Principali patologie nella fauna selvatica dal 2001 al 2011 in provincia di trento. Schede tecniche

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PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO SERVIZIO FORESTE E FAUNA UFFICIO FAUNISTICO SERVIZIO FORESTE E FAUNA CERTIFICATO UNI EN ISO 14001 - OHSAS 18001 ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELLE VENEZIE SCT5 – TRENTO dicembre 2012 PRINCIPALI PATOLOGIE EVIDENZIATE NELLA FAUNA SELVATICA DAL 2001 AL 2011 IN PROVINCIA DI TRENTO schede tecniche

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PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTOSERVIZIO FORESTE E FAUNA

UFFICIO FAUNISTICO

SERVIZIO FORESTE E FAUNACERTIFICATO UNI EN ISO 14001 - OHSAS 18001

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

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CERTIFICATO UNI EN ISO 14001 - OHSAS 18001

SERVIZIO FORESTE E FAUNAUfficio Faunisticovia G. B. Trener, 338121 TRENTO

ISTITUTO ZOOPROFILATTICOSPERIMENTALE DELLE VENEZIE

SCT5 – TRENTO

dicembre 2012

PRINCIPALI PATOLOGIEEVIDENZIATE NELLA

FAUNA SELVATICA DAL 2001 AL 2011

IN PROVINCIA DI TRENTO

schede tecniche

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Principali patologie evidenziate nellafauna selvaticadal 2001 al 2011in provincia di TrentoSchede tecniche

Dicembre 2012

SERVIZIO FORESTE E FAUNACERTIFICATO UNI EN ISO 14001 - OHSAS 18001

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INDICE

INTRODUZIONE pag. 5

CAPRIOLO pag. 6

Principali malattie del capriolo pag. 6

A) PARASSITOSI GASTRO-INTESTINALI pag. 6

B) MIASI NASOFARINGEA pag. 7

C) PATOLOGIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO pag. 8

CERVO pag. 10

Principali patologie del cervo pag. 10

A) PARATUBERCOLOSI pag. 10

B) TUBERCOLOSI pag. 11

C) PARASSITOSI EPATICHE pag. 12

D) CWD pag. 13

E) STARVATION pag. 13

CAMOSCIO pag. 15

Principali malattie del camoscio pag. 15

A) ROGNA SARCOPTICA pag. 15

B) CHERATOCONGIUNTIVITE INFETTIVA pag. 18

C) ECTIMA CONTAGIOSO pag. 20

D) PESTIVIRUS pag. 22

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LEPRE BRUNA pag. 23

Principali patologie della Lepre Bruna pag. 23

A) EBHS - Sindrome della Lepre Bruna Europea pag. 23

B) TULAREMIA pag. 25

C) YERSINIA PSEUDOTUBERCOLOSIS pag. 27

VOLPE pag. 28

Principali patologie della Volpe pag. 28

A) RABBIA pag. 28

B) CIMURRO pag. 29

C) ECHINOCOCCUS MULTILOCULARIS pag. 30

D) TRICHINELLOSI pag. 31

ALTRE PATOLOGIE DI INTERESSE SANITARIO pag. 33

Principali malattie trasmesse da vettori pag. 33

A) TBE pag. 33

B) BORRELIOSI DI LYME pag. 33

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INTRODUZIONE

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Il presente allegato è una guida pratica e veloce per la consultazione delle prin-cipali patologie che interessano la fauna selvatica dell’arco alpino; le patologie ven-gono descritte in maniera semplice, ma dettagliata e sono suddivise in relazione allaspecie selvatica più frequentemente colpita. Nell’ultima parte della trattazione sonoriportate due patologie a carattere “trasversale” ossia comuni a più specie selvatichee che rappresentano anche delle importanti zoonosi.

Ogni scheda è accompagnata da una ricca iconografia che permette al lettore unapiù completa comprensione del testo. Le foto ivi riportate sono frutto di anni di at-tività in campo diagnostico da parte del personale sanitario dell’Istituto Zooprofi-lattico delle Venezie e di una loro successiva certosina catalogazione.

I testi sono stati curati daIstituto Zooprofilattico Sperimentale delle VenezieMarco Bregoli

Carlo Citterio

Debora Dellamaria

Giovanni Farina

Enrico Francione

Rosaria Lucchini

Federica Obber

Claudio PasolliKarin Trevisiol

Sara Turchetto

Introduzione

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CAPRIOLO

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Principali malattie del capriolo

A) PARASSITOSI GASTRO-INTESTINALILa strongilosi gastro-intestinale è una

malattia cosmopolita e diffusa omogenea-mente in particolar modo tra gli ungulati sel-vatici. È una malattia di origine parassitaria,sostenuta da nematodi di vari generi che siritrovano a livello abomasale e intestinale, adecorso prevalentemente cronico che colpi-sce ruminanti domestici e selvatici. Il ciclobiologico dei parassiti appartenenti alle su-perfamiglie Trichostrongyloidea e Strongyloi-dea è diretto e, quindi, non presenta ospitiintermedi, mentre i parassiti appartenentialla superfamiglia Metastrongyloidea presen-tano un ciclo indiretto. Il ciclo biologico inquesto caso è composto da una fase esogena,condizionata da fattori ambientali e clima-tici, e una endogena. Gli ospiti intermedisono organismi che albergano al loro internouna fase larvale del ciclo di sviluppo del pa-rassita prima che questo venga a contattocon l’ospite definitivo.

Questi parassiti svolgono un’azione pa-togena di tipo traumatico (adulti e larve),anemizzante, disoressica, depauperativa,dismetabolizzante e tossica.

In genere si tratta di una malattia asin-tomatica, ma nei giovani e/o in animali

senza immunità è possibile osservare diar-rea, disappetenza, disidratazione, anemia,dimagramento ed edemi. Il genere Osterta-gia provoca diarrea acquosa e profusa, seteintensa e arresto dell’accrescimento.

Le tenie sono parassiti intestinali, diforma allungata, piatti, a simmetria bilate-rale, appartenenti alla classe dei cestodi;hanno un corpo nastriforme e la loro lun-ghezza è variabile a seconda della specie.La tenia è priva di una bocca e di un tubodigerente, ma ciò non rappresenta un pro-blema per il suo metabolismo, dal momentoche essa vive nell’intestino dell’ospite, im-mersa in sostanze già digerite che assorbeattraverso la superficie del corpo. Le uovasono contenute in segmenti del corpo defi-niti proglottidi e, una volta mature, ven-gono espulse con le feci. Una volta nell’am-biente le uova vengono ingerite da ospitiintermedi che svilupperanno al loro internoforme cistiche infettanti per l’ospite defini-tivo. Gli ospiti intermedi saranno poi ingeritio predati dall’ospite definitivo che albel-gherà il parassita adulto. L’ospite interme-dio delle tenie dei ruminanti, e quindi an -che di cervidi e bovidi, è rappresentato daacari che vengono ingeriti occasionalmentedall’ospite definitivo durante il pascolo.

Per alcune specie ditenie, i ruminanti selvaticipossono fungere da ospitiintermedi, albergando laforma cistica (cisticerchi);tali specie di tenieavranno poi come ospitedefinitivo dei predatori(volpi - lupi) che si infe-steranno, a loro volta, ali-mentandosi con organiparassitati. Le forme cisti-

Capriolo

Strongili gastrointestinali e loro localizzazione anatomica

PARASSITA FAMIGLIA LOCALIZZAZIONE

Haemonchus Trichostrongyloidea Abomaso

Trichostrongylus Trichostrongyloidea Abomaso, tenue

Ostertagia Trichostrongyloidea Abomaso

Cooperia Trichostrongyloidea Intestino tenue

Nematodirus Trichostrongyloidea Intestino tenue

Chabertia Strongyloidea Intestino crasso

Oesophagostomum Strongyloidea Intestino crasso

Bunostomum Strongyloidea Intestino tenue

Strongyloides Rhabditoidea Intestino tenue

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CAPRIOLO

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B) MIASI NASOFARINGEA La miasi nasofaringea (o estrosi) è una

malattia parassitaria sostenuta da larve diditteri (famiglia Oestridae) che colpisce di-verse specie di animali domestici e selvatici;tra questi ultimi i cervidi, e in particolare ilcapriolo, risultano le specie più colpite. Nelcapriolo le larve sono state segnalate comeappartenenti alla specie Cephenemyia sti-mulator. Le larve si localizzano a livello dicavità nasali e faringee dei soggetti parassi-tati. L’insetto adulto misura circa 10-12 mmin lunghezza, presenta colore grigio scurocon piccole macchie nere ed è ricoperto dipeli bruno-chiari. La femmina, vivipara, de-pone le sue larve sulle narici di caprioli e

cervi; questi parassiti, inizialmente di lun-ghezza inferiore ai 2 mm, hanno file di un-cini che permettono un solido ancoraggioalla mucosa nasale. L’insetto adulto è dif-fuso soprattutto in estate; le femmine, dopoessersi accoppiate, producono numeroselarve di 1° stadio. In tarda primavera edestate durante le ore calde e meno ventilatedella giornata, le larve vengono spruzzatein prossimità delle narici dei caprioli e daqui migrano verso le cavità e seni parana-sali, qualcuna può raggiungere la faringe ela laringe. Una volta mature abbandonanole cavità nasali e nel terreno si trasformanoin pupe, diventando poi insetti adulti in 3-9 settimane.

Haemoncus contortus stomaco. Capriolo - Foto di Marco Bregoli Strongilosi polmonare. Capriolo - Foto di Marco Bregoli

Strongilosi intestinale. Capriolo - Foto di Marco BregoliStrongilosi intestinale. Capriolo - Foto Servizio Foreste e fauna

che si localizzano in cavità addominale,adese alla superficie esterna degli organi in-

terni, sono vescicole di forma ovale e deldiametro di 2 o 3 cm.

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CAPRIOLO

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In un singolo soggetto parassitato si pos-sono riscontrare da 4 a 15 esemplari dilarve, talvolta si superano gli 80; questi pa-rassiti causano un ispessimento della mu-cosa nasale; la successiva infiammazionemuco purulenta contribuisce a ostacolare larespirazione. La presenza delle larve dimaggiori dimensioni è accompagnata dastarnutazioni parossistiche. Le larve chenon riescono a portarsi all’esterno quandohanno raggiunto il loro completo sviluppovanno incontro a morte, calcificano o cau-sano riniti e sinusiti purulente.

Sono colpiti in misura particolarmente

grave i caprioli entro l’anno di età e ciò èdovuto alle loro abitudini di vita. Infatti neiprimi mesi di vita i caprioli vivono preva-lentemente in spazi aperti e manifestanomovimenti incerti; nei momenti di pericolola loro unica difesa è l’immobilità, compor-tamento che facilita l’introduzione dellelarve nelle cavità nasali dei soggetti giovani.Al contrario i caprioli adulti hanno abitu-dini di vita diverse, poiché vivono per lamaggior parte del tempo nei boschi dove èpiù facile la difesa, ed escono al pascolosolo durante il crepuscolo quando l’attivitàdi questi insetti è cessata.

Miasi nasofaringea. Capriolo - Foto di Marco Bregoli Miasi nasofaringea. Capriolo - Foto Servizio Foreste e fauna

Miasi nasofaringea. Capriolo - Foto di Marco Bregoli Miasi nasofaringea. Capriolo - Foto di Marco Bregoli

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CAPRIOLO

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C) PATOLOGIE DELL’APPARATO RESPIRATORIONessun apparato organico è così estrema-

mente a contatto con l’ambiente esternocome quello respiratorio. Si ritiene che l’areaformata dai condotti alveolari equivalga aquella di un campo da tennis. Ma nonostanteuna così vasta superficie esposta ai microrga-nismi patogeni, l’apparato respiratorio pre-serva il suo equilibrio limitando fortementela moltiplicazione di virus e batteri patogenipenetranti per via aerea.

Le reazioni infiammatorie dei polmoni edelle vie respiratorie superiori sono manife-stazioni secondarie a lesioni biochimiche emorfologiche primarie delle cellule polmonaricausate da varie noxae (microrganismi, so-stanze tossiche inalate o esalate, polveri). Leinfiammazioni dei polmoni riconoscono perlo più cause infettive che agiscono per via ae-rogena (attraverso le vie aeree); possono in-sorgere anche per via ematogena (attraversoil sangue), in conseguenza di lesioni trauma-tiche o per estensione a partire da lesioni con-finanti. Le broncopolmoniti sono indubbia-mente le infiammazioni polmonari piùfrequenti. Affinché i batteri possano esplicarela loro azione patogena è indispensabile checolonizzino le vie aeree profonde per poter-visi moltiplicare.

Per quanto riguarda gli ungulati selvatici,frequentemente si riscontrano parassitosi pol-monari sostenute generalmente da Dictyocau-lus spp. L’infestazione avviene per ingestionedi larve che si trovano in molluschi ospiti in-termedi o larve libere sull’erba. Le larve inva-dono i polmoni per via linfo-ematogena e viproducono inizialmente lesioni nodulari (no-duli verminosi) grigio giallastre o grigio ver-dognole con centro opaco, nelle quali sono se-questrate larve morte. I parassiti adulti sisviluppano in vari punti dell’albero respirato-rio (bronchioli o piccoli, medi e grossi bron-chi) a seconda della specie e causano bron-chiti croniche. Se non subentrano compli-cazioni batteriche, che ampliano le lesioni con

focolai di broncopolmonite catarrale, rara-mente gli animali vengono a morte e la ma-lattia mantiene un decorso cronico.

Le gravi polmoniti fibrinose o broncopol-moniti catarrali di origine batterica possonoevolvere in forma ascessuale spesso ricolle-gata all’agente patogeno che le ha causate(ad esempio: Pasteurella multocida, Bordetellabronchiseptica) o, più spesso, secondaria a so-vrapposizioni batteriche successive (strepto-cocchi, stafilococchi, Arcanobacterium pyoge-nes, Peseudomonas aeruginosa, Klebsiellapneumonie). La comparsa di ascessi polmo-nari, in certi casi, può esse re ricollegata allapresenza di batteri quali Corynebacteriumpseudotubercolosis che determinano ancheun’infiammazione generalizzata dei linfo-nodi. Un agente patoge no isolato abbastanzafrequentemente è Mannheimia haemolytica,esso determina una polmonite fibrinosa acutao subacuta.

Polmonite. Capriolo - Foto di Marco Bregoli

Polmonite, lobo apicale. Capriolo - Foto di Marco Bregoli

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CERVO

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Principali malattie del cervo

A) PARATUBERCOLOSILa paratubercolosi è una malattia ente-

rica ad andamento cronico causata da My-cobacterium avium subsp. paratuberculosis(MAP), che colpisce principalmente i rumi-nanti domestici e selvatici; fra questi ultimii cervidi risultano essere particolarmentesensibili, sebbene lo spettro d’ospite siamolto più ampio, coinvolgendo anche spe-cie non ruminanti come carnivori e lago-morfi. La sintomatologia è caratterizzata dadiarrea intermittente, progressivo deperi-mento e cachessia terminale. La principalevia di trasmissione dell’infezione è quellaoro-fecale. Feci di animali infetti possonocontaminare acqua, alimenti e ambiente, edessere fonti importanti per la trasmissionedel batterio ad animali recettivi. Il primocaso di paratubercolosi nella fauna selvaticain Italia fu diagnosticato dal dr. Antonio Pa-cetti, responsabile della sezione IZSVe diBolzano, nell’aprile 1991 in un cervo conevidente sintomatologia clinica, abbattutoin Val Martello nel versante sudtirolese delParco Nazionale dello Stelvio. In Provinciadi Trento lo studio di questa patologia negli

animali selvatici ha avuto inizio nel 1998 e,in un primo tempo, ha interessato i comunidella Valle di Sole, in quanto è stato realiz-zato nell’ambito del “Progetto cervo delPNS”. A partire dal 1999, l’indagine si èestesa ad altre zone della provincia, inte-ressando soprattutto il settore nord-orien-tale del Trentino e comprendendo altre spe-cie selvatiche. Dal 2004 l’indagine è stataoggetto di un’ulteriore ricerca corrente con-clusa nel 2007. I risultati ottenuti da que-sta ricerca hanno evidenziato un’elevata dif-

Cervo

Paratubercolosi, enterite catarrale emorragica. Cervo - Foto di Marco Bregoli

Paratubercolosi, linfoadenite, linfonodi mesenterici. Cervo -Foto di Marco BregoliParatubercolosi, valvola ileo-cecale. Cervo - Foto di Marco Bregoli

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CERVO

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fusione ambientale di Mycobacterium aviumsubsp. paratuberculosis nelle aree oggetto distudio, con elevata prevalenza d’infezionenelle popolazioni di cervo studiate, maanche con il coinvolgimento di altre specieselvatiche, sia ruminanti (capriolo, camo-scio, stambecco), che non ruminanti (volpe,lepre). Le forme cliniche e le gravi lesionianatomopatologiche osservate han no evi-denziato una precocità della patologia ri-spetto ai ruminanti domestici, con interes-samento prevalente delle classi più giovani,anche se la malattia conclamata è stata os-servata in soggetti adulti. Si ritiene che laparatubercolosi possa essere condizionatada fattori stressanti, quali il periodo degliamori per i maschi, la gravidanza e il partoper le femmine.

All’elevata positività all’esame batterio-logico per M. avium subsp. paratuberculosisosservata nel cervo ha corrisposto sempreuna prevalenza decisamente bassa di le-sioni anatomopatologiche gravi e, in base aciò, abbiamo espresso l’ipotesi che l’infe-zione sia sostenuta nelle diverse sottopo-polazioni soprattutto da pochi esemplarifortemente infetti, nei quali l’infezioneevolve in malattia con deperimento emorte, mentre la maggior parte dei cervi,pur essendo portatori ed eliminatori delmicobatterio, sopravvivono senza manife-stare malattia o lesioni.

Inoltre, i risultati della ricerca sembranoindicare che la paratubercolosi nel cervo siadensità-dipendente, in quanto la preva-lenza d’infezione e la presenza di forme pa-tologiche gravi risultano minori nelle areedove la densità di popolazione è inferiore.A tale proposito i risultati della ricerca in-dicano che la specie cervo è in grado dimantenere nel tempo l’infezione paratu-bercolare nelle proprie popolazioni e nel-l’ambiente selvatico, coinvolgendo altrespecie selvatiche e domestiche.

B) TUBERCOLOSILa tubercolosi bovina è causata da My-

cobacterium bovis, appartenente alla fami-glia del Mycobacterium tubercolosis-complex.Questo patogeno può interessare un ampiorange di ospiti tra cui bovini, altri animalid’allevamento quali capre e pecore, unampio numero di specie selvatiche e l’uomo.

La tubercolosi è un’infezione cronicagranulomatosa; tale patologia determinaimportanti rischi economici, ambientali esanitari. Gli ungulati selvatici potrebberoavere un importante ruolo nel manteni-mento e nella diffusione della patologia, inparticolare il rischio epidemiologico per gliallevamenti zootecnici potrebbe essere mar-cato se venisse dimostrato che alcune specieselvatiche possono essere serbatoio di tu-bercolosi.

Le lesioni si localizzano principalmente acarico dei linfonodi retrofaringei. Frequen-temente le lesioni possono coinvolgere ipolmoni e i linfonodi afferenti (tracheo-bronchiali e mediastinici). Le tonsille rap-presentano un sito frequente di infezione,ma non sempre presentano lesioni macro-scopicamente evidenti. Le lesioni eviden-ziate sono generalmente granulomatose,caseo-calcificate e i noduli presenti hannodiametro variabile (anche superiore ai 30cm). Gli ascessi sono localizzati principal-mente ai linfonodi e ai tessuti confinanti.Nel cinghiale sono segnalate lesioni a caricodi milza, fegato e articolazioni.

La distribuzione delle lesioni indica chele principali vie di infezione sono quelle ina-latoria e digerente; il coinvolgimento fre-quente delle tonsille è indice che la via oraleo respiratoria rappresentano le vie di mag-gior esposizione. Il corso dell’infezione è ti-picamente cronico, l’andamento acuto è unevento raro.

Gli animali infetti da M. bovis non pre-sentano particolari segni clinici; nelle fasiavanzate della patologia si possono eviden-

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CERVO

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ziare soggetti emaciati, letargici con ingros-samento dei linfonodi superficiali.

La tubercolosi è enzootica nel bovino inalcuni stati europei, con prevalenze com-prese tra l’1.1% e il 12.1%, mentre in altripaesi viene diagnosticata sporadicamente.Programmi di eradicazione basati su test edeliminazione degli animali hanno avuto suc-cesso in determinati paesi, in altri, tuttavia,non hanno permesso il raggiungimentodegli obiettivi probabilmente perché presentidei serbatoi di malattia nella fauna selvatica.

Numerose ricerche hanno messo in evi-denza il ruolo della fauna selvatica, qualeospite di mantenimento della tubercolosi; il bi-sonte (Bison bison athabascae) e il wapiti (Cer-vus elaphus manitobensis) in Canada, l’opos-sum (Trichosurus vulpecula) in Nuova Zelanda,il tasso (Meles meles) in Gran Bretagna, il cin-ghiale (Sus scrofa), il cervo (Cervus elaphus) eil daino (Dama dama) in Spagna.

Allo scopo di definire l’eventuale tra-smissione tra animali selvatici e quelli d’al-levamento sono state utilizzate indagini ge-netiche. Studi effettuati in Irlanda hannomesso in evidenza correlazioni tra i ceppievidenziati nel daino, nel bovino e anchenel tasso. In Svezia sono stati studiati casi ditubercolosi in daini d’allevamento che poihanno diffuso la patologia a cervi selvatici.

La via di trasmissione più probabile neicervidi è rappresentata dal contatto direttoche si verifica generalmente nei periodi discarsità di cibo (inverno) quando l’aggrega-zione tra animali è più frequente. L’alimentocontaminato è una fonte di infezione per ilcervo e una via di trasmissione tra cervo ebovino. Il micobatterio può sopravvivere per7 giorni sul fieno e può essere isolato damele, mais e patate dove può persistere finoa 112 giorni post contaminazione.

Nel caso in cui la patologia fosse marca-tamente diffusa nella popolazione di selva-tici di una determinata area, le aziende zoo-

tecniche presenti, per preservare l’indennitàda tale patologia, dovrebbero mettere apunto misure di biosicurezza per prevenire icontatti tra animali selvatici e animali d’al-levamento.

C) PARASSITOSI EPATICHEIl fegato dei cervidi può essere interes-

sato da infestazioni parassitarie da trema-todi (Dicrocoelium dendriticum e Fasciola hepatica) e da forme larvali di tenie (Cy-sticercus tenuicollis), le quali possono dan-neggiare il parenchima e quindi le funzio-nalità epatiche. Di norma non determinanomortalità importanti, tuttavia possono con-dizionare l’insorgenza di infezioni seconda-rie, peggiorare la condizione fisica generale,ridurre le masse muscolari, indebolire sog-

Tubercolosi. Cinghiale - Foto di Walter Mignone

Fasciola hepatica - Foto di Carlo Citterio

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CERVO

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getti a rischio come le femmine gravide, ri-durre la galattopoiesi e quindi peggiorare lecondizioni dei nuovi nati.

D) CWDLa chronic wasting disease (CWD) dei

cervidi appartiene alla famiglia delle ence-falopatie spongiformi trasmissibili (TSE),malattie neurodegenerative che includonoil Kuru e la malattia di Creutzfeldt-Jakob(CJD) dell’uomo, la scrapie delle pecore,l’encefalopatia spongiforme del bovino(BSE), dei felini (FSE) e del visone (TME).La CWD è attualmente endemica in alcunearee degli Stati Uniti e del Canada ed è statodimostrato che può essere trasmessa oriz-zontalmente fra i cervidi e anche indiretta-mente attraverso contaminazione ambien-tale da escreti o carcasse decomposte. Adifferenza di altre malattie sostenute daprioni, la sintomatologia principale non è ditipo nervoso, ma è caratterizzata da dima-gramento progressivo, depressione del sen-sorio, ptialismo e lievi alterazioni della po-stura. Nei cervidi del Nord America questapatologia è in grado di determinare impor-tanti tassi di mortalità sia negli animali al-levati che in quelli a vita libera. Test speci-fici permettono di diagnosticare la CWDmolto prima della comparsa dei sintomi.Pur non essendo mai stata tuttora dimo-strata la possibilità di trasmissione all’uomo

e ad altri animali domestici, la necessità diacquisire conoscenze nelle aree dove la ma-lattia è attualmente assente (o dove non sihanno informazioni in merito) rende alta-mente raccomandabile l’implementazionedi programmi di sorveglianza per prevenireil rischio di introduzione.

E) STARVATIONUna condizione patologica non infettiva

è determinata dalla cosiddetta starvationinvernale, che può risultare particolarmenteeclatante quando le popolazioni di cervo,raggiunta la capacità portante, tendono al-l’overpopulation.

La durata e la severità del periodo in-vernale possono portare a morte un’altapercentuale di animali sia per la quantitàche per la qualità del cibo disponibile. Glianimali possono ingerire vegetali che nonassumerebbero in condizioni normali anchesotto l’aspetto dello stadio di maturazione.Questo può comportare un’alterazione a li-vello della flora microbica e protozoariaprestomacale già ridotta in seguito al calodel quantitativo di alimento ingerito. Sicompromette, quindi, l’apporto degli acidigrassi volatili che sono la principale fonteenergetica dei ruminanti. È, inoltre, possi-bile che con questo tipo di alimentazionevengano assunti tannini e sostanze adazione tossica. Come solitamente accade ilcanale gastroenterico dei cervi esaminatinon si presenta quasi mai vuoto, bensì con-tenente alimento di cattiva qualità nutri-zionale. Gli effetti si possono protrarreanche nella primavera successiva con rias-sorbimenti fetali, aborti, nascita di piccolidisvitali o inappropriata cura degli stessi.Sulle carcasse (generalmente prive di segnidi diarrea) si può osservare calo di peso,atrofia muscolare, carenza o assenza di de-positi adiposi in special modo a livello peri-renale e di sierosa omentale. Altre valuta-

Dicrocoelium dendriticum. Muflone - Foto di Marco Bregoli

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CERVO

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zioni possono essere effettuate a livello dimidollo delle ossa lunghe e a livello car-diaco dove è possibile riscontrare atrofia ge-latinosa della base del cuore. Altro tipico

segno patologico in animali con malattiecroniche o cachettizzanti è caratterizzato dadegenerazione delle cellule adipose checonferisce l’aspetto edematoso.

BOX - RICERCA E. coli O157

Escherichia coli vive abitualmente nell’intestino dei mammiferi ed è escreto conle feci. Difficilmente si moltiplica nell’ambiente in assenza di fonti alimentari, sebbenesopravviva per lunghi periodi nell’acqua. In base alla virulenza, alla loro capacità diaderire alla mucosa intestinale, ai sintomi e alla presenza di tossine specifiche si pos-sono riconoscere vari ceppi nominati enteropatogeni, enterotossigeni, enteroinvasivi,enteroaderenti, enteroemorragici, tutti responsabili di danni a livello intestinale. E. coliO157 appartiene al ceppo degli enteroemorragici chiamati anche Verocitotossici(VTEC).

Il meccanismo di virulenza di VTEC si realizza mediante una fase di adesione delmicrorganismo alla mucosa intestinale, segue moltiplicazione e produzione delle ci-totossiche, che sono poi assorbite.

A livello intestinale si possono verificare infezioni asintomatiche, diarrea lieve maanche una forma più grave quale la Sindrome Emolitica Uremica, che se non curataper tempo può risultare fatale soprattutto per pazienti d’età pediatrica. I VTEC pato-geni per gli uomini sono frequentemente isolati da bovini sani, i quali sono conside-rati i principali reservoir. Inoltre è stato dimostrato che i VTEC sopravvivono nell’erbacontaminata da feci del bestiame per parecchi mesi rendendo possibile condizioni dicontaminazione crociata con altri animali, piante e acqua superficiale.

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CAMOSCIO

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Principali patologiedel camoscio

A) ROGNA SARCOPTICALa rogna sarcoptica del camoscio è una

malattia parassitaria causata dall’acaro Sar-coptes scabiei var. rupicaprae. La variante ru-picaprae colpisce in primis il camoscio matalvolta può determinare anche nell’uomodelle reazioni allergiche cutanee autolimi-tanti. Anche se l’uomo non è ospite su cui gliacari degli animali si possono riprodurre, lamanipolazione incauta (senza guanti) di ca-mosci rognosi può determinare prurito ecomparsa di piccole lesioni arrossate sugliarti che si risolvono spontaneamente in unpaio di settimane.

L’acaro Sarcoptes scabiei è un ectoparas-sita dell’uomo e di tutti i mammiferi dome-stici e selvatici che compie il suo ciclo vitalescavando gallerie nella cute, dove depone leuova; esso oltre a svolgere azioni irritanti a li-vello della cute, causa anche reazioni aller-gizzanti e tossiche legate ai metaboliti cheproduce. In passato nell’uomo tale malattia(nota con il nome di scabbia) era molto dif-fusa; in tempi recenti invece nei Paesi svi-luppati, grazie al miglioramento delle condi-zioni socio-economiche e igieniche, è andatavia via scomparendo.

L’acaro, da studi effettuati, è stato dap-prima un parassita umano che, poi, si è adat-tato ai domestici e, successivamente, ai sel-vatici contigui per ambiente e caratteristichezoologiche. Il camoscio sarebbe una speciecontagiata di recente e ciò spiegherebbe lagravità clinica ed epidemiologica manifestatada questa parassitosi. La trasmissibilità èperò strettamente specie-specifica (avvienetra animali della stessa specie) e trova limitinotevoli fra specie ospiti non affini zoologi-camente, causando generalmente sugli ospitinon abituali forme di malattia attenuata.

A tal proposito, studi sulla variabilità gene-tica hanno evidenziato che gli esemplari diS. scabiei raccolti su stambecchi e, occasio-nalmente, su cervo e muflone nell’area do-lomitica si raggruppano con quelli delle po-polazioni di camoscio simpatriche, mentrequelli dei mustelidi si raggruppano con quelliche colpiscono la volpe e quelli del cinghialefanno gruppo a sé stante.

Questa malattia parassitaria rappresentala più grave patologia delle popolazioni sel-vatiche di bovidi alpini, in particolare camo-scio e stambecco, mentre solo rari casi spo-radici si sono registrati in altre specieselvatiche (muflone e cervidi).

È una malattia nota fin dagli inizi del ’900nelle Alpi Bavaresi e nel Sud dell’Austria. Di-versi sono stati i focolai di rogna che hannointeressato nel passato l’arco alpino orientaleitaliano. Dalla prima segnalazione del 1949nelle Alpi Carniche e Tarvisiano, un secondofocolaio ha interessato nel 1976 la zonaorientale della provincia di Bolzano a norddel fiume Rienza, in seguito al passaggio delconfine austriaco da parte di camosci ro-gnosi; un terzo focolaio si è verificato nelleAlpi Giulie (UD) probabilmente di origineslovena (1980). La più recente epidemia ori-ginata da focolai nella vicina Austria ha in-teressato per primo il territorio di Auronzodi Cadore (Val di Cengia) nel 1995, e sta in-teressando, con una direzione verso sud-ovest, la popolazione di camoscio dell’areadolomitica, a cavallo tra le province di Bel-luno, Bolzano e Trento.

Per quanto riguarda il ciclo, in genere è lafemmina fecondata che inizia l’infestazionesu un nuovo ospite scavando delle tortuosegallerie che riesce ad aprirsi nella pelle edove ci vive per circa due mesi per lo piùsenza ritornare all’esterno. Durante questoperiodo, oltre a scavare gallerie, che possonoraggiungere anche 3 cm di lunghezza, de-

Camoscio

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CAMOSCIO

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pone ininterrottamente 2-3 uova al gior no.Le uova schiudono in 3 o 4 giorni e le larvesi portano frequentemente sulla superficiedella pelle, per nutrirsi di certe secrezioni deifollicoli piliferi entro i quali sono più fre-quentemente reperibili. Esse mutano per di-ventare ninfe che sono dotate di otto zampecome gli adulti ma mancano di organi geni-tali sviluppati. I maschi sono abbastanza rarie fecondano le femmine sulla superficie dellapelle. Il ciclo si completa in 14-21 giorni.

Questi acari hanno una scarsissima ca-pacità di resistere all’esterno delle loro gal-lerie per cui si ritiene che il contagio av-venga sempre (o quasi) per contatto diretto:in via indicativa, temperature medio-basse(4-10°C) e livelli di umidità relativa supe-riori al 50% possono permettere la soprav-vivenza dell’acaro nell’ambiente per pocopiù di una settimana.

Nel camoscio, la malattia è caratterizzatada una dermatite allergica in risposta alle so-stanze immunogene rilasciate dagli acari. Ilcontagio avviene quasi esclusivamente pervia diretta attraverso il contatto tra animalisani e malati. Si ha quindi la comparsa di for-mazioni inizialmente squamose e successi-vamente crostose sul capo, collo, addome ezampe. Il forte prurito costringe l’animale a

continui sfregamenti su rocce o alberi che de-terminano, a loro volta, la comparsa di le-sioni autotraumatiche quali escoriazioni epiaghe dovute a infezioni secondarie. Il de-corso della malattia porta l’animale a un pro-gressivo dimagramento sino al decesso chesopraggiunge nel giro di 2-4 mesi e colpisceogni classe di età e sesso.

Nel camoscio, l’espansione della rogna siverifica prevalentemente “a macchia d’olio”,con avanzamento tra i 3-6 km/anno, e anchecon “salti” dell’epidemia, attribuibili ai mo-vimenti migratori di soggetti sia giovani siaadulti, fino a 20 km. La progressione dellamalattia in una popolazione di camoscio ècaratterizzata da una distribuzione tipica-mente stagionale, con un minimo autunnaleseguito da un picco in inverno-primavera euna coda estiva di minore entità.

Il primo impatto della rogna sarcoptica inuna popolazione di camoscio indenne deter-mina elevati indici di mortalità che nell’arcodi 3-5 anni possono ridurre la popolazioneiniziale del 70-95%. Successi va mente alla pri-ma ondata epidemica la rogna persiste nellapopolazione ospite dando origine a recrude-scenze, con periodicità di 7-15 anni e unamortalità variabile tra il 10 e il 25% e con unadensità post epidemia di 1.1-1.4 capi/100 ha.

BOX - LA ROGNA SARCOPTICA NELLO STAMBECCO

Anche le popolazioni di stambecco possono essere interes-sate dalla rogna. La recente epidemia ha colpito pesantementela popolazione di stambecco dell’area dolomitica. Gli effetti piùdrammatici sono stati registrati nella colonia della Marmo-lada, dove quasi l’80% della popolazione è morta a causa dellarogna. Il valore ecologico dello stambecco, tuttavia, ha indottoconsiderazioni gestionali diverse e nei confronti di questa co-lonia è stato messo in atto, tra il 2006 e il 2008, un progettodi restocking attraverso il rilascio di alcuni soggetti provenientidallo Jôf Fuart - Montasio delle Alpi Carniche (UD), la cui po-polazione era già stata interessata dalla malattia nel passato.

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CAMOSCIO

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La malattia non è controllabile con imezzi attualmente a disposizione. Inoltre èpossibile che determinati interventi realiz-zati a fini di controllo possano addiritturaaggravare la situazione. Ci si riferisce, inparticolare, all’abbattimento di capi sani, ocon lesioni cutanee di limitata estensione,all’interno di nuclei che stanno già subendoperdite a causa della malattia. Maggiori sa-ranno state queste perdite più alto sarà il ri-schio di abbattere i pochi soggetti sponta-neamente resistenti, dalla cui sopravvivenzadipenderà il futuro di quel nucleo.

I camosci possono essere colpiti ancheda altre malattie della pelle che, a un esamevisivo a distanza, potrebbero confondersicon la rogna. Fra queste ricordiamo, inquanto pruriginose, le infestazioni da “pi-docchi masticatori” o mallofagi e quelle do-vute a larve di Trombicula, visibili a fine in-verno e all’inizio della primavera in capimolto debilitati. Esaminando con atten-zione le zone di mantello alterate, e la testain particolare, potranno osservarsi o diret-tamente i “pidocchi”, lunghi 1-2 mm, mo-bili e di colore ocra, spesso raggruppati adecine; o macchie di colore arancio, similialle infiorescenze di alcuni formaggi dimontagna, formate da migliaia di piccoliacari addossati gli uni agli altri. Nessunadelle due infestazioni è causa di morte.

Assai più rare e non pruriginose sono ladermatomicosi, causata da un fungo, e laforma crostosa della dermatofilosi, causatada un batterio e localizzata all’estremità degliarti. Infine, fra le possibili alterazioni che sipossono confondere con la rogna ricordiamo,molto banalmente, la muta primaverile.

Rogna sarcoptica. Dermatite ipercheratosica crostosa. Camoscio -Foto di Marco Bregoli

Rogna sarcoptica. Dermatite ipercheratosica crostosa. Camoscio -Foto di Marco Bregoli

Neotrombicula autumnalis. Camoscio - Foto Servizio Foreste efauna

Rogna sarcoptica. Dermatite ipercheratosica crostosa. Camoscio -Foto di Marco Bregoli

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B) CHERATOCONGIUNTIVITE INFETTIVALa cheratocongiuntivite infettiva (IKC)

è una malattia infettiva, causata da Myco-plasma conjunctivae e caratterizzata da unasintomatologia oculare e da turbe del com-portamento conseguenti sia alla cecità chea una probabile localizzazione encefalica.Inizialmente si presenta come una congiun-tivite uni o bilaterale caratterizzata da ipe-remia dei vasi; nei casi più avanzati la con-giuntivite può diventare mucopurulenta ela cornea può arrivare a ulcerarsi con opa-cità della stessa e conseguente cecità.

Questa malattia ha una diffusione mon-diale. È conosciuta in Austria fin dalla finedel secolo scorso, è stata successivamentestudiata in Baviera, Svizzera, Germania, Ita-lia, Nuova Zelanda, Spagna e Iugoslavia edè la più comune affezione oculare delle pe-core e delle capre domestiche.

È stata inoltre descritta in numerose spe-cie selvatiche come camosci, stambecchi emufloni.

In Italia i primi casi di malattia vennerosegnalati in Val Sesia nell’estate del 1981, inseguito epidemie associate a un’elevata mor-talità si verificarono nel Parco Nazionale delGran Paradiso e nel Parco Nazionale dellaVanoise dal 1981 al 1983, in Valle d’Aostanel 1998 e in Svizzera dal 1997 al 1999.

È una malattia estremamente contagiosaall’interno del branco o del gregge. L’agentepatogeno è escreto attraverso il secreto la-crimale e, dato che non può vivere a lungonell’ambiente esterno, la trasmissione av-viene per contatto diretto o dopo un breveperiodo di tempo attraverso l’aerosol o vet-tori meccanici (es. mosche). Gli insetti sonoattratti dall’eccessiva lacrimazione, ricca diproteine, sale e acqua, dovuta all’infiam-mazione della congiuntiva, e il loro conti-nuo spostamento da un ospite all’altro fa-vorisce la trasmissione sia intraspecificadella malattia ma anche interspecifica traruminanti domestici e selvatici in alpeggio.La pecora risulta essere il serbatoio della

malattia, mentre secondo studi recenti eanche secondo la nostra esperienza, il ca-moscio non sarebbe in grado di mantenerel’infezione nel territorio.

Nelle epidemie di cheratocongiuntivitedelle popolazioni di stambecchi e camoscidescritte in letteratura, la guarigione spon-tanea è il decorso più comune della malattia.

La mortalità è solitamente bassa (<5%),tuttavia in particolari situazioni può arri-vare anche al 30%. La ragione di una diffe-renza nel tasso di mortalità è ancora unaquestione aperta; può essere dovuta a unadifferente virulenza dei ceppi di Mycopla-sma conjunctivae oppure a una particolarecondizione dell’ospite (genotipo, condizionidi salute) o ancora all’insorgenza d’infezionisecondarie o ad alcuni fattori predisponenti(es. radiazioni ultraviolette).

Le epidemie di cheratocongiuntivite neiruminanati selvatici progrediscono a unavelocità media di 15 km all’anno, che è 3-4volte superiore alla progressione della rognasarcoptica del camoscio registrata sulle Alpiorientali. Ciò può essere la conseguenza didiversi fattori come la densità di ospiti, l’or-ganizzazione sociale, la morfologia dell’ha-bitat, l’elevata contagiosità della malattia e,non ultimo, la trasmissione del batterio at-tuata da insetti.

La sintomatologia della malattia varia aseconda della fase clinica.

A un esame clinico condotto a distanza,quando il branco è tranquillo, al pascolo, isoggetti sani brucano e si spostano per sce-gliere il nutrimento; i malati, nei primistadi, presentano il capo sollevato, con gliocchi chiusi e le orecchie in continuo movi-mento per localizzare i rumori, ma comun-que non si spostano e paiono isolati dalresto del branco. Quando il branco è in ra-pido spostamento il comportamento è piùcaratteristico: all’inizio su terreno puli -to l’animale malato segue normalmente il

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bran co, tuttavia non appena compaionodegli ostacoli la sua andatura rallenta di-ventando esitante e impacciata di fronte acespugli e alberi. Sulle rocce si trasforma inuna marcia incerta.

Quando la malattia progredisce e so-praggiunge la completa cecità le cadute di-ventano frequenti e anche gravi. L’incedereappare a questo punto anomalo anche suterreno pulito in quanto vengono compiutimovimenti ipermetrici degli arti anteriori,iperestesi per tastare il terreno, e dei poste-riori flessi al massimo.

Nei soggetti malati, le conseguenze dellacheratocongiuntivite possono risultare fatalie la cecità che ne consegue, anche se il piùdelle volte è soltanto temporanea, può de-terminare la caduta da precipizi; se i graviproblemi oculari persistono, la difficoltà areperire cibo in modo adeguato può deter-minare processi cachettici molto debilitanti.Infine, la possibilità di un coinvolgimentomeningo-encefalico determina lesioni per-manenti e irreversibili.

Negli animali selvatici la cura dei sog-getti con segni ascrivibili alla cheratocon-giuntivite risulta impensabile; inoltre è unmetodo inappropriato per il controllo dellamalattia dato che la guarigione spontanea èil decorso più comune. La sola cosa fattibileè ridurre al minimo il disturbo dell’uomonelle aree dove sono presenti soggetti ma-lati al fine di evitare che gli animali tempo-raneamente ciechi compiano spostamenti.Importante è il controllo di pecore e capredomestiche prima della monticazione.

CAMOSCIO

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Cheratocongiuntivite. Opacamento corneale. Camoscio -Foto di Marco Bregoli

Cheratocongiuntivite. Camoscio - Servizio Foreste e fauna - Foto di Giuseppe Dallatorre

Cheratocongiuntivite infettiva. Ulcerazione della cornea.Camoscio - Foto di Marco Bregoli

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C) ECTIMA CONTAGIOSOL’ectima contagioso è una malattia in-

fettiva sostenuta da un virus del genere Pa-rapoxvirus che colpisce sia ruminanti selva-tici, in particolar modo il camoscio e inmisura minore lo stambecco e il muflone,sia domestici come la pecora e la capra. Oc-casionalmente è stata osservata anche nel-l’uomo che nella manipolazione di animaliinfetti, può contrarre l’infezione attraversopiccole abrasioni o soluzioni di continuodella cute. Il periodo d’incubazione nel-l’uomo è di 3-7 giorni, dopodiché si ha nelpunto d’ingresso del virus (dita, mano, brac-cio o altre parti del corpo recanti ferite) lacomparsa di vescicole, ulcere e croste che sirisolvono in 2-4 settimane. Rare sono leforme estese (con febbre e interessamentodi ampie parti del corpo). La prevenzionenell’uomo si basa sull’utilizzo di guanti e laprotezione delle ferite cutanee.

Gli animali contagiati presentano dellevescicole-pustole a livello della mucosaorale, labbra e mucosa nasale e/o dello spa-zio interdigitale e cercine coronario dellozoccolo e talvolta dei primi tratti dell’appa-rato digerente e dell’apparato genitale emammario. Le vescicole-pustole che si tra-sformano poi in ulcere e croste possono es-sere ulteriormente complicate da infezionibatteriche secondarie; a seconda della lorolocalizzazione provocano nell’animale diffi-coltà di prensione e masticazione degli ali-menti, di deambulazione e di allattamento.

Il contagio avviene sia per contatto di-retto (madre-piccolo durante l’allattamento,maschi e femmine durante gli amori) siaper via indiretta, attraverso croste cutaneecadute a terra da soggetti contagiati, dove ilvirus grazie alla sua notevole resistenza puòrimanere vitale per anni. L’infezione per viaindiretta è favorita dalla presenza di abra-sioni sulle labbra, per cui erba particolar-mente secca o dura, oppure contenentespini, favorisce la diffusione della malattia,così come soluzioni di continuo della cute

legate al tipo di terreno, nelle porzioni di-stali degli arti.

La gravità della malattia può essere in-fluenzata da fattori di stress e dalle condi-zioni di nutrizione, per cui è possibile chenel camoscio abbia correlazione con la di-namica di popolazione. In una popolazioneindenne la mortalità può raggiungere il30%, mentre dove la malattia è presente (si-tuazione di endemismo), la popolazione ègeneralmente protetta dal punto di vista im-munitario e la mortalità è limitata a pochicasi: capretti nel periodo tardo autunnale eprimo inverno in conseguenza della perditadella copertura fornita dagli anticorpi ma-terni, nonché per la presenza di erba seccae soggetti anziani, indeboliti dal punto divista nutrizionale e immunitario.

Misure di profilassi per il controllo diquesta malattia sono rappresentate da unacorretta gestione della popolazione di ca-moscio, dall’eliminazione delle saline o deisiti di foraggiamento, in quanto sedi di tra-smissione diretta e indiretta dell’infezione, eda un accurato controllo sanitario dellegreggi di pecore e capre, prima e dopo lamonticazione.

Ectima contagioso. Lesioni papillomatose (labbra). Camoscio -Foto di Marco Bregoli

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CAMOSCIO

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Ectima contagioso. Lesioni papillomatose (labbra). Camoscio -Foto di Marco Bregoli

Ectima contagioso. Lesioni papillomatose (labbra). Camoscio -Foto di Marco Bregoli

Ectima contagioso. Lesioni papillomatose (arti). Camoscio - Fotodi Marco Bregoli

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CAMOSCIO

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D) PESTIVIRUSLe infezioni da Pestivirus rappresentano

un problema emergente nella dinamica dipopolazione del camoscio. In questa specieinfatti, oltre a positività sierologiche e vi-rologiche (riscontrate anche in altre speciedi ruminanti selvatici), sono state segnalatein Europa forme cliniche ed episodi carat-terizzati da elevata mortalità. Nuovi stipitivirali sono stati segnalati in Spagna e inFrancia. Poco conosciuto, sebbene ipotiz-zato, è anche il loro ruolo nelle sindromirespiratorie, tra le maggiori cause di mor-talità dei bovidi selvatici alpini. Un ulte-riore aspetto è legato alle possibili intera-zioni con i ruminanti domestici e allapossibilità di interferire con specifici pianidi profilassi. Studi filogenetici su Pestivirusosservati nei bovidi e cervidi selvaticihanno evidenziato la circolazione di viruspropri o adattati a queste specie e general-

mente appartenenti a cluster diversi, ma af-fini a quelli domestici.

In Italia sono state effettuate numeroseindagini sierologiche lungo l’arco alpino, inparticolare nel camoscio, con il riscontro diprevalenze intorno al 15-20% nelle Alpi oc-cidentali. I dati disponibili sull’arco alpinoorientale evidenziano situazioni completa-mente differenti nelle metapopolazioni dicamoscio, registrando in alcuni casi elevateprevalenze a livello locale anche del 70%in contrasto con popolazioni che appaionocompletamente prive di risposta anticor-pale. In Spagna i camosci colpiti presenta-vano dimagramento, anemia, cattivo statodel mantello con alopecia e iperpigmenta-zione della cute, alterazioni del comporta-mento con riduzione dell’istinto alla fugae, dal punto di vista anatomopatologico, al-terazioni non specifiche a livello del si-stema nervoso centrale.

Pestivirus. Alopecia e cachessia in un camoscio pirenaico(Spagna). Foto prof. Marco (Univ. Barcellona)

Pestivirus. Alopecia e iperpigmentazione cutanea in un camosciopirenaico (Spagna). Foto prof. Marco (Univ. Barcellona)

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LEPRE BRUNA

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Principali patologie della Lepre Bruna

A) EBHS - Sindrome della Lepre BrunaEuropea- L’EBHS generalmente si considera come

la malattia della lepre più importante sottoil profilo dell’impatto sulla dinamica di po-polazione. I primi casi di questa patologiafurono segnalati in Svezia nel 1981, quandoancora non se ne conosceva l’agente virale.Seguirono altre segnalazioni in Austria, Bel-gio e Francia nel periodo 1984 - 1986. Solonel 1988 venne definita come malattia vi-rale e nel 1989 ne fu confermata l’eziologiacon l’identificazione di un calicivirus corre-lato all’agente della malattia emorragica vi-rale del coniglio (MEV). In seguito la ma-lattia è stata segnalata praticamente in tuttal’Europa, unico continente in cui è ende-mica. Le uniche specie di lagomorfi recet-tive sono Lepus europeaus e Lepus timidus,mentre il coniglio domestico non risulta re-cettivo.

Il virus è caratterizzato da notevole resi-stenza nell’ambiente e, pertanto, può esseretrasmesso sia per via diretta (contatto di-retto animale ammalato/animale sano) siaper via indiretta (attraverso l’aria, i mezzi ditrasporto etc.). L’animale che ha superatol’infezione, non resta portatore del virus, tut-tavia può veicolarlo, in quanto l’agente hala capacità di resistere a lungo sul pelo. Negliallevamenti è possibile la penetrazione del-l’infezione veicolata dal personale mediantealimenti, indumenti, attrezzi contaminati.Recinzioni inadeguate possono consentirecontatti con animali selvatici infetti. Anche ipredatori possono considerarsi un possibileveicolo del virus: esso può essere infatti eli-minato in forma attiva nelle feci delle volpio dei cani a distanza di giorni dall’ingestionedel materiale infetto.

L’infezione colpisce animali di tutte leetà, ma la sintomatologia clinica e la morta-lità compaiono solo nei soggetti che hannopiù di 2 o 3 mesi: fino a questa età le leprinon si ammalano, perché sono naturalmenteresistenti nei confronti della malattia e l’in-fezione termina lasciando immunità nei sog-getti colpiti.

Il decorso della malattia è piuttostolungo, arrivando fino a 8 - 9 giorni dall’infe-zione. La sintomatologia è costituita soprat-tutto da alterazioni del comportamento cheportano l’animale a diminuire il riflesso difuga e ad avvicinarsi alle zone abitate. Vipuò essere disorientamento e difficoltà neimovimenti. Nelle lepri allevate si osservanoapatia, disoressia e difficoltà respiratoria confuoriuscita di scolo sieroemorragico dallenarici. Caratteristiche sono le fasi eccitativecon emissione di grida. Talvolta si osservasolo morte improvvisa (forma acuta).

Secondo un modello di diffusione stu-diato da Lavazza e Guberti, la presenza diuna bassa densità di popolazione di lepri,inferiore a 8 soggetti/kmq, unita alla gran -de resistenza del virus nell’ambiente, de-termina una sporadicità di contatti traagente eziologico e animali giovani; nel lapopolazione non si svilupperà quindiun’im munità soddisfacente e in grado diprevenire la manifestazione dei sintomi neisoggetti adulti. Quindi sarà altrettanto ele-vata la mortalità determinata dalla malat-tia che andrà a incidere pesantemente suuna popolazione che ha già una scarsa con-sistenza, così da metterne a rischio la suastessa sopravvivenza sul territorio. In po-polazioni vergini (non immuni) la morta-lità può raggiungere il 30-50%. Questamortalità si riduce nel caso di densità dipopolazione superiore a 15 lepri/kmq; intal caso la circolazione del virus all’interno

Lepre Bruna

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LEPRE BRUNA

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di essa diviene abbastanza rapida da favo-rire l’esposizione all’infezione di soggetti aldi sotto dei 2 - 3 mesi di età, che non si am-malano e andranno a costituire una base dipopolazione adulta immune, cosicché lamortalità risulterà trascurabile. Si puòquindi affermare che da questo valore didensità di popolazione (15 lepri/kmq) siraggiunge una situazione di stabilità ende-mica in cui è presente l’infezione, ma lamortalità che essa determina ha un im-patto trascurabile sulla dinamica di popo-lazione.

Questi elementi sono vincolanti e condi-zionanti relativamente alle scelte di tipo ge-stionale che si possono attuare. Le soluzionigestionali sono inoltre evidentemente con-dizionate dallo stato sanitario delle popola-zioni presenti sul territorio.

Le possibilità diagnostiche relative aquesta malattia comprendono, oltre al-l’esame anatomopatologico, l’esame virolo-gico su fegato e milza e l’esame sierologicoper la ricerca di anticorpi nel sangue. Ag-gregando i dati diagnostici e rapportandolialle differenze che si possono riscontrarenelle diverse classi di età, possiamo ottenerechiare indicazioni sulla situazione epide-miologica della malattia. Oltre all’età e alsesso, è importante conoscere la località dirinvenimento, che oltretutto può essere ri-levante anche per altre patologie, come leparassitosi gastrointestinali, per le qualisono riscontrate differenze significative infunzione dell’altitudine.

Purtroppo le possibilità di controllo del-l’EBHS in popolazioni a vita libera sonomolto limitate, in quanto le misure di profi-lassi diretta e indiretta, utilizzate nelle lepriin cattività, non sono realizzabili. Pertanto,come accennato sopra, l’unica misura uti-lizzabile efficacemente è la corretta gestioneterritoriale della lepre.

Soprattutto in relazione a questa malat-tia, il monitoraggio costante delle popola-zioni è di fondamentale importanza, inquanto i risultati possono fornire utili indi-cazioni di tipo gestionale. Per poter cono-scere la situazione territoriale relativa allacircolazione del virus è necessario effettuaresia il monitoraggio sierologico su sangue dilepri abbattute durante la stagione venato-ria sia la ricerca diretta del virus su organitarget quali milza e fegato. È inoltre fonda-mentale conoscere le cause di morte deglianimali rinvenuti, per poter valutare l’im-patto dell’EBHS sulle popolazioni e perpoter escludere la presenza di altre malattieimportanti per la lepre e soprattutto dieventuali patologie trasmissibili all’uomo.

EBHS. Emorragie polmonari e splenomegalia. Lepre - Foto diClaudio Pasolli

EBHS. Splenomegalia. Lepre - Foto di Claudio Pasolli

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LEPRE BRUNA

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B) TULAREMIA La tularemia è una patologia infettiva

sostenuta da un batterio chiamato Franci-sella: la patologia si presenta con una gran -de varietà di manifestazioni cliniche legatealla via di introduzione e alla virulenza delceppo. La tassonomia attuale considera al-l’interno del genere Francisella due specie: F. tularensis e F. philomiragia.

Dopo la penetrazione nell’organismo, at-traverso cute e mucose, Francisella migra ailinfonodi e da qui può disseminarsi in tuttol’organismo (batteriemia: presenza di bat-teri nel sangue).

Negli animali le forme più diffuse sonola tifoidea, ossia malattia sistemica (checoinvolge tutto l’organismo) con manifesta-zioni gastrointestinali, e quella setticemica,caratterizzata da shock tossico, stato coma-toso ed esito quasi sempre letale.

Tra le specie domestiche possono esserecoinvolti: suini, bovini, ovini, gatto, cane.L’infezione è stata dimostrata anche inmolte specie di uccelli. La tularemia è unamalattia trasmissibile anche all’uomo.

Nelle lepri sono state descritte forme a ca-rattere setticemico con esito mortale in 2-3

giorni e forme subacute con astenia e mortein una settimana. All’autopsia si riscontrano:congestione degli organi, aumento delle di-mensioni della milza e la presenza di piccoliascessi su numerosi organi tra cui la milza.

Nell’uomo vengono descritte 6 forme: for-ma ulcero-ghiandolare, ghiandolare, ocu lo-ghiandolare, faringea, polmonare e tifoidea.

I lagomorfi hanno un riconosciuto ruolonell’epidemiologia della tularemia soprat-tutto come amplificatori della malattiaanche se l’elevatissima mortalità rappre-senta un fattore autolimitante. La man-canza di animali portatori o sieropositivi neiperiodi inter-epidemici dimostra come l’ele-vatissima recettività dei lagomorfi non per-metta loro di esserne il serbatoio.

I roditori sono meno sensibili dei lago-morfi all’infezione e la localizzazione re-nale, con conseguente escrezione urinariacon potenziale contaminazione delle acquesuperficiali, rende questa categoria un pro-babile serbatoio e un non trascurabile fat-tore di rischio per l’uomo.

Ma i meccanismi principali della persi-stenza in natura della tularemia vanno ri-cercati negli artropodi vettori: nelle zecche

EBHS. Degenerazione epatica. Lepre - Foto di Claudio Pasolli EBHS. Emorragie tracheali. Lepre - Foto di Claudio Pasolli

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LEPRE BRUNA

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ove Francisella può essere isolata anchemesi dopo la fine di una epidemia, maanche nelle zanzare e nei tafani i quali sem-bra possano giocare un ruolo non seconda-rio in molti territori.

La via di trasmissione della malattia sianegli animali che nell’uomo può essere di-retta o indiretta: attraverso la cute e le mu-cose (morsi e graffi), il respiro, l’ingestionedi carni infette o di acqua contaminata e lepunture di zecche.

L’uomo si contagia principalmente tra-mite contatti diretti con lepri e piccoli rodi-tori infetti: questo spiega la maggior fre-quenza della malattia in particolari cate-gorie di persone quali cacciatori, guardia-parco, agricoltori e veterinari.

Un’adeguata formazione e l’aggiorna-mento sulla situazione epidemiologica delterritorio, che si affiancano alle misure chevietano il rilascio di lepri provenienti dafuori provincia, sono senza dubbio allabase della prevenzione di questa infezionenelle categorie a rischio menzionate in pre-cedenza; inoltre, l’impiego di un correttoabbigliamento per evitare le punture di zec-che o l’utilizzo di guanti nella manipola-zione di animali o carcasse potenzialmenteinfette rappresentano una buona barrieraprotettiva nei confronti dell’infezione daFrancisella.

È di provata efficacia la profilassi anti-biotica post contagio che protegge dall’in-fezione sintomatica purché eseguita imme-diatamente dopo l’infezione.

Attualmente la malattia non è presentesul nostro territorio; in Italia, l’Istituto Zoo-profilattico di Pavia, centro di referenza perla Tularemia, ha diagnosticato tale patolo-gia su 2 lepri importate, a scopo di ripopo-lamento, in provincia di Vicenza e di Pavia.

Il primo caso, individuato in provincia di Vi-cenza il 22 dicembre 2009 faceva riferi-mento a una lepre introdotta dall’Ungheriacon una partita di 950 animali. Le lesioniriscontrate erano meno caratteristiche ri-spetto a quelle “classiche” note (aumentovolume milza - sepsi - morte rapida): infattiin Ungheria la malattia è endemica e lelepri spesso mostrano lesioni maggiormentea carattere cronico e comuni anche ad altremalattie (es. brucellosi, stafilococcosi, pa-steurellosi) quali modesta splenomegalia,ascessi vari (polmonari, ai testicoli) e, comein quest’ultimo caso, pielonefriti purulente.

Il 4 gennaio 2010, invece, è stato dia-gnosticato un secondo caso in una lepre tro-vata morta al momento del lancio nei ter-reni di caccia. L’animale proveniva dallaRomania e faceva parte di un gruppo di 450capi liberati in provincia di Pavia. Il gruppodi lepri, a sua volta, faceva parte di una par-tita di circa 1.500 esemplari arrivata da unimportatore della provincia di Parma. Le le-sioni in questo caso erano quelle classiche:splenomegalia (aumento di volume dellamilza) e presenza di lesioni purulente asces-suali (in particolare a livello dei polmoni).

Tularemia. Splenomegalia. Lepre - Foto di IZLER

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LEPRE BRUNA

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C) YERSINIA PSEUDOTUBERCOLOSISMalattia sostenuta da un batterio, Yer-

sinia pseudotubercolosis. Il germe mostraelevata resistenza nell’ambiente, può repli-care nell’acqua e rimanere infettante nel-l’ambiente per mesi. La malattia evolvenormalmente in forma cronica e dura da 8-10 giorni fino a diverse settimane, raresono le forme acute con morte in 3-4giorni. Può presentarsi in forma sporadicao endemica. In fase iniziale non sono ap-prezzabili sintomi e si rilevano lesioni soloall’eviscerazione dell’animale. Nei casi cro-nici è apprezzabile l’indebolimento, l’apa-tia e il ridotto riflesso di fuga.

Poco visibili nella forma acuta, in formacronica sono presenti i tipici focolai di ne-crosi bianco-grigia o giallastra e ascessi acarico della milza, fegato, polmoni, inte-stino e linfonodi. È sempre apprezzabile unaumento di volume della milza; a volte èpossibile evidenziare polmonite purulenta,emorragie della mucosa gastrica ed ente-rite emorragica. Tipico è il notevole au-mento di volume dell’ampolla dell’ileo edell’appendice ciecale, per l’ispessimento

della parete a causa della presenza disse-minata di noduli granulomatosi caseo-ne-crotici, dovuti alla reazione infiammatoria.La diagnosi differenziale va fatta con tula-remia, pasteurellosi, toxoplasmosi e bru-cellosi.

La comparsa della malattia è favoritadalle alte concentrazioni di animali, daiclimi freddi e umidi e dalla scarsa disponi-bilità di cibo. È una malattia stagionale, ti-pica degli autunni piovosi e dei mesi freddiumidi. La diffusione avviene tramite ciclooro-fecale, ovvero il germe viene eliminatocon le feci e quindi ingerito con l’alimentoda parte di un animale recettivo. La tra-smissione attraverso il contatto diretto èpoco importante.

La malattia è ampiamente diffusa in Eu-ropa centro-settentrionale, e in Italia è se-gnalata regolarmente nel Nord dove è en-demica in alcune province. Colpisce lalepre, ma anche il coniglio e altri roditori;è anche stata segnalata, seppur raramente,in caprioli, uccelli e animali domestici(suini, bovini, conigli e porcellini d’india).

Pseudotubercolosi. Enterite fibrino-emorragica. Lepre - Foto diClaudio Pasolli

Pseudotubercolosi. Enterite fibrino-emorragica. Lepre - Foto diClaudio Pasolli

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VOLPE

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Principali patologie della Volpe

A) RABBIALa rabbia silvestre è una malattia infet-

tiva acuta causata da un virus (Lyssavirus)che colpisce il sistema nervoso e, se non tem-pestivamente trattata, ha esito letale. Nonesiste, infatti, una cura per questa malattia,che colpisce i mammiferi, incluso l’uomo.

Nella realtà europea, la specie che fungeda serbatoio di questa malattia e può quindimantenerne il ciclo selvatico è la volpe rossa,ma nel corso di epidemie è la norma il rin-venimento di soggetti infetti appartenenti adaltre specie selvatiche (tra cui tassi e altrimustelidi, ungulati selvatici…) e domestiche(ovicaprini, bovini, equini, cani e gatti).

Nella fase infettiva, il virus è presentenel sistema nervoso centrale e nella saliva,che costituisce il veicolo di trasmissione. Lamalattia viene trasmessa dall’animale ma-lato ad altri animali (e all’uomo) nella mag-gior parte dei casi attraverso un morso o ungraffio, e assai più raramente mediante ilcontatto della saliva dell’animale malatocon le mucose o la cute non integra.

L’unica regola per evitare di contrarre la malattia è la prevenzione. Per l’uomo la prevenzione si basa sullavaccinazione pre-esposi-zione delle persone pro-fessionalmente esposte(veterinari, guardie fore-stali, guardie venatorie,ecc.) e sul trattamentoantirabbico post-esposi-zione da iniziarsi al piùpresto dopo il presuntocontagio, per esempio incaso di morso di un ani-

male sospetto, prima che l’eventuale viruspossa raggiungere il tessuto nervoso.

In generale un animale affetto da rabbiapresenta soprattutto un evidente cambia-mento del comportamento: gli animali sel-vatici perdono la naturale diffidenza neiconfronti dell’uomo; animali di norma man-sueti manifestano fenomeni di aggressività.Nelle fasi terminali si osservano sintomineurologici, difficoltà di deambulazione eparalisi progressiva sino alla morte.

Non è per contro possibile individuaremacroscopicamente lesioni specifiche indi-cative di malattia negli animali.

La gravità di questa zoonosi impone diadottare misure di controllo ed eradicazionesul territorio interessato. È importante ricor-dare che l’eradicazione di una malattia si puòottenere soltanto agendo, in modo diretto oindiretto, sulla specie serbatoio, che in questocaso è la volpe rossa, sulla quale si attuanocampagne di vaccinazione orale secondo lelinee guida europee. Le misure di vaccina-zione obbligatoria degli animali domestici dacom pagnia e da reddito nei territori a rischiosono essenziali per prevenire il rischio di tra-smissione della malattia all’uomo, ma noninfluiscono sul ciclo della rabbia.

Volpe

Rabbia. Schema di diffusione del virus dellarabbia nella volpe - Foto IZSVe

Rabbia. Virus della rabbia (Immuno-fluorescenza) - Foto IZSVe

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VOLPE

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B) CIMURROIl cimurro del cane (CDV, Canine Di-

stemper Virus) è una malattia infettiva aeziologia virale altamente contagiosa e adiffusione mondiale. Documenti storici de-scrivono episodi epidemici chiaramente ri-conducibili al cimurro canino in tutta Eu-ropa sin dal XVII secolo.

La malattia non è una zoonosi e colpisceprevalentemente gli animali giovani appar-tenenti all’ordine dei carnivori sia domesticiche selvatici. Il virus del cimurro canino noncolpisce quindi solo il cane ma può circolarein numerose specie di carnivori.

Un’epidemia di cimurro può diffondersimolto velocemente all’interno di una popo-lazione suscettibile e può essere contraddi-stinta da elevati tassi di mortalità. La seve-rità di una infezione da CDV dipendesoprattutto dalla virulenza del ceppo viralee dalla capacità dell’animale di sviluppareun’efficace risposta immunitaria contro ilvirus. L’introduzione negli anni Cinquantadella vaccinazione con un vaccino vivo mo-dificato ha contribuito a controllare enor-memente la malattia negli animali dome-stici. Nelle popolazioni selvatiche i casi dicimurro sono diffusi e periodicamente se-gnalati.

Il virus è caratterizzato da scarsa resi-stenza nell’ambiente esterno risultando sen-sibile ai raggi U.V. ed estremamente suscet-tibile alle alte temperature e all’essicca-mento.

La trasmissione avviene prevalentementetramite l’inalazione, da parte dell’animalesuscettibile, del virus contenuto nelle parti-celle di aerosol emesse da un animale in-fetto (annusamento/lambitura). Anche lavia orale è tuttavia possibile. Il virus vieneinfatti eliminato dall’animale infetto me-diante le secrezioni oculo nasali e la tra-

smissione è generalmente favorita dallebasse temperature. Un animale infetto puòtrasmettere il virus fino a 60 - 90 giornidopo l’infezione. Una volta inalato, il virus silocalizza nei tessuti linfatici locali e sistemicidove inizia la replicazione. A questo puntola severità del quadro clinico e l’evoluzionedell’infezione sono influenzate dalla viru-lenza del virus, dall’età dell’animale e dallarisposta immunitaria sviluppata. Se la ri-sposta immunitaria sarà sufficientementeefficace la patologia evolverà in una formasubacuta della malattia che si risolveràspontaneamente. Se invece la risposta im-munitaria sarà debole, il virus si diffonderàa diversi organi e al sistema nervoso cen-trale. Se la risposta immunitaria non avve-nisse affatto, il virus continuerà a replicaree invadere tutti gli organi portando a mortel’animale in 2 - 4 settimane. Entro il 10°giorno è possibile evidenziare segni cliniciriferibili a congiuntivite o cheratocongiun-tivite con evidente scolo oculare, segni cli-nici respiratori, intestinali, gastrici e derma-tologici (pustole nel derma). Dal 20° giornoin poi possono essere presenti segni neuro-logici (movimenti in circolo, modificazionedel comportamento, atassia, paresi, paralisiparziale o totale, convulsioni e spasmi).

Il CDV colpisce prevalentemente i sog-getti giovani ed è piuttosto raro negli adulti.Ciò è attribuibile al declino nei cucciolidella protezione immunitaria materna for-nita dal colostro e al fatto che, per l’ampiadiffusione del virus o per le campagne vac-cinali, gli adulti acquisiscono una immunitànaturale o derivata in grado di proteggerlidall’infezione. È abbastanza comune assi-stere a delle fluttuazioni temporali sul nu-mero di casi di malattia con una frequenzamaggiore durante il periodo invernale.

Per quanto riguarda i carnivori selvatici,e nello specifico del nostro territorio lavolpe rossa e i mustelidi, le informazioni sul

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quadro e il decorso clinico sono natural-mente molto scarse, in virtù dell’elusività diqueste specie. La maggior parte dei soggettipositivi viene infatti rinvenuta morta sul ter-ritorio. Tuttavia, anche durante l’epidemiadi CDV attualmente in corso, è stato possi-bile osservare in alcuni casi, e soprattuttonella volpe, difficoltà respiratorie, congiun-tivite con scolo oculare e infine sintomi ner-vosi come quelli sopra descritti.

Allo scopo di meglio comprendere l’ori-gine e l’evolvere dell’epidemia di cimurroche ha colpito la popolazione di carnivoriselvatici delle Alpi e Prealpi italiane, unampio nu mero di campioni risultati positiviè stato analizzato utilizzando un approcciobasa to sull’utilizzo combinato di informa-zioni genetiche ed epidemiologiche e perquesto definito epidemiologico-molecolare.L’analisi ha evidenziato che l’epidemia cheha colpito la fauna selvatica dell’Italia NordOrientale è stata causata da un unico e nuo -vo sottogruppo genetico del cimurro. Inol-tre, è stata riscontrata una bassa simi laritàtra questo nuovo genogruppo e i ge no-gruppi a cui appartengono i ceppi virali co-munemente presenti nei vaccini.

C) ECHINOCOCCUS MULTILOCULARISL’Echinococcus multilocularis è un ce-

stode (verme piatto), la forma adulta delparassita si localizza nell’intestino tenuedell’ospite definitivo che nel ciclo silvestreè rappresentato principalmente dalla volpee nel ciclo rurale dai cani e dai gatti. Que-sto parassita, lungo da 1,5 a 4 mm, liberauova che vengono eliminate con le feci del-l’animale infestato.

Il parassita adulto ha un’azione general-mente sottrattiva, tossica (a causa dei me-taboliti che produce) e ostruttiva, causatadall’elevata presenza di cestodi all’internodell’intestino tenue dell’ospite. L’Echinococ-cus multilocularis presenta un ciclo biolo-gico indiretto, cioè necessita di un ospite in-

termedio per il completamento del propriosviluppo; gli ospiti intermedi sono piccoliroditori che si infestano cibandosi di bacchee frutti di bosco contaminati delle feci degliospiti definitivi, i quali a loro volta si sonoinfestati cibandosi delle carni contaminatedei roditori. L’uomo diventa ospite interme-dio solo accidentalmente ingerendo frutti dibosco o prodotti raccolti nel sottobosco con-taminati da uova di Echinococcus multilocu-laris.

Gli ospiti intermedi sviluppano una for -ma cistica (ciste idatidea) a carico degli or-gani interni, in particolare a carico del fe-gato e dei polmoni, l’evoluzione di taleparassitosi ha un andamento simile a quellodi un processo neoplastico.

Negli ultimi anni è stato documentatoun continuo adattamento alle aree urbaneda parte delle volpi in Europa con un con-seguente incremento nella prevalenza e in-cidenza di patologie a carattere zoonosicocorrelate a questa specie. In particolare laprevalenza di E. multilocularis è stata di-mostrata essere dell’ 1% nell’area di Vienna,il 17% a Stoccarda e sopra il 40% a Zurigoe Ginevra. Le volpi rappresentano quindi unimportante fattore di rischio per l’uomo,specialmente nelle aree extraurbane dovegli ospiti intermedi rappresentano una partesostanziale della dieta delle volpi.

Nel 2005 uno studio effettuato in Italiaha evidenziato una prevalenza di E. multi-locularis del 12,9% e del 2,9% nelle provin-cie di Bolzano e Trento rispettivamente, conalcuni campioni positivi nelle aree extraur-bane delle due città.

Contestualmente al campionamento del -le volpi per l’emergenza della rabbia, in fu-turo si prospetta la possibilità di uno studiodi prevalenza di tale parassitosi nelle areedell’arco alpino orientale.

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VOLPE

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D) TRICHINELLOSILa trichinellosi è una zoonosi parassita-

ria causata da nematodi appartenenti al ge-nere Trichinella di cui oggi conosciamo 8specie diverse (T. spiralis, T. nativa, T. bri-tovi, T. murrelli, T. nelsoni, tutte specie in-capsulate, e T. pseudospiralis, T. papuae eT. zimbabwensis che non sono incapsulate).L’unica specie autoctona italiana è Trichi-nella britovi, ma in passato ci sono stati focolai umani da importazione causati da Trichinella spiralis.

La Trichinella ha un ampio spettro d’os pite, dall’uomo agli uccelli e in alcunicasi anche i rettili, a seconda delle varie spe-cie. L’unica modalità di contrazione dell’in-fezione è l’ingestione di carne cruda o pococotta proveniente da un ospite infetto. Lamalattia è caratterizzata da due fasi: unaenterica con sintomatologia a carico del-l’apparato gastro-intestinale, legata alla pre-senza degli adulti a livello intestinale, e unaparenterale, dovuta alla migrazione dellelarve, caratterizzata da miosite (infiamma-zione del muscolo) ed edemi localizzati. Lapatologia interessa principalmente suino ecinghiali, inoltre un’altra specie coinvolta inpassato in episodi zoonosici è stata l’equino.Gli animali selvatici, in particolare i preda-tori (volpe e lupo), rappresentano un po-

tenziale serbatoio d’ infezione. Il parassita silocalizza nelle masse muscolari interessandoprincipalmente i distretti più vascolarizzati(diaframma - masseteri - muscoli interco-stali). La larva del parassita (praticamenteinvisibile all’occhio umano) rima ne incistatanel muscolo fino a che questo non viene in-gerito da un altro ospite; nello stomaco lapepsina e l’acido cloridrico attivano la larvache, giunta a livello intestinale, matura adadulto; la femmina poi libe rerà un gran nu-mero di larve che passeranno la mucosa en-terica e per via lin fo ematogena raggiunge-ranno le masse muscolari. Le larve sono inquesto stato infestanti e possono rimanerecosì per anni. Il ciclo ricomincia quando lelarve sono ingerite da un altro ospite.

La normativa prevede il controllo siste-matico di tutti i suini macellati, salvo perparticolari condizioni in aree o allevamentiindenni dalla parassitosi dove le analisivengono eseguite su un campione rappre-sentativo di animali, i cavalli e i cinghialiabbattuti destinati al consumo umano. Ven-gono poi messi in atto controlli sugli ani-mali selvatici suscettibili rivenuti morti sulterritorio.

Sporadicamente in Italia vengono se-gnalate positività negli animali selvatici

Echinococcus multilocularis. Ciclo biologico - Foto www.lofotendyreklinikk.no

Echinococcus multilocularis. Parassita adulto - Foto www.commons.wikimedia.org

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VOLPE

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(principalmente volpe), cinghiali selvatici od’allevamento; per quanto riguarda il suinod’allevamento non si hanno segnalazioni diTrichinella spp. dalla fine degli anni ’50.Sulla base delle considerazioni fatte in pre-

cedenza va posta particolare attenzione alconsumo di carne di animali selvatici, inparticolar modo di cinghiale, sottolineandol’importanza del controllo sistematico diquesta zoonosi nelle specie sensibili.

Trichinella spp. Larva - Foto www.en.wikipedia.org Trichinella spp. Ciclo biologico - Foto IZSVe

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ALTRE PATOLOGIE

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Principali malattie trasmesseda vettori

A) TBELa meningoencefalite da zecche è una

malattia virale acuta del sistema nervosocentrale, causata da un Arbovirus apparte-nente al genere Flavivirus, molto simile aivirus responsabili della febbre gialla e delladengue. L’encefalite da morso di zecca èstata identificata per la prima volta in Italianel 1994 in provincia di Belluno.

Il serbatoio è rappresentato prevalente-mente da micromammiferi, mentre gli un-gulati selvatici fungono da amplificatoridella popolazione di zecche. Nelle zecche è possibile la trasmissione verticale (fem-mine - uova), trans-stadiale (da larve aninfe ad adulti) e orizzontale (co-feeding,pasto di più zecche sull’animale viremico).

Nell’uomo la sintomatologia è variabile,da forme febbrili lievi o inapparenti (60-70%), a forme febbrili simil influenzali adandamento bifasico con febbre, mialgie,nausea, vomito che possono evolvere ingravi forme nervose (5-30%), meningoen-cefaliti talvolta a esito infausto (1-2%).

Nella maggior parte degli animali la TBEdecorre in modo asintomatico e pochi sonoi casi clinici riportati, per esempio nel canecon forme neurologiche.

Sono disponibili vaccini a virus inatti-vato ampiamente usati in aree endemiche;l’utilizzo del vaccino è consigliato nelle areein cui è stata dimostrata la presenza dellamalattia e a quelle categorie di persone chefrequentano abitualmente ambienti a ri-schio (cacciatori, veterinari, personale dellestazioni forestali, turisti).

B) BORRELIOSI DI LYMEL’agente eziologico della Borreliosi di

Lyme è Borrelia burgdorferi appartenente al-l’ordine delle Spirochete. La malattia diLyme nel corso degli ultimi anni è stata ri-levata in Europa, negli Stati Uniti, in Rus-sia, Cina, Australia, Giappone e Sud Africae l’incidenza dei casi a livello mondiale è incontinuo aumento. Questo incremento dicasi è favorito dalla notevole presenza nel-l’ambiente di animali selvatici serbatoio dimalattia, legata in parallelo alla presenza diaree non più coltivate.

La malattia in Italia risulta particolar-mente presente in alcune regioni quali Li-guria, Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto-Adige dove da tempo è endemica, masegnalazioni sempre più numerose proven-gono anche da altre zone.

La trasmissione all’uomo avviene tra-mite la puntura di zecca che nei paesi eu-ropei è principalmente l’Ixodes ricinusanche se altre specie non possono essereescluse. Comunemente il serbatoio di ma-lattia è rappresentato da piccoli roditori,particolarmente topi, ma anche da altrimammiferi e uccelli. Il periodo compreso

Altre patologie di interesse sanitario

Ixodes ricinus. Zecca - Foto di ausl-cesena.emr.it

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ALTRE PATOLOGIE

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tra la tarda primavera e l’autunno avan-zato rappresenta il periodo di maggior ri-schio perché in queste stagioni le zecchesono maggiormente attive.

Dopo l’inoculazione della Borrelia, tra-mite puntura di una zecca infetta, si puòavere o nessun sintomo o un’infezione sub-clinica con sieroconversione o Eritema Mi-grante (EM) con eventuale linfoadenite sa-tellite. L’Eritema Migrante è una reazionecutanea eritematosa che si espande nel-l’arco di giorni formando una lesione ton-deggiante del diametro di circa 5 cm.

In concomitanza con l’eritema possonocomparire sintomi simil influenzali, febbre,linfoadenopatia e cefalea.

Esistono diversi farmaci impiegabili peril trattamento di questa patologia, il loroutilizzo però deve essere riservato al me-dico. Va sottolineato che in caso di punturadi zecca è opportuno tenere sotto osserva-zione la zona interessata e conservare lazecca (possibilmente congelata) per qual-che giorno al fine di poterla analizzare nelcaso in cui il paziente presentasse sintomisimil influenzali o alterazioni sospette.

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SERVIZIO FORESTE E FAUNAUfficio Faunisticovia G. B. Trener, 338121 TRENTO