Premio Emily Dickinson

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Sovera edizioni premio Emily Dickinson Nicola Pierchiazzi, Gocce di pioggia a ... , Maura Vitale Cosa mi aspetto da te?, renzo Piccoli cantar de mi amor

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NARRARE

a cura di Francesco Festuccia

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Nicola Perchiazzi

Gocce di pioggiaa Jericoacoara

Rouge et Noir - Via Crucis e Tantra Nero

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Ad Annamaria Daniele e Gajache colorano i miei giorni

Un libro che non abbia Dio, o l’assenza di Dio,come protagonista clandestino, è privo d’interesse.

Nicolás Gómez Dávila

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L’INCONTRO

È dolce la stagione della raccolta, quandoil guardiano è lontano.

Plutarco

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«Ma quanto sei strana!» Il bronzeo addetto alla piscina irruppe da chissà quale anfratto,

fiondandosi tra le sdraio e gli ombrelloni strapazzati dalla pioggiacon la sfrontatezza di chi vuol battere sul tempo un sole paonazzo epieno di voglie tanto improvvise quanto prevedibili. Poi il bay-watchprestato alla terraferma cambiò di colpo marcia e, ciondolando – ca-racollando – tra le pozzanghere, guadagnò il bordo-vasca col pigliodi chi getta l’amo per adescare uno squalo.

L’occhio umido (non solo di pioggia) prese a dardeggiare il flut-tuante contorno sinuoso che dava un senso all’asettico rettangolod’acqua, col fermo proposito di colpire il bersaglio mobile al primocolpo.

«Solo la pioggia o la luna riescono a fare il miracolo. Solo lororiescono a farti tuffare…»

Offuscando le parole-esca e mettendo a tacere gli ultimi vagitimeteo, il sorriso (invocato) di lei fece capolino tra le increspature e ilcloro, complice e promettente. Nessun indizio, niente che facessepreludere all’epilogo politicamente scorretto. Non la gimcana di lab-bra sulla pelle che il bagnino aveva messo in conto tra i sogni nel cas-setto (insieme a qualche tuffo con la bella naiade), ma solo una ri-sposta da brivido blu:

«Ho il cuore pieno di ceneri e di scorza di limone. Andrò solodentro me stessa. Mi troverai sempre là…»

Scagliato il dardo al curaro sul san Sebastiano di turno (il bagni-no), paga dell’effetto sorpresa, la bionda ondina riguadagnò il bordo-piscina. Salì come da videoclip la scaletta cromata, schioccò un sola-re ‘ciao!’ da trailer al gallo cedrone dall’ala spezzata e, sfioratane l’e-pidermide bronzea (di colpo sbiancata), gli lasciò – sapore di sale – il

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chimerico assaggio di quel suo tatuaggio sfarfalleggiante sulla pellebagnata.

Gaia era fatta così: non solo tattoo ma anche taboo. Una vita esal-tata da brevi ma intensi deliri, la magia di lunghi silenzi bruscamen-te interrotti da taglienti ossimori, paradossi, voli pindarici, esterna-zioni frappant. E se qualcuno (non pochi) sostava, rapito, davanti aquest’opera d’arte (e non da tre soldi…) – un taglio di Fontana sul-la tela bianca della vita – veniva immancabilmente colpito da un’i-nattesa sindrome di Stendhal.

Gaia o dell’avventura dell’esistenza, un ossimoro vivente piùche un paradosso. Tutto questo si sarebbe potuto dire – a poste-riori – di Gaia (anche il nome). Ma ormai il fugace biondo ogget-to del desiderio era fuori campo e a Lorenzo – il terzo silenziosoincomodo (convitato di pietra, nel vero senso del termine) – nonrimase che rituffarsi nelle pagine appena lambite da una di quellepiogge lampo settembrine che il Gargano riservava ai suoi ultimiospiti.

Il turbine (anche sensoriale) era ormai passato, senza lasciare– così il buon Lorenzo pensava – tracce: lui di Gaia conosceva – egl’importava – solo la Scienza…

Al riparo, raccogliticcio, di uno dei pochi ombrelloni rimasti aper-ti, l’unico ‘abitato’, Lorenzo riprese la lettura, subito abortita: a brac-cetto col sole, ritornato master & commander del cielo, come un hob-bit da pagina sei sbucò, impertinente, l’ossimoro, questo ‘carneade’apparentemente fuori luogo in quel villaggio-vacanze così poco man-zoniano (e neppure tanto tolkieniano).

Queste paginette sfiorate dal pianto celeste erano la sua ultimaconquista (libresca) – il tempo degli amori per Il Signore degli Anel-li sembrava appartenere a un altro eone – e a Lorenzo non sembrò af-fatto un caso che il buon Raimon Panikkar – il teologo di frontiera(non solo Paul Tillich) cui stava facendo il filo tra un tuffo e l’altro –esordisse con quello strano termine, così calzante nell’occasione, perla bella del villaggio.

Sì, ossimoro, oxymoron, questo stravagante matrimonio tra la bel-la oxys (affilata, appuntita e penetrante) e la bestia moros (ottusa, sen-za punta, molle, sciocca, folle…). Armonia fra i contrari, coincidenza

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degli opposti. Palintropia, concordia discors, polemos eracliteo, pro-cesso e stasi. In attesa della palingenesi.

E tale, almeno da quel fugace mix di figura, situazione ed insi-nuante esternazione, gli era subito parsa la ragazza: affilata-spuntitanella sua follia penetrante, un punteruolo nella stupidità altrui. In-somma, la punta che perfora ciò che è molle…

In quel momento Lorenzo comprese anche come fosse facile pas-sare da L’esperienza di Dio (il libro dell’ossimoro) all’esperienza diGaia (dall’esperienza del cielo a quella della terra…). E così, rapitoda questi volteggi della fantasia, ormai solo sul campo – il prato piùo meno all’inglese che delimitava la piscina – e sospinto da chissàquale daimon, non trovò di meglio che tuffarsi nell’acqua solitariama ancora pulsante di vita: se al bagnino – ormai svanito nel nulla –la ragazza aveva prodotto l’effetto di uno shock termico, per lui, sem-plice e involontario spettatore del duetto, fu invece una salutare bot-ta di vita (fosse stato Tinto Brass, sarebbe subito passato alla ‘bottad’allegria’…).

Anestetizzato da questa sua sobria ebbrezza – l’ossimoro qui èd’obbligo – Lorenzo cominciò a nuotare, ora a stile libero, ora a ra-na, addirittura a farfalla, se non proprio a delfino (memore del luo-go), incurante dell’acqua gelida, indifferente.

Bracciata dopo bracciata, il suo corpo da algido (soprattutto neisentimenti) prese a intiepidirsi, sciogliersi, rigenerarsi, mentre, accom-pagnati da ribollii e sfrigolii, risalivano a galla i sedimenti della miste-riosa presenza di Gaia e l’eco delle sue parole sibilline. Così incom-prensibili e disarmanti per il bagnino, ma così significative e pregnan-ti per lui: che c’entrava quel barbaglio di contro-cultura nella gargani-ca Pugnochiuso delle vacanze politically correct? Che ci azzeccava?

Chi era quella ragazza così out? Una neo-esistenzialista post-hi-stoire in vacanza single? Cascami di New Age tra barlumi di NextAge? Scampoli del Grande Fratello? Una velina in uscita libera? Unasciampista, una stagista, una staffista? Una veltroniana free-lance?(con un Veltroni ormai infeltrito…). Infin che ’l veltro verrà… Il cer-vello di Lorenzo fumava nell’acqua diaccia.

Fatto è che le sue ‘vasche’ furono più piacevoli del solito. Rilas-santi, da training autogeno, quasi ipnotiche. Da ipnosi regressiva: ri-percorse a grandi balzi la sua varia quotidianità, dai picchi (rari) del-

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le esperienze delle vette – era da poco scivolato giù dalla ‘piramide’di Maslow e vedeva tutto nero – alle depressioni (varie) della bana-lità del suo Sitz im Leben, il suo ambiente vitale.

Come un film a ritroso – di quelli che si dice veda chi è in puntodi morte, quando la corda d’argento sta per essere tranciata –, davantia lui cominciarono a scorrere veloci i fotogrammi delle tappe più si-gnificative della sua vita (e lui non era nel cast: la riflessione diWoody Allen gli calzava a pennello – ma c’era un buco nei fanta-smini di Lorenzo…).

E così, tra un flash-back e l’altro, cominciò a togliersi le scagliedi dosso: in fin dei conti, non era poi tanto meno stravagante dellasfarfalleggiante fanciulla! È vero, il ruolo sociale, i condizionamentiambientali e i chiaroscuri del carattere ne avevano spesso frenato lalibera espressione, ne ostruivano il libero sgorgare, ma non amavaforse, anch’egli (alla faccia dei suoi invisibili ‘cinquanta’), il bagnosotto la pioggia? Non gigzagava, anche lui – malgré gli anta (ma so-lo quando i cascami di tempo libero glielo consentivano) –, tra Mtv ezingarate? Il sapere è una farfalla notturna…

In ogni caso – e qui le sue bracciate cominciarono a perdere col-pi –, più della ragassa in sé (che pur valeva una messa), ciò che in-trigava il nostro era la sua personalità essenziale, messa a nudo daquell’esternazione fuori dal coro della banalità quotidiana. Un com-ing out (o un outing? – in fondo era stato il bagnino a ‘costringerla’a rivelarsi) davvero inaspettato quello dell’ospite (non certo scema)del villaggio (Lorenzo, essendone un habitué, si riteneva quasi il pa-drone di casa).

E poi… quell’uscita di scena, cui difficilmente avrebbe fatto se-guito un secondo atto. Conclusione: la ragazza era piuttosto in altonelle sfere…

Sì, la frase… Un lampo tra gli emisferi cerebrali (il fulmine lam-peggiante della creazione: Madonna… come gli piaceva questa fra-se puro stile Qabbalah!) e l’appartamento vuoto s’illuminò, riem-piendosi di presenza.

Lorenzo era rientrato da pochi minuti nel residence – cosìsprofondato nei suoi pensieri da lasciare intonse le persiane, malgra-do il saloncino-cucinino reclamasse impaziente un po’ di luce – ed

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eccolo, all’improvviso, assalito, quasi scaraventato a terra, dalla cer-tezza di poter trovare la fonte delle arcane parole della ragazza. E diquella sua stimmung così intrigante, di quell’atmosfera così rarefatta.Ma che radeva il suolo.

Atterrato, non senza qualche scossone, sul letto, iniziò, guidato damano invisibile (e dalla provvidenziale lampada sul comodino), ascartabellare fremente i libri (non c’erano solo Panikkar e Maslow,anema e core) che accompagnavano pazienti le sue ore monastichenel villaggio-vacanza – Lorenzo si trovava da solo, né era in cerca dicompagnia –, puntando infine diritto su un libricino nero, un po’sgualcito e dall’aria démodé.

Si soffermò ancora una volta – era da trent’anni che lo faceva –sulla copertina ‘vissuta’, retrò nel design ma dal messaggio ancora at-tuale. La scritta – La politica dell’esperienza – campeggiava in gial-lo su un fondo nero costellato da immagini smozzicate: mani, brac-cia, gambe, piedi, un occhio, un orecchio, un ventre… (l’assemblag-gio, seppur sessantottino, occhieggiava a Hieronymus Bosch). E poi,scorrendo all’impazzata la densa copertina, quasi come sottotitolo:“Esiste per caso qualcosa come un uomo normale? Imparate a co-noscere la vostra pazzia, le vostre nevrosi, e le camicie di forza chela società v’impone!”

E non era finito… Ancora: “Noi che siamo ancora vivi per metàe abitiamo nel cuore alterato di un capitalismo decrepito, possiamofare di meglio che riflettere lo sfacelo che è fuori e dentro di noi, eche cantare le nostre tristi canzoni di sconfitta?”

Ne era ormai certo (lo sentiva nello spirito, la ‘cantaride’ dell’ani-ma): lo sconosciuto oggetto del desiderio non poteva aver attinto chedal libretto underground di Ronald D. Laing – strizzacervelli fuorirotta – che portava sempre con sé, quasi un Così parlò Zarathustrada viaggio (per lo spirito, e non solo, ci pensava la Bibbia pocket);ma anche, più prosaicamente, un vademecum di frasi a effetto dasnocciolare in circoli radical-chic e dintorni (Lorenzo era un po’ à lapage un po’ vintage, mai retrò).

E così, dopo un attimo di sospensione, un tentativo di retromarcia,scavalcate le prime pagine del ‘breviario’, che conosceva ormai amemoria, imboccò a tavoletta la scorciatoia verso l’epilogo, lì dove idialoghi da épater le bourgeois si facevano più frequenti e intensi.

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Tra un “Cristo mi perdona se Lo crocifiggo?” e “nel mio vagabon-dare d’un tratto m’imbattei in una delle mie molte fanciullezze con-servate nell’oblio, per questo momento in cui più ce n’era bisogno”,finalmente si scontrò, a pagina 188, con la frase fatidica. Crash, ec-co dove l’aveva scovata, la scippatrice radical-chic!

Fatta chiarezza dentro di sé, momentaneamente soddisfatto, rab-bonito, placato, Lorenzo si sentì blandire dalla voglia di abbandona-re il campo di battaglia e andarsene in giro per il villaggio. Il luogomeritava, la carne reclamava, lo spirito scalpitava. Aveva smesso dipiovere da un paio d’ore: lame di luce tagliavano, tra i residui dellepozzanghere, le aree pavimentate sottostanti alla terrazza, sfrigolii eluccichii s’insinuavano tra l’erba bagnata.

Affacciatosi con aria imbambolata – aveva finalmente aperto lepersiane –, intorpidito dalla mancata, consueta, siesta pomeridiana,d’incanto i sensi rattrappiti si sciolsero, cosa per lui inconsueta, da-vanti al panorama, che pur frequentava da oltre un decennio. Il pra-to, la piscina, i cespugli, il mare, il cielo, ogni cosa gli parve nuova,viva, vivace.

Ancora a torso nudo e costume al cloro, risparmiato dai morsi del-la fame (mangiava solo per sfizio o dovere sociale, pur non disde-gnando le abbuffate conviviali), ricaricatosi e rivivificatosi Lorenzosi fiondò di colpo verso la porta (non aprire quella porta…), quasi al-la ricerca di un qualcosa d’indefinito che riuscisse a lenire quel suobisogno interiore. L’ineffabile voleva esprimersi, la sua dynamis in-teriore (sprigionata dal suo daimon – il suo angelo) premeva con in-sistenza sulla ‘corazza’, chiedendo solo di ‘scatenarsi’: l’animale erapronto a entrare nel palcoscenico.

Un fugace scalpitio, rimbalzante gommoso tra i gradini della bre-ve ma ripida scala, e poi uno sfrigolio metallico di passi frettolosi sul-la stradina sottostante gli fecero da apripista. Catturato dalla foga diuscire, in apnea tra mille pensieri e bolle blu (tendenti al rosa: la ma-linconia stava svaporando), non se ne curò affatto – era poco curio-so, piuttosto superficiale e todo modo distratto – e aprì senza fretta, eapparentemente senza frutto, la porta, poco interessato a scoprire chiavesse deflorato la quiete, non solo pomeridiana ma anche domeni-cale, del residence. Tutt’intorno, verginale, il silenzio.

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Sounds of silence. Solo qualche timido, malcelato, clandestino so-noro approccio da parte di sons et lumières: un inizio di petting aifianchi delle ore sul viale del tramonto. La piscina vuota, l’apparta-mento di fianco altrettanto.

La sua riottosità verso i dettagli – la mente di Lorenzo era più sin-tetica che analitica – non gl’impedì, tuttavia, di soffermarsi su di unparticolare su cui aveva glissato al rientro dal fatale buen ritiro in pi-scina (non per nonchalance, o perché ‘fatto’ dalla musica ‘suicida’ deiJoy Division – dead men walking sul suo sempre vivo walkman –, main quanto il ‘particolare’ era assente: di questo era certo): vergati sul-la parete sinistra del pianerottolo, appena sopra al campanello, cam-peggiavano, dramatically, tre numeri – un vistoso 666 e due più mi-nuscoli 13 e 18.

Questione di attimi: la parete, fattasi improvvisamente concava,occupò tutta la sua visuale e lo circondò. Comprimendolo, quasisoffocandolo nella stretta delle sue spire, bloccando ogni suo tentati-vo di fuga dal residence.

Frastornato e impedito nei movimenti, la stringente sensazione diun black-out totale – in sincronia col calare a ghigliottina della nottepiù tetra che la magica Pugnochiuso dai venerei chiarori di luna trabrillii di stelle avesse mai conosciuto – Lorenzo si ‘spense’ anche lui,afflosciandosi devitalizzato sull’esiguo pianerottolo, contraendosimore and more, fino a diventare un puntino nero.

Polvere, pulviscolo, pula al vento…

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AUTOAIUTO PER IL BENESSERE

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Maura Vitale

Cosa mi aspetto da te?

Autorealizzazione attraverso i figli

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INDICE

Premessa 7

Quando nascono le aspettative 10

Le aspettative crescono 16

Il genitore dentro di noi 34

Il bambino fuori di noi 39

Adolescenza e aspettative 51

La gabbia 74

Le competenze genitoriali:un percorso per migliorare 76

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Premessa

Questo è un manuale destinato ai genitori, maho provato a scriverlo pensando con la testa dei “fi-gli”. Ho provato ad immaginare che fossero loro achiedere ad una professionista di spiegare il pro-prio sentire rispetto alle aspettative scagliate su diloro da parte di padri e madri e l’ho fatto con loscopo di dare ai genitori qualche strumento perrendere funzionale e utile all’effettivo sviluppo delfiglio1 il loro “aspettarsi qualcosa”.

Visto dalla parte dei figli probabilmente “tutte”le aspettative dei genitori sono ritenute ingom-branti e problematiche, di fatto però solo alcuneaspettative e, soprattutto, solo alcune modalità di

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1 Avrei voluto ogni volta usare il maschile e il femminile, fi-glio e figlia. Ma la lettura sarebbe risultata pesante. Proviamo aintendere con “figlio” un termine generico che vada bene perentrambi i generi e sarà mia cura specificare figlio o figlia quan-do le circostanze richiedano una diversa lettura in relazione al-l’appartenere all’uno o all’altro genere.

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vivere e gestire tali aspettative devono essere og-getto di attenzione e di supporto da parte di unopsicologo.

Infatti se il contrario dell’avere aspettative am-biziose (ma anche modeste) fosse l’indifferenza eil laissez faire, cioè una totale assenza di immagi-nazione e di pensiero verso i propri figli, ci trove-remmo in una condizione altrettanto problematicae poco funzionale alla educazione affettiva e pro-gettuale.

C’è una vasta letteratura che dimostra che i fi-gli “pensati” dalla coppia, cioè progettati, deside-rati e immaginati già in fase uterina hanno mag-giori probabilità di evitare psicopatologie, come seil pensiero dei genitori verso il nascituro avesse lostesso benefico effetto delle cure tangibili che ilpiccolo avrà una volta venuto al mondo.

Quindi pensiero, aspettative e progetto versoun figlio possono sicuramente essere considerati,nella loro espressione più funzionale, un elementopositivo per lo sviluppo di un individuo.

Analogamente, un figlio preferisce sentire lapresenza di un genitore che si “aspetta” qualcosapiuttosto che un genitore indifferente alle sue azio-ni.

Quindi il tema è quello della individuazione deiparametri di funzionalità di questo processo:

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“avere aspettative verso il figlio/agire in fun-zione delle aspettative dei genitori” affinché ungenitore possa correttamente mettere in atto lapropria progettualità verso il figlio e quest’ulti-mo, trovare una sua individualità confrontandosicon le proposte genitoriali.

In questo manuale mi piacerebbe spiegare inche modo e per quale ragione un genitore si trovanella condizione di sviluppare aspettative nei con-fronti dei figli. Vorrei aprire una finestra di consa-pevolezza su come “si sentono” i figli quando ca-piscono che il genitore si aspetta “qualcosa” da lo-ro. Sarei felice di indicare qualche strumento permodulare e rendere funzionale questo particolareaspetto della relazione genitoriale, quello riferitoal “che cosa ti aspetti da me?” sentito dal figlio e“come vorrei che tu ti comportassi” espresso, piùo meno consapevolmente, dal genitore.

Ovviamente senza dimenticare che alla base diquesta relazione, più che in qualunque altra rela-zione umana, c’è l’amore.

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Capitolo primo

Quando nascono le aspettative

Un figlio conferisce identità ad una coppia. Una coppia senza un figlio spesso è una coppia

destinata a fallire se non riesce a sostituire il pro-getto del figlio con un altro progetto. L’identità dicoppia passa pertanto anche attraverso lo speri-mentarsi come “mamma” e “papà” oltre che comepartner. È un evento naturale, comune alla mag-gior parte degli esseri umani.

Ma il passaggio da coppia a coppia genitorialeè un percorso tutt’altro che scevro da insidie.

Ancor prima di essere concepito, il figlio hauna funzione importante di completamento dellaidentità che il genitore desidera (più o meno con-sapevolmente).

Quante volte abbiamo sentito dire “quando ioavrò un figlio farò/dirò/… questo o quello. Gli in-segnerò subito a guidare la macchina, le spieghe-rò subito che bisogna essere indipendenti…”

Frasi apparentemente innocue e senza senso,

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quando i figli non sono ancora nati. Che si comin-ciano a consolidare quando il bimbo è in pancia. Equi per la prima volta nella sua breve vita, la suapresenza è funzionale alla mamma.

Qualunque donna che abbia sperimentato unagravidanza, sa quanto “l’avere il figlio in pancia”venga vissuto come la prova della identità femmi-nile. Non solo. La presenza del figlio nella pancia“dimostra” che la donna “è brava”.

Purtroppo nei drammatici casi in cui si perda ilbambino, la donna oltre alla sofferenza per la per-dita, prova un senso di inefficienza, avverte sem-pre in fondo un pensiero che recita “non sono sta-ta capace di portare avanti la gravidanza”. Nei ca-si di infertilità femminile questo aspetto si esaspe-ra e talvolta la donna mette in discussione la pro-pria identità femminile, sentendosi dimezzata, in-completa.

Le aspettative di una donna incinta non sonosempre positive, cioè non richiedono solo al figliodi crescere e di star bene, ma riflettono altre più te-mibili ansie della mamma: “sarà normale? avràdeformità?”

Strano a dirsi, ma anche questa può essere con-siderata una aspettativa. O, per essere più precisi,un modo per “spostare” sul figlio una preoccupa-zione che nasce altrove.

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Insomma il “figlio” è già intriso di aspettativeprima ancora che si sappia se è maschio o femmi-na e prima ancora di emettere il primo vagito.

A volte l’aspettativa è già attiva sul primo vagi-to “quando uscirà da qui, piangerà forte e tutti ca-piranno quanto vale” oppure “quando nascerà nonemetterà un grido”.

Spero che questi primi esempi abbiano comin-ciato a chiarire un aspetto importante del tema del-le aspettative, quello della consapevolezza. Il ge-nitore non sempre è consapevole di avere unaaspettativa verso il figlio e non sempre sa che an-che con gesti o commenti apparentemente non fi-nalizzati ad esplicitare “cosa mi aspetto da te”, ilfiglio viene guidato nell’azione.

Dall’altra parte il figlio, che si trova normal-mente a comportarsi in un certo modo, non sa sequel comportamento deriva realmente da ciò chelui desidera o invece rispetta ciò che dai suoi geni-tori è ritenuto giusto.

Se torniamo alla domanda chiave “che cosa tiaspetti da me?”, ecco che, sentito “con la pancia”di un figlio che sta ancora dentro la sua mamma,quello che abbiamo finora raccontato potrebbe as-somigliare a qualcosa del genere:- devo svilupparmi da embrione a bambino così

che voi vi sentiate mamma e papà

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- devo evitare di avere patologie in modo che visentiate forti e capaci oppure devo confermareche avete dei problemi e quindi devo averequalche problema

- devo essere paziente e non piangere troppo co-sì non disturbiamo nessuno oppure devo essereforte e spaventare tutti e appena nato gli devofar sentire quanto so urlare e sono forte.

Strano eh! Eppure se potesse parlare ce lo rac-conterebbe proprio così.

Spesso queste cose si raccontano anni dopo nelcorso di una analisi personale ed è per questo chedobbiamo prenderle in considerazione qui.

Torniamo al tema della consapevolezza.Se si chiede a genitori di figli preadolescenti

che cosa si aspettano loro, la maggior parte di lo-ro risponderebbe: che stiano bene, che vadano be-ne a scuola, che siano ubbidienti. Analogamente,se si chiede a ragazzi in età scolare che cosa siaspettano i genitori da loro si ottengono rispostealtrettanto standard: che prenda buoni voti a scuo-la, che si comporti bene...

Apparentemente una piena congruenza no?E allora dove sta il problema? E se invece que-

sta congruenza nascondesse proprio l’insidia dicui ci vogliamo occupare in questo manuale?

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Ma come possiamo credere che sia sempliceche un figlio, che a partire dal momento del con-cepimento ha suscitato aspettative sulla sua iden-tità, riesca a diventare un uomo/donna libero/a? Esoprattutto, che possibilità ha un bambino di espri-mere qualcosa di diverso da ciò che i genitori glirichiedono?

Ci siamo accontentati di trovare una congruen-za “formale” tra ciò che i genitori si aspettano daun figlio e ciò che un figlio crede che i genitori siaspettino da lui, ma non ci siamo chiesti se il bam-bino ritiene queste aspettative giuste e coerenticon e per se stesso e se il genitore sa di avere mes-so in atto un importante processo di richiesta dicomportamenti.

Per la verità non ci è neanche venuto in mentedi doverci porre questa domanda “perché in fondole aspettative dei genitori sono corrette, no?”

Vi sto portando a ragionare in maniera parados-sale, perché ho voglia di passarvi uno strumento enon una lista di consigli e questo consiste nella ca-pacità di analizzare alcuni fatti e alcuni fenomenidella relazione “genitore – figlio” .

Vi siete mai chiesti perché l’attività psicotera-peutica si chiami analisi?

Il concetto di analisi è stato preso dalla chimi-ca: per capire di cosa sia composta una sostanza

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bisogna scomporla nei suoi elementi fondamenta-li. Analogamente l’analisi psicologica di eventiapparentemente ovvi, porta ad interessanti scoper-te circa gli elementi che li hanno generati.

E allora la domanda più coerente con il tema diquesto manualetto, diventa: le aspettative del geni-tore possono consentire ad un figlio di essere au-tonomo e felice?

Non vi sembra che il fatto stesso che io mi stiaoccupando di questo tema e che chi sta leggendoabbia già comprato “il problema” acquistandoquesto manuale, dimostra che un piccolo dubbio èpresente nella testa di tutti noi?

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POESIA

a cura di Luca Carbonara

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Renzo Piccoli

Cantar de mi amorpoesie e canzoni dell’iride

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VOLUME AZZURRO

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Quanto sono soavi le tue carezze,…………………

quanto più deliziose del vino le tue carezze.CANTICO DEI CANTICI, 4, 10

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PREFAZIONE

Trovandomi ad avere ancora il privilegio di essere il prefa-tore del poeta e narratore Renzo Piccoli, cercherò di indivi-duare alcuni aspetti caratteristici della sua ars poetica. Intanto,fecondità e versatilità estrema.

Il Volume Azzurro è il quinto della Collana Cantar de miamor - Poesie e canzoni dell’iride.

Negli anni scorsi ha pubblicato romanzi, raccolte di afori-smi e gli Assiomi del Negeb, da poco usciti alla luce, oltre unacollana di filastrocche per fanciulli, Sgranaparole, con l’Edi-tore Armando. La fertilità di un artista è accompagnata dalpregiudizio di scarsa originalità, con il rischio di ripetitività. Ineffetti, vi sono molti esempi di artisti e scrittori seriali. Dopoun romanzo di successo, arrivano immancabilmente i sequel,sfruttando il favore del pubblico. Lo stesso vale per film, fic-tion e altro. Non è il caso di Renzo Piccoli. Per il semplice mo-tivo che la poesia è destinata ad anime fini e sensibili. Nonparlo di un concetto snobistico di eletti. La poesia è, fin dalsorgere, il prodotto spirituale forse più universale dell’uma-nità, perché è collegata alla religione e con la musica si tra-sforma in canto. È ciò che più si presta alla condivisione e asoddisfare il senso estetico. Questo richiede uno stato d’animoparticolare, sia del cantore che di coloro che lo apprezzano esi commuovono. La poesia è ubiquitaria come la presenza deifiori nei campi, ma non è cibo da fast-food. Si accompagna auna condizione particolare, che ha a che fare con l’estasi.

Premesso ciò, entriamo in questa nuova collezione di liri-che. Mentre gli Assiomi del Negeb neonati e le sillogi deglianni scorsi sono esempi di slancio lirico unito a una conden-sazione concettuale che richiede più riletture per coglierne leprofondità, con questo Volume Azzurro Renzo Piccoli ci co-

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glie un po’ in contropiede. Un versificare più disteso, lineare,di immediata comprensione ed empatia. Si richiama alla ra-gione di questa collana che deve essere divulgativa, grazie al-la trasposizione dei versi in canzone popolare. Il poeta ricor-re spesso alla rima baciata, come a rinforzare la musicalità eaccessibilità del testo. Anche i temi cantati odorano di matri-ce popolare e alludono a eventi e situazioni note al vasto pub-blico.

Ma è pur sempre la fantasia, fluido vitale d’ogni artista, chetrasforma i dati del reale in magia condivisibile. Altrimenti sa-rebbe cronaca o semplice artigianato.

Ciò è bene espresso dal poeta nella lirica Dalla torre:

Viva la fa, viva la fantasiasopra il limite di cristalli

che si accendono alla luceViva la fa, viva la fantasia

per scoprire dinosaurilì vicino dietro gli angoli

Altro ingrediente di cui Renzo Piccoli si serve magistral-mente è l’evocazione suggestiva di luoghi mitici e di situazio-ni rese con l’abile artificio del verso.

Come in La casa comune:

Akabati rivedrò

Akabasolo per dire di no

Akabaa chi ha saputo tradire

Akaba e ti porterò dei fiori

Il lettore si trova catapultato nel deserto arabo che circon-da Akaba. Una notte stellata accanto ai bivacchi beduini, as-sieme a Lawrence D’Arabia, percorso da emozioni, pensieri,dubbi sul proprio ruolo di liberatore e sui destini della co-munità cui ha legato il proprio. Nemmeno un grande registapotrebbe rendere in modo così intenso e immediato la stessa

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atmosfera poiché un film rappresenta le situazioni e ti con-sente di partecipare da spettatore. La poesia induce a crearela “tua” personale rappresentazione, sulla scia delle paroledel poeta. Per questo possiede la massima evocatività, comela musica.

Altro tema inevitabilmente caro al maturo poeta sono leesperienze condivise nel passato. Una rimpatriata con amicibuontemponi. Come nella lirica Momenti:

Poi col solepapaveri nasturzi

un girotondo d’evenienzacon gli amici di una volta

per altre strade allontanatiancora insieme per far festa

Così come gli amori perduti, soprattutto quelli vissuti inmodo tormentato, sollecitano ricordi e nostalgia, rievocati nel-la lirica Voglia di te:

Vediamo se vienela voglia di te

questa strana voglia di tequesta impertinente irriducibile inevitabile

voglia di te!Una lirica tra le più toccanti è quella che dedica alla Sicilia

Canto per una terra:E ogni notte ti sogno

ripeto muto il tuo nomeSicilia dei miei anniSicilia mare e sasso

Il poeta rende il fascino della regione unica al mondo,crogiolo di popoli e mescolanza di culture. Nel contempo,c’è lo strazio per chi è costretto a migrare lontano, in cercadi una migliore fortuna, con il rimpianto di ciò che ha la-sciato. La Sicilia è luogo simbolico, non solo dell’Italia, madi ogni terra che volta a volta è protagonista di biblici arri-

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vi di nuove comunità, oppure di trasmigrazione altrove deipropri figli.

Il poeta è consapevole di quale arduo ruolo ricopra, comeportavoce dell’umanità, e di quanti “critici feroci” deve fron-teggiare. Ad essi regala “per cena del sapone”. Così può sera-ficamente cantare:

Non ho santi in cieloné idoli supremi

canto ciò che vedosenza pensare per schemi

Non attuare censure è proprio della poesia che supera lebarriere del pregiudizio, delle appartenenze e anche della con-venienza. Il poeta ha l’irriverenza di un merlo e l’acume di unfalco. Così può farsi rappresentante di tutti coloro che comelui non hanno “santi in cielo” e può dare loro conforto.

Salvatore Merra

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Sembra vero quello che dicevi ierilo confronti coi soliti pensieridietro ai passi silenziosisi allontanano cancelli chiusiquelle spighe che afferrisono scarne fra le maniti trastulli coi perchée chi ti ama è lì per te

Solleva piano l’orizzontequando ti senti senza forzesi distingue a malapenachi ancor oggi è di scena

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LA CURA

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Ma la conosci la finzioneper pura educazionesacrosanto è il malumorese ti avvicina al tuo cuoree l’intesa è un’apparenzacome è finta la vicinanzaper sapere quante oredevi stare senza amore

Attento alla finestraquando appare la visionevoglio dirti per favorenon credere a queste cose

Val la pena poi tentaredi chiarire una fasemai espressa né sentitaeppure parte della vitail volere fortementeun segnale sulla frontei tuoi passi riveritiuna pausa fra le liti

Ora che a tratti si schiariscela visione dolce pacesentimenti e non passionesei invitato a riflessione

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Mi domandi a cosa credoallo spirito che non vedoe ti sembra cosa stranasognare al chiaro di luna

Non c’è spazio in questo luogogiro intorno e non mi muovooffresi a tutti primaveratanta acqua… e poi si spera

Come ti chiami, eterna saggezzache sai distinguereil raziocinio dall’ebbrezza?Come ti trovi, senza pacedistribuisci ideema t’infastidisce la luce

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MISERIA E NOBILTÀ

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Nella lotta per lo spazioè un serrarsi al precipizioè una curva presa maleche ti butta giù il morale

Fra cent’anni e ancora menoritoccherai il tuo disegnomezzo vuoto là nel centrocicatrici nel cemento

Come lo segni il tuo blasoneocchi morgani la domenicama per il resto è un gran bidoneCome lo trovi, divertente?,nascondersi dietro le pauree poi buttarsi tra la gente?

Non hai voglia di parlareper sfuggire al dispiaceredi ricordare quella storiascacciata a forza dalla memoria

e se tornerai, la verità già la sai

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