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GIANCARLO BUONOFIGLIO GIOACCHINO BRUNO PERCORSI ONTOSTORICI *** 2012 ***

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GIANCARLO BUONOFIGLIO

GIOACCHINO BRUNO

PERCORSI ONTOSTORICI

*** 2012 ***

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Ma in che cosa consiste l'umanità dell'uomo? M. Heidegger

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ARCHEONTOLOGIA

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PREMESSA

Una prefazione non è mai semplice. A volte può essere più

complessa del libro stesso; a volte il libro stesso può anche

lasciarle il posto. Cercare di giustificare in poche righe il

senso della propria fatica è un'impresa che non rende

giustizia e il più delle volte è destinata al fallimento. Prima

che interessare il lettore e annunciare oscure verità, una nota

introduttiva deve perciò soddisfare due sole condizioni:

sintetizzare i contenuti e giustificarne l'uso.

Per quanto riguarda la prima questione è presto detto. E' mia

intenzione focalizzare l'interesse degli studiosi nell'opera di

Gioacchino Bruno, non solo per le inappuntabili competenze

sviluppate in ambito etnoantropologico (confermate dai

numerosi incarichi anche istituzionali e della gestione del

museo storico etnoantropologico di Floridia, nella provincia

di Siracusa) ma anche e soprattutto per la poliedricità del suo

lavoro creativo, che spazia dalla fotografia alla scultura, dal

disegno alla scrittura all'incisione della materia, tutto teso

come vedremo alla ricerca dell'assoluto e dell'essere, che è

poi il sacro di ogni civiltà. E' questa infatti la ragione del

titolo data alla presente monografia percorsi ontostorici, e

del neologismo pensato per delucidarne l'opera e il lavoro di

ricercatore a tutto tondo, archeontologia. Avuto in mano i

suoi documenti di camminatore/raccoglitore instancabile di

memorie antiche, il problema ontologico mi si è infatti

presentato assolutamente dominante in tutte le discipline che

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ha maneggiato. Ancora una volta presente in questo

straordinario ritaglio geografico, l'essere non ha mancato di

fare sentire la propria voce nei percosi epocali di una parola,

di un gesto, di un segno: come desiderio di verità, apertura,

dis/corso che spinge al di là delle limitazioni del tempo e

dell'esistenza, nello spazio del nulla dove avviene la

rivelazione delle cose, la conversione dello sguardo.

Attraverso un onto/scavo nel sacro della cultura, libero

finalmente dalle variabili indipendenti col quale di volta in

volta viene nominato (dio, materialismo, libertà, sostanza,

Logos).

La giustificazione dei contenuti è invece per natura più

complessa e articolata; si tratta non solo di dare un senso al

proprio lavoro ma di motivarne la divulgazione. Nello

specifico di questo studio sull'opera di Gioacchino Bruno,

l'intenzione nient'affatto secondaria e a partire proprio dalla

significazione delle cose propria dell'archeologia, è quella di

avvertire il lettore di una possibile risemantizzazione del

mondo, un decentramento antropologico -già in parte

avvenuto, grazie anche alle nuove teconologie di massa e ai

mercati globali- da compiersi nella sintassi di una rinascita

storica, attraverso lo scavo archeontologico nella

sedimentazione dei significati ancestrali. Niente di diverso

dalle profezie nietzscheane, con la differenza che l'alito della

nuova epoca già si sente. E sembra davvero non esserci

scampo o possibilità di salvezza.

II-2012, G. Buonofiglio

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NOTA INTRODUTTIVA

La prima volta che ho incontrato Giocchino Bruno mi ha

chiesto di camminare assieme per i sentieri di Pantalica.

Declinai cordialmente l'invito, spiegando che tra i miei

orizzonti culturali non mi vedevo a sfacchinare tra rovine,

steppaglie e sassi pur meravigliosi come quelli del territorio

Ibleo; i paesaggi e la storia di quesi luoghi me li portavo

dentro nei miei anni di studi e interminabili letture. Credo di

avere perduto un'opportunità unica, vittima dell'arroganza

della cultura e del pensiero. Solo più tardi compresi il valore

di quell'invito, ed oggi quasi arrossisco alla mia protervia di

scrittore sedentario tronfio di ricerche cieche vissute nelle

ombre dei libri e muffe da biblioteche. Ci sono uomini che

camminano e che nel loro cammino incontrano molto piu'

del pensiero, il mondo e la vita stessa. Grazie anche

all'amicizia di Gioacchino ho infatti imparato ad amare e a

rispettare questa strordinaria terra ed ho compreso la vera

natura del pensiero e della filosofia, che non per niente è

nata nella scenografia di questi sentieri, tra i profumi degli

aranceti, la luce del sole, la storia che trasuda dalle rovine, i

chiaroscuri del paesaggio, la bonarietà della gente. Con

imperdonabile ritardo mi sono venute in mente le parole di

Nietzsche sulle orme tracciate dal viandante, al seguito non

tanto di un astratto pensiero teoretico ma della verità stessa,

nell'aperto assolato in cui ogni cosa assume un senso e un

significato. E a proposito dell'andare incontro, ancora di più

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forse la lezione di Heidegger che concepiva il pensiero, la

ricerca dei fondamenti e del vero come un cammino,

nient'affatto ideale ma concreto, vissuto, tonale. Il pensiero e

una visione del mondo nascono proprio da questo

avvicinarsi alle cose, dal muoversi tra radure spesse volte

impervie, alla ricerca in fondo dell'essere che è poi il nulla

nella sua ultima trasmutazione. Io, e lo scrivo con infinita

malinconia, mi sono fermato a metà strada, guardando dal

mio comodo empireo di idee lo scorrere delle cose, senza

avere assaporato la freschezza del pensiero mattutino, sentito

la brina delle idee depositarsi sul volto, o sfiorare come

Nietzsche-Zarathustra i venti della verità. Gioacchino è

invece uno di quegli uomini -ancora e nonostante tutto- in

perenne movimento. E' possibile vederlo nelle ore più

impensate a scarpinare per i monti, o scalare gli altopiani

della Val di Noto, lo potete trovare in posti quasi inumani e

invivibili teso a raccogliere con la macchina fotografica e

più spesso con le mani lo scorrere del tempo, a eternare in

qualche modo la poesia, l'arte e la bellezza di un panorama

che solo un occhio attento e vigile può assorbire. Ci sono

uomini che camminano e camminando fanno il pensiero,

incontrano la vita e la storia, che ragionano con le mani e

con le mani ap/prendono (Gettando il progetto-gettato crea

l'apertura storica in cui l'uomo entra in rapporto con gli

enti, li ordina e li fa apparire nella presenza. Heidegger) in

fondo la vita stessa. I sentieri nei quali si muove e vive

Gioacchino Bruno prima che fisici e limitatamente locali e

geografici sono come delle linee tese tra finito e infinito; e

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questo desiderio inappagato di assoluto -più o meno

dominante in ogni uomo- si sente in tutta la sua opera,

perennemente alla ricerca di un equilibrio tra presente e

passato, il niente e il tutto, deietto in un mondo (a dire il vero

felicemente imprigionato) che è poi il destino dell'esserci.

Gioacchino mi ha raccontato di quando i contadini che lo

incontravano nel suo girovagare nella campagne lo

rimproveravano ironizzando: c'è la semina, il raccolto, le

olive (u travagghiu), e lui rispondeva che il reperto accanto

al tramezzino che aveva appena rac/colto era effettivamente

oro, il nulla certo ma pure il tutto (Il nulla non è un

oggetto... né un ente... il nulla è la condizione di possibilità

di rivelare l'ente come tale... il nulla non è solo il concetto

opposto a quello di ente, ma appartiene originariamente

all'essenza dell'essere stesso. Heidegger). Il tesoro è la

roccia, cercava di spiegare, una casa rupestre è un patri-

monio, e che sotto quei buchi c'era una città dimenticata (la

Sortino Medievale, o Sortino Diruta come la chiama). E così

credo sia sempre stata sempre la sua vita, dall'alba fino

all'oscurità, quando nella profondità della parola e del

silenzio si finisce nell'ultima trascendenza del linguaggio e

della visione (La parola nomina la regione aperta dove

abita l'uomo. L'apertura del suo soggiorno lascia apparire

ciò che viene incontro all'essenza dell'uomo e, così

avvenendo, soggiorna nella sua vicinanza. Il soggiorno

dell'uomo contiene e custodisce l'avvento... e secondo la

parola di Eraclito questo è δαιμον, il dio... l'uomo in quanto

parla abita nella vicinanaza del dio. Heidegger). Perché

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pure l'ombra ha un suo fascino e una dignità estetica

(L'ombra è la luce, mi ha detto sbalordendomi con un

ossimoro paradossale degno di Heidegger). Altro non fa un

archeontologo, se non lasciare che come il vento che sibila

sulla pelle, sia l'essere stesso a venirgli incontro nella luce

ombreggiata, portandolo verso le cose stesse (zu den sachen

selbst!). Gioacchino Bruno custo/disce nella casa-museo di

Floridia reperti unici e di sicuro interesse (ne ha catalogati

assieme e per merito del padre Nunzio, oltre 9000), e il suo

lavoro di custode/bibliotecario consiste non solo nella

memoria dei resti ma nel dare voce al passato di questa terra.

Non è padrone di ni/ente, Gioacchino, incurante degli idola

del possesso e soddisfatto da una vecchia casa padronale (La

Casa dell'Artigianato in Sortino) che ha trasformato in un

non/luogo abitando però il quale (fuori di sé, tra gli enti,

nelle cose) una volta tanto anche l'uomo più umile ha una

possibilità di ricerca, di verità; dove si e-siste in

un'atmosfera magica e ricca di cultura che è poi il

raccogliere ascoltando che rende cosa la cosa. Un sasso delle

rovine di Pantalica è solo un sasso, ma se te lo racconta

Gioacchino, in quel sasso senti millenni di storia, la vita,

quasi echeggiare le urla di dolore che ha assorbito nei secoli.

E questo muoversi atavico del com/prendere, il camminare

tra le cose, ha il nome antico di libertà; e la libertà in quanto

tale espone strutturalmente al destino come l'essenza stessa

della verità. Non è una dimensione culturale questa dello

stare fuori, ma uno spazio vivo, un'atmosfera, una caverna

infinita che rovescia in maniera radicale il rapporto tra l'ente

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e l'essere, l'uomo e la sua storia. In essa ci si trova, si respira,

si vive e qualche volta pure si muore. Annulla in una parola

la differenza ontologica tra l'Io e il mondo, l'uomo e il dio. E

questo è un atto nascostamente politico: Chi ha scorto

l'universo non può pensare ad un uomo... Anche se

quell'uomo è lui. Quell'uomo è stato lui. E ora non gli

importa la sorte di quell'altro... Perché egli ora è nessuno;

come scrive Borges a proposito di quell'altro raccoglitore di

tracce che è il bibliotecario, ricettacolo di passato, custode di

una mitologia. Gioacchino ha vissuto e vive da uomo libero

(come il padre, stimatissimo esponente della cultura siciliana

e il nonno rimpianto artista locale), nel sacro dei contenuti e

dei simboli della sua gente, appagato dalla storia e dalla

memoria che conserva. Camminando all'aperto tra l'essere e

l'ente -come fa Gioacchino Bruno con un metodo quasi

monacale che è etica nella sostanza- alla fine ci si abitua alla

luce, a vedere con occhio attento (La luce è tutto per me, si

deve modellare, è l'inchiostro di china, la macchina

fotografica è la penna) significando e a sua volta

significandosi, perché l'aperto è qualcosa che dà senso ma

che non ha senso; è un accecamento, un limite strutturale che

però espone nella vita e nelle cose (analitica trascendentale:

scioglie il conoscere negli elementi sostanziali cercando in

esso i concetti puri a priori, in una dimensione della

coscienza che non è lineare ma circolare). Oltre non si può

andare nella chiarìta di questo crepuscolo ontologico

(L'essere, aprendosi nella radura, viene al linguaggio. Esso

è sempre in cammino verso il linguaggio.... Il linguaggio si

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eleva a sua volta nella radura dell'essere. Solo il linguaggio

è in quel mondo misterioso che pur sempre ci domina.

Heidegger) e l'unica lilbertà concessa è di accettare l'essere

come destino, superando anzi pure forse questa fragilità al

punto che Gioacchino ha cercato di vincere le naturali

limitazioni del corpo imparando, grazie alla lezione del

nonno paterno, ad usare la mano babba, sforzandosi di non

perdere le potenzialità della mano sinistra. Tra un bicchiere

di rosso e un altro (altra meraviglia di questa terra, che

Bachelard avrebbe apprezzato) una sera mi ha sbalordito

dicendo che il materiale, la vita la calpestiamo, la viviamo

ma non la capiamo, che in fondo siamo ciechi che vivono in

un mondo che non conoscono. Mi spiegava, ed era in fondo

una metafora del suo lavoro e dell'esistenza che quando

scavi e trovi una moneta sembra un sasso; sta alla cultura e

alla passione dell'uomo di averne cura, com/prenderlo,

ripulirlo e liberare la moneta come a scavare in significati

misteriosi e sconosciuti. E solo allora ti accorgi che quella

pietra era oro. Maneggiandola da tutti i lati, rivivendola

proprio come un fenomenologo alle prese con la variazione

eidetica, cercando di darle un senso.

Ma è venuto il momento di lasciare la parola all'opera di

Gioacchino Bruno. In questa onto/monografia a lui dedicata

proverò non solo a metterne in luce il lavoro di archeologo

diplomato sul campo, ma quello di artista/ricercatore

completo, dedicando una sezione del libro alla fotografia,

una alla scultura della pietra, una al modellamento

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dell'argilla e del disegno, sulla base di seminari tematici

tenuti proprio da Bruno presso associazioni culturali. Con la

speranza di portare in luce aspetti ancora sconosciuti della

sua scienza e di interessare gli studiosi più attenti. Ho

coniato un neologismo per raccontare la figura di questo

straordinario personaggio poliedrico, attribuendogli il

mestiere paradossale di archeontologo, e credo che sia

davvero appropriato. Il lavoro di Gioacchino non è solo da

archeologo e appassionato di museografia e museologia, è

davvero più complesso e articolato. Si tratta di un ricercatore

eclettico, fotografo, scultore, modellatore, grafico,

disegnatore, pittore, scrittore e chissà che altro, la cui opera è

giusto che abbia a suscitare interesse presso anche le più

austere accademie. Credo sinceramente che ne valga la pena.

E' però ora di andare. Il sole si alza e il cielo si colora dei

toni del giorno. Come sempre Gioacchino sarà da qualche

parte a camminare -è l'unica regola che credo abbia mai

seguito- di mattina presto (alle cinque e mezza!) a fare un

passo in piu' tra passato e futuro, nelle cose e nel tempo, nel

non senso di una giornata il cui segreto fondamentale (come

ha spiegato raccontandomi dei mali della sua epoca) sembra

essere di non dormire mai, nel bisogno inarrestabile di

calarsi nel mondo come parte di una storia che trascende la

stessa individualità. Non esiste altra via per testimoniare

l'essere e annunciare la verità.

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Carta storico/topografica della Sicilia secondo le "ultime" osservazioni, come è scritto nella

mappa datata 1754. Sono delineate le tre valli (Val di Noto, Val Demone, Val di Mazzara)