PROGETTAZIONE PER COMPETENZE - itisff.it per la Formazione Docenti... · C.2 Dalle Life Skill alle...

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PROGETTAZIONE DIDATTICA APPRENDIMENTO VALUTAZIONE CURRICOLO ISTITUTO TECNICO SETTORE TECNOLOGICO “Enrico Fermi” Approfondimenti tematici a cura del professor Mario Castoldi, docente presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università degli Studi di Torino . Le Risorse proposte trattano l'Apprendimento, la Progettazione, la Didattica, la Valutazione e il Curricolo di Scuola nella DIDATTICA PER COMPETENZE . Via Capitano di Castri, 144 - 72021 Francavilla Fontana (BR) Tel. 0831/ 852132 ( centr .) Fax 0831/813187 e - mail [email protected] - www.itisff.it ELETTRONICA ED ELETTROTECNICA - INFORMATICA E TELECOMUNICAZIONI MECCANICA, MECCATRONICA - TRASPORTI E LOGISTICA SPECIALIZZAZIONI : PROGETTAZIONE PER COMPETENZE FORMAZIONE 2015 - 2016

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CURRICOLO

ISTITUTO TECNICO SETTORE TECNOLOGICO

“Enrico Fermi”

Approfondimenti tematici a cura del professor Mario Castoldi,docente presso la facoltà di Scienze della formazionedell’Università degli Studi di Torino.Le Risorse proposte trattano l'Apprendimento, laProgettazione, la Didattica, la Valutazione e il Curricolo diScuola nella DIDATTICA PER COMPETENZE.

Via Capitano di Castri, 144 - 72021 Francavilla Fontana (BR)

Tel. 0831/ 852132 (centr.) Fax 0831/813187 e-mail [email protected] - www.itisff.it

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TRASPORTI E LOGISTICA

SPECIALIZZAZIONI:

PROGETTAZIONE PER COMPETENZE

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Sommario degli Approfondimenti

Ripensare la valutazioneA.2

Sfide per la didatticaA.1

Verso le competenze: tratti qualificantiA.3

Unità, moduli, progettiP.1

Progettazione a ritrosoP.2

Progetti didattici e situazioni problemaP.3

Allenare la competenzaP.4

Criteri di qualità dell'azione didatticaD.1

Oltre la metodologia: setting organizzativo e climarelazionale

D.2

Repertorio di metodologie didattiche innovativeD.3

Verso un apprendimento CSSCD.4

Critiche alla valutazione tradizionaleV.1

Il principio di triangolazioneV.2

Repertorio di strumenti valutativiV.3

Valutazione per l'apprendimento

Competenze chiave e curricolo a matriceC.1

Dalle Life Skill alle competenze chiaveC.2

Le competenze chiave come assi formativi del curricoloC.3

Le competenze europee per l'apprendimento permanenteC.4

V.4

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Sfide per la didattica

Il collegamento tra scuola e vita sollecitato dalla prospettiva delle competenze

pone una serie di sfide all’insegnamento, ben riassunte da Philippe Perrenoud

nel suo testo Costruire competenze a partire dalla scuola:

• considerare i saperi come risorse da mobilitare. La conoscenza

non deve essere materia inerte, incapsulata all’interno delle discipline

scolastiche, ma materia viva, da mettere in relazione con le esperienze di

vita e i problemi che la realtà pone. I saperi scolastici non sono qualcosa di

auto-consistente, bensì richiedono di essere sempre pensati come

delle potenziali risorse per affrontare contesti di realtà, non possono

quindi permettersi di perdere questo collegamento vitale

• lavorare per situazioni-problema. La stretta connessione tra realtà e

scuola, simboleggiata dalla metafora del ponte, si riflette nell’appoggiare il

lavoro didattico su attività in grado di integrare i diversi saperi e di renderlo

significativo, proponendo situazioni problematiche da affrontare,

attivando processi euristici in contesti reali. L’espressione “situazioni-

problema” ben sintetizza un approccio esplorativo, di ricerca aperta,

verso la conoscenza coniugata con un riferimento a situazioni reali, a

contesti operativi concreti e definiti, fatti inevitabilmente di risorse e di vincoli

• condividere progetti formativi con i propri allievi. Il ruolo di protagonista

del proprio apprendimento affidato agli studenti si riflette nella pratica della

contrattualità formativa, funzionale a una condivisione di senso del lavoro

didattico, non solo con gli studenti, ma anche con gli altri soggetti

coinvolti (genitori, interlocutori esterni, personale ATA, etc.). Il punto focale

è la ricerca di significato per il lavoro scolastico da parte dei diversi attori

coinvolti (anche per il docente), che promuova una disponibilità ad

apprendere e favorisca una finalizzazione riconoscibile per il proprio impegno

e i propri risultati

• adottare una pianificazione flessibile. L’aggancio con problemi di realtà

richiede una modalità di progettazione strategica, fondata sulla messa a

fuoco di alcune linee d’azione da adattare e calibrare durante lo sviluppo del

percorso formativo; ciò implica un approccio flessibile, aperto alla

progettazione didattica, non riconducibile a un algoritmo da preordinare, più

simile a una ricerca da impostare e adattare in corso d’opera, avendo

chiaro dove si vuole arrivare e i traguardi formativi che si intende promuovere

• praticare una valutazione per l’apprendimento. La pratica consapevole in

cui si esprime l’apprendimento amplifica il potenziale formativo del momento

valutativo, vero e proprio specchio attraverso cui conoscere e riconoscersi,

risorsa metacognitiva per il soggetto che apprende. La valutazione si

connette strettamente alla formazione, non è pensata come un momento

terminale e separato bensì come uno strumento attraverso cui promuovere e

consolidare l’apprendimento

• andare verso una minore chiusura disciplinare. La realtà è per sua natura

restia a essere rinchiusa nei recinti concettuali e metodologici delle singole

discipline, è quindi necessaria una pluralità di sguardi attraverso cui

osservare e comprendere la propria esperienza. L’insegnamento-ponte

implica necessariamente un superamento dei confini disciplinari, una

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capacità di connettere non solo la scuola con la vita, ma anche i diversi

saperi disciplinari, pensati come strumenti di analisi di una realtà unica e

scomponibile

• convincere gli allievi a cambiare mestiere. Una diversa modalità con cui

avvicinarsi all’insegnamento non impatta solo con le resistenze e le routine

del corpo docente, ma anche con gli stereotipi, le aspettative, i modelli

culturali degli studenti, delle loro famiglie, della comunità sociale. Un

approccio per competenze richiede allo studente di porsi in modo diverso

rispetto all’esperienza di apprendimento: non come ricettore passivo e

riproduttore di un sapere predigerito, bensì come co-produttore di una

conoscenza da costruire e condividere. Per dirla con le parole di uno

studioso americano, richiede di padroneggiare l’incertezza, di imparare a

«sapere che cosa fare quando non si sa che cosa fare».

Quest’ultima avvertenza di Perrenoud segnala con evidenza che la sfida non è

solo tecnico-professionale bensì soprattutto culturale, investendo l’intera

comunità sociale che ruota intorno all’universo scolastico e i significati che

ciascuno degli attori attribuisce al fare scuola.

Non a caso l’illustre sociologo francese ammonisce: «Se si cambiano solo i

programmi che figurano nei documenti, senza scalfire quelli che sono nelle

nostre teste, l’approccio per competenze non ha nessun futuro» (Perrenoud,

2003).

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

P. Perrenoud, Costruire competenze a partire dalla scuola, Roma, Anicia, 2003

Note

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Ripensare la valutazione

Insieme alla didattica, anche la valutazione chiede di essere ripensata in una

prospettiva di competenze sulla base di un insieme di principi guida che

connotano la nuova filosofia valutativa e ne marcano inequivocabilmente la

distanza con le pratiche valutative tradizionali:

• la significatività delle prestazioni richieste in rapporto ai traguardi di

apprendimento che qualificano il curriculum scolastico e la formazione delle

nuove generazioni, in contrasto con la valenza quasi esclusivamente

riproduttiva che caratterizza le prove nella valutazione tradizionale.

• l’autenticità dei compiti valutativi in rapporto ai contesti e ai problemi posti

dal mondo reale, in contrasto con il carattere astratto e artificioso delle

attività proposte dalla valutazione tradizionale.

• la processualità della valutazione nel cogliere il nesso inestricabile tra la

prestazione e la modalità che l’ha generata, in contrasto con l’esclusiva

attenzione al prodotto di apprendimento tipico della valutazione tradizionale.

• la responsabilità affidata allo studente nella conduzione del processo

valutativo, attraverso il suo coinvolgimento nelle diverse fasi valutative e

l’incoraggiamento di forme autovalutative, in contrasto con la natura

deresponsabilizzante della valutazione tradizionale.

• la promozionalità dell’azione valutativa in rapporto allo sviluppo del

processo formativo e al conseguimento dei suoi risultati, in contrasto con il

valore classificatorio e selettivo della valutazione tradizionale.

• la ricorsività tra momento formativo e valutativo, per la quale il secondo

diventa parte integrante e “strumento d’intelligenza del primo”, in contrasto

con la tradizionale separazione presente nella valutazione tradizionale.

• la dinamicità della valutazione, pensata come processo di

accompagnamento attento al riconoscimento e alla valorizzazione del

potenziale di sviluppo dello studente, in contrasto con il carattere statico della

valutazione tradizionale.

• la globalità del momento valutativo, attento all’integrazione tra le diverse

dimensioni del processo di sviluppo (cognitive, sociali, emotive, conative), in

contrasto con la natura analitica e riduzionistica della valutazione tradizionale

• la multidimensionalità del processo valutativo, come combinazione di

molteplici fonti di dati e prospettive di lettura dell’evento formativo, in

contrasto con il carattere unidimensionale della valutazione tradizionale.

Dai principi richiamati si possono ricavare, analogamente a quanto abbiamo

fatto per la didattica, alcune sfide professionali poste agli insegnanti in

rapporto al valutare:

• puntare a compiti valutativi più autentici, ovvero capaci non solo di

accertare il possesso di conoscenze e abilità da parte degli studenti, ma

anche la loro capacità di usare tale sapere per affrontare situazioni poste dal

loro contesto di realtà;

• promuovere una maggior responsabilizzazione dello studente nel

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processo valutativo, riconoscendogli un ruolo attivo di soggetto della

valutazione non solo di oggetto, e aiutandolo a riconoscere i significati e le

potenzialità formative insite nel valutare;

• integrare la valutazione del prodotto della formazione, la parte emersa

dell’iceberg, con quella del processo formativo, la parte sommersa

dell’iceberg, il “che cosa si apprende” con il “come si apprende”, in modo da

recuperare la globalità e la complessità dell’esperienza di apprendimento;

• oltrepassare i confini disciplinari della valutazione, prestando attenzione

e valorizzando le dimensioni trasversali dell’apprendimento, evidenziate

attraverso la messa a fuoco delle competenze chiave di cittadinanza;

• riconoscere e sviluppare la valenza metacognitiva sottesa al processo

valutativo, in quanto opportunità di consapevolezza del proprio apprendere

e di presa di coscienza dei propri limiti e delle proprie potenzialità.

Nel loro insieme le sfide richiamate pongono al centro della riflessione il

costrutto della competenza e la relativa esigenza di passare da una valutazione

delle sole conoscenze e abilità a una valutazione delle competenze, ovvero

della capacità del soggetto di impiegare produttivamente il proprio

apprendimento per soddisfare i propri bisogni e rispondere alle esigenze sociali.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

M. Lichtner, Valutare l’apprendimento: teorie e metodi, Milano, Angeli, 2004.

Note

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Verso le competenze: tratti qualificanti

A partire da un’accezione comportamentista del significato di competenza,

intesa come insieme di abilità possedute dal soggetto, si è assistito negli

ultimi decenni a un’articolazione progressiva del concetto, che possiamo

sintetizzare in tre direzioni evolutive:

• dal semplice al complesso: la competenza viene vista come

un’integrazione delle risorse possedute dall’individuo, che comporta

l’attivazione di conoscenze, abilità e disposizioni personali relative al piano

cognitivo e a quello socio-emotivo e volitivo. La sua espressione richiede di

mettere in gioco e mobilitare la globalità della persona nelle sue

molteplici dimensioni, non può ridursi a prestazioni isolate e delimitate

• dall’esterno all’interno: si afferma una progressiva attenzione alle

dimensioni interne del soggetto, non riconducibili ai soli comportamenti

osservabili bensì riferite alle disposizioni interiori del soggetto e alle modalità

con cui esso si avvicina allo svolgimento di un compito operativo. In questa

direzione si colloca la distinzione di origine chomskiana tra “competenza”,

intesa come qualità interna del soggetto, e “prestazione”, intesa come

comportamento osservabile. Distinzione ripresa e allargata ai processi

cognitivi da B. G. Bara: «Con il termine competenza intendo l’insieme delle

capacità astratte possedute da un sistema, indipendentemente da come tali

capacità sono effettivamente utilizzate. Con il termine prestazione mi riferisco

alle capacità effettivamente dimostrate da un sistema in azione, desumibili

direttamente dal suo comportamento in una specifica situazione».

• dall’astratto al situato: la competenza perde la sua valenza generale e

tende a essere riferita alla capacità di affrontare compiti in specifici

contesti culturali, sociali, operativi. Il richiamo a compiti precisi evidenzia

sempre più la dimensione contestualizzata della competenza, riconducibile a

un impiego del proprio sapere in situazioni concrete e in rapporto a scopi

definiti.

Un’efficace definizione del concetto, in grado di dare conto del percorso

evolutivo che abbiamo richiamato, è quella proposta da Michele Pellerey, il

quale definisce la competenza come capacità di far fronte ad un compito, o a

un insieme di compiti, riuscendo a mettere in moto e ad orchestrare le proprie

risorse interne, cognitive, affettive e volitive, e a utilizzare quelle esterne

disponibili in modo coerente e fecondo. Essa consente di evidenziare alcuni

degli attributi che tendono a qualificare tale concetto in rapporto ad altri termini

affini o similari:

• il riferimento a un compito come ambito di manifestazione del

comportamento competente, il quale presuppone l’utilizzazione del proprio

sapere per fronteggiare situazioni problematiche. Come afferma Wiggins in

riferimento all’ambito scolastico “non si tratta di accertare ciò che lo studente

sa, bensì ciò che sa fare con ciò che sa”, a richiamare la dimensione

operativa sottesa al concetto di competenza, il suo indissolubile legame con

l’azione;

• la mobilitazione dell’insieme delle proprie risorse personali, che segnala

la natura olistica della competenza, non riducibile alla sola dimensione

cognitiva, ma estesa anche alle componenti motivazionali, attribuzionali,

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socio-emotive, metacognitive. Mason parla, a tale riguardo, di triplice

alleanza tra cognizione, motivazione e metacognizione a proposito del

processo di apprendimento, in una prospettiva socio-costruttivistica che

rappresenta la cornice più adatta all’accezione di competenza che stiamo

discutendo;

• l’impiego delle risorse disponibili nel contesto d’azione e la loro

integrazione con le risorse interne, intendendo per risorse esterne sia gli altri

soggetti implicati, sia gli strumenti e i mezzi a disposizione, sia le potenzialità

presenti nell’ambiente fisico e culturale in cui si svolge l’azione. Ciò sottolinea

il valore situato della competenza e la prospettiva ecologica attraverso cui

richiede di essere analizzata ed indagata.

In maniera icastica ed efficace, Le Boterf riassume il percorso di sviluppo che

ha contraddistinto il concetto di competenza nel passaggio dal saper

fare al saper agire: un’espressione che ben sintetizza la natura articolata del

costrutto e il suo irriducibile legame con un contesto d’azione.

Riprendendo una suggestione psicoanalitica, alcuni autori hanno proposto

di rappresentare la competenza come un iceberg, in modo da evidenziare la

duplicità delle componenti presenti nella sua rilevazione: una componente

visibile, esplicita, espressa attraverso prestazioni osservabili che rinviano

essenzialmente al patrimonio di conoscenze e abilità possedute dal soggetto e

una componente latente, implicita, che richiede un’esplorazione di dimensioni

interiori connesse ai processi motivazionali, volitivi, socio-emotivi dell’individuo.

Tale immagine, anche nella sua rappresentazione visiva, segnala con evidenza

le difficoltà su cui si misura un lavoro formativo per competenze, inevitabilmente

costretto a dotarsi di modalità e strumentazioni attraverso cui andare “sotto la

superficie dell’acqua” e sondare le componenti soggettive e interne del

processo di apprendimento dell’individuo.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

B.G. Bara, Scienza cognitiva, Torino, Bollati-Boringhieri, 1990.

M. Pellerey, Le competenze individuali e il Portfolio, Firenze, La Nuova Italia,

2004.

Note

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Unità, moduli, progetti

Quali implicazioni ha un approccio per competenze in relazione alle modalità

della progettazione formativa? Le istituzioni scolastiche dei diversi gradi

scolastici sono alle prese con l’adeguamento alle nuove indicazioni ministeriali

nella prospettiva di rielaborare i curricoli orientati sulle competenze.

Ma cosa caratterizza un curricolo per competenze?

Solo una riformulazione degli obiettivi, non in termini di conoscenze o abilità

bensì di competenze? O implica anche un ripensamento della struttura

progettuale su cui costruire il curricolo?

Si riflette anche sulle scelte metodologiche o didattiche? Si tratta di

un’ennesima riverniciatura lessicale di un modello curricolare che rimane

sostanzialmente identico a se stesso oppure richiede un ripensamento in

profondità della logica progettuale impiegata?

Si risolve nella sostituzione di qualche intestazione di colonna o di riga - da

“conoscenze” a “competenze”, da “obiettivi di apprendimento” a “traguardi di

sviluppo”, ecc. – oppure comporta una rielaborazione dell’intero schema

progettuale sotteso al progetto didattico della scuola e delle singole classi? È

l’ennesima operazione gattopardesca di lifting estetico o è un’opportunità per

interrogarsi sui propri modelli didattici?

La letteratura sulla progettazione didattica che è circolata in questi anni ci ha

proposto una molteplicità di modelli progettuali, abbastanza disorientante:

• programmazione per obiettivi

• programmazione per concetti

• programmazione per sfondo integratore

• programmazione per temi

• post-programmazione

• programmazione per competenze

• programmazione per problemi

• programmazione per situazioni

E queste sono alcune tra le espressioni indicate per designare i diversi modelli

progettuali che si sono succeduti e intrecciati, attraversando stagioni più o

meno fortunate.

La proposta di classificazione di questi modelli avanzata da Massimo Baldacci,

li riconduce a tre tipologie di fondo, distinte in base alla differente unità di analisi

della progettazione che assumono:

• le Unità didattiche

• i Moduli didattici

• i Progetti didattici

Il criterio distintivo, in questo caso, è di tipo formale in quanto si fonda sulle

caratteristiche costitutive dell’unità elementare della logica progettuale, piuttosto

che sulla componente della progettazione didattica privilegiata (obiettivi,

concetti, situazioni, ecc.).

Secondo Baldacci le diverse espressioni impiegate nel linguaggio della

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programmazione per designare tali unità di base (unità di apprendimento,

sequenza, progetto, percorso, unità, modulo, ecc.) sono riconducibili alle tre

tipologie indicate.

In particolare l’autore propone due parametri in base a cui riconoscere i

tratti salienti di ciascuna tipologia con riferimento a:

• la struttura progettuale su cui si fonda, distinguendo tra:

‾ struttura molecolare di tipo analitico, che scompone il percorso

didattico nelle sue componenti elementari e articola la materia

progettuale nelle sue unità minime, le molecole appunto

‾ struttura molare, di tipo globale e che assume il percorso didattico

nella sua complessità e assume la materia progettuale nella sua

complessità, designata come mole1.

• la strategia progettuale sottesa, distinguendo tra:

‾ strategia deduttiva, di tipo top-down, che muove da un’individuazione

degli scopi per ricavarne le modalità dell’azione didattica e si basa su

una gerarchia fini-mezzi, per la quale i modi della didattica sono

derivati dagli scopi che s’intende perseguire

‾ strategia induttiva, di tipo bottom-up, che muove dalle caratteristiche

dell’esperienza didattica per risalire alle finalità che persegue e

compie un’inversione mezzi-fini, per la quale la centralità è assegnata

al processo didattico e al potenziale formativo che lo qualifica, quindi

agli scopi che può perseguire.

Sulla base dei due parametri indicati vengono identificate tre tipologie

progettuali, così descritte da Baldacci:

• Unità didattica, intesa come «L’unità progettuale minima che conserva tutte

le caratteristiche di un progetto complesso (obiettivi, procedure didattiche,

modi di valutazione), relativamente all’insegnamento-apprendimento di un

certo argomento, che in genere è di carattere disciplinare o multidisciplinare

entro un certo ambito di saperi»; essa si pone quindi al punto di intersezione

tra una strategia deduttiva, basata su un approccio sistematico al sapere, e

una struttura molecolare, che mira a riconoscere le unità elementari del

percorso didattico

• Modulo didattico, inteso come «Un percorso d’insegnamento-

apprendimento (dotato di obiettivi, procedure didattiche, modi di valutazione)

dedicato a un blocco di contenuti di una certa ampiezza e di natura

prevalentemente curricolare. In genere un modulo didattico è composto da

unità didattiche ed è, a sua volta, componibile con altri moduli in un corso di

studi»; esso si pone quindi al punto di intersezione tra una strategia

deduttiva, basata su un approccio sistematico al sapere, e una struttura

molare, che mira a rappresentare il percorso didattico nella sua complessità;

• Progetto didattico, inteso come «Un percorso di insegnamento-

apprendimento (dotato di obiettivi, procedure didattiche, modi di valutazione)

centrato su una tematica di una certa ampiezza, per lo più di carattere

extracurricolare (attinta dal mondo, dall’esperienza) e che, per la sua

intrinseca complessità, richiede una trattazione curricolare»; esso si pone

quindi al punto di intersezione tra una strategia induttiva, basata su un

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approccio euristico ed esplorativo al sapere, e una struttura molare, che mira a

rappresentare il percorso didattico nella sua complessità.

Nel significato proposto da Baldacci, il progetto didattico tende a riassumere in

sé alcune delle prerogative proprie di un approccio per competenze: da un lato

si fonda su una strategia induttiva, per la quale il percorso didattico muove

dall’esperienza reale e tende a utilizzare i saperi disciplinari come strumenti di

comprensione del mondo reale, dall’altro assume una struttura molare, evitando

di ridurre la realtà alle sue componenti elementari e assumendola nella sua

complessità, in chiave pluridisciplinare.

I Moduli didattici e le Unità didattiche possono essere ricondotti a una doppia

articolazione (il corso articolato in moduli, a loro volta articolati in unità

didattiche) di una medesima strategia didattica, quella deduttiva appunto, che

richiama alcune prerogative proprie dell’insegnamento tradizionale, in

particolare il muovere dalla struttura del sapere e considerare il percorso

didattico come funzionale al perseguimento degli obiettivi di conoscenza

stabiliti.

Elaborare un curricolo di scuola secondo un approccio per competenze

richiede, quindi, non solo di riformulare gli obiettivi in termini di competenze,

bensì di rivoltare la struttura stessa del curricolo, organizzandola per

progetti didattici (o comunque si vogliano chiamare le unità di base del

curricolo basate su una struttura molare e su una strategia induttiva).

Ciò ovviamente richiede di ripensare non solo la struttura formale del curricolo,

ma anche i modi con cui organizzare il setting didattico, con cui esercitare la

mediazione didattica, con cui gestire la relazione tra insegnante e allievi.

1 La mole di una sostanza chimica - elemento o composto - è approssimabile

come una quantità di sostanza la cui massa, espressa in grammi, coincide

numericamente con la massa atomica o molecolare della sostanza stessa; la

molecola è la più piccola unità strutturale di un composto chimico non ionico

che può esistere allo stato libero e che ne mantiene le medesime proprietà

chimiche.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

M. Baldacci, Unità di apprendimento e programmazione, Napoli, Tecnodid,

2005

Note

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Progettazione a ritroso

Secondo Baldacci, il progetto didattico si presenta come l’approccio progettuale

più aderente alla prospettiva delle competenze.

Nel lessico scolastico sono impiegate diverse espressioni per designare una

modalità di progettazione che richiama le caratteristiche del progetto didattico:

• Unità di apprendimento

• Unità di lavoro formativo

• Progetti formativi

•…

Al di là delle poco interessanti dispute lessicali, preferiamo tentare di definire

alcuni attributi che qualificano una modalità di progettazione per competenze,

indipendentemente dal termine usato per designare i suoi prodotti.

Il primo di essi riguarda una prospettiva di progettazione a ritroso (cfr.

Wiggins - Mc Tighe, 1998), ovvero una schema progettuale che muova dalla

risposta a due interrogativi:

• Qual è il profilo di competenza che voglio contribuire a sviluppare con il mio

percorso?

• In termini operativi, quale prova di competenza mi aspetto che i miei allievi

possano affrontare a conclusione del percorso?

Si tratta, come si vede, di anteporre alcune questioni tipicamente valutative alla

strutturazione del percorso progettuale, allo scopo di poterlo traguardare in

relazione a un’idea di competenza definita e articolata.

Approccio che implica l’esigenza di scegliere un traguardo di competenza

focale, su cui centrare l’attenzione del percorso, pur richiamando altre

competenze correlate. Sebbene possa apparire una semplificazione in rapporto

alla complessità di un percorso formativo e alle intersezioni esistenti tra i vari

ambiti di competenza, indirizzare il focus sul singolo traguardo di

competenza consente di dotarsi di una bussola utile a orientare l’intero

percorso.

Una volta selezionata la competenza, occorre analizzarla attraverso

l’identificazione delle dimensioni prevalenti che concorrono alla sua

manifestazione.

Analizzare una competenza significa ricostruire il processo soggiacente

alla prestazione del soggetto, allo scopo di individuare le risorse chiave che

devono essere mobilitate per sviluppare la prestazione richiesta.

Uno schema utile a guidare il processo di analisi rappresenta la competenza

come un insieme di cerchi concentrici tra loro interdipendenti e relativi a:

• le risorse cognitive, ovvero le conoscenze e le abilità necessarie per

affrontare un dato compito

• il saper agire, ovvero la capacità di mobilitare le proprie risorse

nell’affrontare il compito proposto, e mette in gioco l’attivazione dei processi

logico-cognitivi di base e complessi

• il poter agire, ovvero la sensibilità alle risorse e ai vincoli che il contesto

operativo pone

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• il voler agire, ovvero all’atteggiamento con cui il soggetto si pone di fronte al

lavoro proposto, in riferimento al compito da affrontare, al contesto d’azione,

a se stesso, agli altri soggetti coinvolti.

L’insieme della figura ci restituisce la competenza intesa come capacità di

affrontare un compito di realtà mobilitando le proprie risorse in modo

pertinente alle condizioni del contesto in cui si opera.

Un significato molto vicino a quello contenuto nella Raccomandazione del

Parlamento e del Consiglio Europeo sul Quadro europeo delle Qualifiche e dei

Titoli per l’apprendimento permanente (23 aprile 2008): «La comprovata

capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o

metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale

e/o personale».

In termini operativi la messa a fuoco della competenza si

realizza attraverso la rappresentazione delle dimensioni implicate nel

processo in una mappa concettuale e la successiva elaborazione di una

rubrica valutativa, che consenta di descrivere diversi livelli di padronanza in

rapporto alle dimensioni previste nella mappa.

Si tratta inoltre di ipotizzare una prova di competenza a conclusione del

percorso, ovvero la sollecitazione di una prestazione con la quale si ritiene di

poter apprezzare la competenza maturata dal soggetto.

L’espressione “a ritroso” richiama l’andamento del percorso progettuale

proposto: si parte da alcune domande tipicamente valutative, che sollecitano ad

analizzare la competenza che si intende promuovere, per poi andare a

strutturare il percorso formativo, secondo alcuni passaggi fondanti che

riprenderemo nei prossimi contributi.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

G. Wiggins - J. McTighe, Fare progettazione (2 voll.), Roma, LAS, 2007 (ed. or.

1998).

Note

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Progetti didattici e situazioni problema

A qualificare e conferire identità a un progetto didattico è la situazione-problema

su cui questo si struttura. Situazione che giustifica l’avvio del percorso didattico

e alla cui risoluzione si finalizza l’esito del percorso stesso.

Competenza chiave e situazione-problema rappresentano i due elementi

distintivi del progetto didattico, in un binomio inscindibile nel quale entrambe

si richiamano vicendevolmente.

La competenza si esercita all’interno di una situazione-problema, la situazione-

problema richiede l’esercizio di una competenza.

Se la competenza tende a evidenziare gli scopi del progetto didattico, il

“perché” sul piano formativo, la situazione-problema definisce l’oggetto del

progetto, il “che cosa” deve essere affrontato e risolto.

Si tratta di due dimensioni del progetto fortemente interrelate: affrontare una

situazione-problema per sviluppare una certa competenza, promuovere una

competenza affrontando una determinata situazione-problema.

Possiamo definire la situazione-problema come un problema da risolvere in

un dato contesto operativo, all’interno dei vincoli e delle risorse poste dal

contesto stesso.

È interessante segnalare come il riferimento a una situazione-problema richiami

le caratteristiche distintive del processo apprenditivo in chiave socio-

costruttivista.

Il triangolo intenzione-azione-riflessione ben evidenzia l’approccio connesso

alla risoluzione di un problema, attraverso una regolazione progressiva tra

l’azione del soggetto e lo scopo che persegue, tra il problema posto e i tentativi

messi in atto per affrontarlo.

I vincoli e le risorse fanno riferimento al contesto entro cui si svolge l’azione,

oltre che alle caratteristiche del soggetto, sulla base di un approccio

situazionista attento a collocare la dinamica di apprendimento entro un dato

contesto.

Alcuni autori identificano le situazioni-problema come attività funzionali

all’integrazione di saperi, mettendo in risalto il rapporto tra esse e lo sviluppo di

competenze.

La situazione problematica richiede di mobilitare l’insieme delle risorse di

cui il soggetto dispone per essere affrontata, sia interne che esterne,

attraverso la dialettica tra intenzione da perseguire, riflessione sul proprio agire

e percezione del contesto richiamata prima.

Spinge il soggetto ad esercitare la sua competenza nell’affrontare il problema

posto e a dimostrare un “saper agire” che si qualifica nella capacità di affrontare

un compito mettendo in moto e integrando le proprie risorse personali e

utilizzando le variabili contestuali entro cui si opera.

Un repertorio articolato di situazioni-problema a scopi didattici è proposto

da Roegiers (in Maccario, 2006), interessante per la ricchezza dei

suggerimenti forniti:

• attività a bassa strutturazione, ben delimitate e specifiche

• progetti di classe o compiti complessi, molto aperti

Il denominatore comune è rappresentato proprio dalla nozione di situazione-

problema, ovvero dall’identificazione di un compito problematico su cui

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mobilitare le proprie risorse personali e quelle riconoscibili nel contesto

d’azione.

Oltre al grado di complessità, le diverse attività proposte si differenziano in

rapporto ad altri parametri:

• il carattere individuale o sociale del compito, in quanto alcune attività

possono essere rivolte al singolo allievo mentre altre si rivolgono a gruppi di

allievi o all’intera classe

• la natura disciplinare o multidisciplinare, in quanto alcune attività

afferiscono in modo più specifico a una determinata materia mentre altre

mettono in gioco in modo più evidente vari ambiti di competenza.

Competenze riguardanti la dimensione interna o esterna del compito

proposto, in quanto alcune attività possono essere svolte nell’ambito del

lavoro scolastico, mentre altre si orientano in modo più definito verso contesti

esterni alla scuola.

Si tratta di aspetti che richiamano i connotati propri dell’esercizio di una

competenza presenti in forme più o meno evidenti nelle diverse situazioni-

problema, lungo un continuum che va da proposte ben delimitate e strutturate a

proposte molto aperte e complesse. In tutte possiamo comunque trovare una

sollecitazione del “saper agire” da parte del soggetto, a potenziare non solo ciò

che lo studente sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa.

In realtà non ha senso definire una procedura per scegliere una situazione-

problema in rapporto allo sviluppo di un progetto-didattico funzionale a

promuovere una determinata competenza; possiamo solo ribadire il rapporto

stretto che si viene a stabilire tra competenza e situazione-problema.

Spesso la situazione-problema prende spunto da opportunità già esistenti (un

bando di concorso, la proposta di aderire a un progetto, un problema

contingente, ecc), rilette in chiave didattica per sviluppare un progetto riferito a

una determinata competenza.

Non è neppure scontato che la definizione della situazione-problema avvenga

dopo l’identificazione della competenza chiave su cui lavorare, sebbene sia

logicamente auspicabile: nella pratica le due scelte avvengono spesso

contestualmente, si colgono delle occasioni utili per un lavoro didattico su una

determinata competenza.

Potremmo pensare alla situazione-problema come a un pre-testo che

consente di produrre un testo, un progetto didattico, in rapporto a un

certo scopo, lo sviluppo di una competenza.

La competenza orienta verso una situazione-problema, una situazione-

problema richiama una determinata competenza: i due piani sono fortemente

intrecciati.

La relazione di congruenza tra competenza e situazione-problema è di

fondamentale importanza.

Occorre tenere a mente che la situazione-problema definisce un contesto nel

quale manifestare una determinata competenza: si tratta quindi di valorizzare

la relazione tra contesto e testo, tra situazione problematica e azione da

sviluppare, tra oggetto e scopo del progetto didattico.

All’interno di questa relazione di congruenza si possono definire i criteri in base

ai quali valutare la pertinenza di una determinata situazione-problema per lo

sviluppo di una determinata competenza:

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• viene recuperato il sapere pregresso?

• vengono sollecitati processi cognitivi complessi?

• ci si riferisce a contesti significativi e reali?

• viene stimolato l’interesse degli studenti?

• si offrono differenti percorsi risolutivi?

• vengono sfidate le capacità degli studenti?

Sulla base di tali criteri si può valutare la relazione di congruenza tra

competenza e situazione-problema, avendo consapevolezza del fatto che la

situazione-problema rimane il mezzo, laddove la competenza definisce lo scopo

formativo del progetto didattico.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

D. Maccario, Insegnare per competenze, Torino, SEI, 2006.

Note

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Allenare la competenza

Una volta messo a fuoco il “perché” e il “che cosa” del proprio progetto, si tratta

di precisare il “come” affrontare la situazione-problema proposta in relazione

allo scopo formativo prefissato.

Si tratta di un’operazione tipicamente didattica, volta a individuare le strategie

più appropriate per realizzare un percorso, a scegliere metodologie di lavoro,

allestire setting formativi, decidere quali materiali e strumenti impiegare,

organizzare attività individuali e di gruppo: tutte azioni che qualificano

l’insegnante come specialista della comunicazione didattica.

In relazione allo sviluppo del progetto didattico, oltre alle scelte indicate per la

strutturazione del percorso, risultano essenziali le relazioni tra le diverse fasi di

lavoro e il senso complessivo dell’itinerario proposto.

Potremmo parlare di logica didattica da intendersi come organizzazione di

un percorso rispettoso di quei principi pedagogici che qualificano un

insegnamento per competenze, che sono riconoscibili nei singoli passaggi ma

anche nell’articolazione complessiva del processo didattico:

• considerare i saperi come risorse da mobilitare

• lavorare per situazioni-problema

• condividere progetti formativi con i propri allievi

• adottare una pianificazione flessibile

• praticare una valutazione per l’apprendimento

• andare verso una minore chiusura disciplinare

• convincere gli allievi a cambiare mestiere.

Principi, questi, che formano l’intelaiatura complessiva del progetto, non sono

strettamente riconducibili ai singoli passaggi, ma richiamano una visione

molare, più che molecolare, dell’itinerario didattico.

Da essi occorre partire nella strutturazione del progetto, in modo che le diverse

fasi non siano giustapposte l’una all’altra, bensì si colga la trama che le unisce

e il senso complessivo che conferisce unitarietà al percorso.

Il senso di tale percorso può essere solo didattico, orientato cioè a promuovere

gli apprendimenti che si intendono sviluppare negli allievi.

Anche in questo caso si pone una questione di coerenza tra gli scopi

formativi del progetto, la competenza che si intende promuovere e la

scansione operativa attraverso cui si articola il percorso.

La domanda di fondo attraverso cui analizzare l’impianto complessivo del

progetto e le diverse fasi in cui si articola è: «Sono funzionali al raggiungimento

degli scopi formativi indicati, ovvero allo sviluppo della competenza prescelta?».

Questa relazione di coerenza, paradossalmente, risulta spesso assente o

poco visibile, mentre sul piano didattico rappresenta la questione cruciale con

cui osservare il progetto.

Non si tratta solo di pensare l’apprendimento in termini di competenze,

attraverso l’identificazione della competenza che si intende promuovere e

l’analisi dei processi cognitivi ed extracognitivi implicati nel suo esercizio, ma

anche di progettare l’insegnamento – o, meglio, l’ambiente di apprendimento –

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in funzione dello sviluppo di competenze.

Il rischio è di farsi prendere la mano da intenti non in grado di promuovere quel

“saper agire” essenziale per lo sviluppo di una competenza. È bene prestare

attenzione alla logica complessiva di strutturazione del progetto didattico

inteso come un processo di problem solving applicato alla didattica,

attraverso la messa a fuoco dei passaggi utili agli allievi per prepararsi,

abilitarsi, organizzarsi, realizzare le attività necessarie a risolvere il problema

posto e, di riflesso, a sviluppare la competenza prescelta.

La logica sottesa può essere riassunta nei seguenti passaggi chiave:

• una fase di problematizzazione e di costruzione di senso, che richiama la

funzione attribuita alla situazione problema nel contribuire a creare le

premesse per la realizzazione dell’itinerario didattico

• una fase di allenamento, sviluppo e consolidamento degli apprendimenti

connessi alla competenza che definisce il focus del progetto, sia in termini di

saperi disciplinari (conoscenze e abilità) necessari, sia in termini di processi -

cognitivi, metacognitivi ed extra-cognitivi - connessi alla manifestazione della

competenza

• una fase di integrazione e impiego della competenza che si è contribuito a

sviluppare, attraverso il compito di realtà previsto a conclusione del progetto

(presentazione del lavoro, elaborazione di un manufatto, partecipazione a un

concorso, ecc.);

• una fase finale di riflessione sull’esperienza di apprendimento, attraverso la

rielaborazione di ciò che si è imparato e il trasferimento a contesti differenti.

Pur nella salvaguardia della specificità del singolo progetto, sul piano didattico è

essenziale che si possa riconoscere la logica proposta, in quanto riflette una

prospettiva di processo di apprendimento orientato verso lo sviluppo di

competenze.

In termini operativi può essere utile associare le diverse fasi di lavoro ai

passaggi chiave indicati nella fase di elaborazione del progetto didattico, in

modo da rendere evidente la progressione didattica del percorso e le

relazioni tra i diversi momenti.

Alla fase di macro-progettazione seguirà poi quella di micro-progettazione, in

cui dettagliare le singole fasi individuando metodologie specifiche da impiegare,

i tempi, le attività, i materiali e gli strumenti.

Tutto in una prospettiva di pianificazione strategica e flessibile.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

M. Castoldi, Progettare per competenze, Roma, Carocci, 2011.

Note

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Criteri di qualità dell'azione didattica

Sulla base della prospettiva di apprendimento CSSC, può essere utile dotarsi di

una criteriologia di riferimento utile ad analizzare criticamente le varie proposte

didattiche in relazione alle sfide poste da un approccio per competenze e che

possa fungere da bussola di orientamento per la progettazione di percorsi

didattici.

In base a cosa valutare un progetto didattico?

Come apprezzarne la coerenza e l’integrazione tra le parti?

In che modo riconoscerne il grado d’innovatività sul piano metodologico?

Il punto di partenza della nostra criteriologia sono le sfide poste da un

insegnamento per competenze individuate da Perrenoud e richiamate nel

primo modulo.

Si tratta di dettagliare sul piano metodologico-didattico con maggiore precisione

tali sfide, che l’autore francese propone muovendosi su un piano culturale-

professionale.

Johnassen, fautore di una prospettiva di apprendimento socio-costruttivista,

richiama i requisiti di un ambiente d’apprendimento con queste parole:

«dovrebbe offrire rappresentazioni multiple della realtà, non

semplificandola ma rispettando la sua naturale complessità;

dovrebbe sostenere la costruzione attiva e collaborativa della conoscenza,

attraverso la negoziazione sociale, più che la sua semplice riproduzione;

dovrebbe poi alimentare pratiche riflessive, proponendo compiti autentici e

contestualizzando gli apprendimenti».

Si tratta di una visione dell’ambiente d’apprendimento fortemente agganciata

alla realtà, in cui la conoscenza non è riprodotta ma è costruita, un luogo

virtuale in cui vengono affrontati compiti autentici, basati su casi reali anche

complessi, e in cui coloro che apprendono vengono stimolati a pratiche

riflessive e metacognitive, alla collaborazione con i pari e possono avvalersi di

una varietà di strumenti informativi e di risorse in attività di apprendimento

guidato o di problem solving.

Caratteristiche che vengono ulteriormente specificate da Duffy

Cunningham (1996) attraverso un insieme di linee guida più circostanziate:

• predisporre esperienze che facilitino il processo di costruzione della

conoscenza

• promuovere esperienze di comprensione attraverso molteplici prospettive

• inserire l’apprendimento in contesti realistici e rilevanti

• incoraggiare la padronanza e la libertà nei processi d’apprendimento

• inserire l’apprendimento in un’esperienza sociale

• incoraggiare l’uso di molteplici modalità di rappresentazione

• promuovere l’autoconsapevolezza del processo d’apprendimento.

All’interno di tali premesse Gilbert Paquette propone una tassonomia delle

capacità implicate nell’esercizio di una competenza organizzata intorno a

quattro ambiti:

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• ricevere, per evidenziare la ricezione di un dato sensoriale o concettuale e il

suo immagazzinamento in memoria; le capacità evidenziate riguardano il

prestare attenzione e il memorizzare

• riprodurre, per evidenziare l’utilizzo di schemi procedurali noti in un dato

contesto; le capacità implicate riguardano il precisare, il trasporre e

l’applicare

• produrre, per evidenziare la messa a punto di una risposta originale a una

data situazione; le capacità implicate riguardano l’analizzare, l’adattare e il

sintetizzare

• autogestirsi, per evidenziare l’analisi critica e l’autonoma gestione del

proprio comportamento in rapporto a un determinato contesto d’azione; le

capacità implicate riguardano il valutare e l’autocontrollarsi.

Lo schema proposto da Paquette consente di evidenziare l’integrazione di

risorse che l’esercizio di una competenza richiede, presupposto presente,

seppure con accentuazioni diverse, nella maggioranza delle concettualizzazioni

del costrutto proposte in ambito formativo.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

D. Maccario, A scuola di competenze, Torino, SEI, 2012.

Note

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Oltre la metodologia: setting organizzativo e clima

relazionale

Accanto alle scelte metodologiche ci sono altre dimensioni dell’azione didattica

che ne influenzano la qualità in rapporto allo sviluppo di apprendimento in

chiave socio-costruttivista.

Analizzando il triangolo didattico possiamo infatti individuare alcune dimensioni

dell’insegnamento, ovvero alcuni punti di vista privilegiati da cui osservare

l’evento didattico:

• metodologico-didattica, attenta alle modalità di trasmissione del patrimonio

culturale da parte dell’insegnante, al modo in cui viene gestita la mediazione

tra i soggetti che apprendono e i contenuti culturali oggetto

dell’insegnamento:

‾ quali metodologie utilizza l’insegnante?

‾ quali strategie didattiche attiva?

‾ quali strumenti o materiali?

‾ quali azioni di consolidamento o recupero mette in atto?

Sono tutte domande che tendono ad osservare l’insegnamento come evento

metodologico, spazio di relazione tra soggetti ed oggetti culturali. In questa

prospettiva le diverse metodologie (lezione, apprendimento cooperativo,

didattica per problemi, etc.) divengono dispositivi attraverso cui l’insegnante

mira a connettere determinati allievi – con le loro esperienze, le loro

preconoscenze, i loro stili di apprendimento, etc. – con determinati contenuti

culturali, ciascuno caratterizzato da una propria struttura logica e metodologica.

• relazionale-comunicativa, attenta alla dinamica relazionale che si viene a

determinare tra l’insegnante e gli allievi e alle modalità di gestione di tale

dinamica:

‾ quale stile di conduzione ha l’insegnante?

‾ quale clima relazionale tende ad instaurare in classe?

‾ come valorizza il gruppo e l’apporto dei singoli?

‾ attraverso quali modalità gestisce la comunicazione verbale? e

quella non verbale?

Sono tutte domande che tendono ad osservare l’insegnamento come evento

comunicativo, spazio relazionale tra un insieme di soggetti. Si tratta di una

relazione asimmetrica, strutturata su ruoli ascritti (insegnante e allievo) differenti

per età, status sociale, livello d’esperienza, patrimonio culturale, etc. e, di

conseguenza, fondata su una distribuzione diseguale del potere, con

l’insegnante in posizione “up” e l’allievo in posizione “down”. La qualità della

relazione didattica, pertanto, non si gioca tanto nel renderla simmetrica, in

quanto snaturerebbe le sue caratteristiche strutturali, quanto nel grado di

flessibilità con cui viene gestita l’interazione di tipo asimmetrico, o

complementare, tra insegnante e allievo. Ciò che cambia tra le due situazioni è

la maggiore o minore rigidità con cui viene gestita la relazione da parte

dell’insegnante, in quanto soggetto a cui è ascritto il governo dell’interazione.

Una relazione flessibile implica, ad esempio, situazioni in cui si possa

D.2

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trascendere la complementarietà e superare dinamiche relazionali stereotipate

(ad esempio condividendo esperienze che oltrepassano la relazione

insegnante-allievo tipica della dinamica d’aula), possibilità di variare i setting

relazionali entro cui sviluppare la comunicazione didattica (attività di laboratorio,

situazioni extrascolastiche, confronto aperto, etc.), occasioni di sviluppo di una

responsabilità condivisa nella gestione della relazione attraverso un

potenziamento dell’autonomia dell’allievo, forme di valorizzazione dell’allievo e

di considerazione del suo punto di vista. La qualità della relazione comunicativa

tra insegnante e allievo si misura, quindi, in rapporto al grado di flessibilità con

cui l’insegnante gestisce la dinamica di interazione strutturalmente asimmetrica

con i propri allievi.

• organizzativa, attenta alla predisposizione del setting formativo entro cui

agire l’azione didattica:

‾ come è strutturata l’aula?

‾ i materiali sono accessibili agli allievi?

‾ come viene gestito il tempo?

‾ in base a quali regole viene condotta l’attività scolastica?

Sono tutte domande che tendono ad osservare l’insegnamento come evento

organizzativo, in quanto contesto specificamente dedicato all’apprendimento.

Il setting formativo è costituito dall’insieme delle variabili che definiscono il

contesto entro cui si svolge la relazione formativa. Tra i più significativi

possiamo ricordare:

• lo spazio, contenitore fisico e materiale entro cui si realizza l’insegnamento.

Entrando in una classe, il modo in cui è organizzato lo spazio, la disposizione

dei banchi, l’uso delle pareti, la posizione della cattedra sono elementi che ci

veicolano immediatamente un certo modo di pensare l’insegnamento e una

determinata cultura didattica. Si tratta di un insieme di elementi che

condizionano l’azione didattica e la stessa relazione educativa che si esercita

in quel determinato spazio

• il tempo, struttura cronologica entro cui viene agita l’azione di insegnamento.

La suddivisione della giornata in ore o in periodi temporali più distesi, la

distribuzione del lavoro didattico nell’arco della giornata, l’alternanza delle

diverse attività, l’organizzazione dell’orario settimanale sono tutti elementi

che influenzano le modalità del lavoro didattico e che veicolano significati

educativi ai diversi attori coinvolti nella relazione formativa

• le regole, insieme di norme implicite ed esplicite che regolamentano la vita

della classe e lo svolgimento dell’azione didattica. Come ogni gruppo sociale

anche la classe deve darsi un sistema di regole per il suo funzionamento,

molte sono determinate dall’organizzazione scolastica più complessiva (e

richiamano, quindi, il meso-contesto), altre sono definite nell’aula e

riguardano le modalità di relazione, l’uso dello spazio e dei materiali, le

modalità di spostamento e i movimenti, i ruoli e i compiti, etc.;

• gli attori, come insieme dei soggetti coinvolti nella relazione didattica. Quella

che abbiamo finora chiamato relazione docente-allievi può assumere diverse

fisionomie sia in relazione al ruolo docente (presenza di uno o più docenti,

presenza di insegnante di sostegno, facilitatore o altro), sia in relazione agli

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allievi (attività individuale, raggruppamento in piccoli gruppi, gestione del

gruppo intero, etc.), sia in relazione ad altre figure presenti (genitori, esperti,

personale non docente, etc.);

• i canali comunicativi attraverso cui avviene la relazione didattica.

Rimanendo in una situazione formativa in presenza, escludendo quindi forme

di interazione a distanza, possiamo riconoscere forme di interazione giocate

esclusivamente sull’uso del codice orale oppure l’integrazione dell’interazione

orale con il codice scritto (cartelloni, parole chiave, …), con il codice visivo

(immagini, slide, filmati, …), con altri codici (musicale, gestuale, …).

La modalità di gestione dei fattori indicati, infatti, incide fortemente sui significati

dell’esperienza formativa e sulle valenze emotive ed affettive che tale

esperienza assume per i diversi attori; pensiamo a quanto sia differente

lavorare in un’aula con i banchi separati e disposti in file, piuttosto che a ferro di

cavallo o disposti a piccoli gruppi…

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

M. Castoldi, Didattica generale, Firenze, Mondadori Education, 2010.

Note

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Repertorio di metodologie didattiche innovative

Sono molteplici le metodologie coerenti con una prospettiva d’apprendimento

socio-costruttivista e rispondenti ai criteri di qualità indicati nei contributi

precedenti. A puro scopo esemplificativo ne proponiamo un elenco aperto:

• approccio induttivo

• apprendimento cooperativo

• gioco di ruolo

• apprendistato cognitivo

• approcci metacognitivi

• soluzione di problemi reali

• studi di caso

• approcci narrativi

• digital story telling

• approcci dialogici

• approcci autobiografici

• brainstorming

• apprendimento servizio.

Rinviando alla bibliografia d’approfondimento per un’analisi delle diverse

metodologie può essere utile evidenziare alcuni denominatori comuni nella

diversità delle proposte citate:

• ruolo indiretto affidato all’insegnante, la cui funzione si caratterizza per

la predisposizione di un ambiente d’apprendimento coerente con le

singole proposte metodologiche, più che come trasmettitore di saperi

• protagonismo dello studente a cui è affidata la costruzione del proprio

apprendimento attraverso un processo di scoperta guidato da un insieme di

supporti.

• approccio euristico all’apprendimento, centrato su un problema da

affrontare più o meno esplicitamente evidenziato a seconda degli approcci

metodologici

• valorizzazione della dimensione sociale dell’apprendimento, più o meno

al centro del processo d’apprendimento in rapporto ai diversi approcci

• riferimento a contesti specifici nei quali sviluppare il processo di

apprendimento, attraverso un passaggio dal particolare al generale.

Come si può notare si tratta di un richiamo, più o meno diretto, agli attributi

dell’apprendimento CSSC.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

M. Castoldi, Progettare per competenze, Roma, Carocci, 2011.

D.3

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Verso un apprendimento CSSC

Negli ultimi decenni si è progressivamente affermato un paradigma di

apprendimento da assumere come riferimento fondante su cui strutturare una

didattica per competenze.

Tale paradigma nasce nel solco dell’approccio cognitivista, che aveva già

spostato il baricentro sui processi interni al soggetto piuttosto che sui

comportamenti manifesti, e fa tesoro del patrimonio di ricerca e di elaborazione

culturale maturato su questo terreno in chiave socio-costruttivista.

Prendendo a prestito l’espressione affermatasi in campo internazionale

possiamo sintetizzare tale paradigma con l’espressione CSSC learning, sintesi

dei caratteri che lo contraddistinguono:

• costruttivo (constructive)

• autoregolato (self-regulated)

• situato (situated)

• collaborativo (collaborative).

L’attributo che più di altri lo contraddistingue è quello di costruttivo, a denotare

un processo di apprendimento inteso come ricostruzione di quanto il soggetto

già conosce, rielaborazione degli schemi mentali e delle conoscenze

pregresse.

L’approccio costruttivista si qualifica per un superamento definitivo

dell’antinomia soggetto/oggetto che ha da sempre contraddistinto la ricerca

sull’apprendimento, nell’opposizione tra visioni oggettiviste centrate sulla realtà

esterna, in base a una concezione dell’apprendimento come adeguamento del

soggetto a essa, e visioni soggettiviste centrate sulla realtà interna, in base a

una concezione dell’apprendimento come evoluzione delle strutture mentali del

soggetto.

Con il costruttivismo si afferma definitivamente la natura relazionale della

conoscenza, come interazione dialettica tra il soggetto che conosce e

l’oggetto della conoscenza, e il suo carattere dinamico, di progressiva

evoluzione generata dalla dialettica indicata.

Il concetto di “cambiamento concettuale” ben esprime queste caratteristiche, a

partire dal principio – già presente in Piaget, Ausubel e nel cognitivismo più

recente – che la dinamica di apprendimento si caratterizza per una progressiva

sintonizzazione tra i modelli mentali del soggetto e i contenuti della conoscenza,

tra la struttura psicologica del soggetto e la struttura logica della

conoscenza: l’apprendimento è un dare senso al mondo, integrando e

sintetizzando le nuove esperienze.

Ciò evidenzia un secondo attributo dell’apprendimento CSSC, ovvero il

carattere autoregolato, che sottolinea il ruolo attivo del soggetto nel gestire il

processo di costruzione della conoscenza, anche in relazione con i bisogni del

contesto di vita. I processi d’indirizzo, gestione e monitoraggio d’acquisizione

della conoscenza divengono cruciali per l’efficacia dell’apprendimento,

sottolineando la funzione chiave del livello meta-cognitivo nel dirigere il proprio

percorso apprenditivo, non solo in relazione alle dimensioni cognitive

dell’apprendere, ma anche a quelle affettive e volitive.

D.4

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Un terzo attributo riguarda il suo carattere situato, ovvero il suo ancoraggio al

contesto e al contenuto specifico delle attività che lo genera.

All’origine di tale sviluppo troviamo il contributo di uno studioso russo, Leont’ev,

in riferimento al ruolo giocato dall’azione – oltre che dal linguaggio – nello

sviluppo di abilità complesse.

La stessa prospettiva lewiniana della ricerca/azione rafforza la natura situata

della conoscenza nell’evidenziare come la dinamica dei processi sociali derivi

sempre dalle relazioni che si stabiliscono tra il soggetto e il contesto sociale

entro cui agisce.

Nella stessa direzione si orienta il contributo della psicologia culturale

bruneriana, attenta a mettere in evidenza il ruolo che i sistemi simbolico-

culturali giocano nello sviluppo della conoscenza individuale, sulla base di una

dinamica evolutiva tra pensiero individuale e contesto socio-culturale.

Ultimo attributo che connota il paradigma di apprendimento è quello

di collaborativo, a denotare il ruolo fondamentale che il contesto relazionale e

culturale gioca nel processo di costruzione della conoscenza del soggetto.

A partire dai contributi pionieristici di Vygotskij sul pensiero come dialogo

interiorizzato e il conseguente valore dei processi interpersonali e

intrapersonali nello sviluppo del soggetto, si è progressivamente messo a fuoco

il ruolo cruciale dell’interazione sociale e dei modelli culturali entro cui si

sviluppa la costruzione dell’apprendimento.

I processi di pensiero vengono considerati il risultato delle interazioni personali

in contesti sociali (piano interpsicologico) e dell’appropriazione della

conoscenza costruita socialmente (piano intrapsicologico).

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

B.M. Varisco, Costruttivismo socio-culturale, Roma, Carocci, 2002.

Note

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Critiche alla valutazione tradizionale

Il costrutto della competenza comporta un processo di radicale revisione della

valutazione degli apprendimenti in ambito scolastico, evidente dai primi anni ‘80

nei paesi di lingua inglese, attraverso lo sviluppo di molteplici prospettive

valutative, accomunate da una critica profonda alle modalità valutative

tradizionalmente impiegate nei contesti scolastici, con particolare attenzione

all’uso inflazionato di test e prove strutturate.

Le modalità valutative tradizionali si limitano ad accertare i processi

cognitivi più semplici ed elementari, in quanto congruenti con le

caratteristiche delle prove strutturate, mentre non sono in grado di

apprezzare abilità più complesse quali i processi di analisi e sintesi,

la riflessione critica, soluzioni creative e originali a problemi aperti, etc.

Ciò determina uno schiacciamento del processo formativo su un sapere di tipo

riproduttivo, a scapito di modalità elaborative e strategiche, in una sorta di

circolo vizioso tra percorsi valutativi ed insegnativi. In questo modo il sapere

scolastico tende a rimanere «inerte», incapsulato nel contesto scuola e

incapace di connettersi a situazioni di realtà, con conseguenti riflessi sulla

significatività dell’esperienza scolastica e la motivazione degli studenti nei suoi

confronti.

Tale incapsulamento si ripercuote anche sulla valutazione, che tende a basarsi

su compiti astratti e decontestualizzati, incapaci di agganciarsi a contesti reali e

significativi e comprensibili solo nel contesto della cultura scolastica.

La valutazione tradizionale impiega quasi esclusivamente prove individuali,

in sintonia con un analogo approccio al processo di apprendimento centrato

sul rapporto «privato» tra lo studente e il sapere. Viene attribuito scarso

rilievo a prove di gruppo, richiedenti un’elaborazione e uno sforzo collettivo, e –

di conseguenza– ai correlati processi di comunicazione sociale, di confronto

culturale e di collaborazione, particolarmente cruciali nei contesti professionali e

nelle situazioni reali. Un’altra sua caratteristica è di rimanere implicita nei suoi

criteri e di basare la sua credibilità sulla segretezza delle prove richieste e

l’assenza di opportunità di comunicare con altri o di avvalersi di strumenti

di consultazione e di supporto (testi, appunti, sussidi). Ciò evidenzia come,

aldilà delle affermazioni di principio e delle dichiarazioni di intenti, la funzione

prevalente della valutazione scolastica rimanga quella di classificare gli studenti

in rapporto alla qualità delle loro prestazioni e in particolare in alcuni ordini di

scuola a selezionarli attraverso il successo scolastico. Si tende così a

perpetuare una netta separazione tra momento formativo e valutativo,

impedendo a quest’ultimo di sviluppare la sua funzione promozionale e

orientativa in rapporto al processo di apprendimento. Un’altra separazione

tipica della valutazione tradizionale è quella tra i ruoli di valutatore e di

valutato, relegando lo studente a una funzione passiva di mero oggetto del

processo valutativo con una contestuale deresponsabilizzazione da parte

dello studente nei confronti della sua valutazione, avvertita come estranea e

minacciosa, evidente nel fiorire di strategie di sopravvivenza tipiche della

cultura scolastica (copiare, aggirare gli ostacoli, «fregare» l’insegnante, etc.).

Le critiche mosse alla valutazione tradizionale e in particolare alla pratica del

testing costituiscono il retroterra da cui muovono i contributi orientati a delineare

una nuova idea di valutazione, in una prospettiva valutativa più autentica e

dinamica. Le due proprietà essenziali della valutazione educativa divengono

V.1

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l’ancoramento a compiti autentici e significativi e l’opportunità di feedback

immediati per studenti ed insegnanti. Da qui un diverso rapporto tra il

processo formativo e valutativo, da intendersi come momenti intrecciati in

continuo dialogo tra loro, e una distribuzione della responsabilità

valutativa tra i diversi attori del processo formativo.

Un insieme di parole chiave connota la nuova filosofia valutativa e ne marca

inequivocabilmente la distanza con le pratiche valutative tradizionali:

la significatività delle prestazioni richieste in rapporto ai traguardi di

apprendimento che qualificano il curriculum scolastico e la formazione delle

nuove generazioni, in contrasto con la valenza quasi esclusivamente

riproduttiva che caratterizza le prestazioni richieste dalla valutazione

tradizionale

l’autenticità dei compiti valutativi in rapporto ai contesti e ai problemi posti

dal mondo reale, in contrasto con il carattere astratto e artificioso delle

attività proposte dalla valutazione tradizionale

la processualità della valutazione nel cogliere il nesso inestricabile tra la

prestazione e la modalità che l’ha generata, in contrasto con l’esclusiva

attenzione al prodotto di apprendimento tipico della valutazione tradizionale

la responsabilità affidata allo studente nella conduzione del processo

valutativo, attraverso il suo coinvolgimento nelle diverse fasi valutative e

l’incoraggiamento di forme autovalutative, in contrasto con la natura

deresponsabilizzante della valutazione tradizionale

la promozionalità dell’azione valutativa in rapporto allo sviluppo del

processo formativo e al conseguimento dei suoi risultati, in contrasto con il

valore classificatorio e selettivo della valutazione tradizionale

la ricorsività tra momento formativo e valutativo, per la quale il secondo

diventa parte integrante e «strumento d’intelligenza del primo», in contrasto

con la tradizionale separazione presente nella valutazione tradizionale

la dinamicità della valutazione, pensata come processo di

accompagnamento attento al riconoscimento e alla valorizzazione del

potenziale di sviluppo dello studente, in contrasto con il carattere statico

della valutazione tradizionale

la globalità del momento valutativo, attento all’integrazione tra le diverse

dimensioni del processo di sviluppo (cognitive, sociali, emotive, conative), in

contrasto con la natura analitica e riduzionistica della valutazione tradizionale

la multidimensionalità del processo valutativo, come combinazione di

molteplici fonti di dati e prospettive di lettura dell’evento formativo, in

contrasto con il carattere monodimensionale della valutazione tradizionale.

Dalle parole chiave si generano le sfide più suggestive ai significati e alle

pratiche valutative in ambito scolastico:

• puntare a compiti valutativi più autentici, capaci non solo di accertare il

possesso di conoscenze e abilità da parte degli studenti, ma anche la loro

capacità di usare tale sapere per affrontare situazioni nel loro contesto di

realtà

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• promuovere una maggior responsabilizzazione dello studente nel

processo valutativo, riconoscendogli un ruolo attivo di soggetto della

valutazione e non solo di oggetto, aiutandolo così a riconoscere i significati e

le potenzialità formative insite nel valutare;

• integrare la valutazione del prodotto della formazione, la parte emersa

dell’iceberg, con quella del processo formativo, la parte sommersa

dell’iceberg. Il «che cosa si apprende» con il «come si apprende», in modo

da recuperare la globalità e la complessità dell’esperienza di apprendimento

• oltrepassare i confini disciplinari della valutazione, valorizzando le

dimensioni trasversali dell’apprendimento attraverso la messa a fuoco delle

competenze chiave

• riconoscere e sviluppare la valenza metacognitiva sottesa al processo

valutativo, in quanto opportunità di consapevolezza del proprio apprendere e

di presa di coscienza dei propri limiti e delle proprie potenzialità.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

M. Castoldi, Valutare a scuola, Roma, Carocci, 2012.

Note

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Il principio di triangolazione

Pensare la valutazione degli apprendimenti in termini di competenze richiede di

fare i conti con la loro natura polimorfa e con la compresenza di più dimensioni

da mobilitare per affrontare una determinata situazione problematica e di

evitare l’adozione di un'unica prospettiva di osservazione del fenomeno e di

attivare e combinare tra loro più prospettive di analisi capaci, nella

complementarietà, di restituirci un’immagine integrata della competenza del

soggetto.

Il principio metodologico è quello di triangolazione, tipico delle metodologie

qualitative, per il quale la rilevazione di una realtà complessa comporta

l’attivazione e il confronto di più livelli di osservazione per consentire

una ricostruzione pluriprospettica dell’oggetto di analisi.

Occorre osservare il nostro oggetto di analisi da molteplici prospettive e tentare

di comprenderne l’essenza attraverso il confronto tra i diversi sguardi che

esercitiamo, la ricerca delle analogie e delle discordanze che li

contraddistinguono.

Il riconoscimento delle interazioni tra soggetto e oggetto di osservazione,

proprio della ricerca qualitativa, comporta l’accettazione di più prospettive di

analisi di un fenomeno, da assumere come punto di forza della ricerca, e non

come limite, a partire da un processo di confronto sistematico tra le diverse

prospettive e di ricerca di somiglianze e differenze su cui strutturare il

processo interpretativo.

Partendo dal principio di triangolazione si può riconoscere una prospettiva

trifocale da cui osservare lo sviluppo della competenza nel soggetto, un ideale

triangolo di osservazione che assuma come baricentro l’idea stessa di

competenza su cui si basano i differenti punti di vista.

Sulla scorta di una proposta avanzata da Pellerey (2004), le tre prospettive di

osservazione della competenza sono riferibili a una dimensione soggettiva,

intersoggettiva e oggettiva.

La dimensione soggettiva:

• richiama i significati attribuiti dal soggetto alla sua esperienza di

apprendimento: il senso assegnato al compito operativo su cui manifestare la

propria competenza e la percezione della propria adeguatezza

nell’affrontarlo, delle risorse da mettere in campo e degli schemi di pensiero

da attivare.

• implica un’istanza autovalutativa connessa al modo con cui l’individuo

osserva e giudica la sua esperienza di apprendimento e la sua capacità di

rispondere ai compiti richiesti dal contesto di realtà in cui agisce.

• si struttura intorno a domande così formulabili: «come mi vedo in rapporto

alla competenza che mi viene richiesta? Mi ritengo adeguato ad affrontare i

compiti proposti? Riesco ad impiegare al meglio le mie risorse interne e

quelle esterne?»

La dimensione intersoggettiva:

• richiama il sistema di attese, implicito o esplicito, che il contesto sociale

esprime in rapporto alla capacità del soggetto di rispondere adeguatamente

al compito richiesto

V.2

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• riguarda le persone a vario titolo coinvolte nella situazione in cui si manifesta

la competenza e l’insieme delle loro aspettative e delle valutazioni espresse.

Nel setting scolastico tale contesto si compone degli insegnanti, in primo

luogo, i quali esplicitano le loro attese formative attraverso l’individuazione

dei traguardi formativi per i propri allievi. Oltre a questi può essere opportuno

considerare le percezioni del gruppo degli allievi, delle famiglie, dei docenti

degli ordini di scuola successivi, dei rappresentanti del mondo professionale

o della comunità sociale, a seconda delle caratteristiche del processo

apprenditivo esplorato.

• implica un’istanza sociale connessa al modo in cui i soggetti appartenenti alla

comunità sociale dove avviene la manifestazione della competenza

percepiscono e giudicano il comportamento messo in atto.

• si struttura intorno a domande così formulabili: «quali aspettative sociali vi

sono in rapporto alla competenza richiesta? In che misura tali aspettative

vengono soddisfatte dai comportamenti e dalle prestazioni messi in atto? Le

percezioni dei diversi soggetti sono congruenti tra loro?»

La dimensione oggettiva:

• richiama le evidenze osservabili che attestano la prestazione del soggetto e i

suoi risultati, in rapporto al compito affidato e in particolare alle conoscenze e

alle abilità che la manifestazione della competenza richiede.

• implica un’istanza empirica connessa alla rilevazione in termini osservabili e

misurabili del comportamento del soggetto in elazione al compito assegnato

e al contesto operativo entro cui si trova ad agire.

• si struttura intorno a domande così formulabili: «quali prestazioni vengono

fornite in rapporto ai compiti assegnati? Di quali evidenze osservabili si

dispone per documentare l’esperienza di apprendimento e i suoi risultati? In

quale misura le evidenze raccolte segnalano una padronanza nel rispondere

alle esigenze individuali e sociali poste dal contesto sociale?».

Al centro delle tre prospettive possiamo collocare l’idea di competenza su cui

si fonda la valutazione, l’insieme dei significati condivisi in merito alla

competenza che si vuole rilevare da parte dei diversi soggetti coinvolti e delle

molteplici prospettive di analisi.

Tale condizione risulta irrinunciabile per assicurare coerenza alla prospettiva

trifocale. In sua assenza da ogni punto di vista si tenderebbe a osservare

aspetti differenti, rendendo improduttivo e inaffidabile il confronto successivo.

Il presupposto della prospettiva trifocale consiste nella messa a fuoco dell’idea

di competenza oggetto dell’analisi e nella esplicitazione condivisa dei suoi

significati essenziali.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

M. Castoldi, Valutare le competenze, Roma, Carocci, 2009.

Note

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Repertorio di strumenti valutativi

Le tre prospettive di analisi indicate richiedono strumentazioni differenti, da

integrare e comporre in un disegno valutativo plurimo e articolato.

Ciascuna di esse, in rapporto alla propria specificità, può servirsi di dispositivi

differenti per poter essere rilevata e compresa.

Lo schema proposto sintetizza un repertorio di strumenti e materiali valutativi

che possono essere messi in gioco.

Nelle specifiche situazioni si tratterà di selezionare quali strumenti

effettivamente impiegare, nel sostanziale rispetto del principio di triangolazione

sotteso, in rapporto alle diverse prospettive di analisi proposte.

Per la dimensione soggettiva ci si può riferire a forme di autovalutazione,

attraverso cui coinvolgere il soggetto nella ricostruzione della propria

esperienza di apprendimento e nell’accertamento della propria competenza.

I diari di bordo, le autobiografie, i questionari di autopercezione, i giudizi

più o meno strutturati sulle proprie prestazioni e sulla loro adeguatezza in

rapporto ai compiti richiesti sono tra le forme autovalutative più diffuse e

accreditate, anche in ambito scolastico.

Si tratta di dispositivi finalizzati a raccogliere e documentare il punto di vista del

soggetto sulla propria esperienza d’apprendimento e su risultati raggiunti,

anche come opportunità per rielaborare il proprio percorso apprenditivo e per

accrescere la consapevolezza di sé.

Qualsiasi stimolo o materiale che aiuti a rispondere alla domanda «come mi

vedo in rapporto alla competenza che mi viene richiesta?» si colloca nella

prospettiva autovalutativa che caratterizza questo primo punto di osservazione.

Riguardo alla dimensione intersoggettiva ci si può riferire a modalità

di osservazione e valutazione delle prestazioni del soggetto da parte

degli altri soggetti implicati nel processo formativo: gli insegnanti, in primis, gli

altri allievi, i genitori, altre figure che interagiscono con il soggetto in formazione

e hanno l’opportunità di osservarlo in azione.

In merito agli strumenti, questi possono spaziare da protocolli di

osservazione - strutturati e non strutturati - a questionari o interviste intesi a

rilevare le percezioni dei diversi soggetti, da note e commenti valutativi a

forme di codificazione dei comportamenti osservati nel soggetto in formazione.

Si tratta di dispositivi rivolti agli altri attori coinvolti nell’esperienza di

apprendimento - docenti, genitori, gruppo dei pari, interlocutori esterni - e

orientati a registrare le loro aspettative verso la competenza del soggetto e le

relative osservazioni e giudizi sui processi attivati e i risultati raggiunti.

Qualsiasi stimolo o materiale che aiuti a rispondere alla domanda «come

viene visto l’esercizio della competenza del soggetto da parte degli altri

attori che interagiscono con lui?» si colloca nella prospettiva eterovalutativa

che caratterizza questo secondo punto di osservazione.

Riguardo alla dimensione oggettiva ci si può riferire a strumenti di analisi

delle prestazioni dell’individuo in rapporto allo svolgimento di compiti

operativi: prove di verifica, più o meno strutturate, compiti di realtà richiesti

al soggetto, realizzazione di manufatti o prodotti assunti come espressione di

competenza, selezione di lavori svolti nell’arco di un determinato processo

formativo rappresentano esempi di strumentazioni utilizzabili.

V.3

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Si tratta di dispositivi orientati a documentare l’esperienza di apprendimento,

sia nelle sue dimensioni processuali, attente a come il soggetto ha sviluppato la

sua competenza, sia nelle sue dimensioni prestazionali, attente a che cosa il

soggetto ha appreso e al grado di padronanza raggiunto nell’affrontare

determinati compiti.

Qualsiasi stimolo o materiale che aiuti a rispondere alla domanda «di quali

evidenze osservabili dispongo per documentare la competenza del

soggetto in formazione?» si colloca nella prospettiva empirica che

caratterizza questo terzo punto di osservazione.

Al centro delle tre dimensioni, rispetto all’idea di competenza intorno a cui

ruotano i diversi strumenti e punti di vista, si pone la rubrica valutativa, come

dispositivo attraverso il quale viene esplicitato il significato attribuito alla

competenza oggetto di osservazione e precisati i livelli di padronanza attesi in

rapporto a quel particolare soggetto o insieme di soggetti.

La rubrica costituisce il punto di riferimento comune ai diversi

materiali relativi alle tre dimensioni di analisi e assicura unitarietà e

coerenza all’intero impianto di valutazione.

Ciascuno degli strumenti richiamati in precedenza rappresenta idealmente una

declinazione operativa, pensata in rapporto a uno specifico soggetto e a un

determinato punto di osservazione, dell’idea di competenza condensata nella

rubrica valutativa.

Come abbiamo già ricordato solo questa condizione giustifica e legittima

l’impianto plurale di valutazione proposto.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

M. Lichtner, Valutare l’apprendimento: teorie e metodi, Milano, Angeli, 2004.

Note

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Valutazione per l'apprendimento

Negli ultimi anni si è assistito a un profondo ripensamento delle modalità di

valutazione didattica, che si è riflesso sia nelle tecniche e negli strumenti

valutativi, sia nella «filosofia» con cui pensare il momento della valutazione e le

sue relazioni con il processo di insegnamento/apprendimento.

Sintesi di tali cambiamenti è l’espressione «valutazione per

l’apprendimento», coniata da un gruppo di lavoro sulla riforma della

valutazione nel Regno Unito in opposizione alla locuzione «valutazione

dell’apprendimento».

Con quest’ultima si assegna all’atto valutativo la funzione di accertare e

certificare socialmente gli esiti di apprendimento conseguiti dall’allievo nella sua

esperienza scolastica, con la prima si assume la valutazione come risorsa

formativa utile a orientare e promuovere il processo di apprendimento.

P. Black e D. Wiliam, con valutazione per l’apprendimento, intendono «tutte

quelle attività intraprese dagli insegnanti e/o dagli allievi che forniscono

informazioni da utilizzare come feedback per modificare le attività di

insegnamento/apprendimento in cui sono impegnati»1.

Il loro valore si fonda su alcune premesse legate al processo di

apprendimento, che risulta più efficace se gli alunni:

• comprendono con chiarezza che cosa ci si aspetta da loro

• ricevono un feedback sulla qualità del proprio lavoro

• ricevono consigli su come procedere per raggiungere i traguardi condivisi

• sono coinvolti nell’esperienza di apprendimento, in un clima di fiducia e di

supporto.

Da qui alcuni orientamenti che qualificano l’impiego della valutazione in chiave

formativa o formante:

• la condivisione dei criteri valutativi da parte di insegnanti, genitori, allievi

• l’opportunità di discutere sulla propria esperienza di apprendimento con

l’insegnante e con i pari

• un feedback costante sui propri processi ed esiti di apprendimento

• la promozione di strategie autovalutative e di valutazione tra pari

• l’impiego di un’ampia gamma di prove e strumenti

di osservazione e registrazione dei propri progressi

• modalità e strumenti per una documentazione ragionata dei processi di

apprendimento

• verifiche personalizzate in funzione dei percorsi e delle esigenze individuali

• il coinvolgimento dei genitori nel processo di apprendimento e nella sua

valutazione

Il principio di fondo della valutazione per l’apprendimento richiama il valore dei

processi metacognitivi come strumenti di consapevolezza e controllo del proprio

apprendimento.

V.4

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CURRICOLO

In tale prospettiva la valutazione diviene una formidabile opportunità per

sollecitare e potenziare l’attività metacognitiva, per «apprendere ad

apprendere».

Si tratta di un vero e proprio ripensamento del ruolo e dei significati del

momento valutativo, che inevitabilmente si riflette anche sui modi di pensare

l’apprendimento e l’insegnamento.

I tre momenti, infatti, non possono essere separati e disgiunti.

Ripensamento particolarmente significativo nel caso di allievi con disabilità o

difficoltà di apprendimento, per i quali il momento della valutazione diviene

ancor più problematico e potenzialmente fecondo.

1 P. Weeden - J. Winter - P. Broadfoot, Valutazione per l’apprendimento,

Trento, Erickson, 2009.

Note

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Competenze chiave e curricolo a matrice

Il riferimento alle competenze chiave, come perno su cui sviluppare i traguardi

formativi di un curricolo per competenze del primo ciclo di istruzione, non può

comportare una rimozione del ruolo delle discipline.

Come sappiamo il curricolo scolastico rimane centrato sui saperi disciplinari,

anche e soprattutto nei suoi risvolti organizzativi (vedi articolazione dell’orario

scolastico e suddivisione dei docenti in cattedre nella scuola secondaria),

pertanto occorre prestare attenzione alla identificazione dei traguardi formativi

di tipo disciplinare. Sul piano del merito i due livelli – quello delle competenze

trasversali e quello dei traguardi disciplinari – non sono in opposizione, bensì

risultano complementari a partire dal ruolo che le discipline hanno

di strumenti culturali per lo sviluppo e la manifestazione delle

competenze.

Nella prassi scolastica, invece, i due livelli rischiano di confliggere,

determinando una frattura tra curricolo delle discipline e curricolo dei progetti.

Il rischio è assumere le competenze chiave come una sorta di sovrastruttura

che funge da «cappello» ai traguardi disciplinari, che rimangono l’effettivo

baricentro del curricolo. In questa proposta il baricentro è

stato spostato «senza se e senza ma» verso le competenze chiave, come

dimostra la centralità assegnata alle rubriche valutative; si tratta di correlarle

con i traguardi disciplinari in modo da recuperare una prospettiva unitaria del

curricolo, evitando che rimangano soltanto un ornamento a un curricolo che

rimane centrato sulle discipline.

Un punto cruciale, sia sul piano teorico sia negli sviluppi operativi, riguarda

proprio il rapporto tra le competenze e i saperi disciplinari. Aldilà del

controverso e interminabile dibattito sulla possibilità o meno di definire traguardi

di competenza all’interno delle singole discipline, risulta indubitabile che la

prospettiva di apprendimento veicolata dalla competenza tenda a superare i

confini dei saperi disciplinari.

Oltre alle risorse cognitive che rinviano in modo diretto a questi, le dimensioni

processuali della competenza, di ordine logico-cognitivo, socio-relazionale e

emotivo, tendono a travalicare le singole discipline e a riproporsi nei diversi

campi di sapere.

Il compito fondamentale che l’irrompere delle competenze pone al mondo

scolastico richiede di ricondurre i saperi disciplinari al loro del ruolo di

strumenti per la formazione soggetto, piuttosto che di fini in sé. Occorre

riportare le discipline al ruolo per cui si sono originate e sviluppate nella storia

dell’umanità: fornire strumenti culturali per comprendere e affrontare la realtà

naturale e sociale.

Solo in questo modo è possibile assumere le competenze chiave di

cittadinanza non solo come orpello che abbellisce una proposta formativa

schiacciata sulle discipline, bensì come analizzatori dell’intera proposta

formativa, in rapporto ai quali precisare e strutturare il contributo che i vari

saperi disciplinari possono fornire al loro sviluppo.

Le competenze chiave vengono proposte come la trama unitaria della

proposta curricolare, «dentro», non sopra o sotto, cui innestare i traguardi

disciplinari.

C.1

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Da questa scelta discende la struttura a matrice, che mira ad incrociare i traguardi

disciplinari con le competenze chiave. Al fine di mantenere una visione d’insieme

della proposta formativa, l’identificazione dei traguardi disciplinari richiama i

«traguardi per lo sviluppo delle competenze» proposti nelle Indicazioni nazionali, in

quanto riferimento più proprio, a partire dalla stessa denominazione proposta, per

sviluppare la matrice.

Come precisa il testo delle Indicazioni, tali traguardi «rappresentano dei riferimenti

ineludibili per gli insegnanti, indicano piste culturali e didattiche da percorrere e

aiutano a finalizzare l’azione educativa allo sviluppo integrale dell’allievo», inoltre «i

traguardi costituiscono criteri per la valutazione delle competenze attese e, nella

loro scansione temporale, risultano prescrittivi».

Nel testo delle Indicazioni l’identificazione dei traguardi avviene al termine dei

tre gradi scolastici - fine scuola infanzia, fine scuola primaria, fine scuola

secondaria di primo grado - pertanto si prevede l’elaborazione di tre matrici per

ciascuno dei momenti indicati.

L’intento è quello di rappresentare in modo efficace il contributo che le diverse

discipline possono fornire allo sviluppo delle diverse competenze chiave.

Ovviamente si potrebbe sviluppare in modo più analitico tale contributo, articolando

meglio i traguardi disciplinari e puntando a riconoscere relazioni più specifiche non

solo in rapporto alle competenze chiave, ma alle dimensioni che le compongono.

Si propone un esempio relativo alla competenza chiave «spirito d’iniziativa e

imprenditorialità» e ai traguardi per lo sviluppo delle competenze di fine scuola

primaria.

SPIRITO D’INIZIATIVA E IMPRENDITORIALITÀ

GEOGRAFIA Utilizza il linguaggio della geograficità per interpretare

carte geografiche, realizzare semplici schizzi

cartografici e carte tematiche, progettare percorsi e

itinerari di viaggio.

MATEMATICA Riconosce e quantifica, in casi semplici, situazioni di

incertezza.

SCIENZE L’alunno sviluppa atteggiamenti di curiosità e modi di

guardare il mondo che lo stimolano a cercare

spiegazioni di quello che vede succedere.

MUSICA Improvvisa liberamente e in modo creativo,

imparando gradualmente a dominare tecniche e

materiali.

ED. FISICA Sperimenta, in forma semplificata e progressivamente

sempre più complessa, diverse gestualità tecniche.

Sperimenta una pluralità di esperienze che

permettono di maturare competenze di gioco sport

anche come orientamento alla futura pratica sportiva.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

M. Castoldi, Curricolo per competenze, Roma, Carocci, in corso di pubblicazione

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Dalle Life Skill alle competenze chiave

La centralità del costrutto della competenza nella ridefinizione del compito

formativo della scuola è attestata dalla crescente attenzione, riconoscibile sia a

livello nazionale, sia a livello internazionale, al tema delle competenze chiave

per la cittadinanza attiva.

Si avverte l’esigenza d’identificare e declinare in termini operativi i traguardi

formativi che il sistema scolastico deve assicurare per consentire al soggetto

in formazione un inserimento autonomo e responsabile nel contesto

sociale, culturale, professionale in cui vive.

Tali traguardi vengono espressi in termini di competenza, ovvero di capacità

di usare il proprio sapere, più o meno formalizzato, per rispondere ai propri

bisogni personali e alle esigenze poste dal contesto sociale.

Si tratta di un orientamento presente da diversi anni a livello europeo e

internazionale, che solo negli ultimi anni ha avuto echi significativi anche nel

nostro Paese, dapprima nell’ambito della formazione professionale e

successivamente anche in riferimento al sistema dell’istruzione.

In sintonia con tale evoluzione inizialmente richiameremo quelli che ci paiono i

più significativi riferimenti normativi internazionali e nazionali in ordine al tema

delle competenze chiave.

• le Life Skills dell’OMS. Già nel 1993 l’Organizzazione Mondiale della Sanità

produsse un documento, significativamente intitolato Life Skills education in

schools, in risposta alle istanze di intervento provenienti dai diversi paesi

nella lotta alle forme di dipendenza da sostanze psicotrope (alcool, tabacco,

droghe) e alle manifestazioni di disagio e devianza in allarmante crescita tra

le giovani generazioni. In un’ottica di rafforzamento delle forme di

prevenzione primaria l’OMS invitava le scuole e le agenzie educative

a promuovere una formazione in grado di attrezzare i giovani ad

affrontare le difficoltà della vita nell’ambito di una maturazione globale

della persona e del cittadino.

• il Progetto DeSeCo dell’OCSE. Si tratta di un progetto di ricerca promosso

dall’OCSE allo scopo di produrre un’analisi coerente e condivisa di quali

competenze chiave sono necessarie per la vita adulta (cfr. Rychen-Salganik,

2003). Inevitabilmente la scelta di alcune competenze chiave richiede di

appoggiarsi su un insieme di valori condivisi. Nel caso del progetto

DeSeCo tali valori si sono fondati sui principi della

democrazia e dello sviluppo sostenibile, comportando sia l’abilità di

realizzare il potenziale degli individui, sia di rispettare gli altri e di contribuire

a produrre una società più equa.

• Le competenze chiave per l’apprendimento permanente del Consiglio

europeo (2006), discusse nel successivo contributo.

• Il regolamento sull’obbligo di istruzione del MIUR. Il documento (DM 22

agosto 2007) propone un quadro di saperi e competenze da assumere come

denominatore comune per i diversi indirizzi in cui si articola il biennio della

scuola secondaria superiore nel nostro paese e di riflesso, come quadro di

riferimento per i gradi scolastici precedenti. All’interno di esso si colloca la

proposta di un quadro di otto competenze chiave riconducibili a tre

ambiti interconnessi:

C.2

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‾ la costruzione del sé

‾ lo sviluppo di corrette e significative relazioni con gli altri

‾ una positiva interazione con la realtà naturale e sociale.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

D.S. Rychen, L.H. Salganik (eds.), Agire le competenze chiave, Milano, Angeli,

2007

Note

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Le competenze chiave come assi formativi del curricolo

Una delle novità più interessanti del testo delle Indicazioni nazionali per il primo

ciclo riguarda il richiamo alle competenze chiave di cittadinanza come base

su cui definire il profilo formativo in uscita dell’allievo/a.

In tal modo si propone una chiave di lettura unitaria dei traguardi di competenza

e degli obiettivi di apprendimento previsti per le diverse aree disciplinari, che

permette di contrastare una lettura troppo parcellizzata e frammentaria della

proposta formativa del primo ciclo di istruzione.

Una chiave di lettura che favorisce anche la costruzione di un lessico

comune, in termini di traguardi formativi tra scuola dell’infanzia, primaria e

secondaria di primo grado e permette di gettare un ponte verso il secondo

ciclo di istruzione, in particolare con il primo biennio, per il quale era già stato

prospettato un quadro di competenze chiave di cittadinanza.

Si tratta di una proposta molto suggestiva e affascinante, sebbene non risultino

molto chiari nel disegno complessivo i rapporti tra obiettivi formativi trasversali e

disciplinari, tra le competenze chiave e i traguardi per lo sviluppo delle

competenze e gli obiettivi di apprendimento a livello disciplinare.

A partire dalla rappresentazione di curricolo proposta da Kerr, articolata in

quattro regioni interrelate (obiettivi, contenuti, processi formativi, valutazione)

si tratta di identificare gli snodi chiave su cui sviluppare un curricolo per

competenze.

C.3

• Per quanto riguarda la regione degli obiettivi due snodi chiave riguardano la

costruzione di rubriche valutative riferite alle otto competenze europee,

come elemento di raccordo fondante tra la definizione dei traguardi e le

modalità di valutazione, e l’incrocio tra le competenze chiave e i traguardi per

lo sviluppo delle competenze previsti a livello disciplinare nelle Indicazioni

nazionali.

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• Per quanto riguarda la regione delle conoscenze uno snodo chiave riguarda

l’individuazione dei contenuti di sapere essenziali, in termini di

conoscenze e abilità, organizzati in rapporto ai nuclei fondanti delle diverse

discipline e declinati in relazione agli obiettivi di apprendimento previsti dalle

Indicazioni nazionali.

• Per quanto riguarda la regione dei processi formativi gli snodi chiave

riguardano: le linee guida per l’elaborazione delle Unità di Lavoro

formativo a livello disciplinare e trasversale da parte dei singoli docenti,

organizzati per dipartimenti disciplinari e team docenti/consigli di classe;

la documentazione ragionata di unità di apprendimento realizzate nelle

classi, organizzata in un archivio didattico di Istituto; le linee guida per la

costruzione di ambienti di apprendimento nel lavoro di classe, con

attenzione al setting organizzativo e relazionale entro cui si agisce l’azione

formativa.

• Per quanto riguarda la regione della valutazione gli snodi chiave riguardano:

la predisposizione di strumenti per la valutazione delle competenze in

prospettiva trifocale, a livello disciplinare e trasversale; la predisposizione

di strumenti per la documentazione e la certificazione dei processi e dei

risultati di apprendimento; la definizione delle modalità di valutazione e

autovalutazione dell’azione di insegnamento.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Massimo Baldacci, Curricolo e competenze, Milano, Mondadori Università,

2010

Note

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Le competenze europee per l'apprendimento

permanente

Nella cornice tracciata dal Progetto DeSeCo, il 18 dicembre 2006 il Consiglio e

il Parlamento europeo approvano una Raccomandazione volta a definire un

quadro di riferimento europeo per l’individuazione delle competenze

chiave per l’apprendimento permanente.

Gli intenti principali del quadro di riferimento sono:

• identificare e definire le competenze chiave necessarie per una cittadinanza

attiva in una società della conoscenza

• indirizzare gli Stati dell’Unione Europea verso lo sviluppo delle competenze

chiave nei propri sistemi di istruzione e formazione e nei processi di

apprendimento lungo il corso della vita

• fornire un quadro di riferimento a livello europeo per i responsabili politici, i

formatori e la comunità sociale al fine di agevolare lo sviluppo di politiche per

la formazione

• costituire un riferimento per le azioni comunitarie nell'ambito del programma

di lavoro «Istruzione e formazione 2010» e di successivi interventi nel campo

dell'istruzione e della formazione.

Le competenze sono intese come «una combinazione di conoscenze, abilità e

attitudini appropriate al contesto».

Più specificamente le competenze chiave «sono quelle di cui tutti hanno

bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva,

l’inclusione sociale e l’occupazione».

Il quadro di riferimento delinea otto competenze chiave:

1. Comunicazione nella madrelingua. «La comunicazione nella madrelingua

è la capacità di esprimere e interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e

opinioni in forma sia orale sia scritta (comprensione orale, espressione

orale, comprensione scritta ed espressione scritta) e di interagire

adeguatamente e in modo creativo sul piano linguistico in un’intera gamma

di contesti culturali e sociali, quali istruzione e formazione, lavoro, vita

domestica e tempo libero».

2. Comunicazione in lingue straniere. «La comunicazione nelle lingue

straniere condivide essenzialmente le principali abilità richieste per la

comunicazione nella madrelingua: essa si basa sulla capacità di

comprendere, esprimere e interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e

opinioni in forma sia orale sia scritta — comprensione orale, espressione

orale, comprensione scritta ed espressione scritta — in una gamma

appropriata di contesti sociali e culturali — istruzione e formazione, lavoro,

casa, tempo libero — a seconda dei desideri o delle esigenze individuali. La

comunicazione nelle lingue straniere richiede anche abilità quali la

mediazione e la comprensione interculturale. Il livello di padronanza di un

individuo varia inevitabilmente tra le quattro dimensioni (comprensione

orale, espressione orale, comprensione scritta ed espressione scritta) e tra

le diverse lingue e a seconda del suo background sociale e culturale, del

suo ambiente e delle sue esigenze e/o dei suoi interessi».

C.4

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3. Competenza matematica e competenze di base in campo scientifico e

tecnologico. «La competenza matematica è l’abilità di sviluppare e

applicare il pensiero matematico per risolvere una serie di problemi in

situazioni quotidiane. Partendo da una solida padronanza delle competenze

aritmetico-matematiche, l'accento è posto sugli aspetti del processo e

dell’attività oltre che su quelli della conoscenza. La competenza matematica

comporta, in misura variabile, la capacità e la disponibilità a usare modelli

matematici di pensiero (pensiero logico e spaziale) e di presentazione

(formule, modelli, costrutti, grafici, carte). La competenza in campo

scientifico si riferisce alla capacità e alla disponibilità a usare l'insieme delle

conoscenze e delle metodologie possedute per spiegare il mondo che ci

circonda sapendo identificare le problematiche e traendo le conclusioni che

siano basate su fatti comprovati. La competenza in campo tecnologico è

considerata l’applicazione di tale conoscenza e metodologia per dare

risposta ai desideri o bisogni avvertiti dagli esseri umani. La competenza in

campo scientifico e tecnologico comporta la comprensione dei cambiamenti

determinati dall’attività umana e la consapevolezza della responsabilità di

ciascun cittadino».

4. Competenza digitale. «La competenza digitale consiste nel saper utilizzare

con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società

dell’informazione (TSI) per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. Essa

è supportata da abilità di base nelle TIC: l’uso del computer per reperire,

valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché

per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet».

5. Imparare a imparare. «Imparare a imparare è l’abilità di perseverare

nell’apprendimento, di organizzare il proprio apprendimento anche mediante

una gestione efficace del tempo e delle informazioni, sia a livello individuale

che in gruppo. Questa competenza comprende la consapevolezza del

proprio processo di apprendimento e dei propri bisogni, l'identificazione

delle opportunità disponibili e la capacità di sormontare gli ostacoli per

apprendere in modo efficace. Questa competenza comporta l’acquisizione,

l’elaborazione e l’assimilazione di nuove conoscenze e abilità come anche

la ricerca e l’uso delle opportunità di orientamento. Il fatto di imparare a

imparare fa sì che i discenti prendano le mosse da quanto hanno appreso in

precedenza e dalle loro esperienze di vita per usare e applicare conoscenze

e abilità in tutta una serie di contesti: a casa, sul lavoro, nell'istruzione e

nella formazione. La motivazione e la fiducia sono elementi essenziali

perché una persona possa acquisire tale competenza».

6. Competenze sociali e civiche. «Queste includono competenze personali,

interpersonali e interculturali e riguardano tutte le forme di comportamento

che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo

alla vita sociale e lavorativa, in particolare alla vita in società sempre più

diversificate, come anche a risolvere i conflitti ove ciò sia necessario. La

competenza civica dota le persone degli strumenti per partecipare appieno

alla vita civile grazie alla conoscenza dei concetti e delle strutture

sociopolitici e all’impegno a una partecipazione attiva e democratica».

7. Senso di iniziativa e di imprenditorialità. «Il senso d’iniziativa e

l’imprenditorialità concernono la capacità di una persona di tradurre le idee

in azione. In ciò rientrano la creatività, l'innovazione e l'assunzione di rischi,

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come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere

obiettivi. È una competenza che aiuta gli individui, non solo nella loro vita

quotidiana, nella sfera domestica e nella società, ma anche nel posto di

lavoro, ad avere consapevolezza del contesto in cui operano e a poter

cogliere le opportunità che si offrono ed è un punto di partenza per le abilità

e le conoscenze più specifiche di cui hanno bisogno coloro che avviano o

contribuiscono ad un’attività sociale o commerciale. Essa dovrebbe

includere la consapevolezza dei valori etici e promuovere il buon governo».

8. Consapevolezza ed espressione culturali. «Consapevolezza

dell’importanza della espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni

in un’ampia varietà di mezzi di comunicazione, compresi la musica, le arti

dello spettacolo, la letteratura e le arti visive».

Ciascuna delle otto competenze chiave viene descritta identificando le

conoscenze, le abilità e le attitudini che presuppone la sua padronanza.

Tale articolazione risulta congruente con lo sviluppo delle dimensioni del

costrutto della competenza.

Le competenze chiave sono considerate ugualmente importanti, poiché

ciascuna di esse può contribuire a realizzare una vita positiva nella società della

conoscenza.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre

2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente.

Note

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