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Paolo VI

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Paolo VI

Giovanni Battista Montini nasce a Concesio (Brescia)

il 26 settembre 1897 da Giorgio Montini, esponente di

primo piano del cattolicesimo sociale e politico

italiano di fine Ottocento, e da Giuditta Alghisi.

Ordinato sacerdote il 29 maggio 1920, si trasferisce a

Roma dove, tra il 1920 e il 1922 frequenta i corsi di

Diritto civile e di Diritto canonico presso l’Università

Gregoriana, e Lettere e Filosofia presso l’Università

statale.

Nel maggio 1923 inizia la carriera diplomatica presso

la Segreteria di Stato in Vaticano. Inviato a Varsavia

come addetto alla Nunziatura Apostolica, rientra in

Italia dopo qualche mese.

Nel 1924 è nominato assistente ecclesiastico del

Circolo romano della FUCI (Federazione

Universitaria Cattolica Italiana); l’anno dopo diventa

assistente ecclesiastico nazionale della stessa

Federazione, carica che lascerà nel 1933.

Cenni biografici

1925: assistente nazionale della FUCI

La FUCI sta vivendo un

momento critico perché la

dirigenza precedente viene

sostituita d’autorità dalla

Santa Sede con l’intento di

un controllo più saldo

dell’associazione.

I nuovi capi, l’assistente

Montini e il presidente

Igino Righetti, per lungo

tempo vengono guardati

con sospetto dai fucini di

cui lentamente si

conquistano la fiducia

attraverso un programma

che mira a “fare per prima,

per massima cosa, azione

interiore, culturale e

spirituale”, come sottolinea

lo stesso Montini.

Il cammino della FUCI, già non facile per motivi

politici, è reso ancor più difficile da alcuni

ambienti ecclesiastici in un contesto cattolico

italiano diviso sul giudizio circa il regime fascista

e anche su indirizzi e scelte d’ordine culturale e

spirituale.

Montini è preso di mira e già nel maggio 1925

deve difendersi con il cardinale vicario di Roma B.

Pompilj dall’accusa che il circolo universitario sia

asservito alla linea del Partito Popolare. L’accusa

si somma all’ostilità dei Gesuiti, che dirigono

alcune opere rivolte al mondo studentesco romano

con metodi educativi tradizionali dai quali la FUCI

si distingue nettamente per una linea formativa

molto più aperta.

La situazione si aggrava nel 1931: a Pompilj

succede il cardinale F. Marchetti Selvaggiani,

deciso fautore dei Gesuiti, che nel 1933 costringe

praticamente l’assistente della FUCI a rassegnare

le dimissioni.

Il 13 dicembre 1937 è nominato

Sostituto della Segreteria di Stato e

il 29 novembre 1952 Pro-Segretario

di Stato per gli Affari Straordinari.

Il 1° novembre 1954 Pio XII lo

elegge arcivescovo di Milano.

Il 15 dicembre 1958 è creato

cardinale da Giovanni XXIII.

Il 21 giugno 1963 viene eletto

Pontefice e il 29 settembre apre il

secondo periodo del Concilio

Vaticano II, che concluderà

solennemente l’8 dicembre 1965.

Agli inizi di febbraio del 1930 avviene un

cambiamento importante ai vertici della Santa

Sede perché è nominato segretario di Stato il

cardinale Pacelli in sostituzione del cardinale

Gasparri, che ha lasciato l’incarico, assunto nel

1914, per divergenze personali con Pio XI.

Montini, che dal 1932 si è trasferito nella Città

del Vaticano assumendone anche la

cittadinanza, diventa progressivamente uno dei

più stretti collaboratori del nuovo segretario di

Stato.

Nel dicembre 1937 è nominato sostituto della

Segreteria di Stato. Pacelli lo preferisce

all’altro candidato, Carlo Confalonieri,

segretario personale di Pio XI. In questo

importante incarico Montini succede a

Domenico Tardini, che lo stesso giorno è

nominato segretario della Congregazione per

gli Affari Ecclesiastici Straordinari.

La benevolenza e la stima

personale del papa non

impediscono che il 1° novembre

del 1954 si arrivi all’inattesa

nomina di Montini ad

arcivescovo di Milano, vissuta

dall’interessato e generalmente

interpretata come una rimozione

dal suo ufficio di vicinissimo

collaboratore del papa.

La decisione pone tuttavia il

prelato cinquantasettenne alla

testa della più importante

diocesi del mondo, anche se

non viene accompagnata dal

cappello cardinalizio,

tradizionalmente assegnato agli

arcivescovi di Milano, né in

seguito Pio XII terrà più

Concistori per creare nuovi

cardinali.

Arcivescovo di Milano

Montini si trova di colpo proiettato a

guidare la più grande diocesi cattolica per

numero di preti, di parrocchie e

d’istituzioni e ad affrontare i complessi

problemi della città che dal punto di vista

economico e sociale più rappresenta la

ricostruzione e la crescita tumultuosa del

Paese, in un contesto caratterizzato da

massicce immigrazioni dalle regioni

meridionali, dalla costituzione di enormi

periferie intorno alla città e dal punto di

vista religioso da una sempre più rapida e

radicale secolarizzazione.

Egli affronta con risolutezza il nuovo

compito e già il 15 febbraio 1955

pubblica la sua prima lettera pastorale per

la Quaresima, inaugurando così una

consuetudine poi mantenuta durante tutto

il suo episcopato.

L’8 settembre 1955 inizia la

visita pastorale della diocesi,

che in meno di otto anni

coinvolgerà 820 parrocchie su

un totale di 968, mentre

cominciano a moltiplicarsi gli

impegni e gli incontri con

gruppi e con singoli, quasi

sempre occasione per scritti,

omelie e discorsi: tra questi,

annuali e importanti sono fin

dal 1955 quelli per le feste dei

due santi milanesi, s. Carlo

Borromeo, il 4 novembre, e

soprattutto s. Ambrogio, il 7

dicembre.

Durante il suo episcopato benedice e consacra

34 nuove chiese mentre altre 89 lascia in

costruzione o con progettazioni ultimate.

Dopo una preparazione di quasi due anni, dal 5

al 24 novembre 1957 si tiene una capillare

“missione di Milano”, proposta dai parroci

della città e definita da Montini uno “sforzo

pastorale per richiamare alla vita religiosa,

sincera, autentica, una intera città”.

Per l’occasione l’arcivescovo sottoscrive un

“invito ai lontani” e fa pubblicare Il rituale

della famiglia, una raccolta di “preghiere che

la famiglia può da sé, e per sé recitare”.

Fin dall’inizio dell’episcopato Montini riserva

una speciale attenzione al mondo del lavoro

tanto che verrà definito “l’arcivescovo dei

lavoratori”. Già negli anni Quaranta infatti

aveva avuto parte nella fondazione delle ACLI,

le Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, e

proprio nei confronti di questa organizzazione

avrà un interesse continuato e poi preoccupato

della sua evoluzione a sinistra.

Il nome dell’arcivescovo di Milano

risuona più volte nei preparativi del

conclave del 1958, e durante le

votazioni Montini ottiene alcuni

voti dimostrativi.

Il nuovo papa Giovanni XXIII,

eletto il 28 ottobre, non esita a

promuovere subito Montini, che

conosce fin dal 1925 e con cui ha

intensificato le relazioni dopo

essere divenuto cardinale patriarca

di Venezia. Già il 4 novembre gli

comunica la sua intenzione di

crearlo cardinale insieme a Tardini,

che nomina poi suo segretario di

Stato.

Posizione anomala di Montini

dentro l’episcopato italiano

Interesse per il movimento

ecumenico e per il

rinnovamento liturgico ed

ecclesiologico.

Reazione entusiasta

all’annuncio del concilio.

Lettera pastorale della

Quaresima del 1962

Il cardinal Montini nella fase preparatoria del Concilio

Montini al Concilio

La posizione personale di Montini può essere

riassunta tenendo presenti alcuni punti importanti:

- i suoi rapporti privilegiati con Giovanni XXIII, che

lo trattava come un figlio prediletto e, agli occhi di

molti, come suo possibile successore;

- l’isolamento di Montini tra i vertici della CEI e i

suoi difficili rapporti con gli ambienti conservatori

della Curia romana;

- il suo riserbo fino al momento in cui il papa stesso,

sapendo di essere gravemente malato, sembrò

spingerlo a prendere posizione nel dibattito in corso;

- il particolare prestigio di cui Montini godeva fra gli

episcopati stranieri presenti in Concilio e la sua attiva

collaborazione per un nuovo e diverso orientamento

al Vaticano II.

Lettera di Montini al Segretario di Stato card. Cicognani

A una settimana dall’inizio del Concilio, il 18

ottobre 1962, Montini scrive al Segretario di

Stato Vaticano cardinale Amleto Cicognani

una lunga lettera, assai importante.

Anzitutto manifesta la propria preoccupazione

per la mancanza di un disegno organico:

«Con profonda umiltà, spinto da altri Vescovi,

della cui saggezza non posso dubitare, tra i

quali i miei venerati Confratelli

dell’Episcopato Lombardo, mi permetto

richiamare la sua considerazione sul fatto che

a me e ad altri Padri del Concilio sembra

molto grave, della mancata, o almeno della

non annunciata esistenza di un disegno

organico, ideale e logico, del Concilio,

felicemente inaugurato e seguito dagli occhi

di tutta la Chiesa e di quelli anche del mondo

profano».

«Il Concilio Ecumenico Vaticano II deve

essere polarizzato intorno a un solo tema: la

santa Chiesa. Così vuole la connessione con il

Concilio Vaticano I, interrotto durante la

trattazione di tale argomento.

Così si attende tutto l’Episcopato per sapere

quali siano precisamente le sue potestà, dopo la

definizione delle potestà pontificie, e quale il

rapporto fra queste e quelle…

Così sembrano desiderare gli uomini del nostro

tempo, che della nostra religione soprattutto e

spesso soltanto considerano il fatto

ecclesiologico.

La santa Chiesa dev’essere l’argomento

unitario e comprensivo di questo Concilio; e

tutto l’immenso materiale preparato dovrebbe

scompaginarsi intorno a questo ovvio e

sublime suo centro».

Il Concilio deve occuparsi della Chiesa

«La seconda sessione dovrebbe

invece considerare la missione della

Chiesa, che cosa fa la Chiesa. E

sarebbe bello e facile, a parer mio,

riassumere in diversi capitoli le

molteplici attività della Chiesa:

Ecclesia docens, Ecclesia orans (qui

doveva venire la trattazione sulla

sacra liturgia),

Ecclesia regens (impegnata cioè a

vari uffici della vita pastorale),

Ecclesia patiens, ecc.

Tutte le questioni morali, dogmatiche

(in ordine ai bisogni del nostro

tempo), caritative, missionarie, ecc.,

in questo secondo tempo del Concilio

potrebbero trovare ordinata

trattazione».

Che cosa dovrebbe fare la Chiesa

«Infine una terza sessione sarà necessaria,

riguardante le relazioni della Chiesa con il

mondo che è intorno, fuori e lontano da lei.

E cioè:

1) le relazioni con i fratelli separati;

2) le relazioni con la società civile (la pace,

i rapporti con gli Stati, ecc.);

3) le relazioni con il mondo della cultura,

dell’arte, della scienza…;

4) le relazioni con il mondo del lavoro,

dell’economia, ecc.;

5) le relazioni con le altre religioni;

6) le relazioni con i nemici della Chiesa».

La Chiesa nei suoi rapporti con il mondo

21 giugno 1963:

Papa Paolo VI

Poche settimane dopo l’elezione, il 5 agosto 1963, iniziando un ritiro

spirituale nella residenza papale di Castelgandolfo, Montini scrive alcune

riflessioni sul suo nuovo ruolo:

“Bisogna che mi renda conto della posizione e della funzione, che ormai mi

sono proprie, mi caratterizzano, mi rendono inesorabilmente responsabile

davanti a Dio, alla Chiesa, all’umanità. La posizione è unica. Vale a dire che

mi costituisce in un’estrema solitudine. Era già grande prima, ora è totale e

tremenda. [...]

Niente e nessuno mi è vicino. Devo stare da me, fare da me, conversare con

me stesso, deliberare e pensare nel foro intimo della mia coscienza. [...]

Anzi io devo accentuare questa solitudine: non devo avere paura, non devo

cercare appoggio esteriore, che mi esoneri dal mio dovere, ch’è quello di

volere, di decidere, di assumere ogni responsabilità, di guidare gli altri,

anche se ciò sembra illogico e forse assurdo. E soffrire solo. [...]

La lucerna sopra il candelabro arde e si consuma da sola. Ma ha una

funzione, quella di illuminare gli altri; tutti, se può. Posizione unica e

solitaria; funzione pubblica e comunitaria. Nessun ufficio è pari al mio

impegnato nella comunione con gli altri”

La conduzione conciliare di Paolo VI

- La ripresa del Concilio costituisce il primo punto del programma del nuovo papa.

- Paolo VI afferma che il papa non è il semplice notaio del Concilio.

- Nomina un gruppo di quattro moderatori: i cardinali Agagianian, Döpfner, Suenens

e Lercaro. Dirigeranno a turno le congregazioni diventando i veri responsabili

dell’andamento del Concilio.

- Dispone la riduzione degli schemi preparati dalla Commissione centrale

preparatoria: da 72 a 17.

- Accresce il numero degli osservatori non cattolici e invita altri osservatori laici

- Istituisce un Segretariato per i non cristiani

- Migliora l’Ufficio stampa vaticano.

- Nel segno della continuità, conferma il card. Cicognani come presidente della

Commissione di coordinamento e mons. Felici quale segretario generale del Concilio.

Con un gesto altamente simbolico, il

13 novembre 1964, in S. Pietro, il

papa depone sull’altare la preziosa

tiara-triregno, dono della diocesi di

Milano, emblema di un potere

temporale e politico legati a un

papato nel quale non si riconosce

più.

È un gesto pedagogico, che mira a

educare a un cambio di mentalità e

di stile che la stagione conciliare

esige.

La tiara è poi donata ai cattolici

statunitensi in segno di

riconoscimento del loro aiuto ai

Paesi poveri e collocata nel santuario

dell’Immacolata Concezione

di Washington, mentre da allora il

papa non farà più uso di nessun’altra

tiara.

I gesti simbolici di Paolo VI

Il breve viaggio di Paolo VI in

Terra Santa, dal 4 al 6 gennaio

1964, ebbe una straordinaria

importanza simbolica: non solo

perché era il primo viaggio di un

papa all’estero dall’inizio

dell’Ottocento, ma anche perché

era un pellegrinaggio alle fonti

del cristianesimo, un modo di

“decentrare” la Chiesa riunita in

concilio – da Roma alla Palestina

– e di ricentrarla tutta sul suo

Fondatore Gesù Cristo. Inoltre il

viaggio fu un evento ecumenico

nella misura in cui fu anche

l’occasione per un duplice

incontro storico con il patriarca

di Costantinopoli Athenagoras.

Il viaggio

in Terra Santa

Il 4 ottobre 1965 Paolo VI

compie una visita alla sede

dell’ONU a New York per

il 20° anniversario della

fondazione.

Questa visita manifesta il

ritorno della Santa Sede

sulla scena mondiale.

Nel suo discorso

pronunciato in francese

davanti all’assemblea

generale delle Nazioni

Unite, il papa si presenta

come messaggero di pace e

di solidarietà.

Il suo grido fa il giro del

mondo: «Mai più la guerra,

mai più la guerra».

Visita all’ONU

Il 7 dicembre 1965 ha luogo la cerimonia di

cancellazione delle scomuniche reciproche del

1054. In una dichiarazione comune Paolo VI e

il patriarca Athenagoras affermano che le

sentenze di scomunica erano dirette contro le

persone, non contro le Chiese, e che non

avevano per scopo di rompere la comunione

ecclesiale. L’abbraccio tra il papa e il delegato

di Costantinopoli è salutato dal più lungo

applauso di tutto il Concilio.

La cerimonia di chiusura si svolge l’8

dicembre 1965, sul sagrato della basilica di

San Pietro, alla presenza di delegazioni di 81

governi e di 9 organizzazioni internazionali.

Alla fine della Messa vengono letti 7 messaggi

voluti dal papa in nome del Concilio e

indirizzati alle varie categorie dell’umanità: i

governi, gli uomini di pensiero e di scienza, gli

artisti, gli operai, le donne, i giovani, i poveri, i

malati e tutti i sofferenti.

La cancellazione delle scomuniche e la conclusione

Il 6 agosto 1964 promulga la Ecclesiam suam sua prima

enciclica e programma del suo pontificato. Con

l’intenzione di incoraggiare l’opera del concilio sul dovere

e sulla necessità per la Chiesa di “approfondire la

coscienza di se stessa”, di riflettere sul suo necessario

rinnovamento e di dialogare con il mondo moderno, il

papa delinea l’apertura della Chiesa cattolica nei confronti

di tre cerchi concentrici intorno a essa, il primo costituito

da “tutto ciò ch’è umano”, compresi quanti si professano

atei, il secondo dai credenti delle religioni non cristiane, e

il terzo dagli altri cristiani, nella convinzione profonda del

suo ruolo:

“La Chiesa avverte la sbalorditiva novità del tempo

moderno; ma con candida fiducia si affaccia sulle vie della

storia, e dice agli uomini: io ho ciò che voi cercate, ciò di

cui voi mancate. Non promette così la felicità terrena, ma

offre qualche cosa - la sua luce, la sua grazia - per poterla,

come meglio possibile, conseguire; e poi parla agli uomini

del loro trascendente destino. E intanto ragiona ad essi di

verità, di giustizia, di libertà, di progresso, di concordia, di

pace, di civiltà. Sono parole queste, di cui la Chiesa

conosce il segreto; Cristo glielo ha confidato”.

Nell’omelia del 7 dicembre la visione montiniana

dell’incontro tra la Chiesa e il mondo si dispiega in

tutta la sua ampiezza:

“La Chiesa del Concilio, sì, si è assai occupata, oltre

che di se stessa e del rapporto che a Dio la unisce,

dell’uomo, dell’uomo quale oggi in realtà si presenta.

[...] Tutto l’uomo fenomenico, cioè rivestito degli

abiti delle sue innumerevoli apparenze, si è quasi

drizzato davanti al consesso dei Padri conciliari, essi

pure uomini, tutti Pastori e fratelli, attenti perciò e

amorosi. [...] L’umanesimo laico profano alla fine è

apparso nella terribile statura ed ha, in un certo senso,

sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto

Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è)

dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno

scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non

è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il

paradigma della spiritualità del Concilio. Una

simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei

bisogni umani [...] ha assorbito l’attenzione del nostro

Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti

moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose

supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo:

anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo”.

I viaggi

Dopo la Terra Santa, Paolo VI si reca a Bombay e a New York. Il 13 maggio

1967 visita in forma privata il santuario portoghese di Fátima.

L’intento ecumenico è prevalente nel viaggio in Turchia, dove il 25 luglio

1967 il papa incontra a Istanbul, nella residenza del Fanar, il patriarca

Atenagora recandosi il giorno seguente a Smirne ed Efeso.

Nell’agosto 1968 è la volta della Colombia: a Bogotá ripete la dura condanna

delle ingiustizie sociali già espressa nella Populorum progressio, ma afferma

al tempo stesso la necessità d’evitare la violenza.

Nel 1969 va a Ginevra per visitare l’Organizzazione internazionale del

lavoro e il Consiglio ecumenico delle Chiese.

Poche settimane dopo tocca all’Uganda, a Entebbe, a Kampala e a

Namugongo, dove prega davanti ai luoghi consacrati alla memoria dei

martiri, cattolici e anglicani.

L’ultimo viaggio, dal 26 novembre al 5 dicembre 1970, porta il papa in ben

otto Paesi: Iran (con uno scalo a Teheran), Pakistan orientale (all’areoporto

di Dacca, con una sosta voluta in segno di solidarietà per le alluvioni che

avevano devastato il Paese), Filippine (a Manila, dove appena arrivato

subisce un attentato da parte di un fanatico, che lo ferisce con un’arma da

taglio), Samoa orientali, Australia, Indonesia (a Giacarta), Hong Kong (da

dove rivolge un accenno alla Cina) e Srī Laṅkā (a Colombo).

L’anno santo del 1975

Su un argomento delicato, affrontato

dal Concilio già nel 2° periodo, durante

l’esame dello schema XIII sulla Chiesa

e il mondo contemporaneo che porterà

alla Gaudium et spes, il papa fa sapere

di riservare a sé la questione del

controllo delle nascite.

Nel dibattito sulla dignità del

matrimonio e della famiglia emergono

questioni come il divorzio e la

contraccezione, che Paolo VI segue

con apprensione. Egli vuole che nel

testo sia citata la dottrina dei papi

precedenti.

Il Concilio accetta le sue osservazioni

senza cambiare la sostanza del

documento, che è già stato votato e

approvato; si aggiunge una nota dove si

dice l’intenzione di non proporre

soluzioni concrete, in attesa che le

questioni siano approfondite da

commissioni istituite allo scopo.

Il tema

del controllo delle nascite

Altro tema scottante è quello che tocca il

celibato dei preti, sul quale nell’estate

1965 si accende un dibattito pubblico:

sulla stampa si parla apertamente di

matrimonio dei preti e appelli in questo

senso si registrano in vari Paesi d’Europa,

soprattutto in Olanda, ma anche a Roma.

Paolo VI è preoccupato; ma anche larga

parte della maggioranza ritiene che il

tema sia troppo delicato per discuterlo in

Concilio.

Il papa invia una lettera ai Padri in cui

avoca a sé la questione, aggiungendo di

avere l’intenzione di rafforzare il celibato

dei preti, legge sacra. I padri conciliari

sono invitati eventualmente a inviare il

proprio parere alla presidenza del

Concilio, che lo trasmetterà al papa.

I padri reagiscono, in maggioranza,

positivamente. L’enciclica Sacerdotalis

Caelibatus, il 24 giugno 1967, affronterà

e chiuderà la questione.

Il celibato dei preti

Lettura consigliata

Giovanni XXIII e Paolo VI. I papi del Vaticano II,

a cura di E. Bolis, Studium 2014, pp. 161-228.