PREMIO - European Parliament · 2013. 11. 12. · Il Premio Sacharov Istituito nel 1988 in onore...

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CELEBRAZIONI PER I 25 ANNI IN DIFESA DEI DIRITTI UMANI

PARLAMENTO EUROPEO

PREMIO SAKHAROVPER LA LIBERTÀ DI PENSIERO

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“Bisogna sempre seguire la propria coscienza. I diritti umani sono la base della civiltà”.

Elena Bonner

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Introduzione

elettorale. Il Parlamento europeo difende con voce ferma i prigionieri politici, i dissidenti e i difensori dei diritti dell’uomo.

Attraverso la Rete del premio Sacharov del Parlamento europeo, che riunisce tutti i vincitori così come i rappresentanti del Parlamento europeo, intendiamo offrire una piattaforma solida a tutti coloro che hanno cara la libertà di pensiero, per rafforzare il messaggio di pace, tolleranza, libertà, diritti dell’uomo e Stato di diritto nel mondo intero.

Sono molto fiero del fatto che nel 2013 il Parlamento europeo abbia potuto accogliere tre vincitori cui era stato impedito dal potere politico del loro paese di venire al Parlamento europeo al momento dell’attribuzione del premio, e che sia stato possibile organizzare

Il 2013 segna i 25 anni di difesa e promozione dei diritti dell’uomo attraverso il premio Sacharov.

Nel corso degli anni abbiamo riconosciuto e sostenuto la lotta di singoli individui e di organizzazioni che, con coraggio, hanno preso posizione contro il razzismo e la repressione, la guerra e il terrorismo, la prigione e la tortura, in difesa dei propri diritti e di quelli altrui.

Quest’anno, sono particolarmente lieto di accogliere fra i vincitori del premio Sacharov una coraggiosa giovane donna del Pakistan, Malala Yousafzai, che si é distinta per la sua battaglia in favore dell’istruzione per il diritto dei bambini con un esempio che ci motiva tutti. Malala ha portato la sua battaglia al di là delle frontiere del Pakistan battendosi per dare alle ragazze e alle donne di tutto il mondo la forza ed i mezzi per

cerimonie di consegna per le “Donne in bianco” e Guillermo Fariñas di Cuba, nonché per l’ex prigioniera politica del Myanmar/Birmania, Aung San Suu Kyi.

In occasione del 25° anniversario del premio Sacharov che celebriamo quest’anno, ho invitato i vincitori del premio di tutto il mondo a unirsi ai membri del Parlamento europeo al fine di rafforzare la nostra comune battaglia per i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali nel mondo, in difesa degli ideali per i quali i nostri vincitori si battono quotidianamente.

Insieme, con gli uomini e le donne coraggiosi – e ora anche con questa giovane donna, Malala – cui abbiamo conferito il premio Sacharov, continueremo ad adoperarci per trasformare in realtà per tutti il rispetto dei diritti dell’uomo.

Martin SchulzPresidente del Parlamento europeo

lottare per la propria autodeterminazione. Malala è un modello per i bambini e gli adulti di tutto il mondo. Ci prefiggiamo l’obiettivo di seguire la via da lei tracciata con un sostegno concreto. Infatti, l’Unione europea ha devoluto la somma che ha ricevuto nel 2012 a titolo del premio Nobel all’iniziativa “Children of Peace”, che aiuta i bambini di tutto il mondo, comprese le ragazze del Pakistan, a realizzare il diritto all’istruzione.

In quanto rappresentante di più di 500 milioni di cittadini europei, il Parlamento europeo è profondamente impegnato nella causa dei diritti dell’uomo. Il Parlamento europeo fa sentire il suo peso nella difesa dei nostri valori comuni in termini molto concreti attraverso l’adozione di risoluzioni sui diritti dell’uomo, missioni sul terreno, interventi a livello diplomatico e missioni di osservazione

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Il Premio Sacharov

Istituito nel 1988 in onore dello scienziato nucleare russo e attivista per i diritti umani Andrej Sacharov, il Premio Sacharov per la libertà di pensiero è il massimo riconoscimento assegnato dall’Unione europea agli sforzi compiuti nell’ambito dei diritti dell’uomo. Il Premio conferisce sostegno morale e riconoscimento ai vincitori, che sono così rafforzati e legittimati nella loro lotta per le rispettive cause.

Il Premio è stato assegnato sia a singoli che ad associazioni, tra cui dissidenti, leader politici, giornalisti, avvocati, attivisti della società civile, scrittori, madri e mogli, leader di minoranza, un gruppo antiterrorista, pacifisti, un attivista contro la tortura, un vignettista, un prigioniero di coscienza lungamente detenuto, un regista e perfino le Nazioni Unite come organismo. Sono premiati in particolare la libertà di espressione, la salvaguardia dei diritti delle minoranze, il rispetto per il diritto internazionale, lo sviluppo della democrazia e l’attuazione dello Stato di diritto.

Ogni anno il Parlamento europeo consegna al vincitore del Premio Sacharov un importo di 50 000 EUR durante una sessione plenaria ufficiale che ha luogo a Strasburgo verso la fine dell’anno. I candidati, nominati dai gruppi politici o da almeno quaranta deputati al Parlamento europeo, vengono presentati nel corso di una riunione congiunta della commissione per gli affari esteri e lo sviluppo e della sottocommissione per i diritti dell’uomo e vengono votati dai rispettivi membri in base a un elenco ristretto formato da tre candidati. La Conferenza dei presidenti, un organo del Parlamento europeo con a capo il Presidente e di cui fanno parte i leader dei diversi gruppi rappresentati in Parlamento, elegge ogni anno il vincitore o i vincitori finali, la cui scelta rappresenta pertanto una scelta europea a tutti gli effetti.

“Ciò che conta nella vita non è il semplice fatto di aver vissuto. È la differenza che abbiamo fatto nella vita degli altri”.

Nelson Rolihlahla Mandela

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Andrej Sacharov

e lo spirito del Premio

personale. In diversi casi i vincitori non sono stati liberi di ricevere il premio di persona.

Una di questi è Nasrin Sotoudeh, vincitrice del Premio nel 2012, che scrisse dal carcere dove era detenuta in Iran alcune lettere al defunto Andrej Sacharov, in cui indagava filosoficamente il significato della dissidenza e paragonava la sua causa a quella di Sacharov.

“La lettura delle sue memorie è stata per me entusiasmante per diversi motivi. Le analogie dei nostri metodi e la presenza di molti punti in comune sono state molto incoraggianti, allo stesso modo in cui ho ammirato il suo rifiuto di arrendersi ai metodi autoritari messi in atto dal governo del suo paese.

Il rinnovamento quotidiano della sua vita e della sua resistenza è incredibile. Indubbiamente rifletteva lo spirito di Goethe quando affermava che “merita la libertà e la vita solo chi le deve conquistare ogni giorno”.

Quello che è riuscito a ottenere rappresenta una grande vittoria per quanti che lottano per

Andrej Sacharov (1921-1989), fisico rinomato, membro dell’Accademia delle Scienze, dissidente e premio Nobel per la pace nel 1975, apprese dal suo esilio nella città di Gorky, l’attuale Nižnij Novgorod, che il Parlamento europeo intendeva istituire un premio per la libertà di pensiero recante il suo nome. Nel 1987, Andrej Sacharov inviò un messaggio al Parlamento europeo dal suo esilio esprimendo la sua commozione e autorizzando l’utilizzo del suo nome per il Premio. A ragione, egli considerava l’iniziativa un incoraggiamento per tutti coloro che, come lui, si sono votati alla lotta per il rispetto dei diritti dell’uomo.

Pioniere nel campo della fisica nucleare nell’URSS, Andrej Sacharov cominciò a interrogarsi sull’avvio di una corsa agli armamenti che accresceva la minaccia di una guerra nucleare incombente su tutto il mondo nel periodo della guerra fredda. A seguito della pubblicazione, prima in forma clandestina (copie dattiloscritte, edite in proprio) quindi sulla stampa occidentale, di un saggio contenente “Riflessioni sul progresso, la convivenza pacifica e la libertà intellettuale”, Sacharov fu bandito da tutte le ricerche in

la libertà in tutto il mondo. Possano i posteri comprendere i suoi sogni non realizzati. Essi lotteranno per realizzare finalmente i loro sogni e li difenderanno”.

Al pari di Andrej Sacharov, tutte le personalità che hanno ricevuto il premio a lui intitolato testimoniano il grande coraggio, la tenacia e la forza interiore necessari per difendere i diritti dell’uomo e per rivendicarne il riconoscimento universale.

ambito militare. Nel 1970 divenne cofondatore della commissione per i diritti dell’uomo in Unione Sovietica e nel 1972 sposò Elena Bonner, anche lei attivista per i diritti umani. Nonostante le crescenti pressioni da parte del governo, Sacharov non solo si impegnò concretamente per la liberazione dei dissidenti nel proprio paese, ma divenne anche uno dei critici più coraggiosi del regime, il simbolo della lotta contro la negazione dei diritti fondamentali. Era, nelle parole del Comitato per il Nobel per la pace, “un portavoce della coscienza dell’umanità”. Né le intimidazioni né l’esilio a Gorky riuscirono a spezzare la sua resistenza.

Andrej Sacharov fu esiliato a Gorky dalle autorità sovietiche per limitare i suoi contatti con gli stranieri, ma il Premio a lui intitolato va ben oltre i confini, anche quelli dei regimi repressivi, per ricompensare gli attivisti dei diritti umani e i dissidenti di tutto il mondo. I difensori dei diritti umani riconosciuti attraverso il Premio hanno spesso pagato caro il loro impegno per la difesa della dignità umana: molti sono stati perseguitati, picchiati o esiliati oppure hanno perso la loro libertà

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La rete del Premio Sacharov

La rete ha in seguito intensificato le proprie attività mediante la Conferenza di alto livello del novembre 2011, cui tutti i vincitori sono stati invitati dall’allora Presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek per discutere dei problemi riguardanti le democrazie di transizione, il ruolo delle donne e l’impatto delle nuove tecnologie. Come sottolineato da Jerzy Buzek durante la Conferenza, “la destituzione dei regimi repressivi non è merito di Facebook o di Twitter, ma dello spirito umano e del desiderio di libertà e di rendere il mondo migliore”.

Alla manifestazione annuale della rete del Premio Sacharov dell’ottobre 2012, gli attuali copresidenti della rete, il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz e i vincitori del 2011 Ali Ferzat, Asmaa Mahfouz e Ahmed El Senussi, hanno discusso pubblicamente

La rete del Premio Sacharov è stata creata nel 2008 in occasione del ventennale dell’istituzione del Premio.

Per commemorare tale evento il Parlamento europeo ha tenuto una conferenza dal titolo: “Vent’anni di sostegno attivo ai diritti umani: i vincitori del Premio Sacharov raccontano la propria storia”. Molti dei vincitori hanno partecipato alla conferenza, dove si sono scambiati opinioni sui diritti umani nel mondo e sull’impatto del Premio Sacharov. Hauwa Ibrahim, vincitrice nel 2005, ha usato il premio in denaro per permettere a oltre 100 bambini di andare a scuola. Le Madri di Plaza de Mayo, insignite nel 1992, hanno utilizzato il premio per aprire una libreria, un caffè politico e un’università per oltre 2 400 studenti. Elena Bonner, vedova di Andrej Sacharov e nota attivista per i diritti umani e la democrazia, ha

le loro opinioni sul tema della democrazia in fieri sulla scia della Primavera araba. Questi vincitori sono inoltre intervenuti in occasione del primo Forum mondiale per la democrazia a Strasburgo, organizzato con il patrocinio del Parlamento europeo.

Nel 2013 si celebra il 25° anniversario del premio Sacharov. Nel corso dell’anno si sono tenuti numerosi dibattiti organizzati dalla Rete del premio Sacharov, come anche una conferenza di alto livello in occasione della quale i vincitori del premio di tutto il mondo si sono incontrati con il Parlamento europeo per discutere delle loro battaglie e rafforzarsi ed arricchirsi vicendevolmente nell’ambito della Rete del premio Sacharov.

ribadito la convinzione del marito che “bisogna sempre seguire la propria coscienza” e la sua convinzione personale che “i diritti umani sono la base della civiltà”.

Ufficialmente inaugurata da Hans-Gert Pöttering, l’allora Presidente del Parlamento europeo, la rete del Premio Sacharov è una piattaforma che consente ai vincitori di mantenere i contatti con altri attivisti e di dimostrare la propria solidarietà.

I vincitori hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta in cui “hanno convenuto di intensificare gli sforzi comuni a sostegno dei difensori dei diritti umani in tutto il mondo attraverso azioni comuni da parte dei vincitori del Premio Sacharov congiuntamente e in collaborazione con il Parlamento europeo”.

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I PREMIATI

2002 Oswaldo José Payá Sardiñas2003 Kofi Annan, Segretario generale delle Nazioni Unite,

e tutto il personale delle Nazioni Unite2004 Associazione bielorussa dei giornalisti2005 Donne in bianco; Hauwa Ibrahim; Reporter senza frontiere2006 Aliaksandr Milinkevich2007 Salih Mahmoud Mohamed Osman2008 Hu Jia2009 Memorial (Oleg Orlov, Sergei Kovalev e Lyudmila Alexeyeva a nome di

Memorial e di tutti gli altri difensori dei diritti umani in Russia)2010 Guillermo Fariñas2011 Primavera araba (Mohamed Bouazizi, Asmaa Mahfouz,

Ahmed El Senussi, Razan Zaitouneh e Ali Ferzat) 2012 Nasrin Sotoudeh e Jafar Panahi2013 Malala Yousafzai

1988 Nelson Rolihlahla Mandela; Anatoli Marchenko (a titolo postumo)1989 Alexander Dubček1990 Aung San Suu Kyi1991 Adem Demaçi1992 Las Madres de Plaza de Mayo1993 Oslobodjenje1994 Taslima Nasreen1995 Leyla Zana1996 Wei Jingsheng1997 Salima Ghezali1998 Ibrahim Rugova1999 Xanana Gusmão2000 ¡Basta Ya!2001 Izzat Ghazzawi; Nurit Peled-Elhanan; Dom Zacarias Kamwenho

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Malala YousafzaiMalala Yousafzai è una ragazza pakistana di 16 anni cui un talebano che voleva impedire a lei e ad altre ragazze di andare a scuola ha sparato alla testa.

“Le hanno sparato a bruciapelo alla testa e l’hanno resa più forte”, ha dichiarato Angelina Jolie, attrice di Hollywood, in occasione del varo di un primo progetto volto ad aiutare 40 ragazze del distretto pakistano dello Swat ad andare a scuola.

Dopo lunghe cure prestatele nel Regno Unito, dove vive attualmente, Malala si è ristabilita e ha dichiarato di volere che “ogni ragazza, ogni ragazzo riceva un’educazione”.

La sua battaglia ebbe inizio all’età di 11 anni, quando scriveva, per la sezione in lingua urdu della BBC online, un diario anonimo sulla vita di una scolara sotto il regime dei talebani nella valle dello Swat, in Pakistan.

Mercoledì 14 gennaio 2009 scriveva “Forse, non potrò più tornare a scuola”. Il direttore della sua scuola aveva annunciato l’inizio delle vacanze invernali, ma non la data della ripresa delle lezioni. Il 15 gennaio 2009 i talebani ordinavano la chiusura di tutte le scuole femminili dello Swat. Più di 150 scuole erano già state fatte esplodere.

Poco dopo, Malala e la sua famiglia dovettero fuggire dalla loro città assediata, Mingora, dove i talebani e l’esercito pakistano si contendevano la supremazia. La scuola di Malala fu devastata.

Al loro ritorno, reso possibile dal miglioramento delle condizioni di sicurezza, Malala e suo padre, Ziauddin, membro liberale della Jirga, che gestiva una scuola di ragazze, subirono minacce.

Ma Malala continuò la propria azione a favore dell’istruzione femminile esprimendosi con schiettezza in interviste e apparizioni televisive, e dichiarandosi disposta a partecipare a due documentari sull’educazione delle ragazze nella valle dello Swat intitolati La fine della scuola nella valle dello Swat e L’odissea di una scolara. Malala ha utilizzato il denaro di una donazione per acquistare uno scuolabus ed è proprio mentre tornava a casa su questo stesso scuolabus che è stata colpita, e che altre due ragazze sono state ferite, in un agguato rivendicato dal partito Tehrik-e-Taleban.

L’attacco mirava a uccidere Malala e a “dare una lezione” a chiunque fosse legato a lei e alla sua lotta per il diritto all’istruzione, alla libertà e all’autodeterminazione delle ragazze e delle donne in Pakistan. Ma Malala continua a combattere.

Il giorno del suo 16º compleanno, il 12 luglio 2013, parla dinanzi alle Nazioni Unite in occasione di un evento organizzato nella sede dell’Organizzazione dall’inviato speciale delle Nazioni Unite per l’istruzione globale, Gordon Brown.

“I terroristi pensavano di cambiare i miei obiettivi e fermare le mie ambizioni”, ha detto, “ma nulla è cambiato nella mia vita, tranne questo: debolezza, paura e disperazione sono morte. Forza, energia e coraggio sono nati”.

Le Nazioni Unite hanno proclamato il 10 novembre “giornata di Malala”, per richiamare l’attenzione sul diritto delle ragazze di frequentare la scuola, mentre il Pakistan e l’Unesco hanno costituito il Fondo Malala per l’istruzione delle ragazze.

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Vincitore anche del Premio Nobel per la pace nel 1993, Nelson Mandela si è ritirato dalla vita pubblica, ma continua a sostenere i suoi ideali attraverso l’impegno nelle due istituzioni caritative da lui fondate, la Nelson Mandela Foundation e il Nelson Mandela Children’s Fund.

Nel giugno 2013, all’età di 94 anni, Nelson Mandela è stato ricoverato in ospedale a causa di una grave infezione polmonare contratta durante gli anni di carcere. Migliaia di persone di tutto il mondo gli hanno inviato messaggi di affetto e di sostegno.

Come affermato dallo stesso Mandela, “ciò che conta nella vita non è il semplice fatto di aver vissuto. È la differenza che abbiamo fatto nella vita degli altri”.

Sei anni dopo aver ricevuto il primo Premio Sacharov, Nelson Mandela fu eletto presidente, diventando così il primo presidente e capo di governo di colore, della Repubblica del Sud Africa nelle prime elezioni libere indette nel paese. Mandela ha trascorso ventisette anni della sua vita dietro le sbarre a causa del regime dell’apartheid ed è diventato il simbolo della lotta contro il razzismo. Quando fu insignito del Premio Sacharov nel 1988, Mandela era ancora agli arresti domiciliari, ma tenne un discorso al Parlamento europeo a soli quattro mesi dalla sua liberazione. Egli fu categorico riguardo alla necessità di una soluzione equa e duratura che trasformasse il Sud Africa in un paese “unito, democratico e non razziale”. Qualsiasi risultato inferiore sarebbe stato “un insulto alla memoria degli innumerevoli patrioti sudafricani e del resto della regione che hanno sacrificato la loro vita per portarci fino a questo punto, oggi, in cui possiamo affermare fiduciosi che la fine dell’apartheid è vicina”.

Nel salutare il parlamento sudafricano dieci anni dopo il giorno in cui aveva prestato giuramento in qualità di presidente, Mandela osservò che “è stato possibile negoziare tra nemici storici una transizione pacifica dall’apartheid alla democrazia proprio perché eravamo disposti a riconoscere nell’interlocutore l’intrinseca capacità di operare il bene”.

1988

Nelson Rolihlahla Mandela

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Al momento della consegna del Premio Sacharov a Larissa Bogoraz, vedova Marchenko, nel 1988, Andrej Sacharov rese omaggio ad Anatoli Marchenko affermando, in un messaggio al Parlamento europeo: “in La mia testimonianza, Marchenko è stato il primo a dire la verità riguardo ai campi di lavoro e alle prigioni di epoca post-staliniana. Il suo libro è diventato una delle pietre miliari del movimento per i diritti umani nel nostro paese. Con il suo senso della moralità e attraverso la lotta non violenta per la giustizia, con le sue aspirazioni a una verità completa e trasparente, quest’opera ha scatenato l’odio degli organi di repressione nei confronti del suo autore. Tutto quello che gli è successo da quel momento in poi, come pure la sua tragica fine nella prigione di Čistopol, non è stato altro che la punizione inflittagli per la sua sincerità, la sua determinazione e i suoi nobili principi morali. Le conquiste ottenute da Marchenko e il suo lavoro hanno rappresentato un enorme contributo alla causa della democrazia, dell’umanità e della giustizia”.

Anatoli Marchenko, uno dei più noti dissidenti dell’ex Unione Sovietica, è morto nel 1986 nella prigione di Čistopol, dopo tre mesi di sciopero della fame per chiedere il rilascio di tutti i prigionieri di coscienza sovietici. Aveva solo 48 anni, ma aveva trascorso più di vent’anni in prigione e come esiliato interno. La protesta internazionale suscitata dalla sua morte è stata uno dei fattori decisivi per convincere Michail Gorbačev, l’allora segretario generale del partito comunista, ad autorizzare il rilascio su larga scala dei prigionieri politici nel 1987.

Marchenko è diventato famoso per “La mia testimonianza”, un’opera autobiografica sul periodo trascorso nei campi di lavoro e nelle prigioni dell’Unione sovietica. Lasciata la scuola all’età di otto anni, Marchenko si è formato come autodidatta durante gli anni di prigionia. Dopo il suo rilascio nel 1966, Marchenko non solo scrisse questa importante opera, ma fece anche parte del movimento sovietico per i diritti umani e divenne uno dei membri fondatori della sezione moscovita del gruppo di Helsinki nel 1975, organizzando proteste e appelli e scrivendo diverse lettere aperte, alcune delle quali causarono la sua ripetuta incarcerazione.

1988

Anatoli Marchenko

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“socialismo dal volto umano” furono annientati, il 21 agosto 1968, da carri armati del Patto di Varsavia che invasero la Cecoslovacchia e assunsero il controllo di Praga. Dubček venne rapito dal KGB, portato al Cremlino e detenuto per un breve periodo.

Nel 1970 fu accusato di tradimento, esonerato da tutti gli incarichi ed espulso dal partito comunista cecoslovacco. Per quindici anni sopravvisse lavorando come semplice operaio, per poi tornare alla vita politica come attivista dei diritti civili nel 1988.

Dopo la rivoluzione del 1989 in Cecoslovacchia, Dubček fu eletto presidente dell’Assemblea federale dal 1989 al 1992. In un messaggio letto durante la cerimonia di premiazione dell’omonimo Premio, Andrej Sacharov lo definì una figura che ha infuso speranza anche ai dissidenti sovietici nella loro lunga lotta per la Glasnost. Dubček, dal canto suo, espresse l’auspicio che “grazie alla primavera di Praga, nel 1990 e in tutti gli anni a venire risuoni la grande sinfonia dello spirito comunitario europeo”.

Morì in un incidente stradale nel 1992.

Alexander Dubček (1921-1992) è stato uno dei catalizzatori del processo di rinnovamento e di cambiamento dell’ex blocco orientale e la figura principale del movimento riformista noto come la “primavera di Praga”, che ha avuto luogo nel 1968 in Cecoslovacchia.

Cresciuto in una famiglia impegnata nel sostenere la creazione del socialismo in Unione Sovietica, nel 1939 Dubček aderì segretamente al partito comunista e, dopo l’occupazione della Cecoslovacchia durante la seconda guerra mondiale, partecipò al movimento di resistenza clandestino contro lo Stato filogermanico della Slovacchia.

Quando nel 1968 Dubček, comunista militante, diventò primo segretario del partito comunista cecoslovacco, cercò di liberalizzare il regime comunista a partire da una serie di riforme liberali, volte a garantire una maggiore libertà di espressione della stampa, la riabilitazione delle vittime dell’era delle epurazioni politiche di Stalin e prevedendo anche riforme economiche nonché un ampio processo di democratizzazione della vita politica cecoslovacca. Le sue riforme destarono la preoccupazione di Mosca e i suoi sforzi per un

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Alexander Dubček

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periodo, le autorità rifiutarono di concedere al marito, malato di tumore, un visto per farle visita in Myanmar/Birmania, esortandola invece a lasciare il paese. Sapendo che non le sarebbe stato consentito ritornare, Suu Kyi decise di non partire e di non vedere il marito fino alla morte dello stesso, avvenuta nel 1999.

Suu Kyi era ancora agli arresti domiciliari quando, nel 2010, si sono svolte le prime elezioni in Myanmar/Birmania da vent’anni, ma fu rilasciata sei giorni dopo. Con l’avvio delle riforme democratiche nel paese, Suu Kyi si è candidata alle elezioni parlamentari suppletive dell’aprile 2012, in occasione delle quali il suo partito ha vinto 43 seggi su 45. Attualmente è il leader dell’opposizione parlamentare.

In occasione della sua vittoria elettorale, il Parlamento europeo, che aveva più volte chiesto il suo rilascio incondizionato, l’ha elogiata per il suo “esempio di coraggio disinteressato e di lotta per la libertà e la democrazia di fronte alla tirannia”.

Nel 2013, Aung San Suu Kyi ha dichiarato il suo desiderio di candidarsi alla presidenza del paese.

Il ruolo preminente svolto da Aung San Suu Kyi nella lotta per la democrazia in Myanmar/Birmania è stato riconosciuto attraverso il conferimento del Premio Sacharov nel 1990. Un anno dopo, Aung San Suu Kyi ricevette il premio Nobel per la pace.

Figlia di Aung San, eroe nazionale dell’indipendenza birmana, assassinato quando lei aveva due anni, e di Khin Kyi, eminente diplomatica birmana, dopo aver vissuto all’estero Suu Kyi tornò in Birmania nel 1988 per accudire la madre morente. In quel periodo fu testimone del brutale massacro dei manifestanti contro il regime militare di U Ne Win, che la indusse a iniziare la sua lotta non violenta per la democrazia e i diritti dell’uomo.

Dopo la repressione da parte della giunta militare al governo con arresti e sanguinose rappresaglie nei confronti della Lega nazionale per la democrazia da lei fondata, e alla quale la giunta militare rifiutò di cedere il comando nonostante la vittoria schiacciante alle elezioni del 1990, Aung San Suu Kyi trascorse la maggior parte dei vent’anni successivi agli arresti domiciliari o in prigione. Durante questo

1990

Aung San Suu Kyi

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Dal 1998 al 1999, durante la guerra del Kosovo, fu rappresentante politico dell’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK) e rimase in Kosovo dopo che altri leader avevano lasciato il paese.

Dopo il conflitto si dedicò prevalentemente alla riconciliazione etnica e al ritorno dei profughi, assumendo la presidenza del Comitato per la comprensione reciproca, la tolleranza e la coesistenza, che riunisce rappresentanti di tutte le et nie del Kosovo, “perché il Kosovo appartiene a tutti” e “perché vogliamo una società libera, democratica e multietnica”.

Nel 1996 Demaçi è stato candidato al premio Nobel per la pace. Ha scritto diversi libri, fra cui “L’amore quantificato” e “Mamma Šega e le sue cinque figlie”. La sua trilogia “Ceneri 99” rappresenta un’immagine spirituale del dramma albanese, che coincide con il suo dramma personale.

Nato a Pristina, Kosovo, nel 1936, Adem Demaçi è uno scrittore che ha passato la maggior parte della sua vita, tra il 1958 e il 1990, in prigione per aver lottato per i diritti fondamentali degli albanesi del Kosovo e per aver reso nota la triste verità sulla repressione della Serbia nei confronti di due milioni di albanesi in Kosovo.

“Ai nostri giorni possiamo confermare che la libertà di parola è il primo irrinunciabile passo verso la democrazia. Senza la libertà di parola non esiste dialogo, senza dialogo non si può trovare la verità e senza verità è impossibile il progresso”.

Dopo la sua liberazione, Adem Demaçi assunse la direzione del Consiglio per la difesa dei diritti dell’uomo e delle libertà. Nel 1996 intraprese la carriera politica come membro e presidente del partito parlamentare del Kosovo facendosi promotore delle proteste aperte nei confronti del regime serbo e sostenendo che la non-violenza non significa essere passivi. Diede così inizio a una campagna di protesta visibile, ma non violenta, nei confronti delle autorità serbe, che consisteva nel chiedere ai kosovari di spegnere le luci per cinque minuti e di rimanere immobili per strada per un minuto, esattamente nello stesso momento.

1991

Adem Demaçi

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“Senza la libertà di parola non esiste dialogo, senza dialogo non si può trovare la verità e senza verità è impossibile il progresso”.

Adem Demaçi

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A fronte degli sviluppi democratici che hanno avuto luogo in Argentina nel 2006, le Madri hanno organizzato la loro ultima marcia di resistenza annuale affermando che “il nemico non risiede più nella sede del governo”. Il movimento si è diviso a causa di divergenze interne. La linea fondatrice, tuttavia, ha continuato la sua marcia settimanale del giovedì per ricordare la lunga lotta, cui si è aggiunto un nuovo gruppo, i Figli dei desaparecidos (Los Hijos de los Desaparecidos).

In occasione del 36° anniversario, Hebe de Bonafini, leader del movimento, in una lettera aperta ha chiesto alla Corte suprema di giustizia dell’Argentina di “riflettere sulla propria immagine e, di tanto in tanto, di difendere il popolo argentino, non solo le grandi corporazioni”.

La lotta delle Madri di Plaza de Mayo, iniziata come una ricerca dei figli rapiti, si è trasformata in una lotta politica per l’indipendenza del sistema giudiziario.

Per molti anni, le Madri di Plaza de Mayo sono rimaste unite nella lotta e nel dolore per non aver mai ritrovato i propri figli dispersi. Questo movimento, nato dalla ricerca delle madri dei propri figli scomparsi durante la cosiddetta “guerra sporca” in Argentina (1976-1983), ha contribuito alla deposizione del regime militare nel paese, nonché al processo e alla detenzione di alcuni responsabili di crimini contro l’umanità.

Essere una delle madri di Plaza de Mayo significava affrontare la paura, sopportare le minacce, la violenza e gli arresti casuali in un paese dove si riteneva che le donne dovessero sopportare le ingiustizie in silenzio. Queste donne hanno usato i loro corpi come manifesti mobili delle fotografie e dei nomi dei propri figli scomparsi e delle suppliche per riaverli indietro. In un momento in cui era vietato perfino riunirsi in gruppo per la strada, le Madri hanno iniziato la loro prima protesta camminando lentamente in cerchio in senso antiorario nella Plaza de Mayo. Durante la prima protesta erano in quattordici, ma in seguito svariate centinaia di madri si sono unite a loro, continuando la loro resistenza passiva anche quando alcune di loro sono “scomparse”.

1992

Le Madri di Plaza de Mayo

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Nel 1993 i redattori di Oslobodjenje furono nominati “Redattori internazionali dell’anno” dalla World Press Review per il loro “coraggio, la loro tenacia e la loro dedizione ai principi del giornalismo”. Essi furono insigniti di diversi altri premi per il loro lavoro eccezionale e per gli sforzi compiuti: “Giornale dell’anno” nel 1992, Freedom Award nel 1993, “Premio Oscar Romero” nel 1993, Nieman Foundation’s Louis M. Lyons Award per la coscienza e l’integrità nel giornalismo nel 1993 e Achievements in Journalism Award nel 1993. Nel 1995 il capo redattore Mehmed Halilovic accettò la medaglia al merito dell’università del Missouri dalla Scuola di giornalismo della Colombia per aver continuato a pubblicare il quotidiano durante l’assedio di Sarajevo dal 1992 al 1995.

Il quotidiano Oslobodjenje, fondato nel 1943, ha tuttora sede a Sarajevo. Nel 2006 il giornale è stato acquistato da due delle principali imprese della città, la fabbrica di tabacco di Sarajevo e il birrificio di Sarajevo.

Durante la guerra nell’ex Jugoslavia, il popolare quotidiano Oslobodjenje (Liberazione) impiegò dipendenti bosniaci, serbi di Bosnia e croati di Bosnia. Nonostante i morti e i feriti fra i giornalisti e la distruzione della sede del giornale ad opera dell’artiglieria serba, circa 70 redattori continuarono a lavorare in un rifugio atomico al piano interrato dell’edificio a Sarajevo, rischiando la vita per pubblicare il giornale.

Zlatko Disdarevič, all’epoca uno dei redattori del giornale, divenuto in seguito ambasciatore della Bosnia, ha dichiarato che Oslobodjenje si proponeva l’obiettivo di salvaguardare e difendere la Bosnia-Erzegovina come Stato multietnico. “I nostri sforzi sono diretti contro la morte, la divisione se non la totale cancellazione della Bosnia-Erzegovina dalla carta geografica. La popolazione di Sarajevo e della Bosnia-Erzegovina continuerà a lottare contro la divisione, che ha le sue origini nell’Europa pre-esistente alla prima guerra mondiale”.

1993

Oslobodjenje

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Alcuni anni più tardi, nel settembre 1998, Taslima Nasreen tornò in Bangladesh per vedere la madre gravemente malata. Non appena la notizia si diffuse, i fondamentalisti religiosi tornarono a chiedere la morte della scrittrice. Il tribunale emise un ordine di cattura nei suoi confronti e minacciò di sequestrarle i beni. Il Parlamento europeo accolse il grido di aiuto di Taslima Nasreen e in una sua risoluzione invitò il governo del Bangladesh a tutelare la vita e la sicurezza della donna. A causa delle continue minacce, nel gennaio 1999 Taslima Nasreen abbandonò nuovamente il suo paese. Attualmente vive a Nuova Delhi.

In una visita al Parlamento europeo nel giugno 2013, Taslima Nasreen ha chiesto di sostenere i movimenti laici in Bangladesh per contrastare lo sviluppo del fondamentalismo islamico, che considera particolarmente dannoso per i diritti delle donne. La scrittrice si è schierata contro il fondamentalismo in tutte le religioni.

Nata nel 1962 in Bangladesh, Taslima Nasreen iniziò a scrivere all’età di 13 anni ed è famosa per l’intensità dei suoi scritti sull’oppressione delle donne e per le sue critiche indefesse nei confronti della religione, nonostante l’esilio forzato e le numerose fatwa di morte pronunciate nei suoi confronti. Premiata scrittrice, le sue opere sono tradotte in trenta lingue.

Talisma Nasreen è anche un fisico, un’umanista laica e un’attivista dei diritti umani che si riconosce fortemente nella sua identità bangladese. A causa del suo pensiero e delle sue idee, tuttavia, alcuni dei suoi libri sono stati messi al bando in Bangladesh e a lei stessa è vietato l’accesso al Bengala, sia al Bangladesh che al Bengala occidentale.

Quando nel 1994 le fu conferito il Premio Sacharov, aveva già trovato rifugio in Europa, vivendo in esilio in Francia e in Svezia. Nel suo discorso di ringraziamento alla consegna del Premio, Taslima Nasreen ricordò che veniva da una parte del mondo in cui le tensioni sociali e le difficoltà umane sono insopportabili. Come scrittrice non poteva chiudere gli occhi dinanzi alle sofferenze quotidiane e alle morti per fame che vi imperversano.

1994

Taslima Nasreen

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Nel 1995 il Parlamento europeo le conferì il Premio Sacharov per la sua difesa coraggiosa dei diritti umani e per il suo impegno nel cercare una risoluzione pacifica e democratica ai conflitti tra il governo turco e la popolazione curda.

Nel 2004, dopo che la Corte europea dei diritti dell’uomo stabilì che non era stata sottoposta a un processo giusto e indipendente, Leyla Zana fu finalmente in grado di tenere un discorso al Parlamento europeo in occasione della cerimonia di consegna del premio a lei assegnato.

Nel 2012 è stata condannata ad altri dieci anni di reclusione per presunta propaganda terroristica. Rieletta come deputato al parlamento nel 2011, ha ricevuto l’immunità parlamentare fino al 2015.

Nel giugno 2012, Leyla Zana ha incontrato il primo ministro Erdogan dopo aver affermato pubblicamente che auspicava una risoluzione della questione curda. La sua iniziativa è servita come base per il processo negoziale, grazie al quale, nel marzo 2013, Abdullah Öcalan, leader del PKK, ha lanciato un appello storico affinché il partito abbandonasse la resistenza armata per abbracciare una lotta politica democratica.

Nel 1991, Leyla Zana è stata la prima donna curda a ottenere un seggio al parlamento turco. Ritenuta contraria all’unità del paese dai tribunali della Turchia, Leyla Zana ha scontato una pena detentiva di dieci anni per il suo attivismo politico.

All’età di 15 anni sposò Mehdi Zana, ex sindaco di Diyarbakir, imprigionato durante il governo militare per presunto separatismo negli anni Ottanta. Iniziata la scuola a 23 anni, Leyla Zana ottenne il diploma di istruzione primaria e secondaria in tre anni per poi assumere spontaneamente un ruolo di leader, poiché la sua evoluzione personale è stata vista come potenzialmente analoga alla realizzazione dei diritti fondamentali per la popolazione curda. Eletta al parlamento con un numero enorme di voti, durante la cerimonia di giuramento provocò uno scandalo dichiarando, in curdo, il suo impegno per “la fratellanza tra il popolo curdo e quello turco”. All’epoca dei fatti, esprimersi pubblicamente in curdo era un reato penale.

Nel 1994 le fu tolta l’immunità parlamentare e venne condannata a 15 anni di detenzione per “tradimento e per aver fatto parte del partito curdo dei lavoratori (PKK)”, un’accusa che la donna negò.

1995

Leyla Zana

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In “Exploration”, una rivista clandestina da lui diretta e fondata, Wei scrisse “Democracy or a New Dictatorship?” (Democrazia o una nuova dittatura?) in cui identificò il leader comunista Deng Xiaoping come il nuovo dittatore. Arrestato tre giorni più tardi, nel 1979 Wei fu condannato per attività “controrivoluzionarie” a 15 anni di carcere. Wei conobbe il braccio della morte, l’isolamento e i lavori forzati sotto stretta sorveglianza fino al 1993, quando fu rilasciato a seguito della decisione della Cina di partecipare ai giochi olimpici del 2000. Dopo sei mesi venne nuovamente arrestato, processato e condannato per attività “controrivoluzionarie” a una pena detentiva di altri 14 anni.

Quando fu insignito del Premio Sacharov nel 1996 si trovava ancora in carcere. Nel 1997, dopo fortissime pressioni internazionali, Wei venne prelevato dalla sua cella e imbarcato su un aereo per gli Stati Uniti. Egli ritiene di non essere stato liberato, ma mandato in esilio come ulteriore punizione.

Attualmente a Washington, Wei è a capo della Wei Jinsheng Foundation, della Overseas Chinese Democracy Coalition e della Asia Democracy Alliance.

Nonostante l’esilio, il “padre del movimento democratico cinese” rimane un leader attivo dell’opposizione alla dittatura comunista cinese.

È l’autore di “The Courage to Stand Alone: Letters from Prison and Other Writings” (Il coraggio di lottare da soli. Lettere dal carcere e altri scritti), articoli che furono scritti inizialmente sulla carta igienica durante gli anni del carcere e attualmente pubblicati in più di dieci lingue.

Fu condannato due volte al carcere per una pena complessiva di 29 anni, di cui ne ha scontati oltre 18 per le sue attività e i suoi scritti a sostegno della democrazia, fra cui il saggio innovativo del 1978 intitolato “The Fifth Modernization: Democracy” (La quinta modernizzazione: democrazia). Tutto ebbe inizio con un manifesto murale firmato apparso sul muro della democrazia a Pechino, sul quale lavoratori, artisti e intellettuali esercitavano la loro libertà di espressione. L’evento suscitò scalpore, non solo perché rappresentava un attacco aperto alla “dittatura popolare democratica” dei comunisti, ma anche perché Wei Jingsheng aveva osato firmare con il proprio nome e i propri dettagli di contatto.

1996

Wei Jingsheng

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La Nation ha ripreso la pubblicazione via Internet nel 2011. In una lettera del direttore, Salima Ghezali spiegava le sue motivazioni: “Non possiamo rimanere indifferenti di fronte alle dinamiche dei giovani del mondo arabo che lottano per la loro dignità e per la loro libertà. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte a ciò che sta accadendo nel nostro paese. Vogliamo che il popolo algerino sia felice, perché lo merita. Vogliamo istituzioni solide e risorse umane migliori, in una vera democrazia e nello Stato di diritto” e concludeva esprimendo il desiderio di “un’Algeria migliore, dove la buona governance sia la norma”.

Salima Ghezali ha ricevuto diversi premi per la difesa dei diritti dell’uomo, fra cui il World Press Review Award, l’Olof Palm Priee e il Rothko Chapel Oscar Romero Award. Salima Ghezali continua il suo attivismo a favore dei diritti delle donne, dei diritti umani e della democrazia in Algeria.

Salima Ghezali è una giornalista algerina, una scrittrice e una sostenitrice dei diritti delle donne. Negli anni ‘80 si impegnò dapprima nel movimento delle donne algerine, tra l’altro come membro fondatore di “Donne d’Europa e del Maghreb” e come caporedattrice della rivista femminile NYSSA da lei fondata.

Insegnante di professione, intraprese la carriera di giornalista dirigendo dal 1994 La Nation, il settimanale algerino in lingua francese più letto in Algeria. Durante gli undici anni di guerra civile iniziata nel 1991 tra il governo algerino e gruppi di ribelli islamici, La Nation sostenne il dialogo politico tra tutte le parti del conflitto, i diritti umani e la libertà di espressione per tutti, criticando – ed è stata l’unica testata a farlo – sia il governo che gli estremisti islamici; ragione per cui la rivista venne più volte sequestrata e sospesa, fino alla chiusura definitiva nel 1996, dopo la pubblicazione su Le Monde Diplomatique di un articolo in cui Salima Ghezali descriveva la situazione dei diritti umani in Algeria.

1997

Salima Ghezali

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Rugova continuò la sua opposizione non violenta contro il regime serbo, mantenendo sempre la disponibilità al dialogo con Belgrado. La sua posizione negoziale fu criticata da Adem Demaçi, favorevole a un approccio più nazionalista. Allo stesso tempo, egli operò per interessare l’opinione pubblica mondiale alla causa del suo popolo. Il suo appello alla comunità internazionale affinché aumentasse le sue pressioni e offrisse una protezione internazionale al Kosovo continuò a risuonare con immutato vigore. Nella convinzione che l’autodeterminazione del suo popolo fosse possibile soltanto una volta conseguita la pace, il 18 marzo 1999 Ibrahim Rugova firmò, in veste di rappresentante negoziale degli albanesi del Kosovo, l’accordo di pace di Rambouillet. Il rifiuto di Belgrado di firmare l’accordo provocò, il 24 marzo, gli attacchi aerei della NATO contro la Jugoslavia e il ritiro delle forze jugoslave dal Kosovo. Rugova fu costretto alla clandestinità. Nel marzo 2002 Ibrahim Rugova venne eletto primo presidente del Kosovo. Morì di cancro il 21 gennaio 2006.

Nel 1998, con l’aggravarsi del conflitto armato tra reparti serbi e l’Esercito di liberazione del Kosovo, il Parlamento europeo rese onore a un uomo impegnato a favore del principio della resistenza pacifica contro la violenza.

Nell’accettare il premio, Ibrahim Rugova affermò che esso “rappresenta per me e per tutte le persone del Kosovo il riconoscimento della nostra lotta pacifica e dei nostri sacrifici”.

Ibrahim Rugova, nato il 2 dicembre 1944 a Cerrca (Istog) nel Kosovo, insegnò lettere all’università di Pristina prima di essere eletto leader della Lega democratica del Kosovo (LDK) nel 1989. Nello stesso anno Belgrado abrogò lo statuto di autonomia della provincia del Kosovo dando inizio alla repressione della popolazione albanese e agli arresti di leader dell’opposizione. Nel 1990 i due milioni di albanesi del Kosovo adottarono la propria costituzione. Nel 1991, con un referendum, il 97% di loro si espresse a favore dell’indipendenza del Kosovo e nel 1998 Ibrahim Rugova fu confermato presidente dell’autoproclamata “Repubblica del Kosovo”.

1998

Ibrahim Rugova

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Nondimeno, il 20 novembre 1992 Xanana Gusmão fu arrestato e condannato all’ergastolo, poi commutato in 20 anni di reclusione. La resistenza di Timor tuttavia non si fiaccò e fu esercitata un’enorme pressione internazionale sull’Indonesia per chiedere la liberazione di Gusmão. Quando venne liberato nel settembre 1999, poco dopo il referendum del 30 agosto, in cui l’80% della popolazione di Timor votò per l’indipendenza, Gusmão promise di “fare tutto il possibile per portare la pace a Timor Leste e al mio popolo”.

Nelle prime elezioni presidenziali libere svoltesi nell’aprile 2002 a Timor Leste Xanana Gusmão è stato eletto con quasi l’83% dei voti. Il 20 maggio 2002 il Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ha ufficialmente dichiarato l’indipendenza della Repubblica democratica di Timor Leste, della quale Xanana Gusmão è stato Presidente fino al maggio 2007. Nel 2008 Xanana Gusmão è sopravvissuto a un tentativo di assassinio ed è l’attuale primo ministro del paese.

Xanana Gusmão, chiamato il “Mandela di Timor”, è riconosciuto come leader e come simbolo della resistenza di Timor, che mirava a porre fine al conflitto armato per l’indipendenza dell’Indonesia. Accusato di separatismo e condannato a una pena di vent’anni, di cui ne aveva scontati sette, venne insignito del Premio Sacharov nel 1999 appena uscito dal carcere.

Dopo il ritiro dei portoghesi, ebbe inizio la destabilizzazione di Timor Leste ad opera dell’Indonesia che il 7 dicembre 1975 invase il paese. Gusmão entrò in clandestinità e nel 1978 diventò capo del braccio armato del “Fronte rivoluzionario per l’indipendenza di Timor Leste” (FRETILIN).

Secondo le stime, le violenze che accompagnarono l’invasione provocarono la morte di 200 000 persone, ma non riuscirono a piegare la determinazione del popolo a opporre resistenza. Xanana Gusmão cercò di ottenere una soluzione pacifica proponendo al governo indonesiano un piano di pace e trattative sotto l’egida dell’ONU. Nel 1986 riuscì a riunire nel “Consiglio nazionale della resistenza di Timor” (CNRT) le diverse forze politiche e sociali.

1999

“Xanana” Gusmão

Xanana Gusmão ha cambiato legalmente il proprio nome, Jose Alexandre Gusmão, in Kay Rala Xanana Gusmão. Kay Rala era il suo nome di battaglia durante la lotta per la libertà e l’autodeterminazione di Timor

Est, mentre Xanana è il nome con cui era conosciuto in gioventú.

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“Adesso basta!” e che nel luglio 2004 è stata riconosciuta quale organo consultivo del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, è un’associazione di persone impegnate per la causa dei diritti umani, della democrazia e della tolleranza nel Paese Basco.

L’organizzazione è stata promotrice di varie attività, fra cui emergono le due grandi manifestazioni che hanno avuto luogo a San Sebastian nel febbraio e nell’ottobre del 2000. L’organizzazione chiedeva lo scioglimento dell’ETA, sosteneva le vittime del terrorismo e difendeva la costituzione e lo statuto come base per una coesistenza dignitosa di tutti i cittadini baschi.

Basta Ya si è sciolta nel 2007. I suoi leader, Carlos Martinez Gorriarán, Juan Luis Fabo, Rosa Díez e Fernando Savater, hanno formato un partito politico (UPyD, Unión Progreso y Democracia), che è attualmente attivo nel panorama politico spagnolo. Fernando Savater, leader intellettuale del movimento, ha rappresentato Basta Ya alla cerimonia di assegnazione del Premio Sacharov presso il Parlamento europeo nel 2000.

I membri di Basta Ya hanno rischiato la propria vita nella lotta contro il terrorismo. La loro unica “arma” era la mobilitazione pacifica dei cittadini in difesa delle libertà fondamentali. Per molti anni, le libertà essenziali e i diritti umani sono stati in pericolo nel Paese Basco a causa del terrorismo dell’ETA e di gruppi affini. Migliaia di persone sono state oggetto di campagne di intimidazione, di estorsione, di ricatto e di attacchi o attentati mortali diretti contro di loro, le loro famiglie e i loro beni e non hanno potuto esprimersi liberamente, né esercitare i propri diritti senza incorrere in gravi pericoli.

L’organizzazione Basta Ya è stata creata perché le libertà civili fondamentali e i diritti umani nel Paese Basco erano minacciati, in particolare quelli dei cittadini “non nazionalisti”, a causa del terrorismo dell’ETA e delle attività di gruppi a essa affiliati. La sua creazione è avvenuta anche a seguito all’aumento del nazionalismo etnico e xenofobo tra i partiti nazionalisti più moderati e nell’ambito di gruppi che hanno cercato di trovare un accordo con l’ETA.

L’iniziativa civica, il cui nome significa

2000

¡BASTA YA!

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Fu anche membro del Comitato esecutivo del Consiglio palestinese per la giustizia e la pace e nel 1995 ricevette il Premio internazionale per la libertà di espressione a Stavanger. Fu più volte imprigionato e perseguitato dalle autorità israeliane per le sue attività politiche.

Nel presentarlo come vincitore del Premio Sacharov nel 2001, l’allora Presidente del Parlamento europeo Nicole Fontaine gli rese omaggio per aver “promosso in maniera instancabile la causa della pace e del dialogo tra il popolo israeliano e il popolo palestinese”, sottolineando che il suo ardore non era mai diminuito, nonostante la prigionia, la censura e, peggio di qualunque altra cosa, la perdita insostituibile del figlio sedicenne Ramy.

Poco dopo la morte del figlio, insieme allo scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua e al fotografo Oliviero Toscani, pubblicò Enemies, un libro sui rapporti tra palestinesi e israeliani che riscosse un enorme successo.

Izzat Ghazzawi è morto il 4 aprile 2003.

Izzat Ghazzawi (1952-2003) è stato uno scrittore e professore palestinese le cui opere sono incentrate sui problemi e sulle sofferenze causate dall’occupazione israeliana nei territori palestinesi e sulle proprie sofferenze personali, che egli riteneva di poter trasformare in capacità di guarigione.

La sua vita fu segnata dall’uccisione, a opera dell’esercito israeliano, del figlio Ramy, di 16 anni, nel 1993. Ramy venne ucciso nel cortile della scuola mentre prestava soccorso a un amico ferito. Nonostante questo tragico avvenimento, Izzat Ghazzawi ha sempre continuato a cercare il dialogo culturale e politico con il popolo israeliano.

Figlio di profughi, Izzat Ghazzawi aveva conseguito un master in letteratura anglo-americana e insegnato presso l’università di Birzeit. Critico letterario, fu presidente dell’Unione degli scrittori palestinesi, scrisse romanzi e racconti e organizzò e presiedette la prima Conferenza internazionale degli scrittori in Palestina nel 1997.

2001

Izzat Ghazzawi

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È anche fortemente impegnata per cambiare la mentalità della società israeliana, in particolare quella delle giovani generazioni. La sua ultima pubblicazione, intitolata “Palestine in Israeli school books. Ideology and propaganda in education” (La Palestina nei libri di scuola in Israele. Ideologia e propaganda nell’istruzione) richiama l’attenzione sul fatto che l’istruzione nelle scuole israeliane sembra propendere più verso il razzismo che non verso la tolleranza e la diversità. Ha espresso forti critiche nei confronti di leader mondiali, quali George Bush, Tony Blair e Ariel Sharon, perché “contagiano i rispettivi cittadini con un orrore cieco nei confronti dei musulmani”.

Nurit Peled-Elhanan è co-fondatrice del tribunale Russel, un tribunale popolare internazionale istituito nel 2009 per esaminare il ruolo e la complicità di terzi, quali governi, istituzioni e corporazioni, nelle violazioni del diritto internazionale perpetrate da Israele nei confronti del popolo palestinese.

Nata in Israele nel 1949, Nurit Peled-Elhanan è una docente universitaria e una scrittrice. Nel 1997, all’età di tredici anni la figlia Smadar fu vittima di un attacco suicida da parte di un attentatore palestinese nella zona occidentale di Gerusalemme.

“Mia figlia è stata uccisa, solo perché israeliana, da un giovane oppresso ed esasperato al punto da suicidarsi e uccidere, solo perché palestinese. Entrambi sono vittime dell’occupazione israeliana della Palestina. Il loro sangue si è mescolato sulle pietre di Gerusalemme che sono sempre state indifferenti al sangue”. Nurit Peled-Elhanan non consentì alle autorità israeliane, incluso il primo ministro, di partecipare al funerale della figlia.

Figlia, a sua volta, del famoso generale Matti Peled, noto per le sue campagne pacifiste e progressiste, Nurit Peled-Elhanan è diventata il simbolo di coloro che in Israele lottano contro l’occupazione e per la libertà della Palestina.

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Nel 2003 Monsignor Kamwenho rinunciò alla presidenza della Conferenza episcopale d’Angola e di São Tomé, ma continuò a operare attivamente nell’ambito della sua diocesi e del Comitato ecumenico per la pace in Angola per la realizzazione della democrazia, per il rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti umani, per l’instaurazione dello Stato di diritto e per una riconciliazione nazionale duratura. Nel 2007 ha dichiarato che “negli ultimi due anni in particolare, è maturata nel popolo angolano una nuova consapevolezza riguardo alla necessità di lottare per la pace e per i diritti dell’uomo, incoraggiata e rappresentata dagli sforzi delle autorità ecclesiastiche e dei vari organi della società civile, con il fine ultimo di una riconciliazione nazionale globale”.

Nel 2012 monsignor Kamwenho, ormai ritiratosi dalla carica, ha invitato i cittadini angolani a esercitare il proprio diritto di voto.

Nel 1999 ha cominciato a diffondersi tra la popolazione dell’Angola una nuova consapevolezza della necessità di combattere per la pace e i diritti dell’uomo, incoraggiata dagli sforzi di autorità ecclesiastiche e di numerose organizzazioni della società civile, nello spirito di una “riconciliazione nazionale globale”. Al vertice di questo movimento per la pace vi era la figura dell’arcivescovo Zacarias Kamwenho.

Nato a Chimbundo (Huambo, Angola) nel 1934 e ordinato sacerdote nel 1961, Dom Zacarias Kamwenho divenne arcivescovo di Lubango nel 1995. Con la sua fermezza, imparzialità e tenacia egli è riuscito a farsi ascoltare da tutte le parti coinvolte nel conflitto, nel tentativo di raggiungere, attraverso il dialogo politico, una pace duratura dopo 26 anni di guerra civile. Per il suo impegno instancabile a favore della pace il Parlamento europeo gli conferì nel 2001 il Premio Sacharov.

Il cessate il fuoco stabilito nel 2002, dopo l’assassinio di Jonas Savimbi, capo della guerriglia, i colloqui di pace e il clima generale favorevole a una democratizzazione sono stati possibili in larga misura grazie alla campagna condotta da Dom Zacarias Kamwenho e da altri leader religiosi e della società civile.

2001

Dom Zacarias Kamwenho

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politici all’Assemblea nazionale. Istituì inoltre il Foro Todos Cubanos nel 2010.

Nel 2012 è stato candidato per la sesta volta al Premio Nobel per la pace. Il 22 luglio dello stesso anno ha perso la vita in un incidente stradale a Cuba. Nel rendergli omaggio, il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz si è dichiarato convinto che le sue idee sono destinate a sopravvivere, in quanto il suo lavoro e il suo impegno hanno ispirato una generazione di attivisti cubani che seguono il suo esempio nel promuovere la libertà politica e i diritti umani.

Il Movimento cristiano di liberazione continua a chiedere il chiarimento delle circostanze del suo decesso. La sua famiglia ha respinto la versione ufficiale dell’incidente automobilistico. Sua figlia Rosa Maria ha chiesto l’avvio di un’indagine internazionale imparziale sulla morte del padre dinanzi al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e ad altre organizzazioni internazionali, denunciando la persecuzione e le minacce inflitte alla famiglia dagli agenti della sicurezza statale. Nel giugno 2013, la famiglia Payà si è trasferita negli Stati Uniti, dove intende vivere temporaneamente beneficiando dello status di rifugiati politici.

Oswaldo José Payá Sardiñas (1952-2012) è meglio noto come il fondatore del progetto Varela, una campagna a sostegno di un referendum per chiedere l’introduzione di leggi per la protezione dei diritti civili, la convocazione di elezioni libere e pluraliste, il rilascio di tutti i prigionieri politici e l’introduzione di riforme economiche e sociali a Cuba.

Attivo nell’ambito delle riforme fin da giovane, le persecuzioni e le condanne di cui è stato vittima in più occasioni per il suo atteggiamento critico nei confronti delle politiche e delle ingiustizie di Fidel Castro non lo fecero desistere dal fondare nel 1988 il Movimento cristiano di liberazione, divenuto uno dei più importanti movimenti dell’opposizione a Cuba. Nel 1990, Oswaldo Payá ha lanciato un appello per il dialogo nazionale e ha iniziato la raccolta di 10 000 firme per la conversione di una proposta civile in legge, con il risultato di essere incarcerato dalla polizia segreta.

Nel 1997 ha dato vita all’ambizioso progetto Varela. Nonostante la reazione violenta delle autorità nei confronti di questo progetto popolare i cui promotori sono stato incarcerati, Payà non si arrese e nel 2008 presentò un progetto di legge sull’amnistia per i prigionieri

2002

Oswaldo José Payá Sardiñas

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Nel 2005 ha presentato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite la relazione intitolata “In larger freedom” ((In una più ampia libertà), nella quale delinea la sua visione di una riforma completa e profonda dell’ONU. Ciò ha condotto, tra l’altro, alla creazione nel marzo 2006 di un nuovo Consiglio per i diritti umani, in sostituzione della vecchia Commissione dei diritti umani, con l’obiettivo di rafforzare i meccanismi dell’organismo mondiale in modo da promuovere e proteggere i diritti fondamentali e affrontare i maggiori trasgressori dei diritti umani.

Nel 2007, dopo aver portato a termine due mandati come Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan ha fatto parte di varie organizzazioni, impegnandosi sia in ambito africano che mondiale. Nel 2012 ha ricoperto l’incarico di inviato speciale congiunto dell’ONU e della Lega araba in Siria con l’obiettivo di trovare una soluzione al conflitto nel paese. Nel 2013 è stato nominato Chair of The Elders (Presidente dei membri anziani).

Con l’assegnazione del Premio Sacharov alle Nazioni Unite nel 2003, il Parlamento europeo ha voluto riconoscere l’impegno di questa organizzazione a favore della pace, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Il Premio Sacharov onora in particolare i collaboratori delle Nazioni Unite, che lavorano in modo instancabile per la pace nel mondo, spesso in condizioni difficili. Il Premio è stato assegnato, in particolare, alla memoria di Sergio Vieira de Mello, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani e uno dei più degni rappresentanti dell’ONU. Incaricato speciale di Kofi Annan in Iraq, nel 2003 fu una delle vittime di un attentato al quartier generale dell’ONU a Baghdad.

Kofi Annan è stato il settimo Segretario generale delle Nazioni Unite, per le quali ha lavorato dal 1997 al 2006, ed è stato il primo a distinguersi fra il personale delle Nazioni Unite. È stato un assiduo promotore dei diritti dell’uomo, dello Stato di diritto, dell’attuazione degli Obiettivi di sviluppo del millennio e dello sviluppo dell’Africa e ha cercato di avvicinare le Nazioni Unite al pubblico di tutto il mondo creando legami con la società civile, il settore privato e altri partner.

2003

Kofi Annan, Segretario generale delle Nazioni Unite, e tutto il personale delle Nazioni Unite

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Nonostante i notevoli sforzi per migliorare la situazione dei mezzi di informazione in Bielorussia, tale situazione è ancora tutt’altro che favorevole. La legge del 2009 sui mezzi di comunicazione della Bielorussia consente alle autorità di chiudere i mezzi di comunicazione considerati troppo critici. I mezzi di informazione stranieri devono ottenere una licenza per operare in Bielorussia e lavorare per loro senza accreditamento rappresenta un ostacolo per i giornalisti locali che, se scoperti, ricevono avvertimenti dal KGB e dalla procura. Il codice penale contiene ancora articoli che prevedono la condanna in caso di diffamazione nei confronti dei funzionari di alto grado. Nel 2011 Andrzej Paczobut, membro dell’Associazione bielorussa dei giornalisti e corrispondente del quotidiano polacco Gazeta Wyborcza, è stato condannato a una sospensione di tre anni. Nel 2012 è stato ripetutamente condannato ai sensi dello stesso articolo, fintanto che il caso è stato archiviato. I mezzi di informazione indipendenti sono soggetti a discriminazione economica, poiché le principali imprese postali, tipografiche e di distribuzione sono gestite dallo Stato e possono rifiutarsi di fornire servizi ai mezzi di informazione troppo esplicitamente critici, come è il caso dei quotidiani regionali Novy Chas, Gazeta Slonimskaya, Intex-Press.

L’Associazione è formata da quasi mille professionisti, i quali operano in condizioni estremamente difficili per proteggere i diritti dei giornalisti, spesso vittime di intimidazioni, persecuzioni, procedimenti penali o espatri.

L’impegno dell’Associazione bielorussa dei giornalisti a favore della causa della libertà di parola e della promozione del giornalismo indipendente e professionale in Bielorussia è fonte di ispirazione. L’Associazione lavora per migliorare la sensibilità pubblica nei confronti dei diritti costituzionali relativi alla libertà di informazione e delle modalità con cui le persone possono esercitare i propri diritti. L’Associazione difende i diritti dei giornalisti soprattutto nei momenti di crisi, ad esempio nel periodo di contestazioni violente che hanno fatto seguito alle elezioni presidenziali nel 2010.

Lo scopo dell’Associazione è quello di liberalizzare i regolamenti giuridici dei mezzi di informazione e di incoraggiare il giornalismo etico e di qualità elevata. Sin dalla sua istituzione, è stata la principale associazione per l’indipendenza della stampa in Bielorussia, con l’obiettivo principale di fornire al pubblico informazioni più imparziali, complete, tempestive e vicine alla realtà.

2004

Associazione bielorussa dei giornalisti

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di mariti e parenti nell’ambito delle misure restrittive introdotte durante la cosiddetta primavera nera. Oltre a manifestare marciando nelle strade, le attiviste hanno scritto numerose lettere alle autorità cubane per chiedere il rilascio dei prigionieri, senza mai ottenere risposta. La loro incessante protesta ha però ottenuto alcuni risultati: gli ultimi due prigionieri della primavera nera sono stati rilasciati nel marzo 2011. Molti hanno accettato l’esilio in Spagna. Un numero ristretto è rimasto a Cuba, proseguendo la lotta in condizioni difficili e con costi personali estremamente elevati.

Anche dopo il rilascio dei propri cari, le Donne in bianco continuano ogni domenica a manifestare per le vie dell’Avana, portando fiori, per protestare contro le ingiustizie sociali a Cuba. Nonostante le difficoltà di comunicazione, le percosse, le detenzioni e le violenze psicologiche nei confronti delle Donne in bianco, un numero sempre crescente di donne si è unito al gruppo.

Nell’aprile 2013, poco dopo la cerimonia di assegnazione del Premio Sacharov, le Donne in bianco e altri dissidenti tra cui Guillermo Fariñas, vincitore del premio nel 2010, hanno dato vita a una piattaforma internazionale per i diritti umani a Cuba.

Nel 2013 le “Damas de Blanco” (Donne in bianco) di Cuba sono state finalmente in grado di tenere un discorso al Parlamento europeo e di ritirare personalmente il Premio Sacharov conferito loro nel 2005.

La presidente Berta Soler e le rappresentanti Belkis Cantillo Ramirez e Laura Maria Labrada Pollán, figlia della beneamata cofondatrice Laura Pollán, scomparsa nel 2011, hanno ottenuto l’autorizzazione a lasciare Cuba dopo che le autorità cubane hanno allentato le restrizioni ai viaggi dei cittadini cubani in gennaio.

Berta Soler ha paragonato il Premio Sacharov a uno “scudo” che avrebbe protetto le Donne in bianco al loro rientro a Cuba.

Nel 2005 il Parlamento europeo aveva riconosciuto il loro coraggio e la loro dedizione alla causa dei diritti umani a Cuba e richiamato l’attenzione sul fatto che i 75 dissidenti politici incarcerati nel marzo 2003 durante la “primavera nera” di Cuba erano ancora detenuti, nella maggior parte dei casi semplicemente per aver criticato la mancanza di libertà politica nel paese.

Il movimento delle Donne in bianco si è formato spontaneamente a seguito della carcerazione

2005

Donne in bianco

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capacità professionali in tribunale, il sostegno dell’associazione “Avvocati senza frontiere” e l’attenzione mirata dei mezzi di informazione nazionali e internazionali le hanno consentito di salvare le vite di Amina Lawal, Safiya Hussaini, Hafsatu Abukabar e molte altre.

Possiede un’acuta consapevolezza dell’importanza dell’istruzione come strumento a favore dell’emancipazione femminile: la povertà e l’analfabetismo vanno di pari passo, mentre il fondamentalismo si nutre di ignoranza. Hauwa Ibrahim, educata anch’essa alla religione musulmana, lavora instancabilmente per combattere il fondamentalismo religioso.

Nel 2012 ha pubblicato l’opera “Practicing Shariah Law: Seven Strategies for Achieving Justice in Shariah Courts” (La pratica della Sharia. Sette strategie per ottenere giustizia nei tribunali della Sharia), scritta durante la sua esperienza come lettrice esterna presso la Harvard Divinity School, in cui offre una prospettiva concreta sui complicati meccanismi della legge della Sharia (2010-2013).

Nonostante la sua causa sia ben nota oltre i confini della Nigeria, Hauwa deve ancora essere riconosciuta nel proprio paese.

Hauwa Ibrahim è un avvocato nigeriano specializzato in diritti umani e madre di due figli. Nata nel 1967 in un piccolo e povero villaggio, figlia di un mullah, non era certo destinata a una carriera di avvocato. Avrebbe infatti dovuto sposarsi all’età di dieci anni e i suoi studi sarebbero dovuti terminare con la scuola elementare, ma essa ha rifiutato questo destino.

Essendo una delle poche donne a svolgere l’attività di avvocato nella Nigeria settentrionale, il suo lavoro l’ha portata nell’entroterra rurale, talvolta spostandosi a dorso di cammello o d’asino. Hauwa Ibrahim ha descritto quel periodo come uno dei più belli della sua vita, poiché si sentiva a contatto con le radici da cui proveniva.

Hauwa Ibrahim ha sviluppato un’attività che non si può che definire straordinaria: la difesa di persone condannate in base alla legge islamica della Sharia che viene applicata in 12 Stati settentrionali della Nigeria. Le condanne a morte, anche se per il momento non eseguite, continuano a essere inflitte. Dal 1999 Hauwa Ibrahim ha lavorato gratuitamente come avvocato difensore in più di 150 cause, molte delle quali riguardavano donne accusate di adulterio e condannate a morte per lapidazione e minori condannati all’amputazione degli arti. Le sue

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Hauwa Ibrahim

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«Il mio unico obiettivo è far sì che ogni essere umano veda rispettati i suoi diritti fondamentali, come l’uguaglianza di fronte alla legge e il diritto a un equo processo.»

Hauwa Ibrahim

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Il sito web multilingue di Reporter senza frontiere tiene la contabilità quotidiana degli attacchi alla libertà di stampa che avvengono in tutto il mondo e offre l’opportunità di firmare petizioni online a sostegno dei giornalisti arrestati. Per aggirare la censura, pubblica di tanto in tanto articoli che sono stati proibiti nel paese d’origine, ospita giornali che sono stati chiusi in patria e funge da forum per i giornalisti che sono stati ridotti al silenzio dalle autorità del loro paese.

Come vincitore del Premio Sacharov, Reporter senza frontiere ha messo in contatto altri vincitori e ha coordinato attività.

Secondo l’associazione Reporter senza frontiere, oltre un terzo della popolazione mondiale vive in paesi privi della libertà di stampa. Nel 2012, secondo il barometro sulla libertà di stampa di Reporter senza frontiere, 50 giornalisti sono stati uccisi e 147 imprigionati mentre svolgevano il proprio lavoro o per ragioni legate alla loro professione.

Reporter senza frontiere opera un monitoraggio continuo e denuncia gli attacchi alla libertà di informazione nel mondo, lotta contro la censura e le leggi volte a limitare la libertà di informazione, assiste i giornalisti perseguitati e le loro famiglie sia dal punto di vista morale che economico e offre assistenza materiale ai corrispondenti di guerra per migliorare la loro sicurezza. Per assicurare che gli assassini e i torturatori di giornalisti siano assicurati alla giustizia, dal 2002 la rete fornisce assistenza legale alle vittime e le rappresenta in giudizio.

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Reporter senza frontiere

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Aliaksandr Milinkevich non si è candidato alle elezioni presidenziali del 2010, poiché ha ritenuto che le leggi elettorali del paese non fossero state modificate in modo sufficiente da garantire elezioni democratiche, libere e trasparenti.

In qualità di vincitore del Premio Sacharov, Milinkievich ha partecipato a diverse conferenze sui diritti dell’uomo organizzate dal Parlamento europeo, da gruppi di riflessione e da organizzazioni della società civile. Nelle sue presentazioni ha espresso preoccupazione riguardo alle politiche di repressione messe in atto dal regime dittatoriale al potere, mettendo in evidenza la difficoltà della situazione economica in Bielorussia caratterizzata da un disavanzo di bilancio in continuo aumento e dalla conseguente dipendenza, in particolare nei confronti della Russia. Milinkevich ha inoltre auspicato lo sviluppo democratico e il rafforzamento delle relazioni del suo paese con l’Unione europea e con gli Stati Uniti.

La situazione dei diritti umani in Bielorussia è ulteriormente degenerata dopo le elezioni del 2010. Le autorità hanno varato una legge che criminalizza qualsiasi atteggiamento ritenuto critico nei confronti dello Stato. Permangono la censura e l’incarcerazione di giornalisti, attivisti e altri critici dell’attuale regime.

Aliaksandr Milinkevich, leader dell’opposizione democratica in Bielorussia, è stato scelto come candidato comune dell’Opposizione democratica unita alle elezioni presidenziali nell’ottobre 2005, raccogliendo più di 100 000 firme di sostegno durante la campagna per le elezioni presidenziali che hanno avuto luogo il 19 marzo 2006.

Milinkevich rivendicava un futuro veramente democratico per la Bielorussia e si presentava come una reale alternativa all’autoritarismo di Lukashenko. La vittoria del presidente Lukashenko è stata fortemente criticata dall’opposizione, sia internamente alla Bielorussia che dall’estero, a causa di brogli elettorali. Dopo le contestazioni Milinkevich è stato arrestato con vari pretesti, ma nessuna accusa è stata formalizzata nei suoi confronti.

Alla domanda se il Premio Sacharov abbia aiutato la sua attività politica, Milinkievich ha affermato che “per rendere la Bielorussia un paese libero e democratico si può solo cambiare le cose dall’interno, tuttavia la solidarietà dimostrata dai leader europei è molto importante e maggiore è il sostegno da parte del Parlamento europeo e dei leader dell’Unione europea, più difficile è per un dittatore continuare la sua repressione”.

2006

Aliaksandr Milinkevich

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nel Sudan, per molti anni. A causa del mio lavoro sono stato vittima di detenzione e tortura. Anche i miei familiari sono stati torturati e allontanati dalle milizie nel Darfur. Per molti anni, nell’ambito della mia attività, ho difeso migliaia di persone che chiedevano il mio aiuto di fronte ai tribunali. Ho visto migliaia di persone torturate, centinaia di donne e di bambine vittime di violenza sessuale”, ha affermato Salih Osman durante il suo discorso di accettazione.

Salih Osman è attivamente coinvolto nella protezione di milioni di sudanesi allontanati dalle loro case. Egli ha catalogato i crimini perpetrati, in particolare nel Darfur, e ha intrapreso una campagna per ottenere che la violenza sessuale sia perseguita come crimine di guerra.

È stato membro dell’opposizione nel parlamento del Sudan dal 2005 al 2010.

Quando il Parlamento europeo ha deciso all’unanimità di assegnare il Premio Sacharov a Salih Mahmoud Osman nel 2007, egli forniva già da vent’anni assistenza legale gratuita alle persone vittime di detenzione arbitraria e tortura, nonché soggette a gravi violazioni dei diritti umani nel Sudan.

Durante la presentazione di Salih Osman in occasione dell’assegnazione del premio, l’allora Presidente del Parlamento europeo Hans-Gert Pöttering affermò che “in nome della dignità umana, Salih Osman rassicura gli uomini e le donne bisognosi, privi di difese e vittime di intimidazioni che sono caduti nell’oblio che il mondo è consapevole della loro sofferenza. In nome della giustizia, Salih Osman lotta, giorno dopo giorno, per garantire che i responsabili di crimini di guerra rendano conto delle loro azioni sia a livello nazionale che internazionale”.

“Sono nato a Jebel Marra, una regione montuosa situata al centro dello Stato del Darfur. Ho lavorato come avvocato nel Darfur,

2007

Salih Mahmoud Mohamed Osman

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contro il potere dello Stato” e il 3 aprile 2008 è stato condannato a tre anni e mezzo di reclusione, oltre alla sospensione dei diritti politici per un anno.

Insignito del Premio Sacharov, ha subito pressioni da parte della polizia di Stato anche attraverso i suoi familiari affinché rinunciasse all’onorificenza.

Hu Jia lo ha coraggiosamente accettato, definendolo “un premio importante per la Cina”. Zeng Jinyan, sua moglie e co-candidata al Premio nel 2007, attraverso un videomessaggio a suo nome, lo ha definito una conferma per gli attivisti cinesi dei diritti umani nel lungo e arduo cammino della lotta per i diritti dell’uomo, che comporta per loro e per i loro familiari un costo estremamente alto.

In una lettera al Presidente del Parlamento europeo del luglio 2012, Hu Jia ha affermato di considerare il Premio “un grande onore” che lo ha “incoraggiato e ha notevolmente migliorato le sue condizioni di detenzione in carcere”.

È stato rilasciato nel giugno 2011 e continua a dissentire apertamente e a propugnare il cambiamento in Cina, nonostante le frequenti vessazioni, le violenze e la detenzione arbitraria.

Dissidente della Repubblica popolare cinese, Hu Jia è stato più volte incarcerato e rilasciato da quando il Parlamento europeo gli ha conferito il Premio Sacharov, nel ventesimo anniversario dello stesso, per le sue richieste di un’indagine ufficiale sul massacro di piazza Tienanmen e di risarcimento delle famiglie delle vittime, per il suo attivismo ambientale e per la lotta contro l’AIDS. Hu Jia ha affrontato il problema dell’HIV/AIDS quando l’argomento era ancora proibito in Cina e il numero di casi sospetti era considerato un “segreto di Stato”.

Hu Jia è anche uno dei coordinatori degli “avvocati scalzi”, un gruppo informale di consulenti legali per la difesa degli attivisti dei diritti umani in Cina.

Nel 2007 ha coraggiosamente espresso la sua testimonianza, in una teleconferenza dinanzi alla sottocommissione per i diritti umani del Parlamento europeo, richiamando l’attenzione su un milione di perseguitati dal dipartimento di sicurezza nazionale cinese, molti dei quali sono detenuti nelle carceri, nei campi di lavoro o in istituti psichiatrici a causa della loro lotta per i diritti umani.

Come conseguenza diretta delle sue parole, il 27 dicembre 2007 Hu Jia è stato arrestato con l’accusa di “incitamento alla sovversione

2008

Hu Jia

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Oleg Orlov, membro del consiglio di Memorial e uno dei suoi leader dal 1994, ha lavorato in Cecenia in condizioni di guerra pericolose. Nel 2007, Orlov fu rapito, percosso e minacciato di morte da funzionari del governo in Inguscezia.

Sergei Kovalev è l’attuale presidente dell’associazione russa Memorial. Egli ha trascorso 10 anni (1974-1984) in un campo di lavoro e in esilio per aver diretto la rivista clandestina dissidente Chronicle of current events (Cronaca degli eventi correnti). Ha diretto la commissione, di cui faceva parte anche Orlov, che nel 1995 negoziò il rilascio di circa 2 000 persone tenute in ostaggio dai ribelli ceceni presso l’ospedale di Budennovsk. L’attacco portò alla fine della guerra cecena e fu l’unica volta in cui un attacco terroristico in Russia non comportò un’uccisione di massa degli ostaggi.

Ljudmila Alexeyeva è responsabile e cofondatrice del gruppo di Helsinki di Mosca. Nata nel 1927, è una dei pochi dissidenti dell’era sovietica ancora attivi nella Russia moderna. È nota per le campagne a favore di un giusto processo per i dissidenti arrestati e di una copertura obiettiva da parte dei mezzi di informazione.

Oleg Orlov, Sergej Kovalëv e Ljudmila Alexejeva sono stati insigniti del Premio Sacharov 2009 a nome di Memorial e di tutti gli altri difensori dei diritti umani in Russia.

Memorial, di cui Andrej Sacharov è uno dei fondatori, si è formata come gruppo informale di cittadini nel 1988. La sua attività si concentra sui punti caldi dei conflitti armati, monitorando e rendendo pubbliche le violazioni sistematiche dei diritti umani negli Stati dell’ex Unione Sovietica.

Memorial è costantemente sotto pressione da parte delle autorità russe e i suoi membri e affiliati più stretti sono soggetti a minacce, rapimenti e uccisioni.

Nel 2013, a seguito di una legge del novembre 2012 che prevedeva la registrazione delle ONG che ricevevano finanziamenti dall’estero come “agenti stranieri”, gli uffici di Memorial furono perquisiti da parte dell’ufficio della procura. Memorial rifiutò di registrarsi come agente straniero e citò l’azione della procura in tribunale, ma la sentenza di primo grado stabilì la legittimità della perquisizione.

2009

Memorial

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Guillermo Fariñas non ha potuto partecipare alla cerimonia di consegna del Premio Sacharov 2010 presso il Parlamento europeo poiché non è stato autorizzato a lasciare Cuba. Nel luglio 2012 è stato arrestato al funerale di un altro dissidente cubano e vincitore del Premio Sacharov, Oswaldo Payá, e detenuto per un breve periodo. Quando il governo di Cuba ha allentato le restrizioni di viaggio per i suoi cittadini e al rientro delle Donne in bianco a Cuba dopo la visita al Parlamento europeo nell’aprile 2013, si è svolta presso il Parlamento europeo, il 3 luglio 2013, anche la cerimonia tardiva di consegna del Premio Sacharov in onore di Guillermo Fariñas.

“Oggi sono qui non perché la situazione sia fondamentalmente cambiata, ma per le realtà del mondo moderno e, soprattutto, per il crescente spregio civile dei cubani che ha costretto il regime, per dirla con le parole del leggendario Don Fabrizio de “Il Gattopardo”, a “cambiare tutto per non cambiare niente”, Fariñas ha affermato nel suo discorso di accettazione.

Psicologo, giornalista indipendente e dissidente politico cubano, Guillermo Fariñas ha intrapreso, nel corso degli anni, ventitré scioperi della fame per protesta contro il regime cubano, nell’intento di conseguire con mezzi pacifici il cambiamento politico e la libertà di parola e di espressione nel suo paese.

Come giornalista aveva fondato un’agenzia di stampa indipendente, Cubanacán Press, nell’intento di informare il resto del mondo delle sorti dei prigionieri politici a Cuba, ma fu infine costretto dalle autorità a chiuderla.

Nel febbraio 2010, dopo la morte sospetta di Orlando Zapata Tamayo, Fariñas iniziò uno sciopero della fame sospeso solo nel luglio 2010, dopo l’annuncio del governo cubano di aver intrapreso la procedura di rilascio di 52 prigionieri politici. Fino ad allora, Fariñas, che invocava la liberazione dei prigionieri politici che si erano ammalati dopo anni di detenzione, aveva rifiutato cibo e bevande per più di 130 giorni.

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“Non possiamo rimanere indifferenti di fronte alle dinamiche dei giovani del mondo arabo che lottano per la loro dignità e per la loro libertà. “

Salima Ghezali

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Bouazizi ha innescato la cosiddetta “rivoluzione popolare” e ha dato uno scossone ai governi dispotici anche in altre parti dal mondo arabo. Ha diffuso tra i giovani arabi la consapevolezza che non dovevano più rimanere in silenzio davanti all’ingiustizia, alla corruzione e al potere autocratico, che potevano dare voce alle loro frustrazioni e lottare per la loro dignità. Oggi, tuttavia, in Tunisia e in altri paesi arabi, l’ottimismo suscitato dal gesto di Mohamed Bouazizi e dall’insurrezione popolare che ne è conseguita sono stati attenuati dalla crudele realtà che la vita, in Tunisia come altrove, non è certo migliorata da un giorno all’altro dopo la Primavera araba.

Mohamed Bouazizi, un fruttivendolo di Sidi Bouzid, è diventato una leggenda in Tunisia e nel mondo arabo e un simbolo per i tunisini che lottano per la libertà e la democrazia. È morto il 4 gennaio 2011, all’età di 26 anni, dopo essersi dato fuoco per protestare contro un sistema che impediva a lui e alla sua famiglia di vivere in modo dignitoso. Mohamed è stato vittima, in diverse occasioni, delle forze di polizia tunisine. Egli chiedeva giustizia, ma non l’ha mai trovata; era invece umiliato e depresso. Si è dato fuoco per la disperazione. La sua morte ha dato vita a un’insurrezione che ha rovesciato il governo del presidente Zine El Abidine Ben Ali. Il gesto di Mohamed

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Mohamed Bouazizi

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Impossibilitato a partecipare alla cerimonia del Premio Sacharov nel 2011 in quanto si stava sottoponendo a cure mediche in Kuwait per le ferite riportate, ha ricevuto il premio in occasione del dibattito pubblico annuale della rete del Premio Sacharov svoltasi presso il Parlamento europeo nell’ottobre 2012, dove ha partecipato, con il Presidente del Parlamento europeo e con gli altri vincitori, a un dibattito sui temi della rivoluzione in Siria e del futuro della democrazia in seguito alla Primavera araba. In qualità di vincitore del Premio Sacharov ha tenuto un discorso alla prima edizione del Forum mondiale della democrazia del Consiglio d’Europa affermando che la rivoluzione in atto in Siria aveva già vinto, poiché non vi sarebbe stato ritorno.

Ali Ferzat è stato definito dalla rivista Time Magazine una delle 100 persone più influenti del mondo nel 2012 e ha vinto diversi premi per i diritti umani.

Ali Ferzat è un noto autore di satira politica siriano, nonché una delle figure culturali più in vista nel mondo arabo. Nato a Hama nel 1941, ha pubblicato più di 15 000 vignette su quotidiani siriani e internazionali. I suoi disegni hanno sfidato i confini della libertà di espressione in Siria.

Nel 2011, quando l’ondata di ribellione della Primavera araba è esplosa e i siriani hanno cominciato a protestare contro il regime di Bashar al-Assad, le sue vignette venivano usate come striscioni. Per le sue critiche nei confronti del regime è stato picchiato selvaggiamente in pubblico da uomini mascherati a Damasco e lasciato per strada come morto. Nell’attacco gli sono state spezzate entrambe le mani, come avvertimento affinché non disonorasse più i suoi padroni, in base al messaggio degli uomini mascherati.

Ali Ferzat non soltanto ha recuperato l’uso delle mani, ma ha anche infranto la barriera della paura diventando uno dei critici più espliciti del regime attraverso le sue parole e la sua arte.

Egli non crede che vi sia una guerra civile in Siria, ma invece, come ha dichiarato nel 2013 al Forum per la libertà di Oslo, ritiene che esistano due fronti contrapposti, un costituito dal regime e dai suoi alleati stranieri – la Russia, l’Iran e gli Ezbollah – e l’altro formato dal popolo siriano.

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Ali Ferzat

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In seguito nel 2011 Asmaa, cofondatrice del movimento giovanile del 6 aprile, è stata arrestata con l’accusa di diffamazione dei militari egiziani al governo per averli chiamati “un consiglio di cani”. È stata quindi rinviata a un tribunale militare, ma poi rilasciata su cauzione. Il 23 ottobre 2013 Asmaa Mahfouz ha tenuto una lezione in piazza Libertà durante uno spettacolo a sostegno del movimento Occupy Wall Street.

È stata uno degli oratori principali al dibattito della rete del Premio Sacharov che si è svolto presso il Parlamento europeo a Bruxelles nell’ottobre 2012, dove ha analizzato gli sviluppi post-rivoluzionari della situazione in Egitto e il futuro della democrazia nei paesi arabi in seguito alla Primavera araba.

Asmaa Mahfouz è un’attivista egiziana per i diritti umani nata nel 1985 che ha sfidato la repressione del regime di Mubarak nei confronti degli attivisti online quando, attraverso diversi social media su Internet, ha esortato gli egiziani a rivendicare la propria libertà, la propria dignità e i propri diritti umani protestando pacificamente in piazza Tahrir il 25 gennaio 2011. Il suo video si è propagato a macchia d’olio e ha ispirato un’ondata di video simili, con il risultato che centinaia di migliaia di persone hanno occupato piazza Tahrir chiedendo a gran voce la fine dei 30 anni di governo di Hosni Mubarak in Egitto, fatto che si è verificato l’11 febbraio 2012. Nel suo secondo video, Asmaa Mahfouz ha trasmesso il messaggio seguente: “Se pensi di essere un uomo, unisciti a me il 25 gennaio. Chi sostiene che le donne non dovrebbero andare a protestare perché saranno picchiate trovi un po’ di onore e coraggio e si unisca a me il 25 gennaio. A chi dice che non ne vale la pena perché ci saranno solo poche persone, vorrei dire: sei proprio tu il motivo di tutto questo, e sei anche un traditore, proprio come il presidente o qualsiasi poliziotto che ci picchia nelle strade.”

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Asmaa Mahfouz

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Nell’ottobre 2012, durante il dibattito della rete del premio Sacharov svoltosi presso il Parlamento europeo, El Senussi ha analizzato le conseguenze della rivoluzione e del conflitto armato in Libia e il futuro della democrazia nei paesi arabi a seguito della Primavera araba. Durante la prima edizione del Forum mondiale per la democrazia presso il Consiglio d’Europa, cui è stato invitato in qualità di vincitore del premio Sacharov, El Senussi ha denunciato la mancanza di un vero governo in Libia e ha richiamato l’attenzione sui rapimenti, le torture, la sorveglianza continua e il ricatto della popolazione che affliggono la società libica. Ha affermato che la sua richiesta di istituire un sistema federale in Libia ha suscitato accuse di tradimento, in particolare da parte degli imam. Queste accuse, ha affermato El Senussi, sono un chiaro tentativo di travisare la sua proposta e macchiare la reputazione di quanti vogliono invece migliorare la situazione.

Ahmed El Senussi, nato nel 1934, è il prigioniero politico detenuto più a lungo in Libia. Accusato di cospirazione in un tentativo di colpo di Stato contro il regime del colonnello Gheddafi nel 1970, ha trascorso 31 anni in carcere. È stato rilasciato nell’agosto 2010 insieme a decine di altri prigionieri politici. In qualità di membro del Consiglio nazionale transitorio, istituito nel 2011 quando la rivoluzione libica ha rovesciato il regime di Gheddafi, era responsabile dei prigionieri politici. Ora prosegue il suo lavoro coraggioso volto a migliorare la situazione dei diritti umani e lo Stato di diritto in Libia, e considera il premio Sacharov a lui conferito come un premio per il popolo libico.

“Questo premio ha un enorme valore simbolico e morale”, ha affermato nel suo discorso di accettazione. “Fornisce inoltre un ulteriore stimolo al consolidamento dei valori che abbiamo sempre sostenuto, alla creazione di uno Stato democratico e costituzionale basato sulla parità di tutti, uno Stato in cui le donne godano della libertà di votare e di candidarsi alle elezioni, per far sentire la propria voce”.

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Ahmed El Zuber El Senussi

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alla quale vengono allertati i difensori dei diritti umani in pericolo. È anche membro attivo della commissione per il sostegno alle famiglie dei prigionieri politici in Siria e membro cofondatore dei comitati di coordinamento locali della rivoluzione in Siria, istituiti nell’aprile 2011.

Nel maggio 2011 gli agenti del servizio di intelligence delle forze aeree hanno fatto irruzione nella sua casa a Damasco, portando via non solo molti dei suoi documenti ed effetti personali, ma anche il cognato Aburrahman Hammada, in quel momento suo ospite, come ostaggio in cambio della coppia di fuggitivi. Successivamente, anche Wa’il Hammada, marito di Razan Zaitouneh, è stato arrestato e i due fratelli hanno trascorso tre mesi in isolamento prima di essere rilasciati.

Razan Zaitouneh ha dedicato il premio Sacharov al piccolo Ghiyat, il figlio appena nato di Ghiyath Matar, un amico e compagno attivista di 26 anni, torturato a morte prima della nascita del figlio.

Razan si rifiuta di lasciare la Siria fintanto che i combattimenti nel suo paese non siano cessati e il regime non sia stato destituito.

Razan Zaitouneh è una giornalista siriana, nonché giurista in materia di diritti umani. Due anni dopo l’assegnazione del premio Sacharov, viveva ancora nascosta in Siria mentre la guerra imperversava.

Nel presentarla come vincitrice del premio Sacharov 2011 insieme ai covincitori della Primavera araba, inclusa Asmaa Mahfouz, l’allora Presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek ha affermato che “queste due giovani donne meritano non solo la nostra ammirazione e il nostro rispetto, ma anche migliori prospettive per il futuro. Il loro riconoscimento è un omaggio al ruolo decisivo delle donne durante la Primavera araba”.

Nata nel 1977, Razan Zaitouneh ha iniziato la sua attività di avvocato nel 2001, divenendo difensore dei prigionieri politici. È una dei cofondatori dell’Associazione per i diritti umani in Siria, nell’ambito della quale è rimasta attiva fino al 2004.

Nel 2005 ha creato il Syrian Human Rights Information Link, una piattaforma Internet che funge da banca dati per le violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime siriano e grazie

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Razan Zaitouneh

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parte dalle intenzioni dei governi, che sono i principali responsabili delle violazioni”, ha affermato Nasrin Sotoudeh.

Nel chiedere la realizzazione dei diritti umani in ogni parte del mondo, Nasrin ha identificato la loro violazione come la causa fondamentale dell’ondata rivoluzionaria che ha coinvolto il Medio Oriente. Ai difensori dei diritti umani e ai prigionieri politici, ha dichiarato “proprio come voi, anch’io so che la democrazia deve ancora compiere una strada lunga e difficile.

Dobbiamo però ricordare che durante gli stessi anni in cui gli sforzi di Martin Luther King contro la discriminazione razziale davano i loro risultati, in un’altra parte del mondo Nelson Mandela iniziava i suoi trent’anni di reclusione per la sua lotta contro il razzismo e nello stesso anno della sua liberazione una donna attivista in Birmania, in un altro continente, trascorreva circa vent’anni agli arresti domiciliari in difesa della libertà.

Oggi che Aung San Suu Kyi è libera, gli iraniani che chiedono la libertà utilizzando mezzi assolutamente pacifici vengono condannati a lunghe pene detentive perché vogliono la libertà. Tutti questi sono segni di una verità. La fiamma della libertà passa da una mano all’altra, ma non si spegnerà mai”.

Quando è stata insignita del premio Sacharov, Nasrin Sotoudeh stava scontando il secondo anno di una condanna a sei anni di detenzione nella famigerata prigione iraniana di Evin.

Incarcerata per aver coraggiosamente difeso i manifestanti arrestati durante le proteste di massa del 2009 contro i presunti brogli delle elezioni presidenziali, al momento dell’assegnazione Nasrin si trovava in isolamento e aveva intrapreso uno sciopero della fame di sette settimane per protestare contro le pressioni esercitate sulla sua famiglia, incluso il divieto di viaggiare imposto alla figlia dodicenne. Il divieto è stato successivamente revocato e Nasrin ha sospeso lo sciopero della fame, affermando tuttavia che lo avrebbe ripreso se suo marito, non ancora autorizzato a viaggiare, fosse stato processato.

Nonostante la notevole fragilità e debolezza, Nasrin ha trovato la forza e il coraggio di scrivere un messaggio memorabile al Parlamento europeo, letto per lei durante la cerimonia di assegnazione da Shirin Ebadi, sua amica e collega, nonché vincitrice del premio Nobel.

“La storia dei diritti umani e dei meccanismi per la loro tutela ha origini molto lontane, ma la loro attuazione dipende ancora in gran

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Nasrin Sotoudeh

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“La consegna del Premio Sacharov per la libertà di pensiero 2012 a Nasrin Sotoudeh e Jafar Panahi è un messaggio di solidarietà e ammirazione per una donna e un uomo che non si sono piegati dinanzi alla paura e alle intimidazioni e che hanno deciso di anteporre la sorte del proprio paese alla propria”, ha affermato Martin Schulz, Presidente del Parlamento europeo.

Alla cerimonia di assegnazione del Premio Sacharov presso il Parlamento europeo, Panahi è stato rappresentato dalla figlia Solmaz e dal regista cinematografico francese Serge Toubiana, mentre il discorso di accettazione è stato letto dall’amico e acclamato regista Costa Gavras. “Due anni dopo la mia condanna, un amico mi ha chiesto qual era esattamente il significato di quella condanna”, ha affermato Panahi. “Secondo questo amico, il messaggio era che io dovevo scappare dal mio paese e non tornare mai più. Chiaramente ho scelto invece di restare, anche se non posso più portare la mia telecamera nel cuore della società e occuparmi dell’unica cosa che so fare: i film. Non fare film è una morte lenta per un regista”.

Jafar Panahi è un regista cinematografico al quale è stato proibito di girare film per vent’anni. Sostenitore dichiarato del movimento verde di opposizione iraniano e critico nei confronti dell’allora presidente Ahmadinejad, egli è stato condannato a sei anni di reclusione per “propaganda contro la Repubblica islamica”. Attualmente vive in una sorta di limbo, con il divieto di lasciare il paese o di parlare con i mezzi di informazione e con la minaccia incombente del carcere.

Nelle sue opere, ispirandosi al realismo e a una prospettiva umanistica della vita, Jafar Panahi ha puntato l’obiettivo sulle difficoltà della vita in Iran per i bambini, i poveri e soprattutto le donne dopo la rivoluzione islamica, incorrendo nell’ira e nella censura delle autorità iraniane. I suoi film, vincitori di premi, sono banditi in Iran e gli sono costati il carcere in più di un’occasione. Nel 2010 è stato arrestato con la moglie, la figlia e 15 amici, tutti in seguito rilasciati. Nel 2011 ha girato “This in not a film” (Questo non è un film), che lo ritrae seduto al tavolo della cucina a parlare con il suo avvocato, in attesa di essere incarcerato.

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“La fiamma della libertà passa da una mano all’altra, ma non si spegnerà mai”.

Nasrin Sotoudeh

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Unione europea:

il ruolo del Parlamento europeo in materia di diritti umani

esteri, è l’organo responsabile dell’attività parlamentare in materia di diritti dell’uomo. Le sue relazioni e le sue risoluzioni vengono approvate dalla commissione per gli affari esteri. Anche la commissione per lo sviluppo tiene discussioni regolari sui diritti dell’uomo nei paesi in via di sviluppo.

In Aula, il Parlamento discute ogni mese i casi urgenti di violazioni dei diritti umani perpetrate negli Stati che non fanno parte dell’UE, in particolare i casi individuali. Le risoluzioni del Parlamento europeo servono spesso come base per le iniziative intraprese dal Consiglio dei ministri dell’Unione, dalla Commissione europea e dal Servizio europeo per l’azione esterna e talvolta possono avere un impatto immediato sull’operato dei governi interessati.

In virtù delle sue competenze legislative, il Parlamento può bloccare la conclusione di accordi con paesi terzi qualora sussistano gravi violazioni dei diritti umani e dei principi democratici. Il Parlamento esige la rigorosa osservanza delle clausole sui diritti umani, che sono sistematicamente inserite negli accordi. Nell’aprile 2011 il Parlamento ha chiesto all’Unione europea di sospendere i negoziati per un accordo di associazione tra l’Unione europea e la Siria. Nel settembre 2011, l’accordo di cooperazione dell’Unione europea con la Siria è stato parzialmente sospeso “fino a quando le autorità siriane porranno fine alle violazioni sistematiche dei diritti umani”.

Secondo gli ultimi sondaggi, i cittadini dell’Unione europea identificano nei diritti dell’uomo il valore che il Parlamento europeo deve difendere in via prioritaria. Il Parlamento europeo mette spesso in atto iniziative specifiche volte a prevenire la tortura, proteggere i difensori dei diritti umani, prevenire i conflitti, promuovere i diritti delle donne e dei minori e proteggere le minoranze, i diritti degli indigeni e delle persone con disabilità. Il Parlamento europeo sostiene attivamente la campagna delle Nazioni Unite per una moratoria sulle esecuzioni e l’abolizione della pena di morte nel mondo e sostiene altresì la Corte penale internazionale nella sua lotta affinché il genocidio, i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità non rimangano impuniti. Lo scopo dell’Agenzia per i diritti fondamentali nell’ambito dell’Unione europea è di assicurare che i diritti fondamentali delle persone siano tutelati e che le persone siano trattate con dignità.

Il rispetto per la dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo Stato di diritto e il rispetto per i diritti umani sono principi sanciti dal trattato sull’Unione europea e sono giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri per i quali sia accertata una grave violazione di questi valori possono, previa approvazione del Parlamento europeo, incorrere nella sospensione dei dritti derivanti dai trattati dell’Unione europea.

I diritti dell’uomo sono elencati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, entrata in vigore nel 2009 insieme al trattato di Lisbona.

Ogni anno l’Unione europea elabora una relazione sui diritti umani e la democrazia nel mondo, che è sottoposta all’esame del Parlamento. Il ruolo del Parlamento nella difesa dei diritti umani è stato inoltre rafforzato attraverso il sostegno della democrazia parlamentare e del dialogo politico parlamentare, audizioni con i rappresentanti della società civile dei paesi terzi e l’invio di delegazioni ad hoc per valutare la situazione dei diritti umani sul campo. I principali forum per il dialogo politico tra il Parlamento europeo e i membri di paesi terzi sono: l’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE, l’Assemblea parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo, l’Assemblea parlamentare euro-latino americana (EuroLat) e l’Assemblea parlamentare con i partner dell’Europa orientale (Euronest).

Il Parlamento europeo si è già avvalso delle sue prerogative di bilancio per far aumentare notevolmente gli stanziamenti destinati a programmi a sostegno della democrazia e dei diritti dell’uomo e si è battuto con successo per il mantenimento dello Strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR).

L’EIDHR è uno strumento finanziario e politico attraverso il quale l’Unione europea contribuisce allo sviluppo e al consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, al rispetto di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in tutto il mondo e al sostegno e alla protezione dei difensori dei diritti umani a livello mondiale.

Il trattato costituisce inoltre la base giuridica dell’Unione europea nel suo insieme, affinché possa aderire alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tutti i 28 Stati membri dell’Unione europea hanno ratificato la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. L’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, attualmente in corso, colmerà una lacuna nella protezione dei diritti umani e migliorerà la coerenza tra i sistemi per i diritti umani del Consiglio d’Europa e dell’Unione europea.

Nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune e della politica di cooperazione allo sviluppo, il diritto dell’Unione europea si prefigge come obiettivo “lo sviluppo e il consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, nonché il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. Questi obiettivi sono stati integrati esplicitamente in larga misura grazie al Parlamento europeo. Nelle sue relazioni con i paesi terzi, l’Unione ha l’obbligo di promuovere la democrazia, lo Stato di diritto, l’universalità e l’indivisibilità dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il rispetto della dignità umana, i principi di uguaglianza e solidarietà e il rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale.

La sottocommissione per i diritti umani, nell’ambito della commissione per gli affari

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Indirizzi del Parlamento europeo

PARLEMENT EUROPÉEN | EUROPEES PARLEMENTRue Wiertz, 60, B-1047 BRUXELLESWiertzstraat, 60, B-1047 BRUSSELTelefono: +32/2.284 2111Fax: +32/2.230 6933

PARLEMENT EUROPÉENPlateau du KirchbergBP 1601 | L-2929 LUXEMBOURGTelefono: +352/4300 1Fax: +352/4300 24842

PARLEMENT EUROPÉEN1, avenue du Président Robert SchumanBP 1024F | F-67070 STRASBOURG CEDEXTelefono: +33/388.17 4001Fax: +33/388.17 4860

Per ulteriori informazioni consultare:

www.europarl.europa.euwww.europarl.europa.eu/sakharov

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