macchia originale. Per esserepi espliciti, le istituzioni politiche e giudiziarie per noi rappre-sentano la formula esoterica e concreta del mito della caduta,del mistero della redenzione e del sacramento della penitenza.Ed curioso vedere dei socialisti, che si dicono nemici o rivalidella Chiesa e dello Stato, recuperare poi tutto quello che oltrag-

    giano: il sistema rappresentativo in politica, il dogma dellacaduta in religione.Giacch si parla tanto di dottrina, dichiariamo francamente

    che la nostra completamente diversa.Per noi, lo stato morale della societ si modifica e diventa

    migliore insieme con il suo stato economico. Una cosa lamoralit di un popolo selvaggio, ignorante e senza industria;altra cosa quella di un popolo lavoratore e creatore; di conse-

    guenza, nelluno e nellaltro caso sono diverse anche le garanziesociali. In una societ trasformata, quasi a sua insaputa, dallosviluppo delleconomia, non ci sono pi n forti n deboli; cisono soltanto lavoratori, le cui facolt e mezzi tendono inces-santemente a eguagliarsi con la solidariet industriale e lagaranzia della circolazione. Per assicurare il diritto e il dovere diciascuno risulta vano il ricorso dellimmaginazione allidea diautorit e di governo, che se mai indice della disperazione

    profonda di anime per lungo tempo spaventate dalla polizia edal sacerdozio; basta lesame pi semplice delle funzioni delloStato per dimostrare che, se la disuguaglianza delle fortune,loppressione, le spoliazioni e la miseria non sono affatto leter-no appannaggio della nostra natura, il primo cancro da estirpare,dopo lo sfruttamento capitalistico, la prima piaga da guarire, proprio lo Stato.

    Ma vediamo concretamente, bilanci alla mano, che cos lo

    Stato.Lo Stato lesercito. Riformatori, avete bisogno di un eserci-to per difendervi? In tal caso, voi intendete la sicurezza pubblicaalla maniera di Cesare e Napoleone... Non siete repubblicani,siete dei despoti.

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    Lo Stato la polizia; polizia urbana, polizia rurale, poliziadelle acque e foreste. Riformatori, avete bisogno della polizia?

    Allora voi intendete lordine come Fouch, Gisquet, Caussidiree il signor Carlier. Non siete democratici, siete dei delatori.Lo Stato tutto il sistema giudiziario: giudici di pace, pretu-

    re, corti dappello, corte di cassazione, alta corte, tribunali diprobiviri, tribunali di commercio, consigli di prefettura, consi-glio di Stato, consigli di guerra. Riformatori, avete bisogno ditutti questi apparati? Allora intendete la giustizia come i signoriBaroche, Dupin e Perrin Dandin. Non siete affatto socialisti,

    siete delle vecchie volpi. Lo Stato il fisco, il bilancio. Rifor-matori, non volete labolizione delle imposte? Allora voi inten-dete la ricchezza pubblica come il signor Thiers, secondo ilquale i bilanci pi grossi sono quelli migliori. Non siete affattoorganizzatori del lavoro, siete dei gabellieri. Lo Stato la doga-na. Riformatori, avete bisogno di dazi differenziali e barrieredoganali per proteggere il lavoro nazionale? Allora vi intendetedi commercio e di circolazione come il signor Fould e il signor

    Rothschild. Non siete affatto apostoli della fratellanza, sietedegli ebrei.Lo Stato il debito pubblico, la moneta, lammortamento, le

    casse di risparmio ecc. Riformatori, questa la vostra scienzafondamentale? Allora voi intendete leconomia sociale allamaniera dei signori Humann, Lacave-Laplagne, Garnier-Pags,Passy, Duclerc e dellUomo dei quaranta scudi. Siete comeTurcaret.

    Lo Stato... ma conviene fermarsi. Non c nulla, assoluta-mente nulla nello Stato, dalla testa ai piedi della gerarchia, chenon sia abuso da sanare, parassitismo da sopprimere, strumentodi tirannia da distruggere. Voi ci venite a dire che bisogna con-servare lo Stato, moltiplicare le funzioni dello Stato, renderesempre pi forte il potere dello Stato! Via, non siete per nienterivoluzionari; perch i veri rivoluzionari sono essenzialmentesemplificatori e liberali. Voi siete mistificatori, illusionisti; siete

    dei confusionari.Qui spunta, a favore dello Stato, unultima ipotesi. Pur se lo

    Stato, affermano gli pseudodemocratici, fino a questo momentoha svolto soltanto un ruolo parassitario e tirannico, non per que-

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    sto bisogna negargli una destinazione pi nobile e pi umana.Lo Stato destinato a diventare il principale organo della produ-

    zione, del consumo e della circolazione; il promotore dellalibert e delluguaglianza.Perch la libert e luguaglianza sono lo Stato.Il credito lo Stato.Il commercio, lagricoltura e lindustria sono lo Stato.I canali, le ferrovie, le miniere, le assicurazioni, come pure i

    tabacchi e le poste, sono lo Stato.Listru