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I CARRACCESCHI

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I CARRACCESCHI

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I Carracci erano tre parenti bolognesi, Annibale e Agostino eranofratelli, mentre Ludovico era loro cugino, e provenivano da una famigliadella piccola borghesia locale. Bologna era al centro di un territorio incui l'opera degli artisti aveva per tradizione un accentuato caratteredevozionale e pietistico, e inoltre si trovava a contatto ravvicinato conl'arte padana e veneta: su queste basi culturali ed estetiche i Carraccisvolsero il loro compito di teorici del rinnovamento artistico,accentuando l'umanità dei personaggi e la chiarezza delle scene sacre.

L'eclettismo della loro arte, il rispetto della tradizione, un linguaggioadatto ai luoghi pubblici frequentati dalle classi popolari soddisfacevale esigenze della Chiesa della Controriforma che necessitava di unnuovo modo di esprimere il suo primato sulle altre confessioni econfermava che l'arte poteva e doveva essere veicolo verso la fede.

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Nel 1582 istituirono una scuola che aveva il preciso compito di formareculturalmente e pittoricamente nuovi artisti, chiamandola prima Accademiadei Desiderosi e successivamente di Accademia degli Incamminati nel 1590.

Il più anziano, Ludovico si assunse il ruolo di teorico e impose l'indirizzo versolo studio del vero (prima disegnato e poi ripulito dai difetti): l'approcciodiretto al soggetto raffigurato era il primo passo della rappresentazione alfine di renderla più naturale.

Altro principio della dottrina carraccesca era l'aspetto devozionale, il rispettodell'ortodossia delle storie rappresentate. Nel far questo i Carracci seguironole istruzioni contenute nell'opera dei teorici del tempo come il cardinaleGabriele Paleotti autore nel 1582 del Discorso sulle immagini sacre e profaneche auspicava il controllo da parte delle autorità ecclesiastiche dei contenutidelle scene sacre (i santi e i loro attributi dovevano essere facilmentericonoscibili e rispettosi della tradizione inoltre le storie dovevanodimostrare fedeltà ai testi sacri), mentre agli artisti rimaneva la "libertà" discegliere lo stile più adeguato.

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L'intento dei Carracci era quello di formare i nuovi talenti dell'arte conun'educazione che fosse valida sia dal punto di vista pratico che culturale, unconcetto moderno di scuola. L'accademia era organizzata in parte come unabottega del Quattrocento dove si faceva molta pratica, si apprendeva latecnica e la manualità pittorica, si abituava l'allievo ad acquisire unapersonale visione della realtà tramite il disegno dal vero, questo approccioeliminava le complessità teoriche dell'arte manierista, macontemporaneamente gli artisti venivano avvicinati alla cultura umanistica(lettere, scienze, filosofia) per dotarli di una base culturale insieme allaprofessionalità artistica.La direzione e la scelta degli indirizzi programmatici dell'accademiaspettavano al più anziano Ludovico, ma altrettanto importante fu la figura diAgostino, uomo di grande cultura, nella scuola diventò l'insegnante dianatomia e prospettiva, come profondo conoscitore di mitologia potéinfluenzare il fratello Annibale.Agostino fu anche un importante incisore, riprodusse le opere dei maestridel Cinquecento (soprattutto Correggio e Veronese) esempi da imitare per inumerosi allievi della loro scuola. Annibale era il più dotato e colui che inseguito al suo viaggio a Roma nel 1595 e le opere eseguite fino alla morte nel1609, esercitò un'influenza decisiva sulle sorti della pittura italiana agli alboridel Seicento, probabilmente rivestì il ruolo di docente di tecnica pittorica.

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GUIDO RENI (1575 – 1642)

Nel 1584 abbandonò gli studi di musica, a cui era stato avviato dal padre, perentrare nell'avviata bottega bolognese del pittore fiammingo Denijs Calvaert,amico del padre, che si impegnò a tenerlo per dieci anni. Ebbe per compagni diapprendistato pittori destinati a grande successo come Francesco Albani e ilDomenichino e sappiamo che studiò in particolare le incisioni del Dürer e diRaffaello.

Morto il padre il 7 gennaio 1594, Guido lasciò la bottega del Calvaert per aderireall'Accademia degli Incamminati, la scuola di pittura fondata dai Carracci nel1582. Qui mostrò il suo talento: il Malvasia riferisce l'aneddoto del suggerimentodato da Annibale a Ludovico Carracci «non gl'insegnar tanto a costui, che ungiorno ne saprà più di tutti noi. Non vedi tu come non mai contento, egli cercacose nuove? Raccordati, Lodovico, che costui un giorno ti vuol far sospirare».

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Strage degli Innocenti, 1611, Olio su tela, PinacotecaNazionale di Bologna

Il dipinto si basa sull'episodio della strage degliinnocenti, narrato nel Vangelo di Matteo; la costruzioneconcitata mostra più eventi racchiusi in uno spaziolimitato, accrescendo quindi uno stato di confusione eagitazione.

Due soldati uccisori, uno ritratto di spalle mentre sigetta su una donna urlante e uno chinato verso le madricon i loro figli, tengono stretti nella destra dei pugnalicon i quali sono in procinto di massacrare i corpi deifanciulli. Le madri reagiscono in maniera differente allaminaccia: la prima donna in alto a sinistra ha il voltosfigurato in urlo a causa della violenza subita dal soldatoche le strappa i capelli e tenta la fuga, un'altra scappaverso destra abbracciando il figlio ed una nell'angolo inbasso a sinistra lo sostiene sulle spalle; una madre tentadi ostacolare il soldato opponendogli la mano sinistra,mentre la donna in ginocchio prega sui corpi deibambini uccisi con la faccia rivolta verso il cielo.

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L'artista ha volutocaratterizzareesclusivamente i volti dellemadri e dei bambini, inmaniera tale dasottolineare il sentimentodoloroso e da escludere gliassassini dal contestoemotivo della scena.Inoltre, Reni serba per icarnefici l'ombra sui volti ela luce sulle braccia e sullemani, nel tentativo disottolineare la brutalitàdella scena e la freddezzadegli esecutori.

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Atalanta e Ippomene, 1620-1625 ca., olio sutela. Museo nazionale di Capodimonte, Napoli

La tela rappresenta il mito di Atalanta, ninfa lacui imbattibile capacità nella corsa fu sconfittasolo da Ippomene tramite uno stratagemmaordito da Afrodite (per tre volte fece cadereuna mela durante la corsa: tutte le volteAtalanta si fermò per raccoglierle, permettendoal Dio di vincere e sposare la principessa). Ledue figure sono dipinte in un paesaggionotturno, in cui i colori del cielo si unisconoidealmente alle tinte del terreno facendorisaltare prepotentemente i due personaggi.

Atalanta e Ippomene hanno corpi dall'incarnatorosa pallido, ornati da pochi veli che necoprono gli organi genitali; le loro figure sonotese in movimenti al limite della danza, con unsolo piede d'appoggio e le braccia sinistreripiegate verso il corpo.

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San Francesco in estasi, 1622, olio sutela, Chiesa dei Girolamini, Napoli

La tela rappresenta SanFrancesco in estasi in unagrotta con accanto un teschio,un libro poggiato alla roccia,un rosario e una croce fattacon dei rami intrecciati; lascena è quella che preludealla concessione dellestigmate sul monte dellaVerna mentre il santo di Assisiè raccolto in preghiera.

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Quattordici amori bambini affollano l’aperto scenario.Alcuni degli spiritelli divini stanno sopra a una nobilezattera costruita a forma di ricciolo d’oro e uno deiquattro giovani naviganti, si è alzato in piedi, perlanciare la sua freccia in cielo, all’indirizzo di unacoppia di uccelli bianchi che già vola lontano. Dallospalto di un costone e grazie a una lunga fune, altridue putti alati trascinano il cocchio sul pelo diun’acqua che pare incantata e ferma, come fosse unospecchio del cielo.Intanto, dallo stesso sollevato terrapieno e conostentata noncuranza, un biondino sta urinandobellamente sulla testa di un compagno. Più sopra, trale nuvole, due angioletti non battezzati si rincorronobrandendo frecce e fiaccole infuocate, mentre altri piùtranquilli osservano le baruffe e si divertono acommentare tra loro. L’unico amore adulto è quelloche si sta compiendo a sinistra dell’inquadratura, tra lefrasche degli alberi, dove un satiro è intento adammaliare una ninfa, suonandole una musica soffiatada un flauto a siringa.

Giochi d'amore, 1601-09, Palazzo Farnese, Roma

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L’incantevole dipinto parla di un attimo infinito che dispiega diversi eventi simultanei, nessunodei quali vanta un dominio sugli altri, anche se tutti gli episodi formano un insieme simbolico.L’amore gioca scherzi mancini e si fa beffa dell’amore, questo sembra suggerirci la visione. Ipiccoli Eros dunque non si accorgono dell’amore adulto, quando sono impegnati a divertirsi conaltri giovani amori, a inventare dispetti e ad approntare inseguimenti.

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Paesaggio con ballo campestre,Londra, Matthiesen Gallery

Un piccolo dipinto che mette incampo le medesime relazioni traambientazione agreste e figure, lastessa visione limpida e satura di unanatura che accoglie un raccontobucolico, questa volta addiritturavillico. Un cerchio di persone vestite afesta, con le donne sedute sullepanche mentre gli uomini, perlopiùarmati di fucile e quasi pronti a unabattuta di caccia, sembrano vigilaresulla serenità del momento. La damapiù nobile delle altre è in piedi, alcentro dello spiazzo, e pare averconcesso un ballo a un giovane di piùmodesti costumi che con la destra leha preso la mano, mentre nell’altratiene ancora il suo cappellostropicciato, sicché la scena restasospesa a metà strada tra la supplica ela danza.

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Un altro musico impugna il liuto, ma è in pausa e si appresta a raccogliere dalla riva del fiume un fiasco di vino tenuto in fresco. Qualcuno dorme appoggiato a un sedile di legno e una giovane dama ostenta la propria indifferenza con la testa appoggiata al braccio e con lo sguardo distolto, mentre quasi tutti gli altri osservano curiosi. Come spesso succede in questi frangenti, le nonne badano i bambini.

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L’Aurora, 1613, affresco, Casino del Pallavicini, Roma

Guido Reni realizzò l'affresco inserendolo al centrodel soffitto, entro una grande cornice in stucco,opera di Ambrogio Buonvicino, immaginandolocome un "quadro riportato" cioè senza tener contodel fatto che andasse visto dal basso, per cui non siavvalse di alcuna prospettiva tanto che, per la suamigliore godibilità, è bene servirsi di uno specchio.Reni immaginò il sorgere del Sole dal mare,preceduto da Aurora che si libra nell'aria spargendofiori; il putto accanto a lei è Fosforo, la prima stelladel mattino. Segue il carro di Febo tirato da quattrofocosi cavalli dal manto di diverso colore a indicare idifferenti gradi di luce che precedono l'apparire delSole; nella quadriga, circondato dalle "Ore", siedeApollo.

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Cleopatra, 1640 circa, Firenze,Galleria Palatina di Palazzo Pitti

Solitamente molto sensuale, laregina dell'Egitto viene invecepresentata in modo moltoidealizzato, come era tipico dellapittura bolognese classicista: losguardo rivolto verso il cielo nelmomento in cui Cleopatra compieil suicidio, potrebbetranquillamente essere quello diuna qualsiasi santa di Guido Reni,il corpo non ha alcunché diprovocante e non sottende alcuntipo di erotismo, l'aspide tra lemani della regina sembra quasi uninnocuo vermetto.L'ambiente è decorato contendaggi e tessuti pregiati, e inprimo piano notiamo una cestacolma di fichi: secondo la storiainfatti, Cleopatra si sarebbe fattaportare l'aspide nascosto proprionella cesta di fichi.

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DOMENICO ZAMPIERI, IL DOMENICHINO (1581 – 1641)

Figlio di un calzolaio, verosimilmente dovette il soprannome alla bassastatura. Si formò a Bologna nella bottega di Denijs Calvaert, al fianco diGuido Reni e Francesco Albani per poi passare all’Accademia degliincamminati con Agostino e Ludovico Carracci. Divenne uno deimassimi rappresentanti del classicismo seicentesco. Nel 1601 giunse aRoma, dove studiò le opere di Raffaello ma anche le novità di AnnibaleCarracci.

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La caccia di Diana, 1616, Galleria Borghese, Roma

Protagonista del dipinto èDiana-Luna, che solleva insegno di trionfo arco e faretra.Attorno a lei si sviluppa unascena di caccia delle ninfe cheavviene sia in primo piano,lungo il fiume, sia sullo sfondotra le colline di un paesaggioalberato. In primo piano alcunegiovani donne aspettanodivertite il tiro delle frecce che,attraversando la tela, fannocentro sui due volatili all’altraestremità del dipinto.

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Tutto il percorso dei dardi, dasinistra a destra, è sottolineatodagli sguardi attenti delle ninfee dal movimento del levrieroche si impenna, pronto adandare a cercare la preda. Inprimissimo piano una ninfaguarda in direzione opposta,mentre in lontananza duefanciulle portano un cerbiattosulle spalle. In questaricchissima scena la caccia vienecolta nel suo aspetto più ludico,che emerge dai sorrisi dellegiovani donne immerse in unpaesaggio bucolico. Colpisce inparticolar modo la ninfaadagiata nel fiume che ciosserva in maniera quasisfrontata, forse ci vuole invitarea fare il bagno con lei, mentrel’amica cerca di indirizzare la suaattenzione verso la caccia.

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Il guado, 1606, Galleria DoriaPamphili, Roma

Il pittore mostra in un paesaggio 3azioni che si svolgonocontemporaneamente: un uomo cheattraversa il guado, una donna a destrain procinto di attraversare il guado eduna signora a sinistra che osserva. Letre azioni possono essere collegate aimomenti in cui si svolge l’azione e cioèil momento presente in cui l’uomoriesce nel suo intento, il momentofuturo che sarà quello in cui spetteràalla donna attraversare il guado ed ilmomento passato che è rappresentatodalla signora che ha visto attraversare ilguado. Ognuno di noi nel momentopresente, in casi di difficoltà puòritornare al passato, in particolare adimmagini vincenti o di padronanza eproiettarsi nel futuro immediato perimmaginare di risolvere, di riusciurenella sua performance.

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FRANCESCO ALBANI (1578 – 1660)

Sembra si sia iniziato all'arte sotto Dionigi Calvaert, manieristafiammingo naturalizzatosi bolognese, il cui "aggiustato e polito modo didisegnare" ben serviva all'introduzione dei corsi elementari dellapittura. Intorno al 1595, con molta probabilità, era già nello studio deiCarracci, che tenevano cattedra in Bologna, soprattutto con Ludovico.

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Danza degli Amorini, 1623, Pinacoteca di Brera, Milano

Rappresenta una festosa danzadi amorini intorno ad un albero,sul quale altri putti suonano varistrumenti. In primo piano, sonogli strumenti degli amorini, archie faretre, deposti sull'erba. Sullosfondo, a sinistra è una donnarapita e trascinata via su uncarro, scena identificata come ilratto di Proserpina da parte diPlutone, che innamoratosene laportò con sé negli inferi perfarne la sua sposa. A destrainvece fra le nubi Venere con lafiaccola bacia cupido, mentresotto è il tempio di Vesta, ancoroggi esistente a Roma, doveveniva conservato il fuoco sacro.

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I temirappresentatisembrano farpensare ad unacommissione legataad un matrimonio ouna promessanuziale. A ciò siriferirebbero gliamorini chefesteggiano unavolta deposte learmi con cui fannoinnamorare gliamanti, ilrapimento peramore di Proserpinada parte del diodegli inferi, e ilfuoco sacro di Vestasimbolo di amoreeterno.

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Toeletta di Venere, 1610, Musei Civici di Arte e Storia, Brescia

Venere, seduta di tre quartiverso destra e vestita conun manto che le lasciascoperto il busto, si guardain uno specchio sorretto daun putto alato; alle suespalle le tre Grazie sonointente a pettinarla e aporgerle monili; ai lati dellascena, gruppi di amorini invari atteggiamenti; nellosfondo, paesaggio marinosotto un cielo nuvoloso etempietto.

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GIOVANNI LANFRANCO (1582 – 1647)

La sua carriera inizia come paggio al servizio del conte Orazio Scotti aPiacenza, il quale scoprì il suo talento e lo mandò da Agostino Carracci,allora al servizio del duca Ranuccio Farnese a Parma, dove il giovaneLanfranco rimase fino all'improvvisa morte di Agostino avvenuta nel1602.

Il ventenne Giovanni si reca allora a Roma alla scuola di AnnibaleCarracci. Il maestro gli affida la decorazione, con affreschi e teleriportate, di un camerino detto degli Eremiti. Il soggiorno romano èmolto intenso: sotto la direzione di Annibale partecipa, con altri allievidella bottega del Carracci, alla decorazione della Cappella Herrera inSan Giacomo degli Spagnoli, e, nello stesso periodo, della GalleriaFarnese.

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La scelta di un linguaggiototalmente illusionistico, ildinamismo dellacomposizione con il motovorticoso delle nubi, lateatralità dei gesti, sono alcunidei tratti caratteristici diquest’opera. Il suo intento èquello di coinvolgerel’osservatore e condurlo allavisione ultraterrena al cuivertice si colloca Cristo,rappresentato al centro dellacupola.

Assunzione della Vergine, 1625,Chiesa di Sant’Andrea dellaValle, Roma

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La scena si apre, quando il miracolo è già compiutoe gli Apostoli distribuiscono il pane ed i pesci.Nel dipinto compaiono:Gesù Cristo, in piedi, al centro della scena;gliApostoli, accanto a Gesù, sono stupiti di fronte almiracolo appena avvenuto; folla dei fedeli accorsiper ascoltare Gesù che si perde in lontananza.Traessi si notano ceste e ceste di cibo che vengonofatte passare tra i fedeli sistemati nel paesaggiolimitrofo al lago di Tiberiade. Alla fine, avanzerannododici canestri di pani d'orzo. Tra i fedeli vannonotati: giovane, seduto ai piedi di Gesù, di spalle,torce il busto per guardare il Messia, allude allapresenza del ragazzo con cinque pani d'orzo e duepesci, permettendo di indicare nel Vangelo diGiovanni l'esatta fonte letteraria; bambino, in primopiano, con la bocca spalancata, prende il pane dallamadre; giovane con il mantello rosso, a destra,parla con un altro personaggio e punta l'indiceverso l'alto, ad indicare la presenza del divino, delMessia.

Moltiplicazione dei pani e dei pesci (1624 -1625), olio su tela, Dublino

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Venere che suona l'arpa, 1634 , galleria nazionale d’arte antica in palazzo barberini

La tela venne realizzata per il celebremusicista Marco Marazzuoli, dettoMarco dell’Arpa per via del suoproverbiale virtuosismo nell'uso diquesto strumento. La figura femminilein atto di suonare l'arpa vaprobabilmente identificata con unagiovane Venere, come suggerisce lapresenza di due putti alati sullo sfondo.Il prezioso strumento musicale quiraffigurato apparteneva alla famigliaBarberini, come dimostra la presenzadelle api nel suo fine intaglio ligneo.L'arpa è attualmente uno dei capolavoriconservati a Roma presso il Museo degliStrumenti Musicali.

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GIOVAN BATTISTA BARBIERI, IL GUERCINO, (1591 –1666)

Il soprannome di Guercino dovette essergli aggiunto molto presto, se è vero quel che narra la tradizione, che «essendo ancora in fasce,occorse che un giorno, mentre egli dormiva [ ... ] ci fu chi vicino a lui proruppe d'improvviso in grido così smoderato e strano che il fanciullo,svegliatosi pieno di spavento, diedesi a stralunar gli occhi [ ... ] per siffatta guisa, che la pupilla dell'occhio destro gli rimase travolta e fermaper sempre nella parte angolare».

Mostrò a sei anni una particolare inclinazione per il disegno e a otto anni, «senza avere avuto maestro alcuno, e soltanto sulla scorta d'unaimmagine in stampa, egli dipinse una «Madonna di Reggio» sulla facciata della casa dove abitava» che si poté vedere fino a quando, due secolidopo, la casa fu demolita. Assecondando le tendenze del figlio, il padre lo mandò a studiare, verso il 1600, nel vicino paese di Bastiglia, da unmodesto artista, chiamato Bartolomeo Bertozzi, che «dipingeva a guazzo», nella cui casa si stabilì per alcuni mesi, potendovi apprendere,commentano i biografi, solo la conoscenza e la mescolanza dei colori.

Considerando che il figliolo mostrava un talento che tuttavia occorreva educare e rafforzare, nel 1607 il padre lo affidò a un «pittoretollerabile» di Cento, Benedetto Gennari senior, che lo tenne con sé, corrispondendogli anche «annualmente certa poca moneta come perregalo» affidandolo poi, verso il 1609, per maggiore e migliore istruzione, a Bologna, prima «a dozzina per una soma di grano e una castellatadi vino, in casa di Paolo Zagnoni, pittore di poca levata» e poi da Giovan Battista Cremonini, «pittore di qualche merito e veloce e pratico neldipignere, massime a fresco, e prestamente ancora insegnava a' scolari, onde il nostro Barbieri molto profittò in breve tempo».

Il soggiorno bolognese fu tanto più proficuo in quanto permise al giovane apprendista di studiare le opere di valore lì conservate e, fra lemoderne, quelle dei Carracci. Egli stesso dirà anni dopo di aver tratto profitto dallo studio della Conversione di San Paolo di Ludovico Carracci,allora nella chiesa di San Francesco, e d'un'altra sua tela, una Madonna con Bambino e santi, allora conservata nella chiesa dei Cappuccini aCento, che l'adolescente Guercino chiamava «la sua Carraccina», ossia «la sua cara zinna», dalla quale avrebbe tratto il latte dell'arte, e non sistancava di osservare, arrampicandosi su una scala per studiarla da vicino.

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Guercino dipinse questo capolavorodurante uno dei suoi frequentisoggiorni presso la corte modenese,su commissione del duca Francescod’Este. Alla metà del secolo l’operadecorava la Camera dei Sogni nelPalazzo Ducale di Sassuolo, assiemead altre cinque tele dell’artistacentese. Con un invenzioneformidabile, Cupido è ritrattonell’atto di scoccare il dardo drittoverso lo spettatore, seguendol’indicazione di Venere, la cui manodestra è dipinta quasi a trompe l’oeil.Chi guarda è così chiamato aidentificarsi nel committentedell’opera, il duca Francesco inpersona. In secondo piano Martescopre la scena accentuando il sensodi irruzione improvvisadell’invenzione artistica nel mondoreale.

“Venere, Marte e Amore”, 1633, Modena

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Visione di Soriano, 1655, Chiesa deiDomenicani, Bolzano

Il dipinto rappresenta un temaricorrente nell'iconografiadomenicana e cioè l'apparizionedella Madonna a un domenicanodel convento di Soriano Calabro,che avrebbe avuto luogo la nottedel 15 settembre 1530. Al frateconverso Lorenzo da Grotteriasarebbe apparsa la Madonnaaccompagnata dalla Maddalena eda Santa Caterina d'Alessandria: altermine dell'apparizione, nellemani dello stupefatto fratesarebbe rimasta una tela cherappresentava san Domenico diGuzmán, fondatore dell'Ordine,con in una mano un libro, simbolodella sapienza dei membridell'Ordine e un giglio, simbolodella loro purezza.

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Susanna e i vecchioni, 1650, olio su telaGalleria nazionale, Parma

Susanna è la sposa affettuosa edirreprensibile di Joachim, un riccoebreo, il quale abitava in un palazzocircondato da un parco dove invitavaper incontri e pranzi i suoi concittadini.Tra questi invitati c'erano due anzianimagistrati che si eranoappassionatamente invaghiti diSusanna, senza però confessare l’unl’altro questa cieca attrazione.Un caldo pomeriggio d'estate

Susanna, dopo aver salutato le sueamiche, si spogliò nuda senza rendersiconto che occhi estranei la stavanospiando: i due vecchi non avevanoresistito alla tentazione e si eranonascosti nel parco di Joachim e lì sierano incontrati ed insiemearchitettarono uno sporco ricatto:calunniarla per un adulterio maicommesso.

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Sepoltura e gloria di santa Petronilla, 1623, olio su tela, Musei Capitolini, Roma

Il dipinto è diviso su due registri: nella parte alta Petronilla,umilmente inginocchiata, è accolta nei cieli da Cristo a suavolta contornato da una schiera angelica. L'elevazioneall'empireo della giovane è suggellata dalla suaincoronazione, azione cui si accinge un angioletto chediscende sulla destra della pala.Nella parte bassa della tela, al centro in primissimo piano,vediamo il corpo di Petronilla che sta per essere inumatonel sepolcro da due necrofori.Ai lati dei personaggi centrali si scorge a sinistra un primogruppo di astanti di cui fanno parte un ragazzo che reggeun cero acceso e, più esternamente, due donne piangenti eun bambino che poggia le mani sul catafalco di Petronilla.Un altro gruppo di partecipanti all'evento è raffigurato sulladestra: quasi fuori dalla composizione (ne vediamo solo latesta e una mano indicante verso il centro del dipinto) c'èun uomo in turbante che sembra stia fornendoinformazioni su quanto sta accadendo; completano ilgruppo di destra un vecchio barbuto e un giovaneelegantemente abbigliato secondo la modacontemporanea.

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Benché l'episodio terreno siaprevalentemente letto come il funeraledi Petronilla celebrato subito dopo lasua morte (quindi staremmo assistendoalla sua inumazione nella catacomba diDomitilla e ci troveremmo nel I secolo),vi è chi ha posto in luce come questoepisodio possa essere diversamenteinterpretato come la riesumazione delcadavere della santa dalla catacombaper traslarne le spoglie in San Pietro(quindi la scena dovrebbe intendersiambientata nell'VIII secolo).Anche l'ambientazione non è utile adirimere il dubbio: gli astanti sonoastoricamente vestiti in abiti delSeicento secondo una voga pittoricainaugurata dal Caravaggio, consistenteper l'appunto nell'inscenare episodisacri del lontano passato nella realtàcontemporanea. Gli sfondiarchitettonici poi non sembranoalludere ad alcun luogo o tempo precisi,ma sono solo generiche rovine romane.

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L’Aurora rappresenta l’antitesi di quella dipinta da Guido Reninel Casino Rospigliosi raffigurante l'Aurora, giovane Dea, cheavanza su un carro tirato da due cavalli , mentre la notte fuggedavanti a lei e un genio in volo, incorona Aurora di fiori mentreun altro, sul carro, sparge fiori tutt’intorno; da una parte, sulletto, è il vecchio marito Titone; in alto, tre giovani donneraffigurano altrettante stelle, una delle quali versa rugiada daun’urna.Il carro di Eos passa velocemente sopra le architetture chevengono viste con prospettiva illusionistica aperte verso il cielo.I colori sono purissimi e culminano nella pezzatura del mantodei cavalli che con foga trainano il carro. L’impronta barocca siunisce all’influenza della pittura veneziana.L’artista vuole rappresentare non semplicemente il sorgere diun qualunque nuovo giorno, ma allegoricamente l’alba di unanuova era di gloria per la famiglia Ludovisi.

Aurora, 1621, affresco, Casino di Villa Boncompagni Ludovisi, Roma

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Et in Arcadia ego, 1618-1622, olio su telaGalleria Nazionale di Palazzo Barberini, Roma

Due giovani pastori, appoggiati a deibastoni da viaggio, osservano conun’espressione sgomenta un teschio indecomposizione. Sono abbigliati conabiti seicenteschi. Indossano, infatti,camicie abbondanti e uno di loro, unampio cappello. Il pastore di sinistra èadolescente mentre il suo compagno,seppur molto giovane, ha una foltabarba scura. I due pastori sbucano dalfitto della boscaglia e osservano adestra il teschio posto su di una base inmattoni. Su di un mattone, rivolto versoil fronte del dipinto, si leggechiaramente, una scritta incisa, Et inArcadia Ego.

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Il teschio è rivolto di tre quartiverso lo spettatore del dipinto. Puressendo integro manca di alcunidenti, gli incisivi inferiori. Un grossomoscone si è posato sul cranio esotto di esso cresce del muschio. Adestra, in prossimità dellamandibola, un topolino rosicchia identi mentre a destra, un bruco,forse una processionaria, strisciasul piano. In alto, sulla macèria, unuccello osserva la scena. Sulmuretto crescono alberi e altravegetazione mentre sullo sfondo lecolline segnano l’orizzonte controun cielo scuro e nuvoloso.

Et in Arcadia Ego è una frase latina che può essere interpretatadiversamente a seconda del tempo verbale sottinteso.Potrebbe, infatti essere tradotta come “in Arcadia ero presenteanch’io” (eram), in questo caso il soggetto è il poeta morto, o lasua fama. Oppure “in Arcadia ci sono anche io” (sum), nel casopresente il soggetto è la morte che dichiara la sua attività nelluogo mitico.

La morte è presente persino in un luogo cosìidilliaco a dichiarare l'evanescenza dellabellezza terrena e l'inevitabile destino dimorte che attende ogni uomo.