Preludio senza capitolo primo - numero uno

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numero uno della rivista Preludio Senza Capitolo Primo

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Ho dormito bene, le ginocchia al petto, le mani a riscaldare le tempie. Quel giorno la mia visita fu abbozzata, tra convenevoli e il racconto della battuta di caccia del mio psichiatra. Me lo sono immaginato così, fiero e insanguinato, coperto dalla pelle di bestia. Congedandomi mi ha detto, ridendo, che gli sembravo migliorato, quasi vivo.“E’ perchè ho un posto dove andare, ora”. Passai il quarto d’ora successi-vo gonfio di quelle parole.

© Miss Tendo

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DUE PASSI OLTRE IL CANCELLOLAMA

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Nel bagno trovai un pazzo ad affrescare il viso dell’amata di altri tempi con la condensa dello specchio, mi vide, cancellò il lavoro con la manica ed uscì. Provai allo stesso modo a disegnare un elefante, mi accorsi che stavo cominciando a lacrimare e smisi. Fu strano osservare i corridoi biancastri, i vari accessi agli studi medici, poi agli alloggi dei ricoverati, una sola finestra, enorme, bastava a far giorno su tutto il piano, sono taccagni in fatto di finestre, magari per evitare che avessimo troppa libertà da sbirciare.

Fu bizzarro, dicevo, comprendere di trovarsi un uno spazio chiaramente ostile, volutamente asettico e avere imparato a considerarlo una tana materna. Pensieri come questo tornavano sempre più spesso, spegnendo man mano il rimpianto dell’avorio.

“Eravamo” stava lentamente lasciando il posto a“sono”.

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© Darkam

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ILARIA PROIETTI

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DUE PASSI OLTRE IL CANCELLO

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ROSA LACAVALLADUE PASSI OLTRE IL CANCELLO

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Oltre il cancello l’infrangersi delle onde e il salato del poter andare.

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DEBORA BARNABAintroduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione.

Hai iniziato considerando il disegno il tuo mez-zo espressivo. Cosa ha scaturito il passaggio ad un linguaggio fotografico?

Dal disegno sono poi passata alla pittura e mi sono ritrovata in un momento senza soldi, tele e colori. Quindi ho iniziato a fotografare quello che poi avrei voluto dipingere. E ho scoperto in questo “caso” un linguaggio espressivo interessante e del tutto nuovo.

Una tua opinione: quali relazioni pensi che ci

siano tra il mondo della fotografia e quello del fumetto?

Non sono così dentro al mondo del fumetto, ma per quelli che ho avuto modo di ammirare certo c’è un forte studio di una “inquadratura”, e degli elementi da inserire nello spazio. Mentre con il disegno e il fumetto possiamo dire che gli elementi si inserisco-no nello spazio, nella fotografia si fa il procedimen-to opposto: si toglie, l’inquadratura è il ritaglio di una porzione di spazio e di tempo.

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DEBORA BARNABADebora Barnaba è una giovane fotografa che lavora relazionandosi con il proprio corpo in maniera pro-fondamente intima. L’abbiamo conosciuta con la serie “Kissing” che ha sollevato numerose polemiche. Il lavoro qui proposto è ben diverso esteticamente, ma la forza del corpo di Debora - anche se catturato in rapidi e arditi scorci - non risparmia l’osservatore.

DEBORA BARNABAintroduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione.

Hai iniziato considerando il disegno il tuo mez-zo espressivo. Cosa ha scaturito il passaggio ad un linguaggio fotografico?

Dal disegno sono poi passata alla pittura e mi sono ritrovata in un momento senza soldi, tele e colori. Quindi ho iniziato a fotografare quello che poi avrei voluto dipingere. E ho scoperto in questo “caso” un linguaggio espressivo interessante e del tutto nuovo.

Una tua opinione: quali relazioni pensi che ci

siano tra il mondo della fotografia e quello del fumetto?

Non sono così dentro al mondo del fumetto, ma per quelli che ho avuto modo di ammirare certo c’è un forte studio di una “inquadratura”, e degli elementi da inserire nello spazio. Mentre con il disegno e il fumetto possiamo dire che gli elementi si inserisco-no nello spazio, nella fotografia si fa il procedimen-to opposto: si toglie, l’inquadratura è il ritaglio di una porzione di spazio e di tempo.

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DEBORA BARNABAintroduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione introduzione.

Hai iniziato considerando il disegno il tuo mez-zo espressivo. Cosa ha scaturito il passaggio ad un linguaggio fotografico?

Dal disegno sono poi passata alla pittura e mi sono ritrovata in un momento senza soldi, tele e colori. Quindi ho iniziato a fotografare quello che poi avrei voluto dipingere. E ho scoperto in questo “caso” un linguaggio espressivo interessante e del tutto nuovo.

Una tua opinione: quali relazioni pensi che ci

siano tra il mondo della fotografia e quello del fumetto?

Non sono così dentro al mondo del fumetto, ma per quelli che ho avuto modo di ammirare certo c’è un forte studio di una “inquadratura”, e degli elementi da inserire nello spazio. Mentre con il disegno e il fumetto possiamo dire che gli elementi si inserisco-no nello spazio, nella fotografia si fa il procedimen-to opposto: si toglie, l’inquadratura è il ritaglio di una porzione di spazio e di tempo.

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ha portata ad affrontare la fotografia come mezzo

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Ringraziamo di cuore Debora per la sua disponibilità e per il tempo concessoci. Vi invitiamo a seguire i suoi lavori sul sito www.deborabarnaba.it.

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CECILIA FERRI

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ALI

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CECILIA FERRI

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Con le dita carezzai le pareti dell’istituto, non erano tutte uguali, l’intonaco parlava, spiegava cantando le grida di un uomo solo, che erano i sogni di tutti noi. Scivolai sui muri fino alla mia porta, la chiudevo con un pezzetto di carta incastrato, trovandolo per terra capivo che qualcuno era entrato. Ripe-tevo il gesto da quando l’ho visto fare al mio vicino di stanza. Ha infilato il ritaglietto di carta nella porta tutti i giorni da quando è arrivato, tranne quello del suo suicidio. Non era tuttavia il grigiore, il lezzo opprimente della fine a governare le nostre giornate, quanto una miscela di euforia da condannati e semplice incomprensione del tempo. In cerchio ci insegnavano ad emettere ver-si meditanti, disegnando triangoli, dissezionando un arcobaleno.Entrai in stanza, la luce aveva abbandonato il ventilatore, divorava la zanna di elefante semi avvolta nelle coperte. Sublime, dissi.Ora ho un posto dove andare, un posto dove andare, ripetei.

© Darkam

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FABIO BONETTI

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ALESSIO RUTIGLIANOAlessio Rutigliano è una giovane promessa del panorama sperimentale-cinematografico del paese che sembra una scarpa. L’idea di intervistarlo nasce con l’intento di capire e diffondere l’opera di un autore che lavora con le immagini in movimento trattandole spesso come se fossero fatte di pennellate utilizzando mezzi digitali, ma cercando di trattare una materia assai concreta e fisica. Da quando il Preludio si è messo in contatto con Alessio il suo curriculum di partecipazioni a festival e collettive è andato aumentando: vi invi-tiamo a continuare a seguirlo magari anche attratti dalle anticipazioni che ha rilasciato per noi circa il suo progetto in cantiere.

Artodocs Film Festival, St PetersburgLucca Film Festival 2012Flexiff Festival X, SydneySguardi Sonori ‘12, Mole VanvitellianaThe Scientist Video, Ferrara

Six triptychs on the death of a marionette

Parlaci del tuo ultimo cortometraggio, da cosa è stato suscitato?

L’incontro con Collodi

Tutto è nato durante le riprese di Leaving Home. Tradurre in immagini la fiaba di Collodi è un’impre-sa contraddittoria, votata all’autodistr(a)zione. Il rifiuto del burattino verso qualsiasi forma di ritua-le iniziatico costituisce naturaliter una dialettica dell’impossibile: indipendentemente dal medium utilizzato, raccontare Pinocchio vuol dire precipitar-si nei buchi neri del linguaggio, sottrarsi alla rappre-sentazione. Fondamentale in questo senso è stato l’incontro con l’opera di Giorgio Manganelli. Senza il suo Pinocchio, un libro parallelo, probabilmente Six Triptychs non sarebbe mai nato. Manganelli è stato l’artefice inimitabile di un’operazione anni luce distante da qualsivoglia trasposizione cineletteraria: il suo Pinocchio è un’opera virale che si insinua tra le maglie della fiaba collodiana, senza cannibaliz-zarla.

Rapporto cinema-Collodi

Sin dai tempi del muto la storia del cinema ha inseguito invano il nostro burattino, uso a corrut-tori di ben altra statura. Soggetto maudit, come il Don Chisciotte di Welles, ha attratto nella sua orbita un numero incredibile di registi e sce-neggiatori che, nell’illusione di poter far fuori la tradizione disneyana in un colpo solo, hanno aggiunto alla fiaba un dècor macabro che nul-la ha a che vedere con la crudeltà collodiana,

affine semmai alla crudeltà del teatro di Artaud. Ogni tentativo di trasposizione fedele al testo fini-sce inevitabilmente per ingabbiare Pinocchio nella prigione figurativo-linguistica da cui tenta di liberar-si.Sono grato in questo senso all’Artodoc Internatio-nal Film Festival di San Pietroburgo diretto da Lev Naumov per avermi spinto a portare a termine una versione cinematografica del lavoro, inizialmente pensato come una videoinstallazione.

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Come hai lavorato per ottenere il prodotto finale?

Come per Leaving Home ho deciso di adoperare mezzi artigianali, non per insana diffidenza per il videoediting, quanto per mantenere un approccio il più possibile materico-gestuale.Ho usato lenti grezze per sfocature non convenzio-nali, mentre per emulare un trattamento malerish dei fotogrammi in reframing ossessivo ho spesso rifilmato il footage, degradandolo, dando vita ad un continuo processo di erosione dei suoni e delle im-magini, del corpo e del linguaggio. Se i primi trenta secondi ci mostrano uno spazio estremamente saturato, l’ultimo tableau presenta una rarefazione radicale del suono (I, the defeat of the Personal del geniale Igor Ballereau) e delle immagini: nel finale le Figure sembrano excise da tele nere, il contrasto tra il bianco e il nero si fa in estremo.

Alessio Rutigliano e Alessio Rutigliano. Nei tuoi lavori ci sei tu, auto filmato: com’è il rapporto fra la tua immagine e la macchina da presa?

Mi ha sempre affascinato il tema dell’autoritratto,

per questo motivo mi servo spesso di specchi e monitor, non solo per filmare me stesso. Nel prossimo lavoro gli sguardi di tutti i performer saranno mediati da una rete di specchi e monitor, sfiorando il parossismo. Quando Derrida prova a dare una definizione si sostituisce allo specchio, privando l’artista della sua immagine riflessa, accecandolo. Lo stesso accade nel cinema: il paventato sguardo in macchina è una pura illusione: nel momento in cui tra la macchina da presa e gli attori si frappone un monitor o uno specchio, la presenza temporanea di questo dop-pio rivela lo sguardo accecato dell’attore-performer, sempre cieco al compiersi del gesto.

Nel Pinocchio da te presentato ai festival di Lucca e San Pietroburgo non si percepisce la variabile della bugia, l’elemento simbolo del racconto di Collodi, un sentore avuto già dal titolo del primo capitolo: tragedia di un corpo. Da subito l’intero sviluppo del video è orientato verso tutto “l’umano” - inteso nel senso corpo-rale - della favola, a partire dal dissidio carne-legno. Pinocchio per te è una marionetta di

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di carne o un bambino di legno?

Non date del bugiardo a Pinocchio! Ho sempre creduto che le reiterate menzogne del burattino, seppur preziose da un punto di vista psicoanalitico, fossero in realtà un espediente squisitamente lette-rario per detournare la fiaba, per dirla con Debord. Riuscireste ad immagine un kolossal hollywoodiano in cui il protagonista, non appena inizia a recitare, alias mentire, al pubblico in sala, finisca per con-fessare le sue retribuzioni, i contratti della troupe e così via? Ciak, si rifà ad infinitum... Sconcertati, i produttori varcherebbero la soglia dell’ufficio in lacrime, per poi fustigarsi con neghittosa discrezio-ne nel buio complice di una sala cinematografica. Pinocchio è fuori dalla Storia, le sue bugie sono puro delirio glossolalico!Agiografia paradossale, la fiaba di Collodi e la tragedia del corpo che si degrada a verbo: rifiuto di qualsiasi rituale iniziatico, negazione della Storia, impossibilità di un racconto della stessa.E’ piuttosto sul confine marionetta di carne-bambi-no di legno che si svolge la vicenda, o più precisa-mente, per dirla con Bacon, tra organico e inorga-nico.Nel momento in cui Geppetto, prova a forgiare gli arti e gli occhi del burattino, ostinandosi a dare una forma compiuta e antropomorfa a una massa infor-me opera in realtà una mutilazione per contrario.

Hai citato Francis Bacon: come lo relazioni alla tua opera e soprattutto qual è l’influenza che ha avuto sul tuo modo di concepire l’immagine in movimento e sul concetto di narrazione?

Se l’ontologia negativa che permea Pinocchio è codificata nel linguaggio verbale, in quello visivo la faccenda si complica. Ed è qui che ci soccorre l’in-segnamento di Francis Bacon. Rifiutare la gabbia figurativo-linguistica e allo stesso tempo la prigione astratta delle interpretazioni psicoanalitiche è stata la sua sfida nella pittura o, se vogliamo, alla pittura.E’ necessario disarticolare i nessi logici e mo-strare, finalmente, il confine di indiscirnibilità tra l’uomo che soffre come una bestia e la bestia che soffre come un uomo. Pinocchio, con la sua conti-nua stazione tra umano ed inorganico, si inscrive perfettamente nell’anti-iconografia baconiana. Se per il pittore e per l’illustratore è possibile di volta in volta ricreare questo limite con mezzi manuali - il trattamento a straccio o tecniche pittoriche di artisti più recenti come Jenny Saville - il film maker deve percorrere il percorso a rebours, ricorrendo ad espedienti che sabotino di continuo i normali mec-canismi percettivi: tendere continuamente trappole al processo percettivo, ostacolare la visione.Svelo ai lettori del Preludio un omaggio pittorico più personale, presente nel terzo trittico: scampato alla nascita, il burattino lascia Geppetto solo in balia del

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desiderio cieco di plasmare. Come nei rituali filmati da Jean Rouch in Les maitres fous, i fendenti del povero babbo nel vuoto si trasformano in una grot-tesca danza ritualistica svuotata di senso, malde-stri esercizi di riabilitazione: il riferimento pittorico allude a questo caso a una serie di dipinti del 2003 di Pierluca Cetera, Parti di un Inferno.

Come ti sei avvicinato al cinema sperimentale?

Ho sempre considerato l’aggettivo sperimentale semplicemente come la qualità indispensabile di un classico. Scrittori come Cervantes, Petronio, Joyce, che troviamo oggi negli scaffali catalogati alla voce “Classici”, sono stati grandissimi sperimentatori nel loro tempo. Anche nel cinema, dopotutto, accade lo stesso: opere di sperimentatori inguardabili come Paolo Gioli a distanza di poco più di trent’anni hanno assunto lo statuto di classici citate ossessi-vamente da registi come Guy Maddin. L’etichetta sperimentale a volte richiama alla mente spazi anestetizzati in cui tutto è possibile, nell’ora d’aria tra un film mainstream e l’altro, per poi tornare alla normalità.Non ho mai creduto nella ghettizzazione del ci-nema sperimentale, nè in illusorie quote rosa. Ho scelto il video perchè credo che, nonostante tutte le sue deficienze e le sue goffaggini, sin dalla sua

invenzione credo conservi una sorta di vocazione (autodistruttrice) per filmare l’impossibile, il non det-to, tutto ciò che è sottinteso alla nostra percezione. Ricordate la formula kubrickiana: “Se potete pen-sarlo o scriverlo, filmatelo”? Detounatela! Suona meglio: “Se non può essere scritto o pensato, allora deve essere filmato”.

Come hai lavorato per la musica del teaser di Preludio Senza Capitolo Primo?

L’elettronica mi ha permesso di lavorare sul suo-no come su di una massa scultorea, ricercando in questo caso una simbiosi tra il video in stop motion - tecnica corporea, oserei dire viscerale - e il corpo del suono. Non è un caso se il termine texture usato nella computer graphic è stato nella seconda metà del ‘900 adottato da musicisti come Gyorgy Ligeti, Penderecki, Stockhausen: esiste da sempre una sotterranea corrispondenza tra tecniche usate nella musica elettroacustica e nel video, negli ultimi sempre più palpabile negli anni grazie al lavoro di compositori come Fausto Romitelli, Igor Ballereau; tra le ultime generazioni segnalo le opere di Fran-cesco Verunelli, Leone d’Argento 2010: in questa direzione desteranno non poche sorprese ai lettori di Preludio.

Ringraziamo Alessio per averci dedicato parte del suo tempo per parlare con noi del suo lavoro.

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SIMONE PACE

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CREDITI

Riemersione: racconto di Simone Pace Illustrazioni di: Byclops copertina, quartaMiss Tendo seconda, terzaDarkam pg 26, pg 64

Progetto grafico a cura del Preludio

[email protected]

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Era lucido il mio pensare, calmo il mio agire. La caduta, i sogni erano affogati nel mare d’avorio e l’istituto è stato il mio purgatorio, solo io ne sono uscito, nessuno dei compagni dell’epoca d’oro ha colto il significato di questi anni. Nessuno è riemer-so. La zanna mi sta istruendo, proprio adesso, la vecchiaia sarà l’arma di una nuova giovinezza. Ho assaporato la gabbia, ed è rancida. Sfondando il finestrone della sala, quella notte, sen-tii il ventre di un animale che si gonfiava e molto, molto freddo. Ero la sagoma aggrappata al ventilatore, pazzo vaporoso che correva per la terra brulla. Nessuno mi ha seguito nè io mi sono voltato. Premevo la reliquia lunga alpetto, le gambe come martelli si esibivano nelle falciate dei tempi migliori.

© Miss Tendo

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Com’è vicina la collina! Non una fuga, ma la rincora di un dovere, un richiamo cavernoso. La salita d’un fiato dopo tanti anni di reclusione non mi sembrò qualcosa di reale, ma l’ascesa ad uno stato di benessere dimenticato.Quando mi hanno ricoverato l’ultima cosa che vidi fu il mio giardino. Mi chiesi perchè tra tanti fili d’erba, fiori e pietruzze ordinate non vi fosse un riparo dove leccarmi le ferite, dove eludere la pazzia e lasciare che il calore della terra si prendesse cura di me. Ora ho un posto dove andare, dissi. Un posto dove andare, ripetei.Raggiunto il colle potevo guardare la prigione, il cortile me lo immaginavo più o meno così, il fiatone mi riscaldava il naso, la pelle si nutriva di quell’aria vera, onesta. Nella valle tante macchie tirate via dall’illuminazione notturna. Guidami, fammi strada pachiderma! Dammi la forza di riportarti quello che ti ho strappato, spogliami dei pensieri lividi che mi accompagnano, permettiti, non senza dolore e piedi gonfi, di tentare un ritorno alla vita.