Premio giornalistico Sabrina Sganga Questione di stilista immune da due vizi assai diffusi nella...

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Il premio secondo... 2015 Associazione Sabrina sganga Questione di stili Premio giornalistico Sabrina Sganga

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Il premio secondo...

2015

Associazione Sabrina sganga

Questione di stili

Premio giornalisticoSabrina Sganga

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In questo fascicolo sono stati raccolti i testi pubblicati in “Il premio secondo...”, la rubrica nata dalla volontà di raccontare Sabrina Sganga ed il suo lavoro attraverso il punto di vista di chi l’ha cono-sciuta, sottolineando la necessità e l’importanza del Premio giorna-listico a lei dedicato.La rubrica è nata nel 2013, primo anno del premio, ed ha riunito sia i testi di giurati e amici, i quali hanno sottolineato più il lato umano di Sabrina descrivendola come una giornalista che ha sem-pre portato avanti il suo lavoro con dedizione e passione, sia dei vincitori delle edizioni passate che hanno interpretato, attraverso i loro progetti, l’operato di Sabrina, lo hanno fatto proprio, raccon-tando poi cosa abbia significato per loro la vittoria di un premio che tende a dare voce a quel giornalismo difficilmente presentato nelle nostre testate.

Questione di stili

Premio giornalisticoSabrina Sganga

Il premio secondo...

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Sabrina Sganga aveva un modo di fare giornalismo tutto suo. Lo aveva modellato nel tempo, avendo come materia prima l’umiltà della cronista e lo stile che caratterizzava la sua vita personale. Non era una primadonna ed era rima-sta immune da due vizi assai diffusi nella categoria: da un lato la tendenza a compiacere le proprie fonti, i propri in-terlocutori, specie se istituzionali e in posizioni di potere; dall’altro la preferenza per gli argomenti più legittimati e consolidati, quelli che danno maggiore visibilità.Sabrina era curiosa e aveva un fondo di scetticismo, di sano scetticismo, che la spingeva, si può dire naturalmen-te, a diffidare del potere e a dubitare delle idee e delle mode correnti. Da quest’impasto è nata la sua attenzione pionieristica per quei mondi - le economie alternative e solidali, il consumo critico, la prospettiva di chi contesta la globalizzazione neoliberista - che stentano ancora a tro-vare legittimazione nel mondo del giornalismo ufficiale e semi ufficiale. Anche quando prese ad occuparsi del movimento per la giustizia globale (i cosiddetti no global), non si concentrò sulla parte emergente e più vistosa di quel magma poli-tico e sociale, cioè le manifestazioni, i grandi forum, la lotta contro la guerra, ma sugli aspetti più profondi e più concreti di quel movimento, cioè la costruzione, certo su piccola scala, di pezzetti di società nuova.La curiosità della cronista di sommava a quella di una giovane donna che non esitava a mettere in discussione ciò che riteneva di avere appreso fin lì; era desiderosa di ascoltare e anche di imparare, un’attitudine infrequente all’interno della professione. E tuttavia, anche quando si occupava di nuovi modi di produrre e consumare; quan-do visitava un eco villaggio o si occupava di un gruppo di acquisto solidale; quando ragionava su modi di concepi-re la salute, la medicina, l’alimentazione diversi da quelli maggioritari, non rinunciava alla sua capacità di dubitare,

che è la premessa per comprendere davvero le persone e i loro comportamenti e quindi farsi un’idea personale, non superficiale, sul mondo e sui fatti della vita.Sabrina con il suo lavoro ha aperto una strada. Ha intuito che c’era un mondo nuovo da raccontare e si è lanciata in un’impresa che era tutta da scoprire. E così ha portato in radio voci inascoltate, ha dato dignità ad esperienze che altri ignoravano, è riuscita a definire un filone giornalisti-co fin lì inesplorato. Sabrina non era gelosa del suo lavoro e anzi era aperta alla condivisione: perciò ha trasmesso a chi ha lavorato con lei la passione per la radiofonia e la voglia di esplorare spazi poco conosciuti, di percorrere le strade meno battute. Le sue trasmissioni hanno lasciato un segno e sono state un modello: Sabrina è stata imitata, o meglio ha aperto una via che altri hanno seguito, magari inventando trasmissioni e reportage che ne hanno allar-gato e rinnovato l’impegno. Le sue “parole contadine”, in questa fase storica dominata da grandi mistificazioni sul cibo e l’agricoltura delle multinazionali, andrebbero riascoltate per farne tesoro e mantenere un punto di vista indipendente. Chi ha conosciuto Sabrina, come amica e come giornali-sta, ha potuto apprezzare la sua spontanea apertura alla vita degli altri, come si può leggere nei contributi raccolti in questa piccola pubblicazione. Sabrina voleva sempre capire meglio; si metteva nei panni degli altri con l’intento di acquisire nuovi punti di vista; non si faceva incantare dalle apparenze e non esprimeva giudizi definitivi, perché in ogni cosa c’è un margine di dubbio e di incertezza. Sono le tracce di ciò che potrem-mo chiamare intelligenza.Sabrina ci manca ed è tuttavia con noi, perché resta il suo esempio: l’agire quotidiano, nella professione e nella vita, senza cinismo e con semplicità.

INTRODUZIONELorenzo Guadagnucci

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Il Premio giornalistico fotografico Sabrina Sganga 2014 ha avuto su di me effetti che potrei paragonare a quelli di una laurea. Il riconoscimento per il lavoro svolto e lo stimolo concreto ad andare avanti.Lavoro da anni a progetti fotografici, viaggi attraver-so circostanze mai casuali, ricercando singolarità e insieme caratteristiche universali. Mi impegno ad usare gli occhi della testa per affinare la mia profes-sionalità e quelli del cuore per raccontare le storie che incontro e spesso lavoro da sola, ma non in soli-tudine, in spazi diversi e ostili.Ho partecipato alla II edizione del Premio Sabrina Sganga perchè desideravo mettermi alla prova, per-correre un’altra strada. Mettere ancora una volta in “mostra” le storie da me raccontate, in un contesto più dichiaratamente aperto alla valutazione.Cercavo un’opportunità per conoscere, condividere

e far condividere un progetto che da tre anni espon-go in giro per l’Italia, nei luoghi quotidiani, che par-la dei danni e degli effetti dei cantieri dell’alta velo-cità sulle nostre vite.Mi lusinga molto pensare che il Premio sia dedicato al lavoro di Sabrina Sganga. Non ho avuto la fortu-na di incontrarla, ma dallo scorso giugno la porto in giro con me in ogni nuovo progetto, in ogni ricerca e in ogni nuova storia da raccontare. Perchè mi ha aiu-tato a capire che scegliere è una ”Questione di stili”.Ho acquistato un nuovo obiettivo, regalando alla mia macchina fotografica il premio ricevuto. E a me la possibilità di lavorare con più professionalità.Soprattutto ho condiviso il premio con le persone, i luoghi e le storie che le mie foto raccontano e mi piace pensare che chi me lo ha assegnato ha voluto premiare insieme a me anche loro.

Iskra Coronelli2015 - Vincitrice della seconda sezione della II edizione del premio

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Ho avuto modo di incrociare il lavoro di Sabrina nel 2006, in occasione del suo viaggio in Repubblica Dominicana insieme ad Oxfam, periodo nel quale mi occupavo degli interventi dell’organizzazione al fianco dei produttori di caffè. Quei produttori vi-vevano sulla pelle gli effetti disastrosi di una man-canza di “democrazia del cibo”, tema del premio di questo anno. Il prezzo del loro caffè, veniva fissato sulla Borsa di New York, così come accade per altre commodities. Un prezzo che teneva più conto dei mercati finanziari che del reale valore di quel chicco duramente coltivato, raccolto e lavorato. Il risultato è stato per anni un graduale abbandono delle campa-gne da parte dei produttori, impossibilitati a sostene-re i costi di produzione a causa del crollo dei prezzi della Borsa. Sabrina ha raccontato questa come altre storie, coniugando l’esigenza di raccontare le realtà locali con una dimensione globale, non solo con la

finalità di informare, ma anche di generare un cam-biamento. Ecco il Premio Sabrina Sganga per me è soprattutto questo, l’occasione di sostenere di pro-getti che possano spingere l’opinione pubblica ad interessarsi di temi importanti che hanno a che fare con la disuguaglianza (e di conseguenza con la po-vertà da essa generata) e ad agire di conseguenza, a partire dal cambiamento dei nostri stili di vita. Sono convinto che è anche grazie al lavoro di giornalisti come Sabrina, se quei produttori dominicani di caf-fè, hanno avuto l’attenzione di diversi soggetti, fra cui importanti donatori, che hanno permesso di so-stenere il miglioramento delle loro produzioni e di entrare finalmente in nicchie di mercato in grado di generare un reddito sufficiente a garantire una vita dignitosa per sé e per le proprie famiglie. È questa sfida che spero coglieranno coloro che intendono partecipare al Premio.

Lorenzo RidiIl premio secondo

2015 - Oxfam Italia

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Il Premio Sabrina Sganga è prima di tutto un’op-portunità. Ce ne sono poche, oggi, nel nostro Paese, soprattutto per chi ha scelto di andare in direzione ostinata e contraria. La sostenibilità, parola di cui tutti si riempono la bocca, dai Governi agli eventi di marketing come Expo, rimane nell’aria spesso come buona intuizione e come un desiderata diffuso, ma tra il dire, il pensare e il fare troppo spesso c’è il mare magnum delle difficoltà economiche, dell’invi-sibilità, della mancanza di sostegno. Il Premio Sabri-na Sganga nasce per continuare a rendere presenti una sensibilità e una competenza di una persona che ha creduto in tutto questo, che gli ha dato voce e con questo legittimità e sostegno seppur indiretto. E nel corso degli anni è diventato un approdo per molti, piccolo forse, probabilmente (ancora) limita-

to nelle sue possibilità di sostenere economicamente un’esperienza virtuosa, ma assolutamente importan-te per dare ossigeno a chi cerca di trasformare e mi-gliorare l’esistente.Con il Premio ancora una volta si dimostra che la società civile fa da sé: trova risposte a una crisi irridu-cibile, cerca sostegni, accreditamenti e quando può se li crea. Nonostante un contesto difficile e una po-litica distante anni luce dai bisogni e dalle esigenze di tutte e di tutti. Il Premio Sabrina Sganga è una finestra su questo mondo di persone e di esperienze positive, politiche nel senso più bello e profondo del termine, è secondo me uno spiraglio aperto capace di fare entrare un po’ di aria fresca per alimentare chi cerca un senso in una società sempre più ripiega-ta su se stessa.

Alberto Zoratti2015 - Giurato

Il premio secondo

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Il Cibo è il tema di questa terza edizione del premio giornalistico dedicato a Sabrina Sganga, giornalista che raccontava le scelte etiche dei cittadini e gli stili di vita e che non ha tralasciato certo il racconto della finanza etica e dell’uso responsabile del denaro…e allora perché non contribuire a questa narrazione e a quelle che risponderanno a questo bando con uno spunto di riflessione su Cibo e Finanza? Spiegando le conseguenze drammatiche di strumenti speculati-vi sulla vita di migliaia di contadini e piccole comu-nità che vivono di agricoltura, l’utilizzo dei derivati per scommettere sul prezzo del cibo e delle materie prime.Per prima cosa ricordiamo che i derivati sono con-tratti finanziari il cui valore deriva da quello di un bene (titoli, indici, materie prime o altro) chiamato sottostante. I derivati sono nati essenzialmente come strumenti di copertura dai rischi. Tramite un deriva-to posso comprare il grano tra alcuni mesi a un prez-zo fissato già oggi. In cambio di una commissione, la banca che me lo vende si assume quindi i rischi delle oscillazioni dei prezzi. E’ la loro stessa natura a renderli strumenti particolarmente adatti alla spe-culazione.Facciamo un esempio: la crisi finanziaria a cavallo del 2008, quando giganteschi capitali fuggono dai mercati finanziari “tradizionali” e tramite i derivati si riversano sulle materie prime, alimentari e non. Investimenti puramente finanziari che spingono al rialzo il prezzo, richiamando altri investitori. Il feno-

meno si autoalimenta, si crea una bolla finanziaria. Quando qualcuno inizia a vendere parte il percorso inverso: scoppia la bolla, panico sui mercati e prezzi che crollano. Sia i produttori sia i consumatori si tro-vano in balia dell’instabilità.Nel 2008 aumenta il prezzo di tutte e 25 le principa-li materie prime. Un aumento all’unisono più uni-co che raro e a maggior ragione ingiustificabile in un periodo di crisi. Il prezzo del grano e del mais raddoppia in pochi mesi senza che si verifichi una siccità o un altro evento naturale. Un aumento così repentino non può nemmeno essere spiegato con il cambiamento di dieta dei Paesi emergenti, la cresci-ta dei biocombustibili o i cambiamenti climatici, tutti fenomeni di lungo periodo. E’ l’ondata speculativa che determina se milioni di esseri umani saranno in grado di sfamarsi o meno.Non solo. Acquistando un derivato sul grano non fi-nanzio i contadini o le produzioni. Mentre centinaia di milioni di persone in particolare nelle aree rurali sono escluse dall’accesso al credito, somme strato-sferiche inseguono profitti a breve da scommesse sul cibo, causando impatti devastanti per le fasce più deboli della popolazione. L’aspetto più incredibile è quindi che la finanza non provoca “unicamente” instabilità, crisi e squilibri, ma non riesce nemmeno a fare ciò che dovrebbe fare. Da un lato sterminati capitali sono alla continua ed esasperata ricerca di qualche sbocco di investimento. Dall’altro enormi necessità non vengono finanziate e fasce sempre più

Andrea BaranesIl premio secondo

2015 - Presidente Fondazione Culturale Responsabilità Etica di Banca Etica

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ampie della popolazione, anche da noi, si trovano escluse dai servizi finanziari. Semplificando, doman-da e offerta di denaro non si incontrano. Con buona pace dell’idea dei “mercati efficienti” alla base del-la dottrina neoliberista che si è imposta nell’ultimo trentennio, l’attuale sistema finanziario rappresenta il più macroscopico fallimento del mercato. Di fron-te a un sistema politico e mediatico che continua a

imporre una visione secondo la quale la finanza pub-blica è il problema e quella privata la soluzione, è da qui che occorre ripartire per un radicale cambia-mento di rotta, sia riguardo le politiche economiche sia più in generale di ribaltamento dell’immaginario della crisi che ci è viene quotidianamente racconta-to.

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Non è semplice scrivere cosa rappresenta questo pre-mio per me perchè significa anche raccontare del la-voro di Sabrina, io che Sabrina l’ho vissuta prima di tutto come essere umano, come sorella, come amica e come confidente. Una delle cose che rendono uni-ca Sabrina è la coerenza che metteva in tutto quello che faceva, una coerenza in grado di superare, il più delle volte, le divisioni tra lavoro, vita, affetti familiari e amicizie, riuscendo ad essere se stessa in ogni situa-zione, in ogni rapporto ed in ogni circostanza. In lei lavoro e vita si univano in una cosa sola, il suo lavoro non era solo scovare e descrivere gli “stili di vita” che raccontava nelle sue trasmissioni, ma comprenderli, farli suoi, viverli e la sua vita non era solo vivere i cambiamenti di cui era protagonista, ma condivider-li con amici, familiari, ascoltatori, lettori, rendendo partecipi gli altri delle sue idee, delle convinzioni che maturava nel percorso di conoscenza e cambia-mento che ogni giorno praticava e che sentiva ne-cessario. L’entusiasmo ed il sorriso che metteva nel suo lavoro e che oggi tutti le riconosciamo derivava e deriva, ancora oggi, da questo suo approccio totale, nel riuscire ad immergersi nelle realtà che racconta-va, andando oltre le apparenze, andando oltre il suo ruolo di giornalista, mettendosi in gioco con la sua umanità, entrando in contatto, non con degli attori del suo lavoro, ma con gli esseri umani che stavano

dietro gli intervistati. Per Sabrina persone e relazioni erano la cosa più importante, al di là del successo di un’intervista o di un servizio ed anche per questo si è spesso occupata di piccole realtà sottolineandone l’importanza, le peculiarità, ma allo stesso tempo le potenzialità che i cambiamenti spesso ritenuti picco-li, in realtà hanno di diventare grandi.Mi piacerebbe che questo giornalismo fatto di uma-nità e comprensione, più che di notizia e mera infor-mazione, diventasse sempre più presente e che con-tribuisse al cambiamento necessario per poter vivere in una società più vera, dove ci sia spazio per la voce di tutti, dove tolleranza, arricchimento reciproco e condivisione diventino la normalità e non l’eccezio-ne che fa notizia.Non sempre oggi è facile poter seguire quello che ci sta a cuore e riuscire a comunicarlo senza inutili compromessi dettati da una logica che non ci appar-tiene. Questo Premio nasce anche per dare voce a chi può e vuole contribuire al cambiamento conti-nuando a raccontare, con passione e divertimento, storie che possano aiutare chi le ascolta, a prende-re coscienza dell’esistenza di qualcosa di diverso da quello che siamo soliti vedere e ascoltare attraverso i media, qualcosa che può diventare sempre più pre-sente nelle nostre vite, qualcosa che vale la pena di mandare avanti perché così andremo avanti tutti.

Vera SgangaIl premio secondo

2015 - Familiare

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L’esempio di Sabrina è quello di una giornalista in movimento, in continua evoluzione, capace di met-tere al centro l’idea (lo spunto per un servizio, o un tema, o un nuovo ambito da approfondire) e non l’attore. Con questo premio lei continua ad invitare ognuno di noi, giornalisti che decidiamo di concor-rervi, a mettersi in gioco, e a dare di più.Non è un riconoscimento per il lavoro fatto, ma l’in-citazione a “fare un passo oltre”. È questa, a mio av-viso, la ricchezza più grande di “Questione di stili”, e ciò che mi fa essere davvero felice nel pensare che sia stato il mio primo premio giornalistico. L’esor-tazione è quella di continuare a sperimentare, a cu-riosare, a immaginare, a guardare oltre. Considero

importante, pur lavorando all’interno di una testata, e non come freelance, che il bando offra al vincito-re la possibilità “materiale” di realizzare un progetto complesso, garantendo quella libertà di movimento “spaziale” (per la raccolta di notizie, che dev’essere sempre frutto di incontri) che spesso è un ostacolo alla realizzazione di buoni articoli.Ecco perché “il premio” è un invito a fare del buon giornalismo. E chiede al giornalista di aiutare il let-tore a comprendere una realtà complessa, e in evolu-zione (il nostro Paese, in questo caso). Per questo, lo considero “necessario”, un bene comune che abbia-mo tutti il dovere di valorizzare al massimo.

Luca Martinelli2015 - Vincitore della prima sezione della II Edizione del Premio

Il premio secondo

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Il punto chiave è il cambio di prospettiva. Stiamo vi-vendo un momento di passaggio che i più chiama-no “crisi”, lasciando intendere che si tratta di una semplice parentesi, in attesa di riprendere il cammi-no precedente, percepito (e fatto percepire) come “naturale”. Siamo invece, più probabilmente, ad un punto di svolta, con la chiusura della “fase d’oro” del neoliberalismo, un’ideologia e una prassi politica fondata su alcune parole d’ordine: crescita, dere-gulation, finanza, privatizzazioni. Un trentennio di cosidette riforme ha condotto a una crisi di sovra-produzione (eccesso di merci inutili e contestuale impoverimento delle classi medie e popolari) e alla perdita di ogni controllo democratico sul sistema finanziario, cresciuto in modo abnorme e ormai in grado di dettare scelte stringenti ai governi nazionali nell’interesse di una ristretta classe di supercapitali-sti.Non sappiamo ancora che forme assumerà la nuova fase, in che modo usciremo dal trentennio neolibe-rale: molto dipenderà dai cittadini, dalla loro capaci-tà di organizzarsi e di farsi valere al cospetto di poteri forti ma ormai in crisi di consenso e di legittimità.

Ma dipenderà anche dalla qualità delle idee e dei progetti che saranno messi in campo. Una prospetti-va di cambiamento che sia davvero progressiva, cioè democratica, giusta, capace di futuro, deve proporsi necessariamente la conversione ecologica del siste-ma produttivo, la riduzione delle diseguaglianze, la ricerca di nuove forme di cooperazione e partecipa-zione. Si tratta quindi di abbandonare il terreno cul-turale e politico che tuttora è dominante e nel quale si insiste a parlare – autisticamente – di crescita, con-sumi, competizione, privatizzazioni, liberalizzazioni.La sfida del nostro tempo è disintossicarsi dal tren-tennio che abbiamo alle spalle. E’ una sfida difficile, perché c’è bisogno di un immaginario nuovo, ma sappiamo anche quanto sia vitale l’universo della cittadinanza attiva, quanto sia fertile il terreno delle economie solidali, quanto sia maturata la prospettiva ecologista nella pratica concreta di individui e comu-nità. C’è un mondo nuovo da raccontare: rendere visibili le idee e le azioni che sono già il nostro futu-ro, sarà un primo, importante contributo al cambia-mento.

Lorenzo GuadagnucciIl premio secondo

2014 - giornalista, Presidente della commissione dei garanti

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Sei occhi dietro un computer, trenta dita sulla tastie-ra e tre bocche che dicono contemporaneamente: “Tagliamo quell’immagine”, “Spostiamo più avanti quest’intervista”, “Mettiamo della musica sulle co-perture”. Weekend, serate e nottate passate a ‘cuci-re’ una storia che all’inizio ci ha affascinato, a tratti ci ha confuso e straniato e alla fine - devo dire - ci ha davvero appassionato. Quando un anno fa Car-lotta, Simona e io ci siamo ritrovate a mettere nero su bianco il nostro progetto non avremmo potuto immaginare l’anno che è appena passato. Ci è sta-ta data innanzitutto la possibilità di camminare con le nostre gambe, prendere una storia e decidere da sole - in autonomia - come raccontarla. E non è poco per tre freelance, tre palline di un flipper, abituate a correre per Milano dietro a notizie di cui spesso ci

innamoriamo, ma che poi non trovano lo spazio che si meriterebbero. Ecco, il Premio ha tolto un po’ di precarietà ai racconti che ci piacciono, a quelli su cui vorremmo lavorare più spesso. Ma soprattutto per noi il Premio Sganga è stato una sfida. Una sfida perché siamo alla nostra prima volta, o quasi, davanti a un reportage simile e volevamo che fosse all’altezza delle storie che Annamaria, Luca, Davide, Deborah, Pierre, Valentina e tanti altri ci hanno raccontato. Una sfida perché dopo 4500 km macinati sulla mia macchina malconcia, dopo 12 ore di materiale girato e una timeline che rispecchia la confusione e creati-vità di un trio di donne come noi, mettere un punto fermo e chiudere il progetto è una battaglia oltre che un piccolo miracolo.

Giulia Dedionigi2014 - Vincitrice Della prima sezione della I Edizione del Premio

Il premio secondo

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“Devo andare a una conferenza alle 10 e ad un’al-tra alle 14, ma tra i due impegni possiamo trovarci per lavorare”; “Torno venerdì sera da Parigi, ma sa-bato mattina vi raggiungo a Roma per le riprese”; “Ho fissato l’intervista lunedì così ci siamo tutte”: da quel pomeriggio del 18 maggio a Firenze, di messag-gi così, io, Giulia e Simona, ce ne siamo scambiati tantissimi per organizzarci, accordarci, incontrarci, ritrovarci in ogni momento utile che avevamo. Vin-cere il premio è stata un’emozione tanto forte quan-to inaspettata e una soddisfazione che ci ha dato una grande carica (e una bella opportunità) all’inizio delle nostre carriere professionali. Vincere è stata anche una grossa responsabilità nei confronti di chi

ha creduto in noi, un obiettivo da raggiungere tra gli impegni di lavoro e quelli personali di ognuna, tra i momenti di entusiasmo e quelli di sconforto, tra nuovi incontri e scontri (sì, qualche volta non siamo state d’accordo sul da farsi!). Vincere in tre è stato bello, lavorare in tre lo è stato ancora di più. Forse soprattuto perché siamo tre (giovani) donne, come lo era Sabrina, abituata anche lei, immaginiamo, a dividersi tra famiglia, lavoro, passioni e impegni con la sensibilità, la tenacia, il coraggio femminili: dedi-carci ai temi che lei amava e per cui lottava attraverso il giornalismo è stato lo stimolo più importante e l’e-sempio da seguire.

Carlotta GaranciniIl premio secondo

2014 - Vincitrice della prima sezione della I Edizione del Premio

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Ho partecipato alla prima edizione del Premio Gior-nalistico Sabrina Sganga con l’audio documentario “Abruxia”, è stato molto prezioso leggere durante la cerimonia di premiazione, un passaggio del lavoro a cui tengo molto e che mi sembra cogliere il senso di questo premio:Manlio, che ora ha 82 anni, a 40 anni lascia l’insegna-mento per andare a lavorare in miniera,“...avevo la sensazione di non essere completo e no-nostante insegnassi e quindi avessi una responsabili-tà precisa, mi sembrava che quello non fosse il mio compito unico, avevo dentro di me questa sensazio-ne di ricercare davvero il mio compito nella vita e quale fosse la strada che dovessi percorrere per co-

noscermi meglio e questa strada io l’avevo individua-ta appunto nella discesa verso la miniera, mi volevo forse anche sottoporre a un giudizio di me stesso e io avevo tentato, fino allora, di cercarmi verità nei li-bri e nonostante, ovviamente, un aiuto concreto l’ho avuto dai libri, dalla cultura in genere, non avevo scoperto la verità, di me stesso voglio dire, cos’era, cosa dovevo fare nella vita? Nella vita probabilmente dovevo proprio fare questo, andare al buio, nel buio, andare sottoterra, andare a conoscere altri uomini assolutamente diversi da me per storia e per cultu-ra, nel senso di sensibilità, di conoscenza più pro-fonda dell’uomo, dell’uomo in genere non soltanto dell’uomo minatore, dell’uomo in genere.”

Gianluca Stazi2014 - Vincitore della seconda sezione della I Edizione del Premio

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Mi chiamo Camilla Lattanzi e per sette anni ho col-laborato con Sabrina Sganga, progettando assieme a lei la trasmissione domenicale “Questione di stili”. Far parte dell’organizzazione di questo concorso, fin dalla sua prima edizione, è il mio modo di elaborare la sua scomparsa.Come amica e collaboratrice di Sabrina, ma soprattut-to come giurata del premio, avendo avuto il privilegio di vivere molto da vicino lo spirito delle sue trasmis-sioni, vorrei che i progetti di quest’anno avessero un taglio innovativo e parole chiave nuove, più lontano possibile da quelle del giornalismo che conosciamo, trasformatosi ormai nel gigantesco ufficio stampa del Pensiero unico. Crescita, produttività, efficienza, tagli, casta, spread, primarie… queste sono le parole che mi auguro di non trovare nei lavori che valuterò, a meno che non vengano esplorate con una gigantesca lente d’ingrandimento e tanto senso critico.Ancora come giurata, mi auguro che questo premio va-lorizzi sì la scelta individuale, il consumo critico come leva di consapevolezza e cambiamento, ma dopo tanti anni di esperienza in questo campo, spero anche che sia diventato evidente come la pratica del consumo critico individuale non possa bastare a trasformare il modello di produzione e consumo in senso etico, ver-so un ideale di uguaglianza e giustizia sociale. Grazie al denaro di cui dispongono, le multinazionali sanno agevolmente impossessarsi di ogni spazio “alternati-vo”. Abbiamo visto Chiquita aprire coltivazioni certi-ficate “Fair Trade”, il marchio del commercio equo

e solidale Abbiamo visto fonti di energie rinnovabili finire in mano alle mafie. La volontà dei singoli non può bastare per arginare tutto questo.Dicendo questo sembrerò avere un atteggiamento rinunciatario. Invece quello che sogno è un rilancio delle buone pratiche individuali, la loro ri-articolazio-ne in politiche organiche e innovative. Per questo è importante allargare il bacino dei potenziali concor-renti a questo concorso. Per questo invito a partecipa-re tutti coloro che colgono una connessione, anche piccola, tra scelte politiche e distruzione del territo-rio, tra massimizzazione del profitto e degrado dell’a-limentazione, tra il modello delle “privatizzazioni” e la continuativa rapina di quei “beni comuni” che i nostri antenati ci hanno lasciato pagando un prezzo altissi-mo, il prezzo che ritenevano doveroso per ottenere servizi pubblici a disposizione di tutti. Anche di que-sto ci ha parlato Sabrina nelle sue produzioni giornali-stiche, sempre a partire da esperienze microscopiche, locali, personali, allargando poi lo sguardo critico fino alle politiche economiche mondiali.Vorrei che i lavori in concorso avessero questo respiro.Mi auguro insomma che il premio, i premi, vengano assegnati a persone coraggiose, di qualsiasi età, dispo-ste a mettere in connessione il micro e il macro, in modo disinteressato e appassionato. Così dovrebbero essere tutti gli attivisti e i giornalisti nelle cui mani è ri-posto uno dei pilastri della democrazia: l’informazio-ne dei cittadini, l’unico strumento che consenta loro una reale libertà di scelta… altro che primarie!

Camilla LattanziIl premio secondo

2014 - giornalista, giurata

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Maggio 2013, Fortezza da Basso, primavera inoltra-ta. La premiazione è prevista nel tardo pomeriggio, ma io arrivo in anticipo e vado a conoscere gli orga-nizzatori del concorso intitolato a Sabrina Sganga, la giornalista radiofonica di Controradio e Popolare network scomparsa un anno prima. Mi accoglie com-mossa la sorella Vera, mi ringrazia per il mio lavoro, ma la mia riconoscenza è tutta per Sabrina: prima di tutto una donna, poi una giornalista, orientata dall’abnegazione per il lavoro, per il servizio dell’in-formazione e per una pedagogia della consapevo-lezza, del mondo ferito e della nostra responsabilità verso il pianeta che ci ospita. Sabrina parlava a tutti, perché la “questione di stili” è un modello di vita, in cui la singola unità può fare la differenza perché c’è bisogno di sottrarre tempo alla superficialità, cre-dere nella decrescita, diventare consumatori frugali, riconoscersi in una coscienza civile.La sala della basilica è vuota a due ore dall’inizio del-la cerimonia. È uno spazio lungo, su tre navate, la centrale a pianta maggiore. Le sedie sono disposte fino all’ingresso e mi chiedo se si riuscirà a riempire la sala. Quando rientro c’è un bel via vai di famiglie e giovani e io cerco un posto vicino al palco per non essere lontana quando chiameranno il mio nome, siccome sono abbastanza maldestra, cerco di accor-ciare il tragitto da attraversare così da limitare il ri-

schio di inciampare su cavi, bambini o scalini.Spesso le premiazioni sono un susseguirsi di sponsor e istituzioni con i loro discorsi aleatori e promettenti, ma al premio Sganga un ricercatore, un filosofo, un giornalista, un insegnante e uno scrittore sono invi-tati a tenere una lectio magistralis sui temi di cui si è sempre occupata Sabrina, il tutto in diretta radiofo-nica per chiunque non fosse presente. Non è diffici-le immaginare che Sabrina avesse più ascoltatori di quelli che riempiono la sala, in silenzio a condividere le riflessioni lette dagli invitati. Come quella del pro-fessor Lombardi Vallauri sull’importanza di tornare all’altruismo e allo scambio reciproco di saperi. O di assistere al modesto quanto prodigioso esempio di Rossano Ercolini, maestro elementare vincitore del Nobel dell’ecologia Goldman Environmental prize, assegnatogli a Washington da Obama. Ercolini si bat-te da sempre per Rifiuti zero: contro la produzione e lo smaltimento della spazzatura.Straordinaria ordinarietà che Sabrina avrebbe rac-contato e approfondito, storie che parlano del Paese migliore che potremmo diventare, senza dimentica-re la possibilità che dà il concorso Sganga di mettere in cantiere un’idea, cercando di proseguire il trac-ciato lasciato da Sabrina in questo mondo: il nostro futuro sostenibile.

Valentina Avoledo2014 - Menzione speciale – I Edizione del Premio

Il premio secondo

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Con Sabrina ci siamo trovate più volte a commentare e discutere di cosa vuol dire fare informazione oggi. Lei, come molti altri amici giornalisti, si sono sorbiti molte vol-te i miei sfoghi sui titoli ad effetto della stampa locale, su quelle parole come clandestino, vu cumprà, che hanno contribuito ad avvelenare il clima di convivenza e il dibatti-to sul tema dell’immigrazione, e ci siamo confrontate sul-la costruzione del discorso dei media. Condividevamo l’a-nalisi che questa costruzione era influenzata fortemente dalla formazione personale sì, ma anche dalla capacità del giornalista di decentrare il punto di vista e di non sposare il pensiero dominante. Un compito non facile oggi più che mai che la macchina produttiva dell’informazione esige tempi sempre più veloci e una mercificazione spinta della notizia. Essere in diretto contatto con le persone, le associazioni e la realtà dei territori diventa fondamenta-le per non perdersi e saper guardare oltre il ristretto giro delle fonti istituzionali e di chi impone l’agenda ai media “tradizionali”. Questo è tanto più vero quando riguarda il racconto giornalistico su fenomeni come quello dell’im-migrazione, relativamente nuovo ma complesso che, al contrario di quanto è stato e viene veicolato dal pensiero prevalente, ha mille volti, storie e vissuti diversi.Gli immigrati ci impongono di riflettere su quegli sche-mi rigidi di pensiero e quelle categorizzazioni che ci sono state imposte fin da piccoli dai libri di scuola, con i loro paesi di origine misconosciuti e per lo più ignorati, con le loro diversità che non sappiamo ricondurre se non a quei presunti caratteri culturali che assumiamo siano im-modificabili e universali solo per gli altri. Se questo paese non è riuscito in 30 anni di storia dell’immigrazione in

Italia a comprendere il fenomeno e a farlo conoscere lo dobbiamo in gran parte a politiche miopi e spesso discri-minatorie e razziste che sono state imposte per guadagna-re facili consensi, ma anche a giornalisti e media incapaci di spirito critico e di indipendenza, oltre che di ammessa impreparazione.Non a caso Sabrina guardava ai figli di immigrati come a coloro in grado di darci oggi uno sguardo più realistico del futuro, ma anche di riportarci più in fretta di tanti con-vegni e progetti, alla realtà meticcia e già positivamente contaminata del nostro paese. I figli di immigrati sono l’e-spressione della dimensione in cui ci dovremmo muovere per comprendere la realtà che ci circonda che è sempre più internazionale e interconnessa. L’affermazione del di-ritti di cittadinanza e delle pari opportunità che sapremo trovare nella scuola e nelle professioni misurerà il livello della nostra democraticità e di investimento su un futuro migliore. Parlare di consumo critico, di etica e di sostenibi-lità vuol dire anche riportare al centro la questione dei di-ritti e porsi in una dimensione globale, di cui i migranti e i loro figli possono costituire un emblema. Mi auguro che tra i prodotti ed i progetti giornalistici di questo premio ci sia spazio anche per questi temi.Sabrina sapeva calarsi nelle vicende e nelle storie che le venivano raccontate con passione ma senza mai perdere quello spirito critico che muove il buon giornalista a fare le domande più scomode e difficili.Sapersi fare e saper fare le domande giuste prima di trat-tare una notizia, scrivere un pezzo o montare un servizio sono doti che dovrebbero essere coltivate da chi partecipa a questo premio.

Anna MeliIl premio secondo

2013 - Amica

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Una canzone molto poco conforme a un certo punto recita che la storia ricorda solo il coraggio e l’onore: anche servisse soltanto ad ampliare lo spazio che Sa-brina merita nella Storia, lei che di coraggio e onore ne aveva da vendere, questo Premio sarebbe piena-mente giustificato.Quando ormai parecchi anni fa ero tra i pochi a sostenere l’imminenza della crisi, trovandone nella fine dell’energia a buon mercato la ragione portan-te, Sabrina, quasi sola, mi concedeva di parlarne in-calzandomi per saperne e farne sapere di più; pareva poi di aver fatto qualcosa d’importante per il nostro Paese con la svolta energetica del 2007, e nuovamen-te non passava settimana senza un approfondimen-to, fino alla straordinaria esperienza del ciclo delle Lezioni di Stile che erano per me un appuntamento

tra i più sentiti e impegnativi.La stampa, i giornalisti, il loro potere vero o presunto: un fardello pesante da portare a meno di avere spal-le sufficientemente robuste, dignità e anche il senso della propria missione. La missione, che era quella di Sabrina, di approfondire e fornire al pubblico gli strumenti per capire, connettere i fatti, scavare sotto e oltre l’apparenza un po’ aneddotica rappresenta-ta dal mainstream, fregandosene di pestare i piedi a qualcuno e di scontrarsi con le abitudini consolidate, mentali e pratiche. E anche promuovere la capacità di stupirsi e modificare il proprio pensiero secondo la forza dei fatti. Questa era e sarà per sempre Sabri-na, cara amica così poco conforme, e questa, credo, anche la missione del suo Premio.

Francesco Meneguzzo2013 - Giurato

Il premio secondo

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Continuiamo ad avvelenare il pianeta, i suoi abitanti, i nostri corpi in maniera mai vista nella storia dell’umanità e con una consapevolezza mai avuta prima. Sappiamo tutto. Dibattiti pa-tetici e nati vecchi, come quello sul reale peso degli esseri uma-ni sull’inquinamento del pianeta o sulla veridicità o meno del global warming, sono stati superati dalla storia nel volgere di pochi anni. Già, perché nel decennio che abbiamo alle spalle c’è stato anche chi – interessato o disinteressato che fosse – ha usato le sue energie per dirci che il Pianeta è troppo grande per sentire la nostra impronta, che i cambiamenti climatici non possono avvenire a causa dei nostri comportamenti, che il petrolio non finirà mai. Emblemi della follia che ha pervaso lo sviluppo esponenziale che ha caratterizzato la vita e gli stili di vita occidentali dal Secondo dopo guerra, fino alla grande sve-glia del 2008, l’anno dell’inizio della crisi. È ancora opinione comune – e, nell’establishment politico e culturale dei paesi che con noi condividono un destino politico ed economico, è certezza granitica – che l’unica via di uscita sia continuare ad aumentare la produzione, i consumi, i rifiuti, la crescita espo-nenziale.Sabrina ha iniziato a lavorare su questi temi dalla fine degli anni ‘90, e per più di quindici anni, ha intessuto una vera e pro-pria trama, molto fitta ed estremamente densa. Da una parte la capacità di intercettare e dare voce a tutte quelle esperienze che sul territorio hanno cercato e cercano di dare una rispo-sta alle nuove domande poste dalla globalizzazione. Dall’altra, non solo dare voce, ma contribuire a creare una rete capace di intrecciare le esperienze locali con quelle nazionali e globali. Il senso del premio ispirato a Sabrina sta proprio qui dentro. Cercare di promuovere un giornalismo libero che si sforzi di intercettare la trasformazione. Di raccontare quelle storie vita-

li e pure paradossalmente ignorate e sommerse dal “rumors” quotidiano delle “notizie” che non ci raccontano niente che non sappiamo di già. Ecco, con questo premio, noi chiediamo – come Sabrina ha saputo fare per anni – raccontateci qualco-sa che non sappiamo di già. Cercate una riposta, una via diver-sa, una possibile soluzione virtuosa per rispondere alle mille domande che abbiamo davanti. Dimostrateci che è possibile vincere l’egemonia delle abitudini. Per tutta la vita che ho tra-scorso con Sabrina ho sempre osservato la sua perenne insod-disfazione nei confronti dell’attuale. L’indisponibilità a met-tersi a sedere. L’incapacità di stare ferma su un punto dato per acquisito. Nella piena della trasformazione Sabrina ha preteso di stare sempre. Non da ultimo per la consapevolezza di stare in un’epoca fatta in teoria di consapevolezza e informazioni: l’era dell’accesso. Per lei era l’era dell’eccesso, un era in cui – più che mai – al contrario doveva valere il detto less is more.L’eccesso è quanto ci circonda. L’eccesso di cibo che fa am-malare, l’eccesso di rifiuti che ci spinge a soluzioni inquinanti, l’eccesso di informazioni che generano disinteresse e disinfor-mazione, l’eccesso di parole e spostamenti inutili, l’eccesso di consumi, di produzione, di connessioni effimere, di superfi-cialità. Il Premio Sabrina Sganga Questioni di stili è stato al-lora pensato per dare voce a quanti sono ancora disponibili a raccontarci quell’altro mondo, che esiste già, ma che poco spazio trova nei nostri articoli e nelle nostre trasmissioni. Un giornalismo capace di dirci che è possibile, che si può fare in un altro modo, in un modo completamente diverso da quello che noi oggi, ancora, stiamo adoperando per stare su questo pianeta. E che forse, facendo le cose diversamente, si può per-sino arrivare ad essere felici.

Raffaele PalumboIl premio secondo

2013 - giornalista, Familiare

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Devo resistere alla tentazione di parlare di Sabrina come un’amica, fin dai tempi della nostra università, per provare piuttosto a ragionare su questo premio nel ruolo di presidente dell’Associazione Stampa Toscana, il sindacato dei giornalisti: e non è facile. E allora voglio dire che di premi giornalistici ce ne sono tanti: quasi sempre non valgono la pena. Sono i premi appannaggio di firme famose, chiamate a pre-senziare a una cerimonia che si ritiene dia lustro a un ente locale o a un’associazione e per questo, magari, pagate di conseguenza. Ben poco a che vedere con il lavoro vero di chi ha scelto di fare informazione. Lavoro bello, difficile, faticoso, spesso poco ricono-sciuto, comunque lontano anni luce da salotti e coni di luce.A Sabrina, sono più che convinto, uno di quei premi avrebbe fatto sostanzialmente orrore. E come darle torto? Però questo premio è un’altra cosa: e a ben ve-dere forse è proprio la parola premio che sta stretta. Perché al centro sta l’idea di un nuovo giornalismo, serio, meticoloso, responsabile. Di un giornalismo che sappia resistere alle lusinghe dei palazzi, giocan-dosi tutte le carte a disposizione per una nuova alle-

anza tra giornalisti e cittadini: con i primi capaci di scendere sul terreno della trasparenza, della concre-tezza, dell’informazione di servizio e con i secondi più consapevoli che la crisi dell’editoria e del lavoro giornalistico non è una crisi di pochi – magari di una “casta” - ma di tutti coloro che hanno a cuore il pro-prio paese, la propria città, la propria comunità.Un premio così non poteva che essere intitolato a Sabrina. E anche “intitolato” è una parola che sta stretta. Diciamo piuttosto così: un premio così non poteva che raccogliere l’esempio professionale e umano di Sabrina. Ovvero di una collega – oltre che di un’amica – che sapeva dare voce alle realtà che di solito non trovano cittadinanza nei grandi mezzi di informazione. Di una collega – tra l’altro – che è stata anche donna di sindacato, consapevole che la battaglia per una nuova informazione non poteva (e non può) essere separata dalla battaglia per i dirit-ti del lavoro, a partire da quello dei tanti precari e free lance senza i quali oggi in Italia non uscirebbe un solo giornale. E anche per questo, l’Associazio-ne Stampa Toscana non poteva non essere in questo premio. E con Sabrina.

Paolo Ciampi2013 - Amico

Il premio secondo

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Stefano FlorisIl premio secondo

Il ruolo educativo della radio. Mi sa che questo è un argomento un po’ tabù fra gli addetti ai lavori. Ma visto che non lo sono, faccio l’insegnante, mi prendo la libertà di esprimere un pensiero su questo tema sapendo che mi saranno concesse attenuanti.Non è un caso se Sabrina e la redazione di Controra-dio decisero per “Lezioni di stile” quando si trattò di dare un nome ad un programma di pillole di cinque minuti sui temi caldi delconsumo critico, commercio equo & solidale, sostenibilità ambientale, finanza eti-ca. Sabrina, quando registravamo le trasmissioni in-sisteva proprio nel chiamarmi professore – cosa sulla quale fortunatamente riuscii poi a farla soprassedere -, a sottolineare che quella si era una esperienza an-

che “educativa” di informazione. A distanza di anni incontro ancora ascoltatori che quella trasmissione se la ricordano bene, dalla quale hanno preso spunti e in alcuni casi coraggio per partire con esperienze concrete di vita “con stile”. L’informazione educativa come informazione che produce un cambiamento è l’opposto dell’informazione che annebbia la mente, piena di parole vacue che non offrono spunti per al-cuna visione laterale quando non si tratta di mera pubblicità. A Sabrina e alla redazione un ringrazia-mento per aver voluto arrischiarsi in un terreno così scivoloso. Un premio, questo, che spero possa pro-muovere progetti di informazione con un alto tasso di educazione civica all’interno.

2013 - Giurato

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Di Sabrina ho un ricordo struggente: una notte, un paio d’anni fa, sulla terrazza della Fortezza da Basso a guardare le stelle. Una serata calda e umida, piena di gioiosa confusione. Forse non siamo neppure riu-sciti a scorgere un astro, con così tanta gente in fila per un paio di telescopi, ma era il contesto che mi ha lasciato un buon retrogusto.L’occasione era Ter-rafutura, l’iniziativa in cui ci muovevamo come gli orsi quando scoprono un alveare: il volontariato e i massaggi ayurvedici, il microcredito e le crepes alla farina di castagne e ricotta, maglioni colorati come non ne vedevo dal ‘79 alla Fiera di Senigallia e tanti bambini. Datemi dell’ingenuo ma quell’habitat per me è la conferma che davvero “un mondo diverso è possibile”. A cavallo del terzo millennio sembrava potesse diventare un fiume in piena, una filosofia

e comportamenti collettivi, di massa; adesso credo sia più giusto ammettere che quelle buone idee ri-guardano nicchie, spesso elites. Che però quando si ritrovano assieme stanno bene. E comunicano quel benessere, dimostrano che sarebbe davvero possibile essere più equi, più sani, più rispettosi dell’ambien-te che ci circonda. Sabrina – a cui questo Premio è dedicato – si muoveva a suo agio in quel mondo. Ai partecipanti al concorso il compito di proseguire, di scoprire piccole ma importanti buone pratiche e metterle in relazione con un’economia largamente ostile al buon senso. In qualche modo ciascuno dei partecipanti al premio dovrà metaforicamente ripar-tire da quel tetto alla Fortezza da Basso e guardare dentro quel telescopio, ma coi piedi ben piantati per terra.

Danilo De Biasio2013 - Giurato

Il premio secondo

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AssociazioneSabrina Sganga

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