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di Maria Alessandra Sandulli Professore ordinario di Diritto amministrativo Università degli Studi di Roma Tre Principi e regole dell’azione amministrativa”: riflessioni sul rapporto tra diritto scritto e realtà giurisprudenziale EDITORIALE – 6 DICEMBRE 2017

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di Maria Alessandra Sandulli

Professore ordinario di Diritto amministrativo Università degli Studi di Roma Tre

“Principi e regole dell’azione amministrativa”: riflessioni sul rapporto tra diritto scritto

e realtà giurisprudenziale

E D I T O R I A L E – 6 D I C E M B R E 2 0 1 7

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“Principi e regole dell’azione amministrativa”: riflessioni sul rapporto tra diritto scritto e

realtà giurisprudenziale

di Maria Alessandra Sandulli Professore ordinario di Diritto amministrativo

Università degli Studi di Roma Tre

Sommario: 1. Premessa. 2. I limiti della funzione giurisdizionale: la necessaria distinzione tra interpretazione e “creazione”.3. I rischi di un passaggio dalla (fondamentale) funzione di nomofilachia alla tendenza verso una giurisprudenza creativa contra legem. 4. Il problema del valore del “precedente”. 5. Considerazioni conclusive. 1. Premessa.

La presentazione della seconda edizione del volume “Principi e regole dell’azione amministrativa”1, frutto della

proficua collaborazione di autorevoli colleghi e più giovani, ma sicuramente valorosi, studiosi, offre

l’occasione per riflettere su un tema più ampio: il rapporto tra diritto scritto e realtà giurisprudenziale.

In linea con i lavori svolti nell’ultimo decennio2, il volume pone l’accento sul valore dei “principi”,

particolarmente attuale in un contesto normativo sempre più complesso e ambiguo: alle tradizionali

problematiche create da un sistema di fonti multilivello (fonti costituzionali, eurounitarie, europee,

legislazione primaria nazionale, regionale e delle province autonome, normazione secondaria nazionale,

regionale e locale) si aggiungono quelle poste dalla valenza della regolazione tecnica e delle linee guida

(con particolare riferimento a quelle dell’ANAC)3 e quelle derivanti dall’indubbio deficit di qualità della

1 M.A. SANDULLI (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, Giuffrè, 2017. 2 M.A. SANDULLI, Fonti e principi della giustizia amministrativa, in federalismi.it, n. 10/2008 e in M. A. SANDULLI (a cura di), Il nuovo processo amministrativo, vol. I, Milano, Giuffrè, 2013, 2 e ss.; M. A. SANDULLI, Il codice dell’azione amministrativa: il valore dei suoi principi e l’evoluzione delle sue regole, in M. A. SANDULLI (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, Giuffrè, 2017, II ed., 3 e ss. (si v. anche la presentazione alla I edizione -del 2011- del medesimo volume). 3 Il dibattito sulla natura di queste ultime è tuttora, come noto, molto intenso: a quanti ne affermano la natura regolamentare (F. CINTIOLI, Il sindacato del giudice amministrativo sulle linee guida, sui pareri del c.d. precontenzioso e sulle raccomandazioni di Anac”, in Dir. Proc. Amm., 2017, 2, 381 ss.; G. MORBIDELLI, Linee guida ANAC: comandi o consigli?, in Dir. Amm., 2016, 3, 273 ss.; I. A. NICOTRA (a cura di), L’Autorità Nazionale Anticorruzione. Tra prevenzione e attività regolatoria, Torino, Giappichelli, 2016), si contrappongono quanti, a mio avviso più correttamente, la escludono in modo netto in ragione della sua incompatibilità con il quadro costituzionale, stante l’assenza di investitura popolare e di responsabilità politica dell’Autorità emanante (M.A. SANDULLI, Crisi economica e giustizia amministrativa, in L. ANTONINI (a cura di), La domanda inevasa: la verifica delle teorie economiche che condizionano la Costituzione europea e quella italiana”, Bologna, Il Mulino, 2016, 289 e ss.; ID., Presentazione del Convegno di Bari-Polignano su Poteri dei giudici e poteri delle parti nei processi sull’attività amministrativa (dall’unificazione al Codice), in

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normazione, “alluvionale” e spesso contraddittoria, come lucidamente avvertiva già vari anni fa Luciano

Vandelli nel suo indovinatissimo volumetto Psicopatologia delle riforme quotidiane4.

Con conseguente potenziamento del ruolo dell’interpretazione, in primo luogo giurisprudenziale, alla

quale il volume riserva un ampio spazio, per rappresentare fin da subito agli studenti e a quanti intendono

approcciarsi alla nostra materia come le “regole” scritte siano spesso utilmente integrate e in taluni casi

meno opportunamente contraddette dall’evoluzione giurisprudenziale.

Proprio questa constatazione accresce però la valenza dei principi5, che, soprattutto quelli fondamentali

dell’ordinamento costituzionale e eurounitario, sono la “guida” per orientare l’interprete nel labirinto

normativo, offrendogli la migliore chiave di lettura delle regole dettate dalle fonti scritte.

Da ciò l’attenzione che, fin dalla formazione universitaria e postuniversitaria, dev’essere dedicata al loro

approfondimento. Vieppiù nella nostra materia, che, diversamente da quella civile e penale, non ha un

codice generale di diritto sostanziale e solo dal 2010 ha un codice processuale.

Significativamente del resto sempre più spesso le leggi e i codici e testi unici di settore fanno nei primi

articoli espresso richiamo ai principi generali della materia.

2. I limiti della funzione giurisdizionale: la necessaria distinzione tra interpretazione e

“creazione”.

I principi non possono però sostituire le regole: come sottolineato in altre occasioni6, uno Stato

costituzionale fondato sulla separazione dei poteri e sul primato delle regole dettate dagli organi

rappresentativi della volontà popolare non è compatibile con l’abdicazione del potere normativo a

soggetti privi di responsabilità politica (il riferimento è ai poteri regolatori delle AA indipendenti) e, tanto

meno, con l’attribuzione alla giurisprudenza di un ruolo di supplenza nella creazione delle regole.

federalismi.it, n. 18/2015; ID., Introduzione al Convegno annuale AIPDA 2015 su “Le fonti nel diritto amministrativo”, in Annuario AIPDA 2015, Napoli, ES, 2016; ID., Principio di legalità e effettività della tutela: spunti di riflessione alla luce del magistero scientifico di Aldo M. Sandulli, in Dir. e soc. 2015, 4, 649 e ss.; C. DEODATO, Le linee guida dell’ANAC: una nuova fonte del diritto?, in Giustamm.it, 2016, 4; e, da ultimo, G.A. GIUFFRÈ, Le “nuove” dimensioni del regolamento. Il caso delle linee guida ANAC, in federalismi.it, 2017). 4 Bologna, Il Mulino, 2006, 184 e ss. 5 Sui “principi” di diritto amministrativo, si vedano anche G.P. ROSSI, Principi di diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 2017, e i contributi nel volume a cura di M. RENNA E F. SAITTA, Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2012. 6 Inter alia, in Il ruolo del giudice amministrativo e i limiti al potere giurisprudenziale di interpretazione, Relazione al convegno annuale AIPDA, Trento, 5-6 ottobre 2012, in Annuario AIPDA 2012, Napoli, ES, 2013; Effettività delle norme giuridiche nell’interpretazione giurisprudenziale e tutela del cittadino, in www. giustizia-amministrativa.it.; Principio di legalità e effettività della tutela, cit.; Crisi economica e giustizia amministrativa, cit.

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Lo Stato costituzionale di diritto e la tecnica di normazione per principi, come è stato autorevolmente

sottolineato dalla migliore dottrina costituzionalistica7, impone invero una “salda distinzione tra attuazione e

applicazione della Costituzione, con la riserva della prima al legislatore” (unico titolare, in nome dell’investitura

popolare, del potere di bilanciamento degli interessi sociali) “e l’affidamento della seconda all’amministrazione e

ai giudici”. Pur riconoscendo e apprezzando il ruolo fondamentale svolto dalla giurisprudenza, in

particolare quella amministrativa, nell’affermazione e nella costruzione di fondamentali principi di

garanzia dei cittadini in coerenza con il quadro costituzionale e, oggi, euro unitario, non si può dimenticare

che rimettere l’attuazione dei principi costituzionali (necessariamente generali e indeterminati)

direttamente al potere giurisdizionale significa, inevitabilmente, rinunciare alla certezza delle regole del

vivere sociale e alla prevedibilità delle conseguenze (positive e negative) dei propri comportamenti. Da

ciò la necessità di tenere fermamente distinti i due ruoli, lasciando al legislatore quello di fissare le regole

attuative dei principi costituzionali e al giudice quello – peraltro niente affatto marginale – di darne la

migliore applicazione, attraverso una corretta interpretazione, che, per quanto ampia e costruttiva, non

deve mai confondersi con la creazione di “nuovo diritto”8, che, quand’anche tecnicamente più corretto e

sistematicamente più ragionevole, è totalmente autonomo dal principio democratico e dunque inidoneo

a garantire la sicurezza e la pace sociale.

Sono considerazioni assolutamente elementari, che corrispondono a valori che costituiscono o

dovrebbero costituire patrimonio comune e che prescindono evidentemente da ogni posizione ideologica

e politica.

Il nostro ordinamento costituzionale ha fatto una scelta assolutamente chiara sulla separazione del potere

legislativo da quello giurisdizionale: la sovranità appartiene al popolo e il giudice non è investito dal

popolo e significativamente la Costituzione lo vuole espressamente soggetto alla legge e “soltanto” alla

legge e alle fonti (di produzione politica normativa) da essa derivate (tanto da legittimare la disapplicazione

7 M. LUCIANI, Garanzie ed effettività della tutela giurisdizionale, Relazione al Convegno di Varenna, 2014, in Rivista AIC, 2014. 8 Sul ruolo di “ordinatore” delle regole e non di loro “creatore”, spettante al giudice, cfr. efficacemente A. PAJNO, Nomofilachia e giustizia amministrativa, in Rass. For., 3-4/2014. La tendenza alla giurisprudenza “creativa” è nettamente criticata da N. IRTI, Un diritto incalcolabile, Torino, Giappichelli, 2016, 57 ss. Sui rischi di “deriva” della funzione nomofilattica, v. anche C. CONSOLO, La funzione nomofilattica della Corte di cassazione, tra nuove (auspicabili) prospettive e (gravi) rischi di deriva dallo ius litigatoris, in Rass. for., n. 3-4, 2014, 621 ss., il quale osserva che “la “nomofilachia allo stato puro” […] si scontra frontalmente con il concetto di giurisdizione, e quindi anche con il concetto di giurisprudenza. Quello che invece la Corte di cassazione deve propinare al sistema è evidentemente una forma di guida coerenziatrice nell’interpretazione del diritto, che può avere quel plusvalore di autorevolezza solo se è costantemente radicata nel caso concreto e nella cooperazione alla sua giusta soluzione”.

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dei regolamenti che vi contrastino), con il solo limite delle consuetudini e del rispetto del diritto

costituzionale e dell’Unione europea9.

Il compito del giudice deve essere quello di applicare (e interpretare) la legge, non di “costruirla”10 e, se è

vero che il giudice amministrativo, anche grazie alla sua particolare professionalità e formazione, ha dato

e continua tendenzialmente a dare prova di grande equilibrio e di grande capacità ermeneutica11, il rischio

di affidare alla discrezionalità di “pochi esperti” un potere regolatorio e innovativo che la Costituzione

riserva, in via generale e astratta, agli organi legati al “popolo sovrano” è decisamente troppo alto per

poter essere accettato12.

9 Sul dibattito, sempre accesissimo, sulla natura di fonte della giurisprudenza e sui limiti della funzione attribuita a quest’ultima, si rinvia, evidentemente senza alcuna pretesa di esaustività, agli scritti di V. MARINELLI, Ermeneutica giuridica. Modelli e fondamenti, Milano, Giuffrè, 1996, 225; L. CARLASSARE, voce Fonti del diritto (dir. cost.), in Enc. dir., Annali, vol. II, 2008, 536 ss., 544 ss.; A. PIZZORUSSO, Fonti del diritto, in Commentario al codice civile, Bologna, Zanichelli, artt. 1-9; G. GORLA, voce Giurisprudenza, in Enc. dir., vol. XIX, 1970, 489 ss.; G. ZACCARIA, La giurisprudenza come fonte del diritto: un’evoluzione storica e teorica, in La comprensione del diritto, Roma-Bari, Laterza, 2012, 4 ss.; e, soprattutto, ai contributi di C. PINELLI, G.U. RESCIGNO, A. TRAVI, M. BOMBARDELLI, V. ANGIOLINI, P. CIARLO, A. PIOGGIA, S. CIVITARESE MATTEUCCI, G. AZZARITI, F. BILANCIA, P. CARNEVALE, D. SORACE sul tema Giudici e legislatori, raccolti nel secondo fascicolo del 2016 della rivista Diritto pubblico e il saggio di G. ALPA, pubblicato sullo stesso tema sul fasc. 1/2017 della medesima rivista. 10 Così, da ultimo, anche A. TRAVI, Eccesso di potere giurisdizionale e diniego di giurisdizione dei giudici speciali al vaglio delle Sezioni Unite della Cassazione (intervento al Seminario di studi organizzato dalla Struttura di formazione decentrata della Corte di cassazione, Roma, 21 settembre 2017), in giustizia-amministrativa.it, 2017, che, nel ribadire le proprie perplessità sulla pluralità di giurisdizioni, ricorda che “una cosa è ragionare, in termini giuridici, su un certo sistema per la sua riforma, e altra cosa è applicare le norme vigenti” e acutamente aggiunge che “la distinzione è fondamentale, perché coinvolge il ruolo della legge e, profilo ad esso strettamente legato, l’indipendenza del giudice”. 11 Inter alia, le Relazioni di R. FERRARA, L’incertezza delle regole tra indirizzo politico e “funzione definitoria” della giurisprudenza, e M. MAZZAMUTO, L’incertezza nel diritto amministrativo tra norme scritte e giurisprudenza pretoria: per un diritto giurisprudenziale a sovranità legislativa limitata, al Convegno annuale AIPDA 2014 su L’incertezza delle regole (Napoli, 3-4 ottobre), in Annuario AIPDA 2014, Napoli, ES, 2015, 33 ss. e 295 ss. 12 Aderisco pertanto integralmente alle considerazioni recentemente svolte da M. LUCIANI, Il “giusto” processo amministrativo e la sentenza amministrativa “giusta”, rielaborando la Relazione alle Giornate di studio sulla giustizia amministrativa (Siena, 19-20 maggio 2017 su “I rimedi contro la sentenza amministrativa ingiusta”), in giustizia-amministrativa.it, novembre 2017, in corso di pubblicazione per i tipi dell’Editoriale Scientifica. “Per ben mostrare la sostanza della questione che qui è posta (scrive Luciani, muovendo da un pensiero di F. CARNELUTTI nel noto saggio “Arte del diritto”, ristampato nel 2017) non trovo guida migliore di una pagina che Carnelutti scrisse in viaggio per l’America del Sud, negli anni ’40, oggi ripubblicata per i tipi di Giappichelli. “Sulla carta”, scriveva Carnelutti, “il giudice è un servitore della legge. Il legislatore sta sopra e il giudice sta sotto. Dura lex sed lex. Così è la teoria”. Eppure, la teoria, aggiungeva, non necessariamente trova conferma nella vita reale. “Nella realtà della vita la lotta del fatto contro la legge si converte in lotta tra il giudice e il legislatore. Ora che il legislatore domini e il giudice sia dominato è piuttosto apparenza che realtà. In realtà, come il diritto culmina nel giudizio, così il giudice finisce per giudicare anche il legislatore [...]. Vi sono naturalmente giudici e giudici; né ciascun d’essi ha oggi il cuore del pretore romano; tuttavia un giudizio che non contenga una dose, grande o piccola, di correzione della legge, è assai raro. Se questa santa soperchieria non si scopre quasi mai a occhio nudo, è frutto della consueta mascheratura [...]. Qui si palesa il nocciolo della questione: secondo Carnelutti il giudice, per far valere esigenze di superiore giustizia sostanziale, forza la lettera della legge, anzi, si “ribella” al legislatore, operando una “soperchieria” che costituisce un formale abuso, ma sostanzialmente è “santa”, proprio perché salvaguarda quelle esigenze. Ebbene: quel che un grande giurista come Carnelutti scriveva allora non può essere ripetuto oggi: la “santa soperchieria” non è più consentita. E non lo è perché oggi il giudice ha a disposizione un rimedio che negli ’40 non aveva: può, infatti, rivolgersi alla Corte costituzionale (o, se necessario, alla Corte di giustizia) per far prevalere le ragioni della legittimità su quelle della legalità. La legittimità non è più priva di un usbergo a petto della legalità, ma ha il suo garante. E questo garante non solo può, ma deve essere

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Merita a questo proposito riportare un fondamentale passaggio della nota sentenza n. 15144 del 2011

delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sui limiti dell’overruling giurisprudenziale: la Corte non manca

infatti di avvertire che “nel quadro degli equilibri costituzionali (ispirati al principio classico della divisione dei poteri) i

giudici (estranei al circuito di produzione delle norme giuridiche) sono appunto (per disposto dell’art. 101, comma 2°, Cost.),

'soggetti alla legge'. Il che realizza l’unico collegamento possibile, in uno Stato di diritto, tra il giudice, non elettivo né

politicamente responsabile, e la sovranità popolare, di cui la legge, ad opera di parlamentari eletti dal popolo e politicamente

responsabili, è l’espressione prima; ma sono soggetti anche alla legge 'soltanto', il che, a sua volta, realizza la garanzia della

indipendenza funzionale del giudice, nel senso che, nel momento dell’applicazione, e della previa interpretazione, a lui

demandata dalla legge, è fatto divieto a qualsiasi altro soggetto od autorità di interferire, in alcun modo, nella decisione del

caso concreto”13.

Non possiamo poi non considerare che la regula iuris fissata dal giudice si sottrae al controllo di legittimità

costituzionale, che è riservato alla legge, sia pure con il giusto temperamento dell’attenzione al c.d. “diritto

vivente”, che però presuppone che un altro giudice sottoponga la questione alla Corte costituzionale, ma

non tutela contro la “scelta” dei singoli giudici. Il problema pratico che si pone è, in altri termini, che, se

il giudice di ultimo grado procede a interpretazioni libere e contra ius, la “regola” di quella fattispecie è

immune dal sindacato di costituzionalità (e l’unico “garante” del sistema sarebbe la Corte di cassazione,

che però non sembra abbia, a tutt’oggi, dimostrato aperture per l’eccesso di potere giurisdizionale nei

confronti del legislatore)14.

La necessità di conservare il riferito confine tra interpretazione e creazione induce a particolare prudenza

anche nei confronti del potere-dovere dei giudici comuni di disapplicare le disposizioni legislative in

contrasto con il diritto dell’Unione europea e, soprattutto, di cercare la lettura “costituzionalmente

orientata” del quadro normativo15. Tale lettura non può in ogni caso essere proposta in nome di un

adito, quando della legittimità è necessario ripristinare le ragioni. Non spetta al giudice tutelare la legittimità se questa non è stata incorporata nella legalità e soprattutto non spetta al giudice far valere una legittimità non positivizzata, non recepita al livello delle fonti costituzionali. Si dice spesso che le costituzioni contemporanee non sarebbero altro che diritto naturale positivizzato, ma poi ci si contraddice, assegnando al giudice il compito di far valere un diritto naturale che nelle costituzioni non è ospitato. Non si tratta tanto di affermare che il legislatore “sta sopra” il giudice, ma semplicemente che sopra il giudice sta la legge e che sopra la legge sta la Costituzione, che il giudice può far valere servendosi dell’interpretazione costituzionalmente conforme sinché glielo consente la lettera della legge, ma deve contribuire a tutelare rivolgendosi alla Corte costituzionale quando il testo non gli consente di conciliare l’inconciliabile. Nulla più e nulla meno di questo”. 13 Al tema dell’overruling giurisprudenziale, negli anni 2011 e 2012, sono stati conseguentemente dedicati diversi autorevoli contributi (tra gli altri, di C.M. BARONE, R. CAPONI, G. COSTANTINO, D. D’ALFINO, A. PROTO PISANI, G. RUFFINI, G. SCARSELLI e G. VERDE), leggibili soprattutto sulla Rivista di diritto processuale. 14 Cfr. significativamente, SS.UU., 22784/2012 e 21300/2017 (quest’ultima, proprio sulla riferita questione della motivazione in re ipsa dell’autoannullamento). 15 Sul tema, ampiamente arato dalla dottrina costituzionalista, cfr. anche gli Atti del Convegno su Il ruolo del giudice nelle magistrature supreme, articolato in diverse sezioni, rispettivamente dedicate alle Corti europee, alla Corte costituzionale, alla Corte di Cassazione e al Consiglio di Stato, svoltosi all’Università Roma Tre nel 2007, leggibili

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principio “liquido” come quello di “ragionevolezza 16”, sul quale è addirittura in discussione l’ambito del

sindacato della Corte costituzionale.

È significativo del resto che, anche nei sistemi di common law, si stia riscontrando un crescente favor per

l’emersione delle regole scritte. Il fenomeno, già ricordato da V. Domenichelli nella Relazione al

Convegno annuale AIPDA 201517, è stato recentemente evidenziato nella lectio magistralis svolta da Paul

Craig in apertura del Convegno annuale 2017 della stessa Associazione, dove, nell’affrontare il tema della

valenza della rule of law nella costruzione delle decisioni amministrative, ha sottolineato l’importanza del

contributo della legislazione anche in una prospettiva di common law, precisando come sia un errore credere

che nel Regno Unito tutto sia regolato dalla giurisprudenza, quando, invece, ci sono specifici “codici”,

anche molto dettagliati, che regolano il procedimento in settori specifici (salute, educazione, tasse) e la

legislazione è il punto di riferimento del giudice quando emana le sue decisioni e il punto di partenza della

p.A. nella costruzione delle proprie. L’autorevole studioso ha parimenti messo in luce che anche la

disciplina di dettaglio, lungi dall’essere integralmente rimessa al giudice, è affidata nei sistemi di common

law alla normazione secondaria, ricordando che nel Regno Unito ci sono moltissime “regulatory legislations”,

su cui si fondano poi le decisioni amministrative. In termini non dissimili, si è poi espresso, nella

successiva Relazione, Marco D’Alberti con riferimento al sistema statunitense – nel quale peraltro i giudici

delle Corti federali e della Corte suprema sono nominati dal Presidente degli Stati Uniti con il consenso

del Senato –, sottolineando che anche lì la soluzione dei casi non prescinde totalmente dalle regole scritte

e mettendo l’accento sul valore che, nei sistemi di common law, riveste l’opinione dissenziente e la

conseguente lenta maturazione dei cambi di giurisprudenza che ne consente la previsione, mentre il

revirement improvviso dovrebbe poter valere solo per il futuro.

In un Convegno recentemente organizzato dal CNF e dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura18 sul valore

del precedente, G. P. Monateri, nel ricordare che i sistemi di common law sono tra loro diversissimi e quelli

puri sono pochissimi, posto che ormai per common law si intende solo la teoria generale delle obbligazioni,

ha riferito che il ruolo creativo del giudice è molto criticato anche nel Regno Unito anche dagli stessi

in un apposito Quaderno de “Il Foro Amministrativo – Tar”, Milano, 2007, suppl. al n. 7-8. Dalle Relazioni emerse appunto, sin da allora, la comune preoccupazione di evitare la travalicazione del potere giurisdizionale in un ambito che, in uno Stato democratico, è riservato agli organi rappresentativi della volontà popolare (e agli atti governativi che, attraverso la delega o la conversione in legge, vi si riconducono). 16 La bibliografia in argomento è evidentemente vastissima. Ci si limita pertanto a richiamare, per tutti, la profonda voce “Ragionevolezza” di L. PALADIN sull’Enciclopedia del diritto e il più recente saggio di M. CARTABIA, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, leggibile anche sul sito della Corte costituzionale (www.cortecostituzionale.it). 17 In Annuario AIPDA 2015, Napoli, ES, 2016. 18 Roma, 13 ottobre 2017.

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giudici supremi e che, rispetto agli atti approvati dal Parlamento (“laws of the land”), le Corti inglesi hanno

un potere interpretativo molto più limitato di quello dei nostri giudici e le sentenze sono molto lunghe.

Anche la giurisprudenza delle Corti europee non è in realtà frutto di decisione estemporanea dei giudici,

che estrapolano le regole dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri e le restituiscono poi ai

legislatori e ai giudici come criterio prevalente.

Il volume che ci ha offerto l’occasione di riflettere su questi temi si apre con un bellissimo saggio di Guido

Corso sul principio di legalità, che si sofferma diffusamente sull’inadeguatezza delle tesi a favore della

giurisprudenza creativa in nome di un malinteso parallelismo con i sistemi di common law, e, richiamando

Platone, Aristotele, Locke, ma anche Fuller, sottolinea il valore irrinunciabile della garanzia derivante dalla

legge, previa, generale e astratta (“ragione senza passione”), diversa dalla decisione estemporanea relativa al

caso concreto e precondizione imprescindibile per una regola giusta (in questo senso, ricorda Corso,

Fuller parla di “moralità del diritto”).

3. I rischi di un passaggio dalla (fondamentale) funzione di nomofilachia alla tendenza verso

una giurisprudenza creativa contra legem.

Occorre a questo punto fare due considerazioni fondamentali.

La prima. Nel nostro ordinamento, l’interpretazione contra legem non è mai ammissibile.

L’art. 12 delle Preleggi ricorda in termini inequivocabili che “nell’applicare la legge, non le si può attribuire altro

senso che quello fatto palese (i) dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e (ii) dall’intenzione del

legislatore” (parentesi aggiunte).

La funzione nomofilattica19 e il valore che sempre più spesso viene attribuito al “precedente”, anche al di

fuori della sede della nomofilachia, non possono e non debbono dunque allontanarci da questo

irrinunciabile limite della funzione giurisdizionale20, che è anche irrinunciabile valore della democrazia

costituzionale: pena la destabilizzazione del sistema, che, attraverso una eterogenesi21 dei fini, priva i

cittadini proprio di quella “sicurezza” che la ricerca di un indirizzo giurisprudenziale univoco è

astrattamente finalizzata a garantire.

19 Si segnala a questo riguardo il Memorandum sul dialogo tra le giurisdizioni, firmato il 15 maggio 2017, alla presenza del Presidente della Repubblica, dai Presidenti della Corte di cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti e dai Procuratori generali presso la Corte di cassazione e presso la Corte dei conti (in federalismi.it, n. 11/2017, con nota di presentazione di B. Caravita). 20 Osserva condivisibilmente V. MANES, nella Relazione tenuta al già ricordato Convegno CNF-SSA, che “alle parole non si può torcere il collo: ogni fattispecie ha un carapace semantico che nessuna interpretazione può perforare”. 21 Anche A. TRAVI, Eccesso di potere, cit., nel sottolineare che “Il giudice, nel nostro sistema costituzionale, è chiamato ad applicare la legge, e non a cambiarla”, osserva correttamente che “ciò vale a maggior ragione per una giurisdizione superiore che ha come ragione proprio la garanzia della nomofilachia”.

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In un recente contributo sul tema22, Filippo Patroni Griffi (Presidente aggiunto del Consiglio di Stato) ha

in quest’ottica giustamente ricordato l’importanza di favorire meccanismi che rafforzino l’uniformità di

interpretazione delle Corti superiori, osservando che non è accettabile che casi identici siano decisi in

maniera difforme e che “quello che per il giudice è sacrosanta autonomia di giudizio, per il cittadino corre il rischio di

apparire schizofrenia”. Pur riconoscendo che “nel nostro ordinamento non esiste il valore vincolante del precedente”,

egli ammette pertanto “forme di rafforzamento della funzione nomofilattica” (anche attraverso strumenti diretti

a “incentivare l’adeguamento al precedente per esempio prevedendo una motivazione semplificata delle sentenze con

riferimento ai precedenti conformi”) e “la fissazione al giudice di criteri rigidi per discostarsene”23.

Bisogna però evitare di confondere l’esigenza di uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale, da cui

l’importanza, innegabile, della nomofilachia spettante alla Corte di Cassazione e all’Adunanza Plenaria del

Consiglio di Stato, per dirimere contrasti giurisprudenziali in presenza di lacune normative o di

disposizioni poco chiare, ovvero per cercare di aggiornare, adattare e adeguare l’ordinamento scritto

all’evoluzione socio-economica (Cass., SS.UU. 23675/2014), con la sostituzione del giudice al legislatore:

il giudice, come ben sottolineato da Guido Corso non può essere “nomoteta” e non è quindi giustificato

se, discostandosi dalla finalità propria della nomofilachia, contrappone la sua “scelta” della norma/regola

migliore al chiaro dettato delle leggi più recenti e alla chiara voluntas legis espressa dal legislatore nel

medesimo contesto socio-economico24. Più che opportuno adeguamento ai cambiamenti, si realizza in

questo caso quella che è stata definita “una sorta di fuga dal dato positivo, che, con l’ausilio del ricorso ai principi

(spesso “autoprodotti”) talune volte viene manipolato fino a stravolgerlo, oppure ignorato, spesse volte disapplicato”25. Il

fenomeno è tanto più grave qualora la creazione giurisprudenziale finisse col limitare la garanzia degli

interessi più deboli a vantaggio del potere pubblico, tradendo una più o meno consapevole

22 Usi e consuetudini giudiziari e diritto giurisprudenziale, in giustizia-amministrativa.it 23 Sul valore della nomofilachia, inter alia, L. ROVELLI, La nomofilachia è la funzione istituzionale della Cassazione, in Rass. For., 3-4/2014, e, con specifico riferimento al ruolo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, S. OGGIANU, Profili della funzione nomofilattica del Consiglio di Stato nel nuovo codice del processo amministrativo (art. 99, co. 3) e nella più recente giurisprudenza amministrativa (Ad. Pl., 25 febbraio 2011, nn. 12-17), in Dir. e proc. amm., 2011, 1043 ss.; G. PESCE, L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e il vincolo del precedente, Napoli, Editoriale Scientifica, 2012, e F. LIGUORI, La funzione nomofilattica nell’età dell’incertezza, in Dir. e proc. amm., 2017, 587 ss. 24 Significativamente, lo stesso F. PATRONI GRIFFI (op. cit.), dopo aver affermato che “la giurisdizione può rispondere all’emersione di nuovi bisogni e correlate istanze di tutela; può supplire a carenze del legislatore che non riesce a trovare il punto di mediazione politica in materie sensibili o che rincorre il mito populista in cui la pancia del popolo prevale sulla testa” (un ruolo che va dunque evidentemente a sovrapporsi a quello del legislatore), osserva, consapevole del problema che ne discende, “Ma tutto ciò può avvenire per un tempo limitato. Nella fisiologia la produzione del diritto spetta al legislatore”. 25 Il riferimento è al recente lavoro di A. DE SIANO, Decisioni amministrative e vincolo del precedente giudiziario, in www.aipda.org, 80, con richiami ai noti scritti di F. MERUSI, Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia, in Dir. pubb., 2007, 427 ss., 430 e A. TRAVI, Giurisprudenza amministrativa e principio di legalità, in Dir. pubb., 1995, 91 ss.

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preoccupazione26 di mostrare l’infondatezza delle più volte deprecate critiche espresse in alcuni ambiti

politici e inopportunamente enfatizzate dalla stampa quotidiana nei confronti della giustizia

amministrativa che annulla o sospende gli atti amministrativi (come se le terapie fossero responsabili del

male che vanno a evitare o a curare). Esempi in questo senso si rinvengono purtroppo frequentemente

nella materia dei contratti pubblici, dove l’interpretazione evolutiva (recte creativa) della giurisprudenza

determina nuove cause di inammissibilità dei ricorsi e/o avalla l’arbitraria introduzione di nuove cause di

esclusione dalle gare27, con conseguenti sanzioni interdittive dal potere di contrarre prive

dell’indispensabile base legale, quando non addirittura in contrasto con quella costituita dalle fonti UE28.

Ma un ulteriore esempio di giurisprudenza creativa a favore dell’amministrazione è a ben vedere

rinvenibile anche in quelle pronunce29 che, con riferimento all’annullamento d’ufficio di provvedimenti

adottati prima dell’entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 (c.d. legge Madia), legano la decorrenza

del termine massimo di 18 mesi fissato dal nuovo art. 21-nonies l. n. 241 del 1990 a garanzia della stabilità

dei titoli al momento di tale entrata in vigore (28 agosto 2015). Il legislatore del 2015 (tenendo

evidentemente conto della prevedibilità della novella, ampiamente preannunciata da diversi anni30 e in

linea con l’orientamento legislativo dimostrato sin dal 200431) aveva fatto una scelta assolutamente chiara

26 Il rischio era già stato rappresentato in M. A. SANDULLI, Profili soggettivi e oggettivi della giustizia amministrativa: il confronto, in federalismi.it, n. 3/2017.. 27 Cons. Stato, sez. V, sentt. 4425 del 2014 e 828 del 2017. 28 Significativa la sentenza 5 settembre 2017, n. 4192, che ha riconosciuto valenza interpretativa (e dunque retroattiva) alla individuazione, per la prima volta, da parte dell’ANAC (nelle Linee guida n. 6), delle sentenze penali non ancora definitive quali mezzi di prova per l’individuazione di eventuali illeciti professionali commessi dai concorrenti, idonei ad implicarne, in caso di omessa dichiarazione, l’esclusione dalle gare ex art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. 50/2016, per un periodo di tre anni decorrente dal deposito della sentenza, quando l’art. 57 della direttiva 24/2014 (come opportunamente segnalato dal parere del Consiglio di Stato n. 2286/2016 sulle stesse Linee guida) individua il dies a quo nella commissione del fatto e il Codice aveva omesso di dare specifiche indicazioni al riguardo. 29 Cons. Stato, 19 gennaio 2017, n. 250, richiamata da TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 22 maggio 2017, n. 817; nello stesso senso, TAR Campania, Napoli, sez. II, 20 febbraio 2017, n. 1033, richiamando la “precedente” 17 ottobre 2016 n. 4737, che, a sua volta, richiamava la “precedente” 12 settembre 2016, n. 4229; TAR Lazio, Roma, sez. II, 7 giugno 2016, n. 6514.. 30 Ne è prova la circostanza che le prime sentenze sui provvedimenti di annullamento d’ufficio post riforma Madia, nel riconoscere al limite dei 18 mesi una portata meramente interpretativa (dell’espressione “termine ragionevole” introdotta dal 2005) riferivano erroneamente la novella alla l. 164 del 2014 (Cons. Stato, sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5625 e 9 giugno 2016, n. 3762). L’indicazione di un termine massimo di esercizio del potere di autotutela per vizi originari del provvedimento era stata per vero già ipotizzata nei lavori preparatori alla riforma del 2005 (cfr. art. 21-septies ddl AS 1281-A, che lo fissava in due anni dall’adozione del provvedimento). 31 L’art. 1, co 136, l. 311 del 2004, abrogato dalla l. 124 del 2015 in quanto assorbito nel più generale “paradigma” dell’autotutela da essa costruito, stabiliva, come noto, che “Al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, puo' sempre essere disposto l'annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l'esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L'annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall'eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non puo' essere adottato oltre tre anni dall'acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”.

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(confermata anche all’esito di ben due pareri della Commissione speciale istituita presso la Sezione

consultiva sugli atti normativi dello stesso Consiglio di Stato: pareri nn. 839 e 1784/2016) nel senso che

il termine di 18 mesi dall’adozione del provvedimento per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio

fosse operante in tale declinazione (id est dall’adozione del provvedimento) sin dall’entrata in vigore della

disposizione, ostando, fin da tale momento all’adozione di atti caducatori o soprassessori di titoli risalenti

a oltre 18 mesi prima. Sulla base di una lettura (recte, scelta) ritenuta semplicemente “più ragionevole”, la

riferita giurisprudenza lo ha invece spostato in avanti, affermando che esso deve piuttosto decorrere

dall’entrata in vigore della legge. Con buona pace di quanti avevano confidato nella lettera della

disposizione e nella garanzia di massima stabilità dei titoli in qualsiasi modo acquisiti ripetutamente

declamata dal legislatore del 2015, traendo ulteriore sicurezza dalla scelta, chiaramente effettuata dai

decreti delegati SCIA1 e SCIA2, di confermare il significato che la suddetta Commissione Speciale aveva

ripetutamente segnalato risultante dal testo di legge32; e si erano quindi illusi di poter tranquillamente

investire in beni o attività ormai stabili. Senza dire dell’irragionevolezza di un sistema che sottrae risorse

preziose a quelle – già scarse – del servizio giustizia per rendere pareri di cui poi lo stesso organo di

nomofilachia giurisprudenziale non tiene alcun conto.

Né manca di destare perplessità la recente sentenza n. 8/2017 dell’Adunanza Plenaria33 sui presupposti

per l’esercizio del potere di autotutela nel regime originario introdotto dalla l. 15 del 2005 (ma tuttora

applicabile ai casi che, come la risoluzione degli appalti e la cessazione di efficacia delle concessioni di

lavori, servizi e forniture sono espressamente esentati dal rispetto dei termini di cui al nuovo art. 21-

nonies), che, in evidente contrasto con lo spirito e la logica di garanzia della fiducia degli operatori

economici che, dal 2004, hanno informato la previsione di limiti al potere amministrativo di rimozione

32 Si ricorda in particolare che il parere 30 marzo 2016, n. 839, sullo schema di decreto "SCIA1", aveva precisato che "in fase di prima applicazione della riforma, il termine generale dell'art. 21-nonies debba valere per tutti i provvedimenti, anche precedenti all'entrata in vigore della legge n. 124, dovendosi ritenere priva di fondamento l'interpretazione - che pure taluno, poco convenientemente, ha sostenuto - secondo cui vi sia stata una sorta di "rimessione in termini" dell'amministrazione per gli atti emanati prima di 18 mesi dall'entrata in vigore della riforma". Nel parere 4 agosto 2016, n. 1784, sullo schema di decreto "SCIA 2", inspiegabilmente ignorato, al pari del primo, dalla giurisprudenza citata in nota 29, la medesima Commissione Speciale aveva poi espressamente precisato al punto 1.3.2., che “Erano state invece già risolte in via interpretativa dal Consiglio di Stato, in quella sede, e quindi – a fortiori nel silenzio dell’amministrazione interessata – non richiedono ulteriori chiarimenti, le seguenti questioni: - che, in fase di prima applicazione della riforma, il termine generale dell’art. 21-nonies vale per tutti i provvedimenti, anche precedenti all’entrata in vigore della legge n. 124, dovendosi ritenere priva di fondamento l’interpretazione – che pure taluno, poco convincentemente, ha sostenuto – secondo cui vi sia stata una sorta di ‘rimessione in termini’ dell’amministrazione per gli atti emanati prima di 18 mesi dall’entrata in ‘vigore della riforma’.” Il reiterato silenzio del legislatore delegato era pertanto indiscutibile conferma di tale voluntas legis, che non poteva essere legittimamente sostituita dalla voluntas iudicis. 33 Su cui cfr. già i primi commenti di N. POSTERARO, Sulla possibile configurazione di un’autotutela doverosa, in federalismi.it, n. 20/2017; Id., Annullamento d’ufficio e motivazione in re ipsa: osservazioni a primissima lettura dell’Adunanza Plenaria n. 8 del 2017, in Riv. Giur. Ed., 2017; R. CAPONIGRO, Il potere amministrativo di autotutela, in federalismi, n. 23, 2017.

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dei propri atti per vizi originari34 e con la rilevata esigenza di responsabilizzare l’amministrazione

(correttamente enfatizzata nella prima parte della stessa pronuncia), ha legato la decorrenza del “termine

ragionevole” al momento in cui l’Amministrazione “scopre” il vizio, con l’evidente rischio di derive verso

una legittimazione sine die dell’autotutela anche per vizi pienamente conoscibili e negligentemente non

tempestivamente riscontrati.

Nella medesima paventata direzione “creativa” a svantaggio degli amministrati pare muoversi il “principio

di diritto” affermato dalla sentenza in riferimento alla questione specificamente sottopostale, identificata

dalla stessa Plenaria nella “determinazione del quantum di onere motivazionale che grava sull’amministrazione al fine

di rappresentare correttamente la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per il legittimo esercizio del potere di

autotutela”. Pur dichiaratamente negando la possibilità (affermata da una giurisprudenza sicuramente

“creativa”)35 di configurare un’ipotesi di interesse pubblico in re ipsa alla rimozione dell’atto, tale da

esonerare l’amministrazione dallo specifico onere motivazionale di bilanciamento di tale interesse con gli

altri interessi, pubblici e privati, coinvolti, che la sentenza (punto 9.3) ritiene correttamente “in distonia con

la generale previsione di cui all’articolo 21-nonies”, la pronuncia rischia di fatto di reintrodurlo laddove afferma

che “laddove venga in rilievo la tutela di preminenti valori pubblici di carattere – per così dire – ‘autoevidente’ l’onere

motivazionale potrà dirsi soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di

tutela che risultano in concreto violate, le quali normalmente possono integrare le ragioni di interesse pubblico che depongono

nel senso dell’esercizio dello jus poenitendi” 36.

Il fenomeno preoccupa perché non dobbiamo dimenticare che, in uno Stato di diritto, la “regola”,

legislativa o giurisprudenziale, deve servire a limitare il potere amministrativo a garanzia del rispetto dei

principi di legalità, di buona amministrazione (tra i quali non rientra evidentemente l’inefficienza

dell’amministrazione deputata al controllo preventivo e/o tempestivo della legittimità delle condotte

impattanti sull’interesse pubblico) e della sicurezza degli amministrati sulle conseguenze dei propri

comportamenti.

Significativamente, nella richiamata lectio magistralis, Craig non ha poi mancato di sottolineare come in UK

e in USA si assista a un rafforzamento del sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità, soprattutto in

riferimento ai diritti fondamentali e sia evidentemente deprecata la “deferenza” del giudice verso la p.A.,

che mina l’effettività della tutela.

34 Si ricorda che l’art. 1, co. 136, l. 311 del 2004, fissava rigorosamente e senza eccezioni la decorrenza dei tre anni “dall'acquisizione di efficacia del provvedimento”. 35 Su cui v. per tutti le critiche di E. ZAMPETTI, Motivazione in re ipsa e autotutela decisoria, in Libro dell’anno del diritto 2016, Roma, Treccani, 2017. 36 A questo proposito, si vd. la recente pronuncia TAR Molise, 25 ottobre 2017, n. 404, che, proprio applicando il principio suddetto, ha fatto corrispondere, nel caso di somme di denaro illegittimamente erogate, l’interesse “autoevidente” con quello pubblico in re ipsa.

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4. Il problema del valore del “precedente”.

Ancora più gravi sono i rischi di instabilità e insicurezza che derivano dal valore aprioristicamente

riconosciuto a “qualsiasi” precedente, a prescindere dal suo consolidamento e dalla sua

conoscibilità/prevedibilità al momento della condotta di cui dovrebbe costituire parametro di valutazione

(recte, regola di disciplina)37.

Ritengo anzi che, a ben vedere, il nostro ordinamento costituzionale osti alla valorizzazione del mero

precedente su casi analoghi ovvero di decisioni giurisdizionali prive di ogni valenza nomofilattica e

dunque, sicuramente, a regole come quella introdotta dall’articolo 74 cpa, che, come noto, dispone che

“la motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento (…) ad un precedente conforme”.

Ma non può non destare seria preoccupazione anche il nuovo art. 360 bis cpc, che, portando a quello che

Giovanni Verde ha definito il valore (semi)vincolante del precedente38, finisce addirittura col privare il

ricorrente del suo giudice naturale39. La preoccupazione è aggravata, come si dirà tra breve, dalla lettura

del “Documento programmatico sulla sesta sezione civile”, deputata al “filtro” dei ricorsi in contrasto con i

precedenti della Suprema Corte.

Mi si consentano alcune considerazioni.

Siamo sempre più spesso invitati a prendere atto – e a rassegnarcene – dell’inadeguatezza del legislatore

e della (conseguente!) esigenza di rinunciare alle regole emanate dagli organi rappresentativi della volontà

popolare (e dunque all’attività/servizio istituzionalmente spettante agli organi titolari del potere

normativo) a favore delle regole flessibili dei poteri economici e delle autorità indipendenti.

Su altro fronte, siamo stati costretti a rinunciare ai provvedimenti amministrativi espressi e alle certezze

procedimentali che si collocano alla base delle decisioni amministrative40 e ad assumerci, in luogo degli

37 Sul tema, prima del c.p.a., cfr. l’ampio saggio di F. SAITTA, Valore del precedente giudiziale e certezza del diritto nel processo amministrativo del terzo millennio, in Dir. amm., 2005, 585 ss. Più recentemente, F. FOLLIERI, Correttezza (richtigkeit) e legittimazione del diritto giurisprudenziale al tempo della vincolatività del precedente, ivi, Dir. amm., 2014, 265 ss. 38 G. VERDE, Mutamento di giurisprudenza e affidamento incolpevole (considerazioni sul difficile rapporto fra giudice e legge), in Riv. dir. proc., 2012, 6 e ss., il quale (p. 9 s.) afferma che “una giurisprudenza immutabile sarebbe sclerotizzata” e che “il rilievo dei cambiamenti di giurisprudenza non è sempre lo stesso. Altro è se esso riguarda la legge civile sostanziale; altro se concerne il diritto penale; altro ancora se incide sulla legge del processo”. E, muovendo evidentemente dal presupposto che il giudice possa soltanto interpretare la legge e non crearla o cambiarla (“i tentativi per giustificare l’irretroattività urtano contro l’ostacolo della mancanza di potere del giudice di incidere sul testo della legge”), aggiunge che, a suo avviso, “l’omologazione del vincolo dell’interpretazione conforme allo stare decisis, ammesso che ci sia realmente, riguarda essenzialmente la legge penale, quando la giurisprudenza innovativa è sfavorevole all’imputato, e non le disposizioni sul processo e sui poteri del giudice”. 39 In termini critici sulla novella, cfr., tra i primi commentatori, oltre a G. VERDE, cit., 9 (e soprattutto nota 5), A. CARRATTA, Le nuove modifiche al giudizio in Cassazione e il filtro di ammissibilità del ricorso, Relazione al IV Congresso di aggiornamento del CNF (Roma, 20 marzo 2009), in www.consiglionazionaleforense.it 40 Il tema della delega della ‘produzione’ (subspecie di circolazione) di certezza ai privati da parte dell’amministrazione è affrontato da L. DONATO, Le autocertificazioni tra “verità e “certezza”, Napoli, Editoriale Scientifica, 2015.

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uffici istituzionalmente deputati alla funzione di controllo preventivo sull’esercizio di attività suscettibili

di impattare sugli interessi pubblici, la responsabilità della verifica di conformità a legge (intesa come

fonte o altra “regola” esplicitamente o implicitamente risultante dal sistema) delle attività che vogliamo

intraprendere, restando esposti all’eventuale esito negativo di controlli postumi. La situazione è aggravata

dalla già richiamata sentenza n. 8 del 2017 dell’Adunanza Plenaria, che, come sopra segnalato, – in

evidente dissonanza con il percorso di stabilità dei titoli autorizzativi e/o attributivi di vantaggi economici

avviato sin dal 2004 (e completato con il nuovo paradigma dell’autotutela disegnato dalla riforma del

2015, anche attraverso la significativa abrogazione dell’art. 21, co. 2, l. 241 del 199041), ripetutamente

prospettato come indispensabile a permettere la ripresa dell’economia in un sistema normativo di difficile

lettura e comprensione – sembra giustificare qualsivoglia ritardo con cui l’Amministrazione

istituzionalmente preposta alla vigilanza e al controllo del settore interviene in autotutela sui propri atti

e/o sui titoli comunque conseguiti, semplicemente invocando la recente “scoperta” del vizio da cui erano

affetti. In altri termini, il legislatore per un verso (imponendo il ricorso agli strumenti ingannatoriamente

semplificatori e liberalizzatori del silenzio assenso e della SCIA42) e il giudice per l’altro (spostando

indefinitamente nel tempo il dies a quo per valutare la ragionevolezza del lasso di tempo entro il quale la

p.A. può caducare e/o sospendere gli atti o i titoli originariamente viziati), ci impongono di fatto di

rinunciare all’attività/servizio di “controllo” istituzionalmente affidato agli organi amministrativi,

restando in piena “balia” dei suoi errori e dei suoi ritardi43. Con quanto ne consegue sulla (in)spendibilità

dei titoli, espliciti, impliciti o “autocertificati” con cui siamo costretti ad avviare le nostre attività e ad

investire le nostre risorse.

Da ultimo, con gli ostacoli all’accesso alla giustizia, i limiti dimensionali degli scritti difensivi, i tempi iper-

contratti dei giudizi, l’imposizione dell’onere di impugnazione di atti privi di concreta lesività, le sentenze

in forma semplificata spesso tradotte in sentenze immotivate e il ruolo di filtro – formale o sostanziale –

impropriamente riconosciuto al precedente di qualsiasi organo giudicante, ci si sta chiedendo – recte

41 La disposizione, di cui chi scrive aveva ripetutamente segnalato la contraddittorietà con gli istituti del silenzio assenso e della DIA/SCIA, prevedeva che “Le sanzioni attualmente previste in caso di svolgimento dell’attività in carenza dell’atto di assenso dell’amministrazione o in difformità di esso si applicano anche nei riguardi di coloro i quali diano inizio all’attività ai sensi degli articoli 19 e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente”. 42 Mi sia consentito il richiamo agli scritti citati nel contributo su La segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.), nel volume che ha dato occasione a queste riflessioni (155 e ss.). 43 Merita al riguardo richiamare le considerazioni di F. TRIMARCHI BANFI, L’annullamento d’ufficio e l’affidamento del cittadino, 851ss., nel senso che ai fini della tutela dell’affidamento secondo il principio della buona fede oggettiva che non rilevano le circostanze nelle quali l’atto è venuto in essere, compresi gli stati soggettivi del destinatario (non rileva, ad esempio, che questo abbia concorso in malafede all’adozione dell’atto illegittimo), in quanto l’affidamento trova origine (non nell’adozione dell’atto, bensì) nell’inerzia dell’amministrazione successiva all’adozione dell’atto.

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imponendo – di rinunciare anche al “servizio giustizia”, che, per dirsi effettivo (e per giustificare i costi)

deve imprescindibilmente essere reso sulla base di un’attenta valutazione della fattispecie e delle eccezioni

e censure specificamente dedotte.

Anche il Presidente Canzio, nel ricordato convegno organizzato dal CNF e dalla Scuola Superiore

dell’Avvocatura, ha giustamente posto l’accento sull’importanza del fatto44, ricordando come il giudice

debba prima costruire il fatto e poi cercare di collocarlo nel labirinto, perché è sempre più difficile trovare

la fattispecie, e che, conseguentemente, il precedente non è rapporto tra norma e norma, tra sentenza e

sentenza, ma “tra fatto e fatto”.

Ma allora, come può essere considerato compatibile con uno Stato di diritto un sistema che, per gestire i

tempi ipercontratti del processo e la mole di lavoro dei giudici, legittima l’adozione di decisioni che, come

l’esperienza professionale tristemente insegna, si limitano “sinteticamente” a richiamare un precedente

cautelare o semplificato di cui non è dato verificare l’effettiva sovrapponibilità alla fattispecie che è

chiamato a giudicare?

Merita particolare attenzione, a questo proposito, il decreto n. 136 del 2016 del Primo presidente della

Corte di Cassazione sulla motivazione delle sentenze civili, che sottolinea efficacemente come “per lo

svolgimento della funzione nomofilattica della Corte, tutti i provvedimenti debbono rispettare i canoni della chiarezza,

essenzialità e funzionalizzazione della motivazione alla decisione” e che, in riferimento alla a quest’ultima finalità,

oltre alla “assenza di motivazioni subordinate, di obiter dicta e di ogni enunciazione che vada oltre ciò che è indispensabile

alla decisione”, “a) la valenza nomofilattica del provvedimento deve essere individuata in sede di deliberazione della decisione

in camera di consiglio, esplicitata in motivazione e documentata mediante indicazione specifica nello statino/dispositivo e

nell’oggetto della intestazione; b) il provvedimento deve evidenziare le questioni di diritto desumibili dalle censure articolate

con i motivi ed esporre il percorso argomentativo per giungere alla enunciazione del principio di diritto” 45.

Non si deve poi dimenticare che, come sottolineato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 230 del

2012 e recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione, le sentenze penali “non hanno effetti vincolanti nei

confronti dei giudici chiamati ad occuparsi di fattispecie analoghe e che è assolutamente fisiologico che il precedente

giurisprudenziale, compreso quello costituito da una pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, possa essere

contraddetto da una decisione successiva” (Cass. Pen., Sez. I, 39165/2017).

Il principio, che dovrebbe essere valido all’evidenza in termini generali, è particolarmente importante nel

processo amministrativo, che ha normalmente ad oggetto l’esercizio di poteri negativamente incidenti su

44 L’importanza del fatto è parimenti richiamata nel già richiamato scritto di Filippo PATRONI GRIFFI: “Il giudice nel pronunciare una sentenza (…) accerta il fatto e poi a questo applica il diritto”. 45 Sullo stretto rapporto tra funzione nomofilattica e motivazione, cfr. R. RORDORFF, Nomofilachia e motivazione, in Libro dell’anno del diritto, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2012.

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posizioni giuridiche soggettive, vieppiù con riferimento alle controversie relative a misure afflittive o, più

in generale, a quelle la cui soluzione non può prescindere da un’attenta valutazione dell’elemento

soggettivo (ai fini, ad esempio, dell’imputabilità della condotta ad una effettiva negligenza del suo autore

e del diritto alla tutela dell’affidamento), nelle quali il precedente ha, se mai, ragione di operare soltanto

in bonam partem, a tutela dell’amministrato contro l’applicazione retroattiva di eventuali “principi di diritto”

innovativamente enunciati in senso a lui sfavorevole.

Per le ragioni fin qui esposte, e in primis per la più volte sottolineata rilevanza del “fatto” (sostanziale e

processuale), il giudice non può evidentemente “appiattirsi” sulla decisione assunta da un altro (ma anche

dallo stesso) giudice in un’altra controversia (e dunque su un altro fatto e su altre prospettazioni difensive),

assurta per mera “ventura” di precedenza temporale a un ruolo indebitamente sovraordinato46, che

dovrebbe esonerare il giudice, che (per la stessa “ventura”) si esprima in un momento successivo, dal

dovere generale di approfondire, dimostrandolo con una “propria” motivazione, le stesse o altre censure

e/o semplicemente gli stessi o i nuovi argomenti addotti per sostenerle; e addirittura impedire a priori

l’accesso al nuovo giudice (gravissima in tal senso, come anticipato, la previsione – nell’art. 360-bis cpc –

dell’inammissibilità del ricorso in Cassazione “che non offra elementi per mutare l’orientamento47”) della

giurisprudenza di legittimità cui si è conformata la decisione impugnata, nella lettura datane dal

Documento programmatico sulla Sesta Sezione civile, in cui, richiamato il compito della stessa “sezione

filtro” di “decidere, con la massima rapidità possibile, un numero di ricorsi tali da consentire alle sezioni ordinarie di

svolgere esclusivamente l’attività nomofilattica propria della Corte”, (i) le si chiede di elevare la percentuale dei

ricorsi ritenuti inammissibili (attualmente un terzo) e (ii) si afferma che l’inammissibilità non è legata a

una giurisprudenza consolidata e deve essere quindi disposta (sempre dalla stessa sezione e in camera di

consiglio) anche quando vi sia “una sola sentenza se ritenuta convincente” [dalla stessa Sezione speciale

sollecitata ad operare, in camera di consiglio, il massimo filtro possibile nel minimo tempo possibile!48].

La garanzia di giustizia ne risulta evidentemente ridotta49.

46 E. FOLLIERI, Nomofilachia e certezza del diritto con particolare riferimento al Consiglio di Stato, in Ars interpretandi, 2015, 113. 47 Si tratta peraltro di disposizione lessicalmente incomprensibile in quanto vi si legge che “Il ricorso è inammissibile: 1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare [???] o mutare l’orientamento della stessa; 2) quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei princìpi regolatori del giusto processo” (parentesi aggiunta). 48 In termini fortemente critici sul punto, R. VACCARELLA, “I precedenti” in Judicium, 3/2017. 49 Un recentissimo studio (A. DE SIANO, op.cit.), che, muovendo dalla convinzione della indispensabilità dell’elaborazione giurisprudenziale quale momento di completamento prescrittivo e di sviluppo del diritto (p. 105), ha apprezzato il valore normativo del precedente (riconoscendogli la stessa forza di imporsi e gli stessi destinatari della disposizione interpretata, tanto che l’Amministrazione, discostandosene, incorrerebbe addirittura in una violazione di legge: p. 101) è stato del resto costretto ad affermarne la generalità e astrattezza, caratteri che connaturalmente sono invece estranei alla funzione giurisdizionale fuori dalla sede nomofilattica.

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Ma veniamo alla seconda considerazione.

Un dato, comunque, è imprescindibile: il “precedente”, per essere una valida espressione della rule of law,

deve avere comunque determinate caratteristiche.

- chiara individuazione dei suoi presupposti identificativi (una recente analisi ha identificato non meno di

diciotto diversi metodi di identificazione50).

- stabilità: Calamandrei giustificava il valore del precedente perché riteneva preferibile una giurisprudenza

costante a una giurisprudenza giusta; ma la costanza è imprescindibile.

Il carattere semi-vincolante del precedente innovativo sul caso singolo è invece soltanto destabilizzante,

soprattutto se utilizzato per giudicare comportamenti anteriori alla sua formazione (si pensi alla

giurisprudenza sulle cause di esclusione51 o a quella sulle eccezioni processuali, delle cui problematiche

offre una significativa rassegna la recente ordinanza con cui la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha

chiesto all’Adunanza Plenaria una serie di chiarimenti sull’overruling52).

- pubblicità: il problema, rilevato da Gorla53 e ripreso da Marinelli54, in particolare con riferimento ai

profili legati alla massimazione, è segnalato anche nei più recenti scritti come incredibilmente ancora

irrisolto55.

Come ben osservato da Giuseppe Ruffini56 (in termini critici sull’ordinanza Cass. n. 3030/201157), non

basta evidentemente ad assicurare adeguata forma di pubblicità il sito web della Corte di cassazione, che

non è un archivio e su cui le novità restano segnalate per poco tempo. Non si può poi dimenticare che le

“regole” sostanziali vincolano direttamente le parti, che, salvo rare eccezioni, non sono tenute a

consultare il sito web né le riviste giuridiche, né sono normalmente in grado di accedervi.

50 P. CHIASSONI, L’ineluttabile scetticismo della “scuola genovese”, in P. COMANDUCCI - R. GUASTINI (a cura di), Analisi e diritto 1998. Ricerche di giurisprudenza analitica, Torino, Giappichelli, 1999, 88 ss. 51 Cfr. per tutte, TRGA di Bolzano, 27 agosto 2015, n. 270, che ha riconosciuto la legittimità di un’esclusione per non veridicità della dichiarazione, richiamando un precedente assolutamente ed eccentricamente innovativo reso nel 2014 (successivamente ai fatti di causa) sulla base di una chiave di lettura che il Consiglio di Stato ha poi significativamente sottoposto alla Corte di giustizia. 52 Cfr. Cons. Stato, sez. III, ordinanza 7 novembre 2017, n. 5138. 53 G. GORLA, Introduzione alla Raccolta di saggi sull’interpretazione e sul valore del precedente giudiziale in Italia, in Quaderni de “Il Foro italiano”, Foro it., V, 1966, 8 ss.. 54 V. MARINELLI, voce Precedente giudiziario, in Enc. dir., Agg. VI, 2002, 890. 55 Ancora A. DE SIANO, op. cit., p. 64. Il problema delle cd massime mentitrici è stato richiamato anche da G. ALPA nella Relazione al Convegno CNF-SSA del 13 ottobre. 56 Mutamenti di giurisprudenza nell’interpretazione delle norme processuali e “giusto processo”, in Riv. dir. proc., 2011, 1398. 57 In Foro it., 2011, I, 1075 ss., con nota favorevole di G. COSTANTINO, Il principio di affidamento tra fluidità delle regole e certezza del diritto, secondo il quale sarebbe corretto “richiedersi alla parte e, specificamente, al qualificato professionista che l’assiste un onere di informazione sulla giurisprudenza, fino all’ultimo momento precedente la notificazione del ricorso”

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- prevedibilità58: nel diritto statunitense la Corte Suprema (oltre ad essere come già detto elettiva) svolge

la sua funzione nomofilattica attraverso i c.d. anticipatory overruling e, analogamente, nel Regno Unito, il

revirement giurisprudenziale viene segnalato e pubblicizzato59.

5. Considerazioni conclusive.

È possibile a questo punto trarre alcune conclusioni sui rischi (e sulle conseguenze) della tendenza verso

un ruolo creativo della giurisprudenza.

Sicuramente, l’aumento dell’incertezza del contesto regolatorio e delle conseguenze giuridiche dei propri

comportamenti:

- il nostro ordinamento non riconosce comunque il valore vincolante del precedente (stare decisis), ciò che

genera ancora maggiore insicurezza nell’operatore, che non può fare affidamento neppure sui precedenti

favorevoli;

- la giurisprudenza cambia comunque alla velocità della luce ed è difficilissimo seguirne l’evoluzione e le

contraddizioni: basti pensare alle frequentissime rimessioni all’Adunanza Plenaria (esemplare, per tutti, il

caso delle reiterate richieste di chiarimenti sul rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale) e alle

ancora più frequenti divergenze di orientamenti all’interno delle stesse Sezioni, se non degli stessi Collegi;

- per la giurisprudenza non sono previste forme di pubblicità adeguate, né opera la vacatio legis;

- la giurisprudenza (anche in ragione del rigoroso principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato)

è connaturalmente legata alla soluzione del caso concreto e ai presupposti fattuali e giuridici rispetto ai

quali è chiamata a decidere e non è quindi in grado di dettare regole generali e astratte.

Ciò implica una serie di conseguenze:

- il “precedente” giurisprudenziale non solo non può costituire una regola vincolante, ma neppure può

esonerare il giudice naturale del “nuovo” caso concreto dall’onere di valutarlo, per verificarne, con

l’attenzione che in uno Stato di diritto merita la protezione di tutti gli interessi, a prescindere dalla loro

valenza politica, sociale o economica (così del resto gli artt. 24, 111 e 113 Cost.):

• l’effettività sovrapponibilità al “precedente” invocato dalle parti o autonomamente reperito dal

giudice;

58 S. FÙRFARO, voce Nomofilachia, in Dig. disc. pubb., Agg. 2011, 352 s., sottolinea che la sicurezza giuridica troverebbe la sua base negli artt. 2 e 3 Cost. e, soprattutto, 8 CEDU, che, riconoscendo ad ogni persona il “diritto al rispetto della propria vita privata”, impone “la predisposizione di una legge che preventivamente definisca e giustifichi gli spazi entro i quali l’individuo medesimo può aspettarsi o subire qualcosa da parte di chicchessia e principalmente da parte dell’autorità e dei pubblici poteri”. 59 In senso critico sulla non imputabilità della decadenza per revirement giurisprudenziale, C. PUNZI, Il ruolo della giurisprudenza e i mutamenti d’interpretazione di norme processuali, in Riv. dir. proc., 2011, 1337 ss.

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• la “giustizia” della soluzione interpretativa accolta nell’altro giudizio;

e tali verifiche devono essere tanto più rigorose quando il precedente è meramente cautelare o reso con

sentenza in forma semplificata (si richiama ancora una volta il decreto 136/2016 del Primo Presidente

della Corte di Cassazione sulla “motivazione delle sentenze civili”);

- il giudice – salvo il caso del frontale contrasto della legge con il diritto UE – non può discostarsi dalle

scelte di politica legislativa e non può autonomamente effettuarle, creando ex post e in occasione di un

caso concreto, regole praeter o contra legem: per quanto le “scelte” giurisprudenziali possano apparire

tecnicamente migliori e più apprezzabili di quelle effettuate da un legislatore inadeguato, il contrasto tra

fonti scritte e regole giurisprudenziali è infatti

• assolutamente incompatibile con un quadro costituzionale improntato al primato della legge in

nome delle garanzie di imparzialità e democraticità che ne derivano;

• gravemente destabilizzante (non meno di quanto lo è per i figli avere genitori che danno regole

opposte), portando a risultati opposti a quelli perseguiti della nomofilachia.

Il risultato è ancora più grave se si considera il particolarissimo contesto socio economico nel quale

attualmente versiamo.

L’interesse pubblico generale alla stabilità del Paese e alla fiducia dei cittadini e degli operatori economici

nella lealtà delle istituzioni, quale fondamento imprescindibile della certezza del diritto60 e, in termini più

lati, della “sicurezza” giuridica61, ha in questo momento un valore assolutamente primario62 e non può

essere accettabilmente sacrificato sull’altare di una ridefinizione dei rapporti giuridici e delle regole

sostanziali e processuali astrattamente più corretta e più adeguata di quella disegnata, secondo l’assetto

costituzionale delle competenze, dagli organi rappresentativi della volontà popolare63.

Il sacrificio dei valori della sicurezza e della democrazia è tanto più grave quando si consideri che i valori

della correttezza e della ragionevolezza nella regolazione dei rapporti giuridici sostanziali e processuali

che dovrebbero giustificarlo sono, nell’attuale contesto, ripetutamente e dichiaratamente sacrificati alle

esigenze primarie dell’economia, in nome della necessità di promuovere la crescita e il rilancio del Paese.

Non è quindi né ragionevole né giusto che, da un lato, il legislatore (tendenzialmente avallato dalla Corte

costituzionale) ci costringa progressivamente a subire nuovi limiti alle garanzie dei valori essenziali in

nome delle esigenze dell’economia (si pensi soltanto al silenzio assenso sugli interessi sensibili o alle

60 Cfr., ex multis, gli Atti del richiamato Convegno AIPDA 2014 su “L’incertezza delle regole” e M. TRIMARCHI, Stabilità del provvedimento e certezze dei mercati, in Dir. amm., 2016, 321 ss., e gli AA. ivi citati. 61 V. anche R. FERRARA, op. cit., 68, e, da ultimo, L. TORCHIA, Lontano dal giuspositivismo: incertezza, insicurezza, fiducia, in Giorn. dir. amm., 2017, 171 s. 62 V. le lucide considerazioni di M. TRIMARCHI, op. cit., e in particolare gli “Spunti conclusivi” (361 e ss). 63 Cfr., ancora una volta, i recentissimi scritti di M. LUCIANI e A. TRAVI, citt. supra.

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disposizioni che, venendo meno agli impegni legislativamente e contrattualmente assunti con gli operatori

economici internazionali, hanno ridotto gli incentivi già riconosciuti ai produttori di energia rinnovabile)64

e, dall’altro lato, la giurisprudenza ci neghi le pochissime garanzie che, prendendo ogni tanto coscienza

della situazione di grave insicurezza creata nel mondo economico dall’incertezza del quadro normativo e

dalle inefficienze dell’Amministrazione, il legislatore cerca qualche volta di dare ai cittadini e agli operatori

che, sempre più spesso, vengono indebitamente responsabilizzati per valutazioni e verifiche che

spetterebbero agli uffici pubblici per i cui servizi pagano tasse inaccettabilmente alte65.

64 Sui condizionamenti dell’economia sul diritto amministrativo, tra gli scritti più recenti, oltre ai contributi nel volume La domanda inevasa, cit. alla nota 2, G. NAPOLITANO, Diritto amministrativo e processo economico, in Dir. amm., 2014, 695 ss. e M. DI BENEDETTO, Diritto amministrativo e crescita economica, in Il diritto dell'economia, 2014, 189 ss.; nonché, per una riflessione ante crisi economica, gli atti del Convegno annuale AIPDA 2006 su “Analisi economica e diritto amministrativo”, in Annuario, Milano, Giuffrè, 2007. L'applicazione dell'analisi economica anche al diritto amministrativo è particolarmente diffusa negli Stati Uniti: S. ROSE ACKERMAN (a cura di), Economics of Administrative Law, Cheltenham, Edward Elgar, 2007); a questo proposito, per il raffronto tra le problematiche statunitensi e quelle europee, si v. G. NAPOLITANO e M. ABRESCIA, Analisi economica del diritto pubblico, Bologna, il Mulino, 2009. 65 È illuminante a tale proposito l’affermazione che “a un certo punto l’esigenza di certezza prevale su quella di legittimità”, proprio con riferimento ai limiti posti al potere di autotutela amministrativa dalla riforma della l. 241 del 1990 ad opera della legge Madia, di B. G. MATTARELLA, al tempo Capo dell’ufficio legislativo del Ministero della funzione pubblica, in Le difficoltà della semplificazione, in A. RALLO e A. SCOGNAMIGLIO, I rimedi contro la cattiva amministrazione, Napoli, Editoriale scientifica, 2016, 360).