PRESENTAZIONE. UN DIRITTO POSTMODERNO · La crisi del diritto e la più generale crisi dei...

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9 1. Moderno e postmoderno: due antitetiche concezioni del diritto Parlare di «percorsi giuridici della postmodernità» im- plica di porre a raffronto due concezioni del diritto assai lontane e distanti tra loro: quella squadrata, statica, monoli- tica, lineare, gerarchicamente ordinata che aveva governato la modernità e quella pluralistica, policentrica, complessa, fluttuante, dinamica, sfumata, indeterminata, che segna il passaggio a un ordine nuovo, all’emergere di nuovi assetti che, per l’appunto, possiamo chiamare postmoderni 1 . Queste diverse concezioni possono essere a loro volta declinate in tutta una serie di antitesi che ne fotografano aspetti peculiari: monopolio della legge statale nella produzione del diritto/ pluralismo delle fonti; generalità e astrattezza del comando legislativo/cangianti particolarità del caso; potere esclusivo del legislatore nella costruzione del diritto/compartecipazio- ne dell’interprete-creatore; principio binario (tutto-niente, inclusione-esclusione, vero-falso, torto-ragione, fatto-diritto, legittimo-illegittimo)/principio di graduazione (dal meno al più adeguato, dal meno al più opportuno) e di appartenenza parziale (parzialmente incluso, parzialmente escluso), così da giungere a una conclusione che rappresenti il punto di massima realizzazione di tutti i princìpi in gioco 2 ; diritto 1 P. Grossi, Novecento giuridico: un secolo pos-moderno, in Id., Intro- duzione al Novecento giuridico, Roma-Bari, Laterza, 2012. 2 G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia, Torino, Ei- naudi, 1992, p. 168. Sul concetto di appartenenza parziale, e di connessa logica flou, M. Delmas Marty, Fecondità delle logiche sottese ai metodi interpretativi della Corte europea, in Id. (a cura di), Verso un’Europa dei diritti dell’uomo. Ragion di Stato e diritti umani nel sistema della Convenzione europea, Padova, Cedam, 1994, pp. 328 ss. ROBERTO E. KOSTORIS PRESENTAZIONE. UN DIRITTO POSTMODERNO

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1. Moderno e postmoderno: due antitetiche concezioni del diritto

Parlare di «percorsi giuridici della postmodernità» im-plica di porre a raffronto due concezioni del diritto assai lontane e distanti tra loro: quella squadrata, statica, monoli-tica, lineare, gerarchicamente ordinata che aveva governato la modernità e quella pluralistica, policentrica, complessa, fluttuante, dinamica, sfumata, indeterminata, che segna il passaggio a un ordine nuovo, all’emergere di nuovi assetti che, per l’appunto, possiamo chiamare postmoderni1. Queste diverse concezioni possono essere a loro volta declinate in tutta una serie di antitesi che ne fotografano aspetti peculiari: monopolio della legge statale nella produzione del diritto/pluralismo delle fonti; generalità e astrattezza del comando legislativo/cangianti particolarità del caso; potere esclusivo del legislatore nella costruzione del diritto/compartecipazio-ne dell’interprete-creatore; principio binario (tutto-niente, inclusione-esclusione, vero-falso, torto-ragione, fatto-diritto, legittimo-illegittimo)/principio di graduazione (dal meno al più adeguato, dal meno al più opportuno) e di appartenenza parziale (parzialmente incluso, parzialmente escluso), così da giungere a una conclusione che rappresenti il punto di massima realizzazione di tutti i princìpi in gioco2; diritto

1 P. Grossi, Novecento giuridico: un secolo pos-moderno, in Id., Intro-duzione al Novecento giuridico, Roma-Bari, Laterza, 2012.

2 G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia, Torino, Ei-naudi, 1992, p. 168. Sul concetto di appartenenza parziale, e di connessa logica flou, M. Delmas Marty, Fecondità delle logiche sottese ai metodi interpretativi della Corte europea, in Id. (a cura di), Verso un’Europa dei diritti dell’uomo. Ragion di Stato e diritti umani nel sistema della Convenzione europea, Padova, Cedam, 1994, pp. 328 ss.

RobeRto e. KostoRis

PRESENTAZIONE.UN DIRITTO POSTMODERNO

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costruito solo per regole (le fattispecie normative)/diritto costruito soprattutto per principi3; diritto completo a priori nel momento della sua fissazione da parte della legge/diritto che si completa e si attua nel suo farsi concreto; matematica del sillogismo/flessibile logica del bilanciamento; valore esclusivo delle forme/attenzione sostanziale per i valori.

2. Radici della postmodernità giuridica

Il profondo mutamento di prospettive, il diverso modo di porsi di fronte al diritto e di concepirlo che caratterizza la postmodernità giuridica non rappresenta però né il frutto di un cambiamento repentino, né un fatto culturalmente isolato.

Non è il frutto di un mutamento repentino, anche se oggi si fa certamente sempre più accelerato (motus in fine velocior), perché si colloca all’interno di una ben precisa «linea»4, che si è venuta tracciando nel corso del Nove-cento, a partire dall’enunciazione cent’anni fa della teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici da parte di Santi Romano, che contraddiceva il disegno illuminista dello Stato quale unico monopolistico produttore di diritto, per passare poi al paradigma della Costituzione rigida, che metteva in crisi il primato della legge, costringendola a conformarsi ai suoi princìpi fondamentali, per giungere, ancora, al riconoscimento del valore creativo della giurisprudenza e alla consapevolezza, sviluppata soprattutto dalla corrente filosofica dell’ermeneutica5, che il testo della norma trova completamento e compiutezza solo attraverso la media-

3 Sulla fondamentale distinzione R. Dworkin, I diritti presi sul serio, Bologna, Il Mulino, 1982, pp. 90 ss.

4 Per questo fecondo insegnamento, attraverso il quale al giurista positivo sono fornite le coordinate per collocare convenientemente un fenomeno giuridico in un contesto spazio-temporale-culturale, P. Gros-si, Il punto e la linea (L’impatto degli studi storici per la formazione del giurista), in Id., Società, diritto, Stato. Un recupero per il diritto, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 3 ss.

5 H.G. Gadamer, Verità e metodo, Milano, Bompiani, 1983.

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zione dell’interprete6, fino ad approdare all’avvento del diritto europeo  –  quello della Convenzione europea dei diritti dell’uomo prima e quello dell’Unione poi  –  che ha sviluppato in modo conclamato e anche con accenti nuovi quel mutamento globale che era stato preparato nel tempo, scardinando gli assetti ereditati dalla concezione positivistica ottocentesca della legge e dello Stato. Con la sua primazia e la sua forza di incidenza sui diritti nazionali il diritto dell’Unione costringe ormai anche il giurista più riottoso a prendere atto di una realtà profondamente mutata. Infine, l’ultima tappa di questo percorso porta all’apertura verso un diritto «globale», enfatizzando su scala mondiale il carattere pluralistico del diritto postmoderno.

3. La crisi del diritto e la più generale crisi dei paradigmi culturali della modernità

Ma questa crisi degli schemi ereditati dalla modernità giuridica, pur declinandosi secondo proprie e ben specifiche caratteristiche, non sembra rappresentare neppure qualcosa di completamente avulso e distante dalla più generale crisi che ha investito parallelamente altre espressioni umane, dalla filosofia, alla letteratura, all’arte. Una crisi che presenta come generale denominatore comune una decostruzione, una destrutturazione dei modelli, degli ordini e degli assiomi che avevano contrassegnato i grandi movimenti della modernità, accompagnate da eclettismo, ibridazione e contaminazione tra esperienze e logiche diverse.

In ambito filosofico, la postmodernità segna la dele-gittimazione dei grandi progetti, delle grandi prospettive filosofiche e ideologiche che, a partire dall’Illuminismo, avevano ispirato la cultura occidentale nei due secoli succes-sivi, propiziando una dissoluzione delle certezze e dei valori

6 P. Grossi, Prima lezione di diritto, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 106 ss. Evidenti le conseguenze a cascata che ne possono derivare sul principio della divisione dei poteri e sul principio di esclusiva sottopo-sizione del giudice alla legge (art. 101.2 Cost.).

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assoluti che essi predicavano, ripiegando più sull’esigenza di dare risposte pragmatiche ai problemi dell’uomo7. Nella letteratura già all’alba del Novecento Musil8, sulle orme di Nietzsche9, proponeva un’immagine della vita orfana della totalità, incapace di trovare un centro unificante e ordinante del molteplice; l’hubris di dominare e costringere il caos, la «volontà di potenza», ricollegabile anche alla cultura scientista e determinista ottocentesca, il «grande stile», che presup-pone, come sottolinea Magris, una «prospettiva dall’alto», un «punto di vedetta» dal quale un soggetto si pone «quale ordinatore e legislatore» della realtà, quale suo preciso e oggettivo interprete10, venivano messi in crisi da una visione atomistica, disaggregata, disillusa, se non nichilista del mondo.

4. La complessità del diritto postmoderno

Nel campo del diritto, l’epicentro della crisi investe, come si sa, primariamente l’istituzione giuridica centrale dell’e-poca moderna, cioè lo Stato nazionale, nonostante i sogni di un velleitario ritorno al passato coltivati dai movimenti separatisti e secessionisti che proliferano un po’ dovunque oggi in Europa. Lo Stato non viene meno, ma vede sempre più indebolite le sue varie funzioni. Non è più l’esclusivo produttore di diritto. I codici, che, nella loro ambizione di regolare secondo un disegno coerente l’intero universo giuridico, rappresentavano l’emblema della modernità, co-stituiscono oramai solo «una» delle fonti giuridiche e quindi solo una delle componenti in gioco, che, oltretutto, a contatto con le «altre», vede mutare in misura talora non irrilevante il significato e la portata delle previsioni che vi sono conte-nute. Il rigido monismo positivistico moderno si disaggrega,

7 J.F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 69 ss.

8 R. Musil, Diari 1899-1941, Torino, Einaudi, 1980, p. 28.9 F. Nietzsche, Il caso Wagner, in Id., Scritti su Wagner, Milano,

Adelphi, 1979, p. 180.10 C. Magris, Grande stile e totalità, in Id., L’anello di Clarisse. Grande

stile e nichilismo nella letteratura moderna, Torino, Einaudi, 2014, p. 5.

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si frantuma. Contano sempre più, da un lato, il formarsi spontaneo del diritto all’interno della società, e, dall’altro, i referenti sovranazionali, soprattutto, ma non solo, europei.

Ciò modifica il sistema stesso delle fonti, rappresentabile non più attraverso la «rassicurante» metafora «verticale» della piramide alla cui sommità è posta la legge di origine parlamentare, ma attraverso quella «orizzontale» assai più instabile e fluida della rete11, che allude alle interconnessioni tra fonti di provenienze diverse, chiamate a interferire e a interagire su identici oggetti. Un sistema di fonti, oltretut-to, non più solo di matrice politico istituzionale, e quindi legislativa, ma sempre più giurisprudenziale, a partire dalle due Corti di vertice europee, che si sono assunte il ruolo di vere creatrici di diritto; ed è anche il prodotto di un «dialogo» che queste Corti intessono tra di loro, con altre Corti a livello internazionale, nonché con le Corti costitu-zionali nazionali e con gli stessi giudici interni; dialogo che contribuisce a interconnettere ordinamenti giuridici diversi e a definirne i reciproci rapporti12.

Dunque, decostruzione dell’ordine precedente, ma anche pluralismo e ibridazione. Il diritto vive di continue contami-nazioni tra una pluralità di matrici diverse di provenienza diversa: è il prodotto dell’interagire di norme nazionali, sovranazionali, legislative, giurisprudenziali, e poi di prassi, di consuetudini. Inoltre si presenta ormai come l’effetto della confluenza –  e, dunque, della sovrapposizione, della commistione, ma anche dello scontro – tra le due tradizioni giuridiche della civil law, alla quale storicamente appartenia-mo, e della common law, veicolata per il tramite del diritto europeo, che ad essa largamente si ispira. Tradizioni dietro le quali si scorgono due diverse concezioni del diritto: come valore assoluto formalizzato da una «legge» che lo legittima, o come valore «relativo» e soprattutto «relazionale»13, in

11 F. Ost e M. van De Kerchove, De la pyramide au réseau?, Bruxelles, Publications de Facultés universitaires Saint Luis, 2002.

12 S. Cassese, I tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Roma, Donzelli, 2009, pp. 10 ss.

13 Per questa sottolineatura M. Vogliotti, Tra fatto e diritto. Oltre la modernità giuridica, Torino, Giappichelli, 2007, pp. 206 ss. Nella pro-

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quanto prodotto dall’interagire degli attori in campo, dal gioco dei reciproci controlli, dei «pesi e dei contrappesi» a cui è soggetto il prodotto giuridico, non solo nel momento della sua genesi «normativa», ma anche, e soprattutto, nel momento della sua concreta applicazione pratica.

Un effetto vistoso di questa commistione e sovrappo-sizione tra logiche giuridiche diverse è rappresentato dal fatto che le norme nazionali di matrice codicistica, nelle quali si invera la modernità giuridica, che esprimono «re-gole», fondate sul modello della «fattispecie», si trovano a dover interagire con i «principi» di cui è intriso il diritto europeo14. Un fenomeno che, beninteso, si era già pre-sentato con l’avvento della Costituzione, ma che ora non comporta solo l’esigenza per le regole di corrispondere ai princìpi (pena – nel sistema costituzionale – una declaratoria di incostituzionalità), ma  –  per effetto degli strumenti di adeguamento del diritto interno a quello europeo (disap-plicazione e interpretazione conforme) –  comporta anche la possibilità per esse di essere direttamente sostituite dalle

spettiva di ricercare un patrimonio comune alle due esperienze giuridiche cfr., però, G. Marini, Diritto e politica. La costruzione delle tradizioni giuridiche nell’epoca della globalizzazione, in «Polemos», 2010, p. 31.

14 Riecheggia in questa giustapposizione la polemica, nata al tempo della creazione delle prime giurisdizioni costituzionali in Europa e riacce-sasi poi con l’avvento delle nuove Costituzioni del secondo dopoguerra, tra un diritto per regole e un diritto per principi, dove i fautori del primo riconoscevano solo alle regole il valore di norme giuridiche azionabili in giudizio, mentre consideravano i principi costituzionali formulazioni di valore soltanto politico. Era in realtà un confronto, come avverte G. Zagrebelsky, Il diritto mite, cit., pp. 153 s., tra due diverse concezioni del diritto: la prima, a difesa di una visione del diritto modellata sui postulati dello Stato di diritto legislativo e del positivismo giuridico, che si voleva applicare anche al nuovo contesto costituzionale; la seconda, favorevole alla piena valenza giuridica delle norme di principio, si apriva, invece, a una nuova concezione più complessa e gravida di conseguenze, in cui le regole giuridiche create dal legislatore avrebbero rappresentato solo una delle componenti del diritto, che avrebbe dovuto interagire e «combaciare» con l’altra rappresentata dalle norme costituzionali. Il che avrebbe avuto forti conseguenze sui rapporti tra legislazione e giurispru-denza nella determinazione del diritto, rapporti che non avrebbero più potuto impostarsi secondo il modello gerarchico proprio dallo Stato di diritto legislativo moderno.

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norme europee o di combinarsi con queste dando luogo alla creazione di norme «nuove» ad opera del giudice, in entrambi i casi con un chiaro effetto di decodificazione ap-plicativa15. Il che – unitamente alla dimensione sempre più giudiziale del diritto – propizia una visione e una gestione sempre più pragmatica e dinamica16 degli strumenti giuridici, improntata a razionalità pratica17: una delle cifre più carat-terizzanti dei moduli postmoderni. Sempre più si ragiona in termini di «peculiarità del caso», di «ragionevolezza» della soluzione, di «bilanciamento tra valori», di «equità», di «proporzione»; sempre meno di mera sussunzione del fatto nell’astratta descrizione della norma.

5. Diritto, potere, politica nel tempo della crisi

Allargando lo sguardo al collegamento tra diritto, potere e politica, si registrano poi ulteriori fattori di incertezza e instabilità.

15 Per più approfondite considerazioni sul punto, si rinvia a R.E. Kostoris, Processo penale, diritto europeo e nuovi paradigmi del pluralismo giuridico postmoderno, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 2015, pp. 1185 ss.

16 Dinamicità che allude ad un diritto in continua evoluzione, a contatto con i casi della vita e l’opera dell’interprete, contrapposta alla staticità del diritto moderno, «dato» una volta per tutte attraverso la rigida formulazione della norma.

17 Viene così ripreso l’antico insegnamento di Aristotele (Etica Nicomachea, 1095 a 6), che pone il diritto, assieme alla morale e alla politica, nell’ambito delle scienze pratiche, che hanno come oggetto l’a-zione dell’uomo (praxis) e come fine l’agire bene, secondo giustizia (eu prattein): rispetto ad esse la conoscenza non costituisce un obiettivo in sé, un obiettivo di «verità», come avviene per le scienze teoretiche, che appartengono al mondo che non muta né è mutabile, ma è ricercata in vista dell’azione; il che, per Aristotele, fa del diritto un sapere sempre applicativo e sempre legato a una situazione particolare, che richiede phronesis, cioè razionalità materiale orientata ai valori, non episteme, cioè razionalità formale, o, nel linguaggio del mondo romano, iuris-prudentia e non scientia iuris. Si tratta di un’impostazione che è stata ripresa, in campo filosofico, a partire dalla seconda metà del Novecento dall’erme-neutica giuridica (cfr. H.G. Gadamer, Verità e metodo, cit., pp. 358 ss. che pone l’applicazione al centro dell’interpretazione).

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Per un verso, la stessa Europa, che tanta parte ha nel diffondere la nuova dimensione del diritto, mostra, d’altron-de – soprattutto in questi tempi – anche tutta la sua debolezza di progetto politico incompiuto, non avendo sinora avuto la capacità di esprimere forti (e coerenti) visioni condivise. Per altro verso, dentro e fuori l’Europa, anche a livello globale, molte scelte importanti – il cui precipitato si traduce in opzioni regolative e, quindi, di carattere giuridico – vengono prese e di fatto imposte da entità del tutto prive di rappresentanza politico-democratica, come i grandi poteri economici. Il che segna ad un più generale livello un divorzio tra potere che produce diritto e politica, che può essere fonte di sempre maggiori disuguaglianze sociali e di pericolo per la stessa tutela dei beni primari, individuali e collettivi18, a partire dalla conservazione dell’ambiente e del clima.

D’altronde, anche all’interno dello Stato, uno Stato sem-pre meno sovrano in casa sua, assistiamo ad un proliferare di politiche senza potere e di poteri senza politica. Al governo funzionale, a quella che dovrebbe essere la leadership, spesso si sostituisce la mera «gestione», che si limita a produrre una massa caotica di burocrazia. Non è chiaro chi decide i programmi e chi li controlla. Si allentano sempre più i legami tra lo Stato e i cittadini e così la società stessa perde coesione e diventa sempre più disaggregata e individualista. Il neoliberismo sottopone le funzioni sociali al calcolo econo-mico: si parla di «redditività» dei servizi pubblici essenziali, dalla sanità alla scuola, all’università, come se si trattasse di aziende private il cui scopo primario è di ricavare «profit-to». Nella stessa prospettiva, molte prerogative istituzionali (pubbliche) vengono delegate a privati, che ovviamente le assumono con la finalità di ottenere un lucro per sé, talora anche a discapito del livello delle prestazioni da erogare.

E in una società individualista dove il singolo non si rispecchia più nella collettività, dove vengono meno i pre-supposti solidaristici e dove il bene collettivo è visto come una minaccia all’interesse individuale rischia di eclissarsi

18 Cfr. F. Gallo, Il diritto e l’economia. Costituzione, cittadini e parte-cipazione, infra, spec. par. 2.1.

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nella stessa coscienza comune, prima ancora che nelle scelte politiche e giuridiche un’idea che deve reggere qualsiasi consorzio organizzato che ambisca non solo a mantenersi e a prosperare nel tempo, ma, prima ancora, a non estinguersi rapidamente: l’idea che l’uomo non è solo titolare di diritti, ma è anche soggetto a doveri. Doveri nei confronti dei suoi simili, ma anche nei confronti delle future generazioni19.

6. L’esigenza di elaborare paradigmi nuovi

Tornando a considerazioni più strettamente giuridiche, viviamo, dunque, in un momento di trasformazioni profon-de. Stiamo camminando in una terra di mezzo che non è più il «prima», ma che, però, non è ancora il «dopo». Un luogo nel quale molto dell’antico apparato  –  le istituzioni pubbliche, le formazioni sociali, gli strumenti e gli istituti giuridici del passato – rimane, ma assume significati e ruoli diversi, subisce un’anamorfosi di cui non sono sempre chiari la portata e i contorni. Ed è un quadro la cui complessità sembra destinata semmai ad aumentare nella nostra società occidentale, sempre più composita e multietnica, al cui in-terno dunque si troveranno sempre più a convivere modelli di vita, valori, codici comportamentali e comunicativi assai diversi, che renderanno ancora più difficile governare il molteplice.

Certamente, l’errore più grave sarebbe quello di ostinarsi a ignorare il nuovo, di nasconderlo per paura di mettere in discussione vecchie certezze consolidate, che, peraltro, spesso sono state ammantate della forza del mito20. Il giurista deve coltivare onestà intellettuale, sforzandosi umilmente di cogliere con la maggiore obiettività possibile il senso e la portata dei cambiamenti in atto. Il primo passo consiste sicuramente nell’avere il coraggio di riuscire ad andare oltre le coordinate ricevute dalla tradizione, elaborando dei salti

19 G. Zagrebelsky, Senza adulti, Torino, Einaudi, 2016, pp. 71 ss.20 P. Grossi, Mitologie giuridiche della modernità, Milano, Giuffrè,

2001.

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di paradigma che consentano di «vedere» con occhi diversi realtà diverse. Un’operazione sempre necessaria quando si è di fronte a svolte importanti, che non possono essere affrontate al livello degli approcci mentali del passato.

La flessibilità, la gradualità, la proporzionalità, il rifiuto della rigida logica binaria, l’approccio fattuale, che appa-iono come un generale contrassegno della postmodernità giuridica, la quale in ciò recupera, peraltro, una visione premoderna del diritto21, possono certo preoccupare per la componente di relatività e di incertezza che introducono nella regolazione dei rapporti umani; ma si possono rivelare, proprio in ragione di queste loro intrinseche caratteristiche, strumenti utili per adattare meglio l’applicazione del diritto alla concretezza dei fatti della vita. I settori che affidano la regolamentazione del diritto alla volontà dei privati, in effetti, se ne giovano da tempo con vantaggio.

7. Un terreno particolarmente delicato: la giustizia penale

Non ci si può nascondere, naturalmente, che il discorso diventa assai più delicato ove lo si rapporti al settore della giustizia penale, dove si sprigiona al massimo grado lo scontro tra autorità dello Stato e libertà del cittadino; un terreno che il legislatore ha conseguentemente provvisto di particolari tutele, rappresentate dai princìpi di legalità e di riserva di legge in materia penale e dalle garanzie proces-suali. Nondimeno, è da dubitare che questo settore possa rappresentare un’isola immune dal rivolgimento globale che investe così profondamente ogni territorio giuridico. Per escluderlo basterebbe ricordare che il diritto «penale»

21 Si è già fatto cenno all’impostazione aristotelica del diritto come scienza pratica e alla iuris-prudentia romana. Ma vi si può aggiungere l’esperienza del diritto comune medievale e quella che, senza soluzione di continuità, ha caratterizzato dal Medio Evo ad oggi l’esperienza inglese di common law. Il recupero da parte della postmodernità giuridica di una antica dimensione fattuale del diritto che si era persa con il legalismo statualista moderno è al centro dell’insegnamento di Paolo Grossi: per una visione di sintesi, P. Grossi, Prima lezione di diritto, cit., pp. 106 ss.

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si rivolge a (ed è prodotto da) quella stessa società dinami-ca e pluralistica di cui il diritto postmoderno rappresenta una intrinseca espressione; dunque, non si può pensare che non rechi in sé il segno di quella comune matrice22. Inoltre, non va dimenticato che uno dei più forti vettori di trasformazione del diritto nel senso ricordato è costituito oggi, come dicevamo, dal diritto europeo, e che tale diritto ormai investe massicciamente e direttamente la sfera penale degli ordinamenti nazionali. Sembra allora più realistico e produttivo porsi l’obiettivo di salvaguardare nella sostanza i valori di fondo tutelati da quei principi penalistici in un contesto molto mutato rispetto a quello in cui erano stati originariamente concepiti. Il che può essere ottenuto attra-verso un approccio più flessibile.

In questa prospettiva, per fare due soli esempi, il valo-re della legalità sostanziale dovrebbe focalizzarsi più sulla dimensione della determinatezza/conoscibilità/prevedibilità che su quella della riserva di legge23, legata quest’ultima all’idea – ormai smentita dai fatti – del monopolio del diritto da parte della legge statale, mentre le garanzie processuali dovrebbero essere considerate in un’ottica non più rigida-mente formalistico-astratta, per potersi confrontare con le specificità che caratterizzano le situazioni concrete su cui vanno ad incidere. Il che richiede un approccio duttile, con-dotto nella logica del bilanciamento, facendo applicazione del parametro della fairness processuale, così come definito dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo24.

22 G. Zaccaria, La comprensione del diritto, Roma-Bari, Laterza, 2012, pp. 11 ss., avverte come pure in ambito penale la legge e i suoi significati siano soggetti a mutare incessantemente assieme ai mutamenti della realtà sociale e richiedano dunque al giudice le conseguenti mediazioni e scelte interpretative; il che porta l’autore a concludere che «messi alla prova dei fatti i principi di origine illuministico-liberale (di legalità, di tassatività, di divieto di analogia, di vincolo del giudice alla legge), che innervano gli ordinamenti giuridici continentali, esigono di essere profondamente e non occasionalmente ripensati».

23 Cfr. al riguardo le considerazioni di F. Palazzo, Principio di legalità e giustizia penale, infra, spec. parr. 3 ss.

24 In altre parole, tali regole non andrebbero considerate solo nella loro formulazione astratta, ma anche nel significato che assu-

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Certo, si deve essere consapevoli che un diritto sempre più governato da princìpi (costituzionali, europei, interna-zionali) che tendono ad imporsi sulle regole codicistiche e sempre più ispirato a razionalità pratica come quello attuale implica di affidare al giudice penale sempre più ampi poteri discrezionali25; e che maggiori poteri schiu-dono la porta al rischio di un loro uso arbitrio. È l’eterno problema, che può essere acuito dal deperimento nella nostra società pluralistica di un quadro di principi di senso e valore generalmente condiviso26. È probabilmente da qui che allora occorre partire, nella prospettiva di formare una nuova classe di giuristi che si riconosca in una nuova cultura della ragionevolezza27 e in un’etica del limite, che non può essere disgiunta dai maggiori poteri creativi che la

mono a contatto con le variabili fattuali del caso concreto. Secondo questa prospettiva si muove in particolare la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel fare applicazione del canone dell’equità processuale (per rilievi generali sul punto, R.E. Kostoris, Equità, processo penale, diritto europeo. Riflessioni di un giurista di civil law, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 2016, pp. 1653 ss.). Essa valuta a tal fine, in base al principio di proporzionalità, ogni vicenda processuale «nel suo complesso» (as a whole), diagnosticando violazioni della fairness solo nel caso in cui chi se ne ritenga vittima abbia sofferto in conseguenza di esse un «pregiudizio effettivo» (a significant disadvantage); la mera violazione di regole processuali (ad esempio in materia di nullità) non accompagnata da quest’ultima condizione sarebbe per la Corte del tutto ininfluente per una diagnosi di iniquità. Un esempio di quanto siano ancora diffuse le resistenze della comunità scientifica verso un simile approccio si può cogliere nel dibattito a più voci su Abuso del processo, in «Cassazione penale», 2012, pp. 3592 ss.

25 Si supera però questo orizzonte di legalità giudiziale quando si affida al giudice il potere di disapplicare norme penali di garanzia sulla base di pure valutazioni di politica criminale, come è recentemente avvenuto ad opera della Corte di giustizia (8 settembre 2015, C-105/14, Taricco).

26 G. Zagrebelsky, Il diritto mite, cit., pp. 201 s.27 E. Grande, Principio di legalità e diritto giurisprudenziale: un’anti-

nomia?, in «Politica del diritto», 1996, pp. 471 s., rileva come proprio i sistemi di «diritto giurisprudenziale» di common law, nonostante l’assenza formale del principio di legalità, ma in ragione dell’osservanza di regole di comportamento non scritte ma condivise, maturate nella consuetudine, garantiscano da secoli i cittadini contro gli arbitri in campo penale.

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postmodernità giuridica assegna all’interprete28. Semmai, va rilevato come l’accresciuta importanza del ruolo attribuito al giudice possa apparire sotto certi profili in contrasto con il nostro attuale assetto organizzativo e funzionale del potere giudiziario, ancora impostato secondo il vecchio modello positivistico del giudice funzionario burocrate, applicatore passivo della legge. Anche su questo si potrà, dunque, intervenire, per adeguarsi ad un contesto profondamente mutato, pensando a modi diversi di reclutamento, a vagli attitudinali, a forme di responsabilità e di controllo della carriera dei magistrati29.

8. I contenuti del volume

Questo volume propone una serie di riflessioni sulla postmodernità giuridica condotte da varie prospettive, che vanno dai profili generali a quelli più tipici delle più impor-tanti macroaree del diritto. L’occasione che le ha propiziate è stata rappresentata da un convegno organizzato nel febbraio del 2016 in occasione dei dieci anni di vita del Dottorato in Giurisprudenza dell’Università di Padova. Un anniversario significativo, che abbiamo voluto celebrare chiamando a raccolta su questo tema  –  quasi in raccordo ideale con un altro, memorabile, convegno padovano di settant’anni fa dedicato alla crisi del diritto30 – alcuni dei maggiori maestri della scienza giuridica italiana. I contributi raccolti in questo volume rappresentano rielaborazioni delle relazioni svolte in quell’occasione. Una volta focalizzate le più rilevanti questioni sul tappeto, si pone però anche il problema di costruire il

28 Cfr. M. Vogliotti, Tra fatto e diritto, cit., pp. 299 ss. e spec. 305 ss. Occorre precisare che l’impiego della razionalità pratica non implica una completa libertà del giudice di gestire l’applicazione del diritto; al contrario, gli impone di seguire un «percorso» per giungere a esiti ragionevoli, condivisibili, persuasivi e comunque controllabili.

29 Un rinnovo dei profili ordinamentali della magistratura è ritenuto indispensabile alla luce dello Stato costituzionale, che attribuisce rilievo a un diritto per princìpi, da G. Zagrebelsky, Il diritto mite, cit., pp. 205 ss.

30 Cfr. La crisi del diritto, Padova, Cedam, 1953.

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giurista di domani. E, poiché questo è un compito che spetta in prima battuta all’università (anche se diventa comunque essenziale una formazione permanente e comune per tutti gli operatori del foro), occorre domandarsi come insegnare e studiare il diritto oggi. Questo «nuovo» diritto, che pre-suppone una revisione profonda delle mappe concettuali ricevute dal passato, ma la cui trasmissione deve comunque tendere alla formazione di «giuristi» nel significato più alto del termine. Una tale problematica, in un certo senso più funzionale, a cui nel convegno era dedicata la tavola rotonda finale, forma oggetto di una serie di sintetici contributi, per lo più focalizzati sulle specifiche materie di insegnamento, affidati prevalentemente ai colleghi padovani. In chiusa sono, infine, raccolti alcuni brevi saggi, rielaborazioni anch’essi di interventi svolti al convegno, ad opera dei dottorandi del corso patavino; i giuristi di domani, ai quali sarà affidato il non facile compito di gestire concretamente questo complesso mondo in trasformazione.

Un ringraziamento sincero alla dott.ssa Silvia Signorato, che, dopo aver curato la Segreteria scientifica del convegno padovano, si è generosamente sobbarcata l’onere della revisione delle bozze di questo volume.