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PRINCIPI FISICI DI RISONANZA MAGNETICA www.slidetube.it Pagina 1 PRINCIPI FISICI DI RISONANZA MAGNETICA 1. Introduzione 2. Atomi 1. Atomo di idrogeno: numeri quantici 2. Atomo di idrogeno: livelli energetici e regole di selezione 3. Atomo di idrogeno: momento magnetico e spin dell'elettrone 4. Atomo di idrogeno: momento meccanico totale dell'elettrone ed energia associata 3. Il fenomeno della risonanza 1. Spin e momento magnetico del protone: transizioni energetiche e frequenza di Larmor 2. Statistica di Boltzmann e Magnetizzazione macroscopica 3. Genesi di un segnale di Risonanza Magnetica e Campo a radiofrequenza 4. Free Induction Decay - FID 5. Rilassamento T1 6. Rilassamento T2 4. Bibliografia 1. Introduzione. Tra le tecniche più avanzate per ottenere immagini ad alta qualità dell'interno del corpo umano spicca la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), una tecnica spettroscopica usata per ottenere informazioni microscopiche fisiche e chimiche sulle molecole. Inizialmente le immagini prodotte con la RMN erano solo bidimensionali, ed erano ottenute dal segnale di RMN prodotto da una sottile fetta tagliata idealmente attraverso il corpo umano. L'evoluzione delle tecniche di immagine consente oggi di ottenere anche immagini di volume. In particolare di mezzi di contrasto. La Risonanza Magnetica Nucleare è un fenomeno che può avvenire quando i nuclei di certuni atomi sono immersi in un campo magnetico statico (B) e vengono esposti ad un secondo campo magnetico oscillante. Alcuni atomi sperimentano questo fenomeno, mentre altri non lo sperimentano mai, e ciò dipende dal fatto che essi possiedano o meno una proprietà chiamata spin sulla quale torneremo. Un segnale di Risonanza Magnetica è dunque un fenomeno fisico macroscopico, ma ha la sua origine nel comportamento degli atomi, o come vedremo meglio, dei nuclei di alcuni elementi presenti nella materia vivente. Così come, ad esempio, la temperatura è una grandezza macroscopica il cui valore rappresenta in modo statistico il livello di "agitazione termica", o meglio lo stato cinetico, della materia a livello molecolare, altrettanto si può dire per altre grandezze fisiche macroscopiche. Ad esempio la magnetizzazione netta totale, le cui variazioni permettono di spiegare in maniera rigorosa la genesi di un segnale di RM, è una rappresentazione statistica di fenomeni fisici che si svolgono su scala microscopica, più precisamente delle variazioni di livello energetico degli atomi immersi in un campo magnetico statico. Sembra dunque utile iniziare la descrizione dei principi fisici di base della RM riassumendo brevemente le caratteristiche fisiche degli atomi. Tra i tanti elementi dotati di spin0 presenti nei tessuti biologici [quali 13 C (carbonio-13), 14 N (azoto-14), 19

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PRINCIPI FISICI DI RISONANZA MAGNETICA

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PRINCIPI FISICI DI RISONANZA MAGNETICA

1. Introduzione 2. Atomi

1. Atomo di idrogeno: numeri quantici

2. Atomo di idrogeno: livelli energetici e regole di selezione 3. Atomo di idrogeno: momento magnetico e spin dell'elettrone 4. Atomo di idrogeno: momento meccanico totale dell'elettrone

ed energia associata 3. Il fenomeno della risonanza

1. Spin e momento magnetico del protone: transizioni energetiche e frequenza di Larmor

2. Statistica di Boltzmann e Magnetizzazione macroscopica

3. Genesi di un segnale di Risonanza Magnetica e Campo a radiofrequenza

4. Free Induction Decay - FID 5. Rilassamento T1 6. Rilassamento T2

4. Bibliografia

1. Introduzione.

Tra le tecniche più avanzate per ottenere immagini ad alta qualità dell'interno del

corpo umano spicca la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), una tecnica

spettroscopica usata per ottenere informazioni microscopiche fisiche e chimiche sulle

molecole. Inizialmente le immagini prodotte con la RMN erano solo bidimensionali,

ed erano ottenute dal segnale di RMN prodotto da una sottile fetta tagliata

idealmente attraverso il corpo umano. L'evoluzione delle tecniche di immagine

consente oggi di ottenere anche immagini di volume. In particolare di mezzi di

contrasto.

La Risonanza Magnetica Nucleare è un fenomeno che può avvenire quando i nuclei

di certuni atomi sono immersi in un campo magnetico statico (B) e vengono esposti

ad un secondo campo magnetico oscillante. Alcuni atomi sperimentano questo

fenomeno, mentre altri non lo sperimentano mai, e ciò dipende dal fatto che essi

possiedano o meno una proprietà chiamata spin sulla quale torneremo.

Un segnale di Risonanza Magnetica è dunque un fenomeno fisico macroscopico, ma

ha la sua origine nel comportamento degli atomi, o come vedremo meglio, dei nuclei

di alcuni elementi presenti nella materia vivente. Così come, ad esempio, la

temperatura è una grandezza macroscopica il cui valore rappresenta in modo

statistico il livello di "agitazione termica", o meglio lo stato cinetico, della materia a

livello molecolare, altrettanto si può dire per altre grandezze fisiche macroscopiche.

Ad esempio la magnetizzazione netta totale, le cui variazioni permettono di spiegare

in maniera rigorosa la genesi di un segnale di RM, è una rappresentazione statistica

di fenomeni fisici che si svolgono su scala microscopica, più precisamente delle

variazioni di livello energetico degli atomi immersi in un campo magnetico statico.

Sembra dunque utile iniziare la descrizione dei principi fisici di base della RM

riassumendo brevemente le caratteristiche fisiche degli atomi. Tra i tanti elementi

dotati di spin≠0 presenti nei tessuti biologici [quali 13C (carbonio-13), 14N (azoto-14), 19

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F (fluoro-19), 23Na (sodio-23), 31P (fosforo-31) e 39K(potassio-39)], l'idrogeno fu scelto

come elemento rispetto al quale produrre l'imaging di RM poiché è l'elemento più

semplice e più approfonditamente studiato da un punto di vista fisico, ma anche

perché è il più abbondante nel corpo umano (è presente con una concentrazione di

1019 atomi per ogni mm3 di tessuto) ed è dotato di un momento dipolare magnetico più

intenso rispetto a quello degli altri elementi.

Data dunque l'importanza dell'idrogeno per capire il fenomeno della RM, le sue

caratteristiche fisiche saranno trattate in modo leggermente più dettagliato.

2. Atomi.

La materia che viene esaminata con la RMN è composta in prevalenza da

molecole, le quali a loro volta sono composte da atomi la cui massa è

sostanzialmente concentrata nel nucleo. Prendiamo ad esempio una

molecola di acqua: essa è composta da un atomo di ossigeno e da due

atomi di idrogeno. Come mostrato in figura, gli atomi appaiono come

"nuvole elettroniche": l'atomo di ossigeno è raffigurato da una nuvola

lilla, mentre gli atomi di idrogeno da una nuvola blu. Queste "nuvole"

rappresentano la condizione di carica elettrica, propria dello spazio

intorno al nucleo, determinata dal moto degli elettroni intorno ad esso.

Per avere un'idea del rapporto dimensionale tra nucleo e nube elettronica

si pensi che un valore tipico per il raggio di un nucleo è rn ≈ 1 ÷ 10 fm

(femtometri; 1 fm = 10-15 m), mentre per il raggio della nube elettronica si

ha re ≈ 0,1 nm (nanometri; 1 nm = 10 -9m). Esiste quindi una differenza di

cinque ordini di grandezza tra i due: se per ipotesi il nucleo avesse un

raggio di 1 metro, allora la nube elettronica avrebbe un raggio di 100.000

metri, ossia di 100 km!

Gli elettroni di fatto non ruotano lungo orbite precise, ma compiono un

movimento di rivoluzione intorno al nucleo rimanendo confinati in una

porzione di spazio intorno ad esso, quasi dei gusci, compatibile con il

loro stato energetico, conservando tuttavia la possibilità di "saltare" da un

guscio all'altro in funzione di determinate variazioni di energia che si

possono realizzare nell'atomo stesso.

Queste sono, in sintesi, le grandi innovazioni della teoria quantistica, che

prende l'avvio con il modello proposto da Bohr, che combina le teorie di

Plank, Einstein e Rutherford, basandosi sul postulato (Primo postulato di

Bohr) che l'elettrone possa muoversi solo su determinate orbite non-

radiative dette stati stazionari, a ciascuno dei quali è associato un preciso

valore di energia E0, E1, E2 ecc.. L'emissione, o l'assorbimento, di energia

avviene solo per quantità discrete (fotoni) E = hν (Secondo postulato di

Bohr) tali da portare l'atomo da uno stato stazionario ad un altro. In

questo caso si verifica una transizione, o salto quantico. Viene così

evitata l'incongruenza tra le osservazioni sperimentali e quanto previsto

dalla meccanica classica circa il bilancio radiativo di un elettrone che, se

ruotasse lungo un'orbita definita, dovrebbe perdere energia con continuità

e quindi cadere in breve tempo sul nucleo. Alla quantizzazione

dell'energia si aggiunge per completezza la quantizzazione del momento

della quantità di moto dell'elettrone L (Terzo postulato di Bohr) quando

questo si trova in uno stato stazionario.

Nella teoria quantistica completa la quantizzazione di L non è più un

postulato come nel modello di Bohr, ma è una conseguenza del dualismo

onda-corpuscolo presente sia nella luce (onda luminosa - fotone) che

nella materia (onda materiale - particella): in realtà la descrizione

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ondulatoria e quella corpuscolare sono complementari alla

rappresentazione di uno stesso processo oggettivo, là dove la descrizione

ondulatoria è in genere preferita per rappresentare fenomeni di trasporto,

mentre quella corpuscolare è più adatta per spiegare la quantizzazione

delle interazioni con la materia. Gli stati stazionari, la cui esistenza nel

modello di Bohr veniva giustificata solo attraverso la coerenza

dell'ipotesi con i risultati sperimentali, sono le soluzioni stazionarie

dell'equazione delle onde di Schrödinger, e le energie quantizzate

associate ad essi sono in accordo con quelle ottenute dal modello di

Bohr.

2.1 Atomo di idrogeno: numeri quantici.

Nella descrizione ondulatoria della teoria quantistica l'elettrone è

descritto dalla sua funzione d'onda Ψ, detta anche onda di De Broglie. La

probabilità che l'elettrone si trovi in una certa regione dello spazio

intorno al nucleo, ossia in un certo stato stazionario, è data dal quadrato

del valore assoluto di questa funzione d'onda |Ψ|² . Le condizioni al

contorno sulla funzione d'onda portano alla quantizzazione delle

lunghezze d'onda, quindi delle frequenze e dell'energia dell'elettrone, la

quale, unitamente al momento della quantità di moto, viene

matematicamente espressa attraverso tre numeri, detti numeri quantici,

che risultano tra loro interdipendenti.

Il numero quantico principale (n) può essere un numero intero qualsiasi

(n = 1, 2, 3, …), e indica a quale livello, o stato stazionario, l'elettrone

appartiene, fornendo la probabilità di trovare l'elettrone ad una certa

distanza dal nucleo, indicando così il valore dell'energia potenziale

dell'elettrone.

Il numero quantico secondario o orbitale (l) indica a quale sottolivello

appartiene l'elettrone, individuando la forma della nube elettronica. I

valori possibili per l sono numeri interi compresi tra 0 ed n-1. Il numero

quantico orbitale fornisce il valore del momento della quantità di moto L

dell'elettrone, ossia il valore del momento angolare dell'elettrone dovuto

al suo moto orbitale intorno al nucleo. Infatti L è quantizzato come

multiplo di ħ secondo la relazione:

L = √l(l + 1)ħ.

È importante notare che in generale non esistono nello spazio direzioni

preferenziali per L. Questo significa che L, pur potendo variare solo per

quantità finite multiple di ħ, può comunque assumere qualunque

orientamento nello spazio.

Il numero quantico magnetico (m) individua invece quali e quanti sono i

possibili orientamenti di L quando l'atomo viene posto in un campo

magnetico. Scegliendo z come direzione del campo magnetico, la

componente di L parallela al campo magnetico sarà quantizzata secondo

la relazione L z = mħ. I valori possibili per m sono tutti i numeri interi

compresi tra - l ed l, individuando così solo (2l+1) possibili orientamenti

della componente Lz.

Dunque, quando un atomo viene immerso in un campo magnetico, la

quantizzazione non riguarda solo l'energia e il momento della quantità di

moto, ma anche l'orientamento rispetto alla direzione del campo.

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2.2 Atomo di idrogeno: livelli energetici e regole di selezione.

L'atomo di idrogeno può essere trattato come un sistema costituito da un

protone, che da solo forma il nucleo, e da un elettrone orbitante intorno

ad esso e dotato di energia cinetica ed energia potenziale. La

quantizzazione dell'energia dettata dalla teoria quantistica, implica che

solo quantità discrete di energia siano permesse, ed in particolare per

l'atomo di idrogeno le energie permesse sono date dalla relazione:

En = - Z2 E0 / n2

n = 1, 2, 3, …

E0 ≈ 13,6 eV

dove E0 è l'energia dello stato fondamentale.

In generale, per atomi più complessi dell'atomo di idrogeno, l'energia non

dipende soltanto dal numero quantico principale n, ma anche dal numero

quantico orbitale l. Inoltre, nel caso in cui l'atomo sia immerso in un

campo magnetico, l'energia dipende anche dal numero quantico

magnetico m. La scissione dei livelli energetici di un atomo in un campo

magnetico per diversi valori di m fu scoperta da P. Zeeman, ed è nota

come effetto Zeeman.

Una transizione da uno stato energetico ad un altro permesso avviene

solo per emissione o assorbimento di energia sotto forma di fotone, ossia

per quanti di energia. Queste transizioni danno origine alle righe spettrali

caratteristiche dell'atomo e obbediscono alle seguenti regole di selezione

per m e l: Δ m = 0 , ±1

Δ l = ±1

Le frequenze (o lunghezze d'onda) dell'energia emessa seguono la regola

di quantizzazione secondo cui:

hν = Ei - Ef

dove Ei ed Ef sono rispettivamente l'energia dello stato iniziale e dello

stato finale della transizione.

2.3 Atomo di idrogeno: momento magnetico e spin dell'elettrone.

Se si osserva una qualsiasi riga spettrale dell'idrogeno ad alta risoluzione,

si nota che in realtà essa è costituita da due righe molto vicine. Per

spiegare questa struttura fine Pauli ipotizzò nel 1925 che esistesse un

quarto numero quantico il quale potesse assumere solo due valori. Nello

stesso anno S. Goudsmit e G. Uhlenbeck avanzarono l'ipotesi che questo

quarto numero quantico fosse la componente lungo la direzione del

campo magnetico (z) di un momento angolare intrinseco dell'elettrone,

detto spin. Se si raffigura l'atomo di idrogeno con un modello

astronomico (in una rappresentazione corpuscolare dell'elettrone), è

semplice immaginare l'elettrone come un pianetino che ruota intorno al

suo sole (il nucleo) e allo stesso tempo intorno al proprio asse. È

quest'ultimo movimento che genera lo spin elettronico, una cui

conseguenza è che l'elettrone possiede un momento magnetico intrinseco,

come vedremo meglio nel capitolo successivo. Questa proprietà

dell'elettrone può essere capita anche se si considera che l'elettrone, che è

una carica elettrica, ruotando su se stesso si comporta come una

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piccolissima spira percorsa da corrente, alla quale sempre è associato un

momento magnetico.

Il momento meccanico di spin dell'elettrone, o semplicemente spin , deve

seguire anch'esso, come è per L , le regole di quantizzazione delle

possibili direzioni nello spazio rispetto ad una direzione prescelta. Se

dunque il valore dello spin è s , devono essere possibili (2 s +1)

disposizioni. Le componenti di s lungo la direzione prescelta differiranno

per valori interi e verranno indicati come m s . Poiché però questo quarto

numero quantico deve avere solo due possibili valori per rendere ragione

della struttura fine degli spettri, si deve imporre la condizione che (2 s

+1) = 2 , da cui segue che

m s = ±½ .

Un elettrone dunque possiede un momento angolare orbitale l e un

momento angolare di spin s .

Questi devono essere combinati secondo le regole della somma

vettoriale, dando quindi origine ad un momento angolare risultante

(totale) j tale che : j = l + s .

I valori possibili per j sono dati dal numero quantico interno j = l + m s ,

che quindi può avere solo i seguenti valori: j 1 = l + ½ e j 2 = l - ½.

2.4 Atomo di idrogeno: momento meccanico totale dell'elettrone ed energia associata

Il numero quantico interno j , per atomi con numero dispari di elettroni

(come è il caso dell'idrogeno), potrà dunque essere solo un semintero,

esprimendo così sinteticamente il fatto che per ogni valore di l ci sono

solo due possibili valori per il momento meccanico totale in presenza di

campo magnetico . Il valore di questa separazione è dato dall'energia

necessaria per ruotare gli spin da un orientamento all'altro rispetto a l nel

campo magnetico dell'orbita. Vediamo meglio come si arriva alla

quantizzazione dei momenti magnetico e meccanico dell'atomo di

idrogeno.

Ad ogni carica che si muova nello spazio descrivendo una superficie

chiusa S può essere associato un momento magnetico vettoriale M = I S ,

dove I è l'intensità della corrente generata dalla carica in movimento. Se

poi questo sistema viene immerso in un campo magnetico uniforme di

intensità B si sviluppa un momento meccanico (responsabile dei moti di

rotazione) τ = M × B . Queste relazioni hanno validità generale.

Nel caso di una particella quale l'elettrone, le relazioni scritte sopra si

trasformano come segue:

M = I S = q ν π r 2 = ½ q ω r 2 (1)

dove: ν = ω/2π è la frequenza di rotazione della carica q;

I = q ν ; S = π r 2 ; r = raggio dell'orbita.

D'altronde, se la particella ha massa m, il modulo del suo momento

angolare orbitale L sarà:

L = m v r = m ω r 2 (2)

Combinando la (1) e la (2) si ottiene M l = (q/2m) L

Nel caso dell'atomo di idrogeno, essendo e la carica dell'elettrone e μ; la

sua massa, il momento magnetico orbitale dell'elettrone sarà dato da M l

= (e/2μ ) L .

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Poiché l'elettrone è dotato anche di un momento meccanico di spin S ,

dovuto ad esso ci sarà anche un momento magnetico di spin dell'elettrone

M s = (e/2μ ) γ S .

La costante γ è detta rapporto giromagnetico , e rappresenta il rapporto

tra l'intensità del momento angolare e di spin dell'elettrone.

Il momento magnetico totale sarà dunque la somma dei due momenti

orbitale e di spin :

M t = M l + M s = e/2μ ( L + γ S )

Il contributo dello spin al momento magnetico totale è dunque tanto

maggiore quanto maggiore è il valore del rapporto giromagnetico γ

dell'elemento preso in considerazione. Nel caso dell'idrogeno γ = 42.58

MHz/T , ed è il valore più alto tra quelli degli elementi solitamente usati

in RM.

Se ora il sistema viene immerso in un campo magnetico uniforme B

verrà generato un momento meccanico totale dato da τ t = M t × B che

tenderà a far ruotare il sistema in modo tale che M t e B risultino

allineati. Ovviamente anche τ t risulterà composto da un contributo

angolare legato a L , e da un contributo di spin che comporta una

quantizzazione in direzione.

L'effetto di M l sarà quello di indurre una precessione di L intorno a B ,

con conseguente rotazione dell'orbita, mentre l'effetto di M s sarà quello

di individuare due soli orientamenti possibili nello spazio per l'orbita

stessa rispetto all'asse di B.

L'energia potenziale associata al momento magnetico è data da E p = - M

t · B. A parità di energia potenziale orbitale c'è dunque un contributo

dello spin che rende i due livelli energetici per il momento meccanico

totale leggermente diversi.

3. Fenomeno della Risonanza.

Analogamente agli elettroni, anche i protoni e i neutroni possiedono un

momento della quantità di moto orbitale e di spin. Infatti anche il loro

moto, in una descrizione corpuscolare, può essere rappresentato da una

combinazione di una rotazione lungo un'orbita nel loro moto relativo

all'elettrone, e di una rotazione intorno ad un proprio asse. Dunque anche

il nucleo ha un momento magnetico & 0, e quindi anche la sua energia si

sdoppia in presenza di un campo magnetico. Due o più particelle aventi

spin di segno opposto possono accoppiarsi ed annullare quindi ogni

manifestazione osservabile legata allo spin. In RM sono le particelle con

spin spaiati che risultano importanti per il fenomeno.

3.1 Spin e momento magnetico del protone: transizioni energetiche e frequenza di Larmor

Se prendiamo in considerazione un atomo di idrogeno, il suo nucleo è

composto solo da un protone, il quale ha numero quantico di spin m s =

1/2. Analogamente a quanto appena visto per l'elettrone, anche il

momento magnetico totale del protone ha solo due possibili orientamenti

nello spazio se viene immerso in un campo magnetico esterno costante.

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Se chiamiamo μ il momento magnetico totale del protone, l'energia

potenziale ad esso associata è data, anche in questo caso, da E p = - μ · B.

Essendo il protone positivo, risulta che E p è minima se μ e B sono

paralleli ( spin concorde con B, m s = 1/2), mentre è massima se sono

antiparalleli ( spin discorde da B, m s = -1/2). La differenza di energia tra

queste due direzioni orientate nello spazio è

ΔE p = 2 (μ z ) p B

e corrisponde al passaggio da m s = 1/2 ad m s = -1/2. È evidente che la

differenza di energia tra questi due stati dipende dall'intensità del campo

magnetico esterno: tanto più intenso è B, tanto maggiore è ΔE p. Può

accadere che un nucleo con energia potenziale corrispondente allo stato

più stabile con m s = 1/2 assorba energia esattamente pari a ΔE p,

passando quindi allo stato energetico superiore e più instabile. Può

accadere poi che esso riemetta la stessa energia sotto forma di fotone hν

con una frequenza di risonanza detta frequenza di Larmor e data da : ν

Larmor = γ B dove γ è proprio il rapporto giromagnetico dell'idrogeno. Il

rapporto giromagnetico serve dunque a quantificare l'importanza del

contributo dato dallo spin alla quantità totale dell'energia di transizione

tra i due orientamenti del nucleo: parallelo al campo magnetico (stabile)

e antiparallelo ad esso (instabile). Inoltre γ rappresenta anche la

frequenza di assorbimento (o emissione ) di energia per l'idrogeno

quando esso è immerso in un campo magnetico di intensità pari a 1T.

L'energia

corrispondente ai due stati energetici con m s = 1/2 e con m s = -1/2, può

essere rappresentata in un diagramma come nella figura a lato, in cui lo

stato più stabile ( m s = 1/2) è quello a energia inferiore, mentre lo stato

più instabile ( m s = -1/2) è a energia superiore. L'intensità del campo

magnetico aumenta verso destra lungo l'asse orizzontale. Come

rappresentato in modo chiaro in figura con una doppia freccia blu, la

differenza di energia tra i due stati è l'energia di transizione ΔE p che

varia in funzione del valore di intensità del campo magnetico esterno B:

per valori maggiori di B la differenza di energia tra lo stato stabile e lo

stato instabile aumenta. Attraverso una modulazione dell'intensità di

campo magnetico è quindi possibile aumentare l'energia ΔE p.

Combinando la definizione di fotone E f = hν con la definizione di

frequenza di Larmor

ν Larmor = γ B, si ottiene che E f = h γ B

dove h = 6.626 · 10 -34 J s è la costante di Plank.

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L'energia del fotone necessaria per causare una transizione dallo stato

stabile a quello instabile è dunque proporzionale anche al rapporto

giromagnetico, oltre che all'intensità del campo magnetico esterno.

Questo è uno dei motivi per cui, fra gli elementi dotati di spin ≠ 0, fu

scelto l'idrogeno quale elemento rispetto al quale costruire l' imaging di

RM, avendo esso il più alto valore per γ.

Quando l'energia E f del fotone incidente sul protone è esattamente

uguale alla differenza di energia tra i due stati a spin opposto ΔE p,

avviene un assorbimento di energia, e lo spin passa dal valore m s = 1/2 a

valore m s = -1/2. Questo implica che il momento magnetico totale μ del

nucleo di idrogeno passa dall'orientamento parallelo a B all'orientamento

antiparallelo a B.

3.2 Statistica di Boltzmann e Magnetizzazione macroscopica

Quando un gruppo di protoni viene immerso in un campo magnetico

statico, ciascuno di essi si allinea parallelamente o anti-parallelamente al

campo in funzione del valore del suo numero quantico di spin m s. La

popolazione dei momenti magnetici nucleari passa quindi da una

distribuzione spaziale casuale in cui non poteva distinguersi alcuna

direzione privilegiata, ad una distribuzione con due soli orientamenti,

quello parallelo al campo esterno e quello antiparallelo ad esso.

A temperatura ambiente, il numero di protoni allo stato energetico

minore (orientamento del momento magnetico totale μ parallelo a B ) è

solitamente di poco maggiore del numero di protoni allo stato energetico

maggiore (orientamento del momento magnetico totale μ antiparallelo a

B ).

La statistica di Boltzmann ci permette di rappresentare la distribuzione

dei nuclei di idrogeno tra il livello energetico inferiore e superiore in

funzione della differenza di energia tra questi due stati. Avremo infatti

che:

N + / N − = exp (ΔE p / k T)

dove: N + = numero di nuclei allo stato energetico inferiore

N − =numero di nuclei allo stato energetico superiore

ΔE p = energia di transizione tra i due stati

k = costante di Boltzmann = 1.3181 · 10 -23 J K -1

T = temperatura assoluta espressa in gradi Kelvin

Possiamo dunque dire che, a temperatura ambiente, N + ≈ N −.

Definiamo ora la Magnetizzazione Netta Totale, o Magnetizzazione

Macroscopica, come la somma vettoriale dei momenti magnetici

associati ai nuclei di idrogeno, ossia:

M = ∑ i μ i = ∑ μ + − ∑ μ −

in cui i singoli momenti magnetici μ i sono dunque sommati

considerando il loro orientamento nello spazio.

È importante notare a questo punto che, per una popolazione di nuclei di

idrogeno quale quella descritta, la componente di M perpendicolare a B

risulta nulla. Ciò è dovuto al fatto che, se da un lato i singoli μ i possono

avere solo due possibili orientamenti rispetto alla direzione parallela a B

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( nell'ipotesi di B ≠ 0 ), dall'altro non esiste alcuna restrizione per il loro

orientamento rispetto alla direzione perpendicolare a B.

Quando dunque si va a calcolare ∑ i μ i, la componente parallela a B,

essendo soggetta alla quantizzazione, sarà M || ≠ 0 in funzione del

rapporto N + / N −, mentre la componente perpendicolare a B sarà M ⊥ = 0

per motivi di simmetria: infatti, a causa dello sfasamento dei singoli μ i

durante il moto di precessione dei nuclei intorno all'asse del campo B, la

somma delle loro componenti perpendicolari a B risulta nulla. Con

Magnetizzazione Netta Totale si indica dunque in realtà la componente

M ||.

A temperatura ambiente e in assenza di un campo esterno applicato,

essendo vero che N + ≈ N − si può dire che anche M || ≈ 0. Vediamo ora in

dettaglio cosa succede quando si applica un campo magnetico esterno.

Abbiamo visto che la differenza

numerica tra le popolazioni di protoni nei due stati energetici è funzione

del valore dell'energia di transizione. Se dunque ΔE p aumenta, aumenta

anche il numero di nuclei nello stato energetico inferiore rispetto a quelli

nello stato energetico superiore, data la maggiore difficoltà di passaggio

spontaneo verso quest'ultimo. Ricordando che il valore di ΔE p dipende

sia dal rapporto giromagnetico γ che dall'intensità del campo B in cui

sono immersi i nuclei, si deduce che è possibile modulare l'ampiezza ΔE

p agendo sia su γ che su B. Si possono dunque combinare questi due

elementi in modo tale da ottenere una buona separazione tra i due stati

energetici. In pratica, essendo il valore del rapporto giromagnetico quello

dell'idrogeno, ossia γ H = 42.58 MHz/T, si agisce solo sull'intensità del

campo B in modo da ottenere N + >> N −. Il corrispondente valore della

Magnetizzazione Macroscopica sarà quindi:

M || = ∑ i μ i = ∑ μ + − ∑ μ − > 0.

3.3 Genesi di un segnale di Risonanza Magnetica e Campo a radiofrequenza

Si parla di Risonanza poiché, analogamente al caso acustico, esiste uno

scambio energetico tra due sistemi ad una specifica frequenza tale da

rendere massima l'ampiezza del segnale.

Il segnale in RM risulta dalla differenza tra l'energia assorbita dai nuclei

di idrogeno per effettuare una transizione dallo stato energetico inferiore

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a quello superiore e l'energia che essi emettono in modo simultaneo nella

transizione di ritorno alla condizione di equilibrio. L'intensità del segnale

è dunque proporzionale alla combinazione di due fattori:

1. la differenza numerica tra le popolazione di nuclei nei due stati

(N + − N − );

2. l'energia di transizione ΔE p, quindi γ e B, come visto nei capitoli

precedenti.

Vediamo ora come avviene il trasferimento di energia da una sorgente

esterna al sistema di nuclei di idrogeno in modo da realizzare le

condizioni necessarie per rendere massimo il valore della

Magnetizzazione Netta Totale.

I protoni, per poter emettere energia, devono prima assorbirla in modo da

passare allo stato energetico superiore, cioè quello a spin antiparallelo al

campo B. Successivamente, durante la transizione di ritorno allo stato più

stabile ad energia inferiore, essi emettono energia pari a un multiplo N =

(N + − N − ) di ΔE p. È importante che la emissione di energia avvenga per

tutti i protoni allo stesso istante o comunque in un intervallo di tempo

molto breve, altrimenti, se dovesse durare per un tempo troppo lungo,

essa potrebbe generare un segnale non misurabile.

La condizione per una emissione simultanea di energia alla stessa

frequenza da parte dei nuclei di idrogeno viene realizzata eccitandoli con

l'invio di pacchetti di energia sotto forma di radiofrequenza (rf) alla

frequenza ν esattamente uguale alla frequenza di Larmor.

Supponiamo di avere il sistema di nuclei di idrogeno immerso in un

campo magnetico esterno statico di induzione B tale per cui sia vero che:

ΔE p = hν Larmor = h γ B.

All'equilibrio, essendo

vero che N + >> N −, il vettore Magnetizzazione Macroscopica M è

parallelo alla direzione del campo magnetico applicato B, e viene anche

chiamato Magnetizzazione di equilibrio M 0. In questa configurazione,

illustrata nella figura a fianco, la componente di M lungo l'asse Z, che per

convenzione viene scelto come l'asse parallelo alla direzione del campo

B, è M Z = M 0, dove M Z è detta Magnetizzazione longitudinale. Si noti

che non esiste alcuna componente di M sul piano trasversale, ossia M ⊥ =

0 (o anche M X = 0 ed M Y = 0 ), a causa, come abbiamo già visto, dello

sfasamento del moto di precessione dei nuclei intorno a B.

Se ora applichiamo a questo sistema un campo a radiofrequenza,

forniamo al sistema energia sotto forma di pacchetti a radiofrequenza. Se

moduliamo questo campo in modo che la sua frequenza ν sia esattamente

uguale a ν Larmor, si ha un doppio effetto:

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1. fornendo energia ai nuclei

di idrogeno alla frequenza di Larmor, un certo numero di essi

acquisterà energia sufficiente per effettuare la transizione dallo

stato energetico inferiore a quello superiore; questo fatto

microscopico ha come manifestazione macroscopica una

riduzione netta della Magnetizzazione longitudinale M Z poiché

le popolazioni N + ed N − tornano ad essere quasi uguali, come si

vede nella figura. Inoltre, se si continua a fornire energia al

sistema, è possibile che il numero di nuclei che effettuano la

transizione dallo stato energetico inferiore a quello superiore sia

tale che M Z = 0: in questo caso si parla di "saturazione del

sistema di spin ".

2. fornendo energia con

frequenza ν = ν Larmor a tutti i nuclei nello stesso istante, si induce

una coerenza di fase nel loro moto di precessione intorno all'asse

di B ; quindi non solo tutti i nuclei precedono intorno all'asse Z

con frequenza pari a ν Larmor, ma sono anche in fase tra di loro.

Questo fatto microscopico implica che non sia più vera la

condizione di orientamento casuale dei momenti magnetici

nucleari nello spazio rispetto al piano trasversale a B.

Conseguentemente, da un punto di vista macroscopico, si ha la

comparsa di una componente netta maggiore di zero della

Magnetizzazione Macroscopica sul piano trasversale a B.

Compare quindi una Magnetizzazione Trasversale M ⊥ ≠ 0, come

si vede nella figura qui sopra.

È necessario osservare che gli effetti dell'applicazione di un campo a

radiofrequenza, descritti ai punti a) e b), in realtà si realizzano

contestualmente. Ciò significa che, durante l'invio dell'impulso a

radiofrequenza, si assiste ad una graduale riduzione della componente M

|| della Magnetizzazione Macroscopica e contemporaneamente ad un

graduale aumento della sua componente M ⊥.

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L'entità di questo "scambio" tra M || e M ⊥ è proporzionale alla durata

dell'impulso a radiofrequenza: infatti più esso è lungo, maggiore è

l'energia totale trasferita al sistema di nuclei di idrogeno, e quindi un

numero sempre maggiore di nuclei può effettuare il salto energetico ΔE p

e mettersi in fase di precessione intorno a B.

Quando l'impulso è tale che la Magnetizzazione Netta Totale passa tutta

dal piano longitudinale a quello trasversale, ossia quando si verifica che

M || = 0 e M ⊥ ≠ 0, si parla di impulso a 90°.

Quando invece l'impulso dura sufficientemente a lungo, oppure è

sufficientemente intenso, da portare ad una inversione di polarità della

Magnetizzazione longitudinale rispetto alla direzione del campo

magnetico, cioè quando tutti i nuclei effettuano il salto quantico al livello

energetico superiore, si dice che è avvenuto un ribaltamento della

Magnetizzazione Netta Totale. In questo caso la Magnetizzazione

trasversale rimane nulla e si parla di impulso a 180°.

3.4 Free Induction Decay - FID

Una volta eccitato il sistema con l'applicazione di un campo a

radiofrequenza (o di un campo magnetico oscillante B 1 posto

trasversalmente a B ), si interrompe l'invio dell'impulso; a questo punto il

sistema tende a ritornare nella sua condizione di equilibrio, obbedendo

al principio fisico secondo cui qualunque sistema libero da sollecitazioni

esterne tende al suo stato di equilibrio o di minima energia compatibile

con il suo stato dinamico.

Per il sistema di nuclei di idrogeno immersi in un campo magnetico

statico B, la condizione di equilibrio è, come abbiamo già visto, M Z = M

0, e il sistema tende verso questa condizione cedendo all'ambiente esterno

l'energia precedentemente assorbita sotto forma di onda elettromagnetica.

Nel suo processo di ritorno al valore di equilibrio, la Magnetizzazione

trasversale oscilla con una frequenza pari a quella di Larmor. In questo

modo, secondo la legge di Faraday dell'induzione elettromagnetica, si

induce una corrente elettrica (alternata in quanto il campo che la genera è

oscillante) in una bobina ricevente posta sul piano trasversale a M Z.

Questo fenomeno, illustrato

nella figura a fianco, viene chiamato FID (Free Induction Decay) e dura

per tutto l'intervallo di tempo necessario alla Magnetizzazione trasversale

per ritornare al suo valore di equilibrio. Questa corrente alternata

transitoria è proprio il segnale da cui potranno essere formate le

immagini di RM.

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3.5 Rilassamento T1

Supponiamo ora di aver fornito energia al sistema di protoni con un

impulso a 90°. Una volta sospeso l'impulso, M Z varierà da 0 a M 0 . La

costante di tempo che descrive come M Z ritorni al suo valore di

equilibrio è chiamata tempo di rilassamento spin-reticolo o tempo di

rilassamento longitudinale, ed è indicata con T1. Il nome spin-reticolo

indica come in questo caso l'energia venga restituita dai protoni eccitati

all'ambiente esterno . L'equazione che regola il comportamento di M Z

come funzione del tempo t dopo il suo spostamento dall'equilibrio è

M Z = M 0 ( 1 − e −t/T1 )

Il tempo T1 è dunque il tempo richiesto per cambiare la componente

longitudinale della Magnetizzazione Netta Totale di un fattore pari a e

(base dei numeri naturali e = 2,728…), come illustrato nella figura a lato.

Alternativamente, ed equivalentemente, si può definire il T1 come il

tempo necessario per ripristinare il 63% della Magnetizzazione

longitudinale.

Se invece al sistema è stato fornito un impulso a 180°, la

Magnetizzazione Netta Totale tornerà alla sua condizione di equilibrio

lungo l'asse Z ad un ritmo governato da T1 secondo la seguente

equazione (vedi figura a lato):

M Z = M 0 ( 1 − 2 e −t/T1 )

In questo caso il tempo di rilassamento T1 è definito come il tempo

necessario per ridurre la differenza tra M Z e M 0 di un fattore e.

Il valore del tempo T1 varia da tessuto a tessuto a causa della differente

efficienza presentata dai singoli costituenti molecolari nel trasferimento

di energia al reticolo che li circonda. Accade così che le molecole di

acqua, essendo più mobili, siano, da questo punto di vista, meno

efficienti di quanto non sia, ad esempio, il tessuto adiposo, il quale quindi

presenta un segnale ad alta intensità nelle sequenze che esaltano il tempo

T1.

3.6 Rilassamento T2

Dopo un impulso a 90° la Magnetizzazione Netta Totale giace sul piano

trasversale e ruota intorno all'asse Z con una frequenza uguale alla

frequenza di Larmor, che è poi la frequenza di precessione dei momenti

magnetici nucleari intorno a B. Tuttavia, in aggiunta a questa rotazione,

la Magnetizzazione Netta subisce un processo di dispersione di fase a

causa delle disomogeneità magnetiche che si determinano intorno ad

ogni singolo momento magnetico nucleare μ i a causa di due fattori:

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1. un micro-campo magnetico associato ad ogni protone in

rotazione intorno al proprio asse e in precessione intorno all'asse

di B ; questo campo si somma, per il principio di

sovrapposizione, al campo esterno determinando in tal modo

un'alterazione del valore del campo magnetico totale per le

molecole ad esso adiacenti;

2. minime variazioni intrinseche del campo B, che determinano la

presenza di disomogeneità persistenti nel campo esterno

applicato.

Questi fenomeni implicano che, con il passare del tempo, ogni momento

magnetico nucleare μ i ruoterà intorno a B con una sua propria frequenza

di Larmor, leggermente diversa da quella dei μ i ad esso adiacenti e

rispetto ai quali sarà quindi sfasato. Questo processo, che continua fino

ad uno sfasamento completo dei momenti magnetici nucleari, si traduce

macroscopicamente in una graduale riduzione del valore della

Magnetizzazione trasversale.

La costante di tempo che descrive la graduale riduzione della

Magnetizzazione trasversale fino al valore zero a causa dello sfasamento

dei momenti magnetici nucleari è chiamata tempo di rilassamento spin-

spin ed è indicata con T2.

L'equazione che regola il comportamento della Magnetizzazione

trasversale come funzione del tempo t dopo il suo spostamento

dall'equilibrio è

M XY = M XY 0 e −t/T2

Il tempo T2 è, in pratica, il tempo necessario per ridurre la componente

trasversale della Magnetizzazione Netta Totale di un fattore pari a e,

come illustrato nella figura a lato. Alternativamente si può dire che il T2

è il tempo necessario per ridurre del 63% la Magnetizzazione trasversale.

Si noti che T2 è sempre minore o uguale a T1. È necessario precisare che

il T2 così definito si riferisce esclusivamente all'effetto delle interazioni

tra i nuclei di idrogeno. In questo caso si parla di T2 puro.

Quando si tiene conto anche dell'effetto delle disomogeneità del campo

esterno B si parla di T2 disomogeneo, che viene indicato con T2* e che si

rapporta al T2 secondo la relazione seguente:

1/ T2* = 1/ T2 + 1/ T2 disomogeneo

Anche il tempo T2, come il T1, varia notevolmente in funzione del tipo

di molecola prevalente nel tessuto analizzato. I diversi valori di T2

saranno dovuti alla maggiore o minore rapidità con cui si realizza la

dispersione di fase dei momenti magnetici nucleari delle varie molecole.

Ad esempio nei tessuti con prevalenza di macromolecole la dispersione

di fase avverrà molto rapidamente data la rigidità della struttura che

determina una facile creazione di campi magnetici molecolari. Al

contrario nel caso di campioni liquidi la coerenza di fase sarà mantenuta

a lungo.

PRINCIPI FISICI DI RISONANZA MAGNETICA

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È importante ricordare che i processi di rilassamento T1 e T2, pur

essendo stati illustrati separatamente per chiarezza, avvengono tuttavia in

modo simultaneo: infatti, contemporaneamente alla riduzione di M XY che

tende a zero, M Z cresce per tornare al valore iniziale M 0.

In sintesi, nella genesi di un segnale di RM possono essere distinte tre

fasi:

1. incremento della popolazione di protoni nello stato energetico

inferiore per aumentare la quantità di energia totale da fornire al

sistema (e che verrà successivamente emessa dal sistema stesso)

agendo sull'intensità del campo magnetico statico applicato B ;

2. eccitazione del sistema di protoni tramite bombardamento con

pacchetti di energia sotto forma di radiofrequenza alla specifica ν

Larmor ;

3. registrazione del segnale in uscita a seguito del rilassamento del

sistema che tornando al suo stato di equilibrio emette l'energia

precedentemente assorbita sotto forma di radiazione oscillante.

Bibliografia

1. Max Born Fisica Atomica Boringhieri , Torino 1976

2. L.D. Landau - E.M. Lifsits Meccanica Quantistica Editori

Riuniti , Roma 1976

3. R.R. Edelman - J.R. Hesselink Clinical Magnetic Resonance

Imaging W.B. Saunders Company , Philadelphia (USA) 1990

4. D.D. Stark - W.G. Bradley Magnetic Resonance Imaging Mosby

Year Book , St. Louis (USA) 1992

5. J.P. Hornak The Basics of NMR Center for Imaging Science -

Rochester Institute of Technology Publ. (USA) 1997

PRINCIPI FISICI DI RISONANZA MAGNETICA

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SEQUENZE D'IMPULSI IN RISONANZA MAGNETICA

1. Sequenze d'impulsi in Risonanza Magnetica 2. SPIN ECHO 3. Inversion Recovery

4. Field Echo (Gradient Echo) 5. Concetto di K space

6. Turbo Field Echo (TFE) 7. Turbo Spin Echo 8. EPI (Echo Planar Imaging)

9. Lista degli acronimi in RM

SEQUENZE D'IMPULSI IN RISONANZA MAGNETICA

Una considerevole energia è stata spesa dai costruttori e ricercatori di

Risonanza Magnetica per sviluppare sequenza d'impulsi per incrementare

la qualità dell'imaging. Per alcuni versi, questa energia è stata guidata dai

proprietari, venditori e interessi di marketing che ha avuto come risultato

una pletora di acronimi, dei quali è difficile tenere traccia. Per quanto

riguarda gli acronimi verrà mostrato uno schema suddiviso per le

principali ditte costruttrici che rappresenta le varie sequenze oggi

adottate.

In principio saranno trattate le sequenze che oggi sono, sicuramente,

presenti in ogni sistema (Spin Echo, Inversion Recovery e Gradient echo)

, per poi passare a quelle che hanno rivoluzionato l'imaging e cioè le

sequenze veloci (Turbo Spin Echo), fino ad arrivare a quelle ultrafast

(Ecoplanari).

La terminologia che sarà adottata prevede delle abbreviazioni:

SE (Spin Echo) IR (Inversion Recovery) FFE (Gradient Echo) TFE (Turbo Gradient Echo) TSE (Turbo Spin Echo) EPI (Ecoplanari)

SPIN ECHO

In questa sequenza, viene applicato un impulso di Radiofrequenza di 90°

che ruota la magnetizzazione longitudinale (lungo il campo B0) sul piano

trasversale (x, y). La precessione avviene sotto l'influenza di gradienti di

campo, Gx, dove x è il gradiente di lettura o gradiente di codifica di

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frequenza e Gy, dove y è direzione del gradiente di codifica di fase

(chiamata talvolta, direzione di preparazione).

Fig. 1: Il grafico mostra la rotazione della magnetizzazione lomgitudinale sula

piano trasversale dopo l'applicazione di un impulso di 90°.

Un impulso di 180°, successivamente, ruota la magnetizzazione intorno

agl'assi x,y, dopo il quale il gradiente di codifica di frequenza viene di

nuovo acceso. La precessione continua nella stessa direzione, fino a

quando gli spins si incontrano per formare il massimo segnale "Echo

top", dopo un tempo uguale alla differenza di tempo tra gli impulsi a 90°

e 180°.

Fig. 2: Schema della sequenza Spin Echo, dove sono rappresentati i gradienti di

selezione, codifica e frequenza, rispettivamente Gz, Gy, Gx.

L'intervallo tra l'impulso a 90° e il picco del primo echo viene chiamato

TE (tempo di echo) . Ripetendo l'impulso a 180° ad intervalli uguali al

TE si generano degli echi ad intervalli simili, ma con ampiezza

decrescente (Multiecho).

L'intervallo tra gli impulsi di eccitazione di 90°, quando vengono ripetute

successive misurazioni, viene chiamato TR (Tempo di Ripetizione). Fig2

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Fig. 3: Sequenza Spin Echo. La magnetizzazione dopo essere stata messa sul

piano trasversale dall'impulso a 90°, decade, dovuta alla perdita di coerenza

degli spins. L'impulso di 180° permette il rifasamento e la rigenerazione del

segnale sotto forma di echo.

Applicando una trasformata di Fourier a entrambe le informazioni del

gradiente di frequenza e quello di fase, permette a ogni voxel (elemento

di volume) di essere unicamente localizzato spazialmente e assegnato ad

una scala di grigi basata sulle caratteristiche T1 o T2 e densità protonica

o di flusso.

Parametri usati in SPIN ECHO:

TE CORTO TE LUNGO

TR CORTO T1 W Mixed

TR LUNGO PDW (Densità protonica) T2W

Inversion Recovery

Per produrre un segnale MR influenzato dal T1, viene applicato un

impulso di RF perpendicolarmente alla direzione del campo principale,

con sufficiente ampiezza e durata per invertire la magnetizzazione.

Fig. 1: Sequenza Inversion Recovery

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Alla cessazione dell'impulso RF, gli spins cominciano a ri-orientarsi

verso la direzione del campo magnetico statico. Questo processo di

rilassamento, se non disturbato, continua fino a che l'equilibrio non viene

ricreato. La magnetizzazione resta orientata lungo l'asse z e non precessa.

Quindi il T1 non può essere misurato direttamente. La magnetizzazione

deve essere prima ruotata sul piano x,y.

Questo si ottiene dall'applicazione di un impulso di 90° che permette la

misurazione del segnale.

Fig. 2: Comportamento dei tessuti con T1 breve e lungo tra l'impulso a 180° di

inversione e l'impulso a 90°.

Il tempo tra l'impulso di inversione di 180° e l'impulso a 90° viene

chiamato tempo di inversione (TI). Tessuti con T1 corto recuperano il

loro equilibrio prima che l'impulso a 90° venga applicato e quindi

contribuiscono ad un alto segnale nel'immagine, mentre tessuti con T1

lungo contribuscono pochissimo al segnale nell'immagine. Il tempo di

ripetizione (TR), in questa sequenza deve essere relativamente lungo per

permettere a tutti i tessuti di riguadagnare la loro magnetizzazione

originaria.

Il valore del TI è uno dei fattori che determinano il contrasto

nell'immagine. Un particolare tipo di contrasto può essere ottenuto

usando diversi tempi di inversione.

Alcune di queste sequenze, quali STIR (Short Time Inversion Recovery)

e FLAIR (Fluid Attenuated Inversion Recovery), impiegano diversi

tempi di inversione.

Nel caso della sequenza STIR, la scelta di un tempo di Inversione breve

(120-150ms, dipendente anche dal campo magnetico), viene usato per

sopprimere il segnale del grasso. Nella sequenza FLAIR, oggi

notevolmente usata nell'imaging con RM, il tempo di inversione è

particolarmente lungo per sopprimere fluidi o tessuti con T1 lungo.

Field Echo (Gradient Echo)

Questo tipo di sequenza differisce principalmente dalla SE, per la

sostituzione dell'impulso a 180° di rifasamento degli spins, con un

impulso generato da un gradiente.

PRINCIPI FISICI DI RISONANZA MAGNETICA

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Fig.1

Questo importante metodo di imaging, viene chiamato Field Echo. Le

caratteristiche principali di questo metodo sono, prima di tutto la

riduzione del tempo necessario per generare un echo, di conseguenza si

possono utilizzare tempi di eco più corti. Questo, però, ha degli

svantaggi: gli effetti della inomogeneità del campo magnetico e meno

evidente nella SE per la presenza dell impulso a 180°, mentre nella FE, i

problemi di imaging causati dallo sfasamento degli spins sono molto più

frequenti. A prescindere, comunque dalla inomogeneità del campo

magnetico in se stesso, ci può essere anche inomogeneità provocata dalla

variazione della suscettibilità del paziente dovuta all'aria; l'interfaccia

tissutale, vicino a cavita aeree (seni paranasali), può provocare

localmente degli incrementi nello sfasamento degli spins in un voxel.

Questi effetti, chiamati off-resonance, sono aggiunti al decadimento T2, e

la risultante della combinazione è descritta come T2*(star). In pratica per

evitare deterioramento del segnale nella sequenza FE si dovrebbe

lavorare con tempi di eco corti (Fig. 1).

Altra caratteristica distinta della FE, è l'effetto provocato quando l'acqua

e il grasso, che hanno una precessione giromagnetica che differisce di

3.5ppm (parti per milione), sono contenuti nello stesso voxel. Questo può

causare linee nere che circondano i tessuti, con decremento del segnale

dal voxel che contiene entrambi.

Questo effetto varia a determinati tempi di eco e campi magnetici.

A 0.5T(Tesla), l'acqua e il grasso sono in opposizione di fase quando il

TE è un multiplo dispari di 6.9ms (3.45ms a 1.0T e 2,3ms a 1.5T).

Parametri in Field Echo

Flip Angle (α) TE (ms)

T1W Large (45-90) Short (8-15)

T2W Small (5-20) Long (30-60)

PDW Small (5-15) Short (8-15)

Concetto di K space

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Il concetto di K-space è spesso impiegato nella discussione di come si

realizzano i dati di acquisizione. Il K-space è la rappresentazione dei dati

grezzi di un immagine acquisita come matrice bidimensionale di punti.

Le coordinate di ogni punto rappresentano un'unica combinazione di

frequenze (Kx) e fase (Ky) che corrisponde all'integrale di tempo dei

gradienti di frequenza e codifica rispettivamente.

Le strutture che hanno i contorni ben netti sono descritte come alte

freqeunze spaziali, quelle con meno dettagli, invece, sono descritte come

basse frequenze spaziali. La porzione centrale del k-space contiene le più

basse frequenze spaziali, che principalmente contribuiscono al contrasto

nell'immagine. La porzione esterna del k-space contiene le frequenze più

alte, che determinano la risoluzione dell'immagine.

Ogni punto del k-space non corrisponde direttamente ad un singolo punto

nell'immagine risultante, ma ogni punto contribuisce all'aspetto totale

dell'immagine risultante.

Fig.1: Rappresentazione grafica del K-space.

Il metodo con il quale le frequenze spaziali sono collezionate determina

la traiettoria del k-space. La traiettoria del k-space in una sequenza

d'impulsi deve coprire tutti i punti lungo la frequenza (Kx) e la fase (Ky),

per generare un immagine completa.

Con una sequenza standard SE o FE, dopo ogni impulso di eccitazione

RF, che corrisponde ad un profilo di codifica di fase, i dati collezionati

contengono tutte le informazioni di frequenza lungo ogni singola linea

del Ky. Questo processo deve essere ripetuto per tutte le linee della

codifica di fase (Ky), fino a quando tutti i dati sono acquisiti, dopo di che

comincia la ricostruzione.

Il tempo di acquisizione è così uguale a:

(Np) x TR x NSA x pacchetti

dove Np rappresenta il numero delle linee e NSA il numero di quante

volte i profili vengono eccitati.

L'acquisizione delle traiettorie del k-space per il fast imaging, sono

differenti dall'imaging tradizionale. Invece di acquisire delle linee singole

di fase (Np) sono generate delle linee multiple da ogni singola

eccitazione. Per fare ciò, però, sono necessarie particolari forme d'onda

PRINCIPI FISICI DI RISONANZA MAGNETICA

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generate da gradienti ad alto campo. Questi gradienti sono

particolarmente utilizzati nell'imaging ecoplanare, di cui verrà discusso

più avanti.

Turbo Field Echo (TFE)

La tecnica turbo field echo (TFE) permette all'imaging gradient echo di

utilizzare tempi di ripetizone (TR) e tempi di eco (TE) molto brevi.

Questa tecnica è ottimizzata per ottenere una elevata qualità d'immagine

con tempi di scansione molto brevi. Le maggiori applicazioni

diagnostiche di queste sequenze, sono per la riduzione degli artefatti

respiratori e il movimento peristaltico addominale.

La principale differenza con la tecnica standard gradient eco (FE), sta

nell'acquisizione dell'immage che avviene metntre si approccia al

cosiddetto steady state, vale a dire, lo stato di equilibrio costante degli

spins. Questo steady state, si ottiene quando la magnetizzazione lungo

l'asse B0, dovuta all'impulso di eccitazione di RF, eguaglia il

rilassamento, dovuto al T1, durante ogni Tempo di ripetizione.

Fig.1: Flip Angle Sweep. La sequenza TFE utilizza un approccio meno drastico

allo steady state. La scansione comincia con un flip angle basso. Durante la

scansione il flip angle incrementa fino all'angolo specificato nei parametri di

sequenza. Il flip angle sweep permette l'uso di flip angle più larghi senza

l'introduzione di artefatti nell'immagine, con, tuttavia, un aumento del rapporto

segnale rumore e del contrasto.

Il contrasto nelle sequenze TFE viene manipolato con l'utilizzo di

prepimpulsi, oltre che con i normali parametri di TR, TE e Flip Angle.

Questi preimpulsi contribuiscono ad un miglioramento del contrasto in

T1 e T2, mediante l'aggiunta di impulso aggiuntivo, chiamato spoiled,

particolarmente rilevante nelle sequenze T1.

L'effetto migliore dei preimpulsi si ottiene quando il tempo per il profilo

K0 del k-space, che corrisponde al contrasto, è corto.

Il tempo dal preimpulso al profilo K0 viene definito tempo di ritardo o

delay time.

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Fig.2: Tipi di preimpulsi utilizzati nelle sequenze TFE.

I preimpulsi utilizzati nelle sequenze TFE possono essere di due tipi per

la pesatura in T1.

Impulso di Inversione a 180°.

Impulso di Saturazione a 120°.

Un impulso di inversione, in TFE, lavora come nelle sequnze Inversion

Recovery. Il segnale è invertito e ritorna all'equilibrio per effetto del

campo magnetico statico. I tessuti con differenti T1 presenteranno

diverse curve di recupero; per esempio il tessuto che al momento del

profilo K0 attraversa lo 0 nonp resenterà segnale.

L'impulso di saturazione, invece, riduce la pesatura in T1.

Turbo Spin Echo

L'imaging con il metodo di acquisizione Turbo Spin Echo (TSE),

permette di ottenere immagini Spin Echo, mediante l'acquisizione di più

profili per ogni eccitazione, portando quindi ad un notevole calo del

tempo di scansione, rispetto alla tecnica convenzionale SE. Oggi le TSE

sono diventate parte dell'imaging di routine grazie all'elevata possibilità

di ottenere immagini anche con alta risoluzione.

Il metodo classico Spin Echo è basato sull'acquisizione di un singolo

profilo per eccitazione (TR). Con una matrice 256*256, questo richiede

256 eccitazioni per poter acquisire tutti i 256 profili necessari per

produrre l'immagine.

La TSE, quindi adotta l'acquisizione di multipli profili del K-space per

eccitazione combinando il tutto con la tecnica multislice (vedi fig.1)

PRINCIPI FISICI DI RISONANZA MAGNETICA

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Fig.1: Tecnica Multislice, in un TR vengono misurate più fette.

Nella TSE sono impiegati un numero di impulsi consecutivi a 180° per

eccitazione, e viene misurato un echo dopo ognuno di questi impulsi, che

corrispondo anche ad un numero di profili. Ogni gruppo di profili viene

chiamato shot o segmento. Il numero dei profili misurati per ogni

eccitazione viene chiamato TURBO FACTOR.

I segmenti sono acquisiti ad intervalli regolari (TR) fino a completare

l'immagine.

Fig. 2: Il metodo Turbo Spin-Echo

Il Turbo Factor regola, quindi, il numero dei profili acquisiti per TR e

tuttavia è possibile acquisirli tutti in una singola eccitazione dando vita a

quella che viene chiamata sequenza single-shot.

Il contrasto nell'immagine viene determinato dai profili vicini allo K0 nel

K-space. Il punto nel quale questi vengono misurati viene chiamato

Tempo di Eco effettivo ed è quello che viene generalmente immesso nei

parametri di sequenza per ottenere il contrasto desiderato.

Per ottenere immagini in T2 il tempo di eco effettivo deve essere lungo,

es:150ms o più lungo per immagini estremamente pesate in T2. Un

immagine in densità protonica richiede un tempo di eco effetivo più

corto, es.: 20-30ms; mentre un tempo ancora più corto, es.:12ms si

utilizza per immagini pesate in T1.

Come abbiamo già avuto modo di ribadire più volte, in precedenza,

l'ordien dei profili più bassi sono responsabili del contrasto

nell'immagine, quindi l'ordine con cui vengono misurati è molto

importante.

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Fig. 3: Rappresentazione di un ordini di profili lineare.

Come rappresentato nella fig.3 l'ordine di acquisizione lineare comincia

vicino al valore Ky minimo e i profili sono misurati verso il valore Ky

massimo.

Nella figura successiva (fig.4) l'ordine dei profili comincia intorno al K0

e la misurazione avviene in modo alternato. In questo caso un tempo di

eco effettivo corto sarebbe l'ideale perchè i profili intorno al K0 sono

acqisiti all'inizio della sequenza.

Fig. 4: Rappresentazione dell'ordine di acquisizione low-high

L'ordine di profili lineare generalmente viene utilizzato per sequenze T2

pesate. Le sequenze T1 e PD (densità protonica) fanno uso dell'ordine di

profili low-high.

Nell'applicazione diagnostica le TSE possono essere usate in tutte le parti

del corpo, e là,dove sono necessari tempi di scansione più brevi abbinati

ad un'elevata qualità d'immagine.

Le sequenze TSE sono anche utilizzate in combinazione ad altri metodi

di acquisizione come le Inversion Recovery generando così, le Turbo

Inversion Recovery (IR-TSE). Come nelle standard IR, la sequenza

comincia con un impulso a 180°, che inverte la magnetizzazione. Dopo il

tempo di inversione definito (TI), viene generato l'impulso di eccitazione

TSE con il treno di echi relativo.

Un esempio di queste applicazioni IR-TSE viene fatto con le sequenze di

soppressione del grasso STIR e soppressione dei fluidi,come il fluido

cerebro-spinale (FLAIR).

Un aspetto tipico delle TSE pesate in T2, è la presenza del grasso

iperintenso; a questo scopo le sequenze di soppressione del grasso

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(FATsat) o SPIR sono impiegate nella routine. Queste sequenze sono da

non confondere con le STIR, perchè nelle SPIR l'impulso di soppressione

è ottimizzato sulla frequenza individuale del grasso.

Lo svantaggio di queste sequenze e la non omogenea soppressione in

presenza di parti metalliche, come nelle protesi dentarie o mascara, e in

quando si uilizzano campi di vista molto ampi (FOV's).

EPI (Echo Planar Imaging)

L'imaging Ecoplanare, è conosciuto, come un metodo rapidissimo di

acquisizione, che colleziona tutti i profili, in una eccitazione o shot.

Nell'imaging ecoplanare, viene prodotto un treno di echi dal rapido

cambio di polarità del gradiente di lettura. Le EPI oggi rappresentano le

più veloci tecniche di acquisizione disponibili in Risonanza Magnetica.

Come descritto nel capitolo riguardante il K-space, le traiettorie di

acquisizione dei profili devono coprire tutti i punti lungo le linee Kx e

Ky (frequenza e fase), per generare un immagine completa. Nelle

ecoplanari le traiettorie sono collezionate in modo diverso rispetto alle

tecniche convenzionali. Linee di codifiche di fase multiple, vengono

misurate da una singola eccitazione RF,invece che una singola. Per poter

ottenere questo, sono necessari gradienti, con forme d'onda particolari.

Fig.1: Traiettoria del K-Space nella sequenza EPI

Come si può vedere dalla fig.1 in questo metodo di attraversamento del

K-space, chiamato blipped, viene impiegato un impulso positivo del

gradiente di lettura Gx, che attraversa lo spazio da sinistra a destra, poi il

primo blip positivo del gradiente di fase Gy, insieme ad un'inversione del

Gx, provoca il movimento da destra a sinistra nel K-space. Questo viene

ripetuto fino al completo campionamento dello spazio.

Se il segnale ottenuto, deriva solamente dal gradiente di rifocalizzazione

la tecnica viene chiamata gradient-EPI (FE-EPI). Quest'ultima risulta,

però molto sensibile agli effetti di suscettibilità, ed è un vantaggio

nell'imaging funzionale (Perfusion). Un modo per poter ridurre questi

effetti di suscettibilità, sta nell'aggiunta di un'impulso di 180° dopo

quello di 90°, e in questo caso si parla di SE-EPI.

Tuttavia le EPI sono considerate come un metodo di fast imaging per le

tecniche di scansione esistenti.

PRINCIPI FISICI DI RISONANZA MAGNETICA

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I metodi di acquisizione in EPI sono principalmente due: Single Shot o

Multi Shot.

Nelle Single Shot le informazioni necessarie per ricostruire un'immagine

sono ottenute da una sigola eccitazione.

Ogni linea trasversale del K-space è misurata da un impulso positivo e

negativo del gradiente di lettura. Questo numero di linee viene chiamato

EPI factor.

Nelle single shot, il tempo di acquisizione è limitato dal tempo di

rilassamento T2 del tessuto e dalle inomogeneità (errori di fase) causate

dai gradienti, che limitano la risoluzione d'immagine. Per questa ragione

la velocità di campionamento deve essere la più veloce possibile. I tessuti

con tempi di rilassamento T2 più corto del tempo di acquisizione

conduce ad una situazione dove il segnale è gia scomparso prima del

campionamento dei valori di Ky, provocando immagini offuscate. Un

altro problema è provocato dai ghosting (immagini fantasma), derivanti

dalle discontinuità di fase provocate dall'attraversamento rapido da

sinistra a destra e viceversa del K-space.

Praticamente, le single shot, possono essere acquisite con gradienti ad

alto campo e con bassa rsioluzione d'immagine.

Con l'avvento di quest'ultimi, le EPI single shot sono diventate molto

utili nelle applicazioni funzionali cadiache e cerebrali.

Nelle EPI multi shot, invece il numero di profili campionati e quindi

l'EPI factor è limitato. Di conseguenza gli errori di fase e gli

offuscamenti (blurring) nel'immagine sono ridotti. Lo svantaggio sta nel

tempo di scansione più lungo; anche se di contro c'è la possibiltà di

eseguire questa tecnica anche su normali scanner privi di gradienti ad

alto campo.

Fig. 2: Sequenza EPI

PRINCIPI FISICI DI RISONANZA MAGNETICA

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Lista degli acronimi in RM

PHILIPS GE SIEMENS PICKER

Spin Echo

SE SE SE SE

MSE

MEMP& CSMEMP

RASE

ME

TSE VEMP&

CSVEMP

TSE

HASTE FAME

FSE

LASE

POMP

Inversion Recovery

IR IR IR IR

IR in MS mode

MPIR IR in MS mode

IR in MS mode

STIR

STIR STIR STIR

IR-TSE IR-FSE IR-TSE FLAIR

Gradient Echo

FFE GRASS,GRE FISP,GRE FAST-II

CE-FFE T1 SPGR FLASH T1-FAST

CE-FFE T2 SSFP PSIF, True FISP

CE-FAST

Fast Scan Tecniques

TFE Rapid SPGR Turbo Flash

3D-TFE FGRE MP Rage

Keyhole

GRASE TGSE

EPI EPI EPI EPI

TSE FSE TSE FAME

Phase Imaging Phase Imaging

Phase Imaging Phase Imaging

Phase Imaging

Reduced Imaging

Halfscan HalfNEX Half Fourier Phase Conjugate

RFOV RFOV RFOV Sym

RAM

Saturation Band REST SAT PreSAT PreSAT

Motion Compensation

FLAG,FC GMC,FC GMR MAST

PEAR EXORCIST,RSPE ROPE

SMART

RC,RT

Fat and Background Suppr.

SPIR CHEMSAT FATSAT FATSAT

MR Angio Inflow TOF TOF TOF

PCA PC PC PC

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Multi-chunk MOTSA MOTSA Slab Stacking

TONE Ramped RF TONE

MTC MTC MTS MTC

CVP

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