Profili penali del c.d. "mobbing"

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Università degli Studi di Parma Facoltà di Giurisprudenza Corso di Laurea in Scienze Giuridiche Profili penali del c.d. “mobbing” Relatore: Chiar.mo Prof. Veneziani Paolo Laureando: Simona Anelli Anno Accademico 2009-2010

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Università degli Studi di Parma

Facoltà di Giurisprudenza

Corso di Laurea in Scienze Giuridiche

Profili penali del c.d. “mobbing”

Relatore:Chiar.mo Prof. Veneziani Paolo Laureando:

Simona Anelli

Anno Accademico 2009-2010

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INDICE

INTRODUZIONE.............................................................................................1

CAPITOLO 1 - LA NOZIONE DI MOBBING

LE ORIGINI ED IL SUO SIGNIFICATO........................................................4

I PROTAGONISTI...........................................................................................10

I TIPI SECONDO DOTTRINA E GIURISPRUDENZA...........................15

LE FASI.............................................................................................................19

CAPITOLO 2 - MOBBING E DIRITTO PENALE

I PRINCIPI DEL DIRITTO PENALE: IN PARTICOLARE, IL PRINCIPIO DI LEGALITA’.................................................................................................22

INESISTENZA DI UNA SPECIFICA FATTISPECIE DI MOBBING.......28

LE PROSPETTVE DE IURE CONDENDO: L’OPPORTUNITA’ DI INTRODURRE UNA FATTISPECIE AD HOC............................................31

CAPITOLO 3 - LE SINGOLE FATTISPECIE INCRIMINATRICI IN BASE ALLE QUALI PUO’ RILEVARE PENALMENTE IL C.D. MOBBING

I MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA O VERSO I FANCIULLI............35

LA MINACCIA E LA VIOLENZA PRIVATA............................................39

L’ESTORSIONE................................................................................................43

L’INGIURIA E LA DIFFAMAZIONE...........................................................45

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L’ABUSO D’UFFICIO.....................................................................................48

LE LESIONI PERSONALI..............................................................................50

LO STALKING..................................................................................................57

CONCLUSIONI - SERVE DAVVERO UNA NORMATIVA AD HOC?..................................................................................................................59

BIBLIOGRAFIA..............................................................................................63

RINGRAZIAMENTI......................................................................................67

2

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INTRODUZIONE

“L’uomo è un lavoratore, se non lo è, è nulla.”

Joseph Conrad

“L’amore, il lavoro e il sapere sono le sorgenti della vita, essi dovrebbero

governarla”

Goethe

Ho deciso di svolgere la mia tesi sull’analisi di un fenomeno particolare

che ha luogo in alcuni contesti lavorativi e che da qualche anno ha

assunto notevole rilevanza anche nel nostro Paese, divenendo un

argomento di grande attualità dei mass–media che hanno fatto del

termine un uso comune.

Quando si parla di mobbing non si intendono semplicemente singoli

screzi o momenti di tensione con i colleghi nè rari episodi di richiamo da

parte del titolare, ma ciò che si rileva è una vera e propria condotta

vessatoria, attuata da un soggetto con gesti, parole e atti, allo scopo di

arrecare offesa alla dignità o all’integrità psichica della vittima, di

metterne in pericolo l’impiego o di degradarne il clima lavorativo. Dai

casi studiati, o con cui ho avuto occasione di entrare in contatto sono

rimasta particolarmente colpita nell’apprendere l’importanza

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fondamentale che il lavoro ha per l’uomo e quanto il clima del posto di

lavoro influenzi la percezione che abbiamo di noi stessi e il nostro modo

di stare con gli altri. Le violenze psicologiche che un soggetto subisce sul

luogo di lavoro nella maggior parte dei casi hanno avuto conseguenze

diverse sulle varie vittime a seconda delle modalità e intensità delle

molestie e delle caratteristiche personali di ogni soggetto; inoltre in molti

casi non si sono limitano a colpire l’ambito strettamente lavorativo ma

hanno conseguenze anche sulle relazioni esterne, in particolar modo

sulle relazioni famigliari provocando conflitti e a volte separazioni:

infatti se il lavoro ci procura stress, questo inevitabilmente si rifletterà

sul nostro nucleo famigliare da cui inizialmente ricaveremo conforto e

sostegno; se però la crisi che viviamo è molto prolungata nel tempo,

come nelle esperienze di mobbing, i nostri famigliari raggiungeranno un

punto di saturazione tale da avere necessità di proteggersi e difendersi

dallo stress che procuriamo loro e quindi molto probabilmente non

saranno più disposti a darci il loro aiuto.

In particolare ho preferito analizzare il fenomeno da un punto di vista

penale, strada sicuramente più tortuosa rispetto ad un’ analisi

civilistica, per la quale sono stati già versati fiumi d’inchiostro: questo

perchè ritengo che la tutela offerta dal diritto civile ed in particolare il

solo risarcimento del danno sia inadeguato se rapportato al bene leso

dalla vessazione, cioè la salute dei lavoratori.

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Nel primo capitolo di questo mio scritto ho esposto le caratteristiche

fondamentali del fenomeno in modo da fornirne una panoramica

generale. Ho quindi effettuato un confronto del fenomeno con il diritto

penale, analizzando i problemi che sorgono proprio a causa della loro

natura così diversa e ho valutato brevemente i progetti di legge,

costituiti allo scopo di creare un reato di mobbing. Nonostante la

mancanza di una fattispecie ad hoc è possibile ricondurre il mobbing, ad

alcune figure di reato già presenti nel nostro ordinamento, laddovè in

esso si riscontri quanto prescritto dalle norme penali: ho riportato quindi

i modelli criminosi cui la giurisprudenza tende oggi a ricondurre talune

fenomenologie di mobbing emerse nella prassi. Infine, ho concluso il mio

elaborato, valutando le tesi sostenute dai vari autori in relazione alla

necessità (o meno) di creare una normativa ad hoc per il mobbing.

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CAPITOLO I

La nozione di mobbing

Le origini e il suo significato

Il termine mobbing è diventato recentemente di uso comune nel nostro

paese per indicare, in generale, le violenze morali e psicologiche sul

luogo di lavoro, benchè i comportamenti sussumibili nel fenomeno siano

di origine ben più antica: S. Mazzamuto ne trova traccia già in un passo

dell’Antico Testamento ove “Giuseppe, figlio di Giacobbe promosso a

mansioni per cosi dire manageriali fu abbondantemente mobbizzato a

seguito di sexual harassment da parte della moglie di Putifarre suo

signore”1.

Da un punto di vista strettamente etimologico l’anglicismo “mobbing”

deriva dal verbo inglese “to mob”, che può essere tradotto nell’infinito

italiano “aggredire” o “accalcarsi contro qualcuno”, e dal latino “mobile

vulgus” che significa “folla dedita al vandalismo”: da qui il sostantivo

assunse nella classi più elevate una connotazione spregiativa per cui

“mob”venne equiparato a “plebaglia”.2

1Mazzamuto S. - Un’ introduzione al mobbing: obbligo di protezione e condotte plurime d’inadiempimento, in P. Tosi (a cura di), Il mobbing, Torino, 2004. 2 Hirigoyen M.-F - Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Einaudi, Torino, 2000, p. 53.

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Fu negli anni Settanta che l’etologo Konrad Lorenz coniò il termine per

descrivere la condotta violenta osservata nel mondo animale tra

individui della stessa specie, al fine di escludere un membro dal gruppo.

Negli anni Ottanta la locuzione fu ripresa da Heinz Leymann,

autorevole psicologo del lavoro svedese considerato notoriamente il

“padre” del mobbing, che la applicò ad un nuovo disturbo che aveva

osservato in alcuni operai e impiegati svedesi sottoposti ad una serie di

traumi psicologici sul lavoro. A tale studioso si deve una prima

definizione del fenomeno, oltre all’indicazione di 45 azioni costituenti il

mobbing e all’individuazione di 4 fasi evolutive del fenomeno.

Colui che si è occupato di trasferire in Italia le indagini di Leymann è lo

studioso tedesco Harald Ege, il quale, variandone alcuni punti, arriva ad

indicare 7 parametri necessari affinchè si possa parlare di mobbing e

aumenta a 6 fasi piu una (pre-fase) l’evoluzione dello stesso.

Leymann ci ha fornito appunto una prima definizione del complesso

fenomeno del mobbing, che sarà usata da tutti i successivi riceratori

come base e che recita: “Il terrore psicologico sul posto di lavoro o

mobbing consiste in una comunicazione ostile e contraria ai principi etici,

perpetrata in modo sistematico da una o più persone principalmente

contro un singolo individuo che viene per questo spinto in una

posizione di impotenza e impossibilità di difesa, e qui costretto a restare

da continue attivita ostili. Queste azioni sono effettuate con un’alta

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frequenza (definizione statistica :almeno una volta alla settimana) e per

un lungo periodo di tempo(definizione statistica: almeno sei mesi) . A

causa dell’alta frequenza e della lunga durata, il comportamento ostile

dà luogo a seri disagi psicologici, psicosomatici e sociali.”3 E’

importante sottolineare, come lo stesso autore precisa, quanto sia

fondamentale distinguere un normale conflitto tra colleghi, che pure

può verificarsi sul lavoro, e il vero e proprio mobbing che vede il

continuo ripetersi in un arco di tempo di una certa durata del

trattamento vessatorio inflitto alla vittima. Spesso tali condotte, se prese

singolarmente, non sono illecite, ma lo diventano se poste in un quadro

d’insieme che esprima l’ostilità verso la vittima tale da mortificarla e

isolarla nell’ambito lavorativo.

Il fenomeno appare quindi complesso, ricco di sfaccettature e sfumature

ed è importante per questo motivo il ricorso alla psicologia del lavoro, la

quale ci fornisce gli elementi necessari affinchè si possa parlare di

mobbing. Tali requisiti sono:

1. l’ambiente lavorativo . Il conflitto infatti, nasce e si sviluppa

nell’ambito lavorativo; le tensioni nate e sviluppatesi in altri settori

della vita non vi rientrano;

2. il dislivello tra antagonisti . I protagonisti sono due, la vittima o

mobbizzato e l’aggressore o mobber. È bene specificare che non si

3 Traduzione di Ege H. - La valutrazione peritale del danno da mobbing, Giuffrè, Milano, 2002, pp. 32-33.

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tratta solo di due persone fisiche ma di due ruoli in conflitto,

ciascuno dei quali può essere costituito da una o più persone;

3. i comportamenti mobbizzanti . In generale si fa riferimento a

tipologie di azioni che mirino ad isolare sistematicamente la vittima,

a impedirle una normale comunicazione e normali contatti umani e

che comunque attacchino i tre settori più importanti della sua

esistenza: quello professionale, morale e quello della salute;

4. la durata . Secondo Leymann la durata doveva essere di almeno 6

mesi e lo stesso Ege accoglie questo parametro aggiungendo però

che, ove il conflitto sia particolarmente intenso, il termine può essere

ridotto della metà;

5. la frequenza . Di notevole importanza perchè ci permette di

distinguere tra il singolo atto di ostilità e il conflitto duraturo.

Leymann sosteneva la necessità che l’azione vessatoria avesse una

frequenza almeno settimanale, tesi superata da Ege il quale ne ha

posto una cadenza mensile. A tale proposito è stata stabilita

un’eccezione ove ci si trovi di fronte al caso de “il sasso nello

stagno”: con cio si vuole indicare la situazione in cui una persona

ha di fatto subito una sola azione ( ad esempio un

demansionamento) che , singolarmente considerata, non sarebbe

ravvisabile tra le situazioni tipiche di mobbing, i cui effetti, però,

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vengono avvertiti dal soggetto come giornalieri. In questo caso la

frequenza andrà valutata come quotidiana;

6. l’intento persecutorio . Le motivazioni che spingono il mobber ad

agire sono le più varie: ambizione, gelosia, motivazioni legate ad

esigenze aziendali, e addirittura, in taluni casi, la noia. Ma ciò che

lega tutte queste azioni è la volontà di ledere la vittima, di isolarla e

nella maggior parte dei casi di provocarne l’allonatanamento.

Proprio per la natura del fenomeno non esiste ancora un termine

universale per definirlo: nei paesi anglofoni, per indicare la violenza

psicologica sul posto di lavoro si utilizzano locuzioni più specifiche,

come “harassment” (utilizzato anche per molestie domestiche),

“abuse” (maltrattamento), “intimidation”; in Norvegia e Giappone si

usa ancora il termine “bullismo”, mentre in Francia è usato il termine

“molestie morali” (harcèlement morale).

Da un punto di vista strettamente legislativo, vorrei porre

l’attenzione sul primo tentativo di definizione effattuato dalla

regione Lazio con la l. 11/07/2002, n. 16 - recante “Disposizioni per

prevenire e contrastare il mobbing nei luoghi di lavoro”-dichiarata

illegittima dalla Corte Costituzionale4 per non aver rispettato

l’assetto costituzionale nei rapporti Stato-Regioni. La Corte sostiene

che tale illegittimità derivi dalla presenza all’interno della legge della

4 Cort. Cost., n. 359, del 19 dicembre 2003, in Massimario giurisprudenza del lavoro, 2004, p. 297.

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definizione di mobbing e di altre previsioni di competenza esclusiva

statale poichè attinenti all’ordinamento civile, all’organizzazione

amministrativa dello Stato oppure ai temi fondamentali in tema di

sicurezza e salute del lavoro.

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I protagonisti

Come gia precedentemente accennato, analizzando i principali elementi

costituenti il mobbing, i soggetti coinvolti nella vicenda sono

principalmente due: da un lato il mobber (o agente) e dall’altro il mobbed

(cioè colui che subisce l’azione, la vittima).

La diseguaglianza tra le due figure non si ritrova soltanto, come sostiene

lo stesso Ege, nel ruolo gerarchico rivestito dagli stessi (cosa risultante

vera solo in alcuni tipi di mobbing), ma nel forte dislivello di potere ove

“il mobbizzato non ha le stesse capacità di difendersi dell’aggressore, è

confinato nella posizione più debole e destinato purtroppo alla sconfitta

inevitabile” mentre “il mobber è in vantaggio ..perchè il suo attacco ha un

obiettivo preciso..comunque negativo nei confronti della vittima. Ciò gli

permette di comportarsi in modo coerente e di ideare strategie di attacco

ben precise ed accurate; ha inoltre il fattore tempo dalla sua parte: può

preparare e pianificare le sue azioni con largo anticipo e lungo termine”.

Al contrario la vittima “spesso è colta di sorpresa e lasciata senza il

tempo e la possibilità di prepararsi al conflitto”5

La vittima è colui contro il quale vengono ripetuti con frequenza gli

attacchi, che si ritrova in una condizione di sudditanza e impotenza

dalla quale è molto spesso difficile uscire.

5 Ege H. - La valutazione peritale del danno da mobbing, Giuffrè, Milano, 2002, p. 60.

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Vi sono state e tuttt’ora permangono numerose discussioni tra gli esperti

riguardo all’esistenza( o meno) di tipologie di soggetti particolarmente

esposti al rischio di mobbing e ancora vi è grande disaccordo sulla

questione.

Alcuni autori, come Hirigoyen ritengono che “ contrariamente a quanto

i loro aggressori cercano di far credere, le vittime non sono in partenza

persone colpite da qualche patologia o particolarmente fragili. Al

contrario, molto spesso la molestia si instaura quando una vittima

reagisce all’autoritatismo di un capo e rifiuta di lasciarsi asservire.” Per

lo più sono “persone scrupolose, che manifestano un ‘presenzialismo

patologico’”, “perfezionisti che investono molto nel lavoro” e che “

desiderano essere impeccabili. Rimangono in ufficio fino a tardi, non

esitano ad andare a lavorare nei fine settimana e anche quando sono

ammalati”6 . L’autrice aggiunge che “la vittima ideale è una persona

coscienziosa, naturalmente propensa a colpevolizzarsi” e che tali

soggetti , solitamente, “tengono all’ordine, sia in campo lavorativo che

nelle relazioni sociali, che si dedicano a quanti stanno loro vicino e

accettano raramente piaceri dagli altri.”7

6 Hirigoyen M.-F. - Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Einaudi, Torino, 2000, p. 56.7 Hirigoyen M.-F. - Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Einaudi, Torino, 2000, p. 151.

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E ancora, altre ricerche 8 sostengono che il mobbing interessi tre grandi

tipologie di soggetti : i “creativi” , “gli onesti” ed i “superflui”.

I “creativi” sono coloro che hanno capacità di proposta, d’innovazione e

che in qualche modo si diversificano dal gruppo cui appartengono.

Gli “onesti” sono una categoria incontrata di frequente. Spesso sono

persone che lavorano in ambienti con gruppi coevi ove sono abituali

piccole manifestazioni di disonestà e dove quindi colui che si discosta

dai comportamenti consueti viene punito con atteggiamenti di mobbing.

In ultimo i “superflui” che risentono delle grosse operazioni di

riorganizzazione aziendale (fusioni, accorpamenti,..) le quali creano

esuberi di personale ed inducono le direzioni aziendali a ricorrere a

strategie che spingano i lavoratori a dimettersi.

Altre categorie che si possono considerare comunque a rischio sono

quella dei “disabili” che sono soggetti deboli e quindi più facilmente

colpiti dall’emarginazione e gli “anziani” intesi in senso lavorativo, che

sono individui divenuti onerosi da un punto di vista salariale.

Di diverso avviso sono invece altri autori, come ad esempio Ege il quale

sostiene , come già aveva affermato precedentemente Leymann nei suoi

studi, che non esistano tipi di personalità inclini ad essere mobbizzati e

che le ricerche fin’ora svolte sono troppo poche e contrastanti per

arrivare a una conclusione generale. Cio nonostante ritiene possibile

8 Renato Gilioli - “Soggetti a rischio, frequenza ed estensione del fenomeno nel nostro paese: un’ analisi quantitativa” dagli atti del seminario della Camera del Lavoro di Milano del 31 Maggio 2000 in ‘Mobbing: un male oscuro’.

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affermare, sulla base dell’esperienza, che il settore maggiormente colpito

in Italia sia quello dei “colletti bianchi” ossia gli impiegati di ufficio9;

risultati peraltro confermati da altri studiosi10 i quali hanno riscontrato

un maggior numero di vittime tra i lavoratori con qualifiche abbastanza

elevate (i quadri) e che quindi sono fortemente interessati

all’avanzamento di carriera, e i lavoratori non garantiti normativamente

nella conservazione del posto di lavoro, come ad esempio i lavoratori

precari, interinali o a tempo determinato. In entrambi i casi sono i

soggetti più facilmente ricattabili in cambio del silenzio.

Alla vittima non è lasciato lo spazio per costruire normali rapporti

interpersonali, finendo col sentirsi estromesso dall’ambito lavorativo,

inadatto e in colpa per non riuscire ad essere migliore e quindi

inattaccabile.

Il soggetto mobbizzato si trova quindi nell’impossibilità di reagire a tali

attacchi e a lungo andare, a seconda anche delle caratteristiche

individuali, accuserà disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che

possono portare ad invalidità psicofisiche di vario genere.

Il mobber è invece colui che dà inizio alla strategia persecutoria contro il

lavoratore e può essere una persona, un gruppo di persone o addirittura

l’azienda e, a seconda di chi lo commette, avremo diversi tipi di mobbing.

Le condotte che pone in essere, e nelle quali si concretizza la sistematica

9 Ege H. - La valutazione peritale del danno da mobbing, Giuffrè, Milano, 2002, pp. 25-27.10 Pezzella V. - Dal mobbing al bullyng e bossing: molestie sul lavoro e tutela penale, in Diritto e giustizia, n. 37, 2002, p. 58.

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attività ostile sono numerose: possono incidere sulla possibilità di

un’adeguata comunicazione aziendale, creare difficoltà nel mantenere i

rapporti sociali in ambito lavorativo o influire negativamete sulla sua

posizione occupazionale. In generale possiamo affermare che, sotto alla

vessazione di soggetti per motivi di potere, si nascondono motivazioni

psicopatologiche più gravi: esempi classici della figura del mobber sono

infatti l’istigatore , il frustrato, il megalomane, l’invidioso, il geloso e il

collerico.

Ultimo dei protagonisti è lo spettatore (o side-mobber) che è colui che non

partecipa direttamente all’ azione vessatoria, ma che in un qualche

modo la vive di riflesso. Può spesso avere un ruolo fondamentale nella

concretizzazione della fattispecie durante le fasi cruciali della stessa,

intervenendo per porvi fine o alimentando l’aggressione e aumentando

così gli effetti dell’isolamento, con la sua totale indifferenza e astensione

da qualsiasi forma di solidarietà nei confronti del mobbizzato.

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I tipi secondo dottrina e giurisprudenza

Come già anticipato nel paragrafo precedente, i tipi di mobbing sono

strettamente connessi all’identità del soggetto che compie la vessazione.

Vengono quindi principalmente distinti il mobbing “ verticale”, che può

essere ascendente o discendente e si riscontra ove le violenze avvengano

tra persone poste in rapporto gerarchico; il mobbing “orizzontale”, nel

caso in cui si sviluppi tra colleghi; e per ultimo il “bossing”, che

rappresenta una variante del mobbing verticale.

La situazione maggiormente ravvisabile nei luoghi di lavoro è

indubbiamente quella del mobbing discendente (o dall’alto) che si ha

quando la molestia è compiuta da un soggetto posto in posizione

gerarchicamente superiore rispetto alla vittima, quale può essere ad

esempio un capoufficio o il suo capo reparto. Le motivazioni che

spingono il soggetto a tali comportamenti sono numerose: possono

risiedere in un’antipatia personale, nell’ invidia o rabbia verso un

subordinato, fino ad arrivare ad un vero e proprio abuso di potere ove il

superiore si avvale della sua posizione in modo scriteriato.

Il mobbing ascendente (o dal basso) è una forma decisamente più rara,

nella quale il mobber è in una posizione inferiore rispetto alla vittima .

L’autorità del capo è quindi messa in discussione dai subordinati che ne

desiderano l’allontanamento come ad esempio nel caso della

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promozione di un soggetto ad un grado superiore avvertita dagli altri

come immeritata.

Nel mobbing orizzontale invece i due soggetti sono sullo stesso livello

professionale ed hanno quindi pari mansioni e possibilità. Come nel

mobbing verticale discendente anche qui i fattori che spingono il soggetto

ad agire sono molteplici tra i quali troviamo la rabbia, l’invidia e la

paura (si pensi alle raccomandazioni e ai privilegi di cui godono solo

alcuni colleghi e alla forte competizione tra gli stessi). In questo caso, con

un’ostilità più o meno aperta( che può comporsi di battute, gesti osceni o

maldicenze che ne ledono la reputazione) la vittima verrà esclusa dai

rapporti interpersonali, non solo di natura lavorativa, con i colleghi.

In ultimo troviamo il “bossing”, laddove i dirigenti dell’azienda

compiano atti vessatori con lo scopo preciso di indurre il dipendente

divenuto scomodo a dimissioni anticipate e su sua iniziativa personale.

L’azienda, attraverso i mobber, cerca di creare attorno alla persona da

allontanare un clima di tensione insopportabile con l’uso di minacce,

rimproveri e atteggiamenti severi. A tale proposito è stato riscontrato

che “ il bossing può rivelarsi strumento appetibile per allonatanare

persone ben precise: molto spesso a divenirne vittima sono i soggetti

deboli, come i disabili, oppure donne, ma anche i dipendenti con troppa

personalità o troppo zelo, o con un’anzianità che è divenuta troppo

onerosa da un punto di vista stipendiale, sono i tipici bersagli di queste

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manovre. Allo stesso modo, il bossing può essere utilizzato per

intraprendere operazioni su più larga scala, come la riduzione di

personale, il ringiovanimento o la riorganizzazione di interi uffici”11. Di

conseguenza tale tipologia sarà maggiormente diffusa in quelle realtà

dove il licenziamento è ammesso solo per giusta causa, a pena di

sanzioni elevate, e meno frequente in quei sistemi dove vi è maggiore

libertà nel licenziamento.

Oltre alle distinzioni sopra citate, ricordiamo brevemente, anche quelle

tra12:

- mobbing individuale e collettivo: il primo dei quali si ha quando la

persona vittima di molestie è un singolo lavoratore mentre nel

secondo caso i soggetti colpiti sono gruppi di lavoratori;

- mobbing diretto e indiretto, a seconda che l’atto sia rivolto

direttamente sulla vittima o sull’ambiente di lavoro;

- mobbing leggero e pesante, nei casi in cui gli atti siano meno visibili

(se non addirittura celati) o particolarmente eclatanti.

Un breve accenno merita un fenomeno molto diffuso in Italia, a causa

del ruolo centrale che riveste la famiglia nel nostro paese: il “doppio

mobbing”. Con tale termine, coniato dallo stesso Ege, si fa riferimento

alla situazione in cui il soggetto mobbizzato cerca rifugio nella famiglia,

sfogando tutta la sua rabbia e frustrazione e trovando in questa la

11 Oliva U. - Mobbing: quale risarcimento?, in Danno e responsabilità, 2000, p. 28.12 Querini C., Falaschi S. - La consulenza tecnica in materia di mobbing, Utet, Milano, 2006, p. 5.

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tranquillità e il sostegno di cui necessita. A lungo andare però la

famiglia esaurisce la capacità di sostenerlo e lo abbandona , privandolo

della sua protezione. Ecco quindi che “il doppio mobbing indica la

situazione in cui la vittima si viene a trovare in questo caso: bersagliata

come prima sul posto di lavoro, ma ora anche privata della

comprensione e dell’aiuto della famiglia. Il mobbing a cui è sottoposto è

quindi raddoppiato”13

Le fasi

13 Tribunale di Taranto, sez. II, pen., sent. n. 742, del 7 marzo 2002, cit., 8.

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Per delineare in modo completo il quadro del mobbing vorrei ora

analizzare brevemente l’evolversi di quest’ultimo, secondo quanto

teorizzato da Leymann e Ege.

Secondo il primo studioso14, il fenomeno si articola in quattro fasi:

1. Il conflitto quotidiano. Si tratta della situazione conflittuale,

tendenzialmente normale, che si sviluppa tra colleghi e superiori: in

questa situazione è difficile diagnosticare la nascita del mobbing a

causa della saltuarietà delle vessazioni e della loro debole entità.

2. Inizio del mobbing. La situazione diventa continuativa,

trasformandosi in vero e proprio mobbing e i ruoli di vittima e mobber

si stabilizzano.

3. Errori ed abusi anche illegali dell’amministrazione del personale. La

vittima, continuamente sottoposta agli attacchi, comincia a

manifestare i primi sintomi di malattia e inizia ad assentarsi dal

lavoro.

Il caso diviene ufficiale e viene aperta un’inchiesta interna che può

finire con il colpevolizzare ulteriormente la vittima nel caso in cui il

problema sia imputato alla debole personalità della stessa.

4. Esclusione dal mondo del lavoro. La vittima viene allontanata

dall’ambiente lavorativo (con dimissioni,licenziamento..) ed in

questo modo lo scopo del mobbing è stato raggiunto.

14 Mottola M.R. - Mobbing e comportamento antisindacale, Utet, Torino, 2003, pp. 18-19.

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Ege15, nell’elaborazione del suo modello, si è in parte discostato da

quello di Leymann per meglio adattarlo alla situazione italiana: si

compone, infatti, di sei fasi , precedute da una pre-fase (detta condizione

zero), che ancora non costituisce mobbing ma del quale rappresenta un

necessario presupposto.

Troviamo quindi:

- Condizione zero. Presente solo nel sistema italiano, è rappresentata

dal clima ostile di tensione degli ambienti lavorativi, aggravato

anche dalla situazione sfavorevole dello stesso mercato del lavoro.

- Fase 1) il conflitto mirato. Qui avviene l’individuazione della futura

vittima, sulla quale si accaniranno le ostilità.

- Fase 2) l’inizio del mobbing. La vittima inizia ad avvertire

l’inasprimento delle relazioni interpersonali che le causano fastidio e

disagio.

- Fase 3) primi sintomi psico-somatici. Vengono accusati i primi

problemi di salute dalla vittima (ansia, insicurezza, insonnia,

problemi digestivi..).

- Fase 4) errori ed abusi dell’amministrazione del personale . Il

fenomeno diventa pubblico e i vertici dirigenziali intervengono con

valutazioni erronee, aumentando il disagio del mobbizzato.

- Fase 5) serio aggravamento della salute psico fisica della vittima. In

questa fase il soggetto si trova in una situazione di vera e propria

15 Ege H. - La valutazione peritale del danno da mobbing, Giuffrè, Milano, 2002, pp. 62-65.

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disperazione e comincia a soffrire di depressioni più o meno gravi e

ad assumere farmaci con scarsi esiti positivi, poichè la situazione sul

lavoro non migliora, ma anzi tende spesso ad aggravarsi.

- Fase 6) esclusione dal mondo del lavoro. La vittima abbandona

quindi il posto di lavoro tramite dimissioni volontarie, licenziamento

e, nei casi più gravi di forme depressive, il soggetto giunge

addirittura al suicido.

CAPITOLO II

Mobbing e diritto penale

23

Page 26: Profili penali del c.d. "mobbing"

I principi del diritto penale: in particolare, il principio di legalità

Per operare ora un confronto tra il fenomeno del mobbing e il diritto

penale è necessario iniziare analizzando i principi e le caratteristiche del

diritto penale.

Quest ultimo è cosituito da un’insieme di norme che prevedono e

disciplinano l’applicazione di una misura sanzionatoria di carattere

giuridico - penale, ove vi siano dei comportamenti umani che integrano

una fattispecie di reato. Cio significa che, da un lato, il diritto

considerato vieta ai cittadini di commettere determinati fatti (limitando

quindi la loro libertà) e dall’altro implica l’impiego di pesanti sanzioni

(le pene). Tale diritto si fonda, principalmente, su tre principi

costituzionali: il principio di legalità, il principio di offensività-

materialità e quello di colpevolezza.

In questa sede ci occuperemo in particolare del primo tra questi principi

cardine, poichè è quello che crea maggiori problemi nel rapporto con il

mobbing.

In base al principio di legalità (recepito dall’art. 25, c. 2, Cost. : v. meglio

infra), “nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata

in vigore prima della commissione del fatto, legge che chiaramente deve

vietare la commissione di quel fatto e che deve prevedere una pena in

24

Page 27: Profili penali del c.d. "mobbing"

caso di trasgressione del divieto”16; questo principio, quindi, svolge

anche una funzione di garanzia del cittadino contro l’abuso di tale

diritto da parte dello Stato.

Le sue origini risalgono all’espressione “nulla poena sine lege”, coniata dal

giurista latino Ulpiano, che letteralmente significa “nessuna pena senza

una legge”; espressione che fu successivamente ripresa da Beccaria,

importante esponente dell’Illuminismo, e all’inizio dell’Ottocento dal

criminalista tedesco Paul Johann Anselm Ritter von Feuerbach il quale

la usò per sintetizzarvi e affermare il principio di legalità.

La fonte normativa di questo principio si rinviene nella Costituzione

all’art. 25, comma 2, ove è sancito che “nessuno può essere punito se

non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto

commesso” e nel codice penale all’ articolo 1 e articolo 2 primo comma,

i quali dispongono rispettivamente che “ Nessuno può essere punito

per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla

legge, nè con pene che non siano da essa stabilite” e “Nessuno può

essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu

commesso, non costituiva reato”.

Dal principio di legalità discendono 4 ulteriori “regole fondamentali”17:

- La riserva di legge, che opera sul piano delle fonti.

16 Cadoppi A., Veneziani P. - Elementi di diritto penale. Parte generale, Cedam, Padova, 2007.17 Fiore C. - Diritto penale. Vol.1: perte generale, Utet, Torino, 1993.

25

Page 28: Profili penali del c.d. "mobbing"

- L’irretroattività, che tratta della validità nel tempo della legge

penale.

- La determinatezza della fattispecie penale, che si occupa della

formulazione delle norme.

- Il divieto di interpretazione analogica.

Vediamo ora di analizzarli più nello specifico.

La riseva di legge individua nella legge l’unica e sola fonte normativa in

materia penale, affidando al Parlamento, massimo garante della

democraticità, la costituzione delle norme penali al fine di evitare abusi

e soprusi da parte degli altri organi. Per quanto attiene alla nozione di

legge è preferibile ammettere solo quella in senso formale (deliberata dal

Parlamento o da altro organo cui la Costituzione attribuisce funzione

legislativa), benchè anche quella in senso materiale (atti che contengono

norme giuridiche indipendentemente dagli organi che li pongono in

essere) sia in accordo con tale principio: questo orientamento è dettato

dalla situazione di notevole abuso della funzione materialmente

legislativa presente nel nostro Paese.

Il principio di irretroattività pone, invece, il divieto di applicare le norme

penali ai fatti commessi prima della loro entrata in vigore, con lo scopo

di tutelare i cittadini nei confronti del potere legislativo. Si applica nel

caso di un reato creato ex novo, ma anche ove il legislatore abbia posto

una modifica a una legge precedentemente esistente: in quest’ultimo

26

Page 29: Profili penali del c.d. "mobbing"

caso però, mentre l’inasprimento sanzionatorio (e quindi il mutamento

in peius) sarà efficace solo ex nunc (e quindi per il futuro), nel caso in cui

si abbia un trattamento migliore per il reo questo sarà retroattivo (avrà

cioè efficacia ex tunc) come disposto dall’art 2 comma 4 che recita “se la

legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse,

si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che

sia pronunciata una sentenza irrevocabile” .

Infine il principio di determinatezza o di tassatività, impone al

legislatore di formulare la norma penale in modo preciso e chiaro tale da

permettere di comprendere ciò che è lecito e ciò che non lo è, proprio

allo scopo di garantire, la certezza del diritto. Ha una funzione

limitatrice dell’attività interpretativa dei giudici, per poter tutelare i

cittadini, contro gli abusi del potere giudiziario.

Un suo corollario è quello della frammentarietà, che sancisce il dovere

del legislatore, nel creare la fattispecie penale, di specificare con molta

precisione quali siano le condotte lesive, e limitare a quelle la

sanzionabilità. Questo comporta che, talvolta, nel diritto penale si creino

delle lacune normative che non potranno, in base a quanto sancito

dall’art. 12 delle preleggi, essere colmate con l’ausilio dell’analogia: ai

giudici sarà quindi vietato, di fronte a un caso che non rientra in una

specifica norma di legge, regolarlo secondo la normativa che disciplina

casi simili.

27

Page 30: Profili penali del c.d. "mobbing"

Altro principio costituzionalmente sancito è quello di offensività che

insieme a quello di materialità concorre nella determinazione della

nozione di reato.

Il principio di materialità impone che ogni reato sia costituito da almeno

un fatto “osservabile”, mentre quello di offensività afferma la necessità

che ogni reato, per essere tale, debba essere offensivo di qualcosa.

In ultimo vi è da considerare il principio di colpevolezza che sancisce la

responsabilità penale per fatto proprio: il fatto deve infatti essere

considerato proprio del soggetto che si vuole punire con la sanzione

penale e questo sulla base di una responsabilità oggettiva (la

realizzazione materiale del fatto) e di una soggettiva (vi deve essere dolo

o almeno colpa).

I principi costituzionali si estendono e applicano anche al reato e ciò si

rileva soprattutto in uno dei suoi 3 elementi caratterizzanti: la tipicità,

che impone la conformità del fatto al tipo di illecito descritto dal

legislatore. In essa si trovano espressione da un lato il principio di

determinatezza e frammentarietà, laddove si descrive la condotta tipica,

e dall’altro il principio di offensività che si concretizza nell’evento da cui

affiora il bene giuridico protetto dalla norma.

Vi sono anche altri elementi del reato come l’antigiuridicità, che indica la

contrarietà del fatto tipico al diritto, e la colpevolezza, cioè la

rimproverabiltà dell’agente.

28

Page 31: Profili penali del c.d. "mobbing"

In particolare, analizzando la tipicità del reato, si può notare che questo

è costituito, in generale, dagli stessi elementi: soggetto attivo, condotta,

evento e nesso causale.

Il diritto penale, in base a quanto sopra esposto, risulta essere un diritto

estremamente frammentario e per il principio di extrema ratio,

applicabile solo ove le tutele extra penali risultino insufficienti.

Inesistenza di una specifica fattispecie di mobbing

Nel nostro ordinamento sono presenti numerose norme, soprattutto di

carattere civilistico, invocabili laddove vi siano condotte integranti lo

schema vessatorio.

29

Page 32: Profili penali del c.d. "mobbing"

Nel prospettare una tutela penale del mobbing, si riscontrano numerose

difficoltà a causa dell’incompatibilità dei principi su cui verte e si

costituisce tale diritto, con le caratteristiche del fenomeno in esame.

Innanzitutto, nel nostro codice penale non è contemplata una norma che

sanzioni espressamente il mobbing e questo, in base a quanto disposto

dal principio di legalità, rappresenta un grande ostacolo per

l’applicazione della tutela penale al fenomeno considerato.

Il mobbing, come già visto nel primo capitolo, è un fenomeno molto

complesso e dai contorni incerti: i comportamenti e le condotte che lo

compongono sono numerose, gli elementi caratterizzanti non sono del

tutto certi e precisi e ciò comporta una grande difficoltà da parte del

legislatore nell’ elaborazione di una definizione esaustiva. La mancanza

di questa risulta essere un vero e proprio dramma per il penalista nel

caso in cui voglia costituire una fattispecie incriminatrice del mobbing

poichè tale vaghezza contrasta inevitabilmente con il principio di tipicità

dell’illecito penale il quale richiede una descrizione precisa delle

caratteristiche del fatto punibile.

Inoltre il mobbing inteso come “legal framework”18, cioè come cornice

giuridica dentro la quale si ritrova il vero disvalore del fenomeno, dato

dalla valutazione delle vessazioni nel loro insieme e non singolarmente

considerate, contrasta secondo quanto sostiene Alessandra Szego19 con i

18 Bona M., Monateri P.G., Oliva U. - La responsabilità civile nel mobbing, Ipsoa, Milano, 2002.19 Szego A. - Mobbing e diritto penale, Giuffrè, Milano, 2007.

30

Page 33: Profili penali del c.d. "mobbing"

principi di tassatività e determinatezza che rendono possibile ricondurre

il singolo fatto punibile al modello delineato dal legislatore. La stessa

autrice rileva che, nell’analisi delle singole condotte del mobber, talvolta

queste possono risultare di per sè neutre assumendo poi il carattere

dell’illeicità se poste nel contesto della strategia vessatoria: ciò è

chiaramente in contrasto con il principio di offensività del diritto penale,

il quale impone che le condotte poste in essere dal reo siano lesive di

qualcosa.

Come visto, quindi, risulta difficile trovare nel nostro ordinamento

penale una collocazione sicura per il mobbing, considerando anche il

divieto di analogia che vige nel diritto penale e che impedisce

l’estensione al mobbing di una disciplina dettata per un caso simile.

Ciò nonostante, è importante dare al fenomeno una minima rilevanza

penale20 ed, in particolare, la sua nozione può trovare impiego nel diritto

penale, con tre accezioni21:

- come elemento costitutivo di reato, in quanto, alle diverse condotte

poste in essere dal mobber corrispondono molteplici ipotesi di illecito;

- quale movente del disegno vessatorio del mobber, inteso come lo

stimolo che ha indotto l’individuo ad agire; in questo caso, quindi,

l’obiettivo di una precisa strategia persecutoria può individuare

20 La sentenza n. 33624/07, evidenzia la stessa necessità, sia in chiave di ius conditum, ove sancisce che la fattispecie più vicina al mobbing è quella contenuta nell’art. 572 c. p., sia nella prospettiva dello ius condendum, quando invita ad un caloroso intervento della politica per colmare il vuoto normativo.21 Castelnuovo A. - Mobbing e diritto penale, in Pedrazzoli M. (a cura di), Vessazioni ed angherie sul lavoro, Zanichelli Editore, Bologna, 2007, pp. 420 - 421.

31

Page 34: Profili penali del c.d. "mobbing"

l’esistenza di un dolo specifico tale da inquadrare il fatto in un reato

piuttosto che nell’altro.

- nel senso di circostanza aggravante del reato, che potrà essere intesa

a seconda dei casi, come motivo abietto, futile,..

L’integrazione tra diritto penale e mobbing sarà quindi resa possibile

dallo studio delle modalità di attuazione del disegno vessatorio in modo

da poterle ricondurre, di volta in volta, alla fattispecie penale

maggiormente adatta.

Le prospettive de iure condendo: l’opportunità di introdurre una fattispecie ad hoc

Nonostante le difficoltà nel creare un reato di mobbing vi sono state

alcune proposte di legge che accanto alla tutela civile, si sono occupate

di porre anche una protezione penale: si vedano qui di seguito alcuni

esempi con i relativi giudizi riportati dagli autori.

32

Page 35: Profili penali del c.d. "mobbing"

Il primo progetto di legge da considerare è il n. 1813 del 1996, elaborato

con lo scopo di “prevedere il reato di mobbing e perseguire penalmente

tale comportamento, equiparandolo ad un reato verso la persona e la

società”22. Il mobbing è qui costruito come un reato di evento (per il cui

perfezionamento è necessario che si realizzi un danno altrui) a forma

vincolata (la condotta deve essere tesa a creare terrore psicologico

nell’ambiente lavorativo), nel quale le modalità di realizzazione della

condotta devono consistere in “molestie, minacce, calunnie e ogni altro

atteggiamento vessatorio che conduca il lavoratore all’emarginazione,

alla diseguaglianza di trattamento economico e di condizioni lavorative,

all’assegnazione di compiti e o funzioni dequalificanti”. La pena

prevista è di reclusione da uno a tre anni e l’interdizione dai pubblici

uffici fino a tre anni.

Le critiche sollevate da A. Szego23 sono numerose: innanzitutto, rileva

quanto la pena sia bassa se rapportata a quella di altre forme di reato già

usate per perseguire le condotte vessatorie (ad esempio art. 610 c.p.). Per

quanto riguarda la locuzione “terrore psicologico” richiamata nella

norma, l’autrice ritiene che possa creare problemi di carattere

applicativo al giudice penale, a causa della sua sfuggevolezza, benchè la

stessa sia largamente usata dai magistrati del lavoro. Secondo l’autrice, il

tentativo di esplicitare le condotte poste in essere dal mobber, non

22 Dalla Relazione al progetto n. 1813 del 1996.23 Szego A. - Mobbing e diritto penale, Giuffrè, Milano, 2007, p. 37.

33

Page 36: Profili penali del c.d. "mobbing"

rappresenta un esempio di “correttezza tecnica legislativa”, poichè

nell’elencazione analitica di tali condotte, che si conclude poi con

un’espressione generica, si ritrova anche la calunnia, termine utilizzato

in tale contesto come sinonimo di maldicenze, ma che tecnicamente

significa ben altro (vedi art. 368 c.p.).

Il secondo progetto di legge che va esaminato è il n. 6667, del 5 gennaio

2000, di iniziativa del deputato Fiori, che dispone per chiunque compia

“atti di violenza psicologica, o comunque riconducibili ad essa,

inequivocabilmente e strumentalmente finalizzati a provocare un danno

lesivo della dignità, fisica o morale, di altri costretti a subire tali atti a

causa di uno stato di necessità”24, una sanzione principale di reclusione

da uno a tre anni, e una pena accessoria d’interdizione dai pubblici uffici

fino a tre anni o di pena pecuniaria da 5 a 30 milioni.

La norma contiene il riferimento allo “stato di necessità” in cui

dovrebbe versare la vittima, ma tale formula è inaccettabile in questo

contesto poichè rappresenta, tecnicamente parlando, una causa di

giustificazione; anche laddove sia considerato atecnicamente, il

contenuto della figura è determinato dall’art. 54 c.p., con la conseguenza

che, ove non ricorrano le condizioni previste dall’articolo, il giudice non

potrà applicare tale reato e punire il mobber.

Si riscontra, inoltre, in tale progetto l’uso di avverbi troppo ridondanti,

quali “inequivocabilmente” e “strumentalmente” e più in generale la

24 Progetto di legge, n. 6667, del 5 gennaio 2000, art. 1.

34

Page 37: Profili penali del c.d. "mobbing"

norma appare vaga, come dimostra l’uso dell’ espressione “atti di

violenza psicologica o comunque riconducibili ad essa”

L’ultimo progetto di legge oggetto del nostro studio è il n. 3255 del 22

dicembre 2004, che all’art. 3 prevede la tutela penale del mobbing. Benchè

a detta di Szego, sia un progetto maggiormente apprezzabile rispetto ai

precedenti, secondo March25 non risulta soddisfacente il modo in cui

l’obiettivo di tutela è perseguito. In particolare, ritiene che la definizione

contenuta nell’art. 1 della normativa sia incompleta poichè non fa alcun

riferimento al mobbing orizzontale, quello cioè posto in essere nei

confronti di colleghi di pari grado. Altro punto di criticità riguarda

l’elenco delle condotte contenute nel secondo comma: l’autore reputa

infatti che stabilire una figura di mobbing con precisi comportamenti

vessatori creerebbe notevoli problemi di compatibilità con il principio di

tassatività della fattispecie penale, laddove il mobber usi condotte

vessatorie diverse da quelle previste. L’ultima questione riguarda il bene

giuridico tutelato. La norma prevede che la legge protegga i diritti e la

dignità della persona, la sua salute fisica e mentale e il suo patrimonio

professionale: la protezione penale a quest’ultimo bene giuridico sembra

in contrasto con il principio di sussidiarietà in quanto la giurisprudenza

giuslavoristica, all’art. 2103, offre una tutela adeguata.

25 March M. - Osservazioni in tema di responsabilità penale del mobber, in Indice penale, 2006, p. 1105.

35

Page 38: Profili penali del c.d. "mobbing"

Concludendo, benchè sia apprezzabile la volontà di fare chiarezza sul

fenomeno del mobbing, risulta pregnante e sostenibile quanto osservato

dalla stessa Szego, quando rileva nei tre progetti, norme troppo

ridondanti, una terminologia atecnica e l’assenza di una logica

sanzionatoria nelle pene e nelle loro misure.

CAPITOLO III

Le singole fattispecie incriminatrici in base alle quali può rilevare penalmente il c.d. mobbing

L’assenza di una fattispecie ad hoc di mobbing non impedisce alla

giurisprudenza di applicare le norme della parte speciale di diritto

penale ricorrendo all’uso dell’interpretazione estensiva della fattispecie

36

Page 39: Profili penali del c.d. "mobbing"

concreta26, laddove le condotte vessatorie ne realizzino tutti gli estremi,

per sanzionare tali comportamenti.

In questo capitolo si sono volute analizzare le figure di reato nelle quali

maggiormente, a detta degli studiosi, si presta ad essere inquadrato il

fenomeno del mobbing.

I maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli

La nota sentenza della Cassazione Penale n. 33624/07 ritiene che il reato

maggiormente “vicino” al mobbing sia proprio l’illecito previsto dall’art.

572 c.p.27, il quale recita: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo

precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni

quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata

per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per

l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da

uno a cinque anni.”.

Nella rubrica di tale articolo troviamo il solo riferimento alla famiglia o

ai fanciulli, ma ciò non deve trarre in inganno e indurre a considerarlo

incompatibile con il fenomeno del mobbing: la norma, infatti, fa

riferimento anche all’ipotesi di un soggetto che maltratta una persona

26 Campanelli G. - Mobbing tra civile, penale ed informazione distorta, in www.penale.it .27 Perdonà G., Blu Fabris E. - Il mobbing è (ancora) reato, o no(n più)? Un commento - sorprendentemente - adesivo a Cass. Pen., n. 33624/07, in www.altalex.com .

37

Page 40: Profili penali del c.d. "mobbing"

sottoposta alla sua autorità, rendendolo in tal modo conciliabile con il

fenomeno in questione.

Tale concetto di autorità crea però dei problemi riguardo alla sua

interpretazione ed estensione: una parte della dottrina, infatti, sostiene

che sia da riferire al soggetto titolare di poteri di imperio che gli

derivano da una posizione di tipo formale e pubblicistico, risultando

quindi applicabile alle sole vessazioni realizzate nel pubblico impiego28;

l’altra, invece, supportata dalla stessa giurisprudenza29, propone una

visione più ampia del concetto, comprendendovi anche i casi di autorità

privata. Quest’ultima tesi sembra essere preferibile, anche in ragione del

fatto che il legislatore, all’art. 51 c.p., ha espressamente usato la

specificazione “pubblica autorità”, da cui si può dedurre che laddove

non vi sia un esplicito riferimento, la locuzione “autorità” andrà intesa

nel senso più vasto del termine, senza porvi alcun limite interpretativo.

Nel confrontare il reato di cui all’ art. 572 c.p. con il fenomeno del

mobbing, risulta evidente la presenza di caratteristiche comuni, quali:

- la condotta (o elemento oggettivo): il delitto di maltrattamenti di

famiglia si configura laddove un soggetto sottoponga abitualmente

la vittima ad una serie di attacchi lesivi della sua integrità fisica e

psichica. La condotta si compone di una pluralità di atti che, talvolta,

singolarmente considerati non costituiscono delitto, ma assumono

28 Balbi G. - Violenza sessuale, in Enciclopedia giuridica, XXXII, aggiornamento, Treccani, Roma, 1998, p. 11.29 Cass. pen, sez. VI, n. 10090, del 12 marzo 2001.

38

Page 41: Profili penali del c.d. "mobbing"

rilevanza penale laddove venga considerata la loro reiterazione e

intenzionalità. Risulta invece indifferente, ai fini della configurazione

del reato, che gli atti lesivi siano alternati a periodi di normalità.

- l’elemento soggettivo: per integrare il reato considerato è necessario

il dolo generico con il quale si intende la coscienza e l’intenzionalità

di sottoporre il soggetto a sofferenze continue. E’ quindi proprio

l’intenzione di sopraffare una persona il filo che lega tutti i

comportamenti posti in essere dal soggetto attivo.

Questi caratteri si ritrovano anche nel mobbing, come già esaustivamente

analizzato nel primo capitolo.

Un caso in cui il mobbing trovi integrazione in tale articolo è quello

contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione n. 10090 del 22

gennaio 2001: in questa, un capo area responsabile di una ditta di

vendite porta a porta infliggeva ai giovani venditori ripetute vessazioni

fisiche e morali per constringerli a sopportare i ritmi di lavoro

massacranti. Era inoltre solito minacciarli di troncare il rapporto di

lavoro senza pagar loro le retribuzioni pattuite: minaccia

particolarmente sentita dalle vittime, poichè il lavoro era in nero e le

retribuzioni venivano versate su libretti dei lavoratori, conservati dal

datore.

39

Page 42: Profili penali del c.d. "mobbing"

La Corte in questa sentenza respinge il ricorso dei due imputati e

ribadisce la condanna a titolo di maltrattamenti e violenza privata

continuata.

Facendo riferimento al concetto di autorità sopra espresso, risulta però,

che il reato considerato in tale articolo, sia integrato solo nei casi di

mobbing verticale discendente, ove tra i due soggetti ci sia un rapporto di

gerarchia. Non sarà quindi riferibile nè alle situazioni di mobbing

orizzontali nè a quelle di mobbing verticale ascendente.

La minaccia e la violenza privata

Spesso il mobber, nella realizzazione della sua condotta vessatoria, si

serve dello strumento della minaccia che, come ricorda C. Parodi,

40

Page 43: Profili penali del c.d. "mobbing"

rappresenta la più antica e semplice forma di aggressione e quindi di

pressione psicologica su di un’altra persona.30

Risulta quindi immediatamente rilevabile il delitto di minaccia

contenuto nell’art. 612 c.p. che recita: “Chiunque minaccia ad altri un

ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino

a 51 euro. Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati

dall’art. 339, la pena è della reclusione fino ad un anno e si procede

d’ufficio”.

Per valutare se la minaccia presenti il carattere della gravità prevista dal

secondo comma, sarà necessario considerare, come la stessa

giurisprudenza sostiene31, non solo il tipo e l’entità del male minacciato,

ma anche le circostanze nelle quali la minaccia è compiuta e le

condizioni particolari in cui si trovano il mobber e la vittima.

Nel caso in cui la minaccia sia fatta per imporre alla vittima la

commissione di determinate mansioni di lavoro o per ottenere da lei

rinuncie lavorative, talvolta anche definitive, sarà possibile introdurre

anche il reato di violenza privata. L’articolo cui è riferito tale delitto è il

610 c.p. , che recita “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a

fare, tollerare, od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a

quattro anni. La pena è aumentata se concorrono le condizioni

prevedute dall’art. 339”.

30 Parodi C. - Mobbing. Responsabilità civili e penali per enti e imprese. Soggetti, profili previdenziali e valutazioni medico-legali, Il Sole 24 Ore, Milano, 2007, p. 258.31 Cass. pen., sez. V, 11 agosto 1986, in Rivista penale, 1987, p. 34.

41

Page 44: Profili penali del c.d. "mobbing"

Gli autori, tra i quali troviamo Cofano32 , Bonini33e Viscomi34, non

rilevano grandi problemi riguardo all’uso della minaccia da parte del

mobber, per integrare tale delitto; qualche dubbio invece sorge in

relazione alla locuzione “violenza” e alla possibilità di definire

“violente” le azioni vessatorie.

In merito a ciò, è necessario fare un distinguo tra la concezione di

violenza “in senso stretto”, e l’altra di tipo “articolata” o

“bidimensionale”.

Con la prima si intendono tutti quegli atti che provocano alla vittima un

danno diretto e immediato al quale il soggetto non può sottrarsi: questa

concezione risulta poco applicabile alle condotte mobbizzanti in quanto

è raro che il mobber ponga in essere atti destinati a causare un’effettiva

lesione della vita o dell’integrità fisica del soggetto.

La seconda interpretazione invece, considera la violenza come

“causazione di uno stato di costrizione che si realizza anche fisicamente

sulla vittima, o con mezzi sostitutivi che esprimono indirettamente un

impiego di energia fisica o che denotano comunque comportamenti

aggressivi, attraverso un attuale pregiudizio prodotto”35.

32 Cofano R. - Breve disamina socio-normativa del mobbing sul luogo di lavoro alla luce del codice penale e dell’analisi economica del diritto, in Rivista penale, 2002, p. 1. 33 Bonini S. - “Dalla fase zero alla fase sei”. Aspetti penalistici del mobbing, in Scarponi S. ( a cura di), Il mobbing. Analisi giuridica interdisciplinare, Cedam, 2009, p. 63.34 Viscomi A. - Il mobbing: alcune questioni su fattispecie ed effetti, in Lavoro e diritto, 2002, n. 1, p. 58. 35 Mezzetti E. - Violenza privata e minaccia, in Digesto delle discipline penalistiche, XV , Utet, Torino, 1998, p. 267.

42

Page 45: Profili penali del c.d. "mobbing"

Il criterio dell’aggressività come indice del carattere violento della

condotta si ritrova spesso nel rapporto tra il mobber e la sua vittima e

questo consente quindi una maggiore applicabilità del reato in esame al

fenomeno del mobbing.

La conflittualità a cui si fa riferimento non è quella normale e fisiologica

presente nell’ambiente aziendale e che può al massimo indurre un

lavoratore alle dimissioni, ma si parla di una vera e propria costrizione

ad abbandonare l’ambiente lavorativo.

Nel “caso Ilva” troviamo una chiara applicazione del reato di violenza

privata per sanzionare i comportamenti vessatori: è il 1995 e, in seguito

alla privatizzazione del gruppo Ilva di Taranto, colosso della siderurgia,

il gruppo Riva ne è diventato il nuovo proprietario, con l’impegno di

riassorbire il personale, nel frattempo messo in mobilità. Il gruppo Riva

però, scaduto il termine per la mobilità, in un primo momento si rifiuta

di reinserire i lavoratori, e successivamente, ottenuta la riassunzione

degli stessi con l’intervento del giudice del lavoro, propone loro la

novazione del rapporto comportante la dequalificazione da impiegato a

operaio. Chi non accetta tale condizione viene ripreso in azienda e

immediatamente trasferito nella “palazzina Laf”: in questa i lavoratori

sono costretti a una forzata inattività e sottoposti a settimanali colloqui

con una figura che ricorda loro come l’età e la situazione economica non

florida, siano motivi molto fondati per aderire alla novazione del

43

Page 46: Profili penali del c.d. "mobbing"

contratto; tale situazione avrà delle forti ripercussioni psicologiche su

molti lavoratori.

Il tribunale di Taranto ha condannato quindi i vertici amministrativi e

dirigenziali per concorso in tentata violenza privata; sentenza che ha

subito qualche modifica in appello e che è stata successivamente

confermata dalla Cassazione la quale ha rigettato i ricorsi .36

L’estorsione

La norma che contempla tale delitto è l’art. 629 c.p., il quale dispone che

“chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o

ad omettere qualche cosa, procura a sè o ad altri un ingiusto profitto con

36 Cass. pen., sez. VI, 21/9/2006, n. 31413, in Cassazione Penale, 2007.

44

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altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la

multa da euro 516 a euro 2065. La pena è della reclusione da sei a venti

anni e della multa da euro 1032 a euro 3098, se concorre taluna delle

circostanze indicate nel capoverso dell’articolo precedente”.

Analizzando i determinati profili che può assumere il mobbing, si

comprende la loro rapportabilità a tale articolo: la condotta violenta o

minacciosa del mobber, di cui si è già detto precedentemente, può talora

costringere il lavoratore mobbizzato a fare od omettere qualche cosa (ad

esempio il rassegnare le dimissioni) da cui l’autore delle vessazioni

tragga un ingiusto profitto (rappresentato dal liberarsi del dipendente e

quindi dall’onere di retribuirlo) a danno del lavoratore stesso.

Un caso in cui si ravvisa l’applicazione di tale reato alle vessazioni

lavorative è quello contenuto nella sentenza n. 5426 dell’ 11 febbraio

2002, Cassazione penale, nel quale i titolari di un’impresa di pulizie,

minacciando alcuni soggetti di non assumerli, li constringevano ad

accettare un accordo, che prevedeva un trattamento retributivo inferiore

rispetto a quello previsto dalla legge. Come si evince dalla pronuncia,

l’esistenza di un accordo contrattuale non esclude il reato di estorsione,

poichè proprio nello stesso potrebbe essere contenuta la minaccia volta a

condizionare la volontà del soggetto.

In ipotesi siffatte, il mobbing risulta quindi poter integrare tale reato,

avendo cura di valutare anche tutte le circostanze del caso, quali le

45

Page 48: Profili penali del c.d. "mobbing"

condizioni ambientali, l’ingiustizia della pretesa e la personalità del

dipendente37.

L’ingiuria e la diffamazione

Tra i delitti contro l’onore troviamo, all’ art. 594 c.p. quello di ingiuria

che sancisce: “chiunque offende l’onore o il decoro di una persona

37 March M. - Osservazioni in tema di responsabilità penale del mobber , in Indice penale, 2006.

46

Page 49: Profili penali del c.d. "mobbing"

presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a

euro 516”.

L’onore è definito dalla giurisprudenza quale insieme delle qualità

morali di una persona e il decoro come il complesso di tutte le altre

qualita che ne determinano il valore sociale comprendendo quindi, oltre

alla dignità fisica, anche quella intellettuale e professionale della vittima.

Nel rapportare tale delitto all’ambito del lavoro subordinato, vanno

distinti i casi in cui il superiore esercita un semplice diritto di critica e

correzione nei confronti del subordinato, senza che questo costituisca

reato, da quelli, invece, nei quali pone in essere un’offesa all’altrui onore

o decoro con intenzione vessatoria, attaccando la vittima con

affermazioni relative alla sua vita privata, alla sua professionalità o

all’aspetto fisico e integrando quindi il reato in questione.

Benchè di difficile probazione, tra le espressioni di disprezzo usate dal

mobber, vi è anche l’indifferenza deliberata o il rifiuto immotivato nei

confronti delle richieste del dipendente, strategia usata per rimarcare la

irrilevanza della vittima all’ interno dell’ambito lavorativo.

La norma, al comma 4, prevede un’aggravante laddove l’offesa sia

commessa in presenza di più persone: è sufficiente un numero minimo

di due persone e sono compresi anche coloro che percepiscono l’offesa

trovandosi in un luogo contiguo rispetto a quello in cui è commesso il

47

Page 50: Profili penali del c.d. "mobbing"

reato38. Il mobber porrà in esser l’offesa alla presenza di altre persone

proprio per diffondere questa ostilità nei confronti del soggetto, creando

cosi un’etichetta che durerà nel tempo e condizionerà negativamente i

rapporti della vittima all’interno dell’ambiente lavorativo.

Per quanto concerne il delitto di diffamazione, che ritroviamo all’art. 595

c.p., questo consiste nell’offesa alla reputazione arrecata ad un soggetto

non presente, comunicando con più persone.

Per reputazione va intesa “ l’opinione favorevole e, quindi, la stima che i

consociati hanno di una determinata persona, sia sotto il profilo morale

che sotto quello sociale”39 e gli attacchi a questa possono concretizzarsi

in vari modi come ad esempio con la divulgazione di aspetti privati

della vita dello stesso o di errori commessi durante la prestazione

lavorativa.

In questa fattispecie non si ricontra un ulteriore fine ai comportamenti

diffamatori del mobber (al contrario di quanto riscontrato nella violenza

privata). L’intento persecutorio sarà maggiormente visibile laddove il

mobber attribuisca alla vittima un fatto determinato (costituente

un’aggravante ex art. 595 co. 2) palesemente infondato.

Il mobber in questo modo potrà trasformare una maldicenza in

un’opinione generale diffusa, sottraendo alla sua vittima qualsiasi

appoggio da parte dei colleghi.

38 Spasari M. - Diffamazione e ingiuria (diritto penale), in Enciclopedia del diritto, XII, Milano, 1964, p. 487.39 Spasari M. - Diffamazione e ingiuria, in Enciclopedia del diritto, XII, Milano, 1964, p. 482.

48

Page 51: Profili penali del c.d. "mobbing"

M. Sansone40 e S. Bonini41 opportunamente sottolineano che, nonostante

i reati contro l’onore siano pertinenti con il fenomeno del mobbing, questi

si limitano a cogliere solo alcuni aspetti della strategia mobbizzante,

dimenticando le conseguenze che essa produce sull’integrità fisica del

soggetto.

L’abuso d’ufficio

Il reato di abuso d’ufficio, previsto dall’ art. 323 c.p., si perfeziona ove

intenzionalmente il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio,

40 Sansone M. - Prospettive di una penalizzazione del “mobbing”, in Rivista penale, 2006.41 Bonini S. - “Dalla fase zero alla fase sei”. Aspetti penalistici del mobbing, in Scarponi S. (a cura di), Il mobbing. Analisi giuridica interdisciplinare, Cedam, 2009.

49

Page 52: Profili penali del c.d. "mobbing"

procuri a sè (o ad altri) un ingiusto vantaggio patrimoniale o comunque

provochi ad altri un ingiusto danno, durante l’esercizio delle funzioni o

lo svolgimento del servizio, violando norme di legge o di regolamento,

oppure non astenendosi laddove abbia un interesse proprio o di un suo

prossimo congiunto.

Le condizioni che devono essere presenti affinchè si realizzi tale reato

sono quindi:

- il pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, quale

soggetto attivo della vicenda;

- la violazione di una specifica norma di legge o di regolarmento;

- l’esistenza di un rapporto causa-effetto, tra la violazione della

norma da parte del soggetto attivo e la realizzazione di un ingiusto

vantaggio o danno;

- il dolo intenzionale e cioè la forte volontà del soggetto di realizzare

un ingiusto vantaggio patrimoniale oppure un danno ingiusto.

La configurabilità del mobbing in tale reato è di facile intuizione così

come è semplice ipotizzare casi in cui il mobber ponga in essere una

condotta vessatoria per il raggiungimento di un vantaggio patrimoniale

proprio o altrui.

Le caratteristiche del reato sopra detto risultano infatti, in perfetto

accordo con quelle del mobbing: il dolo intenzionale si ravvisa nella

ideazione e realizzazione della condotta vessatoria reiterata e il

50

Page 53: Profili penali del c.d. "mobbing"

vantaggio patrimoniale si identifica nel fine perseguito dal mobber, mai

considerato legittimo.

A conferma di quanto detto, si può analizzare il caso di una dipendente

dell’asilo nido comunale di Scorrano, che fu destinata a mansioni di

ausiliare del traffico su decisione del sindaco, senza che quest’ultimo

avesse valutato preventivamente l’idoneità della vittima a svolgere le

nuove mansioni e comunque più in generale senza aver osservato le

disposizioni prescritte dalla legge. La dipendente fu poi reinserita

nell’asilo nido senza che le venissero specificate le mansioni da svolgere,

intensificando, in questo modo, la situazione di umiliazione e

dequalificazione cui era già sottoposta42.

I giudici di merito hanno rilevato nel caso considerato gli estremi del

mobbing e condannato l’imputato per il reato di abuso d’ufficio.

La concreta applicabilità di tale reato al fenomeno del mobbing però,

risulterà circoscritta ai soli casi in cui, come prescrive l’articolo 323 c.p.,

il mobber sia un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio,

escludendo così il datore privato.

Le lesioni personali

Confrontiamo ora il mobbing con la fattispecie contenuta nell’art. 582 c.p

e rubricata “lesione personale” che a detta di Gaia Giappichelli risulta

42 Tribunale di Lecce, sez. pen., n. 672, del 11 febbraio 2004.

51

Page 54: Profili penali del c.d. "mobbing"

essere quellla a cui la giurisprudenza si è maggiormente richiamata43:

tale norma prevede la reclusione da tre mesi a tre anni per chiunque

causi una lesione personale, alla quale consegua una malattia nel corpo

o nella mente.

Il bene tutelato è quindi la salute dell’individuo, intesa in senso più

ristretto rispetto alla concezione costituzionale ex art. 32, come l’assenza

di malattia e l’integrità psico-fisica del soggetto.

L’ articolo prescrive che la condotta posta in essere dall’agente sia

idonea a causare la malattia della vittima: è quindi necessario decrivere

quali condotte mobbizzanti siano dotate di un potenziale lesivo

estremamente significativo.

Innanzitutto vanno considerati gli attacchi alla possibilità di comunicare,

che rappresentano un mezzo molto efficace per “incatenare

psicologicamente la vittima ”44, rendendo impossibile una sua reazione.

Alcuni esempi si ravvisano nell’ utilizzo da parte del mobber di un tono

di voce particolarmente imperioso, nella critica continua senza necessità,

ma anche nell’adozione di una comunicazione non verbale, fatta di

sguardi o di silenzi che provocano grave tensione a chi li subisce.

Altra categoria è quella degli attacchi alla vita di relazione del

mobbizzato all’interno dell’ambito lavorativo, che comprende tutti i

comportamenti volti ad isolarlo fisicamente e psicologicamente.43 Giappichelli G. - Sull’atipicità del mobbing e il suo possibile rilievo penale, in Rivista italiana di diritto del lavoro, Giuffrè, 2008, p. 413.44 Hirigoyen M.F. - Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Einaudi, Torino, 2000.

52

Page 55: Profili penali del c.d. "mobbing"

E ancora, gli attacchi tesi alla distruzione dell’immagine sociale della

vittima, quali la diffusione di falsità e dicerie e quelli lesivi della

professionalità del lavoratore, come il demansionamento

(civilisticamente già rilevante).

Infine, benchè non si realizzino frequentemente, troviamo gli attacchi

all’incolumità fisica o psichica del mobbizzato che può essere costretto

ad attività pericolose senza adeguate protezioni o addirittura sottoposto

a violenze fisiche vere e proprie.

Tra gli elementi che caratterizzano il mobbing, individuati dalla

psicologia del lavoro, troviamo anche l’intento persecutorio: ed è

proprio in questo “collante ideologico”45 che si ritrova il filo conduttore

dell’intero disegno vessatorio, laddove si analizzino i requisiti che

caratterizzano la condotta del mobber, rilevante ai fini dell’articolo in

questione.

Per quanto concerne l’evento, è necessario verificare se nella vittima si

possa riscontrare una condizione di malattia penalmente rilevante.

È importante ricordare, come detto nel primo capitolo, che la vittima è

oggetto di continue e reiterate vessazioni e ciò può portare, col passare

del tempo, a gravi conseguenze personali.

45 Parodi C. - Mobbing. Responsabilità civili e penali per enti e imprese. Soggetti, profili previdenziali e valutazioni medico – legali, Il Sole 24 Ore, Milano, 2007.

53

Page 56: Profili penali del c.d. "mobbing"

Riguardo alle malattie del corpo, è stata riconosciuta dalla medicina

l’esistenza di uno stretto legame tra queste e il mobbing (come nel caso di

malattie cardivascolari, malattie gastriche..).

Per quanto concerne, invece, le malattie della mente, quelle

maggiormente riscontrate nei lavoratori mobbizzati sono la malattia

depressiva, il disturbo d’ansia generalizzato, disturbo da attacchi di

panico, disturbi del sonno e il disturbo post-traumatico da stress. È vero

che, soprattutto alcune di queste patologie, possono essere ricollegate ad

eventi dolorosi vissuti dall’individuo, ma è altrettanto innegabile che il

lavoratore mobbizzato è posto in una situazione traumatica.

Un’ultima precisazione: le prime fasi del mobbing, dove non si trovano

manifestazioni di malattie gravi e dove l’assenteismo è limitato, faranno

per lo più insorgere lesioni lievi e lievissime regolate dall’art.582 c.p.;

con il progredire delle fasi e l’aggravarsi dei problemi di salute

dell’individuo si farà riferimento a quanto contenuto nell’art. 583 c. p. .

Per valutare se sussista il nesso eziologico tra la condotta mobbizzante e

il verificarsi dell’evento (in questo caso della malattia), si fa ricorso alla

criteriologia che distingue tra criterio:

- Cronologico , che valuta la congruità dell’intervallo temporale tra la

condotta e il verificarsi dell’evento; l’attenzione del perito sarà

focalizzata sulla durata e sulla frequenza della sottoposizione della

vittima alle vessazioni.

54

Page 57: Profili penali del c.d. "mobbing"

- Dell’adeguatezza lesiva (o della sufficienza), con il quale si guarda alla

capacità della condotta di cagionare determinate malattie, riferendosi in

particolare, alla proporzionalità e alla compatibilità tra la condotta lesiva

e la tipologia di danno cagionato.

- Di continuità fenomenologica con il quale si afferma che l’eziologia fra

condotta e concatenazione di manifestazioni morbose continua, anche in

presenza di una momentanea sospensione di tale sequenza; nel mobbing

tale criterio è di notevole rilevanza, in quanto il cedimento psicofisico

del lavoratore avviene progressivamente, registrando, talvolta, periodi

di stasi della malattia.

- Di esclusione, con il quale si valuta la mancanza di ogni altra causa

elidente diversa da quella ipotizzata46.

I criteri sopraddetti dovranno essere considerati congiuntamente e non

in modo isolato.

Riguardo all’elemento soggettivo, e quindi al dolo, bisogna innanzitutto

escludere che il mobber possa essere punito in base all’art. 590 c. p., che

contiene le disposizioni concernenti le lesioni personali colpose: e questo

in base a quanto già visto, sul carattere intenzionale della condotta

vessatoria.

È necessario ora, fare un distinguo tra il caso in cui vi sia un solo mobber,

e quello in cui vi siano altri soggetti a collaborare per la realizzazione

della vessazione.

46 Cass., sez. lav., 5 febbraio 2000, in www.foro.it , I, 2000, c.1572.

55

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Al mobber principale, cioè colui che pianifica, dirige ed attua (anche se

parzialmente) le persecuzioni, si ritiene sia attribuibile il dolo nella sua

massima intensità e quindi il dolo intenzionale. A questo proposito la

dottrina ritiene che la maggior parte delle volte la sua condotta non sia

finalizzata a cagionare una malattia alla vittima , quanto piuttosto ad

allontanarlo: di tutta risposta lo studioso March47 ritiene che, anche

quando il mobber abbia lo scopo supremo di allontanare il lavoratore,

possa voler cagionare una malattia per poter giustificare il

licenziamento.

Nella fattispecie prevista dall’art. 582 c.p. è comunque possibile

ravvisare il dolo eventuale ed in modo particolare sarà riconosciuto in

capo a tutti coloro che pur non volendo la realizzazione della malattia, si

assumono comunque il rischio che la loro condotta ne cagioni una al

lavoratore.

Vediamo ora se siano applicabili al mobbing le circostanze aggravanti

previste dall’art. 583 c.p.

Ai sensi del primo comma n.1) si dice che la lesione è grave se dal fatto

deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa.

Come abbiamo già visto il mobbing può dar luogo a patologie

cardiovascolari, le quali possono causare episodi infartuali e quindi

mettere in pericolo di vita la vittima.

47 March M. - Osservazioni in tema di responsabilità penale del , in Indice penale, 2006.

56

Page 59: Profili penali del c.d. "mobbing"

Sempre lo stesso continua aggiungendo che la lesione è da considerarsi

grave laddove dal fatto derivi una malattia o un’incapacità di svolgere le

ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai quaranta giorni. Sono

quindi da ritenersi idonee a le recidive, le ricadute e soprattutto le

malattie cicliche dovute al mobbing.

Al n 2) dello stesso comma si parla di lesione grave nell’ipotesi di

indebolimento permanente di un organo, che possiamo riscontrare nelle

patologie gastriche quali le ulcere, tipiche malattie correlate al mobbing.

Al secondo comma dell’articolo in questione è considerata l’ipotesi di

lesione gravissima integrata nel caso in cui, dal fatto, derivi una malattia

certamente o probabilmente insanabile: nella sentenza del caso “Ilva”, si

può leggere che la sindrome post-traumatica da stress è “una malattia

dalla quale non si guarisce, essendo permanente il danno subito” 48se

l’esposizione all’evento traumatico dura da più di sei mesi.

Dato che raramente il mobber agisce da solo nel compimento della

persecuzione, è necessario, ora, affrontare il tema del concorso di

persone nel reato di lesioni personali.

A questo proposito, si fa ricorso alla teoria della causalità agevolatrice,

che permette di tenere in considerazione tutte quelle condotte che si

limitano a facilitare il raggiungimento dell’obiettivo criminoso, senza

esserne condizioni fondamentali per la realizzazione.

48 Tribunale di Taranto, sez. II, pen.,sent. n. 742, del 7 marzo 2002, p. 716.

57

Page 60: Profili penali del c.d. "mobbing"

Saranno in questo modo ritenuti concorrenti in tale reato, non solo chi

pone in essere attivamente le vessazioni, ma anche chi, in posizione di

garanzia, omette di attivarsi in specifiche direzioni.

In tema di mobbing è significativa la circostanza aggravante ex art. 112

c.p. n. 2 che stabilisce un aumento della pena per “chi ha promosso od

organizzato la cooperazione nel reato, ovvero diretto l’attività delle

persone che sono concorse nel reato medesimo”.

E ancora applicabile sarà l’aggravante al n. 3 che prevede l’aumento

della pena “per chi nell’esercizio della sua autorità, direzione o

vigilanza, ha determinato a commettere il reato persone ad esso

soggette”.

Concludendo, March49 e Bonini50, riscontrano che, nell’applicare tale

reato al mobbing vi sia un’ottima tutela della salute del lavoratore, grazie

anche alle pene previste dalla norma e poste su livelli edittali tali da

impedire qulasiasi scarto tra pena effettiva e quella teorica.

Lo stalking

L’articolo 612-bis c.p., in vigore dalla fine di febbraio dello scorso anno,

concerne il reato di atti persecutori (altrimenti chiamato stalking) con il

quale si intende punire chi, con condotte reiterate, minaccia o molesta

49 March M. - Osservazioni in tema di responsabilità penale del , in Indice penale, 2006.50 Bonini S. - “Dalla fase zero alla fase sei”. Aspetti penalistici del mobbing, in Scarponi S. (a cura di), Il mobbing. Analisi giuridica interdisciplinare, Cedam, 2009, pp. 90 - 91.

58

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taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di

paura, o di ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di

un prossimo congiunto o di una persona al medesimo legata da

relazione affettiva, o comunque tale da costringere lo stesso ad alterare

le proprie abitudini di vita.

Vediamo ora di analizzare i profili che accomunano i due fenomeni

dello stalking e del mobbing.

In primo luogo è bene notare che tra gli aspetti presenti in entrambi i

fenomeni vi è la reiterazione di atti che hanno la finalità di indurre il

soggetto passivo in uno stato di soggezione e sofferenza psichica.

Per quanto attiene all’elemento soggettivo, invece, questo è riconducibile

al dolo, poichè in entrambi i casi alla base della condotta reiterata vi è la

volontà e la consapevolezza dell’agente della moltiplicità delle azioni e

degli eventi cagionati alla vittima.

In particolare lo scopo di emarginazione che caratterizza il cd.

“mobbing” può determinare, piuttosto che un improbabile e certamente

più raro stato di grave e perdurante paura o il timore per l’incolumità

personale propria o altrui, uno stato grave e perdurante di ansia ed

ancor più un mutamento delle abitudini di vita della vittima.

Vi sono però alcune differenze che intercorrono tra i due fenomeni:

innanzitutto nello stalking l’aggressore pone in essere gli atti persecutori

nella vita privata della vittima mentre nel mobbing le vessazioni sono

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Page 62: Profili penali del c.d. "mobbing"

attuate nell’ ambiente lavorativo. Ciò nonostante, è importante notare,

che gli effetti del mobbing non colpiscono solo la vita professionale della

vittima, ma si estendono anche alla sua sfera personale, rendendo così

due fenomeni più simili.

Vi è però un’altra importante differenza tra i due: nel mobbing infatti le

singole condotte vessatorie possono, talvolta, non essere penalmente

rilevanti, mentre nel reato di atti persecutori i comportamenti

stalkizzanti costituiscono di per sè reati autonomi.

Si puo affermare, in conclusione che laddove il mobbing si realizzi con

condotte moleste o minacciose che cagionino un grave e perdurante

stato di ansia o un cambiamento di abitudini della vita della vittima, ben

potrebbe essere integrato il reato di atti persecutori ex art. 612-bis c.p.51 .

CONCLUSIONI

Serve davvero una normativa ad hoc?

51 Epidendio T.E. - relazione su Il reato di ‘stalking’: profili problematici, in incontro studio su Violenza di genere, ‘mobbing’ e ‘stalking’, in www.csm.it , Roma, 7 aprile 2010.

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Nei precedenti capitoli abbiamo analizzato il mobbing, ne abbiamo fatto

una valutazione nella prospettiva del diritto penale, affrontandone i

punti di criticità e le proposte legislative fatte e ne abbiamo trovato

un’applicazione in forza di talune fattispecie incriminatrici presenti nel

nostro codice penale: è giunto ora il momento di chiedersi se quanto

disposto dall’ordinamento penale sia sufficiente a coprire l’intero

fenomeno del mobbing, prevedendone anche un’adeguata pena, o se sia

invece necessario creare una normativa ad hoc, così com’è stato per lo

stalking.

A tale proposito tra i vari autori si trovano posizioni molto discordanti

tra loro: vi sono infatti coloro che sostengono la necessità di una

normativa specifica e coloro che invece ritengono sufficienti i mezzi di

tutela di cui l’ordinamento dispone.

Tra i primi troviamo Licia Gullotta52 la quale, nel suo articolo, ritiene che

le figure presenti nel nostro codice penale siano inadeguate rispetto al

fenomeno del mobbing. A suo parere è quindi necessario costituire una

norma specifica che contenga tutti i possibili comportamenti vessatori

ma che, al contempo, rispetti i principi fondamentali del diritto penale.

A titolo d’esempio la Gullotta riporta la legge n. 97 del 20 giugno 2008

che la Repubblica di San Marino ha introdotto in tema di prevenzione e

repressione della violenza contro le donne, con la quale ha apportato

notevoli innovazioni riguardo al mobbing e allo stalking: si tratta di un

52 Gullotta L. - La tutela penale in materia di mobbing, www.filodiritto.it, 24/12/2010.

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provvedimento che, adeguatamente migliorato, secondo l’autrice

potrebbe fornire ispirazione al nostro legislatore.

Altro sostenitore della normativa ad hoc è Verrucchi53 il quale, se da un

lato ritiene apprezzabile il tentativo di ricondurre al diritto positivo le

varie condotte mobbizzanti, dall’altro confida che venga posta in essere

una normativa che non specifichi alcunchè riguardo al rapporto di

lavoro tra mobber e mobbizzato, che sia di mera condotta, a dolo

specifico, e che inizi con la clausola di sussidiarietà (“salvo che il fatto

non costituisca reato più grave”) continuando poi con la descrizione

generale del comportamento vessatorio.

Vi sono d’altra parte coloro che sostengono che gli strumenti a nostra

disposizione soddisfino opportunamente la richiesta di tutela del

soggetto mobbizzato.

Tra questi vi è Maurizio Gemelli54, il quale afferma che non sia

assolutamente necessario creare una normativa specifica e questo in

ordine a due ragioni: in primis sostiene che la tutela offerta dal nostro

ordinamento sia sufficientemente esaustiva, vietando tutte le forme di

vessazione: ritiene dunque necessario limitarsi a farne un corretto uso.

In secondo luogo, sostiene che un fenomeno in continuo sviluppo come

il mobbing, non vada imprigionato in una rigida fattispecie, ma debba

53 Verrucchi M.- Rilevanza penale del mobbing, in Diritto penale e processo, n. 7, 2008, p. 899.54 Gemelli M. - I profili penalistici del mobbing, in www.dirittolavoro.altervista.org .

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Page 65: Profili penali del c.d. "mobbing"

essere, piuttosto, regolato da chiare norme fondamentali che vengano

di volta in volta materialmente applicate dalla giurisprudenza.

Sulla stessa linea si colloca Dies55 che valuta inopportuna la creazione di

una fattispecie incriminatrice ad hoc innanzitutto perchè ritiene che il

fenomeno del mobbing sia incompatibile con i principi di diritto penale,

rendendo impensabile la costruzione di tale figura di reato. Osserva

inoltre che gli strumenti offerti dalle altre discipline (diritto civile e

diritto del lavoro), sono maggiormente adatti a tutelare i soggetti,

proprio in forza del loro punto di vista che privilegia le vittime.

S. Bonini56 , al pari di Maurizio Gemelli sostiene che il diritto penale

vigente sia sufficiente a regolare il mobbing, dichiarando però la necessità

che vi sia accanto a tale diritto la presenza di altri strumenti con

funzione educativa e di controllo quali, ad esempio, la diffusione di

sportelli contro gli abusi, la redazione di codici etici, l’istituzione di

maggiori campagne d’informazione, ecc,..: la collaborazione tra i due

permetterà un’efficacie tutela.

A conclusione di questa analisi, risulta significativo il contributo di A.

Szego57 sull’inopportunità di introdurre una fattispecie ad hoc.

L’autrice sostiene che nel nostro ordinamento vi siano norme

sufficientemente adeguate a disciplinare il mobbing e ritiene quindi che i

55 Dies R. - La difficile tutela penale contro il mobbing, in Scarponi S. (a cura di), Il mobbing. Analisi giuridica interdisciplinare, Cedam, 2009, p.119.56 Bonini S. - “Dalla fase zero alla fase sei”. Aspetti penalistici del mobbing, in Scarponi S. (a cura di), Il mobbing. Analisi giuridica interdisciplinare, Cedam, 2009, p. 94.57 Szego A. - Mobbing e diritto penale, Giuffrè, Milano, 2007, p. 67.

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Page 66: Profili penali del c.d. "mobbing"

sostenitori dell’impellente necessità di una normativa ad hoc siano come

“ i malati immaginari disposti, più o meno in buona fede, a reclamare un

intervento che lo stesso sanitario eseguirà di buon grado solo per

assecondare le fole del paziente-cliente, ben conscio che la sua opera

lascerà quest’ultimo nella situazione quo ante, anzi magari più sofferente

per una ferita aperta con troppa superficialità, a sua volta bisognosa di

cura e di sutura o di nuove, altrettanto inutili e traumatiche, sedute al

tavolo operatorio”

Non serve quindi una fattispecie ad hoc, ma una forte attenzione a non

sottovalutare le molte ed inquietanti sfaccettature del fenomeno mobbing,

che devono contribuire ad evidenziarne le implicazioni in termini di

disvalore, talora anche sul piano penale, come si è cercato di illustrare

nel corso del presente lavoro.

Bibliografia

Riferimenti dottrinali

64

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Riferimenti legislativi

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Progetto di legge n. 6667 del 5 novembre 2000

Legge n. 16 dell’ 11 luglio 2002

Progetto di legge n. 3255 del 22 dicembre 2004

Legge n. 97 del 20 giugno 2008

Riferimenti giurisprudenziali

C. Cost., n. 359, del 19 dicembre 2003

Cass. Pen., sez. V, n. 5010, dell’ 11 agosto 1986

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Cass., sez. lav., 5 febbraio 2000

Cass. Pen., sez. VI, n. 10090, del 12 marzo 2001

Cass. Pen., sez. II, n. 5426, del 11 febbraio 2002

Cass. Pen., sez. VI, n. 31413, del 21 settembre 2006

Cass. Pen., sez. V, n. 33624, del 9 luglio 2007

Trib. Taranto, sez. II, pen., sentenza n. 742, del 7 marzo 2002

Trib. Lecce, sez. pen., sentenza n.672, del 11 febbraio 2004

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Page 72: Profili penali del c.d. "mobbing"

RINGRAZIAMENTI

Eccomi finalmente giunta alla pagina che ho desiderato scrivere sin dall’inizio

di questo mio lavoro e che rappresenta la conclusione non soltanto della mia tesi

ma anche di un lungo ed intenso periodo della mia vita.

Ci sono davvero tante persone che voglio ringraziare per aver partecipato e

contribuito al raggiungimento di questo mio traguardo tanto sofferto e ricercato.

Innanzitutto ringrazio il mio Relatore, il Professore Paolo Veneziani per la sua

disponibilità e la possibilità datami di affrontare un argomento così interessante

e di grande attualità.

Il ringraziamento sicuramente più grande va, insieme a tutta la mia stima e

rispetto, ai miei nonni e soprattutto a mia madre: vi sono davvero grata per

esserci stati sempre ed incondizionatamente, per avermi sostenuta, consigliata e

aver creduto in me in ogni momento.

Grazie a Corrado, per aver sopportato con immensa pazienza, durante questi

lunghi anni, i miei sbalzi d’umore, i miei vari momenti di “sclero” ed in

generale tutti i miei stess “pre-durante-post” esame: grazie per esserci stato

(nonostante la forte tentazione che si leggeva, talvolta, nei tuoi occhi di

scappare a Honolulu), per avermi spronato a non arrendermi mai e a migliorare

sempre.

Alla mia “sorellona” Sara, grazie per non avermi fatto sentire mai sola, per

esserti sorbita le mie paranoie tirando fuori la psicologa che è in te, ma

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soprattutto grazie per le meravigliose esperienze vissute insieme, per le grandi

risate e per la spensieratezza che porti nella mia vita.

Grazie a Ile, Marie e Lalla, per la vostra follia contagiosa e per essere state

davvero la mia seconda famiglia, durante l’anno trascorso a Parma, rendendolo

unico e indimenticabile.

Alla Cami, mia amica, mio “spirito guida” durante tutti gli anni di scuola,

nonchè “genio del diritto”, grazie per la tua competenza, i ripassoni pre- esame

e i tuoi fondamentali consigli.

Grazie a Max per la preziosissima consulenza informatica, senza la quale voi

oggi non potreste leggere questo capolavoro; alla Fra e alla Lucia grazie di

cuore per la vostra amicizia, per il vostro sostegno e per aver letto (e non solo)

alcuni capitoli della mia tesi.

Last but not least un ringaziamento speciale alla Daniels, a Marco e ad

Ale...perchè nella vita non si vive di solo studio!

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